I musei e il Welfare culturale

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I MUSEI E IL WELFARE CULTURALE Azioni e strumenti per l'inclusione dei malati di Alzheimer: esperienze italiane e internazionali

di Giorgia Marchionni

sociale Centro Servizi per il Volontariato Perugia Terni

CESVOL UMBRIA EDITORE sede Perugia

Quaderni del volontariato 2021

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Quaderni del volontariato 2

Edizione 2021


Cesvol Centro Servizi Volontariato Umbria Sede legale: Via Campo di Marte n.9 06124 Perugia tel 075 5271976 www.cesvolumbria.org editoriasocialepg@cesvolumbria.org

Edizione febbraio 2021 Coordinamento editoriale di Stefania Iacono Copertina a cura di: Andrea Succhielli Stampa Digital Editor - Umbertide

Per le riproduzioni fotografiche, grafiche e citazioni giornalistiche appartenenti alla proprietà di terzi, l’editore è a disposizione degli aventi diritto non potuti reperire. E’ vietata la riproduzione, anche parziale e ad uso interno didattico, con qualsiasi mezzo, non autorizzato.

ISBN 9788831491082


I QUADERNI DEL VOLONTARIATO UN VIAGGIO NEL MONDO DEL SOCIALE PER COMUNICARE IL BENE I valori positivi, le buone notizie, il bene che opera nel mondo ha bisogno di chi abbia il coraggio di aprire gli occhi per vederlo, le orecchie e il cuore per imparare a sentirlo e aiutare gli altri a riconoscerlo. Il bene va diffuso ed è necessario che i comportamenti ispirati a quei valori siano raccontati. Ci sono tanti modi per raccontare l’impegno e la cittadinanza attiva. Anche chi opera nel volontariato e nell’associazionismo è ormai pienamente consapevole della potenza e della varietà dei mezzi di comunicazione che il nuovo sistema dei media propone. Il Cesvol ha in un certo senso aderito ai nuovi linguaggi del web ma non ha mai dimenticato quelle modalità di trasmissione della conoscenza e dell’informazione che sembrano comunque aver retto all’urto dei nuovi media. Tra queste la scrittura e, per riflesso, la lettura dei libri di carta. Scrivere un libro per un autore è come un atto di generosa donazione di contenuti. Leggerlo è una risposta al proprio bisogno di vivere il mondo attraverso l’anima, le parole, i segni di un altro. Intraprendendo la lettura di un libro, il lettore comincia una nuova avventura con se stesso, dove il libro viene ospitato nel proprio vissuto quotidiano, viene accolto in spazi privati, sul comodino accanto al letto, per diventare un amico prezioso che, lontano dal fracasso del quotidiano, sussurra all’orecchio parole cariche di significati e di valore. Ad un libro ci si affeziona. Con il tempo diventa come un maglione che indossavamo in stagioni passate e del quale cerchiamo di privarcene più tardi possibile. Diventa come altri grandi segni che provengono dal passato recente o più antico, per consegnarci insegnamenti e visioni. 3


Quelle visioni che i cari autori di questa collana hanno voluto donare al lettore affinché sapesse di loro, delle vite che hanno incrociato, dei sorrisi cui non hanno saputo rinunciare. Gli autori di questi testi, e di tutti quelli che dal 2006 hanno contribuito ad arricchire la Biblioteca del Cesvol, hanno fatto una scelta coraggiosa perché hanno pensato di testimoniare la propria esperienza, al di là di qualsiasi tipo di conformismo e disillusione Il Cesvol propone la Collana dei Quaderni del Volontariato per contribuire alla diffusione e valorizzazione della cittadinanza attiva e dei suoi protagonisti attraverso la pubblicazione di storie, racconti e quant’altro consenta a quel mondo di emergere e di rappresentarsi, con consapevolezza, al popolo dei lettori e degli appassionati. Un modo di trasmettere saperi e conoscenza così antico e consolidato nel passato dall’apparire, oggi, estremamente innovativo. Salvatore Fabrizio Cesvol Umbria

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I musei e il welfare culturale Azioni e strumenti per l’inclusione dei malati di Alzheimer: esperienze italiane e internazionali di Giorgia Marchionni

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A Nonno Giulio

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INDICE

1. 2.

Introduzione. Funzione sociale del museo

p.10

Musei e alzheimer. Una declinazione del tema p.22 dell’inclusione 2.1. L’alzheimer oggi: come la societa’ risponde a p.25 un’emergenza inedita

2.2.

Un’utenza speciale al museo oggi: la museop.32 Terapia per i malati di alzheimer

3. 3.1.

Musei e alzheimer. Il panorama internazionale p.36 Primo venne il MoMA. Meet me, the MoMA alzheimer’s project: making art accessible to people with p.36 dementia

3.1.1. Linee guida progetto meet me at MoMA p.38 3.2. Liverpool e la rete dei musei inglesi p.43 3.3. Lo stato dell’arte in europa: risultati del progetto musei arte e alzheimer (ma&a)

p.48

3.3.1. Lehmbruck museum, Duisburg, Germania – p.51 progetto: Open studio

3.3.2. Butler gallery, Kilkenny, Irlanda, in collaborazione

con Alzheimer Society of Ireland, Age & Opportunity – p.53 progetto: Azure 3.3.3. Progetti della ONG lituana “Socialinai Meno Projektai p.54

3.3.4. Il multisensory activity programme del ma&a p.56 4. In italia: alla ricerca di un modello p.59 4.1. Galleria nazionale di arte moderna (gnam): Progetto la Memoria del Bello

p.63

4.2. 4.3.

p.71 p.83

8

Palazzo strozzi: Progetto a Più Voci Museo marino marini: Progetto l’Arte tra le mani


4.4.

Museo civico per la preistoria del monte p.92 cetona: Progetto i Cassetti dei Ricordi

4.5.

Museo benozzo gozzoli: Progetto Storie ad Arte. Il Museo Bego di Castelfiorentino per le persone con Alzheimer e p.95 chi se ne Prende cura

4.6.

Museo delle palafitte di fiave’: Progetto T-Essere Memoria p.103 p.111 4.7. L’esperienza umbria: osservazione diretta

4.7.1. Incontro alla galleria nazionale dell’umbria

(Gnu): descrizione oggettiva dell’esperienza del 16 maggio p.114 2018

4.7.2. Incontro al museo del capitolo della

cattedrale di san lorenzo: descrizione oggettiva Dell’esperienza del 23 maggio 2018 p.117 p.119 4.7.3. Elementi specifici di ogni attivita p.123 4.7.4. Criticita’ evidenziate dagli stessi attori p.125 4.7.5. Il punto di vista dei familiari p.126 4.7.6. Il punto di vista degli psicologi p.130 5. Lesson learned. Cosa abbiamo imparato 5.1. Un modello operativo di visita: da liverpool al tuscany approach

5.2. Strumenti: loan box 5.3. Strumenti: immagini fotografiche 5.3.1. Tecniche di fototerapia 5.3.2. L’album digitale 6. Conclusioni Bibliografia Sitografia

p.132 p.136 p.140 p.143 p.145 p.150 p.156 p.161 9


INTRODUZIONE FUNZIONE SOCIALE DEL MUSEO Sin dalla sua nascita il museo è sempre stato indissolubilmente legato alla società e, al passo con essa, deve tenere testa ai cambiamenti che si susseguono nel tempo. Tuttavia, ciò non risulta sempre facile per la realtà dell’istituzione museale la quale talvolta stenta a restare al passo rispetto alle sollecitazioni che arrivano dal mondo esterno, per una serie di motivi. Tra questi va rilevata anche una diffusa errata visione del ruolo del museo come comunicatore ed educatore. Questo “ostacolo mentale/concettuale” è dovuto ad una visione che, talvolta, rimane ancorata a una visione elitaria del museo, purtroppo ancora diffusa nell’immaginario comune (in particolare dei non-utenti) quando si parla di museo1. Ad alimentare tale convinzione, contribuisce anche la difficoltà di comunicazione tra museo e pubblico che indubbiamente aumenta la cesura tra fruitori reali (e soprattutto potenziali) e il museo stesso2. È innegabile il fatto che ancora oggi esistono musei gestiti da specialisti che sono convinti di conservare tesori degni di essere fruiti solo da un pubblico colto ed accademico e che, così facendo, dimostra1 Interessanti i dati emersi dalle indagini sui non-pubblici dei musei, da cui emerge un’idea ancora elitaria, autoritaria e gerarchica del museo. Cfr. ad esempio TROMBINI, A., “Adolescenti e musei: un incontro possibile?”, in SANI, M., TROMBINI, A., La qualità nella pratica educativa al museo, Editrice Compositori, Bologna, 2003, pp. 117-129; BOLLO, A., GARIBOLDI, A., “Non vado al museo! Esplorazione del non pubblico degli adolescenti”, in A. BOLLO (a cura di), I pubblici dei musei. Conoscenza e politiche, FrancoAngeli, Milano, 2008, pp. 107-136. 2 Sul permanere di questa visione elitaria e sacralizzata del museo, rimando alle suggestive riflessioni esposte da Giuliano Volpe nel suo recente Un patrimonio italiano: Beni culturali, paesaggio e cittadini, Torino, Utet, 2016.

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no di essere non solo privi della volontà di aprire la propria istituzione a ogni genere di visitatore, ma soprattutto di essere del tutto distaccati dalla realtà contemporanea. Queste vere e proprie misconcezioni del museo hanno ben poco a che spartire con la gamma e con la varietà dei musei oggi esistenti, né sono in grado di restituire l’effettiva esperienza di chi visita i musei o di coloro che vi lavorano. È un’immagine riduttiva, che non riconosce né la gamma di soddisfazioni che si possono trarre dalla visita di un museo, né la complessità delle sfide alle quali i musei devono oggi far fronte3. A ciò è necessario aggiungere una riflessione in merito a quei valori, atteggiamenti e percezioni che “si sono sviluppati in isolamento rispetto a quelli di altre istituzioni sociali e culturali”4 e che hanno contribuito ad alimentare la concezione del museo come tempio. Tuttavia, a cavallo tra XX e XXI secolo, ci troviamo catapultati al centro di continui mutamenti culturali, sociali e politici che fanno chiaramente comprendere come tali valori non possono essere validi per legittimare e sostenere la funzione e il reale compito che la contemporaneità assegna ai musei. Attualmente è in corso un cambiamento culturale radicale che scuote le fondamenta sulle quali i musei hanno poggiato così a lungo e saldamente. La sfida che i musei si trovano a dover affrontare sta nel saper rispondere nel giusto modo ad una grande varietà di esigenze e di bisogni sociali pressanti e reali, allo stesso tempo, cercando di conquistare nuovi pubblici, dimostrando concretamente la loro importanza 3 HOOPER GREENHILL, E., “Nuovi valori, nuove voci, nuove narrative: l’evoluzione dei modelli comunicativi nei musei d’arte” in BODO S. (a cura) Il museo relazionale. Riflessioni ed esperienze europee, Torino, Edizioni Fondazione Giovanni Agnelli, 2003, pp. 1-39, citaz. da pag. 2. 4 Ivi, pag. 3.

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culturale, sociale e collettiva anche in contesti dove i valori legati al passato comprovano di non essere più idonei a sostenere un mondo che va a tutta velocità verso una nuova direzione. In questa corsa, uno dei traguardi che il museo sta piano piano conquistando è quello di vedersi riconosciuto il proprio valore sociale e la sua responsabilità di contribuire alla lotta alla disuguaglianza: stanno oggi prendendo forma tesi sempre più insistenti ed esplicite sull’impatto che il museo può esercitare sulle vite degli individui e delle comunità, e sul ruolo che le istituzioni culturali giocano nella lotta a specifiche situazioni di malessere sociale quali ad esempio il razzismo o altre forme di discriminazione, condizioni sanitarie critiche, crimine e disoccupazione4. Forti di ciò, sempre più numerosi professionisti nell’ambito museale si pongono domande cruciali, quali: che differenza possono fare i musei nella società? Come può il museo migliorare la vita di un individuo? Per rispondere a tali quesiti, secondo Richard Sandell, è necessario partire dall’assunto di fondo che i musei possono contribuire alla lotta alle cause della disuguaglianza e del disagio sociale e al miglioramento dei loro sintomi a tre livelli: il livello dell’individuo, il livello di specifici gruppi della comunità e il livello della società in senso lato. […] Tutti i musei e le gallerie hanno una responsabilità sociale, che essi dispongano o meno delle risorse necessarie, o che sia stato o meno loro affidato l’esplicito mandato di conseguire risultati a tutti e tre i livelli sopra indicati5. Per spiegare come i musei possono affrontare e incidere sulle problematiche menzionate, si fa riferimento al modello con4 SANDELL, R., Museum, Society, Inequality, Routledge, New York, 2002, pag. 3. 5 Ivi, pag. 4.

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cettuale elaborato da Richard Sandell, secondo il quale: i musei possono esercitare un impatto positivo sulle vite degli individui svantaggiati e marginalizzati; agendo da catalizzatori in un processo di rigenerazione sociale e di empowerment6 di determinate comunità, contribuendo alla creazione di società più eque7. Risulta pertanto necessario focalizzare l’attenzione su quali siano le modalità con cui il museo può agire positivamente su tre diversi livelli – ovvero sull’individuo, sulla comunità ed infine sulla società –, modalità che Sandell illustra come segue: Individuo: a questo livello l’attenzione si concentra sull’impatto che i musei possono esercitare sulla vita dei singoli. In questo ambito i potenziali effettivi sono ampi e articolati, da quelli personali, psicologici ed emotivi (ad esempio una maggiore autostima o lo sviluppo di un senso di appartenenza) a quelli di ordine più pragmatico (ad esempio l’acquisizione di competenze spendibili in ambito lavorativo). In alcuni casi 6 Secondo la definizione di Zimmerman, per empowerment si intende un “processo dell’azione sociale attraverso il quale le persone, le organizzazioni e le comunità acquisiscono competenza sulle proprie vite, al fine di cambiare il proprio ambiente sociale e politico per migliorare l’equità e la qualità di vita”. Si distinguono tre tipi di empowerment: individuale, organizzativo e di comunità. Il concetto di empowerment è applicato in molti ambiti e, sempre più spesso, legato alla salute. Prendendo la definizione di salute data dall’Organizzazione Mondiale della Sanità ed entrata in vigore dal 7 aprile 1948, questa è uno “stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non semplicemente assenza di malattia e di infermità” (http://www.who.int/suggestions/faq/en/, ultimo data ultima consultazione 28 luglio 2018). Pertanto la salute sia come stato fisico, emotivo, mentale ma anche sociale; il concetto dell’essere in salute può essere sempre di più considerato come il risultato di una varietà di fattori psicofisici ed ambientali. Persona e società diventano quindi protagonisti del benessere poiché attraverso il rafforzamento delle loro capacità e competenze, possono aumentare il controllo sulla propria salute e migliorarla, divenendo “empowered”. L’Organizzazione Mondiale per la Sanità ha più volte affermato che l’azione di comunità e l’empowerment sono pre-requisiti per la salute. 7 SANDELL, R., Museum, Society, Inequality, citaz., pag. 4.

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tali effetti sono fortuiti, secondari o comunque non chiaramente indicati tra le finalità del museo o di una sua specifica iniziativa. […] In altri casi l’accesso al museo o il suo utilizzo è visto non tanto come un obiettivo a sé stante, quanto come uno strumento specificamente finalizzato ad arrecare un beneficio personale e tangibile agli individui. Sebbene l’esatta natura di tali benefici e risultati non sia sempre chiara nelle fasi iniziali di questi progetti, è significativo che l’enfasi venga posta sulla qualità della vita dell’individuo piuttosto che sul museo. Simili iniziative riflettono una forte convinzione che i musei abbiano una propria utilità sociale. […] I processi in base ai quali questi effetti si producono a livello dei singoli sono per lo più contraddistinti dall’interazione diretta tra il personale o altri rappresentanti del museo e, ad esempio, i membri di un gruppo della comunità locale. Nei musei di dimensioni più grandi questo lavoro è generalmente svolto dal dipartimento didattico o di outreach. In molti casi, le iniziative di maggiore impatto sono sviluppate in partnership con le istituzioni che sono in diretto contatto con il gruppo insieme al quale il museo sta lavorando, e ne hanno una conoscenza approfondita. […] - Comunità: a questo livello, la riflessione si sposta sul ruolo che i musei svolgono, ad esempio, nell’ambito dei progetti di rigenerazione e di recupero di aree urbane e rurali degradate. Tra i possibili effetti di questo impegno sulla comunità vi sono sia una maggiore capacità di autodeterminazione, sia una accresciuta partecipazione ai processi decisionali e alle strutture democratiche. Sebbene i dati empirici a sostegno di questa tesi siano scarsi, è ragionevole credere che, in confronto ad altre organizzazioni, le istituzioni culturali abbiano una posizione ideale per agire da catalizzatori nel coinvolgimento della comunità e nella costruzione di competenze. Un convegno internazionale dedicato al ruolo della cultura nei programmi 14


di rigenerazione ha concluso che le iniziative culturali sono inclusive e hanno una capacità unica di aprire il dialogo tra le persone, stimolandone l’entusiasmo e coinvolgendole in un processo di sviluppo condiviso. Inoltre la cultura e lo sviluppo della creatività sono dei fattori chiave per la maturazione, in seno alle comunità locali, delle competenze indispensabili affinché esse siano in grado di far fronte ai propri bisogni. Benché siano ancora rari i casi di valutazione formale della funzione svolta da un museo nei processi di empowerment di una comunità, le esperienze sinora documentate indicano un’effettiva possibilità per i musei di coinvolgere e sviluppare competenze in gruppi cui in passato sia stata negata ogni opportunità decisionale. Questi musei hanno offerto agli individui un contesto stimolante, creativo e probabilmente meno austero di altri per acquisire le competenze e l’autostima necessarie a riprendere il controllo e a giocare un ruolo attivo ed autonomo nel futuro della loro società. […] - Società: è difficile stabilire una relazione causale diretta tra il lavoro di un museo e le manifestazioni di disuguaglianza sociale o il loro miglioramento. D’altra parte, i musei (così come le altre istituzioni culturali) non possono essere considerati come delle entità esclusivamente culturali o asociali; essi sono inequivocabilmente coinvolti nelle dinamiche della (dis)uguaglianza e nei rapporti di potere tra gruppi diversi grazie al ruolo che essi giocano nella costruzione e nella diffusione di narrative sociali dominanti8. Emerge in modo preponderante l’effettiva importanza che il museo svolge (o potrebbe svolgere) e, di conseguenza, il suo alto livello di responsabilità sociale, la quale richiede che alle istituzioni museali venga riconosciuto: il potere di giocare un ruolo importante riguardo le proble8 Ivi, pp. 5-8.

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matiche di disuguaglianza, e il dovere di allargare il proprio incarico sociale e la propria autorità culturale in linea ed in coerenza ai valori della società contemporanea. Questa responsabilità, che più essere definita sociale, “impone il riconoscimento del potere che il museo ha di costruire significato e l’imperativo di utilizzare tale potere al fine di conseguire obiettivi sociali positivi”9. Il riconoscimento di questo possibile contributo delle realtà museali non necessariamente prevede che i musei si sottopongano ad un radicale cambiamento, alterando la loro mission di fondo o la propria ragion d’essere. Il nuovo obiettivo consiste nell’avviare una più stretta collaborazione tra musei e gli altri attori istituzionali e individuali, in modo da amplificare il proprio impatto sulla società e modellarlo attraverso un impegno a favore dell’uguaglianza sociale. Per poter mettere in pratica concretamente tutto ciò, è assolutamente necessario cambiare ottica e riconsiderare i luoghi della cultura, ma anche l’intero patrimonio, come un mezzo per attuare una politica culturale avente come fine quello dell’inclusione sociale. Ovviamente, non basta la presa di coscienza ma c’è una forte necessità di personale competente e consapevole perché “quello che una volta era contenuto in modo sicuro sotto il nome di sensibilizzazione e istruzione, consegnato a personale con scarso potere all’interno delle istituzioni culturali, ora deve essere considerato con più attenzione”10. Inoltre c’è bisogno di una buona collaborazione e di un continuo scambio di conoscenze e di pratiche tra chi lavora nei musei e chi, invece, lavora con tutti quei non-pubblici (o pubblici potenziali) che non si sentono parte né della realtà museale né della società stessa.

9 Ivi, pag. 19. 10 YOUNG, L., “Rethinking heritage: cultural policy and inclusion”, in SANDELL, R., Museum, Society, Inequality, Routledge, New York, 2002, pag. 204.

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Secondo il Direttore del National Museums Liverpool David Fleming, il perché per alcuni risulti difficile concepire e considerare i musei come strumento avente come fine l’inclusione sociale, è ritracciabile in quattro motivi: - chi gestisce/chi ha gestito il museo; - cosa contengono; - come sono stati realizzati; - come sono stati percepiti. Fleming sostiene che proprio “a causa di questi fattori, i musei si sono limitati a servire gli interessi di una minoranza istruita e prospera, che ha gelosamente custodito il suo accesso privilegiato. Pur essendo molti di essi finanziati pubblicamente, spesso non sono stati organizzazioni democratiche e inclusive, ma agenti di esclusione sociale”11. Come si comprende, c’è davvero molto da fare per inculcare nell’immaginario collettivo (anche nell’immaginario dello stesso personale che opera nei musei) l’idea di un universo museale aperto e accessibile a tutti, soprattutto perché ancora sono poche le iniziative promosse da questi luoghi di cultura, rispetto alla loro grande diffusione sul territorio. Tuttavia bisogna riconoscere che ci sono musei e progetti museali che hanno dimostrato la loro capacità di poter essere rilevanti per una comunità; alcuni di questi, pur essendo piccoli ma in crescita, hanno attirato l’attenzione del mondo museale, avendo dichiarato tra gli scopi primari della propria mission, la volontà di combattere i pregiudizi e promuovere i diritti umani12. L’importanza di tali temi non è circoscritta

11 FLEMING, D., “Positioning the museum for social inclusion”, in SANDELL, R., Museum, Society, Inequality, pag. 213. 12 Come ad esempio The St.Mungo Museum of Religious Life and Art, in Scozia; The Anne Frank House in Olanda. Interessante è il progetto promosso dal Canadian Museum for Human Rights che, nato nel 2008,

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solo alla realtà dei musei in qualche modo “specializzati” in suddette tematiche – come, appunto, il citato Canadian Museum for Human Rights – ma è sempre di più parte integrate della politica promossa dalle agenzie internazionali di musei, dalle associazioni professionali e dai governi; basti pensare alla definizione di museo data dall’ International Council of Museums (ICOM) che, come noto, parla di “un’istituzione permanente senza scopo di lucro, al servizio della società e del suo sviluppo, aperta al pubblico, che effettua ricerche sulle testimonianze materiali e immateriali dell’uomo e del suo ambiente, le acquisisce, le conserva, le comunica e specificamente le espone per scopi di studio, istruzione e diletto”13. Ovviamente il concetto di “servizio alla società” implica il dover servire un pubblico il più ampio possibile, e non solo il pubblico effettivo ma anche e soprattutto i pubblici che, per varie ragioni, sono ancora esclusi dalla fruizione di tale servizio. Tuttavia un ulteriore problema risiede non tanto nel trovare il modo di far avvicinare ai luoghi di cultura diverse specie di cluster con l’obiettivo di rendere tali spazi accessibili a tutti, ma nel fatto che spesso si considerano generalmente tali visitatori, in senso lato, come destinatari passivi. Si arriva così alla totale trascuratezza e sottovalutazione del nostro pubblico e dei loro processi di ricezione. Si fa sempre più pressante, pertanto, l’esigenza di indagare le caratteristiche ma soprattutto i bisogni e le aspettative degli utenti reali e potenziali perché sono tali bisogni e aspettative che pregiudicano le modalità, e la qualità, della fruizione del patrimonio. L’analisi di questi non-pubblici e dei loro bisogni disegna ha l’intento di essere il più grande centro per l’educazione sui diritti umani al mondo. 13 Cfr. voce “Museo” in DESVALLÉES, A., MAIRESSE, F., (a cura di) Concetti chiave di Museologia, Armand Colin, 2010, pag. 63.

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uno spettro sempre più ampio, se solo consideriamo i principali mutamenti sociali, culturali e demografici che oggi interessano la popolazione, soprattutto dei paesi del mondo Occidentale, e che pongono sempre nuove sfide per i musei: se l’invecchiamento della popolazione, comportando un aumento del tempo libero per una fascia crescente della popolazione, allarga il segmento dei pubblici potenziali, contraddistinti da specifiche esigenze da soddisfare, conseguenza dei crescenti flussi migratori internazionali è l’esigenza di un maggiore confronto con diversi background culturali e categorie interpretative. […] La sfida che si pone per i musei è duplice: da un lato raggiungere un pubblico quanto più vasto e diversificato (audience development), che rispecchi la complessa composizione demografica della società contemporanea, dall’altro garantire a tutti i pubblici il pieno conseguimento dei diritti di cittadinanza, incluso quello alla cultura, coincidente con la reale comprensione del valore culturale del proprio patrimonio e l’innalzamento del capitale culturale di cui ciascuno dispone. […] Cresce la responsabilità sociale e il dovere di accountability dei musei nei confronti delle comunità di riferimento attraverso l’implementazione dei rapporti con i propri stakeholder. Sutter e Worts assegnano ai musei il ruolo di “agenti” e “facilitatori attivi” del cambiamento sociale a livello locale e regionale, per il loro contributo alla comprensione della storia e della diversità culturale14. Al giorno d’oggi, sono molti i problemi sociali che caratterizzano il nostro vivere; volendo trovare un qualcosa che li accomuna tutti, non risulterà difficile constatare che un ruolo fondamentale è giocato dal pregiudizio15. 14 CERQUETTI, M., Marketing museale e creazione di valore: strategie per l’innovazione dei musei italiani, Milano, Franco Angeli, 2014, pp. 75-77. 15 Idea, opinione concepita sulla base di convinzioni personali e prevenzioni generali, senza una conoscenza diretta dei fatti, delle persone, delle

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Anche se la concezione del pregiudizio come problema sociale, come una questione che ha richiesto un ampio dibattito, ricerca e azione, è emersa solo nel XX secolo, il fenomeno è stato visto, in molti paesi, come una delle più pressanti preoccupazioni sociali contemporanee. Il pregiudizio è, oggi, un termine familiare e ampiamente usato forse più comunemente impiegato per riferirsi, in senso negativo, ad atteggiamenti o comportamenti socialmente indesiderabili nei confronti di individui o gruppi che sono etichettati da una maggioranza dominante; vengono definiti come diversi in termini di genere, razza ed etnia, classe, sessualità, nazionalità, disabilità, religione, età, salute, condizione economica e così via16. Recenti studi fatti sui visitatori hanno dimostrato che le persone soggette a pregiudizio o sono assenti dalle mostre ed attività museali, oppure “invisibili”: benché queste persone siano frequentatrici dei musei, spesso l’istituzione museale non dà la giusta importanza alle loro peculiari esigenze e necessità. Esempio tra tutti, il problema dell’ostacolo creato dalle barriere architettoniche oppure la mancanza di pannelli e didascalie in braille i quali, “indirettamente”, impediscono la fruizione della maggior parte dei luoghi di cultura ad un elevato numero di potenziali utenti. Le istituzioni culturali, primi tra tutti i musei, dovrebbero mirare ad elevare il proprio status attraverso pratiche e attività inclusive ed allestimenti studiati e ragionati nell’ottica di far comprendere i beni e le opere al maggior numero possibile di fruitori. Le istituzioni culturali, insomma: dovrebbero contribuire a creare una società basata sul riconoscimento del pari valore morale di individui diversi e in cose, tale da condizionare fortemente la valutazione, e da indurre quindi in errore. Fonte: http://www.treccani.it/vocabolario/pregiudizio/ (consultato il 29 luglio 2018). 16 SANDELL, R., Museums, prejudice and the reframing of difference, New York, Routledge, 2007, pag. 27.

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cui vi è rispetto reciproco tra i gruppi. In questo caso, con il termine rispetto, si vuole indicare una visione allargata di uguali diritti umani con il fine della promozione della tolleranza17. Proprio la volontà di restituire ad alcuni di questi visitatori “esclusi” la consapevolezza dei propri diritti sociali e civici e, con essa, la dignità di essere umano, mi ha portato ad incentrare questo elaborato sull’analisi delle principali pratiche ed attività realizzate da musei che hanno deciso di accogliere la sfida e di farsi promotori sociali, cercando di sviluppare metodologie di fruizione dell’opera e degli spazi espositivi per anziani colpiti da Alzheimer e per i loro familiari e caregiver.

17 Ivi, pag. 39.

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2. MUSEI E ALZHEIMER: UNA DECLINAZIONE DEL TEMA DELL’INCLUSIONE La malattia di Alzheimer, rientrante tra quei disturbi raggruppati sono il nome di demenza18, viene descritta per la prima volta dal Dottor Alois Alzheimer nel 1907 che la diagnostica ad una sua paziente cinquantenne. La donna, costretta al ricovero in un ospedale psichiatrico per gravi disturbi della memoria e disorientamento nel tempo e nello spazio, presentava nel cervello un’importante atrofia in presenza di particolari lesioni, i grovigli neuro fibrillari e le placche senili. Tali lesioni, da quel momento, sono considerate tipiche della suddetta malattia e considerate la causa dei vari deficit cognitivi: deficit di memoria, riduzione delle funzioni di controllo (attenzione, deficit del pensiero logico-deduttivo) e delle funzioni strumentali (riduzione dell’eloquio, disturbi percettivi e aprassici, disorientamento spaziale, linguaggio parafasico) fino alle modificazioni del carattere. L’Alzheimer è considerata la forma di demenza più diffusa giacché: nel mondo ne soffrono 47 milioni di persone, cifra che è destinata a salire così tanto da stimare l’enorme numero di 131 milioni di malati entro il 2050; su scala mondiale si registrano 10 milioni di nuovi casi all’anno, vale a dire un nuovo caso ogni 3 secondi. Gran parte dell’aumento sarà nei paesi in via di sviluppo. Già il 58% delle persone con demenza vive in paesi a basso e medio reddito, ma entro il 2050 salirà al 68%. La crescita più rapida nella popolazione anziana si sta verificando in Cina, in India e nei paesi vicini dell’Asia meridionale e del Pacifico 18 La demenza consiste nella compromissione globale delle funzioni cosiddette corticali (o nervose) superiori, ivi compresa la memoria, la capacità di far fronte alle richieste della vita di ogni giorno e di svolgere le prestazioni percettivo-motorie già acquisite in precedenza, di conservare un comportamento sociale adeguato alle circostanze e di controllare le proprie reazioni emotive: tutto ciò in assenza dello stato di vigilanza. La condizione è spesso irreversibile e progressiva.

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occidentale. La demenza colpisce principalmente le persone anziane, sebbene vi sia una crescente diffusione di casi che iniziano prima dei 65 anni19. Sua caratteristica fondamentale è l’inizio ingannatore, l’andamento graduale e l’assenza per molto tempo di manifestazioni che permettano la diagnosi sicura e soprattutto precoce della malattia. I criteri diagnostici utilizzati finora per arrivare al riconoscimento sono quelli individuati nel 1984 dal Gruppo di Lavoro sulla Diagnosi della Demenza di Alzheimer, istituitosi al National Institute of Neurological and Communicative Disorders and Stroke (NINCDS) e all’Alzheimer’s Disease and Related Disorders Association (ADRDA). Secondo medici e ricercatori appartenenti alla NINCDS e ADRDA, analisi tecniche o di laboratorio non sono sufficienti per confermare una diagnosi di Alzheimer, per la quale risultano maggiormente utili elementi come modificazioni del comportamento e cognitive, rilevabili attraverso valutazioni neuropsicologiche. I criteri elaborati nel 1984 segmentano l’Alzheimer in tre livelli di diagnosi: probabile, possibile e definitiva. Tuttavia tali parametri sono attualmente in fase di revisione, poiché sembrerebbe più efficiente effettuare la ricerca partendo da parametri biologici oggettivi piuttosto che dai sintomi del paziente20. Il decorso della malattia è unico per ogni persona, ma le caratteristiche riguardo i cambiamenti ai quali il paziente andrà incontro, sono pressoché uguali per tutti. Si può suddividere 19 “Dementia Statistics”, https://www.alz.co.uk/research/statistics, ©ALZHEIMER’S DISEASE INTERNATIONAL (consultato il 1 agosto 2018). Traduzione mia. 20 Si veda European Medicines Agency. Science Medicines Healt, “Guideline on the clinical investigation of medicines for the treatment of Alzheimer’s disease”, 22 febbraio 2018, http://www.ema.europa.eu/docs/en_GB/ document_library/Scientific_guideline/2018/02/WC50024 4609.pdf, © European Medicines Agency, 2018 (consultato il 7 agosto 2018).

