Gocce 5
MAST
Ariele
Arti Ricerca e Libertà Espressiva
Officina delle Arti
FIABE CON LE ALI
Il progetto Liber Liberanti – fiabe e favole dal carcere è stato realizzato nel 2016 presso il carcere di Terni, a cura delle associazioni ARIELE e MAST – Officina delle Arti.
ISBN 978-88-99107-14-7
FIABE CON LE ALI
Questo è l’incipit di una delle più celebri fiabe della tradizione secondo la riscrittura di un padre detenuto del carcere di Terni. Fiabe con le ali è una raccolta di fiabe reinterpretate o inventate dai reclusi nella sezione di alta sicurezza di un carcere. Fiabe senza tempo e contemporanee, genitori che per quanto condannati restano genitori, figli che aspettano il ritorno ingannando il tempo con la più antica delle “grammatiche della fantasia”.
Ariele e Mast
C’era una volta Cappuccetto Rosso che viveva col suo papà e la sua mamma in un piccolo paesino vicino al mare. Una notte all’improvviso qualcuno bussò alla porta della loro casa, sembrava quasi che la volessero buttare giù. Cappuccetto Rosso, spaventata, corse nel letto dei suoi genitori e il papà andò a vedere chi avesse bussato così forte. «Chi è?» chiese il papà di Cappuccetto Rosso. «Carabinieri! Aprite o buttiamo giù la porta.
Dal carcere di Terni rinascere attraverso la fantasia
a cura di Francesca Rotolo e Silvia Corvino
Gocce 5
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La collana Gocce Collana a cura del CE.S.VOL. della provincia di Terni.
Titoli in collana 1. Silvia Imperi, Piena di sole (2015) 2. Fulvio Quadraccia, Nuove amerinate de Furvio (2016) 3. Pro Loco Terni, Raccolta antologica (2016) 4. Utilità Manifesta, Il giardino della Biodiversità (2017)
Nota editoriale
La Collana Gocce
è una collana di numeri monotematici e pensata per dare voce al volontariato attraverso le attività e i suoi operatori e mantenere viva la sua memoria storica. Tutti i titoli della collana sono consultabili in Internet alla pagina: http: //www.cesvol.it/
I lettori che desiderano informarsi su tutti i libri realizzati dal Cesvol della provincia di Terni possono consultare il nostro sito Internet alla pagina www.cesvol.it o scrivere una mail a
comunicazione@cesvol.net
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Ariele
Arti Ricerca e LibertĂ Espressiva
MAST
Officina delle Arti
FIABE CON LE ALI Dal carcere di Terni rinascere attraverso la fantasia a cura di
Francesca Rotolo e Silvia Corvino
in collaborazione con la
Casa Circondariale di Terni
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Il Cesvol svolge le sue attività con risorse del Fondo Speciale per il Volontariato amministrato dal Comitato di Gestione dell’Umbria. Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia, Fondazione Cassa di Risparmio di Terni e Narni, Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto, Fondazione Cassa di Risparmio di Foligno, Fondazione Cassa di Risparmio di Spoleto, Fondazione Cassa di Risparmio di Città di Castello. Copyright © 2017 Umbria Volontariato Edizioni, Terni, Italy CE.S.VOL. della provincia di Terni Via Montefiorino 12/c- 05100 Terni (TR) Tel. 0744/812786 Fax. 0744/817917 Servizio Editoria Sociale: comunicazione@cesvol.net Edizione: Marzo 2017 Progetto editoriale, impaginazione, editing, realizzazione progetto grafico: Emanuela Puccilli; Testi di: Antonio Campisi, Giovanni De Salvo, Andrea Gusinu,
Salvatore Irrera, Giuseppe Mangiaracina, Francesco Pesce, Francesco Perspicace, Vincenzo Pugliese, Gennaro Ricci, Placido Tonziello, Antonio Zagaria. Immagini a cura di: Salvatore Irrera, Vincenzo Pugliese, Placido Tonziello; Laboratorio artistico dell’Associazione Caritas San Martino presso la Casa Circondariale di Terni Tutti i diritti sono riservati. Vietata la riproduzione con qualsiasi mezzo effettuata, se non previa autorizzazione dell’Editore. ISBN: 978-88-99107-14-7 4
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Introduzione
di Antonio Zagaria
