Per ripartire Insieme Storia nr.34
incontri Un incontro che ti cambia la vita Il volontariato ha fatto parte della mia vita sin da giovane. Si è trattato per lo più di un volontariato di animazione in parrocchia o di iniziative culturali. Ad un certo punto della mia vita, quando mi sono ritrovata con più tempo a disposizione, ho pensato che avrei potuto fare qualcosa in più o qualcosa di diverso. Mi stavo documentando e guardando attorno, quando un giorno incontro un’amica che non vedevo da parecchio tempo. Mi dice che si è iscritta al corso di formazione dell’AVO per diventare volontario ospedaliero: «perché non vieni anche tu?», mi suggerisce. Io? Non ci penso nemmeno! Io che frequento un ospedale? Se non ci sono proprio costretta non metto certo piede nelle cattedrali della sofferenza! No, grazie! Poi però questo invito mi costringe a riflettere. Un incontro non avviene mai “per caso”. Perché, mi chiedo, ho rifiutato una proposta senza nemmeno approfondire l’argomento? Perché mi sento così smarrita di fronte alla sofferenza, tanto da non riuscire a gestirne nemmeno il pensiero, perché scappo? Prendo queste riflessioni come una sfida e mi iscrivo al corso dell’AVO. Il corso di formazione di base è completo ed esauriente. Si affronta l’approccio con il malato e con l’anziano, il disagio fisico e psichico, le norme d’igiene, il volontariato in pediatria, l’importanza del gruppo e l’ascolto nella relazione d’aiuto. Apprendo che l’AVO è stata fondata nel 1975 dal professor Erminio Longhini, primario dell’ospedale di Sesto San Giovanni. Durante un suo giro in corsia, vide che nessuno rispondeva alla richiesta di una paziente che chiedeva un bicchiere d’acqua. La risposta di tutti era “Non tocca a me”. Longhini capì che poteva dare vita ad un “qualcosa” che portasse solidarietà, aiuto e sostegno morale negli ospedali, e fu così che fondò l’Associazione Volontari Ospedalieri. Al corso mi viene consegnato un camice azzurro con il mio nome e da questo sarò identificata nelle strutture ospedaliere come volontaria AVO. 165
incontri Svolgo il mio primo periodo di servizio presso il DEA, la degenza temporanea dell’Ospedale Mauriziano Umberto I di Torino. L’inizio non è facile. Nonostante la teoria appresa durante il corso base e il tutor che mi affianca, mi sento sovente fuori luogo ed a disagio. Quando entro nelle stanze vedo un’umanità sofferente dai mille volti: anziani, giovani, donne, uomini arrivati lì in un momento difficile e doloroso della loro vita, qualcuno in attesa di diagnosi, è in ansia. Altri dormono. C’è chi si lamenta. Nell’orario di visita arrivano i parenti, ma c’è chi non ha nessuno… Capita che le ambulanze portino persone trovate per strada sole e disorientate. Gli anziani sono i più fragili, a volte non sanno dove si trovano, vogliono andare a casa… ma è sufficiente star loro vicino e sono più sereni. Incomincio man mano a capire che non devo avere paura, che “esserci” è più importante che “fare”, ma voglio capire meglio: preparazione e conoscenza sono basi importanti, sono i cardini del servizio. Partecipo agli incontri di formazione e ai seminari che l’AVO offre ai volontari. Ci sono dimensioni della crescita umana che devo approfondire se voglio fare un buon servizio. Non mi illudo che la spontaneità e la motivazione iniziale siano sufficienti. Come primo passo, imparo ad ascoltare. Non devo dare ricette, soluzioni e consigli ai problemi degli altri come faccio di solito in famiglia. Non sempre le parole servono, a volte il silenzio è più eloquente. La sofferenza umana invoca sensibilità, attenzione e rispetto. Seguo poi un primo seminario dal titolo “La cura globale del malato”. Prendo coscienza che ci sono due principi fondamentali che caratterizzano la vita: non si può vivere senza soffrire, non possiamo soffrire senza sperare. Ecco dove sta forse la sfida: nel vestire il dolore di speranza. Grazie alla formazione e al confronto con gli altri volontari, cerco di gestire anche quello che è un punto critico: la mia parte emotiva. Il dolore tocca la mia fragilità. Quattro incontri dal titolo “Vivere il morire” mi danno una forte 166
incontri scossa, perché trattano un argomento che solo fino a poco tempo prima non avrei mai pensato di affrontare: la morte. Siamo circondati da notizie di morte, è sufficiente accendere la televisione, ma è sempre lontana da noi, non vogliamo parlarne, rimuoviamo un aspetto che fa parte della vita. Il mio cammino continua, giorno dopo giorno. Acquisto un pochino più di sicurezza e riesco ad istaurare relazioni di aiuto più consapevoli. La vita associativa con gite sociali e iniziative di carattere aggregativo permette di conoscere altri volontari. Partecipo ai convegni nazionali della Federavo, la Federazione nella quale confluiscono tutte le AVO d’Italia e che sono oltre duecento. Ai convegni nazionali arrivano volontari AVO provenienti da tutta Italia: centinaia di persone si incontrano nello stesso luogo per condividere un ideale comune, per presentare progetti, per confrontarsi sul nostro essere volontari e cittadini in un mondo che cambia. La mia motivazione iniziale nel frattempo è cambiata: la sfida ora mi appassiona: la sofferenza umana resta e resterà sempre un argomento difficile per me, il dolore in sé non è buono, ma si può cercare di superarlo, è una dimensione inevitabile della vita. Per poter funzionare bene, un’ Associazione ha bisogno di persone che assumano delle cariche, quindi mi candido nel Consiglio Esecutivo. Non vivo questi compiti come “cariche”, preferiscono chiamarli “incarichi” che richiedono impegno, certo, ma aprono orizzonti sull’intero mondo del volontariato. Conosco così altre associazioni che operano nella sanità, ognuna con la propria peculiarità e la propria mission, proprio come i raggi della ruota di una bicicletta, le Associazioni partono da punti diversi, per arrivare tutte al centro, nel mezzo, che le unisce nella ricerca del bene comune. Entro a far parte della Conferenza Aziendale di partecipazione della Città della Salute e della Scienza di Torino, un versante del volontariato che ritengo propositivo: il volontariato si inserisce nei progetti e nella verifica per un miglioramento della sanità pubblica. 167
incontri Da alcuni anni sono volontaria e referente AVO al CTO e all’Unità Spinale Unipolare. A differenza di quanto si potrebbe pensare, l’Unità Spinale non è un luogo cupo e triste. Le stanze, le palestre, la mensa sono luminose e soleggiate, si incontrano sofferenza e dolore certo, ma anche tanta voglia di riprendersi quella fetta di vita che è stata tolta, di mettersi alla prova, di riconquistare l’autonomia, di “non mollare” mai. Da quel giorno che dissi “No, grazie, io in ospedale non entro….” Quest’anno compio vent’anni di AVO. Vent’anni scanditi dall’impegno nel servizio e dalla conoscenza di tante persone. Non so che cosa sono stata io per loro, è certo che tutti sono stati qualcosa per me. Eugenia Berardo Associazione Volontari Ospedalieri (A.V.O.) Opera con gli ammalati per donare loro un sostegno nella situazione di disagio
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