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l’andamento in quattro fasi: 1. Fase reattiva o nevrotica, Alzheimer lieve (fase iniziale, durata media 24 anni); 2. Fase neuropsicologica, Alzheimer moderato (fase intermedia, durata media 2-10 anni); 3. Fase neurologica, Alzheimer grave (fase severa, durata 3 anni); 4. Fase internistica, Alzheimer terminale (fase terminale, durata 6 mesi- 1 anno) 21. Ad oggi non esistono cure e ci si può avvalere solo di qualche terapia in grado di alleviare i sintomi. Diverse case farmaceutiche stanno portando avanti studi e azzardando tentativi ma al momento senza risultati importanti tanto che, alcune di quelle più grandi, hanno rinunciato a tale studio per investire in ricerche che possano portare a esiti più sicuri e, dunque, ripagare l’investimento iniziale. Accanto a questo genere di ricerche, sta crescendo sempre di più l’interesse nei confronti della “possibilità di intervenire con tecniche e metodiche riabilitative per ritardare ed alleviare il deterioramento delle capacità cognitive e la perdita di autonomia comportamentale”22. 21 Si veda https://www.centroalzheimer.org/area-familiari/la-malattia-di-alzheimer/malattia-dialzheimer/decorso-della-malattia/. Il paziente viene clinicamente associato ad una fase attraverso il punteggio ottenuto usando il Mini Mental State Examination (MMSE). Questo strumento, come definito dal suo ideatore Folstein “è un breve esame per valutare, senza pretesa di completezza ma con una certa affidabilità, lo stato neuro-cognitivo e funzionale di un paziente. Permette attraverso poche e semplici domande mirate come pure piccoli compiti grafici di sondare diversi domini della funzione cerebrale, come l’orientamento (autopsichico e verso l’esterno), la memoria, attenzione e calcolo, la capacità di richiamare determinate acquisizioni, il linguaggio, ecc. Se effettuato correttamente il test offre importanti informazioni nell’immediato ma è estremamente utile anche per seguire il decorso di eventuali disfunzioni riscontrate.” 22 PASSAFIUME, D., “Sezione teorica-La demenza di Alzheimer: patologia e procedure clinicoriabilitative”, in PASSAFIUME D., DI GIACOMO,

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2.1. L’ALZHEIMER OGGI: COME LA SOCIETA’ RISPONDE A UN’EMERGENZA INEDITA Negli ultimi anni l’attenzione riguardo la demenza di Alzheimer si è molto accresciuta, sia per l’elevato numero di casi, ma anche per quanto riguarda le possibili terapie e pratiche di cura. È aumentato anche il numero di strumenti valutativi e riabilitativi che possono essere utilizzati per la gestione dei malati. Parallelamente a ciò, è cresciuto enormemente l’interesse verso le metodiche riabilitative in grado di rallentare e di alleviare il decadimento cognitivo. L’obiettivo di queste strategie riabilitative è quello di migliorare l’autonomia della persona colpita da Alzheimer; si tratta di programmi di riabilitazione che mirano ad instaurare un nuovo equilibrio personale, familiare e sociale; in questo modo oltre ad aumentare e preservare il più a lungo possibile la sua autonomia, si ottiene anche un alleggerimento del carico di lavoro e dello stress per il familiare [o caregiver]. L’interesse per le problematiche legate a questa malattia sta coinvolgendo tutte le competenze chiamate a confrontarsi con il problema della perdita di autonomia del paziente, aprendosi anche all’ambito riabilitativo23. Uno dei primi approfondimenti ha riguardato i fattori di rischio; infatti, oltre a cercare le cause della malattia, “si è cercato di analizzare la possibile presenza di fattori di rischio oppure di fattori protettivi rispetto all’insorgenza della malattia. Il fattore di rischio più importate è l’età”24. Altri elementi di rischio che possono essere considerati certi sono: la familiariD. (a cura di), La demenza di Alzheimer, Milano, Franco Angeli, 2017, pp. 17-31, citaz. da pag. 23. 23 CALTAGIRONE, C.,“Presentazione” in PASSAFIUME, DI GIACOMO (a cura di), La demenza di Alzheimer, pp. 9-10, citaz. da pag. 9. 24 IZZICUPO F. et al, Alzheimer: conoscere la malattia per saperla affrontare, Roma, Il Pensiero Scientifico Editore, 2009, pag.7.

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tà, il livello d’istruzione e le relazioni sociali. Traumi cranici, malattia cerebrovascolare, sesso femminile e l’insorgenza di una proteina coinvolta nel trasporto del colesterolo, la ApoE, sono ulteriori fattori che possono essere ricollegati all’insorgere dell’Alzheimer. Per quanto riguarda la prevenzione, invece, nonostante siano in corso studi per arrivare all’origine di questa demenza, ci sono delle analisi che danno rilievo ad alcuni fattori che vengono classificati come protettivi, ossia: Attività cognitiva - Attività fisica - Interazioni sociali - Prevenzione e cura delle patologie cardiovascolari - Dieta ricca di frutta e vegetali - Apporto adeguato di vitamine E, C, B12 e folati - Controllo disturbi sensoriali - No abuso alcool - No farmaci potenzialmente dannosi Le analisi e i dati che emergono dalle ricerche fanno chiaramente comprendere quanto l’emergenza Alzheimer non riguardi solo l’aspetto medico ma sia l’indicatore di un’urgenza che investe a pieno la società. Innanzitutto è fondamentale inquadrare il contesto operativo e culturale nel quale si trova chi, direttamente o indirettamente, ha a che fare con questo genere di malattia; per chi si occupa di animazione nel settore delle demenze, significa svolgere la propria attività nell’ambito del contesto dei servizi sanitari e quindi nel sistema del welfare. Progettare, gestire e valutare un intervento di animazione, rivolto a per26


sone affette da demenze e alle loro famiglie, richiede pertanto di prendere consapevolezza della crisi che da tempo ha investito tale sistema, dei tentativi di risposta che in questi anni sono stati sviluppati, delle prospettive future. […] Comprendere le logiche operative e le chiavi interpretative che caratterizzano oggi il sistema di welfare rappresenta il modo migliore per orientare il proprio agire professionale, ma anche per valorizzare il ruolo di ogni attore coinvolto nell’animazione25. Nell’ottica della progettazione dei servizi di “animazione” in supporto alle demenze, bisogna sempre tener conto che le varie crisi del welfare ricadono anche sull’erogazione dei servizi sociali e sulla qualità di vita dei singoli. Sono proprio tali crisi a far “aprire gli occhi”, facendo capire come sia assolutamente necessario far riferimento a uno sviluppo che possa essere orientato e misurato in senso economico, sociale, e soprattutto culturale ed etico, in altre parole focalizzato sulle necessità e capacità dei cittadini e allo stesso rispettoso dell’ambiente e del pianeta, così da garantire un futuro di qualità alle prossime generazioni. Attraverso ciò, si cerca di raggiungere un obiettivo fondamentale: il miglioramento della qualità della vita, concetto complesso poiché contiene in sé tanti elementi e aspetti che non sempre possono essere misurati. Diversi sono gli ambiti che determinano e/o promuovono la qualità della vita. Non deve essere considerato un bene/valore del singolo individuo, ma un bene/valore comune, perché si definisce e si costruisce insieme. In questi ultimi tempi la qualità della vita sta assumendo un crescente potere perché è in grado di condizionare/migliorare i principali sottosistemi della società. Infatti, nell’ambito di quello economico, è in grado di aumentare, o diminuire il valore di beni e servizi. 25 ORSI, W., “Verso un nuovo patto per il welfare, fra istituzioni, organizzazioni (profit e non profit) e cittadini”, in ORSI W. et al. (a cura di), Animazione e demenze. Memorie, emozioni e buone pratiche sociali, San Marino, Maggioli Editore, 2012, cit., pp. 15-30, citaz. da pag. 15.

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Nell’ambito di quello politico-amministrativo la qualità della vita rappresenta un indicatore di una buona o cattiva capacità delle istituzioni pubbliche di promuoverla nel territorio. Nell’ambito socio-culturale la qualità della vita di un cittadino e/o di una comunità è legata reciprocamente al capitale sociale di riferimento e alla qualità delle relazioni comunicative26. Il processo che coniuga nel migliore dei modi l’ambito economico, politicoamministrativo e socio-culturale, è detto innovazione sociale partecipata. Questo processo sviluppa cooperazioni fra i diversi ambiti attraverso legami che si basano su quattro elementi: 1) qualità della vita, rappresentante il bene/valore comune per il quale tutti i sistemi devono lavorare; 2) ruolo attivo delle persone, considerate come utenti e per questo portatori di necessità, ma anche di idee e risorse; 3) lavoro di rete, volto all’integrazione; 4) valorizzazione del saper fare comune, per dare nuova percezione alla domanda di qualità della vita. Il contesto emblematico in cui è evidente la necessità di assumere il modello dell’innovazione sociale partecipata è proprio quello delle demenze nel quale le domande di salute e di qualità della vita sono indissolubilmente legate tra loro. Nell’ambito del welfare del cittadino27 rivolto alle persone an26 Ivi, p.27. 27 Si fa riferimento ad un sistema di welfare in cui il principale imprenditore di qualità della vita è il cittadino. In tale sistema, la persona deve essere considerata come cittadino portatore di bisogni e risorse. Cittadino inteso come esperto di qualità della vita, perché è fondamentale recuperare la sua dimensione soggettiva, valorizzando il ruolo della comunità competente. Questo particolare modello di welfare, si propone di rispondere ai bisogni di qualità della vita non solo attraverso i servizi, ma valorizzando le reti comunicative, il capitale sociale, la responsabilità sociale ed il ruolo

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ziane, la complessità e l’urgenza dei loro bisogni fanno sì che sia necessario un approfondimento mirato a focalizzare l’attenzione sull’ambito socio-sanitario: L’area della popolazione anziana è prioritaria non solo in riferimento all’ampiezza della popolazione target, come percentuale in continua crescita, ma anche per la diversificazione delle condizioni (autosufficienza, fragilità, non autosufficienza), dei bisogni e delle risorse che chiamano in causa prevalentemente la rete dei servizi socio-sanitari. Tale rete è particolarmente rappresentativa nel sistema di welfare perché prevede interventi sia di carattere universale (destinati a tutti i cittadini), sia rivolti al target specifico degli anziani, servizi di base e specialistici, interventi residenziali, semiresidenziali e domiciliari, attività di esclusiva competenza dei professionisti e buone pratiche sociali in cui è il cittadino ad assumere un ruolo prioritario28. In questa realtà assumono un ruolo assai importante e centrale gli interventi sociosanitari in cui collaborano esperti di diversi settori, i quali integrano e scambiano il proprio saper fare e le loro conoscenze sempre per il fine comune del miglioramento della qualità della vita. A tale riguardo, sono anche promosse diverse attività ed iniziative che coinvolgono attori al di fuori del servizio socio-sanitario, in particolare quello culturale. La promozione di tali attività, da una parte, rappresenta appieno la concretizzazione del concetto di lifelong learning29 poiché situazioni dove si stimola l’anziano ad imparare e a confrontarsi con gli altri rispondono alla problematica della solitudine, unendo cultuattivo dei cittadini e delle organizzazioni del territorio. 28 Ivi, pag.32. 29 Apprendimento permanente, è un approccio “personale” avente come scopo l’accrescimento continuo del proprio bagaglio di competenze e conoscenze durante tutto l’arco della vita.

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ra e condivisione. Dall’altra parte, l’impegno in merito alla promozione di questo genere di attività non si ferma “solo” agli anziani ma si allarga cercando di andare a sensibilizzare ed informare il resto della popolazione, in particolare le famiglie/caregiver dei pazienti, fornendo loro attività di supporto, consulenza e cercando di collaborare per creare insieme delle buone pratiche sociali, adatte a tale contesto. Infine, sempre di più si sta affermando la consapevolezza che l’anziano non è solo portatore di bisogni assai delicati e complessi ma è soprattutto una persona che rappresenta ancora una risorsa sociale. Questa presa di coscienza sta prendendo importanza anche in ambito medico-sanitario dove si sta passando da una pratica che mira a “produrre guarigione”, a quella del care ossia del prendersi cura del paziente. Proprio da tale concetto nasce anche il modello GentleCare, ideato alla fine degli anni Novanta dalla dottoressa Moyra Jones; questo modello parte dalla considerazione di come una persona affetta da demenza subisca una modificazione nelle sue capacità di interazione con la realtà. Sarà allora utile costruirle attorno una “protesi” per farle mantenere il più a lungo possibile l’autonomia e ridurre al minimo le situazioni di stress, fonte di agitazione, ansia e aggressività. La protesi (da ciò “approccio protesico”) è costituita dallo spazio, dalle persone e dalle attività e risulta utile anche per gli anziani fragili, pluri-patologici e a rischio di non autosufficienza, e per i grandi anziani, cioè over 76. Si tratta dunque di un modello sistemico che si sviluppa a partire dalla comprensione profonda della malattia e del tipo di disabilità provocata, per poi cogliere e valorizzare le capacità residue del malato, la sua storia e i suoi desideri così da accrescerne il benessere e sostenerlo30. 30 LAURI, S., “Il modello Gentlecare per il trattamento dell’Alzheimer”, http://www.ottimasenior.it/modello-gentlecare/, © RIPRODUZIONE RI-

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Il Gentlecare testimonia come stia aumentando sempre di più l’attenzione nei confronti della cura e dell’animazione dedicate agli anziani; questo fa si che si realizzino dei progetti e delle attività in grado di favorire la condivisione, l’espressività e le conoscenze della persona. Inoltre, per realizzare al meglio attività ed interventi, è fondamentale la collaborazione tra diversi attori (professionisti, associazioni, volontari, familiari, caregiver) che insieme possono creare uno strumento in grado di: - integrare i singoli professionisti in un lavoro di équipe; - coinvolgere soggetti e attori del territorio come risorsa ulteriore da attivare; - coinvolgere e supportare il familiare nella gestione della persona con problematiche cognitive; - miglioramento della qualità della vita della persona della quale si prende cura. La partecipazione di personalità appartenenti a realtà apparentemente lontane da quella dell’Alzheimer e della sua cura rappresentano l’obiettivo a cui si dovrebbe puntare per la realizzazione di momenti di partecipazione e di condivisione che possano contribuire a migliorare la qualità della vita degli anziani; c’è bisogno di qualcosa in più di un buon servizio sanitario, è assolutamente indispensabile prendere coscienza del fatto che queste persone sono ancora portatrici di risorse, idee e progetti ed è quindi necessario continuare a supportarti e valorizzarli, cercando di abbattere il muro che troppo spesso divide gli anziani dal resto della comunità: Attraverso il teatro, la musica, la pittura ma anche il dialogo [...], l’animazione diffusa può offrire alla persona con demenza, e non solo, un’opportunità di ristrutturazione della proSERVATA, COPYRIGHT www.davidealgeri.com (consultato il 16 agosto 2018).

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pria condizione, contribuendo a migliorare il generale stato di benessere e di conseguenza la sua qualità della vita31. Senza ombra di dubbio, uno dei luoghi più adatti alla realizzazione di questi incontri per anziani con Alzheimer è rappresentato dal museo, da sempre indissolubilmente collegato al concetto di memoria e dotato di tutte le caratteristiche per poter diventare lo spazio dove poter comunicare con la persona affetta da demenza, entrando con gentilezza nel suo mondo interiore, il più delle volte triste e solitario. 2.2. UN’UTENZA SPECIALE DEL MUSEO OGGI: LA MUSEO-TERAPIA PER I MALATI DI ALZHEIMER Il “ladro della memoria”, così è stato definito l’Alzheimer che, durante il proprio decorso, porta via con sé ricordi, esperienze e momenti lasciando una vita da (ri)organizzare minuto dopo minuto. In questa continua ricerca di punti fermi, il museo può (e deve) contribuire alla creazione di spazi protetti e accoglienti nei quali tutta la famiglia possa sentirsi a suo agio e scoprire insieme “una nuova identità all’insegna della creatività, della scoperta e della bellezza. E l’arte è focus perfetto per catalizzare e risvegliare questi movimenti dell’anima”32. Potrebbe risultare difficile mettere a fuoco concretamente il binomio Alzheimer e museo, soprattutto se ci si avvicina a tale possibilità usando l’ottica che concepisce il museo come tempio o luogo per pochi eletti. Ma se proviamo ad immaginare il museo, la galleria, la biblioteca o addirittura il sito ar31 Ibidem. 32 GILLI, G., “Arte e demenze tra creatività e ricerca”, in DE CARLI C., GILLI G., MASCHERONI S. (a cura di), Una relazione di senso: patrimoni culturali e Alzheimer. Linee guida e sperimentazioni a confronto per una comunità di ricerca e di pratica, Milano, EDUCatt, 2017, cit., pp. 27-31, citaz. da pag. 29.

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cheologico, come spazi fruibili da tutti e contenenti elementi che sono sì tesori del nostro patrimonio culturale, ma prima di tutto sono “pezzi” della memoria di cui tutta la comunità può beneficiare, sicuramente l’accostamento non risulta poi tanto difficile. In tal modo, questi spazi diventerebbero maggiormente vissuti dalla collettività: luoghi dove trascorrere momenti di condivisione e svago attraverso il patrimonio culturale, che è una vera e propria risorsa per la promozione di strategie alternative di comunicazione e relazione. Come sottolinea Silvia Mascheroni, infatti: Il museo accoglie e ospita una nuova comunità di persone (i malati e i loro familiari, i caregiver, gli educatori museali, gli assistenti geriatrici, il personale medico-sanitario) che dà vita a percorsi innovativi, con la consapevolezza non solo della difficoltà, della particolare sensibilità e attenzione che bisogna assumere per la loro realizzazione, ma anche di quanto siano significativi e irrinunciabili al fine di rispondere alle esigenze di un museo veramente contemporaneo33. La volontà di realizzare queste attività, che potremmo far confluire in quell’ampio campo di ricerca applicata che va sotto il nome di museo-terapia, parte dalla concezione secondo la quale gli anziani hanno bisogno di altri tipi di sostengo oltre a quelli offerti da centri diurni ed associazioni. Fare museo-terapia significa accostare all’affascinante e vastissimo mondo dell’arte e dei luoghi della cultura sia i pazienti, ma anche le famiglie ed i caregiver, attraverso metodologie specifiche che a volte si rifanno anche all’arteterapia34, la quale: 33 MASCHERONI, S., “Musei e Alzheimer: uno sguardo d’insieme”, in DE CARLI, C., GILLI, G., MASCHERONI, S., (a cura di), Una relazione di senso: patrimoni culturali e Alzheimer. Linee guida…, cit., pp. 33-39, citaz. da pag.39. 34 L’arteterapia include l’insieme delle tecniche e delle metodologie che utilizzano le attività artistico-visive come mezzo: preventivo, terapeutico, riabilitativo e di mantenimento del benessere psico-fisico, intervenendo sull’età: bambini, adolescenti, adulti e anziani, e sulla disabilità: fisiche, psichiche e cognitive.

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è una strategia la cui efficacia, in termini di miglioramento della qualità di vita, è sempre più riconosciuta. Ciò è vero sia quando si tratta di attività di fruizione di opere d’arte, come quando si accompagnano pazienti e caregiver ai musei con la mediazione di educatori appositamente formati e li si mette a contatto con la creatività degli artisti, sia quando si propongono attività espressive dove è sollecitata la loro creatività35. Molti studi hanno messo in evidenza come l’arte, e tutte le attività ad essa connesse, possano svolgere un ruolo fondamentale nella riabilitazione per persone affette da demenza poiché è dimostrato che possono mettere in moto quei circuiti emozionali che vengono danneggiati più tardi rispetto alle zone cognitive. Questo fa si che la memoria autobiografica sia stimolata attraverso l’elaborazione di idee ed alla formulazione di associazioni. La creazione di questi programmi, inoltre, permetterebbe ai visitatori e alle diverse “categorie” di pubblico, di vedere il museo come un luogo interconnesso e diversificato in cui tutti sono invitati a partecipare e a interagire. Emerge chiaramente da questa analisi che i musei devono cambiare per essere sempre al passo con i bisogni della popolazione, e devono essere attivi e capaci di entrare a fare parte di tutte le fasi della vita umana, anche della “fase dell’invecchiamento: una stagione che rappresenta per i musei l’opportunità di reinventarsi”36. Forti di queste premesse, alcuni musei hanno “accettato la sfida”, promuovendo attività o cicli di incontri proprio dedicati ad anziani con Alzheimer e ai loro famigliari/caregiver. In queste esperienze è stato di fondamentale importanza riuscire a chiamare a collaborare tra loro specialisti appartenenti a realtà diverse, riuscendo a mettere in campo il proprio saper 35 GILLI, G., “Arte e demenze tra creatività e ricerca”, cit. pag. 28. 36 ROBERTSON, H.L., “Introduction”, in ROBERTSON H.L., The Caring Museum. New Models of Engagement with Ageing, Edinburgo, MuseumEtc, 2015, cit., pp. 25-41, citaz. da pag. 40. Traduzione mia.

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fare e scambiando le diverse conoscenze per un obiettivo comune: “migliorare le condizioni di vita delle persone affette da demenza, delle loro famiglie e dell’intero assetto comunitario in cui le persone in questione sono inserite e vivono”37. Nei prossimi capitoli si andranno a studiare le principali attività museali realizzate, partendo da quello che è stato il pioniere di promozione di tali pratiche, ossia il progetto Meet me at the MoMA, promosso e realizzato dal Museum of Modern Art di New York nel 2007.

37 PATI, L., “Introduzione”, in DE CARLI C., GILLI G., MASCHERONI S. (a cura di), Una relazione di senso: patrimoni culturali e Alzheimer. Linee guida…, citaz. da pag.11.

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3. MUSEI E ALZHEIMER. IL PANORAMA INTERNAZIONALE 3.1. PRIMO VENNE IL MoMA. Meet Me, the MoMA Alzheimer’s Project: Making Art Accessible to People with Dementia Il progetto Meet Me at MoMA nasce nel 2007 e rappresenta il punto di partenza, a livello mondiale, di tutte le attività riguardanti il tema dell’accessibilità e dell’inclusione per la fruizione facilitata e la partecipazione alla realtà museale delle persone colpite da Alzheimer: L’iniziativa è stata generosamente finanziata dalla Fondazione MetLife38; lo staff del MoMA ha ampliato il successo dei programmi di formazione esistenti del Museo per le persone con malattia di Alzheimer e i loro partner assistenziali attraverso lo sviluppo di risorse formative destinate ai professionisti delle arti e della salute su come rendere l’arte accessibile alle persone affette da demenza Metodologie e approccio didattico del MoMA39. Attraverso questo progetto gli anziani si incontrano al museo per discutere tra loro e assieme agli educatori del MoMa (i quali vengono appositamente formati) di diversi argomenti tra i quali spiccano, appunto, l’arte, le mostre, gli artisti e le tematiche varie oggetto di specifici eventi organizzati dal museo. Questi incontri vengono realizzati a cadenza mensile per tutti gli anziani affetti da demenza e per i loro famigliari/caregi38 Si veda https://www.metlife.it/scopri-metlife/chi-siamo/. 39 https://www.moma.org/meetme/practice/index (consultato il 21 agosto 2018). Traduzione mia.

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ver. Alla base c’è la consapevolezza che l’arte, per la sua stessa natura, è frutto di interpretazione squisitamente soggettiva e non oggettiva e – proprio poiché essa può essere interpretata da ogni persona a suo modo – le discussioni su specifiche opere d’arte possono stimolare la mente e fornire un’esperienza educativa e sociale. Nell’attivazione di questi processi di interpretazione/educazione/cura, è di fondamentale importanza il ruolo di mediatori e di facilitatori a cui sono chiamati i membri dello staff del MoMa i quali, per poter dar vita nel migliore dei modi a Meet Me, vengono appositamente formati anche in ambito assistenziale e geriatrico attraverso corsi di formazione con professionisti di tali ambiti. Tutto ciò è stato fatto per preparare gli educatori museali al migliore approccio con questo pubblico speciale. Inoltre, a seguito della buona riuscita di quest’attività, il Museo MoMA si sta prodigando per diffondere tale programmazione in tutto il mondo; infatti organizza conferenze, incontri e workshop di formazione a livello locale, nazionale ed internazionale per diffondere il “saper fare” necessario per la migliore realizzazione di queste attività. Il Museo si dichiara desideroso di offrire la propria esperienza come “pioniere” in tale ambito e, in questo senso, si promuove anche come punto di riferimento per altre realtà che vogliono intraprendere tale percorso. Da questo intento nasce il sito www.moma.org/ meetme/index nel quale si trovano sia le informazioni riguardanti Meet Me, ma anche apposite linee guida messe a disposizione per operatori museali e musei che hanno il desiderio di realizzare il proprio programma inclusivo. Dopo aver presentato il progetto Meet Me at MoMa, sarà utile ora andare ad approfondire quali sono le linee guida seguite e le attività realizzate, per poi andare ad analizzare le pratiche italiane, esito della declinazione del progetto del MoMa. 37


3.1.1. LINEE GUIDA PROGETTO MEET ME AT MoMA Le linee guida40 utilizzate dal MoMa, e da quest’ultimo offerte anche agli altri musei, partono dall’assunto che il programma dovrebbe concentrarsi sulle abilità dei partecipanti al fine di creare un ambiente invitante e coinvolgente in cui la demenza non rappresenti un problema. Perciò, per ideare un’attività nel migliore dei modi, innanzitutto si deve aver chiara l’idea del perché si vuole sviluppare un programma per persone con Alzheimer. Prima di iniziare a progettare risulterà perciò utile rispondere alle seguenti domande: - quali sono gli obiettivi? - come deve essere un programma per poter essere considerato di successo? - qual è il pubblico di riferimento (solo anziani, anziani e familiari/caregiver) ? - quale differenza apporterà il programma al museo? - come si potrà utilizzare ciò che si impara lavorando con questo pubblico per migliorare le altre attività educative? Dopo aver risposto a tali quesiti ed avendo quindi fatto il “punto della situazione”, sarà necessario discuterne con il personale del museo; bisognerà poi rendere partecipi tutti gli attori necessari per creare l’attività, coinvolgendoli sin dal principio nella definizione degli obiettivi da raggiungere, creando così un gruppo di lavoro unito e collaborativo. Inoltre, sarà necessario contattare specialisti nel campo dell’Alzheimer i quali sono gli unici in grado di dare input e raccomandazioni fondamentali per la buona riuscita del lavoro. 40 Si veda THE MUSEUM OF MODERN ART, Guide for Museums, https://www.moma.org/meetme/practice/museums#museums_designing, ©2009 The Museum of Modern Art, New York (consultato il 21 agosto 2018).

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Si possono realizzare due tipologie di attività in base alle caratteristiche del museo di cui si dispone, dimensione, collezione e soprattutto spazi fruibili per attività educative: 1) Programmi per gruppi di anziani provenienti da centri diurni o case di riposo: tali attività potrebbero essere regolarmente programmate o offerte su richiesta e potrebbero essere promosse dal museo o proposte dalle organizzazioni esterne. Se fosse possibile, sarebbe auspicabile mandare gli educatori museali presso la struttura dove risiedono i partecipanti, per conoscerli e lavorare con loro prima dell’incontro al museo. 2) Programmi pianificati per singoli, per intere famiglie o per un anziano accompagnato da familiare/caregiver: i singoli o le famiglie, si registrano in anticipo e, in gruppo, partecipano all’attività ideata. A prescindere dalla tipologia scelta, è di fondamentale importanza fare pubblicità e promuovere un passaparola tra le famiglie in modo da far conoscere a tutto il territorio cosa si sta realizzando, non solo alle strutture potenzialmente interessate (centri diurni, case di riposo, etc.) ma anche alla cittadinanza. Occorrerà poi individuare giorno ed orario in cui l’attività verrà svolta, tenendo conto sia delle esigenze del museo ma soprattutto di quelle degli anziani. Il momento migliore è sicuramente metà mattinata (intorno alle 10.30: momento nel quale si assiste spesso a un aumento della lucidità nei malati di Alzheimer, come confermano le ricerche), la durata dell’incontro non dovrebbe superare le 2 ore e, al termine di esso, è fortemente suggerita la realizzazione di un momento conviviale con una piccola merenda. A seconda delle preferenze del museo, questo può decidere se realizzare la visita in un momento di chiusura al pubblico o meno. 39


Molto importante è anche la dimensione dei gruppi: viene consigliato un numero tra le 8 e 10 persone con Alzheimer, più i rispettivi famigliari/caregiver; in linea di massima l’ottimale sarebbe arrivare ad un totale di 20 persone. Altro elemento molto importante è quello riguardante i costi: sarebbe auspicabile offrire gratuitamente il servizio a chi vi partecipa ma per far ciò è comunque necessario avere dei fondi disponibili o cercare di dimezzare le spese attraverso la formazione volontaria del personale, facendo sostenere i costi di trasporto per arrivare al museo ai partecipanti, realizzando l’attività in orari di apertura normali, così da non avere spese straordinarie oppure formando partnership con organizzazioni e fondazioni del territorio, che sostengono malati e familiari. Già dal momento in cui l’attività viene pianificata, bisognerà pensare in che modo verranno fatte le valutazioni finali, partendo dagli obiettivi che sono stati prefissati quindi è necessario prevedere anche come e quali strumenti/criteri verranno utilizzati. Il fulcro dell’organizzazione, come già ripetuto più volte, è rappresentato dagli educatori e da tutto il personale del museo. C’è bisogno di uno staff che sia formato ed informato nel migliore dei modi, e per ottenere questo è necessario organizzare almeno un workshop per far conoscere la malattia e per istruire lo staff sulle buone pratiche da usare: solo così lo staff potrà operare in modo efficace e ben strutturato. In linea generale, durante l’attività gli operatori museali dovrebbero invitare i partecipanti alla conversazione, rendendola facile e fornendo allo stesso tempo informazioni storico-artistiche e di carattere culturale. Partendo dalle buone domande41, gli operatori dovrebbero cercare di “scavare” nel 41 Le buone domande, sono quelle che riescono a suscitare uno scambio dialogico, partendo dall’osservazione di un oggetto, bene, sito culturale, e arrivando a stimolare processi cognitivi. Si considerano buone

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bagaglio di conoscenze ed emozioni dei partecipanti, per creare una conversazione condivisa della quale tutti si sentono parte. Per facilitare tutto ciò, è utile la presenza di una persona che accompagni ed assista l’operatore museale durante lo svolgimento dell’incontro in modo da gestire eventuali imprevisti e per mantenere l’unione del gruppo, specialmente durante gli spostamenti negli spazi museali. Bisogna sempre avere presente che si sta lavorando alla preparazione di un’attività “educativa” per anziani, perciò è necessario considerare anche le necessità fisiche di quest’ultimi come, ad esempio, l’accessibilità al museo e in tutti gli spazi in cui si decide di lavorare. Terminato tale momento della pianificazione, si passa ad organizzare la visita vera e propria e l’attività: come prima cosa, si dovrà scegliere un tema appropriato, così da catturare l’attenzione, la curiosità ed ottenere una buona partecipazione da parte del nostro pubblico; questo si può fare o concentrandosi su di un singolo artista, oppure scegliendo un tema o un periodo. L’ideale sarebbe quello di scegliere più opere anche se in un numero limitato, indicativamente da 4 a 6, di grandi dimensioni, ben illuminate, possibilmente non una accanto all’altra e in una situazione di comfort, dove all’occorrenza si possano sistemare delle sedute. L’operatore museale dovrà utilizzare del materiale del museo (cataloghi, libri, brochure, etc.) per presentare l’opera e raccontare i suoi tratti salienti, insieme a quelli dell’artista che l’ha realizzata. Tale descrizione deve essere pianificata in modo tale da creare un dialogo con gli anziani, perciò domande ed osservazioni, anche personali, risultano di vitale importanza. Le domande devono domande per eccellenza, quelle cosiddette aperte, che non hanno un’unica risposte ma quelle alle quali ciascuno è in grado di rispondere. Per approfondimenti, si veda BRUNELLI, M., Heritage Interpretation. Un nuovo approccio per l’educazione al patrimonio, Macerata, Eum Edizioni, 2014, pp. 191-198.

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essere semplici, per esempio: - “cosa vedi in questo dipinto?”; - “quali colori sono usati?”; - “cosa provi osservando questo dipinto?”; - “ti ricorda qualcosa?”. In base alle risposte emerse si cercherà di impostare una conversazione; per rendere il tutto più agevole, la cosa migliore da fare è quella di scegliere una sola opera tra le 4/6 selezionate, sulla quale far nascere la discussione. Concluso il momento della discussione si passa alla seconda parte dell’incontro, durante la quale i partecipanti sono invitati a “lavorare”, creando qualcosa. Si può decidere di annotare i punti salienti della conversazione per creare un elaborato scritto, oppure si può far produrre un’opera d’arte. Esiste una vasta gamma di mezzi, materiali, tecniche, e strategie che si possono usare in questi incontri; la scelta dipende dalle aree di interesse e competenze dell’operatore, nonché dagli interessi e dalle abilità dei partecipanti. È importante promuovere il coinvolgimento dei partecipanti, tenendo sempre presente che alcuni non hanno fatto arte regolarmente durante la loro vita, non tutti hanno lo stesso grado di studio né, tantomeno, hanno lo stesso vissuto e bagaglio di ricordi. Lo stesso gruppo può essere protagonista di tutti gli incontri previsti, oppure si possono accogliere nuovi partecipanti; ciò che conta è il raggiungimento degli obiettivi prefissati all’origine delle attività. Queste dovrebbero essere divertenti e di facile comprensione, cercando di far emergere il potenziale artistico e la creatività di chi ne prende parte, senza limitarli dando complesse istruzioni. Bisogna poi assicurarsi di non tenere comportamenti o realizzare attività che sfocino nell’infantile: gli incontri nascono per alimentare il benesse42


re degli anziani con Alzheimer ed i loro familiari/caregiver. Proprio per questo fine, se durante gli appuntamenti si sono realizzare delle opere, al termine si potrebbe allestire una mostra nella quale esporre i lavori realizzati così da gratificare gli anziani e far vedere a tutti “i frutti” del progetto. In conclusione, si ritiene necessario puntare di nuovo l’attenzione sul fatto che il Dipartimento di Educazione del MoMA continua ad essere molto attivo e pronto a mettere a disposizione risorse, informazioni, strumenti ed approfondimenti per quella comunità museale mondiale che si dimostra interessata a realizzare programmi con lo stesso fine di Meet Me, così da creare operatori museali capaci ed appassionati. 3.2 . LIVERPOOL E LA RETE DEI MUSEI INGLESI Un altro importante programma dedicato agli anziani con Alzheimer e le loro famiglie/caregiver è House of Memory42 creato dal National Museums di Liverpool. Questo progetto, descritto come “l’uso di collezioni per promuovere il ricordo per scopi ricreativi, di supporto sociale e di assistenza sanitaria tra gruppi di anziani e persone con demenza43” supporta questi ultimi e fornisce ai partecipanti informazioni sulla demenza, nonché abilità e risorse per attività pratiche di memoria; inoltre i musei aderenti forniscono delle nozioni di carattere assistenziale da applicare nella vita di tutti i giorni. La chiave di lettura di tale proposta sta nel concetto di memoria e nel fatto che i musei possono essere considerati “registratori di ricordi”; partendo da ciò e usando l’esperienza

42 Per approfondimenti si veda http://www.houseofmemories.co.uk/, © Copyright 2017 National Museums Liverpool. 43 WILSON, K., “The political value of museums in dementia care”, in ROBERTSON, H. L., The Caring Museum. New Model of Engagement with Ageing, cit., pp. 411-435, citaz. da pag. 414.

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del proprio staff, House of Memory supporta le famiglie e i caregiver a condividere in modo creativo i ricordi con le persone di cui si prendono cura. L’attività viene lanciata nel 2012 e sin da subito ha ricevuto consensi e critiche positive a livello nazionale, soprattutto per le strategie operative che vengono utilizzate. Tale programma specifico per i malati di demenza, è stato ideato in dialogo e collaborazione con i settori dell’assistenza sanitaria, dopo il riconoscimento congiunto del “divario” che c’è tra questi anziani e il resto della società. Una delle caratteristiche distintive di House of Memory è che è stata fondata direttamente dal dipartimento della sanità del Governo britannico, con altri supporti finanziari da parte di altre realtà appartenenti al ramo socio-sanitario. Tali partnership hanno contribuito a consolidare le relazioni tra gli educatori museali e gli operatori sanitari e proprio per questo, il programma gode di reputazione, autenticità e credibilità e viene riconosciuto come un ottimale intervento di formazione sulla cura della demenza, condotto dai e nei musei44. A monte di tutto ciò, è previsto un percorso di formazione45 per i familiari e chi si prende cura del paziente, che si tiene sempre negli spazi museali. I continui studi di valutazione seguitano a rilevare i risultati significativi per tutti i partecipanti, consistenti in una maggiore consapevolezza e comprensione della malattia e delle complicazioni ad essa annesse. In particolare, gli anziani che aderiscono a House of Memory migliorano molto le capacità di ascolto e comunicazione, i familiari entrano a conoscenza di approcci alternativi alla cura ed assistenza della demenza e per quanto riguarda i professionisti che vi operano, questi sviluppano una maggiore empa44 Ivi, pag. 415. Traduzione mia. 45 Si veda, http://houseofmemories.co.uk/dementia-training/dementia-awareness-workshops/, © Copyright 2017 National Museums Liverpool.