C’era una volta una ragazza di nome Francesca che fin da bambina aveva una grande passione: raccontare le favole agli adulti per aiutarli a tornare bambini e donare loro qualche attimo di felicità. Man mano che cresceva aveva sempre più chiaro cosa le sarebbe piaciuto fare: insegnare a raccontare favole, filastrocche e fiabe alle persone detenute. Riuscì a inserirsi nella Casa Circondariale di Terni dove ebbe l’occasione di soddisfare la sua vera passione. Francesca però era un po’ timorosa di conoscere tanti detenuti e per giunta detenuti di Alta Sicurezza… quelli pericolosi! E pensò… “Un conto è dire… un conto è mettere in atto!” Ma Francesca era anche una testa dura e si disse: “Francè, sono uomini e donne come tutti, quindi coraggio!” Così arrivò finalmente il primo giorno del laboratorio di lettura in carcere. Insieme a Francesca c’era Silvia, un po’ esile ma di una dolcezza rara. Francesca rimase in attesa, si guardava intorno, non sapeva che il carcere era un altro mondo… Dopo poco arrivarono una decina di detenuti che la guardarono con una certa diffidenza. 7
Un po’ emozionata pensò: “Questi non hanno nessuna intenzione di imparare le favole!!” Ma la sua testa dura, la sua dolcezza e la sua bravura fecero in modo che dopo due soli incontri i detenuti un po’ più timidi e introversi, piano piano riuscirono a tirar fuori tutta la loro fragilità. Tutti si sentirono più liberi dentro a tal punto che non vedevano l’ora che arrivasse “il giorno delle fiabe” e nell’attesa nelle stanze ripetevano fiabe, favole e filastrocche, le ripetevano dieci, cento volte… Tutti non vedevano l’ora di fare i colloqui con i bambini per raccontar loro qualche fiaba e, perché no, anche alle mogli!! E come per magia si sentirono più felici, contenti di tornare un po’ bambini e un po’ cambiati dentro. Anche Francesca e Silvia pensarono che non era stato un lavoro inutile e si sentirono orgogliose per ciò che stavano facendo e anche ricredute sulle dicerie che riguardavano i detenuti che con le loro facce da duri erano in realtà uomini e anche un po’ bambini, con i loro errori certo, ma avevano anche loro un po’ di dolcezza da tirar fuori. Io sono uno di quei detenuti. Mi sono sentito e mi sento più felice dentro e fuori, sono contento di aver conosciuto questo lato bambino di me e mi sento più libero!!! Ma ora vi devo salutare, devo ripassare la mia filastrocca preferita! … L’ accento sulla A. Grazie Francesca e Silvia per quello che fate! 8
Fiabe con le ali
di Dott.ssa Chiara Pellegrini, direttore della Casa Circondariale di Terni
Ho letto queste fiabe, tutte, con attenzione. Sono bellissime. Non ho figli piccoli a cui leggerle, e mi dispiace, ma non mi mancheranno bambini a cui rivolgerle. E poi queste favole stanno bene dentro qualunque relazione d’amore, anche tra adulti. Dico questo perché l’uso più bello che se ne possa fare non è leggerle ma leggerle a qualcuno, ascoltare una voce che le legge, perché la fiaba è metà scritto e metà voce. «In carcere è inutile anche la voce perché nessuno ti ascolta» dice l’autore della conclusione. Per questo è importante che di queste belle fiabe venga fatto un libro, per dare ascolto fuori, a chi parla dentro. Come scrivono gli autori al termine di alcune storie: «La storia è finita, c’è chi l’ha letta e chi l’ha sentita». Una volta un’associazione propose di fare per i detenuti una conferenza sul doping. Mi chiesi come potesse interessare quel tema a persone che vivono in un contesto in cui l’esperienza dello sport è fortemente inibita, potendo al più parlarsi di movimento, anch’esso in carcere per nulla scontato. Ma a quell’associazione non seppi dire di no. Contrariamente alle mie aspettative, la conferenza 9
ebbe un gran successo, i detenuti parteciparono numerosi e fecero tante ed intelligenti domande. Ed ho capito perché: quei detenuti erano genitori e si preoccupavano per i loro figli impegnati spesso, anche agonisticamente, nelle società sportive, per lo più calcistiche. Ed ho imparato, grazie anche ad altre esperienze, che se c’è qualcosa che suscita vivo interesse dentro il carcere, è tutto ciò che riguarda i figli, bambini o giovani che siano. Ricordo che un anno, per le festività natalizie, vennero i clown dell’associazione VIP ad accogliere i bambini venuti al colloquio con i papà o i nonni. Le mamme si avvicinavano agli operatori chiedendo di contribuire economicamente all’iniziativa, ovviamente nulla fu preso perché i pagliacci erano volontari. Racconto questo per dire l’apprezzamento e la gratitudine che quell’iniziativa rivolta ai bambini aveva suscitato. Sino ad arrivare al dialogo. Sono gioielli, vero e proprio fattore di trattamento, i momenti di incontro tra detenuti e giovani, che realizziamo soprattutto con le visite delle scuole; queste permettono agli studenti dell’ultimo anno delle superiori non tanto di visitare un luogo, il carcere, quanto di incontrare persone, i detenuti: per quest’ultimi è vitale avere la possibilità di mettere in guardia i giovani dal percorrere strade sbagliate; qualche studente, recependo pienamente questo messaggio, lo definisce 10