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tia, imparano a collaborare di più in gruppo e con esperti di altri settori. Le attività in cui si suddivide il programma sono: - Meet me at the Museum: incontri al museo durante i quali l’attenzione è focalizzata su articoli dagli anni ’40 ai ’60. Attraverso la lettura si cerca di avviare una conversazione per condividere ricordi e passare un pomeriggio in compagnia. Ad ogni incontro si può partecipare da soli o con un familiare/caregiver; l’attività si tiene una volta a settimana. - Memory walks: si tratta di “passeggiate” all’interno del museo, un modo “diverso” per rivivere la storia di Liverpool e del suo museo attraverso le opere che quest’ultimo ospita. L’appuntamento è previsto per ogni martedì e dura circa un’ora. - Memory suitcase loan service: questa attività di House of Memory prevede l’utilizzo delle cosiddette loan box, delle scatole di oggetti presi in prestito dal museo e da utilizzare come strumento atto a stimolare il riaffiorare di ricordi personali nel corso negli incontri di gruppo. Queste scatole sono create dagli operatori museali e contengono fotografie, oggetti e cose che aiutano a promuovere conversazioni e a suscitare ricordi. Sono disponibili due tipi di scatole, alcune con ricordi generali ed altre tematiche. - When I was little: attività dedicata a bambini dai 3 ai 7 anni ed ai loro nonni o parenti con demenza; insieme possono visitare il museo, scoprendo gli oggetti museali e condividendo storie o ricordi. Il museo mette a disposizione uno zaino come gadget all’interno del quale i bambini trovano un sentiero da seguire, un album da personalizzare e tutto il necessario per scrivere i propri pensieri e quelli dei loro compagni di viaggio; al termine della visita, l’album può essere portato a casa come ricordo della visita. Tutti gli incontri proposti sono del tutto gratuiti e per alcuni 45


di essi non è necessaria nemmeno la prenotazione. Una delle caratteristiche più interessanti di House of Memory è quella di essere un programma in continua espansione grazie anche alla creazione di partnership tra organizzazioni socio-sanitarie, associazioni, fondi locali e volontari; ad oggi i musei che hanno riconosciuto la sua importanza ed hanno deciso di entrare in una “rete” che promuova queste attività anche presso i propri spazi sono: - Bexley Heritage Trust; - Leicester Museum and Art Gallery; - Salford Museum and Art Gallery; - British Museum; - Royal Pavilion and Museums Brighton and Hove; - Birmingham Museums Trust; - Leicester City Council Museums; - Nottingham City Museums and Galleries; - Bury Art Museum; - Tyne and Wear Museums and Archives; - Sunderland Museum and Winter Gardens; - Institute of Cultural Capital; - Minnesota Historical Society. Inoltre, nel 2014 è stata creata e diffusa una App dal titolo My House of Memory. 46

L’applicazione è molto facile ed intuitiva, può essere scaricata gratuitamente dallo store sia per smartphone che per tablet e consente di esplorare oggetti del passato e condividere ricor46 46


di ed emozioni. Progettata per anziani con Alzheimer e per le persone che vivono con loro, l’App è stata realizzata per continuare le attività proposte da House of Memory anche al di fuori del museo. Attraverso l’applicazione è possibile navigare tra vari oggetti della vita quotidiana risalenti a quasi tutti i periodi storici (ad esempio biglietti per il cinema, una macchina da cucire, delle banconote...) ma anche oggetti museali come reperti archeologici e storici, tutti corredati da effetti sonori e musiche. È poi possibile salvare gli oggetti che si preferiscono in una propria loan box, in un albero della memoria o in una linea del tempo: il tutto, ovviamente, in formato digitale. Recentemente è stata inserita una nuova funzione, la “My Memories” attraverso la quale gli utenti possono partecipare direttamente alla creazione di contenuti, ad esempio caricare proprie foto e integrarle a quelle già presenti nella app. Si sono registrati più di 1000 downloads e, sempre nel 2014, My House of Memory ha ricevuto l’International Innovate Dementia Award al World Health and Design Forum. Oltre all’importanza e alla modernità di House of Memory, bisogna sottolineare anche il suo risvolto politico e sociale. Infatti, lo sviluppo e la promozione di questo particolare programma hanno coinciso con successivi scandali e dibattiti nel Regno Unito, riguardanti gli standard di cura all’interno dei servizi sanitari. A seguito di ciò, sono stati rivisti a livello nazionale i modelli di cura per le persone affette da demenza, poiché era emerso che quelli precedentemente utilizzati non solo erano poco efficienti ma, arrivati ad un certo punto del percorso, addirittura peggioravano la situazione del paziente. Questo fatto è la prova di come realmente le attività di inclusione museale abbiano un potenziale impatto sociale sulla collettività, e di come il museo debba far buon uso della propria responsabilità sociale.

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3.3. LO STATO DELL’ARTE IN EUROPA: RISULTATI DEL PROGETTO MUSEI ARTE E ALZHEIMER (MA&A) Anche a livello europeo, da qualche anno a questa parte, si sta sempre più prendendo coscienza dell’emergenza Alzheimer e alcuni stati hanno iniziato ad incrementare risorse e servizi che possano essere d’aiuto a facilitare la vita degli anziani e della propria famiglia. Tra le prestazioni che sono state migliorate/create, spiccano tra tutte proprio quelle realizzate nei musei con lo scopo di “connettere la realtà museale e quella del settore sociale e della salute: attraverso questa prospettiva integrata le attività nei musei possono contribuire a creare una società amichevole con le persone con demenza”47. Proprio per questo è nato il progetto europeo Musei Arte & Alzheimer (MA&A) al quale hanno preso parte Germania, Irlanda, Italia e Lituania; questo progetto, finanziato dal programma Erasmus+48 dell’Unione Europea, ha consentito di facilitare il confronto tra esperienze diverse appartenenti allo stesso continente e che lavorano per il medesimo fine. Gli obiettivi e gli strumenti utilizzati sono chiari nella descrizione del progetto stesso: Attraverso risorse online per la formazione di educatori museali e professionisti del settore geriatrico, eventi formativi in presenza, scambio di esperienze, condivisione di riflessioni, linee guida e materiali formativi, MA&A offre un contributo 47 BUCCI C. et al., “MA&A Toolkit”, 2016, pag. 6, http://www.maaproject. eu/moodle/mod/page/view.php?id=132, © 2016-2017 MA&A Project. 48 Erasmus+ è il programma dell’UE per l’istruzione, la formazione, la gioventù e lo sport in Europa. Grazie a un bilancio di 14,7 miliardi di euro, darà a oltre 4 milioni di europei l’opportunità di studiare, formarsi, acquisire esperienza e fare volontariato all’estero. Inteso a durare fino al 2020, il programma Erasmus+ offre opportunità non soltanto agli studenti. Sintesi di sette programmi precedenti, si rivolge ad un vasto spettro di persone e organizzazioni. Si veda http://ec.europa.eu/programmes/erasmus-plus/ about_it. (consultato il 30 agosto 2018)

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significativo alla disseminazione di progetti museali di qualità, accessibili alle persone con demenza e a chi se ne prende cura. Due i prodotti principali elaborati nel corso del progetto, disponibili online nella sezione Risorse: un corso di formazione rivolto a educatori museali e educatori geriatrici che vogliono creare o implementare programmi museali per le persone con demenza e i loro carer, focalizzando l’attenzione sulla relazione; e un manuale (toolkit) sulle modalità di comunicazione con le persone con demenza attraverso l’arte, destinato ai carer familiari e professionali. Questi materiali si integrano con gli eventi formativi e di disseminazione organizzati dai partner, in parte consultabili sul sito attraverso i video della sezione Eventi. Tali esperienze, così come le sperimentazioni pratiche insieme alle persone con demenza e ai loro carer condotte nei musei coinvolti, sono state fondamentali per la definizione partecipata e condivisa dei contenuti. I prodotti realizzati non possono infatti prescindere da un’idea di educazione che si basa sulla costruzione condivisa delle conoscenze, sulla creazione di un ambiente di apprendimento non gerarchico (sia esso reale o virtuale), in cui ciascuno, anche la persona con demenza, contribuisce allo sviluppo delle competenze e delle abilità proprie e degli altri49. In questa cornice comune i paesi partner – tra cui spiccavano il Lehmbbruck Museum, la Butler Gallery e il Museo Marino Marini – hanno collaborato per raggiungere sia singolarmente che in modo collettivo, i seguenti obiettivi: - Rendere l’arte accessibile alle persone con Alzheimer e ai loro familiari/caregiver; - Promuovere un’esperienza stimolante di coinvolgimento con l’arte; 49 http://www.maaproject.eu/moodle/mod/page/view.php?id=1 © 20162017 MA&A Project. (consultato il 30 agosto 2018). Traduzione mia.

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- Incoraggiare e sostenere partnership e collaborazioni intersettoriali tra musei e operatori sociali; - Fornire una piattaforma per l’apprendimento fra pari, la promozione di reti e lo scambio; - Condividere l’apprendimento con i più ampi settori museale e sociale per arricchire e diversificare le opportunità per la partecipazione culturale e la qualità della vita; - Contribuire ad una società più amichevole con le persone con demenza attraverso l’inclusione ed il cambiamento degli atteggiamenti50. L’elemento di grande interesse è che, pur trattandosi di realtà apparentemente lontane tra loro (sia a livello geografico che di esposizione museale), attraverso una condivisione di intenti e la volontà di offrire esperienze nuove in grado di sperimentare metodi e vie di comunicazione mai usati prima, questi musei si sono uniti per cercare di sfruttare tutti i “mondi possibili53” che nascono dalla malattia, per riconsegnare a chi ne soffre dignità e momenti caratterizzati da un elevato livello di qualità della vita. Consapevoli che la demenza purtroppo conduce alla perdita di abilità quotidiane, questi musei lavorano per cercare di realizzare un ambiente adatto, in modo da superare la barriera creata dall’handicap cognitivo. Inoltre, spesso le persone che vivono con demenza hanno uno sguardo ed una prospettiva insolita nei confronti dell’arte in generale, rivelandosi visitatori curiosi ed interessati: questo loro “punto di forza” permette di fare scoperte nuove e di impostare una discussione su di un piano diverso dal solito, più introspettivo e personale. Indubbiamente, questo è un pubblico speciale e fonte di continuo arricchimento. 50 Ibidem. 53Termine con il quale s’intende il tempo e lo spazio in cui la persona con demenza pensa di vivere, non sempre coincidente con la realtà, a volte relativo a momenti significativi della sua vita, a tracce di memoria o ricordi immaginari.

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Si passa ora ad analizzare i programmi proposti dai musei sopra citati, per comprendere a pieno le proposte e i risultati ottenuti; per il momento si tralascia il Museo Marino Marini del quale si parlerà in modo più approfondito nel capitolo seguente. 3.3.1. LEHMBRUCK MUSEUM, Duisburg, Germania – Progetto OPEN STUDIO Open Studio è un luogo situato nel Lehmbruck Museum dove anziani con Alzheimer e familiari/caregiver possono lavorare liberamente in modo artistico. Questi incontri vengono progettati da esperti dei programmi artistici di inclusione sociale che hanno lo scopo di far partecipare tutti i visitatori, senza distinzioni, alla vita culturale del museo. L’Open Studio offre appunto uno spazio per realizzare liberamente un’opera artistica; generalmente i laboratori organizzati in tale area sono condotti da un’artista in grado di saper “gestire” e comunicare con persone con demenza così da saperli stimolare e incoraggiare nel modo giusto. Anche la scelta di aprire un laboratorio con questo fine all’interno del più famoso museo della città è parte fondamentale dell’idea di voler far diventare quest’ultimo uno spazio aperto e nel quale tutti posso partecipare. Le attività nell’Open Studio si tengono ogni due settimane e possono parteciparvi persone a qualunque stadio di demenza; gli obiettivi che si vogliono raggiungere attraverso il programma sono: - creare nuove opportunità di comunicazione; - creare uno spazio che consenta a chi lo frequenta, di condividere esperienze; - offrire uno spazio nel quale sperimentare approcci alternativi alla demenza; 51


- offrire uno spazio dove fare arte in modo libero; - sviluppare sconosciute potenzialità personali; - dare la possibilità di percepire e conoscere le potenzialità altrui; - dare sollievo ed arricchire; - innescare un cambiamento d’immagine che spesso si ha nei confronti delle persone con demenza. Interessante è che già nel 2006 il Lehmbruck Museum aveva ideato e sviluppato visite guidate per persone affette da demenza, nel 2007 si realizza la prima vera e propria visita; da quel momento queste attività sono diventate parte integrante del programma di educazione del museo e hanno reso il Lehmbruck Museum il primo in Europa ad aver proposto programmi di incontro con l’arte mirati ai potenziali e alle esigenze particolari dei visitatori con demenza. Inoltre dal 2012 al 2015 il progetto di ricerca “Sviluppo di un modello per la partecipazione sociale delle persone affette da demenza nei musei”, gestito dalla Scuola Medica di Amburgo (MSH) in collaborazione con il Museo Lehmbruck, ha esaminato la metodologia e la didattica della ricezione dell’arte per i visitatori con demenza. La ricerca è stata pubblicata51, il risultato è stato un programma di formazione per gli educatori museali, che ha contribuito a creare programmi analoghi in molti musei d’arte in Germania. Le offerte sono rivolte a persone con tutte le forme e in qualsiasi fase della demenza, sia che vivano a casa propria che in una residenza assistita, ai loro familiari e agli operatori professionali.Sotto la guida del museo Lehmbruck, i musei della regione “RuhrKunstMuseen” hanno unito le forze in una rete dal 2013. Secondo il concetto del51 SINAPIUS, P., KASTNER, S., GANß, M., Transformation. Kunstvermittlung für Menschen mit Demenz (Transformation, 2). Kernpunkte einer Didaktik, Berlin-Hamburg, HPB University Press, 2016.

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lo studio MSH, essi offrono visite dedicate alle persone con demenza. Il progetto “RuhrKunstMuseen sinnnlich erleben” dà particolare importanza allo scambio e alla stretta collaborazione del museo con il settore socio-assistenziale della propria città. Fa parte della strategia nazionale per la demenza “Alleanza per le persone con demenza” avviata dal governo tedesco in collaborazione con l’associazione Alzheimer della Germania52. 3.3.2. BUTLER GALLERY, Kilkenny, Irlanda, in collaborazione con Alzheimer Society of Ireland, Age & Opportunity Irish Museum of Modern Art – Progetto: AZURE. Questo programma, creato per favorire l’inclusione museale di persone con Alzheimer, è stato sperimentato per la prima volta con un’edizione pilota nel 201253 che ha poi fatto da apripista nella programmazione di attività per persone che vivono con la demenza. L’attività, ispirata a Meet Me at MoMa, invita i partecipanti a visitare le mostre, guardando le opere e discutendo con gli altri in un ambiente sicuro e accogliente. Mediatori museali specificamente formati creano un’atmosfera calorosa che incoraggia la conversazione, alla quale ogni persona ha il piacere di partecipare con il proprio ritmo e a modo suo. Ai partecipanti viene proposta una visita della galleria con la possibilità di sedersi, concedendo il tempo necessario all’osservazione di una selezione di opere della mostra54. 52 http://www.maaproject.eu/moodle/mod/page/view.php?id=34, © 2016-2017 MA&A Project (consultato il 30 agosto 2018). Traduzione mia. 53 I risultati del progetto pilota promosso nel 2012 sono disponibili al sito http://www.butlergallery.com/wp-content/uploads/2016/11/Azure-Evaluation-2012.pdf, © 2018 Butler Gallery. 54 http://www.maaproject.eu/moodle/mod/page/view.php?id=33, © 2016-2017 MA&A Project (consultato il 30 agosto 2018). Traduzione mia.

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In più, per far sentire gli ospiti ancora di più a loro agio, al termine dell’attività viene sempre offerto un momento conviviale con una merenda, tè o caffè serviti nella Castle Tea Room situata accanto al museo. A seguito dei risultati ottenuti la Butler Gallery ha collaborato con i partner del progetto per promuovere corsi di formazione per il personale di tutti i musei e le gallerie d’Irlanda, nel maggio 2015; scopo della formazione era quello di fornire agli operatori le capacità e le conoscenze necessarie per organizzare appuntamenti artistici legati alla demenza. Di grande interesse, inoltre, è la scelta di sviluppare dal 2013 anche un programma off-site che porta oggetti della collezione permanente della Butler Gallery al di fuori di essa; quest’idea nasce dall’attuale localizzazione della sede del museo nel seminterrato del castello di Kilkenny, luogo inaccessibile ai visitatori che utilizzano sedie a rotelle o a persone con difficoltà motoria. Aspettando che la Butler Gallery si trasferisca in un nuovo edificio accessibile da tutti, la scelta è stata proprio quella di non escludere il potenziale visitatore che non può recarsi al museo, ma portare il museo da lui così da sviluppare e mantenere i rapporti con persone che vivono con la demenza, non facendole sentire più emarginate a causa della loro difficoltà ad accedere alle esperienze artistiche proposte dal museo. 3.3.3. Progetti della ONG lituana “Socialinai Meno Projektai” Oltre ai musei, fa parte di MA&A anche la ONG lituana “Socialinai Meno Projektai”, la quale dal 2014 presenta e cura attività di dementia-friendly. Le attività proposte mirano a promuovere il benessere e a migliorare l’accesso alle arti e vengono realizzate in partnership con artisti, esperti dell’am54


bito culturale, del settore socio-sanitario, ricercatori e volontari in luoghi accoglienti, confortevoli e accessibili e con diverse tecniche di comunicazione e collaborazione; si spazia da workshop, progetti artistici (spettacoli, mostre, performance, etc.) destinati ai soggetti con demenza, per arrivare alla formazione, ricerca e pubblicazione destinata anche ai loro familiari/caregiver. I progetti specificatamente dedicati al benessere e all’accessibilità al mondo artistico per persone che vivono con demenza e i loro familiari/caregiver sono: - MENAS ŽMOGAUS GEROVEI (L’Arte per il Benessere): attività molto interessante poiché è dedicata al personale sanitario ed assistenziale al quale viene data la possibilità di partecipare ad un programma di attività creative. Dal 2013, ogni anno, negli ospedali di tutta la Lituania, si organizzano laboratori di pittura su seta sotto la supervisione di artisti professionisti di Kaunas, Panevėžys e Vilnius. I lavori realizzati sono poi presentati in mostre pubbliche. L’idea di creare un laboratorio destinato al personale nasce dalla consapevolezza che la partecipazione all’attività creativa accresce la salute psicosociale e spirituale, offre nuove conoscenze, esperienze, abilità e auto-consapevolezza e possibilità di autoespressione, sviluppando creatività, capacità comunicativa ed empatia, tutti elementi in grado di promuovere il progresso professionale55. - ŠOKIO LABORATORIJA (Laboratorio di Danza): questo laboratorio creativo prevede la partecipazione paritaria degli anziani e di chi li assiste a un’attività di danza. Il progetto consiste in incontri tenuti da ballerini professionisti, al termine dei quali è previsto uno spettacolo finale. Interessante è che spesso alle lezioni partecipano anche persone con difficoltà di apprendimento, bisogni speciali, personale sanitario, creando 55 http://www.menasgerovei.lt/art-for-well-being.html, © 2009-2018 VšĮ Socialiniai meno projektai (consultato il 30 agosto 2018)

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un grande gruppo e coinvolgendo anche giovani ballerini emergenti. E’ stata scelta la danza perché, tale disciplina, permette di superare la barriera del contatto, è un modo di narrare attraverso movimenti e gesti, lasciando un grande spazio all’immaginazione. - SUSITIKIME MUZIEJUJE (Incontri al Museo): questo programma prende il via nel 2014, grazie anche alla collaborazione di partner come la National Gallery of Art, il Museo Nazionale MK Čiurlionis, la Butler Gallery in Irlanda. L’attività segue lo schema tipo di Meet Me at MoMA, mirando a favorire l’accessibilità alla cultura ed alle arti per le persone che vivono con la demenza; inoltre si cerca anche di sensibilizzare la società riguardo tali tematiche “denunciando” lo stato d’animo in cui gli anziani e le proprie famiglie si trovano. L’attività educativa al museo può avere un impatto sul benessere delle persone che nella loro vita quotidiana vivono l’isolamento. L’ambiente sicuro incoraggia le persone a diventare più attive, a sviluppare la loro creatività, a praticare la loro auto-espressione, nonché a migliorare la loro salute e il loro benessere. I programmi educativi dei musei comprendono cambiamenti positivi legati alle capacità di apprendimento (memoria, comprensione, riconoscimento) concentrazione, attenzione, autostima, socializzazione56. 3.3.4. Il MULTISENSORY ACTIVITY PROGRAMME del MA&A Ultima attività, è quella nata in seno a MA&A sotto il nome di Multisensory Activity Programme, ossia un programma di attività sensoriale con l’obiettivo di migliorare la comunica56 http://www.menasgerovei.lt/meeting-at-a-museum.html, © 20092018 VšĮ Socialiniai meno projektai (consultato il 30 agosto 2018). Traduzione mia.

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zione tra le persone con Alzheimer e il mondo che le circonda attraverso tecniche verbali e non verbali che s’imparano nel contesto museale; ovviamente i metodi di comunicazione utilizzati (e quindi insegnati) tengono conto delle caratteristiche del pubblico. Il programma si suddivide in tre visite: -Prima Visita: discussione e laboratorio libero di arte La discussione comincia descrivendo gli aspetti formali dei dipinti e poi passa all’interpretazione emotiva delle opere d’arte. L’attività crea un tempo e uno spazio per la contemplazione e per la condivisione di pensieri, idee e intuizioni. La discussione è seguita da un laboratorio di arte offerto gratuitamente. -Seconda Visita: toccare l’opera d’arte I partecipanti sono invitati ad esplorare le sculture attraverso il contatto. Le opere d’arte, alcune coperte con un drappo, offrono una varietà di superfici per l’esplorazione tattile, creando significative esperienze personali poi condivise in gruppo. Viene così stimolata l’immaginazione e la curiosità dei partecipanti. -Terza Visita: discussione e danza L’osservazione di un’opera è intrecciata con l’esperienza tattile, la danza e il movimento, e la comunicazione emotiva57. Da tutte le esperienze sopra elencate, è stato possibile recepire dei feedback da parte degli anziani e dei familiari/caregiver. I primi hanno affermato di aver gradito il tempo trascorso nel museo, di aver apprezzato le attività proposte e l’opportunità di vivere un’esperienza di gruppo e condivisa, potendo contribuire alla pari in una discussione o nella realizzazione 57 http://www.maaproject.eu/moodle/mod/page/view.php?id=35, © 2016-2017 MA&A Project. (consultato il 30 agosto 2018). Traduzione mia.

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di qualcosa. Si sono trovati a loro agio nello spazio museale, il quale disponeva di tutti i comfort di cui avevano bisogno: si sono di nuovo sentiti parte della società e non soli. Per quanto riguarda i familiari, questi hanno confermato il gradimento dello spazio ad essi dedicato, sostenendo che è sempre difficile trovare luoghi adatti dove poter trascorrere il tempo con i propri cari; inoltre hanno condiviso dei piacevoli momenti in gruppo senza la preoccupazione di come si comportasse o cosa dicesse l’anziano. Infine, sia gli uni che gli altri hanno “confessato” di aver scoperto un grande interesse nei confronti dell’arte in senso lato, materia che fino ad allora avevano accantonato nella propria vita per timore di non essere adatti alla realtà del museo e per paura di non saperla interpretare. Concludendo, è doveroso sottolineare l’importanza dell’appoggio da parte di fondazioni, organizzazioni no profit e altri attori che finanziano queste attività; senza il loro supporto sarebbe davvero complicato poter mettere in pratica programmi di questa portata che, come ripetuto più volte, per funzionare hanno bisogno in primis di personale formato nel migliore dei modi, ma anche di una strutturazione a più livelli necessitante di ingenti investimenti economici, che spesso la singola realtà museale non è in grado di sostenere.

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4. IN ITALIA: ALLA RICERCA DI UN MODELLO L’innalzarsi del numero delle persone malate di Alzheimer e la stima della crescita esponenziale della malattia in tutto il mondo è uno dei più importanti problemi che i Sistemi sanitari di tutto il mondo devono affrontare. Solo in Italia si stimano “1.241.000 di malati, di cui quasi la metà di loro vive in casa con i propri familiari (46,4%) o con altri carer (28,7%), mentre sono pochi coloro che alloggiano presso residenze assistenziali (12,1%).”58 Si tratta di una vera e propria epidemia sociale e sanitaria, difficile da debellare sia dal punto di vista medico sia per quanto riguarda l’organizzazione e i supporti dello Stato. Spesso i familiari del malato sono costretti a farsi carico di tutte le attività di cura e sorveglianza e sono molto pochi quelli che riescono ad ottenere aiuti sotto forma di agevolazioni fiscali o di assistenza; inoltre, è anche difficile far rientrare i propri cari in programmi o nei centri diurni pubblici poiché, essendo questi a numero chiuso, per potervi rientrare bisogna innanzitutto possedere determinati requisiti sia a livello economico sia per quanto riguarda lo stato di avanzamento della malattia e spesso, pur avendo i titoli necessari, non si riesce comunque ad ottenere tali benefici poiché il numero delle domande è di gran lunga superiore ai posti disponibili. Non è da tralasciare nemmeno il fatto che l’età dell’insorgenza della malattia sta diventando sempre più bassa e che questi pazienti, troppo giovani per accedere ai programmi diurni studiati per soggetti più anziani e poco adatti per andare a 58 Dati raccolti dalla Federazione Alzheimer Italia per l’European Carers’ Report 2018 rapporto presentato a Bruxelles al Parlamento Europeo dalla Alzheimer Europe, un’organizzazione che riunisce 40 Associazioni Alzheimer a livello europeo) https://www.alzheimereurope.org/Alzheimer-Europe/Our-work/2018-Work-Plan/(language)/eng-GB, Copyright © 2013 Alzheimer Europe. (consultato il 3 settembre 2018)

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vivere in residenze assistite, hanno bisogno di altri tipi di sostegno. In diverse realtà, associazioni e gruppi di volontariato cercano di organizzarsi come possono, ma è sempre molto difficile creare ed offrire servizi adatti e di qualità perché c’è bisogno della collaborazione di personale qualificato e specializzato e, più di ogni altra cosa, c’è bisogno di fondi e di sostegni59. Proprio per rispondere a questa necessità della popolazione alcuni musei italiani hanno deciso di affermare il proprio ruolo sociale creando esperienze con e per le persone con Alzheimer e decadimento cognitivo. Tali attività sono state realizzate spesso in collaborazione con associazioni sul territorio e case di riposo, ma anche con un supporto medico/clinico forte dell’estesissima letteratura relativa ai benefici derivanti dai pazienti colpiti da demenze e ai familiari quando vengono impegnati in attività espressive o di fruizione d’arte. Accanto a tali esperienze, ci sono anche ricerche scientifiche riguardanti l’efficacia dell’arte-terapia e delle attività portate avanti in ambito culturale; addirittura, da qualche anno a questa parte, si sta riconoscendo l’uso delle terapie non farmacologiche consistenti nell’impiego di tecniche utili a rallentare il declino cognitivo e funzionale, controllare i disturbi del comportamento e compensare le disabilità causate dalla malattia. Il fine che guida questi tipi di intervento è il raggiungimento della migliore qualità di vita per il soggetto sul piano fisico, 59 A questo proposito si veda la mozione n.148, presentata in Senato da Emilia De Biasi, il 24 aprile 2014, sulla Cura dei Malati di Alzheimer, dove s’invita a prendere consapevolezza del grave problema e ad agire subito soprattutto sulla prevenzione oltre che sull’implementazione delle reti assistenziali intorno ai malati e alle loro famiglie; si tratta di mettere in piedi un modello basato su prevenzione, diagnosi e cura della malattia di Alzheimer, che preveda non solo l’assistenza al malato, ma anche il supporto ai fornitori primari di cure (familiari, badanti, infermieri, assistenti medici); si tratta quindi di creare una rete territoriale a sostegno del malato. http://www.quotidianosanita.it/allegati/allegato6179263.pdf. (consultato il 4 settembre 2018).

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funzionale, sociale ed emozionale, compatibilmente con lo stadio di malattia in cui si trova. Gli ambiti di intervento non riguardano, però, solo i deficit cognitivi, ma anche le attività della vita quotidiana, i disturbi del comportamento, la socializzazione e il tono dell’umore. Le terapie non farmacologiche trovano, quindi, il loro impiego durante tutto il decorso della malattia. [...] Sono fortemente indicate per la prevenzione e la cura delle problematiche e dei disturbi che insorgono in età avanzata, collegate a demenze senili, Alzheimer, disturbi del comportamento, patologie psichiatriche ed altre, dove un intervento mirato favorisce quei processi terapeutici atti a riabilitare a livello cognitivo la persona e a migliorarne la qualità di vita. [...] Le terapie non farmacologiche si caratterizzano, quindi, per l’approccio di natura multidisciplinare, con dinamica combinazione di diverse discipline tese a generare una effettiva ricaduta sulle potenzialità occupazionali e relazionali del paziente. Allo stesso tempo favoriscono sensibili diminuzioni del carico farmacologico che viene somministrato al paziente: il loro ruolo è, quindi, di supporto e non sostitutivo delle terapie farmacologiche. In quest’ottica, percorsi terapeutici strutturati permettono sicuramente una regolazione e, in alcuni casi, un decremento delle terapie farmacologiche, evidenziando un minore rischio per il paziente di sovradosaggio di farmaci che hanno importanti effetti collaterali, soprattutto sul paziente anziano60. Come già discusso nei capitoli precedenti, l’arte e la scienza vanno di pari passo verso la conquista di un miglior livello di qualità della vita di queste persone e l’una non può prescindere dall’altra; d’altronde, come afferma la Professoressa 60 CILESI, I., “Terapie non farmacologiche innovative per la cura della malattia di Alzheimer”, Nuove Artiterapie. La mediazione artistica nella relazione d’aiuto, 22 marzo 2018, in: https://www.nuoveartiterapie.net/terapie-non-farmacologiche-innovative-la-cura-della-malattiaalzheimer/, © Copyright Nuova Associazione Europea per le Arti Terapie. (consultato il 4 settembre 2018).

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Gabriella Gilli, Direttrice del Centro di Ricerca Psicologia e Arte, dell’Università Cattolica di Milano: “la scienza ha bisogno dell’arte proprio come l’arte ha bisogno della scienza”. Per confrontare alcune delle attività realizzate in Italia, e non solo, il 24 novembre 2016 presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano è stato organizzato un Seminario Internazionale dal titolo Una relazione di senso: patrimoni culturali e Alzheimer. Linee guida e sperimentazioni per una comunità di ricerca e di pratica. Nello specifico il convegno è stato promosso dal C.R.E.A. (Centro per l’educazione attraverso l’arte e la mediazione del patrimonio culturale sul territorio e nei musei), dal Dipartimento di Psicologia e dalla facoltà di Scienze della Formazione dell’Università Cattolica; l’intento di base è stato quello di dare avvio a una comunità riflessiva, che possa sensibilizzare e sollecitare politiche culturali rispondenti alle esigenze reali delle persone, attivare sinergie e condividere progettualità integrate. In questo capitolo si andranno ad analizzare proprio le proposte realizzate da alcuni musei italiani, aventi tutte come matrice comune Meet me at MoMA, che rappresenta l’incipit progettuale ed operativo nell’ambito dell’accessibilità per fruizione facilitata e la partecipazione alla vita del museo delle persone affette da demenza [...] Il personale del Dipartimento educativo del MoMA si è fortemente impegnato a far conoscere e a diffondere il proprio progetto che è stato assunto e declinato secondo le specificità delle singole Istituzioni museali italiane interessate ad impararlo61. Nel presente lavoro, al fine di realizzare un’analisi nel modo più approfondito e curato possibile dello stato dell’arte di queste iniziative in Italia, i musei menzionati sono stati contattati ed è stato proposto loro di rispondere alle domande di 61 MASCHERONI, S., “Musei e Alzheimer: uno sguardo d’insieme”, cit., da pag. 33.

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un questionario appositamente creato per l’elaborato in questione. Inoltre, tutti hanno contribuito mettendo a disposizione del materiale di loro proprietà; alcuni operatori si sono resi disponibili per un incontro o per eventuali approfondimenti telefonici. Tali informazioni e dettagli tecnici verranno specificati per ogni museo. 4.1. GALLERIA NAZIONALE DI ARTE MODERNA (GNAM): Progetto La Memoria del Bello La Memoria del Bello, progetto promosso dalla GNAM, prende il via nel 2011 e tuttora continua a crescere e a funzionare grazie alla “partecipazione di molti che hanno accettato di mettersi in gioco e raccogliere la sfida di pensare a una diversa comunicazione del museo, continuamente discussa e condivisa con chi con il museo aveva poca se non nessuna consuetudine”62. Sicuramente la GNAM è stata una delle prime a riconoscere il potenziale del ruolo educativo e l’importanza sociale del museo in Italia, tantoché la sua sezione didattica risale al 1946 ed è stata anche una “pioniera” nella promozione di progetti finalizzati all’accessibilità museale, per il maggior numero di pubblici speciali possibile. Questa apertura nei confronti di tutti i cluster, ormai diventata una sua peculiarità, si rispecchia anche nella sensibilità di tutto lo staff, il quale ha da subito accolto la proposta di pensare e realizzare un programma dedicato ai malati di Alzheimer. A contribuire alla concretizzazione de La Memoria del Bello c’è stata e c’è tutt’ora una 62 DE LUCA, M., “Il progetto La Memoria del Bello”, in DE CARLI C, GILLI G., MASCHERONI S. (a cura di), Una relazione di senso: patrimoni culturali e Alzheimer, cit., pp. 93-96, citaz. da pag. 93.

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collaborazione con i medici e i ricercatori che si occupano di tale demenza, i quali hanno favorito la creazione di una partnership tra museo e le strutture sanitarie coinvolte nell’attività. Il punto di partenza del progetto è marzo del 2011 quando la Galleria organizza e promuovere una giornata di studi in collaborazione con lo staff del MoMA; sin da subito si è creata una partnership comprendente l’Università Cattolica del Sacro Cuore, il Dipartimento di Scienze Geriatriche, Gerontologiche e Fisiatriche e il Centro di Medicina dell’Invecchiamento del Policlinico A. Gemelli che ha permesso di dividere rispettivamente i ruoli e i compiti. L’equipe medica ha definito, sulla base di un protocollo di ricerca concordato con il Comitato Etico, il disegno sperimentale della ricerca e si è occupata della selezione dei pazienti. Per conto nostro abbiamo elaborato i percorsi di visita, selezionato le opere, progettato e condotto le visite guidate63. Come accade al MoMA, anche per organizzare La Memoria del Bello64 c’è a monte un grande lavoro che viene fatto prima della visita vera e propria; oltre ad aver formato uno staff adatto per l’attività, creato partnership ed aver organizzato tutti gli aspetti logistici, c’è bisogno di creare preventivamente il tour che gli ospiti andranno a fare. Il progetto si suddivide in quattro visite per uno stesso gruppo e ogni appuntamento comprende la presentazione di quattro opere legate tra loro da un filo conduttore (paesaggio, figure femminili o maschili, un determinato colore, etc...), queste possono essere sia quadri, che opere scultoree le quali offrono la possibilità di riflettere sui problemi legati alla percezio63 DE LUCA, M., La memoria del bello: storia di un progetto, Galleria Nazionale d’arte moderna, Roma, cit., pp. 57-65, citaz. da pag. 60. 64 Si veda DE LUCA, M., “The Memory of Beauty”, in NARDI E., ANGELINI C., Best Practice. A tool to Improve Museum Education Internationally, Roma, Edizioni Nuova Cultura, 2012, Vol. 1, pp. 211-219.

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ne tridimensionale nei pazienti affetti da Alzheimer. Durante l’impostazione della visita è importante sempre tener presente che l’opera deve essere ben visibile e collocata in una zona del museo facilmente accessibile ed accogliente, possibilmente lontana da altri beni che potrebbero distrarre i visitatori durante l’attività; inoltre è importante sapere prima chi parteciperà all’appuntamento, perciò verranno comunicati prima al museo i nomi degli anziani e degli accompagnatori così da preparare dei cartoncini con su scritti i nomi, tecnica molto utile per stabilire un contatto tra i partecipanti e per farli sentire più “a casa”. Il giorno della visita gli ospiti sono accolti alla caffetteria del museo; gli operatori museali (generalmente due) si presentano e brevemente e in modo semplice, spiegano ai presenti dove si trovano, cosa andranno a fare e distribuiscono le targhette con i nomi che andranno indossate da tutti i componenti del gruppo. Per tutta la visita sono presenti sia gli accompagnatori degli anziani, sia un membro dello staff medico che si mescola al gruppo ed osserva, annota e fotografa l’attività. La visita parte e tutti si recano alla prima opera e si siedono; l’operatore museale invita il gruppo a guardarla per qualche minuto e poi a descrivere cosa vede. I pazienti sono stimolati a rispondere grazie anche alle buone domande poste dall’operatore; al termine dell’osservazione vengono date alcune informazioni di carattere tecnico. In generale, si tratta un’opera per circa 30 minuti per poi passare a quella successiva; dopo essersi soffermati sulla quarta ed ultima opera, gli operatori ringraziano tutti per la partecipazione, si “complimentano” ed accompagnano il gruppo all’uscita. Terminata l’attività, i membri del team del museo che vi hanno partecipato si riuniscono per scambiare opinioni e suggerimenti; in alcuni casi gli operatori si recano presso il centro diurno o la casa di riposo dove si trovano gli anziani per un ulteriore 65


follow up, riproponendo tramite foto o materiale del museo, la visita fatta pochi giorni prima. La presenza di gruppi differenti ha dimostrato l’importanza del Museo nei processi di socializzazione. Ad esempio i gruppi provenienti dal Policlinico Gemelli erano formati da pazienti in cura di tipo ambulatoriale che non avevano mai fatto attività di gruppo e che quindi aggiungevano alla novità del luogo Museo quella di confrontarsi con altre persone affette dai loro stessi problemi. Al contrario, i gruppi del Fatebenefratelli erano molto affiatati perché accolti per un periodo (2-3 mesi) nella struttura residenziale di Genzano dove venivano somministrate diverse attività terapeutiche di gruppo (ad es. la pet terapy). La visita al Museo era quindi per loro una novità nell’insieme delle loro attività, ma il fatto di conoscersi fra di loro facilitava l’interazione (inter-gruppo e con gli operatori) davanti alle opere65. Di grande interesse è che, durante il primo anno, l’Osservatorio sui visitatori attivo presso la Soprintendenza dei Beni Culturali del Lazio ha condotto una ricerca per valutare l’impatto del progetto sui visitatori; i partecipanti allo studio erano 56, di cui 28 pazienti con Alzheimer lieve-moderato e i 28 relativi familiari/caregiver divisi in due gruppi hanno seguito ognuno un ciclo di tre visite guidate cadenzate a 15 giorni di distanza l’una dall’altra. Ogni visita ha previsto la visione e la discussione di quattro dipinti legati tra loro da un “filo conduttore” scelto in modo da facilitare la possibilità per i pazienti di stabilire collegamenti e associazioni con il proprio vissuto. La scelta dei quadri da inserire nei percorsi ha cercato di rispettare le esigenze dei visitatori-pazienti. [...] Le visite hanno seguito un format prestabilito per cui dopo qualche minuto 65 MANDOSI, M., “La Memoria del Bello alla GNAM di Roma”, Musei senza barriere, 24 febbraio 2014, https://museisenzabarriere.org/2014/02/24/ la-memoria-del-bello-alla-gnam-di-roma/ (consultato il 5 settembre 2018).

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dedicato all’osservazione del dipinto, l’operatrice attraverso una serie di domande strutturate, ha invitato i pazienti e i loro accompagnatori a descrivere il dipinto, ad interpretarlo collegando le immagini con il proprio vissuto e sollecitando l’espressione di idee, sentimenti e valutazioni personali. Solo al termine sono state fornite alcune notizie storicoartistiche sull’artista e sull’opera. I dati raccolti dall’equipe medica [...] hanno individuato un potenziale ruolo importante di questo tipo di terapia non farmacologica con particolare riguardo per sintomi, quali quelli psicocomportamentali, il cui trattamento rappresenta uno degli aspetti clinici più problematici della malattia e sono frequentemente causa di ricovero in strutture di sollievo o istituzionalizzazione66. Inoltre, la ricerca aveva anche il fine di valutare l’esperienza della visita museale, perciò sono stati realizzati due strumenti: un questionario per classificare il profilo sociodemografico dell’anziano ed il suo “rapporto” con il museo e una scheda di osservazione attraverso la quale descrivere il comportamento degli anziani durante la visita, seguendo uno schema prestabilito e diviso in cinque campi d’interesse: 1. attenzione; 2. commozione; 3. disorientamento; 4. curiosità; 5. inquietudine. I risultati sono stati davvero interessanti e Restituiscono un profilo inconsueto del visitatore: la durata della visita è sempre andata oltre le nostre previsioni, in tutti i casi abbiamo completato il percorso prefissato, ma soprat66 DE LUCA, M., La memoria del bello: storia di un progetto, cit. pag. 61.

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tutto per oltre il 40% dei pazienti il livello complessivo di attenzione si è attestato sui livelli alti/molto alti e, per converso, i livelli di spaesamento e inquietudine sono molto bassi. In generale quasi tutti i pazienti hanno mostrato un graduale aumento dell’interesse e della capacità di interazione con il gruppo e con gli operatori che è andato migliorando nel corso delle tre visite anche nei casi in cui, all’inizio il disagio si manifestava in modo evidente attraverso, ad esempio, la continua richiesta di andare via o altre manifestazioni che denotavano la sensazione di inadeguatezza. Infine l’incrocio dei dati sociodemografici e la consuetudine alle visite al museo con le osservazioni in sala sembra contraddire la teoria dell’addiction culturale. Il campione infatti era piuttosto eterogeneo, da casalinghe con la licenza elementare a dirigenti con titoli di studio postlaurea, ma questo non ha influenzato minimamente l’apprezzamento e la partecipazione alla visita67. Gli ottimi risultati ottenuti e il crescente interesse nei confronti del progetto hanno permesso di ottenere un finanziamento da parte della Direzione Generale per la Valorizzazione del MIBACT e, quindi, di coinvolgere sempre più strutture aumentando il numero dei partecipanti e dando alla GNAM la possibilità di confrontarsi con realtà differenti tra loro. Inoltre, un’ulteriore ricerca68 è stata condotta per conoscere e valutare l’impatto del progetto sui familiari/caregiver, sul personale medico-sanitario e sul personale museale ovvero i cosiddetti “pubblici secondari” del progetto. Gli obiettivi e gli aspetti da valutare, come anche gli strumenti d’indagine, 67 Ivi, pp. 62-63. 68 Ricerca condotta dalla Dott.ssa MANDOSI M., come progetto di stage durante il Master dell’Università Cattolica di Milano in “Servizi educativi per il patrimonio artistico, dei musei storici e delle arti visive”, a.a. 2011/2012. Si veda MANDOSI, M., “La verifica e la valutazione del progetto La Memoria del Bello dedicato alle persone affette dalla malattia di Alzheimer”, in DE CARLI, GILLI, MASCHERONI (a cura di), Una relazione di senso: patrimoni culturali e Alzheimer, cit., pp. 97-101.

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sono stati differenziati a seconda dei destinatari della ricerca. Nel questionario, le aree di analisi riguardavano dati sociodemografici, analisi dei comportamenti legati al museo, motivazioni a partecipare al progetto, opinioni sulla conduzione delle visite, valutazioni e giudizi ed infine consigli e suggerimenti; per quanto riguarda l’intervista, le domande poste erano in merito alla conoscenza del progetto, possibili remore e/o dubbi e opinioni. Dai risultati dei questionari è emerso il grande apprezzamento del progetto e della metodologia utilizzata, che i rispondenti hanno ritenuto importanti per facilitare la partecipazione, il dialogo e l’interazione. Anche le modalità di approccio al museo e all’arte risultano soddisfacenti poiché ritenute molto dialogiche, partecipative e familiari tantoché la validità del progetto è stata riconosciuta non solo in relazione all’Alzheimer ma come beneficio generale di chi partecipa, che può in questo modo condividere con il proprio familiare un momento diverso e lontano dai soliti luoghi legati alla malattia. Le interviste hanno evidenziato anche l’interesse che La Memoria del Bello ha suscitato nello staff del museo ed è anche emerso che molti membri di esso sono risultati maggiormente sensibili alla tematica avendo parenti o amici con l’Alzheimer. Tutti sono concordi nel riconoscere il progetto utile e socialmente rilevante, fondamentale per la propria formazione professionale e particolarmente importante poiché dà la possibilità, a questo pubblico speciale, di vivere un momento di socializzazione condivisa in tranquillità ed in sintonia con la quotidianità del museo. Dalle interviste condotte, emergono in modo preponderante i dati che riguardano l’influenza del progetto sul rapporto con il pubblico abituale, la convinzione che quest’attività sia esportabile in contesti sia museali che non e l’importanza, per 69


chi conduce le visite, di avere un atteggiamento paziente, cordiale, di ascolto e rispettoso dei tempi e delle necessità altrui; si segnala anche l’inattesa potenzialità delle opere d’arte ad essere lette in modi sconosciuti e vicini alla propria vita. Infine, un grande rilievo viene dato alla cooperazione tra professionisti medici e museali; i primi sono consapevoli dell’importanza del museo come luogo sociale e ribadiscono l’influenza positiva dell’arte-terapia nella battaglia alle demenze, tuttavia i “problemi” che pongono riguardano per lo più l’organizzazione dell’uscita e la gestione del gruppo in un contesto altro. La realtà museale, invece, riafferma il fatto di non essere un luogo di cura (in senso medico) e difende la propria mission sociale, dichiarandosi sempre pronta a dialogare con altri pubblici e volenterosa di aprirsi a nuovi saperi. Concludendo, La Memoria del Bello ha suscitato notevole interesse in ambito museale, senza considerare l’attenzione dimostrata da neurologi, geriatri, psicologi e professionisti nel campo dell’Alzheimer; il progetto sta andando avanti aprendosi anche ad altri pubblici svantaggiati, avendo sempre a mente l’obiettivo di garantire l’accessibilità alle collezioni a tutti e di contribuire così sulla qualità della vita sia dei malati che dei propri familiari/caregiver. L’ampliamento della rete dei soggetti coinvolti ha favorito la creazione di un gruppo di lavoro le cui conoscenze, informazioni, visioni sono condivise e diventano patrimonio del progetto stesso generando da parte di tutti gli attori quel senso di appartenenza e identificazione indispensabili per l’implementazione e la diffusione del progetto stesso69.

69 DE LUCA , M., La Memoria del Bello: storia di un progetto, cit., pag. 65.

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4.2. PALAZZO STROZZI: Progetto A Più Voci 70 A Più Voci è il progetto che dal 2011 Palazzo Strozzi dedica agli anziani con Alzheimer ed ai loro familiari/caregiver; nato appositamente come attività dedicata ad un pubblico speciale, è studiato per rispondere a diverse necessità: innanzitutto l’esigenza (che è anche un diritto) di essere considerati persone e non solo malati; poi l’esigenza di socialità (ovvero di avere occasioni per uscire di casa e per incontrare persone con le quali confrontarsi); l’esigenza di trovare un nuovo modo di comunicare (perché i canali consueti non funzionano più); in definitiva, l’esigenza di trovare stimoli per continuare a parlare, a emozionarsi, a vivere71. A Più Voci pone al centro le opere d’arte e le emozioni che queste suscitano, focalizzando l’attenzione sulla fantasia e l’immaginazione dei partecipanti, piuttosto che sulle facoltà maggiormente compromesse dalla demenza tenendo sempre conto della difficoltà che queste persone hanno nel comunicare. L’esperienza nasce innanzitutto dalla filosofia generale di Palazzo Strozzi, secondo la quale “l’arte deve essere accessibile a tutti e di ogni opera non esiste una sola interpretazione, ma il significato è dato dalla somma dei significati che le attribuiscono gli spettatori”; inoltre, la concezione della realtà museale come luogo di apprendimento informale, avvalora ancor di più la filosofia del museo in questione il quale promuove attività ed eventi in modo che ciascun visitatore possa trovare la via migliore per conoscere ed 70 Si ringrazia Irene Balzani, storica dell’arte facente parte del Dipartimento educazione della Fondazione Palazzo Strozzi, per il materiale fornito per la stesura del capitolo e per la sua disponibilità; il 9 maggio 2018 sono stata invitata a Palazzo Strozzi per incontrarla di persona e per vedere gli spazi in cui vengono organizzati gli incontri con gli anziani. 71 BALZANI I. et al., “A Più Voci. Il progetto di Palazzo Strozzi per le persone con Alzheimer e per chi se ne prende cura”, Nuove Artiterapie. La mediazione artistica nella relazione d’aiuto, n. 22, 2014, pp. 42-55, citaz. da pag.43.

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apprendere. I protagonisti della realizzazione del progetto sono gli educatori museali e gli animatori geriatrici specializzati che hanno unito le proprie competenze in tutte le fasi del lavoro. La collaborazione e lo scambio reciproco sono stati di fondamentale importanza per proporre un’attività dedicata alle persone con Alzheimer, poiché è obbligatorio conoscere la malattia e i possibili modi di relazionarsi con chi vive quotidianamente questo modo. Nei metodi di trattamento utilizzati per le demenze, sempre di più si invitano gli interessati ad affiancare alle cure mediche anche un approccio relazionale adeguato da parte di chi si prende cura del malato, con lo scopo di modificare in senso positivo la relazione tra l’anziano e il familiare/caregiver riuscendo ad arrivare ad una convivenza il più possibile serena e felice. Testimonianza di ciò la troviamo nella già citata tecnica di gentle care, o nell’approccio validante72 definito nel 2003 da Naomi Feil che, insieme ad altre modalità, riconosciamo alla base del progetto ideato da Palazzo Strozzi poiché considerati come approcci modello alla malattia e trasportati nel mondo del museo. Di fondamentale importanza e al pari dei metodi menzionati è stato anche il metodo TimeSlips (che si può tradurre letteralmente in: “il tempo scivola” – time slips). Si tratta di un metodo di “narrazione di gruppo”, poco costoso ma efficace, che è stato inventato nel 2009 da Anne Basting con l’intento di aumentare le capacità di espressione delle persone con demenza attraverso l’uso della narrazione e della creatività, senza dover neces72 Modalità di rapporto interpersonale basato sulla parola comunicata che ha per obiettivo un benessere profondo della persona affetta da demenza ed una relazione sufficientemente buona con gli operatori ed i familiari. Si basa sul principio dell’accettazione delle persone affette da demenza e sul riconoscimento sia della realtà dell’anziano con deterioramento cognitivo, sia delle sue competenze. http://www.aradbo.org/contenuto/metodo-validation, Copyright © 2018, Arad onlus. (consultato il 6 settembre 2018)

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sariamente ricorrere alla memoria, in questi pazienti spesso carente – e difatti il motto del metodo è: “Forget memory; try imagination”73. Questa tecnica prevede di sottoporre agli anziani un’immagine a partire dalla quale, attraverso la fantasia, gli stessi partecipanti arrivano a costruire una storia che viene dagli assistenti prontamente trascritta, assieme a tutto ciò che viene detto durante gli incontri74. Proprio in virtù del tipo di approcci che troviamo a supporto del progetto, A Più Voci non si configura solo come un’attività di arte-terapia in senso stretto: suo scopo principale è quello di “permettere a persone con decadimento cognitivo di varia entità di entrare in contatto diretto con le opere d’arte e godere di quest’esperienza”75. Questo perché l’incontro con l’arte può creare un’esperienza piacevole, sia per l’anzia73 Tale tecnica mira ad aiutare le persone affette da demenza a riaffermare la loro umanità e a connettersi con gli altri: il personale, la famiglia e gli amici. Invece di fare pressione sulle persone affette da demenza affinché ricordino, come è consuetudine fare, attraverso la TimeSlips li si incoraggia a usare la loro immaginazione, per esprimersi creativamente attraverso il racconto. Uno dei cardini della TimeSlips si basa sulle abilità creative e non sulla memoria, in questo modo i partecipanti non sono frustrati da deficit cognitivi. TimeSlips concorda con la teoria di Kitwood (1997) sulla cura della demenza, che considera l’espressione personale come una salvezza, accettando il contesto in cui si trova il paziente. Gli interventi di espressione creativa come TimeSlips sottolineano l’unicità delle persone rendendole quindi capaci di sentirsi incluse in un contesto, sostenute e valutate, questo perché la comunicazione avviene naturalmente, in un contesto collaborativo. Si veda anche https://www.timeslips.org/. (consultato il 6 settembre 2018). 74 I coordinatori o figure professionali che seguono le attività non correggono coloro che stanno raccontando le storie, ma invece forniscono, se necessario, più tempo, stimoli, per permettere ai partecipanti di rispondere alle immagini. Le risposte vengono incluse in un testo che periodicamente si rileggono ai pazienti, per aiutarli a sviluppare ulteriormente la storia oppure per condurli alla conclusione. https://danielacerpelloni.wordpress. com/time-slips/. (consultato il 6 settembre 2018). 75 BALZANI I. et al., “A Più Voci. Il progetto di Palazzo Strozzi per le persone con Alzheimer e per chi se ne prende cura”, cit. pag.46.

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no che per chi se ne prende cura e può aiutare a scoprire vie alternative di comunicazione. In aggiunta, però, le attività si svolgono sempre in orari di apertura al pubblico permettendo quindi di creare occasioni di scambi sociali e provando ad incrementare un cambiamento dell’idea comune nei confronti della percezione sociale della malattia. I primi appuntamenti dedicati a persone con Alzheimer si sono tenuti nei mesi di maggio e giugno 2011, in occasione della mostra “Picasso, Mirò, Dalì. Giovani e arrabbiati: la nascita della modernità” (12 marzo- 17 luglio 2011); sono stati realizzati tre incontri rivolti ad anziani provenienti da diverse strutture residenziali appartenenti alla provincia di Firenze, in ognuno dei quali è stata ospitata un’attività ideata da Luca Carli Ballola76. Seguendo la metodologia di TimeSlips i partecipanti, dopo essere stati accolti, sono stati invitati ad inventare una storia seguendo lo stimolo e la fantasia dettati dalle opere viste. L’esperienza è stata caratterizzata da un forte carico emotivo ed è stata molto entusiasmate: per tutti i partecipanti, sia quelli che frequentavano i musei ma ormai ritenevano tale attività un qualcosa legato al passato e quindi perduto, sia quelli che non avevano mai conosciuto questa realtà, si sono emozionati ed hanno vissuto in modo sereno l’incontro. In considerazione dei positivi risultati ottenuti, il Dipartimento educativo di Palazzo Strozzi ha deciso di far nascere in modo ufficiale un nuovo progetto dedicato proprio a questo cluster particolare di visitatori, che potesse essere esportabile anche in altre realtà museali: Così educatori museali e animatori geriatrici hanno unito le loro idee e le loro competenze per creare il progetto A Più Voci, nella convinzione che, per proporre un’attività sull’arte rivolta a persone con Alzheimer, da un lato sia necessario co76 Animatore geriatrico presso la Fondazione RSA Vincenzo Chiarugi di Empoli, fa parte del gruppo di progettazione di A Più Voci della Fondazione Palazzo Strozzi.

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noscere la malattia e i modi corretti (ed efficaci) di relazionarsi con le persone malate, dall’altro sia importante conoscere l’arte e le modalità di comunicazione in ambiente museale. [...] La scommessa è che l’arte, intesa come esperienza culturale complessa, che va dalla visita a un’esposizione alla fruizione guidata di un’opera alla sperimentazione di tecniche per l’espressione di sé e del proprio mondo interiore, possa aiutarci a trovare possibilità alternative di comunicazione e quindi di relazione con le persone affette da demenza. La convinzione, rafforzata da esperienze fatte successivamente, è che persone affette da questa malattia possano godere dell’esperienza dell’arte nel qui e ora77. La vera e propria fase di sperimentazione del progetto prende avvio nell’autunno del 2011, in occasione della mostra “Denaro e bellezza. I banchieri, Botticelli e il rogo delle vanità” (17 settembre 2011- 22 gennaio 2012). Durante questa fase, il primo passo è stato quello di continuare la formazione reciproca tra educatori museali ed educatori geriatrici già iniziata nella primavera del 2011, incrementandola con la partecipazione da parte degli operatori del museo ai Caffè Alzheimer78 attivi sul territorio, con delle visite presso le strutture residenziali e, dall’altro lato, facendo osservare e partecipare gli operatori geriatrici ad altre attività di Palazzo Strozzi. Questo momento è stato fondamentale per creare un linguaggio comune e un modo di operare condiviso. Sono stati coinvolti due gruppi di anziani, cercando di assicurarsi una partecipazione il più 77 Ibidem. 78 Il Caffè Alzheimer è uno spazio informale, accogliente, dove le persone affette da demenza e i loro familiari possono riunirsi per trascorrere alcune ore insieme socializzare e chiedere consigli grazie alla guida di operatori esperti. Il primo nasce nel 1997 a Leida, in Olanda, grazie allo Psicogeriatra Bere Miesen e da allora quest’esperienza si è moltiplicata in molti Paesi tra cui appunto anche l’Italia. Cfr. https://www.psicologoancona.com/psicologiaanzianodemenzaancona/il-cafe-alzheimer-come-nasce-e-che-cose#.

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costante possibile durante tutto il periodo di svolgimento degli incontri; i partecipanti sono stati accompagnati dai caregiver professionali della struttura e anche dai familiari. Ad ogni gruppo sono stati proposti quattro incontri in mostra, uno avanti ad un’opera e l’ultimo che prevedeva un’attività di making art. Ad ogni incontro hanno partecipato un educatore museale ed uno geriatrico, con un terzo operatore avente il compito di trascrivere tutto ciò che veniva detto avanti all’opera. Al termine di questo periodo di sperimentazione, è stato fatto un briefing con i caregiver e i familiari che avevano partecipato alle attività per scambiare critiche, suggerimenti e commenti che hanno portato alla modificazione di alcuni aspetti del progetto. Da marzo 2012 A Più Voci è ufficialmente entrato nella proposta educativa di Palazzo Strozzi con un calendario che prevede quattro cicli di appuntamenti, gratuiti, di tre incontri ciascuno, in modo da invitare le persone a tornare più volte. Ogni appuntamento inizia dando il benvenuto ai partecipanti nella stanza del laboratorio, dove ci si saluta e tutti si siedono in cerchio in modo da fare conoscenza reciproca e prendere confidenza con lo spazio. Vengono date le indicazioni riguardo al percorso in mostra, su cosa di andrà a fare e sugli obiettivi del progetto; si entra poi in mostra, momento molto sentito perché rappresenta: il passaggio verso un “mondo altro”, sconosciuto, di fronte al quale siamo tutti ugualmente impreparati e nel quale di volta in volta possiamo abbandonarci. In ogni incontro i momenti prima di entrare nelle sale espositive sono sempre carichi di un’emozione speciale, che ci viene trasmessa dalle persone che stanno per oltrepassare la porta d’ingresso con noi. Una miscela composta dal desiderio d’esplorazione e dall’incertezza79. 79 FONDAZIONE PALAZZO STROZZI, A Più Voci. Un progetto per persone con Alzheimer e per chi se ne prende cura. Bill Viola. Rinascimento Elettronico. 10 marzo-23 luglio 2017, pag. 6.

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In generale, le prime sale della mostra si visitano o a coppie o in piccoli gruppi, scrutando le opere intorno e scambiandosi impressioni, commenti e opinioni per poi fermarsi e sedersi avanti a quella che è stata scelta come protagonista dell’incontro, della quale si farà una lunga osservazione guidata. L’operatore museale inizia a fare delle domande ai partecipanti, per le quali non ci sono risposte giuste o sbagliate: semplicemente ognuno viene sollecitato a dare il proprio parere o ad esprimere ciò che prova o pensa. Grazie alla meticolosa annotazione di questi pensieri e sentimenti, al termine dell’analisi si sarà creata una storia/poesia che rappresenta la descrizione di ciò che è accaduto nel momento dell’osservazione dell’opera e testimonianza delle emozioni vissute. Come si legge nella presentazione del progetto, infatti: “L’attenzione alla precisa trascrizione delle parole dei partecipanti, incluse le espressioni gergali ed esclamazioni, diventa la validazione del loro essere partecipi in quel preciso momento”80. Tali elaborati sono di fondamentale importanza ai fini di A Più Voci, ma rappresentano una risorsa per tutti poiché danno una chiave di lettura diversa, che va oltre la superficie visibile. Dal 2016 si è deciso di compiere un ulteriore passo in avanti e di far partecipare al progetto anche un artista, trasformando così l’ultimo appuntamento (che originariamente prevedeva un’attività laboratoriale) in un’esperienza vera e propria che permettesse di esplorare i linguaggi del mondo dell’arte coinvolgendo ogni partecipante in modo intimo e personale. La prima artista a partecipare è stata Virginia Zanetti che, in occasione della mostra “Ai Weiwei. Libero” ha realizzato un’esperienza prendendo come punto di partenza l’opera “Souvenir da Shangai” un grande muro costruito con le macerie dello studio dell’artista distrutto a Shanghai dalle autorità cinesi, la cui tematica principale fa riferimento alla 80 Ivi, pag. 7.

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censura ed alla libertà di opinione; da qui il titolo del laboratorio: Muri. L’attività proposta dall’artista si è focalizzata sulle parole che quotidianamente ognuno decide di non dire perché obbligato e frenato da convenzioni sociali, dalla paura o da limiti autoimposti. Per il laboratorio Muri Virginia ha lavorato su questo tema chiedendo a una persona per volta: “Qual è un pensiero, una parola che non vuoi/non puoi dire? Io li trascriverò per te”81. L’artista ha poi riletto ogni risposta singolarmente al partecipante, lasciando a quest’ultimo la possibilità di cancellarla o salvarla e quindi renderla pubblica, anche in forma anonima. Sorprendentemente tutti hanno scelto di pubblicarla rendendo quindi noti pensieri, parole e sentimenti che quotidianamente restano celati. Mentre alcuni partecipanti, uno alla volta, lavoravano con l’artista, gli altri, in gruppo, si sono concentrati su quelle che sono le “dinamiche” di coppia (si ricorda che un malato di Alzheimer vive praticamente ogni momento della giornata accanto a qualcuno che lo assiste, perciò è costretto ad una “vita di coppia” forzata). I selfie di Ai Weiwei sono stati l’ispirazione per creare due scatti: nel primo sono state imitate le espressioni e le pose dell’artista; il secondo invece è stato un autoritratto di coppia, scattato dopo una reciproca conoscenza attraverso un’attenta osservazione di due minuti e un’esplorazione del volto dell’altro attraverso il tatto. L’attività è stata molto toccante anche perché le persone con Alzheimer raramente passano del tempo da soli con un’altra persona che non sia il caregiver e, quando questo accade, l’esperienza è molto forte perché necessariamente c’è sempre qualcuno che dice cosa fare e come farlo 81 “Muri, il laboratorio con l’artista Virginia Zanetti per A Più Voci”, Palazzo Strozzi Blog. Eventi, Notizie e Mostre a Firenze, 6 febbraio 2017, https://blog.palazzostrozzi.org/muri-il-laboratoriocon-virginia-zanetti-allinterno-di-a-piu-voci.html. (consultato il 7 settembre 2018)

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viceversa per il familiare/caregiver perché tra i due spesso c’è una condivisione di tuti i momenti, anche di quelli più intimi. Per questo il tempo da spendere soli, di fronte a una persona dedicata all’ascolto, senza alcuna forma di giudizio, voleva essere l’offerta di uno spazio di libertà. Un tempo sospeso dove ogni parola pronunciata è stata colta come un frammento, un elemento prezioso, e riconosciuta come un dono agli altri; il frutto di uno sforzo che ognuno ha fatto per conquistarsi uno spazio di libertà82. Al termine, tutte le frasi vengono affisse in una parete andando così a creare un muovo muro dove le parole e i sentimenti “nati” come censurati, sono finalmente visibili; essendo state trascritte e poi rilette da Virginia, sono state filtrate dall’operazione artistica, diventando un’opera d’arte: “specchio di pensieri che sono contemporaneamente di uno e di tutti.” Nel 2017 continuano le attività guidate dagli artisti e collabora con Palazzo Strozzi Cristina Pancini che in occasione della mostra “Rinascimento Elettronico” di Bill Viola dà vita al progetto Caterina. Punto di partenza e di riflessione per arrivare alla realizzazione dell’attività è stata l’opera Catherine’s Room, realizzata dall’artista ispirandosi alla predella con Storie di Santa Caterina attribuita al pittore Andrea di Bartolo; si tratta della stessa Caterina la cui vita è narrata nella Legenda Maior scritta da Raimondo Da Capua nel 1393. L’istallazione di Viola è una reinterpretazione delle scene in basso della predella che raccontano la vita intima e quotidiana di alcune donne, sempre nello stesso spazio interno. Proprio da qui nasce l’idea del progetto: far incontrare ai partecipanti di A Più Voci una vera Caterina, in carne ed ossa. Dopo ave osservato le opere in mostra ed aver realizzato i racconti con il metodo del TimeSlips, i partecipanti si incontrano di nuovo nel laboratorio che si presenta allestito diversamente dal solito, orga82 Ibidem.

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nizzato in quattro postazioni ognuna accompagnata da una lettera d’istruzioni. Le postazioni fungono da “strumenti” per intraprendere un viaggio nella stanza che, allo stesso tempo, si è anche trasformata nella sala d’attesa dove si aspetta per incontrare Caterina. La ragazza si trova in un altro spazio, si potrebbe dire in una quinta postazione, dove gli anziani entreranno uno alla volta accompagnati dal proprio familiare/ caregiver; nella stanza di Caterina, oltre alla ragazza, ci sono un taccuino, una penna ed una lettera dove Caterina ha scritto un messaggio per gli ospiti. La ragazza sta per intraprendere un viaggio alla riscoperta del mondo e chiede dei consigli agli anziani, tutti sono invitati a scrivere nel taccuino i propri consigli e suggerimenti che Caterina porterà con sé durante i viaggi per rispondere e raccontare le esperienze nate dai consigli ricevuti, attraverso un’altra lettera creando così uno scambio epistolare. Ad oggi la Caterina di A Più Voci ha osservato e vissuto tanto, con il quaderno in borsa ha viaggiato e, per ogni coppia che ha conosciuto in quella stanza e che le ha dato consigli, ha scritto una lettera raccontando le sue scoperte per il mondo.A seguito di tale progetto, Cristina Pancini ha collaborato di nuovo con Palazzo Strozzi per la mostra “Il Cinquecento a Firenze”. Per questa nuova esposizione realizza un’esperienza artistica intitolata Leggieri. La mostra apre con l’opera “Dio Fluviale” di Michelangelo della quale non si sa molto, nemmeno a quale fiume l’artista l’abbia dedicata. Ciò che però si sa è che il suo scheletro è realizzato da fili di ferro intrecciati tra loro e rafforzati da paglia e spago, la pelle è stata realizzata con diversi strati di argilla alla quale sono mescolate fibre vegetali e peli di animali infine è stato utilizzato il bianco di piombo per ottenere l’incarnato chiaro. La caratteristica che accomuna i materiali utilizzati è il fatto di essere transitori perché la scultura era destinata a scomparire essendo nata come modello che Michelangelo avrebbe 80


dovuto utilizzare per un altro Dio Fluviale in marmo, per le tombe medicee nella Sagrestia Nuova della Basilica di San Lorenzo, opera in realtà mai realizzata. A noi, perciò, è arrivata solo quella che è nata come sua bozza, così fragile che alcune parti si sono sgretolate già pochi anni dopo la sua realizzazione e proprio in virtù di questa delicatezza che l’opera oggi è custodita come se fosse un capolavoro di fragilità. I concetti alla base di quest’opera sono gli stessi che fanno da sfondo all’attività proposta da Cristina Pancini, attributi che possono essere ricollegati anche alle persone con Alzheimer ma non solo: la fragilità può appartenere a tutti, la chiave della sua lettura sta nel saperla interpretare come una condizione da proteggere e da far emergere. Come sempre l’incontro prende il via dalla sala del laboratorio dove, dopo il saluto di benvenuto, sono state fatte indossare a tutti i partecipanti delle cuffie per poi entrare in mostra: ci ha accolto il Dio Fluviale. A coppie l’abbiamo osservato e, quando l’attenzione ha iniziato ad esaurirsi, ci siamo seduti a semicerchio attorno a lui. È allora che, messe le cuffie, il Dio ha “parlato” attraverso la voce calda di Paolo Santangelo e le parole immaginate da Cristina Pancini. La scultura, la voce e le parole ci hanno portato a un ascolto così presente e intenso che, una volta finito, siamo rimasti fermi, attenti a sentire il nostro silenzio83. Tornati nella sala dedicata al laboratorio, i partecipanti hanno trovato l’ambiente cambiato con le sedie disposte tutte da un lato e, di fronte ad esse, un piedistallo vuoto; inoltre avevano a disposizione un panetto di argilla dal quale potevano staccare un pezzo, toccarlo, modellarlo e dargli una forma a loro piacimento. Alla fine della manipolazione, gli ospiti erano invitati ad andare a posare il proprio pezzo di argilla sul piedistallo così da andare a formare un’opera collettiva, 83 FONDAZIONE PALAZZO STROZZI, A Più Voci. Un progetto per persone con Alzheimer e per chi se ne prende cura. Il Cinquecento a Firenze. 21 settembre 2017- 21 gennaio 2018, pag. 33.