“l’incontro della vita”. Così anche il progetto Osmosi, che permette agli studenti IPSIA, quelli esterni e quelli delle classi interne al carcere, di scriversi lettere per poi incontrarsi alla fine dell’anno. Un riferimento a questo momento si trova nel CD Il sole non muore, scritto e interpretato dai detenuti, che dicono: «parole nell’aria che vanno a incontrarsi, dell’uomo bisogna fidarsi». Una volta ad un parlamentare in visita all’istituto un detenuto disse: «Perché venite qui? Noi ormai la nostra vita ce la siamo giocata, è dei giovani che dovete occuparvi!». E così, inoltre, anche una persona detenuta per reati di terrorismo racconta come abbia deciso di manifestare pubblicamente la decisione di ripudiare la lotta armata come metodo di lotta politica «scrollandomi così di dosso la veste e l’etichetta di irriducibile che, comportando… il rischio di indurre altri ragazzi a percorrere la mia stessa strada, non potevo più accettare e condividere». Racconto questi fatti per sottolineare quanto sia forte l’attenzione e la sensibilità verso i bambini e i giovani, pensati come coloro che hanno tutta la vita di fronte, da parte di chi probabilmente a volte sente di essersela già giocata, la vita, e magari malamente, anche se sappiamo che non è così perché la vita si può giocare in ogni istante, sino all’ultimo. 11
È qui che nasce anche Fiabe con le ali, un libro di favole scritto da detenuti, da leggere non solo ai propri figli o ai propri nipoti, magari durante il colloquio (“vuoi mettere leggere una favola scritta da te, e magari tuo figlio alla fine ti dice: che bella, me la leggi ancora?”), ma pensando anche a tutti i bambini, perché anche qui dentro è chiaro che i bambini sono di tutti e su tutti grava la responsabilità di amarli. Sono presenti temi sociali, come l’immigrazione in Una barchetta in mezzo al mare, l’analisi dei sentimenti di relazione più profonde come in L’amore arcobaleno, l’amore materno nella fiaba Il leone Marco, o il perdersi e il ritrovarsi come in Silvia e il fiore o ancora la più bella e romantica delle storie d’amore Il principino e la ragazza vestita di bianco. Sono fiabe che attingono all’esperienza, e così sono infarcite di forze dell’ordine e di reati. Certo, c’è anche tanto carcere: la separazione dalla famiglia che esso comporta e la gioia infine di ritrovarsi come ne Il leone e l’albero magico e La stella dei desideri. Porte carraie, cancelli, muri di recinzione, sbarre spuntano un po’ ovunque. E c’è anche il carcere come dovrebbe essere. Con la fiaba si può narrare tutto, o meglio, mediare tutto, anche dire ad un bambino, forse senza far troppo male, la verità dolorosa che il papà è in carcere, in attesa di poter tornare ad amare: così narra l’ultima fiaba del libro… Aspettando il suo 12
Papà che non poteva che essere a firma di tutti, più esattamente di Uno per tutti, tutti per uno. Concludo con le parole che, nella fiaba La musica magica, pronuncia la bella statua che viveva sola e immobile dentro la grotta buia, riferendosi alla musica: «L’ho fatta io perché era da tempo che non parlavo più con qualcuno. Speravo che questo suono potesse attirare quaggiù». Ecco, a queste fiabe, se non serviranno ad altro, auguro di essere come la musica magica, utili ad attirare la società esterna verso le persone detenute, perché nessuno, anche dentro il carcere, debba trovarsi a dire come la statua: «era da tempo che non parlavo più con qualcuno». Ringrazio le tutor del laboratorio: Francesca, la cui professionalità ammiriamo tanto, e Silvia, per la quale non ci sono parole sufficienti a dire quanto sia attenta ed accogliente; le loro qualità fanno la differenza. Ancor più ringrazio i partecipanti al laboratorio autori delle fiabe: mettendosi in gioco, hanno fatto un regalo prezioso alla società. Porterò questo libro con me tutta la vita, ovunque vivrò, non lo lascerò chiuso dentro a un ufficio, perché deve uscire ciò che è sorretto da un pensiero d’amore. D’altronde queste fiabe hanno le ali!