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il loro capolavoro di fragilità. Non c’è stata la pretesa di voler realizzare un’opera d’arte ma, piuttosto, si è cercato di dare importanza al gesto e all’interazione con la materia; infine, dopo la realizzazione, le opere sono state osservate, discusse e commentate dando vita a dei testi che sono stati poi registrati per accompagnare le sculture sotto forma di commento audio. Da quando è partito ad oggi, il progetto è cresciuto enormemente, con un continuo aumento di richieste di partecipazione da parte delle famiglie; tuttavia non è facile fare una valutazione in merito all’efficacia di un progetto del genere anche perché, come già detto, A Più Voci non vuole essere un’attività di arteterapia e quindi la valutazione che si può fare può riguardare non l’impatto a livello cognitivo, ma piuttosto l’impatto a livello emozionale dell’esperienza vissuta, e che i partecipanti raccontano attraverso questionari e momenti di discussione condivisi. All’inizio e alla fine di ogni mostra, infatti, vengono organizzati degli appuntamenti durante i quali caregiver e familiari s’incontrano per parlare e scambiarsi impressioni o dubbi: questi momenti sono molto importanti anche per gli operatori museali per capire ed assimilare il giusto approccio da usare con gli anziani. Alla fine di ogni ciclo di A Più Voci, viene fatto compilare un questionario sia agli anziani che ai familiari/caregiver e si cerca di realizzare anche una valutazione in itinere alla fine di ogni attività di making art. Il progetto continua ad andare avanti e si rinnova mostra dopo mostra con l’intento sia di aprire le porte del museo a tutti i pubblici possibili, sia di diffondere queste buone pratiche anche al di fuori di Palazzo Strozzi; proprio per questo vengono organizzati e promossi ogni due anni dei convegni internazionali concepiti come momenti di condivisione delle best practices sperimentate. Inoltre, sempre dalle attività realizzate per anziani con Alzheimer è nato anche un corso di formazione rivolto ad educatori museali 82


e geriatrici, che viene organizzato su richiesta in altre realtà museali sia in Italia che all’estero. Cosa che riconferma la volontà di costruire “un patrimonio comune di esperienze volte a diffondere la cultura dell’accessibilità”84. 4.3. MUSEO MARINO MARINI: Progetto L’Arte tra le mani89 Aprire il museo, renderlo accessibile a tutti, anche alle persone che vivono con l’Alzheimer, significa che l’arte – grazie al suo potere comunicativo ed emozionale – può aiutare a superare le difficoltà di relazione determinate dalla malattia. Proporre attività emozionanti e stimolanti, adeguate ai desideri e alle capacità di persone con decadimento cognitivo, ci consente di conoscere il loro mondo interiore e favorisce la relazione tra i partecipanti: perché, affrontando la sfida della malattia, possano continuare a vivere una vita intensa e significativa, integrati nella vita sociale e culturale della comunità85. Questo è l’incipit con il quale si apre la pagina del sito del Museo Marino Marini di Firenze dedicata all’accessibilità museale; L’Arte tra le Mani è il progetto nato nel 2012 e dedicato alle persone con Alzheimer e a chi se ne prende cura. Nato come fase sperimentale da una collaborazione con l’associazione “L’Immaginario” ed alcuni operatori geriatrici, 84 BALZANI I., CARLI BALLOLA L., MEI M., “Una formazione continua. Il progetto A Più Voci della Fondazione Palazzo Strozzi”,in DE CARLI, GILLI, MASCHERONI (a cura di), Una relazione di senso: patrimoni culturali e Alzheimer…, cit., pp. 115-120, citaz. da pag. 120 89 Si ringrazia Cristina Bucci, storica dell’arte, presidente dell’associazione “L’Immaginario” e Project manager del progetto europeo Museum Art & Alzheimer’s, per i materiali forniti utilizzati per la stesura del capitolo; ho avuto modo di conoscerla ed approfondire alcuni aspetti di A Più Voci, il 5 febbraio 2018 tramite videochiamata skype. 85 http://museomarinomarini.it/progetti-di-accessibilita/. (consultato il 10 settembre 2018)

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inizialmente prevedeva due attività rivolte a quattro piccoli gruppi di persone con Alzheimer. Nel 2013 il progetto va avanti, vengono inseriti più gruppi e continuano ad essere sperimentate metodologie alternative all’approccio all’arte contemporanea: “l’obiettivo era creare un percorso per la diffusione di una metodologia di formazione delle competenze in grado di dare davvero un senso alla cultura dell’accoglienza e dell’accessibilità a tutti, in particolar modo in questo caso ai malati di Alzheimer”86. La collaborazione tra educatori geriatrici ed operatori museali ha portato all’individuazione degli obiettivi comuni e alla sperimentazione di diverse attività. Inoltre, dalla fine del 2013 sono stati ideati e sviluppati corsi di formazione e pubblicazioni. In particolare, tra la fine del 2013 e l’inizio del 2014 è stato realizzato un corso per educatori museali ed operatori geriatrici sia professionali che volontari, sostenuto dalla Regione Toscana; l’evento ha avuto una risposta molto positiva tanto che, in seguito ad esso altri 12 musei toscani hanno avviato progetti museali per persone con demenze. Ad ottobre 2016 è stato organizzato un altro corso di formazione basato sulle esperienze fatte dai musei partner internazionali, quelli aderenti al programma MA&A; durante il quale sono stati sperimentati nuovi moduli formativi. La prima attività è stata quella di fare delle interviste aperte ad esperti riguardo la tematica dell’Alzheimer, su quali sono i servizi sul territorio per chi vive con la malattia e su cosa potrebbero offrire i musei. È stato dato spazio anche ai familiari delle persone con Alzheimer, i quali sono stati sottoposti ad una sessione d’interviste, che si è rivelata un momento molto profondo e costruttivo. Inoltre è stata realizzata una sessione dedicata alle tecniche di 86 MANETTI C., “Musei Toscani per l’Alzheimer: le politiche della Regione Toscana per l’inclusione culturale”, in DE CARLI, GILLI, MASCHERONI (a cura di), Una relazione di senso: patrimoni culturali e Alzheimer…, cit., pp. 51-55, citaz. da pag. 51.

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facilitazione durante la quale è stata approfondita la tematica del linguaggio come strumento per superare le difficoltà e i preconcetti, per arrivare ad acquisire un nuovo atteggiamento verso gli anziani e scoprire un metodo alternativo per comunicare con loro. Tutto questo testimonia la volontà di creare una “rete” che coinvolga tutti i musei possibili per andare a creare un sistema museale regionale sensibile alle necessità del proprio territorio e aperto a tutti i potenziali fruitori museali. Non a caso, attualmente la Toscana è la regione italiana all’avanguardia per la divulgazione e promozione di progetti museali dedicati al tema Alzheimer. Per quanto riguarda la programmazione di L’Arte tra le Mani, il primo step è stato quello di formare gli operatori e di coinvolgere in modo attivo i carer, nell’ottica che tutti sono i partecipanti del progetto; questo perché i promotori dell’attività sono “profondamente convinti che nella relazione con le persone con demenza, i carer familiari e anche professionali che si occupano degli anziani quotidianamente siano le persone più esperte”87, ma anche per fare in modo che l’esperienza al museo continui anche dopo la visita, potendo utilizzare gli imput e le modalità di comunicazione apprese anche nella vita di tutti i giorni. Per questo motivo è stato ideato anche “Comunicare con le persone con demenza attraverso l’arte”, un progetto diviso in otto incontri organizzati negli spazi museali per i familiari/ caregiver che si prendono cura delle persone con Alzheimer, per condividere con loro l’idea di una possibilità di comunicazione avente l’arte come protagonista e per immaginare insieme altri approcci e modalità di comunicazione appropriate a delle persone fragili e sensibili. L’approccio su cui si basa L’Arte tra le Mani, pur richiamando metodologie analoghe 87 BUCCI C., LACHI C., “Museums Art & Alzheimer’s. Il progetto europeo del Museo Marino Marini di Firenze”, in DE CARLI, GILLI, MASCHERONI (a cura di), Una relazione di senso: patrimoni culturali e Alzheimer…, cit., pp. 123-130, citaz. pag. 129.

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a TimeSlips o alle attività promosse da Meet Me at MoMA, allo stesso tempo si differenzia da queste per la varietà di laboratori e proposte dedicate agli anziani e, in base a qual è l’approccio utilizzato per avvicinarsi all’opera, la costruzione dell’incontro cambia. L’offerta di A Più Voci prevede che le attività siano: - personali: che offrano qualcosa in cui la persona possa identificarsi, che abbia un significato per lei; - prive di stress: per fare questo le attività devono essere adeguate ai partecipanti e l’ambiente adatto - allegre e gioiose: nella misura in cui devono divertire e far stare bene tutti i partecipanti, anziani e caregiver. Questo non vuol dire che se invece i sentimenti che emergono sono di altro tipo, come tristezza o dolore, vadano ignorati o repressi; - non infantilizzanti: non proponiamo attività infantilizzanti neanche per bambini, dunque facciamo grande attenzione a progettare proposte interessanti e di qualità, a partite dai materiali che scegliamo di utilizzare; - senza sconfitti e vinti: così da consentire a tutti i partecipanti di sentirsi realizzati; - della giusta durata: un processo creativo è fonte di grande gioia e stimolo, ma anche molto stancante. Per questo è necessario imparare a osservare quando i sintomi della stanchezza si fanno sentire, generando insofferenza e voglia di andare via; - infine è importante che le attività abbiano un senso: spesso le attività considerate adatte alle persone con demenza, sono solo ripetitive, facili da realizzare, ma prive di senso88. 88 BUCCI C., et al., “ MA&A Toolkit”, pag. 53. http://www.maaproject.eu/moodle/pluginfile.php/244/mod_label/intro/ output-ITA.pdf

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La prima attività consiste nella creazione collettiva di una storia o di una poesia: la narrazione è un mezzo attraverso il quale ci si può avvicinare all’opera mettendo in gioco emozioni e fantasia, capacità che perdurano nelle persone con Alzheimer. Con la progressione della malattia, dialogare è sempre più un’esperienza negativa per l’anziano che, a lungo andare, smette di parlare arrivando al punto in cui il malato si isola del tutto. L’attività offerta può dunque rappresentare un’opportunità di stimolo alla conversazione; al centro del museo vengono sistemate delle sedie in cerchio, in modo da essere circondati da tutte le opere presenti nel museo, ogni partecipante è invitato a presentarsi dicendo il proprio nome, che verrà poi scritto su un’etichetta che verrà fatta indossare da tutti per facilitare l’instaurarsi di relazioni e far sentire i partecipanti sullo stesso piano. Si racconta il programma dell’incontro, cosa si farà e perché: si osservano le sculture e si parla insieme. Qualsiasi affermazione, emozione, pensiero o sentimento che emergono dalla discussione, vanno bene. Le persone con Alzheimer vanno rispettate e trattate con considerazione; proprio per questo l’opinione di tutti va ascoltata e si cerca di lasciar esprimere in modo libero ciò che provano soprattutto perché l’ascolto costruisce fiducia in sé, ristabilisce la dignità e riduce l’ansia amplificando i sentimenti di gioia. Dopo questo momento iniziale, ci si sposta a coppie verso l’opera scelta per l’incontro per osservarla e guardarla meglio, così da stabilire una specie di contatto con essa. Vengono poste le semplici e buone domande dalle quali s’iniziano a ricevere risposte fondamentali per dare un’interpretazione personale dell’opera e si cerca di richiamare alla mente qualche concetto o impressione emersi nella discussione all’inizio dell’incontro. Durante l’osservazione vengono anche fatti ascoltare dei brani musicali composti appositamente per commentare alcune opere presenti al Museo Marino Marini 87


cercando così di alimentare ancora di più la fantasia degli ospiti così da iniziare a creare una storia collettiva sempre aiutati dalle buone domande.Tutte le parole dette vengono trascritte, ripetute e rilette così da rassicurare le persone e farle sentire importanti così che, piano piano, tutti desiderano dare il proprio contributo alla realizzazione del racconto. Al termine della stesura, il testo viene letto e gli viene dato un titolo. Alcune volte, invece di creare un’opera scritta, si chiede ai visitatori di realizzare insieme una poesia ispirata all’opera osservata; quest’attività viene fatta soprattutto con persone ad uno stadio medio-avanzato della malattia, per le quali la capacità della parola e di esprimere concetti è compromessa. Come prima cosa, al gruppo viene letta una poesia di Roberto Piumini che serve a far capire agli anziani che non viene richiesto loro di essere poeti, ma qualsiasi parola, suono o gesto va bene per la composizione della poesia. Per iniziare si chiede qual è la parola o un gruppo di parole che si potrebbero usare per descrivere l’opera che si sta osservando e poi qual è l’espressione o la sensazione che descrive l’emozione che l’opera suscita in loro e poi un suono, un rumore, una canzone qualsiasi cosa correlata all’opera. Mentre si crea la poesia, si raccolgono tutti questi input e le emozioni si trasformano in parole di accessibilità. La seconda attività prevede il contatto manipolativo con le sculture: l’approccio tattile, a mani nude sull’opera, provoca emozioni profonde e rafforza la capacità di comunicare. n linea generale, in un museo è praticamente sempre proibito toccare gli oggetti d’arte, privando così i visitatori di fare una delle esperienze più emozionanti e intime che si possano fare con un bene carico di storia e significati. Il tatto dovrebbe essere il senso da privilegiare per chi soffre di Alzheimer, malattia che fa perdere la consapevolezza dell’immagine corporea e questo comporta degli effetti devastanti. Inoltre, il tatto è il primo senso ad essere sviluppato dall’uo88


mo e l’ultimo ad essere perso ed è una componente importantissima della comunicazione non verbale. Per tutte queste ragioni, si è deciso d’inserire un’attività tattile tra le attività del Museo Marino Marini, iniziando sempre con il consueto momento di presentazione, durante i quali si scrivono i nomi dei partecipanti e si illustra il programma dell’appuntamento. La visita inizia facendo procedere gli anziani a coppie con il proprio familiare/caregiver, mentre gli operatori museali e geriatrici vagano tra le coppie per stimolare lo scambio di pensieri. Non viene scelta un’opera sulla quale ragionare ma si lascia che ognuno si avvicini e tocchi a mani nude l’opera che più lo attrae o in base al suo interesse. Diverse sono le reazioni delle persone: alcune toccano l’opera con spontaneità mentre altre quasi hanno paura di entrare in contatto fisico con la scultura. Alla fine di questo momento ci si siede sulle solite sedie disposte a cerchio e si condividono le emozioni e sensazioni provate e, dopo aver fatto conversazione, ci si sposta nello spazio del museo adibito a laboratorio per fare un’attività di manipolazione della creta che porta alla creazione di una piccola scultura. Questo momento del “fare” non ha come fine quello di realizzare una propria scultura ma quello di alimentare la relazione tra anziano e chi se ne prende cura: “il fare non è fine a se stesso, ma ha senso se implica anche la comunicazione: condividere emozioni, parlare, contrattare, decidere”89. Una terza attività consiste nel fare movimento e danza: si tratta di un incontro pensato e presentato per promuovere la consapevolezza di sé e del proprio corpo, aiutare ad esprimersi e scoprire nuovi modi per comunicare e relazionarsi con gli altri; inoltre la danza e il movimento sono tematiche ricorrenti nelle opere di Marino Marini. Come consuetudine, all’inizio dell’attività si dà il benvenuto e s’invitano gli ospiti 89 Ivi pag. 37.

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a sedersi al centro del museo nel solito cerchio di sedie dove stavolta sono stati disposti anche degli strumenti musicali. Si spiega il programma dell’incontro, cosa si andrà a fare, gli obiettivi e si presenta il gruppo di lavoro solito al quale, per l’occasione, si vengono ad aggiungere anche un musicoterapeuta ed una danza movimento terapeuta. Viene chiesto agli ospiti di presentarsi, accompagnando con un gesto la pronuncia del proprio nome; successivamente la danza movimento terapeuta inizia “il riscaldamento” fatto di movimenti semplici, lenti e dolci accompagnandosi ogni volta con un diverso strumento. Si parte con i piedi, per poi passare alle gambe, mani e braccia, il busto e finire con la testa; in modo gentile e con delle parole stimolanti, la danzatrice invita gli anziani ed i familiari ad imitarla e a introdurre nuovi movimenti personali, anche questi imitati dal gruppo. L’esercizio continua facendo alzare i partecipanti e spronandoli a muoversi nello spazio a ritmo di musica, così da incrociare le altre persone e le opere: iniziano così a formarsi dei piccoli gruppi, delle coppie, ci sono scambi di sguardi e sorrisi e l’attenzione passa così da sé agli altri e a ciò che c’è intorno. Si torna a sedere, sempre seguendo o inventando dei movimenti piccoli e lenti in modo tale che ciascuno possa compiere il gesto che preferisce. A conclusione, la danzatrice propone di eseguire una piccola coreografia da seduti o in piedi, ispirandosi alle posizioni e ai gesti delle statue osservate prima; danzare tutti insieme è un ottimo modo per far sentire le persone parte di un gruppo unito che si esprime attraverso il movimento. Al termine della danza, si torna in cerchio, ci si prende per mano e ci si saluta. Il ruolo della musica è fondamentale in quest’esercizio poiché essa occupa un posto primario in tutta la nostra esistenza, è parte di noi e i suoni sono conservati nella memoria del nostro corpo in ogni condizione. Una quarta attività consiste in veri e propri Laboratori creativi: durante 90


quest’appuntamento l’attenzione si concentra sulla relazione piuttosto che sull’attività manuale perché fare e creare porta a scoprire nuovi linguaggi e amplia le possibilità di esprimersi. All’interno della realtà museale si potrebbero offrire moltissime attività creative ma l’obiettivo del Museo Marino Marini è quello di creare programmi che siano connessi con le opere conservate nello spazio, e soprattutto che abbiano un senso più profondo rispetto alla mera attività. Ogni incontro inizia con l’osservazione di un’opera e la successiva discussione su di essa, poi ci si trasferisce in una grande stanza allestita come laboratorio con tavoli, sedie e tutto ciò che serve per la realizzazione dell’attività. A volte si è riscontrata difficoltà da parte dei partecipanti a realizzare il proprio lavoro poiché alcuni hanno percepito lo “stress” di dover realizzare un qualcosa e si sono sentiti fuori luogo ed inadeguati nella realtà museale sentendosi circondati da beni di grande valore e pregio. Tuttavia, ciò che conta è il saper tranquillizzare e rassicurare i partecipanti dicendo loro che l’esperienza dovrebbe essere fatta per puro piacere personale e per trovare un’alternativa alla comunicazione fatta solo con le parole. Con L’Arte tra le Mani la Regione Toscana ha deciso di trasformare da sperimentale a sistematico l’intervento a livello di formazione degli operatori museali e di quelli geriatrici, decidendo di finanziare tale formazione con risorse economiche. Grazie a questa lungimirante scelta, sono sempre di più i musei toscani che si aprono alle esperienze dedicate agli anziani con Alzheimer e a chi se ne prende cura, iniziando così a dar vita ad una rete specifica rivolta a questo pubblico speciale. La Regione Toscana ha dedicato una parte del proprio sito proprio a questa rete di musei, elencandoli per provincia e dedicando ad ognuno una pagina, in modo da promuoverla nel migliore dei modi e permettere a tutti i cittadini di reperire facilmente le informazioni di cui hanno bisogno; ad oggi i musei appar91


tenenti alla rete Musei toscani per l’Alzheimer90 sono 28. Tra i musei della rete ne sono stati scelti due, oggetto di analisi dei prossimi due paragrafi: il Museo Civico per la Preistoria di Monte Cetona, per la sua particolare natura museale e il Museo Benozzo Gozzoli e la rete dei musei dell’Empolese Val d’Elsa, per la volontà di creare una rete “nella rete” con l’auspicio di ottenere così una ancor più facile collaborazione tra musei vicini. 4.4. MUSEO CIVICO PER LA PREISTORIA DEL MONTE CETONA: Progetto I Cassetti dei Ricordi91 I Cassetti dei Ricordi è il progetto che il Museo Civico per la Preistoria del Monte Cetona ha ideato in risposta alla proposta pervenuta dalla Regione Toscana di progettare delle attività dedicate a persone con Alzheimer e demenza senile e a tutti coloro che se ne prendono cura o condividono questa realtà. Gli appuntamenti prendono ufficialmente il via nel 2014, dopo aver appositamente preparato gli operatori museali tramite il corso di formazione L’Arte tra le Mani organizzato dall’associazione L’Immaginario e dal Museo Marino Marini. A seguito di tale formazione lo staff del museo ha iniziato a progettare e/o adattare sulle esigenze di questo pubblico le azioni educative del museo. Per realizzare il progetto, oltre alla formazione, di fondamentale importanza è stato il finanziamento da parte del comune di Cetona e il contributo elargito dalla Regione Toscana; inoltre, le collaborazione con l’ASP Istituto Casa Famiglia di Cetona, che gestisce anche il Centro Diurno di Chiusi Città, con il Centro Ricreativo An90 Si veda http://www.regione.toscana.it/-/musei-toscani-per-l-alzheimer. (consultato il 13 settembre 2018). 91 Si ringrazia l’operatrice museale Lucia Burchielli per la disponibilità e la collaborazione; in allegato è stato inserito il questionario da lei compilato, fonte primaria per la stesura del paragrafo.

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ziani di Cetona e la Misericordia di Cetona, hanno fatto si che nascesse uno scambio professionale di conoscenze e di buone pratiche necessario per la buona riuscita dell’esperienza. I Cassetti dei Ricordi non è caratterizzato da uno specifico protocollo ma è stato scelto di seguire principalmente le linee guida del metodo TimeSlips e di documentare ogni incontro con foto, interviste ed osservazione partecipata. L’attività è portata avanti con cadenza annuale principalmente nel periodo primaverile (maggio-giugno), poiché alcuni appuntamenti prevedono uscite all’aperto; in generale il calendario è preventivamente concordato con i diversi soggetti coinvolti, in particolare con la Direzione e gli Operatori dell’Istituto Casa-famiglia e la durata media di ogni incontro è di circa 2 ore. In ogni ciclo è prevista una visita guidata al Museo Civico di Cetona seguita da attività laboratoriali legate a quella che è la natura del museo, quindi manipolazione e utilizzo di materie prime come pietre, argilla, pigmenti, etc. con il fine di entrare in contatto con quelli che sono gli “strumenti” che la natura offre e realizzare un qualcosa con essi. Nell’incontro successivo, viene proposta un’escursione presso il Parco Archeologico Naturalistico del Belvedere, zona strettamente collegata al museo: qui si possono visitare alcune cavità che si aprono nel travertino, utilizzate dagli uomini preistorici per scopi funerari o di culto e si possono ammirare i resti delle abitazioni. Inoltre, questa zona è una sorta di oasi naturalistica poiché, nel corso della storia, gli interventi dell’uomo a discapito della natura sono stati pressoché nulli avendo quindi permesso la creazione di un legame intimo tra elemento storico-archeologico e quello naturalistico. L’attività successiva prevede la visita guidata dell’Archeodromo di Belvedere, un percorso didattico situato non lontano dalla zona archeologica, creato per completare e integrare la visita al Museo e al Parco. Le ambientazioni, le strutture e i manufatti riprodotti si ispira93


no alle due fasi della preistoria meglio documentate in questo territorio: sono stati ricostruiti una parte di un villaggio dell’età del bronzo, con capanne a grandezza naturale e aree per le attività artigianali, e un abitato in grotta del paleolitico medio. I due settori sono collegati da un itinerario nel bosco e lungo la balza rocciosa sovrastante le cavità di Belverde, da cui si gode un ampio panorama sulla Valdichiana. In una apposita area è allestito uno spazio per la simulazione degli scavi archeologici. La visita prende avvio dal Centro servizi del parco, una struttura in cui sono presenti aule per attività didattica, un punto informazioni, sosta e ristoro per i visitatori. Nei vari settori dell’Archeodromo, interamente accessibile ai disabili ad eccezione della grotta, vengono effettuate visite guidate, laboratori tematici, attività di sperimentazione, simulazione e animazione con operatori specializzati92. Tutti gli appuntamenti terminano con una merenda e, in particolare, l’ultimo incontro si conclude con un pranzo offerto dal museo presso il Centro Servizi del Parco di Belvedere, momento conviviale che promuove la socializzazione e l’empatia; al termine degli incontri, viene organizzata ed allestita una mostra presso il Museo Civico e/o l’Istituto Casa Famiglia di Cetona per esporre e far conoscere a tutta la cittadinanza i materiali prodotti durante il laboratorio, le foto ed i video che raccontano momenti di I Cassetti dei Ricordi. Il progetto ha riscosso e riscuote tutt’ora un grande successo, infatti verrà portato avanti anche nei prossimi anni, consolidando sempre di più l’esperienza a livello locale. Le risposte registrate nel corso dello sviluppo delle attività sono risultate piuttosto diversificate: dai primi incontri in cui si registrava una partecipazione occasionale e saltuaria da parte degli anziani, si è passati a stabilire relazioni continuative e durature che hanno 92 http://preistoriacetona.it/, © 2015 Comune di Cetona. (consultato il 14 settembre 2018).

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permesso di far nascere rapporti di fiducia e di affetto tra staff e partecipanti. Dall’osservazione durante i diversi incontri emerge chiaramente come gli ospiti apprezzino ciò che viene proposto loro, in particolar modo l’escursione presso il Parco; anche i familiari hanno dato dei feedback positivi, affermando che le attività proposte costituiscono un momento di svago e di stacco dalla routine quotidiana. Il Museo Civico per la Preistoria del Monte Cetona è l’esempio emblematico di come una realtà museale non ospitante opere d’arte, abbia saputo sfruttare nel migliore dei modi la propria tipicità e il forte legame con il territorio. Le esperienze proposte, in particolare l’escursione e la visita presso l’Archeodromo, sono testimonianza di come, anche zone apparentemente “non ospitali” per le persone in questione, in realtà con le dovute misure di sicurezza diventano luoghi di riscoperta e conoscenza e contribuiscono a rendere la società più amichevole nei confronti della demenza. 4.5. MUSEO BENOZZO GOZZOLI: Progetto Storie ad Arte. Il Museo BeGo di Castelfiorentino per le persone con Alzheimer e chi se ne prende cura93 Il Museo Benozzo Gozzoli di Castelfiorentino è considerato una vera e propria eccellenza italiana in merito alla grande varietà di attività inclusive che propone; prendendo come punti fermi gli obiettivi di accoglienza e accessibilità, il BeGo sviluppa e potenzia i propri strumenti per condividere il suo patrimonio con il maggior numero di utenti possibile, sempre prestando grandissima attenzione alle necessità dei differenti pubblici. 93 Si ringraziano Stefania Bertini ed Alice Vignoli, per la grandissima disponibilità e tutto il materiale tecnico ed informativo fornito per la stesura del capitolo.

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Il concetto di accessibilità, così come lo decliniamo al museo BeGo, non riguarda solo l’attenzione verso le persone con disabilità, ma è un vero e proprio metodo di lavoro; significa prendersi cura di tutte le persone e d’intessere, attraverso l’unicità del proprio patrimonio, relazioni positive con chiunque entri al museo, affinché ogni nostro ospite vi possa accedere e godere. I differenti bisogni di chi si approccia alla collezione museale devono essere interpretati come opportunità positiva di riflessione e di crescita all’interno di azioni progettuali che abbiano valenza culturale, educativa, sociale, inclusiva e dunque a vantaggio di tutti94. Per questo nasce Museo for All, un progetto che raccoglie tutte le attività inclusive che il museo propone a pubblici normalmente “difficilmente raggiungibili” e offrendo appuntamenti diversi in base al cluster individuato. L’obiettivo che lo staff del museo si propone, è quello di diventare un centro di sperimentazione e documentazione sull’accessibilità museale e anche un punto di riferimento fisso per la comunità e il territorio. All’intero di Museo for All, oltre ad attività per persone con disabilità intellettive, progetti di alternanza scuola-lavoro, disponibilità di audio-guide inclusive e percorsi sensoriali-tattili inclusivi, vi è anche “Storie ad Arte. Il Museo BeGo di Castelfiorentino per le persone con Alzheimer e chi se ne prende cura”. Si tratta di uno specifico progetto di inclusione sociale e culturale che coinvolge le persone anziane con Alzheimer, e chi se ne prende cura, in attività di narrazione creativa attraverso le sollecitazioni offerte dal patrimonio del BeGo. Il progetto nasce nel 2014 per la forte spinta del Servizio Educativo a voler partecipare al primo corso di formazione sostenuto dalla Regione Toscana e promosso dall’associazione L’Immaginario di Firenze presso il 94 http://www.museobenozzogozzoli.it/it/museo-for-all.html, © 2018 Museo Benozzo Gozzoli. (consultato il 17 settembre 2018)

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Museo Marino Marini e l’associazione Anna, che aveva come fine quello di formare educatori museali in grado di ideare e realizzare attività nei musei toscani per persone con demenze e chi se ne prende cura. Il progetto Storie ad Arte si propone l’obiettivo di rendere partecipi alle attività e alla vita museale quelle persone che rientrano in una fascia di pubblico che spesso tende ad essere emarginato, sperimentando allo stesso tempo nuove strategie e strumenti per la mediazione del patrimonio museale nei confronti degli anziani. Sicuramente tutto questo è stato possibile grazie alla filosofia seguita dal BeGo che vanta un’esperienza e una visione culturale da sempre attenta all’inclusione sociale e ai processi partecipativi, e al rafforzamento del ruolo del museo come istituzione al servizio di tutti i suoi pubblici. Successivamente al corso di formazione è stato pianificato il progetto che, al momento, è parte integrante dell’offerta dei Servizi Educativi, trovando sostegno anche da parte dell’Amministrazione Comunale e della Fondazione Teatro del Popolo di Castelfiorentino, enti gestori del museo. Da subito sono stati coinvolti anche partner del settore sociosanitario, quali l’ASL Toscana Centro con i Servizi Sociali, le residenze assistenziali del territorio di Castelfiorentino, Montaione, Certaldo, Empoli, Montelupo Fiorentino, due centri diurni di Certaldo e Montelupo Fiorentino e forme di associazionismo locale che si occupano a vario titolo di invecchiamento: AUSER, AVO, Misericordie, Sezione Soci Coop Castelfiorentino e il Sindacato pensionati SPI CGIL. Quest’ultimo punto è di fondamentale rilevanza, poiché la creazione e diffusione di una rete fatta di associazioni di volontariato che si occupano dell’invecchiamento, rappresenta un canale di grandissima importanza per avere un tramite attraverso il quale raggiungere le famiglie del territorio, in modo da permettere a più soggetti possibile di usufruire della proposta fatta dal museo. 97


Un incontro standard prende il via con l’accoglienza, quando gli anziani e i loro accompagnatori vengono accolti amichevolmente nel museo, rispettando i tempi e le esigenze di ciascuno; successivamente ci si sposta in una zona più confortevole dove, seduti in cerchio ci si presenta e si scrivono su etichette adesive che verranno indossate per tutto il tempo dell’incontro. Agli ospiti viene presentato il museo, le opere e viene raccontato qualcosa riguardo all’autore per poi passare ad esplicare cosa verrà fatto e che tutti saranno in grado di farlo perché il museo è un luogo non giudicante e aperto a valorizzare le competenze e capacità di ciascuno. L’incontro continua con il momento dell’osservazione dell’opera scelta ed effettuata seduti di fronte ad essa; in questa fase si ripete qual è il fine dell’incontro e si sottolinea nuovamente che ognuno è libero di esprimere la propria opinione, emozione, sensazione anche attraverso suoni e gesti. Inizia così una conversazione sull’opera e di nuovo si rassicurano gli ospiti sul fatto che non ci sono risposte giuste o sbagliate perché a guidare il dialogo sono la fantasia e la creatività di tutti i partecipanti; ripetere più volte questi concetti è molto importante sia per ridurre un’eventuale stato d’ansia o senso di inadeguatezza dell’anziano e far capire che non ci sono distinzioni tra persone con Alzheimer e accompagnatori ma che tutti sono partecipanti di pari importanza e con le stesse capacità; sia per cercare d’instaurare da subito la comunicazione con il malato il quale, generalmente, tende a non comunicare più con nessuno per paura di sbagliare, isolandosi così nei silenzi e nella solitudine. Osservando l’opera, ciascuno dice quello che vede, esprime il suo parere personale dicendo se gli piace o meno e si passa al commento dei vari elementi che la compongono e s’inizia così a creare una storia. Seguendo il metodo del TimeSlips, un operatore museale scrive tutto ciò che i partecipanti esprimono, rispettando più che può ciò 98


che viene detto, cercando di restituirlo così com’è emerso nel discorso, andando così a creare quella che alla fine sarà una nuova narrazione dell’opera d’arte. Le trascrizioni di queste narrazioni a volte si configurano come delle vere e proprie storie; o hanno i tratti suggestivi di brevi poesie. Alla fine, l’elaborato viene letto ad alta voce e il gruppo deve approvare il lavoro che è emerso dall’osservazione. Di grande importanza è l’atteggiamento che l’operatore deve adottare quando rilegge l’elaborato: mentre interpreta le frasi che compongono la storia, l’operatore guarda negli occhi proprio la persona che l’ha detta così che parole, gesti e suoni vengono convalidati e restituiti e l’anziano si sente adeguato e riconosciuto. Al termine della lettura, il gruppo applaude e l’attività si chiude. Con il passare del tempo le attività si sono evolute ed arricchite, infatti il ciclo d’incontri del 2017 si è concluso con degli appuntamenti sperimentali che hanno avuto come protagonista l’artista Marco Borgianni, con il quale le persone anziane e gli accompagnatori hanno partecipato a delle esperienze d’arte, durante le quali sono state realizzate sei grandi tele collettive. A ciascuno è stata data la possibilità, attraverso il colore, di lasciare una traccia della propria presenza, del proprio esserci. Seccati i colori, Marco Borgianni ha coperto con uno strato nero e omogeneo di tempera ad olio ciascuna tela dipinta e, durante gli incontri successivi, ha invitato tutti a lavorare insieme per togliere, graffiare, asportare, incidere e grattare via quella patina scura. La convinzione che sotto la tempera nera ci sia molto di più di quello che ad un primo sguardo si vede e che valga la pena di adoperarsi per riportarlo alla luce, rivela la possibilità di scoprire nuove forme, nuove immagini, nuove relazioni possibili. Le opere sono state poi esposte in una mostra a loro dedicata, alla quale è stata invitata a partecipare tutta la cittadinanza. Per capire quali sono le risposte dei pazienti che partecipano 99


a tali esperienze, vengono somministrati questionari valutativi alle persone con demenza, a famigliari e caregiver professionali e anche ai cittadini (sia a quelli che conoscono sia a quelli che non conoscono il progetto) per capire l’impatto socio-culturale su scala territoriale. Dall’analisi dei questionari, molto lunga e complessa ed ancora in fase di pubblicazione, emerge che le persone anziane vivono le attività museali come un momento relazionale molto importante; si genera un benessere legato al piacere di trovarsi in un luogo bello, ospitale ed accogliente dove le persone, soprattutto quelle più fragili, non avrebbero modo di accedere senza progetti di questo genere. Da non sottovalutare nemmeno l’impatto che l’esperienza ha anche nel rapporto tra l’anziano e il familiare/caregiver, i quali hanno la possibilità di vivere insieme un momento diverso dalla solita routine assistenziale, scoprendo nuovi modi per vivere il loro rapporto. Riguardo alle persone che vivono in strutture permanenti, molti animatori e operatori geriatrici hanno dichiarato che, al momento del rientro nella struttura, l’anziano porta con sé una sensazione di benessere e spesso ha voglia di tornare al museo. Lo staff del BeGo è entusiasta di come sta andando avanti il progetto e si dichiara volenteroso di continuare a sperimentare nuovi percorsi con altri artisti per estendere l’esperienza ai musei appartenenti al Sistema Museale dell’Empolese Valdelsa- MuDEV Museo Diffuso Empolese Valdelsa. Da dicembre 2016, proprio il MudDEV, ha promosso il progetto “Musei per l’Alzheimer” dando avvio ad iniziative aventi come fine l’accessibilità dei musei alle persone con Alzheimer e chi se ne prende cura. Partito come progetto pilota da dicembre 2016 a maggio 2017, periodo durante il quale sono stati attivati percorsi specificatamente pensati per il pubblico in questione in cinque musei del Museo Diffuso dell’Empolese Valdelsa, grazie ad un corso di formazione rivolto ad operatori ed edu100


catori museali insieme ad esperti del settore geriatrico, che ha permesso allo staff di questi luoghi di apprendere le buone pratiche necessarie per dialogare con queste persone; ad oggi il progetto si è ampliato notevolmente coinvolgendo dodici musei e sette biblioteche. Musei per l’Alzheimer, promosso dal Museo BeGo, dal Comune di Castelfiorentino e dalla Fondazione Teatro del Popolo, è stato inserito nel contesto dei Piani per la Cultura (PIC 2016) ed ha ottenuto il sostegno della Regione Toscana, dell’Unione dei Comuni dell’Empolese Valdelsa, la collaborazione dell’Azienda USL Toscana Centro, di AIMA Firenze ed Empolese Valdelsa, dell’Associazione Anna, della Rete animatori dell’Empolese Valdelsa e della Cooperativa Minerva. La regione Toscana sta lavorando in modo esemplare, tanto che si parla di “Tuscany approach”, tale approccio è caratterizzato da tre punti fondamentali: 1) la realizzazione di un corso di formazione rivolto ai musei riconosciuti di rilevanza regionale, per operatori museali e operatori geriatrici; 2) la possibilità di partecipazione ad attività culturali presso il Museo Marino Marini (luogo di formazione del corso); 3) il tutoraggio nella fase di progettazione delle iniziative in ogni museo coinvolto95. La posizione di avanguardia che contraddistingue la Toscana è frutto di una politica di condivisione e di divulgazione delle esperienze realizzate in alcuni musei e che hanno portato a dei risultati notevoli; inoltre, la qualità dei percorsi di formazione proposti ai diversi staff dei musei permette a quest’ultimi di realizzare delle offerte innovative e ricercate. i è andata così a formare una rete museale capace di diffondere su tutto il territorio la cultura dell’accessibilità, ma anche in grado di riconoscere il proprio ruolo sociale nei confronti della comunità, soprattutto per la parte più fragile di essa. La creazione 95 MANETTI C., “Musei Toscani per l’Alzheimer: le politiche della Regione Toscana per l’inclusione culturale”, cit., pag. 53.