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Riflessione breve
di Francesca Sabbatini, il funzionario giuridico pedagogico
Le fiabe in carcere sono come un cappotto d’estate! Mi sembrava qualcosa di dissonante, una stonatura e pensavo superficialmente che mai le persone detenute avrebbero accolto l’idea di partecipare al corso Liber Liberanti… eppure non ho pregiudizi verso di loro però, non so… le fiabe le associavo a spiriti fanciulleschi, a menti particolarmente fantasiose, sognatori avvezzi a divagare per evadere dalla quotidianità; altro che evasione! Invece ho scoperto un percorso di consapevolezza: i partecipanti hanno utilizzato racconti noti per rimescolarli e farne qualcosa di nuovo che rappresenta proprio loro, il vissuto, le speranze, le emozioni; nell’invenzione c’è la realtà più intima, vera, restituita a se stessi e agli altri più semplice, leggera ed evanescente. È stata un’esperienza di ascolto, per chi ha scritto e, come me, per chi ha letto.
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Vi racconto una favola di Sergio Pera
Favole in carcere, «che buffo!», mi sono detto, eppure in trentacinque anni di servizio ne ho viste di tutti i colori. Questo mi mancava! Ho visto i detenuti cantare, recitare, dipingere, studiare, pregare ma scrivere e rivisitare favole come dei bambini non mi era mai capitato. Stavano lì, tutti presi ad ascoltare, gente grande e grossa con il viso stupìto come quello dei bimbi, certo le operatrici che animavano la scena erano brave ma secondo me non era soltanto questo. Il bambino che è dentro di noi non si sopisce mai e poi loro, inizialmente goffi, si muovevano per ricreare le scene che raccontavano, le voci cambiavano di tono a seconda dei personaggi della favola, prima stridula, poi greve, la cosa buffa era sentirle nei dialetti di origine, siciliano, campano, sardo o romanesco. Ma le fiabe sono democratiche, non tengono conto di chi siamo, dove ci troviamo e del colore della nostra pelle. Ci giungono alle orecchie e ci rimbalzano in testa facendoci sognare. I sogni sono senza sbarre e senza muri, i sogni sono liberi.
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Creatività… spazio senza sbarre di Gisella Manuetti Bonelli
Simpatica l’idea di rivisitare la popolare favola di Cappuccetto Rosso, interessante averla proposta in ambito penitenziario. Tenere vivo l’interesse per i vari linguaggi artistici è molto importante in questo contesto perché favorisce la creatività, contribuisce a facilitare nel detenuto la canalizzazione della propria energia al meglio per se stesso, nel rapporto con gli altri e con l’ambiente sviluppando la consapevolezza della propria potenzialità. I racconti nati dalla fantasia di alcuni detenuti risultano curiosi e moderni. Ringrazio Silvia Corvino e Francesca Rotolo per aver coinvolto il laboratorio artistico di disegno e pittura “Figli d’arte di Gisella” che coordino come volontaria dell’Associazione di Volontariato San Martino – CARITAS, invitando i detenuti partecipanti ad illustrare con disegni i racconti scritti dai detenuti partecipanti al laboratorio Liber Liberanti e curare anche la copertina del libro che li raccoglie. Un elogio a chi si è cimentato nella veste di scrittore e un sentito grazie ai detenuti del laboratorio di disegno e pittura che si sono messi in gioco nella nuova veste di illustratori impegnandosi al massimo delle loro attuali possibilità. 16
Fiabe per un progetto di vita di Claudia Cianca