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di tale rete ha fatto sì che per le annualità 2017/2018 venisse inserita una nuova fase del progetto: infatti da gennaio a settembre 2018 sono stati calendarizzati tre incontri al mese per ciascun Comune, suddivisi in due presso gli spazi museali e uno finale presso la biblioteca comunale. È stato creato anche un blog, consultabile al sito https://museiperlalzheimer.com/ che funge da strumento di raccolta, comunicazione e diffusione per le future progettualità. Di grande interesse sono anche le verifiche e le valutazioni che vengono fatte riguardo le attività svolte durante gli incontri, e che rientrano a tutti gli effetti nel progetto poiché sono lo strumento che permette di comprendere quale impatto hanno gli incontri sui partecipanti. Viene fatta una ricerca valutativa ex ante, realizzata in fase di progettazione del gruppo di lavoro, fondamentale per costruire il progetto, impostare le scelte di programmazione e per definire le strategie da utilizzare. Il passo successivo è quello della valutazione in itinere che viene fatta dal gruppo durante lo sviluppo del progetto per capire qual è l’andamento del progetto e far emergere eventuali punti di debolezza che verranno poi analizzati nella fase finale. Infine viene fatta una valutazione ex post, quando il progetto è concluso; tutto il gruppo di lavoro è chiamato a scambiarsi impressioni e feedback riguardanti ciò che è accaduto nei diversi incontri, e vengono anche analizzate le informazioni ottenute dalle valutazioni ex ante e in itinere, fondamentali per non disperdere ciò che si è acquisito durante l’esperienza e per riflettere sul loro valore. I dati sono ancora in fase di analisi e una volta vagliati saranno utilizzati per informare la cittadinanza, e non solo, sul progetto e per diffondere gli esiti tramite la redazione di un resoconto. Concludendo, gli obiettivi che il Sistema Museale Diffuso Empolese Valdelsa vuole raggiungere attraverso il progetto Musei per l’Alzheimer riguardano l’accessibilità 102


museale, ma anche la creazione di attività culturali che diventino un prolungamento dei servizi sociali, integrando il lavoro delle aree socio sanitarie a quello educativoculturale e aprendo la rete ad altre realtà e luoghi della cultura, come le biblioteche, per diffondere i contenuti e gli obiettivi degli incontri e offrire occasioni di scambi e d’incontri con la cittadinanza e la comunità tutta. 4.6. MUSEO DELLE PALAFITTE DI FIAVE’: Progetto T-Essere Memoria96 Di grande interesse è anche il progetto promosso dalla Soprintendenza per i beni culturali della Provincia autonoma di Trento che prende il nome di T-Essere Memoria. Nato a fine 2014 e portato a completa realizzazione nel 2015, ha come obiettivo quello di rendere accessibile alle persone affette da Alzheimer il patrimonio archeologico conservato e valorizzato presso il Museo delle Palafitte di Fiavè. Il primo passo della sperimentazione ha preso avvio con la collaborazione con l’Azienda per i Servizi alla Persona “Margherita Grazioli” di Povo e prevedeva quattro incontri didattici di cui tre nella struttura e uno presso il museo, dove gli anziani sono stati protagonisti di una visita guidata partecipata. Gli incontri sono stati incentrati su attività di manipolazione di repliche facsimilari dei reperti esposti al museo, oppure la visione di immagini e plastici rappresentanti i villaggi palafitticoli; sono state trattate tematiche anche riguardanti il cibo e l’alimentazione nell’Età del Bronzo e, addirittura, gli anziani sono stati accompagnati nella realizzazione di recipienti in ceramica, nella lavorazione delle fibre tessili, del latte e del burro, nella 96 Si ringrazia Luisa Moser, Responsabile dei Servizi Educativi dell’Ufficio beni archeologici della Soprintendenza per i beni culturali della Provincia autonoma di Trento, per la disponibilità e il materiale fornito per la stesura del paragrafo.

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coltivazione, mietitura e macinatura dei cereali. Grazie alla manipolazione di questi strumenti e alle attività pratiche, i pazienti sono stati stimolati alla rievocazione di ricordi e alla condivisione di questi con gli altri partecipanti potendosi riappropriare, anche se solo per qualche momento, del loro passato e del proprio vissuto. Molti degli oggetti e dei reperti utilizzati fanno riemergere nella persona con demenza ricordi ed emozioni in modo immediato e semplice; gli anziani “sono riusciti così a divenire narratori del loro vissuto e mediatori di conoscenze legate alle attività testimoniate dai reperti archeologici”97. La risposta degli anziani è stata molto positiva: essi sono stati protagonisti attivi durante gli incontri sia lavorando singolarmente che in gruppo, e questo ha permesso loro di migliorare l’attenzione e la concentrazione, aumentando anche la propria autostima. Ciò è emerso dai dati dei monitoraggi fatti dal personale assistenziale durante le attività, monitoraggi che hanno messo anche in luce come tali incontri siano stati in grado di favorire socializzazione, interazione fisica e mentale, partecipazione e creatività riducendo fortemente gli stati d’ansia che spesso colpiscono queste persone, accendendo anche reazioni positive perduranti anche post attività. Anche in questo caso, il museo è diventato un forte strumento d’inclusione, accessibile a tutti e capace di mandare un forte messaggio sociale riguardante la possibilità di potersi rendere un luogo utile e di “conforto” anche per quei pubblici che normalmente sono esclusi da tale realtà. Inoltre, dal 2016 è partita una seconda fase di T-Essere Memoria, con la quale si è cercato si sensibilizzare bambini e genitori in merito 97 Brochure T-Essere Memoria, https://www.cultura.trentino.it/Rassegne-concluse/T-esserememoria, © 2014 - 2018 TrentinoCultura - Ideazione e coordinamento a cura del Dipartimento Cultura, Turismo, Promozione e Sport (data ultima consultazione 24 settembre 2018)

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all’attualissimo tema delle demenze e per favorire un incontro tra la generazione dei nonni con quella dei nipoti; sono state coinvolte le classi della scuola primaria di Zivignano e l’Azienda per i Servizi alla Persona “Santo Spirito” di Pergine con riferimento agli ospiti del Nucleo Alzheimer, è la programmazione del progetto ha previsto un “percorso parallelo di analisi e conoscenza di alcune categorie di reperti rinvenuti nel sito palafitticolo di Fiavè e custoditi nel museo, che sono testimonianza di antiche attività, saperi e tecniche”98. La volontà di realizzare quest’ulteriore step in seno a T-Essere Memoria ha preso via dal forte desiderio di dar vita ad un percorso che – partendo dal museo, dalla sua conoscenza e dalle sue funzioni – invitasse i bambini a pensare e realizzare degli strumenti che fossero efficaci mezzi di comunicazione da utilizzare nel museo con le persone colpite dall’Alzhimer o dalla demenza e che perciò hanno difficoltà cognitive e di memoria. Così facendo, anche l’istituzione museale ha avuto modo di far valere la propria importanza sociale mettendosi “in gioco” e sensibilizzando la società riguardo alle persone più fragili. Per portare a compimento tutto ciò, sono stati organizzati sette incontri presso la scuola primaria di Zivignano, il Museo delle Palafitte di Fiavè e l’APSP Santo Spirito di Pergine Valsugana; in parallelo al progetto realizzato con i bambini, ne è stato portato avanti anche un altro con gli ospiti del Nucleo La Sorgente dell’APSP, i quali sono stati guidati da un educatore museale in diversi incontri alla scoperta del Museo. Il percorso per anziani e bambini è stato ideato nel medesimo modo: sono stati proposti gli stessi reperti e laboratori, ovviamente con metodologie didattiche diverse e in momenti non coincidenti; in particolare le attività svolte 98 PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO SOPRINTENDENZA PER I BENI CULTURALI, UFFICIO BENI ARCHEOLOGICI, T-Essere Memoria. Progetto didattico realizzato con la Scuola primaria di Zivignago. Classe seconda. Anno scolastico 2015/2016.

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dagli alunni in classe, con la supervisione di due archeologhe, sono state ripetute in parallelo presso il centro in cui gli anziani sono ospitati. Il primo incontro è servito ai piccoli per conoscere la malattia di Alzheimer attraverso il gioco e la lettura di un racconto, che è stato poi rielaborato per fissare in modo semplice alcuni concetti di grande importanza; è stato poi costruito un “albero della memoria”, strumento molto utile per trattare i temi della memoria e dei ricordi. Le foglie dell’albero erano arricchite dal racconto di alcuni episodi della vita dei bimbi o dalla descrizione delle capacità che secondo loro hanno acquisito nel corso del tempo; stessa cosa è stata fatta dagli anziani, i quali hanno realizzato il proprio albero della memoria con foglie ornate dai loro ricordi e capacità. I due alberi sono stati poi confrontati, facendo così iniziare a lavorare i bambini sul tema della perdita della memoria e cercando di far loro capire quali potrebbero essere le difficoltà che i nonni con Alzheimer incontrano quotidianamente. Successivamente gli scolari si sono recati nella casa di riposo dove sono ospitati gli anziani che stanno facendo lo stesso percorso museale, per conoscerli e dare ad ognuno di loro un disegno rappresentante l’attività svolta in gioventù; poi, insieme, è stata intonata una canzone popolare della zona ed infine è stata fatta una ricca merenda. Il secondo incontro dei bimbi ha trattato la lavorazione dell’argilla nell’antichità, tema introdotto tramite la lettura di una leggenda indiana, alla fine della quale si è passati a parlare dell’argilla, manipolandola e descrivendo oggetti moderni di cui si sono indicati utilizzo e caratteristiche. È stato poi mostrato un plastico rappresentate le palafitte così da introdurre il tema di queste abitazioni, essendo il luogo da cui provengono i reperti che i bambini hanno osservato ed analizzato attraverso schede semistrutturate. Successivamente è stata fatta creare una tavoletta d’argilla da abbellire attraverso tecniche decora106


tive documentate al museo. L’importanza del laboratorio sta nel considerare e far comprendere agli alunni come i reperti siano portatori e strumenti di memoria. Il terzo incontro è stato a sfondo “gastronomico” poiché sono stati preparati pane e burro nello stesso modo e con gli stessi utensili impiegati nelle Palafitte di Fiavè; anche questa volta i bambini hanno lavorato con e su copie di reperti rinvenuti a Fiavè che testimoniano la lavorazione del burro e della produzione di farina per preparare il pane: oggetti che sono stati considerati sempre come portatori di memorie. Così, con le copie degli strumenti, e con tanta volontà, i piccoli hanno montato a mano la panna fino ad ottenere il burro, macinato ed impastato la farina per ottenere una fragrante pagnotta profumata e fatto una buonissima merenda realizzata da loro. Il quarto incontro si è svolto presso il Museo delle Palafitte di Fiavè dove, dopo spiegazione e visita, i bambini hanno realizzato la propria esposizione di oggetti di diverse categorie tutti legati alla loro storia personale ed alla quotidianità, realizzando così il “Museo della nostra storia personale”. L’incontro seguente si è svolto alla torbiera situata vicino al museo e dalla quale provengono i reperti esposti in esso; l’escursione è stata guidata da un esperto ambientale che ha permesso di conoscere in modo approfondito le particolari condizioni ambientali della zona e ha fatto capire quanto sia importante tutelare e conservare l’ambiente in questione: come sotto l’acqua e nella torba è stato trovato un passato lontano, anche nelle menti di certi nonni è nascosto un passato dimenticato ma se cerchiamo bene, lo troviamo nei loro cuori...99. Nel sesto appuntamento sono state recuperate le esperienze su quanto svolto negli incontri precedenti ed è stato realizzato un “intreccio di ricordi”. Gli alunni hanno pensato alle parole chiave che rappresentassero al meglio emozioni, ricordi, ri99 Ibidem.

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flessioni emersi durante le attività svolte, alle quali si sono poi aggiunte altre parole-chiave che narrano il percorso e aiutano a ricordare i vari momenti. Dopo il lavoro sulle keywords, i bambini le hanno scritte su striscioline di cartoncino colorato e intrecciate andando così a formare trama e ordito del telaio della memoria: l’intreccio ricorda che a volte, le parole come i ricordi si sovrappongono nascondendosi a vicenda. Però, se noi smuoviamo la trama le parole riappaiono. Allo stesso modo, le esperienze e i sentimenti del passato che sembrano perduti, possono riaffiorare se opportunamente stimolate100. Il settimo ed ultimo incontro si è tenuto di nuovo presso l’ASPS dove sono ospitati gli anziani, ai quali è stato regalato un grande libro tattile tridimensionale realizzato dai piccoli alunni. Questo è concepito come un vero e proprio strumento che permette di ripercorrere – attraverso disegni, immagini ed oggetti – i momenti laboratoriali vissuti durante gli incontri, cioè quello con l’argilla, quello con il burro e il pane, infine la tessitura. Ciascuna pagina è stata prodotta con materiali, colori e stimoli tattili diversi poiché il vero scopo del libro è quello di stimolare attraverso tatto vista ed olfatto la memoria del malato di Alzheimer, così da cercare di rallentarne la perdita. I bimbi hanno illustrato il libro ai nonni “speciali” che con grande interesse, emozione e curiosità, hanno iniziato a toccarlo, osservarlo e commentarlo. Infine, gli alunni hanno cantato di nuovo la canzone popolare proposta nell’incontro precedente aggiungendo a questa anche il canto “Quel mazolin di fiori”, momento questo che è culminato nel dono ad ogni nonno e nonna di un fiore di campo.Questo percorso è un esempio emblematico di come il museo può rendersi strumento facilitatore per creare reti e collaborazioni a livello sociale, che permettano a persone malate di vivere momenti di serenità lasciandosi per qualche momento alle spalle la rou100 Ibidem.

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tine quotidiana scandita dai ritmi della malattia. In conclusione, va menzionato un festival molto speciale a cui prende parte anche Luisa Moser con il progetto T-Essere Memoria. Si tratta di un festival che dal 2017 dà voce a tutti gli attori che prendono parte alla “stagione di vita” dell’Alzheimer: si chiama Alzheimer Fest!101, ideato e promosso dall’omonima associazione, ed è: Un week-end lungo fatto di incontri, esperienze e (anche) dolce far niente. Un piccolo viaggio per chi raramente riesce a spostarsi. Una festa nazionale dell’Alzheimer. Con la certezza che ciascuno porterà qualcosa, da ogni angolo di mondo, e che ogni arrivo sarà un regalo per tutti. Con il Corriere della Sera a fare da media partner. Con l’AIP, l’Associazione Italiana di Psicogeriatria, come partner scientifico Con la società PLS a curare l’organizzazione. Con le opere di Maurizio Cattelan a fare da magnifico apripista. Con Clet Abraham che ha inventato il simbolo del buffo Mister Alzeimer, che è lì a sorriderci e a ricordarci che dimenticare (l’H in una parola, un volto, una persona) non impedisce alla gente di continuare a vivere! Le persone con demenza e i familiari che vengono all’Alzheimer Fest possono contare su un’organizzazione che vede al primo posto il loro benessere. All’Alzheimer Fest ci piace la vita bella (e dunque anche comoda). Servizio di bus navetta per gli spostamenti dall’albergo ai luoghi dove si svolgono gli eventi, centro “nursery” con medico e operatori a cui rivolgersi per qualsiasi 101 http://www.alzheimerfest.it/,© Copyright Alzheimer Fest.

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difficoltà, personale specializzato pronto a intervenire e risolvere problemi nei vari momenti/luoghi della manifestazione. Andare all’Alzheimer Fest non significa aggiungere un problema alla lista (già lunga) delle difficoltà quotidiane. All’opposto: vuol dire aggiungere un po’ di serenità e tornare a casa ricaricati. Nei colori dell’Alzheimer Fest c’è un incontro tra vari rami di un medesimo albero: la cultura e la salute, il sociale e l’arte, la cura (in inglese “cure” e “care”) e la bellezza. C’è qualcosa di ogni festival che si rispetti: bei paesaggi, musica, teatro, arte, balli, cibo, letture, giochi, discussioni, laboratori, scienza, medicina, preghiere… e tutto “l’altro” che riguarda la vita (non solo) di chi ha poca memoria102. Ogni anno la location cambia: dal 1 al 3 settembre 2017 il Festival è stato organizzato a Gavirate mentre nel 2018, dal 14 al 16 settembre, si è tenuto a Levico Terme riscuotendo in entrambi gli anni una fortissima eco mediatica, a livello nazionale. Le attività proposte sono tantissime e vanno da spettacoli e incontri di approfondimento medico/sanitario e anche riguardanti i diritti giuridici dei malati, passando per laboratori artistici e teatrali, balli, cinema e mostre fotografiche, per finire con l’angolo culinario dove si mangia e si cucina, letteralmente “si mettono le mani in pasta”. Altrettanto numerosi sono i volontari che partecipano, rappresentati non solo dalle persone che quotidianamente hanno a che fare con la malattia ma anche nomi noti in tutto il mondo, come Maurizio Cattelan, Ferdinando Scianna e Shirin Neshat che hanno realizzato delle opere proprio per l’Alzheimer Fest!. Tra i soggetti che hanno aderito all’Associazione Alzheimer Fest! ci sono anche i Musei Toscani con i loro programmi dedicati agli anziani con Alzheimer ed ai loro famigliari/caregiver; 102 http://www.alzheimerfest.it/chi-siamo/, © Copyright Alzheimer Fest. (consultato il 25 settembre 2018).

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inoltre l’Associazione ha sottoscritto, nel 2017, il Manifesto della Carta Alzheimer e Musei103, attraverso la quale musei di tutta Italia s’impegnano ad essere spazi di inclusione, socializzazione e partecipazione, trasformando le istituzioni museali in luoghi dove trasformare la malattia da motivo di esclusione a motivo di riflessione e risorsa. 4.7. L’ESPERIENZA UMBRA: OSSERVAZIONE DIRETTA L’ultima esperienza museale che si andrà ad analizzare è quella promossa dall’Associazione A.M.A.T.A Umbria104 che, da diversi anni, sperimenta interventi psicosociali di impronta artistica e musicale per combattere la demenza. In particolare nel 2016 ha preso vita il progetto pARTEcipo anch’io, svolto con la collaborazione della Facoltà di Gerontologia e Geriatria dell’Università degli Studi di Perugia. Per pARTEcipo anch’io era stato stilato un protocollo con il fine di dare validità scientifica alla ricerca, attraverso una valutazione dei risultati ottenuti dall’esperienza proposta; tale protocollo prevedeva di condurre per una durata di circa 2 ore un massimo di 12 persone con demenza lieve-moderata, accompagnate da personale del servizio e da volontari, davanti a 3/4 opere d’arte illustrate da operatori museali sensibilizzati ad hoc. Ad una settimana di distanza le immagini delle opere vengono rivisitate assieme allo stesso esperto del museo presso il Centro Diurno, in un contesto ambientale familiare che funge da “base sicura”. Proponendo le stesse opere d’arte in due mo103 http://www.alzheimerfest.it/wp-content/uploads/2018/02/144-manifesto-musei-amici-dialzheimer-fest-31-agosto-2017.pdf. (consultato il 30 settembre 2018). 104 Un grande ringraziamento va a Maria Adelaide Aguzzi, Vice Presidente dell’Associazione A.M.A.T.A Umbria; la sua disponibilità e il suo aiuto sono stati di primaria importanza ai fini della partecipazione agli incontri museali, per la stesura del paragrafo e per la realizzazione della tesi. Si ringrazia la Dottoressa Martina Pigliautile, psicologa collaboratrice di A.M.A.T.A.

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menti diversi e in due ambienti differenti s’intende favorire la creazione di una traccia mnesica, seppure di tipo implicito. A due settimane di distanza viene poi effettuato un secondo e ultimo richiamo delle opere, tramite la realizzazione di un cartellone riassuntivo dell’esperienza. Durante il percorso del progetto, gli operatori in équipe (psicologa, infermiera, terapista occupazionale, OSS) compilano una griglia di osservazione per ogni paziente, prendendo in esame aspetti cognitivi, affettivi e comportamentali, e annotando le verbalizzazioni effettuate dalle persone durante gli incontri. Inoltre, un’intervista semistrutturata viene somministrata ai familiari dopo ogni ciclo, per valutare le ricadute ambientali. Due associazioni di volontariato, Alzheimer Uniti Roma e A.M.A.T.A. Umbria, assicurano le azioni di collegamento, sostegno alle persone e supporto allo studio scientifico, che è peraltro totalmente finanziato dalla Fondazione Sanità e Ricerca105. Il Progetto si era dimostrato di grande efficacia ed efficienza ma i risultati ottenuti non sono stati del tutto valutati e al momento non si dispone di una pubblicazione scientifica che permetta di validare ciò che è stato osservato. Tuttavia, l’Associazione A.M.A.T.A. Umbria, oltre alla collaborazione con la Fondazione Roma, ha portato avanti un’attività con alcuni operatori museali dei Servizi Educativi della Galleria Nazionale dell’Umbria di Perugia, è nel 2015 è stato ideato e realizzato il progetto Pilota MeMento, che prevede una serie di attività indirizzate alle persone affette da Alzheimer, ai loro familiari e agli operatori che se ne prendono cura. Non si può non sottolineare il grande ruolo giocato dagli operatori museali che, per poter iniziare e portare avanti queste attività, si sono formati a proprie spese, permettendo così la parteci105 BARTORELLI, S., “Si chiama Gentle Care la nuova arma contro l’Alzheimer”, Notiziario Fondazione Roma, [s.d.], http://www.fondazioneroma.it/notiziario/si-chiama-gentle-care-la-nuovaarma-lalzheimer/ (consultato il 30 settembre 2018).

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pazione delle famiglie e degli anziani a titolo gratuito e senza gravare sui costi del museo. Gli obiettivi di MeMento sono molteplici: innanzitutto si punta a favorire la capacità comunicativa dei malati, attraverso le emozioni e sensazioni che le opere d’arte trasmettono loro e, secondariamente, si cerca di far vivere il museo alle persone malate assieme agli altri visitatori, organizzando gli appuntamenti in orari di apertura del museo così da promuovere una reale integrazione di queste persone che, troppo spesso, vivono in solitudine e non si sentono più parte della società. MeMento è strutturato in due fasi, la prima nella sede del centro diurno dove le operatrici museali si recano a conoscere gli anziani e a farsi conoscere da loro, spiegando l’attività che insieme andranno poi a fare nel museo. Il secondo incontro è appunto nelle sale della Galleria Nazionale dell’Umbria (GNU) dove i partecipanti hanno modo di osservare da vicino un’opera d’arte scelta per l’occasione, davanti alla quale vengono approfonditi dei temi e si realizza un dialogo comune. Recentemente il progetto si è allargato e gli anziani ed i loro caregiver sono ospiti non solo della GNU, ma anche di altri spazi culturali, come il Museo del Capitolo della Cattedrale di San Lorenzo a Perugia. Al riguardo ho avuto la grande ed unica possibilità di poter partecipare come osservatrice agli ultimi due incontri previsti dal calendario delle attività del 2017/2018. Prima di passare alla descrizione dell’osservazione diretta degli appuntamenti sopra citati, è utile analizzare quali sono i passaggi che l’Associazione A.M.A.T.A realizza prima della visita museale. La fase preparatoria prevede un incontro al centro diurno che ha come protagonisti: il gruppo, composto dagli anziani e i familiari/caregiver, che parteciperà all’incontro al museo, la psicologa dell’Associazione e le operatrici museali. In questa fase le operatrici si presentano, raccontano cosa si andrà a fare insieme e anti113


cipano alcune informazioni sull’opera sulla quale andranno a lavorare durante la visita al museo. L’incontro risulta di particolare importanza poiché la conoscenza delle operatrici museali permette agli ospiti di trovarsi più facilmente a loro agio al museo, conoscendo già chi li accoglie quando si recheranno in uno spazio a loro sconosciuto. Si passa ora alla descrizione degli incontri. 4.7.1. INCONTRO ALLA GALLERIA NAZIONALE DELL’UMBRIA (GNU): descrizione oggettiva dell’esperienza del 16 maggio 2018 La mattina dell’incontro gli anziani vengono accompagnati dai propri familiari/caregiver all’appuntamento al museo, che normalmente viene fissato intorno alle 10 in un giorno centrale della settimana. Ci si ritrova tutti fuori, avanti all’ingresso principale dove ad accoglierci ci sono Esmeralda e Giulia, le operatrici museali conosciute nell’incontro precedente e la psicologa dell’Associazione che segue il gruppo in tutte le attività di arte-terapia proposte. Le operatrici, dopo averci dato un caloroso benvenuto chiamando tutti gli ospiti per nome e facendo loro domande amichevoli, ricordano i propri nomi, chi sono, cosa fanno e perché si trovano al museo; detto ciò, tutti insieme entriamo nel museo e veniamo accompagnati direttamente nella sala dov’è collocata l’opera scelta per l’incontro. La sala si presenta già preparata, allestita con sedie disposte su più file sia per gli anziani che per i loro accompagnatori. Dopo aver fatto sedere tutti, le operatrici danno nuovamente il benvenuto, nominano ancora una volta il nome del museo che ci ospita e poi iniziano a parlare in modo molto semplice dell’opera. Come prima cosa viene chiesto se l’opera piace e che emozioni/sensazioni suscita negli spettatori ed iniziano così una serie di “buone domande” in grado di far 114


nascere un dialogo ma, soprattutto, in modo da far quasi immedesimare gli anziani in ciò che stanno osservando, come insegna il metodo TimeSlips. Si fanno domande di qualsiasi genere e, mentre i partecipanti rispondono, una delle due operatrici trascrive tutto quello che viene detto creando così una specie di racconto composto dai pensieri, emozioni e stati d’animo di tutti. Le domande continuano, sia da parte del personale del museo sia da parte della psicologa che – conoscendo bene gli anziani – cerca di stimolarli ulteriormente anche con domande o tematiche riguardanti il loro vissuto. Qualcuno si distrae molto spesso, puntando l’attenzione su altre opere esposte nella sala, chiedendo ripetutamente il nome dell’artista o sollecitando il proprio accompagnatore a tornare a casa ma, nel complesso, la prima parte dell’esperienza è andata bene. Al termine della chiacchierata viene svelato il nome dell’artista dell’opera e il significato di quest’ultima; a questo punto si cambia la disposizione delle sedie, creando un cerchio così che tutti possiamo guardarci in viso e si passa alla seconda parte dell’attività. Innanzitutto, viene letto il testo emerso dagli appunti presi dall’operatrice Esmeralda e, dopo averlo ascoltato, tutti insieme decidono che titolo dargli. È molto emozionante vedere come gli occhi dei partecipanti s’illuminano quando riconoscono che, ciò che Esmeralda sta leggendo, è proprio ciò che loro stessi hanno suggerito: questo metodo di lavoro si rivela un modo efficace per farli sentire importanti e per fargli capire che ciò che dicono è sempre importante. Dopo aver dato il titolo al testo scritto, ad ognuno dei partecipanti viene dato un fascicoletto di fogli: sul fronte del primo foglio è riportata la foto dell’opera, il titolo, l’autore, la data; invece, sul retro, ci sono alcune domande e sul resto dei fogli delle righe per rispondere. I quesiti che vengono posti riguardano le emozioni ma, prima di rispondere, si ripetono le informazioni basilari riguardanti il quadro 115


precedentemente analizzato. Fatto ciò, si passa alle domande: la psicologa legge ad alta voce la prima domanda riguardante il ricordo di un episodio della loro vita durante il quale i nostri ospiti hanno provato un sentimento di rabbia, invitandoli a raccontare agli altri l’episodio in questione. Inizialmente solo i partecipanti più “spigliati” rispondono e raccontano l’accaduto, alcuni hanno bisogno di essere spinti e rassicurati dai propri cari prima di dire qualcosa, mentre altri pur essendo spronati a parlare, non dicono nulla e sono i familiari che raccontano per loro. Comunque la maggior parte riesce a trovare qualcosa da narrare e vengono presentate storie che – dalle liti condominiali, agli sgarbi lavorativi fino ai dispetti tra conoscenti – si rivelano sempre piene di dettagli e anche simpatiche, al punto che alla fine tutte terminano suscitando sempre una risata collettiva. La domanda successiva riguarda invece il racconto di un episodio durante il quale si sono sentiti particolarmente felici e gioiosi; anche qui alcuni partono subito con il racconto, mentre per altri bisogna aspettare qualche momentino in più. I ricordi “più gettonati” riguardano il matrimonio, la nascita dei figli e dei nipoti o il ritorno in patria dopo aver vissuto tanto tempo all’estero. Anche in questo caso è molto toccante ascoltare come vengono raccontati questi pezzi di vita ricchi di sentimento e commozione, non solo per me ma soprattutto per i familiari degli anziani che difficilmente, nella vita quotidiana, riescono a manifestare esplicitamente così tante emozioni e racconti. Alle stesse domande rispondono anche la psicologa e le operatici museali e, così facendo, cercano di far capire agli anziani che tutti sono sullo stesso piano e che l’attività proposta serve per passare del tempo in serenità e fuori dalla solita routine medica. Al termine della lettura delle domande e del giro di risposte, la psicologa invita tutti a mettere per iscritto ciò che hanno raccontato poco prima: con l’aiuto dei propri familiari, alcuni 116


riescono con un po’ di fatica a scrivere, mentre altri si sentono stanchi e preferiscono completare l’attività a casa. Così il fascicoletto dato durante l’incontro viene portato a casa dai partecipanti, in modo da poterlo utilizzare anche tra le mura domestiche per ricordare cosa è stato fatto durante quest’incontro. In ogni appuntamento viene rilasciato un dossier diverso, in modo tale da andare a formare – alla fine dei lavori – un vero e proprio “quaderno” degli appuntamenti al museo da poter utilizzare per sollecitare il ricordo delle attività fatte. Terminato anche il secondo momento, gli anziani vengono ringraziati con affetto dalle operatrici che li accompagnano fino all’uscita; agli accompagnatori viene comunicato che per qualsiasi necessità o suggerimento, il Museo è a loro totale disposizione e ovviamente vengono ringraziati anche loro per la partecipazione. 4.7.2. INCONTRO AL MUSEO DEL CAPITOLO DELLA CATTEDRALE DI SAN LORENZO: descrizione oggettiva dell’esperienza del 23 maggio 2018 Come per l’incontro alla GNU, anche questa volta gli anziani vengono accompagnati al Museo dai propri cari, rispetto all’appuntamento precedente questa volta gli stessi partecipanti sembrano essere più agitati e disorientati. A tale riguardo la psicologa mi spiega che sul comportamento di queste persone incide molto il tempo meteorologico, infatti a differenza dell’ultima volta (in cui il sole splendeva) il 23 maggio è una giornata cupa, è piovuto e sembra di essere in autunno. Una volta arrivati tutti, gli ospiti si raggruppano nel cortile del Museo e poco dopo arriva ad accoglierli l’operatrice. Anche lei si è recata presso il centro diurno per realizzare una fase pre-visita, facendosi conoscere dagli anziani e anticipando loro cosa avrebbero fatto durante l’attività museale. La 117


donna si presenta di nuovo, ricorda a tutti il proprio nome, chiede agli anziani come stanno, e spiega loro dove sono e cosa faranno insieme; entriamo tutti quanti, attraversiamo qualche sala per arrivare in quella dove c’è esposta l’opera oggetto dell’attività. La sala è già predisposta con sedie su due file, i signori ed i familiari sono invitati a sedersi e s’inizia la conversazione riguardante il grande quadro; essendo l’operatrice solo una, sarà la psicologa a trascrivere affermazioni, frasi e parole dette dagli ospiti per poi rileggere tutto alla fine a mo’ di racconto e dare un titolo. S’inizia con le solite buone domande, che servono a stimolare la mente e a “rompere il ghiaccio” e, se durante l’altro incontro si era lavorato molto sui sentimenti, stavolta il filo conduttore è la memoria e il riuscire a ricordare determinate cose attraverso le associazioni. Infatti, l’operatrice museale insiste molto sui dettagli dei personaggi raffigurati, soprattutto per ciò che riguarda il vestiario e gli oggetti rappresentati nelle opere oggetto del lavoro. Come sempre si cerca di stimolare il dialogo e la cosa stupefacente è che molti anziani, che l’altra volta erano poco partecipi, stavolta sono i primi a parlare e a raccontare esperienze personali: la psicologa mi spiega che probabilmente queste persone sono più stimolate dall’opera in questione rispetto a quella analizzata alla GNU. Dopo aver esaminato l’opera in tutte le sue parti e dopo aver dato un nome ai personaggi rappresentati, l’operatrice del museo svela titolo, autore e data del dipinto raccontandone brevemente la storia. Al termine di questo momento, ci spostiamo e andiamo in una grande sala dove ci sono tavolini e sedie; tutti ci sediamo e la psicologa distribuisce ad ognuno il fascicolo dove in copertina è riportata la foto dell’opera e i dettagli, mentre nel retro ci sono alcune domande di memoria alle quali i signori sono invitati a rispondere. L’educatrice dà ancora una volta le informazioni dell’opera e del 118


suo autore e brevemente fa un ripasso in merito al significato della stessa e dei personaggi che la caratterizzano; successivamente la psicologa inizia a leggere la prima domanda ed invita gli ospiti a non dare la risposta, ma a trascriverla in silenzio e così per i quesiti successivi. Le domande riguardano il numero dei personaggi presenti nell’opera, il colore dei loro vestiti, gli oggetti presenti... tutti elementi di cui si è parlato nella prima fase dell’incontro, ma che alcuni dei nostri signori fanno fatica a ricordare. Viene suggerito loro di applicare le tecniche di associazione per dare una risposta, ma è evidente la difficoltà che molti hanno nel portare al termine l’attività, così molti si fanno aiutare dai propri cari mentre altri preferiscono terminare le risposte a casa. L’ultimo momento della mattinata è stato caratterizzato da una merenda offerta dal museo, a seguito della quale i signori sono stati ringraziati ed accompagnati all’uscita dove sono stati invitati caldamente a tornare al museo per realizzare altre attività insieme. 4.7.3. ELEMENTI SPECIFICI DI OGNI ATTIVITA’ Dalle analisi degli incontri, emerge chiaramente che la tecnica della quale prevalentemente ci si avvale durante la prima parte dell’appuntamento è quella di TimeSlips; sempre di più si sta riconoscendo la validità di tale strumento che permette agli anziani di vivere in prima persona la narrazione e la “spiegazione” dell’opera che stanno osservando. Attraverso l’immaginazione e, alcune volte il ricordo, è come se i malati si risvegliassero dallo stato di solitudine e di non comunicazione nel quale cadono sempre di più giorno dopo giorno. La chiave per questo metodo di narrazione è la convalida che i facilitatori danno a tutto quello che dicono le persone affet119


te da demenza. Si guadagnano la fiducia dei partecipanti e li incoraggiano a condividere i doni della loro immaginazione. Ci sono due parti nel processo, creare la storia e condividerla, e per tutto il tempo si sviluppa l’interazione sociale tra il gruppo di persone con demenza. Queste persone sono spesso tagliate fuori da se stesse e dagli altri. Lo storytelling li riunisce e fornisce loro un mezzo di comunicazione106. Come visto anche nelle analisi di altre attività museali, TimeSlips è tra le tecniche più diffuse perché la creatività è un elemento di primaria importanza nella vita, soprattutto in quella degli anziani: per questo motivo è fondamentale stimolarla e renderla uno dei principali elementi delle attività di stimolazione cognitiva. Strettamente connesse con il TimeSlips sono le buone domande, altro strumento utilizzato durante gli incontri presso i musei perugini. Anche queste sono di primaria importanza sia per la stimolazione cognitiva e creativa ma, non di meno, per la validità che danno a ciò che gli ospiti dicono; non essendoci risposte giuste o sbagliate, tutto ciò che viene detto durante l’incontro è spunto di riflessione e di dialogo. Quest’atteggiamento permette agli anziani di aprirsi e dire ciò che vogliono, non avendo il timore di essere ripresi o sgridati come spesso succede nella quotidianità. In particolare, le buone domande sono molto utili con l’anziano in una fase medio-avanzata della malattia, quando la padronanza verbale sta ormai venendo meno e il malato, per paura di dire qualcosa di sbagliato ed essere ripreso, smette di parlare accelerando così il processo di perdita dell’uso della parola. L’ultimo strumento molto importante è il fascicolo che viene distribuito nella seconda parte di ogni appuntamento: è un 106 “Programma TimeSlips aiuta a riconoscere i punti di forza delle persone con demenza”, Associazione Alzheimer Onlus Riese Pio X° (TV), 3 maggio 2012, https://www.alzheimerriese.it/contributi-dal-mondo/ esperienze-e-opinioni/1686-programma-timeslips-aiuta-a-riconoscere-i-punti-di-forza-delle-persone-con-demenza.html, Copyright © 20102018 Associazione Alzheimer onlus. (consultato il 5 ottobre 2018)

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promemoria utilissimo da sfruttare poi in una fase post visita. Le informazioni riportate sulla prima pagina in merito alla data e al luogo dell’incontro e sull’opera permettono all’anziano e al famigliare che lo ha accompagnato, di ricordare l’incontro e parlarne insieme una volta tornati a casa; inoltre conservando tutti i fascicoli, si andrà a creare un quaderno delle visite museali da poter sfogliare e commentare. Anche le attività proposte da questo strumento sono molto importanti, perché possono essere riprese durante la vita quotidiana e utilizzate per far “allenare” la memoria del proprio caro e per ricordare una piacevole esperienza fatta insieme. In generale, tutte le tecniche di stimolazione cognitiva sono un’eccellente palestra per il cervello poiché se regolari e protratte nel tempo, facendo leva sul processo di neuroplasticità, rinforzerebbero le capacità cognitive residue e compenserebbero quelle meno attive perchè poco utilizzate o perchè fisiologicamente deteriorate. A ciò si aggiunge che, come effetto secondario, potenziare l’efficienza cognitiva potrebbe condurre anche a miglioramenti significativi dell’umore e della motivazione individuale107. Non a caso, attualmente queste tecniche sono adottate in ambito museale, ma anche nelle attività praticate de centro diurni e case di riposo dove, sempre di più, s’inizia a comprendere l’importanza e la grande utilità delle attività di stimolazione cognitiva. Tutto ciò è avvalorato da studi clinici riguardanti l’efficacia di tali trattamenti che forniscono “indicazioni chiare sulla efficacia clinica (effectiveness) del trattamento fornito alla specifica persona con demenza lieve per i risultati riscontrati che indicano dei reali cambiamenti positivi nelle sue ca107 PEGGI, M., “La Stimolazione Cognitiva nella demenza: una palestra per il cervello”, State of Mind. Il Giornale delle scienze psicologiche, 10 luglio 2014, http://www.stateofmind.it/2014/07/stimolazione-cognitiva-demenza/, © 2011-2014 State of Mind. (consultato il 5 ottobre 2018)

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pacità cognitive ed affettive”108. Per quanto riguarda invece le fasi organizzative e pratiche delle attività, come accennato in apertura delle descrizioni oggettive degli incontri, l’incontro di previsita viene sempre organizzato presso il centro diurno; è un momento fondamentale poiché è da quest’appuntamento che dipenderà parte della buona riuscita dell’attività al museo. La pre-visita è il momento durante il quale gli attori che andranno a svolgere le attività con gli anziani, si fanno conoscere da questi ultimi, in modo da tranquillizzarli in partenza sul fatto che non andranno a fare nulla di difficile e che non viene richiesta loro nessuna capacità o abilità particolare. È questo il momento in cui si cerca di far capire ai pazienti che il museo li accoglierà con grande piacere, in uno spazio dove anche loro possono e devono sentirsi a casa e parte della società nella quale vivono. Queste sono le pratiche che poi, concretamente, verranno applicate durante la visita vera e propria al museo durante la quale tutto è studiato nei minimi dettagli per far si che gli ospiti si sentano a loro agio, stato d’animo necessario per riuscire a realizzare un’attività bella, efficace ed efficiente. Alcune volte si riesce a realizzare anche un post visita, momento nel quale una delle operatrici museali torna di nuovo nel centro diurno e con la psicologa, i pazienti e i famigliari, si ricorda l’esperienza fatta insieme, si riprendono le domande proposte nel fascicolo e si fanno dei laboratori legati all’opera vista. Purtroppo non sempre si riesce a realizzare anche questo terzo incontro poiché le operatrici museali promuovono e realizzano tali attività totalmente in modo gratuito e volontario perciò spesso per loro è difficile potersi recare in 108 SALOTTI, P., DE SANCTIS, B., Efficacia di un trattamento di riabilitazione cognitiva nella demenza di Alzheimer di tipo lieve: caso clinico, Società Italiana di Gerontologia e Geriatria. Sezione di Geriatria Clinica, 16 giugno 2011, http://www.jgerontology-geriatrics.com/wpcontent/ uploads/2016/02/09Salotti1.pdf. (consultato il 5 ottobre 2018)

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orari di mattina presso il centro diurno; tuttavia questo momento postvisita può essere realizzato in modo autonomo dal famigliare del paziente, sfruttando i fascicoli lasciati durante gli incontri come spunto per stimolare l’anziano a parlare e raccontare dei temi riportati. 4.7.4. CRITICITA’ EVIDENZIATE DAGLI STESSI ATTORI L’utilità e la bellezza delle attività in analisi non possono nascondere quelle che sono le criticità evidenziate dagli attori che quotidianamente lavorano per pianificarle e realizzare e che emergono anche in fase di osservazione. Tra le difficoltà primarie, ovviamente c’è quella del dover raggiungere la sede museale: nello specifico, per il caso dei musei di Perugia, questi sono tutti situati in pieno centro storico, zona poco comoda da raggiungere sia a piedi che in auto poiché non ci sono posti auto comodi nelle vicinanze dei luoghi degli incontri ma anche perché il centro di Perugia è completamente in salita e quindi poco agevole per una persona anziana. L’Associazione A.M.A.T.A. purtroppo non dispone di un pulmino che possa portare gli anziani direttamente alle sedi museali, perciò i familiari si devono organizzare per accompagnare i propri cari, situazione non sempre facile da gestire. Infatti, spesso l’anziano non ha voglia di uscire di casa e non ricorda in modo nitido cosa andrà a fare al museo, quindi può capitare che questi non voglia andare, rifiutando di vestirsi, di uscire di casa e negando il fatto di essersi recato lì già altre volte e di aver vissuto un’esperienza piacevole. Spesso, perciò, è difficile per il familiare convincere e rassicurare il proprio parente riguardo all’esperienza proposta e può capitare che qualcuno non si presenti all’incontro o che arrivi con grande ritardo. Giocano un ruolo decisivo sulla quali123


tà dell’esperienza anche i fattori meteorologici e ambientali come il clima e la fase della giornata: personalmente ho potuto constatare come all’arrivo del primo incontro, tenutosi in una mattinata di sole e con un clima primaverile, tutti i signori e le signore erano entusiasti di essere usciti di casa per recarsi al museo, arrivando sorridenti e contenti. Il secondo incontro, avvenuto in una giornata praticamente autunnale, è stato caratterizzato inizialmente da una situazione meno rilassata, molti degli ospiti sono arrivati arrabbiati o scontenti e poco propensi a svolgere qualsiasi tipo di attività. Ma quella che senza dubbio può essere considerata la problematica più grande e di difficile risoluzione riguarda l’aspetto economico; tutte le associazioni del territorio cercano di reperire fondi attraverso attività o donazioni, ma purtroppo le somme ottenute non bastano mai. Per quanto possibile si usufruisce dell’immenso aiuto dei volontari, grazie ai quali prendono vita la maggior parte dei progetti e delle attività proposte, come appunto per il caso in oggetto delle attività museali, che a Perugia sono nate e realizzate grazie alla volontà e passione delle educatrici che, a proprie spese si sono formate e si stanno formando per portare avanti questi incontri; inoltre, le ore durante le quali fanno le attività con i malati di Alzheimer all’interno del museo, sono anche queste considerate pratica di volontariato. Tuttavia ci sarebbe bisogno di una maggiore partecipazione da parte della realtà pubbliche e statali, tramite una maggiore erogazione di fondi da investire per andare a risolvere alcune delle criticità evidenziate, ma anche per approfondire gli studi e ufficializzare i risultati dei casi analizzati in merito alla grandissima efficacia delle attività di museoterapia, delle pratiche e tecniche non farmacologiche. Ci sarebbe bisogno di un forte investimento da destinare anche alla formazione dell’educatore museale che, per pratiche d’inclusione come quelle in analisi, necessita di una prepara124


zione anche di stampo clinico e geriatrico da dover compiere in affiancamento a specialisti del settore. Non basta avere la capacità di saper spiegare un’opera, è necessario e indispensabile conoscere le tecniche di comunicazione da usare con chi soffre di demenza, sapere come approcciarsi attraverso i gesti e i movimenti, imparare a gestire una situazione durante la quale è possibile che un partecipante non voglia stare lì perché non si sente a suo agio e quindi inizia ad agitarsi e ad assumere comportamenti involontari, provare a capire cosa prova il malato di Alzheimer e cercare di agire in modo da regalargli quale ora di benessere e serenità. 4.7.5. IL PUNTO DI VISTA DEI FAMILIARI Durante la disamina è più volte emerso il ruolo dei familiari/caregiver che seguono gli anziani e che, insieme a loro, partecipano agli incontri museali. Durante le attività che ho avuto modo di osservare, ho potuto personalmente chiedere loro cosa pensano del progetto e soprattutto se e quali benefici riscontrano in ciò che viene proposto. Tutti sono più che d’accordo sul fatto che queste attività riescono a stimolare nei propri cari capacità che nella vita quotidiana sembrano aver ormai perduto, che il benessere che si genera durante le ore trascorse al museo è “di lunga durata” poiché continua anche dopo la visita e, anche quando a distanza di tempo vengono ripresi i fascicoletti museali, ricordare l’esperienza e ripetere le attività indicate apporta grande entusiasmo e gioia negli anziani. Durante gli incontri gli ospiti raccontano ricordi o episodi di vita in un modo così dettagliato da emozionare i loro famigliari a punto tale in quel momento molti non sembrano più essere malati di Alzheimer, ma si divertono e comunicano molto anche tra di loro. L’incontro al museo rappresenta un momento di grande importanza sociale an125


che per il familiare che accompagna il malato poiché ha la possibilità di viverci insieme momenti diversi rispetto alla solita routine caratterizzata dalla malattia, ma anche perché ha modo di confrontarsi con gli altri familiari trovando in loro un vero e proprio gruppo di supporto con il quale aprirsi e condividere i propri dubbi e dolori. 4.7.6. IL PUNTO DI VISTA DEGLI PSICOLOGI Le esperienze sopra descritte e le attività di stimolazione cognitiva osservate vengono considerate dagli psicologi molto utili e portatrici di grandi benefici. Infatti, nonostante i passi avanti compiuti dalla medicina, al momento le terapie farmacologiche prescritte per i malati di Alzheimer non danno i risultati sperati e offrono effetti solo parzialmente positivi. Ovviamente la stimolazione cognitiva non si pone l’obiettivo di curare il paziente ma mira a sollecitare le capacità residue e a rallentare il più possibile il progredire della malattia, cercando allo stesso tempo di ottenere un livello di qualità di vita il più alto possibile. Nello specifico, gli ambiti sui quali vanno ad agire le attività oggetto di questa ricerca, sono i seguenti: - aggiungere il miglior livello funzionale possibile; - rallentare il decadimento cognitivo; - contrastare la tendenza all’isolamento nel contesto familiare e sociale; - contenere i disturbi comportamentali; - ridurre lo stress assistenziale; - ritardare l’istituzionalizzazione109. 109 PISACRETA F., “Demenza: la Terapia di Stimolazione Cognitiva”, Hafricah, 15 gennaio 2017, http://www.hafricah.net/demenza-la-terapia-di-stimolazione-cognitiva/, Copyright © Hafricah.Net 2016. (consultato il 7 ottobre 2018)

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Focalizzarsi su questi elementi permette di aiutare l’anziano in tutti gli aspetti della sua vita e anche della malattia, promuovendo attività che stimolano la mente e la memoria e mirano a far riaffiorare ricordi e suscitano esperienze emozionali nei pazienti: proprio il “donare” emozioni a persone che soffrono d’Alzheimer è fondamentale per creare una forma di comunicazione. Inoltre, spesso le attività di stimolazione cognitiva sono proposte da realizzare in gruppo e anche questo è un fattore molto rilevante: ritornare a far parte di un gruppo è importantissimo per l’anziano che, in questo modo, si sente meno solo e soprattutto “accettato”. Proprio per questo le attività di museoterapia sono proposte collettive, da far fare agli anziani accompagnati dai propri familiari/caregiver in modo da creare un ambiente sereno in cui tutti possono dire ciò che vogliono ed esprimersi nella maniera che più ritengono opportuna: per questo si punta molto ad abbinare la stimolazione cognitiva a laboratori in cui fare arte (di qualsiasi genere) che costituisce il mezzo di espressione per eccellenza. Infatti l’elaborato artistico che si realizza durante questi momenti rappresenta un tramite, un mezzo di comunicazione tra l’anziano, il familiare/caregiver e il gruppo: vivendo insieme realmente l’esperienza creativa, risuonano dentro tutti i partecipanti le emozioni dell’anziano: la relazione nasce attraverso la condivisione di un codice, che è unico e irripetibile per ognuno. [...] L’arte, in tutte le sue forme, restituisce un senso ed un linguaggio ad esperienze ritenute ormai perdute alla vita, le dà una forma attraverso un processo creativo. L’opera è l’immagine dei pensieri e delle emozioni espresse attraverso i codici dell’arte. L’osservazione e la decodifica del linguaggio formale sono due dei diversi ingredienti che caratterizzano queste esperienze110. 110 SALZA C., Arteterapia e Alzheimer, Como, NodoLibri, 2007, pp. 24-25. 127


Le attività sopra esaminate contengono, di fatto, tutte le “componenti chiave” che Katie Stringer ha individuato per progettare specifici programmi per anziani con demenze, ovvero: 1. Sensibilità e Consapevolezza: La formazione è essenziale affinché il personale del museo sia a conoscenza delle tecniche per fornire un ambiente sicuro e accogliente. 2. Pianificazione e Comunicazione: la pianificazione e la comunicazione sono fondamentali per preparare il personale, gli educatori e i visitatori in modo che sappiano cosa aspettarsi durante l’incontro. 3. Sincronizzazione: ogni parte della visita non dovrebbe durare più di trenta minuti. Ciò offre l’opportunità di porre domande e conoscere un determinato argomento, ma non è così prolungato da far perdere l’interesse ai visitatori 4. Interazione: interagire con gli operatori museali e anche con altri visitatori del museo può aiutare gli anziani a socializzare. 5. Focalizzazione sull’oggetto e sulla stimolazione della memoria: connessioni fisiche con il passato e domande che coinvolgono i visitatori sono più utili di una lezione o una dimostrazione generale. 6. Struttura: un ordine del giorno o un programma è importante per lo staff e i visitatori per organizzarsi e realizzare tutti gli obiettivi prefissati. 7. Flessibilità: gli operatori museali dovrebbero essere in grado di adattarsi alle esigenze dei visitatori e ai loro interessi e abilità. In generale, le risposte che emergono dai programmi per anziani con Alzheimer ed i loro familiari/caregiver sono straor128


dinarie: incontrando i bisogni di questa parte di pubblico così fragile, il museo diventa simbolo di una nuova relazione con la comunità, sviluppando programmi significativi e specializzati per soddisfare le esigenze di una parte della popolazione che troppo spesso viene dimenticata. I pazienti che prendono parte a queste attività a cadenza regolare dimostrano di aver avuto effetti positivi che ricadono non solo sulle abilità cognitive ma anche sullo stato affettivo e, in generale, sulla qualità della vita e sui rapporti con i propri cari. Inoltre, evidenti ripercussioni benefiche sono state evidenziate anche su altri aspetti della vita, primo tra tutti quello della solitudine.

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5. LESSON LEARNED. COSA ABBIAMO IMPARATO Dalle esperienze di museoterapia sopra descritte emergono quelle che sono le tecniche e gli strumenti di maggiore successo e in grado di apportare grandi benefici agli anziani affetti dalle varie forme di demenza senile. Sicuramente, la tecnica che per eccellenza risulta essere il più efficace e di conseguenza il più utilizzato è quello del TimeSlips: attraverso la stimolazione dell’immaginazione e della creatività, gli anziani inventano storie e, senza sforzi, spesso ricordano fatti legati alla propria esistenza. Le loro “storie sono piene di fantasie poetiche che riflettono le loro paure, speranze, rimorsi, umori e sogni e ci concedono un’occasione di capire chi sono e di condividere il loro sguardo sul mondo”111. Anche a livello prettamente pratico, TimeSlips è molto utilizzato per i suoi costi pressoché nulli e per la facilità di realizzazione; risulta essere uno strumento di grande praticità anche perché può essere adattato in qualsiasi realtà museale, “personalizzandolo” come si ritiene più utile ed opportuno. Per quanto riguarda i modelli operativi, sicuramente i più efficaci sono quelli che prevedono la strutturazione dell’intervento in 4 momenti o fasi: 1. pre-visita presso il centro diurno o casa di riposo: è fondamentale per far conoscere gli operatori museali agli anziani e viceversa e anche per tranquillizzare in partenza chi parteciperà all’attività sul fatto che non sarà nulla di difficile o complesso; 2. visita al museo: è il cuore dell’attività, è il momento in cui verranno utilizzate le tecniche, gli strumenti e le buone maniere progettate e precedentemente analizzate; 3. post-visita presso il centro diurno o la casa di riposo: è il

111 FONDAZIONE FRANCESCHINI ONLUS, TimeSlips. Il Tempo Scivola, http://www.fondazionefranceschi.org/time_slips_convegno.html, ©2007 Puzzled. (consultato il 9 ottobre 2018).

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momento conclusivo di tutta l’esperienza, molto importante anche per capire se i partecipanti ricordano qualcosa di quello che è stato visto o fatto al museo. 4. verifica e valutazione: sarebbe opportuno documentare tutte le fasi degli incontri e anche sottoporre a dei questionari di “valutazione” sia gli anziani, che i loro familiari/caregiver per avere un quadro il più dettagliato possibile in merito agli “effetti” delle attività proposte. Sarebbe auspicabile affiancare alla valutazione di questi dati, uno studio scientifico che possa avvalorare i risultati ottenuti. Attraverso un’organizzazione pianificata secondo questo schema, sarà più facile raggiungere gli obiettivi prefissati e riuscire a realizzare un’attività efficace e ben gestita. Inoltre, un buon modello operativo, per essere tale, non può fare a meno della presenza di esperti dell’ambito geriatrico e sanitario, sia in fase di progettazione che nel momento dell’attività vera e propria. Lo scambio di saperi e di pratiche tra la realtà sanitaria e quella museale è uno degli elementi assolutamente fondamentali per realizzare attività specificamente dedicate agli anziani con Alzheimer: il continuo aggiornamento, lavorare in gruppo, pianificare insieme, sono parti essenziali per una buona progettazione; senza di queste, si rischia di realizzare un progetto o un’attività scarsa e poco produttiva. In questo scenario, a fare realmente la differenza è il fattore economico: purtroppo spesso accade che dei buoni progetti vengano realizzati solo in parte o che, proprio per mancanza di fondi economici, siano addirittura sospesi. La questione non è di poco conto, basti pensare al caso di Perugia dove le operatrici museali si sono formate a proprie spese per portare avanti attività di cui possano beneficiare gli anziani. Per questo è fondamentale avere un sostegno economico solido e soprattutto continuativo, per dare vita a progetti capaci di apportare concretamente benefici positivi ai malati e alle loro famiglie. Alla 131


luce di tutto ciò, si vuole ora fare un ragionamento su quali potrebbero essere le caratteristiche e le potenzialità di una futura progettazione di attività per anziani con Alzheimer e familiari/caregiver, da poter attuare al Museo della Scuola “Paolo e Ornella Ricca”. 5.1. UN MODELLO OPERATIVO DI VISITA: DA LIVERPOOL AL TUSCANY APPROACH Le due realtà prese di riferimento per la progettazione sono il Progetto House of Memory promosso dal National Museums di Liverpool e la Tuscany Approach, ovvero l’approccio adottato dalla Regione Toscana per diffondere e continuare a praticare le attività dedicate a persone con Alzheimer. I motivi per i quali questi progetti sono stati ritenuti dei validi modelli sono da ravvisare innanzitutto sull’ottimo livello di organizzazione e gestione, sull’uso intelligente e sostenibile di supporti tecnologici e anche sul fatto che a tali progetti appartengono realtà museali non necessariamente ospitanti opere d’arte, come accade appunto per il Museo della Scuola “Paolo e Ornella Ricca” che è nato per raccogliere le numerose collezioni di materiali scolastici donate all’Università dell’Ottocento e del Novecento, progetta ed offre una serie di attività e laboratori didattici finalizzati a far conoscere ai bambini di oggi – e a far ricordare ai bambini un po’ meno giovani – com’era la scuola di un tempo. Ma anche per imparare cose in modo nuovo, mettendosi giocosamente alla prova112. Tornando ai modelli presi da esempio, si vanno ora ad approfondire le motivazioni che hanno portato a tale “scelta”. Per quanto riguarda la realtà di Liverpool, la buona pratica esaminata suscita particolare interesse per l’uso esemplare che viene fatto del mondo digitale e degli ausili tecnologici, che 112 http://museodellascuola.unimc.it/ (consultato il 9 ottobre 2018).

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hanno permesso di realizzare attività dedicate ad un pubblico che, in linea di massima, ha poco o nulla che fare con la tecnologia. La possibilità di poter scaricare l’App My House of Memories su smartphone o tablet è un’innovazione assoluta e di grande praticità, che può essere facilmente gestita dai familiari e dai caregiver degli anziani. Oltre a tutti i benefici dell’App in oggetto (e già analizzati nel terzo capitolo dell’elaborato), un elemento rilevante è il fatto che l’App può essere proficuamente utilizzata anche da coloro che non possono recarsi fisicamente al museo a causa della malattia. Gli ideatori del progetto e dell’App connessa hanno infatti realizzato attività che permettono di utilizzare gli oggetti esposti nel museo (e caricati anche in formato digitale) come “portatori di storie”; in aggiunta, la possibilità di fotografare e caricare le proprie immagini rappresenta un ulteriore passaggio di grande importanza perché il poter personalizzare lo strumento fa si che l’anziano possa “affrontare” le tematiche a lui più consone attraverso le foto. In merito, invece, all’approccio utilizzato dalla Regione Toscana – detto appunto Tuscany Approach – questo viene preso come esempio per la qualità e diffusione della rete che è stata creata per realizzare in forma capillare su tutto il territorio toscano progetti specificamente dedicati agli anziani con Alzheimer e ai loro caregiver. L’eccellenza sta nella capacità di portare avanti una strategia culturale condivisa a livello museale e a livello socio-politico: grazie al sostegno economico stanziato dalla Regione, sono sempre di più i musei presenti sul territorio che decidono di realizzare un’offerta culturale dedicata al fragile pubblico oggetto di quest’analisi. Il fatto che la Regione Toscana abbia compreso la validità e, soprattutto, l’importanza di queste pratiche museali dovrebbe fungere da esempio anche per le altre regioni italiane che investono troppo poco o, molto spesso, non investono affatto in attività aventi come fine questo genere di forma di inclu133


sione sociale. Per promuovere appieno le attività per anziani con Alzheimer e sensibilizzare la società nei confronti di questa tematica, costituire una rete rappresenta la soluzione migliore per le diverse realtà museali; in questo modo possono essere scambiate esperienze, impressioni, buone pratiche e tecniche, collaborando per un obiettivo comune. Considerato tutto ciò e sulla base delle caratteristiche che caratterizzano la realtà del Museo della Scuola, è stato ideato un modello operativo in grado di raggiungere gli obiettivi più volte citati, usando alcune delle best practice analizzate e valorizzando le unicità contenute nel Museo. L’idea ha l’obiettivo di sviluppare processi di inclusione sociale e culturale per anziani con Alzheimer ed i loro caregiver. Il fine è quello di dare a questa categoria speciale di fruitori la possibilità di accedere al patrimonio culturale e sentirsi parte integrante della comunità, vedendo restituita la propria dignità di persona che esce dalla solitudine della malattia e torna a vivere nel contesto sociale. L’esperienza sarà condivisa con i familiari/caregiver, così da rafforzare il rapporto tra l’anziano e chi se ne prende cura tramite nuove possibilità di comunicazione, migliorando il livello di qualità della vita di entrambi. L’ipotesi progettuale prevede l’articolazione dell’attività in 4 fasi: 1. Fase pre-visita: incontro conoscitivo con gli anziani ed i familiari/caregiver in casa di riposo o al centro diurno. 2. Incontro al museo con assistenti e caregiver, dove verrà fatta una visita guidata stimolando la conversazione e il ricordo attraverso l’ausilio di un album digitale di foto d’epoca di argomento scolastico ed appositamente creato. Durante l’incontro verrà effettuata un’analisi dei comportamenti e delle risposte date dai pazienti. Al termine della visita verranno somministrati questionari agli accompagnatori e realizzate 134


interviste agli anziani. Per quanto riguarda quest’ultimo strumento – ampiamente impiegato non solo nella storiografia orale ma anche, più recentemente, nella ricerca storico-educativa – è bene realizzare un’intervista strutturata così da non confondere troppo l’anziano che accetta di essere intervistato; soprattutto bisogna sempre tener presente che anche “l’intervista è una forma d’interazione sociale e come tale include valori, norme e aspettative; essa presume inoltre un rapporto paritario tra i due soggetti, se non nelle funzioni, sicuramente nella dignità e nell’essenzialità di entrambe le presenze”113: un rapporto paritario che dovrà essere particolarmente rispettato nel caso del malato di Alzheimer il quale, come abbiamo visto, si trova in una condizione di grande soggezione psicologica. È molto importante anche il linguaggio che viene utilizzato, essendo il mezzo attraverso il quale si comunica con una persona che probabilmente non avrà la nostra stessa percezione della realtà. 3. Incontri post visita museale, in casa di riposo o al centro diurno, durante i quali verranno ricordate le esperienze al museo e manipolati oggetti provenienti dallo stesso, in grado di stimolare la creatività e la fantasia, suscitando ricordi e dialoghi, grazie all’ausilio di una Loan Box. 4. Analisi dei risultati dei questionari, dalle interviste e delle analisi in itinere, per comprendere i benefici ottenuti dalle attività proposte. Per ciò che riguarda le tecniche da impiegare, quelle ritenute più idonee riguardano l’utilizzo di un album fotografico digitale attraverso il quale vengono osservate delle foto riguardanti la scuola e che hanno la funzione di stimolare i ricordi 113 ZAMPERLIN, P., “La Fonte orale negli studi storico educativi” in Ead., Storia della scuola, https://www.musei.unipd.it/sites/musei.unipd.it/files/ istruzioni%20interviste%20primaria.pdf (consultato il 9 ottobre 2018).

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autobiografici e incoraggiare una conversazione spontanea. Un’altra tecnica da impiegare riguarda gli esercizi di stimolazione cognitiva: sfruttando gli oggetti della collezione museale, gli anziani sono accompagnati nell’osservazione partecipata e vengono spronati a formulare opinioni, raccontare ricordi e aneddoti, o a dare risposte a domande (aperte) appositamente poste loro dagli operatori. In questa fase è auspicabile far interagire gli ospiti con gli oggetti del museo anche a livello tattile e manipolativo: il tipo di allestimento e la natura stessa della collezione del Museo della Scuola fa si che gli anziani siano invogliati a toccare e manipolare gli oggetti che, normalmente, potrebbero ammirare solo visivamente. Anche durante gli incontri post-visita, gli anziani potranno avere l’opportunità di manipolare questi stessi oggetti – resi accessibili con apposita Loan Box – e fare giochi di memoria che richiamino gli oggetti già osservati nel corso della precedente visita museale, come esercizio di potenziamento della memoria a breve termine e come forma di rinforzo positivo all’esperienza del museo. È auspicabile che il Progetto e le attività proposte durante la sua durata siano realizzati in collaborazione con specialisti del settore geriatrico e psicologico, in modo da poter certificare anche in ambito clinico i risultati ottenuti e, così, dimostrare oggettivamente la validità di una terapia non farmacologica qual è la museoterapia per malati di Alzheimer. 5.2. STRUMENTI: LOAN BOX Nell’ambito museale il poter toccare le opere, o maneggiarle, è per lo più un qualcosa di impensabile. Seguendo prevalentemente quelle che sono le necessità connesse ai (fondamentali) imperativi della tutela e conservazione, quasi nessun museo permette ai propri pubblici e fruitori di poter tocca136


re con mano i beni esposti. A rinforzare questo approccio, contribuisce la diffusa sottovalutazione dell’importanza del senso del tatto e dei benefici che l’esplorazione tattile apporta su determinati cluster, non solo ai non vedenti, ma anche a bambini ed anziani. In generale, il poter entrare in contatto con un’opera d’arte procura a qualsiasi visitatore museale delle sensazioni che la semplice osservazione, o visita guidata, non potrebbero mai regalare. Tuttavia negli ultimi anni si è iniziato a prendere in considerazione questo “fattore” in ambito museale, cominciando così ad affrontare molti problemi legati all’accessibilità; sono stati pubblicati una serie di studi e ricerche che tendono a mettere in luce delle valutazioni sperimentali riguardo gli aspetti sensoriali del tatto in unione ad una valutazione scientifica delle caratteristiche più “estetiche” degli oggetti, dei materiali e delle superfici che caratterizzano un’opera o un bene culturale che solo attraverso il “tocco” possono essere scoperte ed apprezzate. Naturalmente si è consapevoli del fatto che le fondamentali misure di prevenzione per la conservazione e la tutela del patrimonio impediscono oggettivamente di rendere fruibile al tatto una gran parte dei reperti e dei beni musealizzati; tuttavia, ciò non costituisce un ostacolo, ma anzi rende auspicabile, a che si realizzino delle copie facsimilari degli oggetti culturali ritenuti più idonei ai fini della fruizione tattile. Vediamo un grande potenziale di ricerca nell’approccio scientifico allo studio dei fattori di livello superiore che influenzano la percezione tattile [...]. Attraverso la cooperazione e il dialogo costruttivo tra le diverse discipline interessate al tema dell’accrescimento dell’accessibilità si raggiungeranno alcune soluzioni tangibili ai problemi attuali affrontati dai curatori di musei e gallerie. Negli anni a venire, speriamo di vedere le ricerche che iniziano a studiare e sviluppare repliche tattili progettate per migliorare le esperienze educative ed estetiche 137


sia dei visitatori vedenti e no, di musei e di gallerie114. In particolare, per il paziente con Alzheimer il contatto diretto è uno stimolo al tatto che permette di esplorare un oggetto non appartenente a quelli della quotidianità, in tutte le sue forme e sfaccettature. Questa forma di stimolazione cognitiva è perfettamente adattabile ed utilizzabile sia presso il Museo della Scuola, sia al di fuori di esso attraverso l’ausilio di una Loan Box – intesa come “una raccolta di oggetti museali disponibili come risorsa di sensibilizzazione”115. Un’esperienza simile è già stata realizzata nel 2009 presso il presso il CEINCE Centro Internazionale per la Cultura Scolastica di Berlanga de Duero (Soria – Spagna) con alcuni gruppi di anziani malati di Alzheimer: attraverso l’utilizzo di oggetti, immagini, suoni ed elementi della scuola frequentata durante la loro giovinezza, queste persone sono state stimolate al dialogo e al ricordo. L’analisi svolta a conclusione di quel progetto ha dimostrato: a) la possibilità di attivazione tramite stimoli appropriati di vecchi ricordi scolastici in questo caso; b) la nascita di un atteggiamento narrativo nei soggetti; c) il potere stimolante del materiale scolastico in relazione ai meccanismi cognitivi, psicomotori ed espressivi; d) la ri-socializzazione e l’interattività dei ricordi personali degli altri membri del gruppo; 114 SPENCE, C., GALLACE, A., “Making Sense of Touch”, in CHATTERJEE, H.J., (edited by), Touch in Museums. Policy and Practice in Object Handling, Oxford, Berg Pub. Ltd., 2008, pp. 2135, citaz. da pag. 35. Traduzione mia. 115 CHATTERJEE, H.J., NOBLE, G.,“Object Therapy: a student-selected component exploring the potential of museum object handling as an enrichment activity for patients in hospital”, in Global Journal of Health Science, vol. 1, num. 2, 2009, p. 43.

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e) la creazione di nuove situazioni di socialità che migliorano il campo della memoria116. Durante le attività gli anziani sono stati registrati e, dalle riprese, si vede chiaramente come i soggetti raccontino l’utilizzo che facevano degli oggetti; inoltre, i ricordi d’infanzia che riaffiorano nel vedere e maneggiare elementi legati a quando andavano a scuola, dà vita ad una specie di narrativa collettiva che ha degli effetti benefici su tutto il gruppo: Nel processo registrato, è stato possibile osservare un notevole miglioramento del clima affettivo-sociale del gruppo, l’espressività linguistica, le capacità motorie e il comportamento generale di ciascuno dei soggetti124. Tutto ciò rappresenta un’ulteriore conferma di come gli oggetti, se usati nel giusto modo, possono essere un ottimo tramite per apportare benefici a queste persone. Non a caso questa tecnica, che è stata definita Object Therapy117, è alla base della realizzazione della Loan Box da usare prevalentemente fuori dagli spazi museali: un esperimento intrapreso dagli studenti di medicina dell’University College London, ha dimostrato come l’utilizzo in un contesto ospedaliero di Loan Box museali ha migliorato gli standard della qualità della vita di 24 pazienti sottoposti a questo genere di “terapia museale”. Ad ogni paziente è stata fornita una scatola contenente oggetti museali tra cui reperti di storia naturale, manufatti archeologici e piccole opere d’arte, presi in prestito presso il UCL Museums & Collections118. Gli studenti si 116 BENITO, A.E., “Màs allà del espasmo del presente. La escuela como memoria”, Rèvista Història da Educação, vol. 15, n. 33, 2011, pp. 10-30, citaz. da pag. 26. 124 Ibidem. 117 CHATTERJEE, H. J., NOBLE, G., “Object Therapy: a student-selected component exploring the potential of museum object handling a san enrichment activity for patients in hospital” , cit., p.118. 118 Sito istituzionale: https://www.ucl.ac.uk/culture/.

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sono recati più volte presso l’ospedale portando la scatola e assistendo al momento della manipolazione degli oggetti, registrando i commenti e le parole dei pazienti. I dati emersi sono di grande interesse giacché lo studio ha dimostrato che quest’attività è stata di grande arricchimento per i malati e ha migliorato la qualità della vita del paziente durante la sua degenza ospedaliera. Lo strumento della Loan Box risulta, pertanto, perfetto da utilizzare durante il postvisita del progetto del Museo della Scuola “Paolo e Ornella Ricca”: gli oggetti esposti presso lo spazio museale si prestano perfettamente allo scopo e la scatola potrebbe contenere pennini di vario tipo, cannucce diverse, boccette d’inchiostro, un calamaio e un quadernino nero – oltre al tablet per sfogliare l’album digitale. 5.3. STRUMENTI: IMMAGINI FOTOGRAFICHE Quando si inizia ad andare incontro alla perdita di memoria, ci si avvicina a quella che poi diventerà a tutti gli effetti la perdita di sé stessi: non si comprende più la propria quotidianità, non si riconoscono le persone amate fino a quel momento, non si riconosce più la persona che fino a poco fa si è stati né tanto meno quella che si è ora. Questo, in modo estremamente semplificato, è ciò che un malato di Alzheimer vive costantemente, un continuo essere in bilico tra l’esserci e il non esserci, in quella che viene definita “la morte in vita”. Difficile anche spiegare cosa si provi o quali siano le sensazioni del malato, possiamo farcene un’idea ripensando alla sensazione di straniamento che abbiamo provato svegliandoci di soprassalto dopo esserci addormentati davanti al televisore: per alcuni secondi non abbiamo la cognizione del tempo e neppure del luogo in cui ci troviamo, ci sentiamo persi in un limbo indistinto, ma è soltanto un momento: per un malato 140


di Alzheimer, invece, questo si ripete tante e tante volte, per minuti ed ore119. Come già detto, ad oggi la malattia è inguaribile ma curabile allo scopo di rallentare l’avanzamento dei sintomi più eclatanti. Proprio intorno a questa tematica sta cambiando la concezione della cura che attualmente inizia a mettere al centro dell’attenzione non più il malato ma la persona. L’attenzione è posta sulla formazione dei malati, dei famigliari dei caregiver e di tutti gli attori della società, con lo scopo ultimo di garantire, a chi ha a che fare in modo diretto o indiretto con la malattia, una buona qualità della vita. Ai farmaci e alle terapie, che vengono somministrati per lo più quando i sintomi sono ben presenti e visibili o nello stadio finale della malattia, s’iniziano ad affiancare le terapie non farmacologiche basate principalmente su attività di stimolazione psicocognitiva, tra le quali rientra anche la Fototerapia che si può definire: una disciplina che consiste nell’utilizzo dell’agire fotografico a scopo formativo, terapeutico e riabilitativo, in cui la fotografia emerge come strumento di comunicazione piuttosto che come espressione o forma d’arte applicato su sé stessa o sugli altri120 La fototerapia affonda le radici nella fine dell’800 e oltre ad aiutare ad indagare nel proprio mondo emozionale, risulta di grande aiuto “in soggetti nei quali la comunicazione verbale è fisicamente o mentalmente limitata, sui soggetti emarginati a livello socio- culturale e sulle minoranze di genere”121. 119 ALASTRA, V., Alzheimer: un viaggio a più voci, Milano, Franco Angeli, 2016, p. 26. 120 SUSSARELLU, M.G., “Il linguaggio emotivo dell’immagine come strumento di cura possibile: la Foto Terapia”, in Mediterraneaoline.eu. Mensile di cultura mediterranea, 24 settembre 2014, http://www.mediterraneaonline.eu/il-linguaggio-emotivo-dellimmagine-come-strumento-di-curapossibile-la-foto-terapia, © mediterraneaonline.eu. (consultato il 13 febbraio 2018) 121 Ibidem.

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La fotografia, come concetto ed oggetto, è legata alla memoria e alla comunicazione tanto che ancora oggi, in quella che viene definita Era Digitale, è riconosciuta come la più potente forma espressiva. Ciò è testimoniato anche dal fatto che molti medici e psicanalisti illustri, come Freud, hanno utilizzato questo strumento. Le prime testimonianze sull’utilizzo della fotografia in questo senso risalgono al 1856 ad opera dello psichiatra e fotografo Hugh Welc Diamond; successivamente, negli anni ’20, lo psicanalista Abram Kardiner apporta la novità di utilizzare per la prima volta l’immagine a scopo riabilitativo. Negli anni ’70 e ’80 alla fotografia si inizia ad affiancare l’uso di altri materiali per stimolare il paziente all’interazione, come ad esempio oggetti presenti nelle foto. Particolarmente importanti sono il lavoro e la ricerca svolti dalla psicanalista Linda Berman che insieme alla psicologa Judy Weiser, individua nella fotografia il mezzo per analizzare le proprie emozioni, l’approccio con essa e il nucleo famigliare di appartenenza, riconoscendo all’immagine potere espressivo, forza evocativa, la facoltà di suscitare memorie, emozioni represse, attribuendo alle fotografie personali il merito di facilitare l’analisi del proprio cosmo emozionale. [...] La fotografia, quindi come manifestazione del mondo, un diario personale che nel suo manifestarsi riporta alla luce attimi cruciali, stati psicologici, difficoltà emotive130. Esistono diverse tecniche di utilizzo della Fototerapia, tutte basate sulla considerazione dell’oggetto foto come “catalizzatore nella comunicazione terapeutica”122. Infatti, le foto fungono in qualche modo da “impronte visive” della propria esistenza, e non importa se il soggetto ritratto nella foto sia il 122 WEISER, J., Tecniche di Fototerapia in Counseling e Psicoterapia, https://phototherapycentre.com/italian/ , Site © Copyright © Judy Weiser 2001-2018. (consultato il 22 febbraio 2018)

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malato stesso o siano degli estranei, ciò che conta è la capacità della foto di suscitare sensazioni, ricordi ed emozioni personali ma che spesso sono scivolate via dalla memoria, infatti: il vero significato di una foto qualsiasi si trova meno nei suoi aspetti visivi che nell’evocazione che i dettagli suscitano nella mente e nel cuore di ogni osservatore. Mentre si guarda una foto, una persona in realtà crea spontaneamente il significato che ritiene provenire dalla foto stessa, e questo significato può essere diverso da quello che il fotografo intendeva trasmettere. Perciò, il significato (e il linguaggio emotivo) di una foto dipende piuttosto da chi la osserva, perché la percezione individuale e l’esperienza di vita di ognuno incorniciano e definiscono quello che si “vede” come reale132. Quindi le foto si profilano come uno strumento privilegiato e come la strada maestra da seguire per ritrovare emozioni, situazioni, sentimenti e memorie ma, soprattutto, per poterli ricordare e comunicare. 5.3.1. TECNICHE DI FOTOTERAPIA Come già accennato, esistono principalmente cinque tecniche di Fototerapia, nate sulla base del tipo di foto che viene utilizzata. Spesso queste pratiche vengono combinate tra di loro, così come vengono affiancate da altre appartenenti al mondo dell’Arteterapia e altre terapie del genere. Le tecniche sono: 1. utilizzo di foto scattate dal paziente; 2. utilizzo di foto che hanno come soggetto il paziente; 3. utilizzo di foto che il paziente fa a sé stesso, una sorta di autoritratto; 4. utilizzo di album di famiglia o di collezioni di foto: 143


5. utilizzo di foto-proiezioni. In particolare, quest’ultima tecnica: utilizza il meccanismo fenomenologico secondo cui il significato di qualsiasi foto è in primo luogo creato dall’osservatore durante il processo di percezione dell’immagine. L’atto di guardare qualsiasi immagine fotografica produce delle percezioni e reazioni che vengono proiettate (da qui il termine foto-proiezione) dal mondo interiore della persona sulla realtà e che determina così il senso che viene dato a ciò che si vede. Perciò questa tecnica non si basa su un tipo specifico di foto ma piuttosto sull’interfaccia meno tangibile tra una foto e il suo osservatore o creatore, lo “spazio” in cui ogni persona forma le proprie originali risposte a ciò che vede. È necessario soffermarsi su tale passaggio per un’approfondita riflessione: la fotoproiezione si ricollega alle conclusioni tratte dal lavoro fatto dalla Berman, ossia al concetto di fotografia intesa come “diario personale” e al fatto che il significato di una foto dipende da chi la osserva. Su questa tecnica si basa la realizzazione del prototipo di Album Digitale per il Museo della Scuola “Paolo e Ornella Ricca”, il quale nasce sia per essere proiettato grazie all’ausilio della L.I.M. (lavagna interattiva multimediale) e quindi fruito in gruppo nel museo, sia per essere utilizzato singolarmente tramite un tablet sempre all’interno del museo o al di fuori di questo, insieme ad altri oggetti d’epoca riguardanti la storia della scuola. Grande interesse suscita la trasformazione di un oggetto personale, quale l’album dei ricordi e della propria vita, in un qualcosa che favorisca la condivisione e l’aggregazione, elementi che hanno portato alla decisione di utilizzare la L.I.M. . Questo strumento contribuisce a creare un ambiente di condivisione e dialogo: proiettando la foto, infatti, in ogni paziente torneranno a vivere automaticamente diverse memorie ed emozioni, accomunate tra loro da un’esperienza condivisa che la 144


foto ha fatto ricordare. In conclusione, è d’obbligo una considerazione sul possibile utilizzo delle tecnologie delle quali attualmente si dispone: è facilmente constatabile che si possono sfruttare in modo determinante tali innovazioni a vantaggio della Fototerapia e della creazione di contenuti digitali ed interattivi, da impiegare in ambito terapeutico, artistico e museale, come accade per House of Memory e l’app connessa al progetto. 5.3.2. L’ALBUM DIGITALE Per creare l’Album Digitale sono state utilizzate e “rivisitate” delle linee guida già impiegate in esperienze molto simili, come quella nel Museum of Lakeland Life and Industry in Kendal, Inghilterra: qui un lascito di negativi e foto che documentano decenni di vita quotidiana di quei luoghi, dalle tecniche di coltivazione antiquate ai paesaggi meravigliosi, sono stati usati come catalizzatore per aiutare un gruppo di persone che vivono con demenza a ricordare le loro vite123. Altra fonte importante è stata l’Alzheimer’s Association che, tra i diversi consigli che riporta per i caregiver e famigliari del malato, ribadisce più volte l’importanza della condivisione dei ricordi e dell’incoraggiamento alla conversazione; da qui il suggerimento di creare insieme al paziente un album fotografico in cui egli possa ritrovarsi e riconoscersi. In particolare, vengono fornite dieci indicazioni su come redigere il suddetto album, quali: 1. Organizzare le foto in ordine cronologico. Gli album fotografici possono essere ottimi strumenti per mostrare la storia di una persona. Il suggerimento è quello di partire dall’inizio 123 HEYDEN, T., “The old photos helping trigger memories in people with dementia”, BBC Magazine, http://www.bbc.com/news/magazine-29596805, 14 ottobre 2014, Copyright © 2018 BBC (consultato il 25 febbraio 2018)

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della vita per arrivare fino ai giorni nostri, cercando di organizzare l’album intorno ai momenti chiave e concentrandosi su occasioni felici. Inoltre, è importante mantenere un design semplice, con una o due immagini per pagina, in modo che le foto siano facili da mettere a fuoco. 2. Mostrare relazioni. Per aiutare a stimolare il riconoscimento dei membri della famiglia, dedicare una sezione a ciascuna persona. È consigliabile scegliere foto che includano la persona con il familiare in diversi momenti della vita e posizionarle in ordine cronologico. 3. Selezionare momenti significativi. Assicurarsi di includere foto che riflettono i momenti di vita significativi della persona e che descrivano i suoi hobby o attività preferiti. 4. Rendere la creazione un’attività. E’ fondamentale lavorare con l’individuo in modo appropriato per creare il foto-libro e condividere ricordi e conversazioni mentre lo si realizza insieme. 5. Partecipare alla conversazione. Un altro aspetto importante è quello delle domande: queste dovrebbero essere aperte su persone o eventi ritratti nella foto, ad esempio: Come ti sentivi in quella foto? Parlami di tuo fratello. Quali sono alcune delle tue storie d’infanzia preferite? Dimmi di più su questa immagine. 6. Condividere i propri ricordi. Come parte della conversazione, anche chi aiuta l’anziano nella realizzazione, dovrebbe condividere ricordi e sentimenti quando si guardano le immagini, magari rispondendo ad alcune delle stesse domande che si stanno facendo alla persona malata di Alzheimer. 7. Collegare, non correggere. Questo concetto ha un significato più profondo del dover fare una connessione tra la fotografia ed il ricordo per poi condividerlo. Bisogna concentrarsi 146


sul dialogo e sul rapporto con la persona, non correggendola quando, nel raccontare qualcosa, potrebbe fare confusione tra le proprie memorie. 8. Utilizzare l’album frequentemente. E’ importante tornare spesso a “fare visita” ai ricordi usando le foto; ciò deve essere fatto con le tempistiche che meglio si addicono al nostro caro. Può essere giornaliero o settimanale, a seconda della persona. 9. Mescolare. Non bisogna vedere e parlare della stessa serie di foto settimana dopo settimana. Per mantenere tale attività stimolante e interessante, si suggerisce di utilizzare regolarmente l’album, ma in una sequenza ogni volta diversa o incrementando nuove foto che rappresentano persone ed eventi nuovi. 10. Utilizzare un ritmo confortevole. Si dovrebbe dare importanza a ciò che il malato dice o a come si comporta per valutare il suo livello di interesse e determinare come procedere nell’attività 124. Perciò, dopo aver attentamente analizzato e riflettuto su tali linee organizzative, la realizzazione del nostro strumento è partita da una prima selezione di fotografie storico-scolastiche realizzata dalla prof.ssa Marta Brunelli e ricavate dalla banca dati DIA del portale INDIRE136. Sulla base di precise indicazioni, si è proceduto a integrare quella prima selezione con una nuova serie di fotografie risalenti agli anni ’40, tutte in bianco e nero, riguardanti la scuola e momenti di condivisione ad essa correlati. Si è cercato di prediligere foto che ritraessero situazioni facilmente vissute da tutti – e che, come 124 THE ALZHEIMER’S ASSOCIATION, “10 ways to use the power of photos for Dementia care”, Alzheimer’s & Dementia Weekly. Support & Insight for the Autumn of life, http://www.alzheimersweekly.com/2015/08/10ways-to-use-power-of-photos-for.html, 19 giugno 2017, © Copyright 2007 - 2018: Alzheimer’s Weekly. (data ultima consultazione 25 febbraio 2018) http://www.indire.it/dia/.

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tali, potessero svolgere il ruolo di “oggetti sociali”, cioè potenzialmente capaci di coinvolgere in un’interazione discorsiva coloro che le guardano e che vi riconoscono un’esperienza appartenente al comune immaginario scolastico125. In questa tipologia rientrano le foto che, ad esempio, ritraggono il gruppo in classe, il momento della scrittura con il pennino, i giochi in cortile o la punizione. Successivamente, le stesse sono state disposte in una presentazione, tramite pc, secondo un ordine “cronologico scolastico” ossia partendo dalla foto del primo giorno di scuola per arrivare a quella della gita finale, intervallandole con un breve testo scritto che richiama alcuni elementi immortalati usati per fare domande o come spunto per argomenti di conversazione. L’utilizzo del computer permette di poter rendere l’album alquanto “verosimile”, infatti si è potuta mantenere una grafica non distante dalla realtà realizzando una copertina dai colori molto vicini a quelli dei raccoglitori in pelle, con le pagine del caratteristico colore bianco, ingiallito dal passare del tempo e dall’usura. Le fotografie inserite sono state rese in grandi dimensioni e in alta definizione, ognuna chiaramente intitolata così da collocare sin da subito nello spazio e nel tempo, l’evento che immortala. Come anticipato, ci sono anche brevi testi che distanziano le foto e redatti in forma discorsiva e narrativa, come se uno dei bambini fotografati raccontasse ciò che è rappresentato e facesse in prima persona le domande al “pubblico”. Questo escamotage mira a stimolare l’avvio di un’interazione dialogica, con l’operatore o all’interno del gruppo, proprio perché 125 BRUNELLI, M., “Las fotografías escolares como “objetos sociales”. Primeras reflexiones sobre el uso educativo y social del patrimonio fotográfico en el museo de la escuela” in: A.M. BADANELLI RUBIO, M. POVEDA SANZ y C. RODRÍGUEZ GUERRERO (COORD.), Pedagogía museística: Prácticas, usos didácticos e investigación del patrimonio educativo. Actas de VI Jornadas Científicas de la Sociedad Española para el Estudio del Patrimonio Histórico Educativo, Madrid, Universidad Complutense de Madrid, pp. 203-217.

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l’Album nasce per essere proiettato al Museo della Scuola in momenti di condivisione quando, dopo la visita, seguendo lo storytelling che lo strumento stesso propone, gli anziani possono confrontarsi, ricordare e raccontare ognuno il proprio vissuto di scuola stimolandosi così a vicenda. Quando l’utilizzo dello strumento avviene in centri diurni o in case di cura al di fuori del Museo, ci si potrà avvalere del supporto di un tablet e della Loan Box; in tal caso viene meno la proiezione video ma, attraverso la manipolazione degli oggetti del museo e con l’ausilio delle domande suggerite dal “racconto” del nostro Album Digitale, gli anziani potranno interagire direttamente con il passato e potenzialmente essere stimolati a ricordare e raccontare la propria infanzia di scolari.

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6. CONCLUSIONI Attraverso la disamina dei progetti e delle attività promosse per anziani con Alzheimer e chi se ne prende cura, si è cercato di rispondere ai quesiti iniziali in merito a come il museo può migliorare la qualità di vita di un individuo e la differenza che i musei possono fare nella società. Dalle esperienze realizzate – a livello nazionale e internazionale – è emerso il concreto ruolo culturale e sociale che i musei possono svolgere a supporto dei pubblici più sensibili ed emarginati, per i quali vengono studiati progetti ed attività ad hoc al fine di integrarli nella comunità e innalzare il loro livello di qualità della vita. Diversi studi hanno evidenziato che grandi risultati sono stati ottenuti da quelle realtà e strutture per anziani che sono riuscite a organizzare progetti di inclusione in collaborazione con le diverse realtà del territorio. La formula del successo si riscontra nella combinazione tra la politica adottata dalle strutture e la connessione con i servizi ideati e proposti dal territorio. Per le persone malate e con disabilità è importantissimo essere protagonisti di attività d’inclusione sociale poiché, sentendosi accettati e parte della comunità, automaticamente migliora il loro benessere fisico, le relazioni interpersonali e l’autodeterminazione. Di grande rilievo risulta anche il poter entrare in contatto e frequentare una rete sociale che non comprenda solo persone con disabilità, ma che permetta di entrare a contatto con la società nel suo complesso e garantendo così un’inclusione di fatto. Le attività museali costituiscono, da questo punto di vista, il perfetto esempio. Infatti, come elementi alla base del concetto dell’inclusione sociale sono stati individuati la partecipazione e l’integrazione sociale necessari per comprendere la reale necessità di aprire le vite di queste persone anche a spazi diversi rispetto ai luoghi in cui vivono: 150


l’aspetto che i professionisti hanno rimarcato, con maggiore intensità e frequenza, attiene la partecipazione ad attività fuori dalla struttura di accoglienza e con persone esterne al centro diurno o residenziale. [...] È stata identificata la necessità, per i disabili delle strutture, di poter frequentare ristoranti, bar, cinema, piscine e spiagge. L’inclusione sarebbe realizzabile, da un lato creando le opportunità di partecipazione delle persone con disabilità, dall’altro, offrendo l’occasione, alla stessa rete sociale, di vedere, accettare, mettersi in relazione con persone diverse, superando, così, stereotipi e immaginari irreali degli adulti con disabilità126. Riteniamo che, tra le attività “fuori della struttura di accoglienza” appena elencate, rientrino a pieno titolo anche quelle proposte dai musei per migliorare il livello della qualità della vita degli anziani con Alzheimer e di chi se ne prende cura. A ciò si aggiunga il valore intrinseco che l’arte e la cultura, in tutte le loro forme, hanno sia per lo sviluppo di attività cognitive, ma anche per coltivare relazioni sociali intense e, finalmente, per la formazione della persona in senso lato. Tutto questo porta ad un’ulteriore riflessione se il legame tra arte [cultura] e benessere è così forte, le singole città dovrebbero fare di più per aiutare gli anziani a sviluppare e a coltivare tali interessi. Come? Promuovendo e pubblicizzando in maniera adeguata eventi su misura per loro, garantendo una rete di trasporti urbani efficiente per permettere a chi non guida più di raggiungere facilmente teatri, cinema e musei e, perché no, suggerire ai medici di consigliare l’arte come terapia di sostegno127. 126 GIACONI, C., Qualità della vita e adulti con disabilità. Percorsi di ricerca e prospettive inclusive, Milano, Franco Angeli, 2015, pag. 69. 127 ASTARITA, C., “Così la cultura salva la vita. Ecco come cinema, teatro, arte e fotografia migliorano la qualità della vita degli anziani”, Panorama, 15 giugno 2018, https://www.panorama.it/cultura/cosi-la-cultura-salva-la-vita/, © 2008 Arnoldo Mondadori Editore Spa. (consultato il

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Il patrimonio culturale, e le istituzioni dedite alla sua conservazione e valorizzazione, devono diventare sempre pià elementi portatori di benessere per tutta la società e, in particolare, per i soggetti più deboli e fragili: per questo è giusto parlare di welfare culturale. Il termine, in tempi passati trattato più come “curiosità” piuttosto che come campo di reale interesse su scala internazionale, sta iniziando ad essere oggetto di approfondimenti mirati sullo scenario delle politiche sociali e culturali nazionali e internazionali. In verità questo recente interesse nei confronti del welfare culturale non è una sorpresa: i concetti alla base di esso, ossia salute, qualità della vita e benessere, sono gli stessi obiettivi che ritroviamo in tutte le agende politiche; la differenza sta nel mezzo attraverso il quale raggiungerli. La “sfida” sta nel riuscire a considerare le arti e la cultura come fonti importanti del benessere umano, integrandole nelle pratiche politiche di welfare e quindi nelle politiche sociali e nella salute pubblica; infatti parlare di welfare culturale vuol dire, in ultima analisi, inserire in modo appropriato ed efficace i processi di produzione e disseminazione culturale all’interno di un sistema di welfare e quindi farli diventare parte integrante dei servizi socioassistenziali e sanitari che garantiscono ai cittadini le forme di cura e accompagnamento necessarie al superamento di criticità legate alla salute, all’invecchiamento, alle disabilità, all’integrazione sociale e a tutte le problematiche a cui si associa il riconoscimento di un dovere di tutela sociale128. Il problema che si presenta con maggiore frequenza e facilità riguarda, come emerso anche nel corso dell’elaborato, i fondi e i finanziamenti per poter realizzare e portare avanti 16 ottobre 2018) 128 SACCO, P.L., “Appunti per una definizione di welfare culturale”, Il Giornale delle Fondazioni, http://www.ilgiornaledellefondazioni.com/ content/appunti-una-definizione-di-welfare-culturale-1, Fondazione Venezia 2000 (consultato il 15 ottobre 2018).

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le attività nel migliore dei modi e in forma continuativa, trasformando così un’iniziativa sporadica in un’iniziativa stabile e, possibilmente, incorporata nei servizi di cura alla persona. Proprio per questo motivo, sarebbe auspicabile che tutte le esperienze di questo genere promosse in ambito museale, venissero portate all’attenzione delle istituzioni locali e nazionali per testimoniare la volontà di voler agire realmente in questo contesto ma anche per ottenere il necessario appoggio economico. Proprio riguardo alle esperienze ed attività promosse, l’Italia si sta dimostrando una delle nazioni più attive sotto quest’aspetto ma essendo per lo più progetti promossi da musei o realtà culturali, il suo essere così “produttiva” si arresta di fronte al muro rappresentato dal mancato riconoscimento a livello istituzionale. Inoltre bisogna anche considerare che alla base di un approccio ben organizzato e funzionale deve esserci uno staff che sia preparato non solo in ambito museale ma anche nel campo clinico, cioè che sia consapevole delle caratteristiche e delle necessità proprie dei malati di Alzheimer. Per questo si insiste molto sulla collaborazione tra mondo scientifico e culturale e sullo scambio di saperi e conoscenze, anche perché queste attività museali inclusive esistono da diversi anni, ma se non vengono collocate in una strategia precisa per specifici problemi di benessere, c’è il rischio che non riescano ad esprimere il loro potenziale ed esaurire nel tempo la loro spinta innovativa, senza riuscire a radicarsi profondamente nel tessuto sociale ed istituzionale. Pertanto non possiamo accontentarci di una raccolta di esperienza degne di nota per poter parlare, per ciò stesso, di welfare culturale come di una realtà pienamente realizzato129. La creazione di questo dialogo tra le parti risulta essere uno dei nodi più difficili da sciogliere poiché c’è bisogno di supe129 SACCO, P.L., “Health and Cultural welfare: A new policy perspective?”, Economie della Cultura, n. 2, 2017, pp. 165-173, citaz. pag. 168. Traduzione mia.

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rare barriere concettuali, linguistiche e di pensiero da parte di entrambi gli attori protagonisti: dei musei come del mondo socio-sanitario. Per superare tali problematiche si fa ancora più forte la necessità di rendere gli operatori di entrambi i campi i primi protagonisti delle attività fornendo loro attraverso corsi di formazione, workshop, convegni e seminari, quelle soft skills che andranno poi a fare la differenza nel momento dell’attività vera e propria. Concludendo, c’è bisogno di realizzare una rete che sappia unire servizi, competenze e capacità in grado di aiutare i malati con Alzheimer ed i loro familiari/caregiver; di diffondere in maniera sistematica la conoscenza dei grandi risultati ottenuti e che tutt’ora si stanno registrando dai progetti promossi in diverse realtà culturali anche in Italia; infine, promuovere la consapevolezza che il welfare culturale non è solo un investimento che migliora la qualità della vita delle persone ma che produce anche “effetti macro-economici rilevanti” sul sistema sanitario nazionale, p.es. abbattendo le spese di cura e ospedalizzazione per gli anziani, o per alcune patologie130. Solo promuovendo presso le istituzioni la consapevolezza dei tanti benefici che la Museoterapia comporta, sarà possibile superare le difficoltà di comunicazione tra i diversi attori coinvolti ed arrivare ad una collaborazione che permetta di avviare politiche innovative ma strutturali di welfare culturale e, così facendo, rallentare il decorso di una malattia che si avvia a diventare una vera epidemia globale, regalando ai sempre più numerosi malati e alle loro famiglie momenti di benessere e di spensieratezza. L’Alzheimer porta via ricordi e pezzi di vita ma non bisogna 130 Per approfondimenti si veda il fascicolo 2/2017 della rivista Economia della Cultura – edita da il Mulino, Bologna – interamente dedicato al tema Cultura, salute e benessere. Cfr. anche i risultati della ricerca Progetto Cultura e salute condotta dalla Fondazione Bracco nel 2011: http:// www.ilgiornaledellefondazioni.com/content/la-cultura-fa-bene-alla-salute-l%E2%80%99esito-di-una-ricerca-con-un-potenziale-rivoluzionario-sul. (consultato il 15 ottobre

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mai dimenticare che questi anziani sono persone e come tali hanno una dignità e dei diritti; tutta la società deve rispettarli ed aiutarli, continuando sempre a dare valore al loro ruolo sociale.

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"Memoria e ricordo, due parole che s'intrecciano per forgiare e custodire un individuo. Il solo pensiero di dimenticare fa salire un senso di angoscia indescrivibile, perchè dimenticarsi equivale al non riconoscersi. Ebbene, c’è qualcuno che questo senso di angoscia, disorientamento e smarrimento lo prova quotidianamente. Qualcuno che, senza sapere il perché, si è visto e si vede strappare via i ricordi, la vita, il proprio io, da un ladro della memoria che si chiama Alzheimer. Quello che questo elaborato racconta e vuole condividere sono le storie e le iniziative di chi si è messo, si sta mettendo e si metterà in gioco per agire e reagire ad una problematica della quale troppo spesso non si parla, attraverso uno “strumento” del quale si parla, ma che frequentemente non viene considerato nel suo potenziale sociale e civico, il Museo. Perché se è vero che il Museo è il luogo dove si custodiscono le opere e ci si prende cura di esse, allo stesso modo dovrebbe essere il luogo dove anche tutte le persone si sentono accolte, protette e amate."


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