Nella versione dei fratelli Grimm di una delle fiabe più dense di sempre, quando il cacciatore giunto alla casa della nonna tagliò il ventre dell’animale, prima scorse un cappuccetto rosso che splendeva, poi la bambina saltò fuori gridando: «Ah, che paura ho avuto; come faceva buio nella pancia del lupo!» Il vivace cappuccio che brilla nel momento della liberazione della protagonista è dunque quello che l’ha protetta dal morire nell’antro oscuro della sua vita ristretta, nella sua discesa agli inferi? Forse quella camicia di aspirazioni vitali, quel segno d’amore cucito sulla sua parabola di errori, deviazioni, inciampi ha preservato dal peggio la ragazzina, reinserendola nel mondo dei vivi con uno sguardo diverso, nuove prospettive e forze? E magari col desiderio di progettare un domani giusto e generoso? In carcere non tutti hanno voglia di mettersi in discussione profondamente: è difficile, scomoda, può addirittura cambiare la vita. In carcere, e non solo. Tuttavia il linguaggio semplice e intenso, infantile e portatore di senso delle fiabe è uno strumento efficacissimo per rileggersi, scandagliare, interrogarsi, illuminare, ricostruire; è un mezzo 17
per riportare alla luce quell’aspirazione al buono e bello scritta nel cuore di ogni uomo. Auguro ai detenuti autori del libro, alle operatrici che li hanno affiancati ed infine a tutti i lettori che si accosteranno a queste pagine di poter superare ogni buio che necessariamente si presenta nella vita, divenendo persone migliori.
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Se volete che vostro figlio sia intelligente, raccontategli delle fiabe; se volete che sia molto intelligente, raccontategliene di più. Albert Einstein
“C’era una volta…”. Quando sentiamo questo incipit la nostra memoria sensoriale ci proietta indietro nel tempo, alla nostra infanzia, quando la nostra mamma o un qualunque altro adulto di riferimento ci rimboccava le coperte e ci accompagnava tra le braccia di Morfeo narrandoci storie di maghi, di fate, di draghi, di mondi fantastici, di castelli, guerrieri, di un mondo in cui tutto era possibile e in cui tutti potevano fare e trasformarsi in qualunque cosa. La fiaba rappresenta una sorta di gioco che fa luce sul mondo reale e che permette al bambino, in un certo qual modo, di comprendere in modo giocoso, quello che è il mondo dell’adulto. Attraverso la narrazione della fiaba si può arrivare laddove il pensiero e la razionalità non possono giungere, si approda in un luogo in cui il confine tra realtà e immaginario scompare e riappare nei personaggi di fate, streghe, eroi, eroine, animali parlanti. Questo laboratorio di introduzione alla scrittura di fiabe è nato con lo scopo di favorire e di creare uno spazio fisico e mentale, quale momento di condivisione fra il genitore-detenuto e il proprio figlio. 19
Per mezzo della scrittura di storie l’individuo ha la possibilità di ripercorrere il suo rapporto con il mondo dell’infanzia e, sebbene queste siano storie inventate, in molte di esse sono riconoscibili elementi personali che permeano l’intera narrazione e che rimandano alla storia individuale di ciascun autore. L’invenzione di queste favole ha permesso ai detenuti, che hanno preso parte al progetto, di esprimere i loro desideri, le loro paure, le loro emozioni; ha favorito l’emergere della parte più nascosta e meno accessibile agli occhi esterni, ma non certo meno importante, e di trovare le soluzioni più adeguate rispetto all’attuale momento della propria vita. Dietro ciascuna favola si cela un sentire che ha permesso di esprimere una propria fantasia, facendo così diventare la scrittura uno strumento di comunicazione della propria interiorità che spesso per vergogna, per paura di non sentirsi accettati o per paura di sentirsi giudicati rimane inespressa. In questo modo l’invenzione delle favole ha assunto un valore terapeutico e ha dato a ciascuno di loro la possibilità di mettersi in contatto con la propria parte infantile e, attraverso un percorso immaginario e di identificazione con i vari personaggi presenti nelle storie, di redimersi e di autoassolversi, creando mentalmente un tempo in cui darsi la possibilità di una vita futura diversa. L’identificazione con i vari personaggi che si susseguono 20
via via nelle storie ha permesso l’abbandono dei propri schemi mentali e dei propri gusci protettivi permettendo così di liberarsi dalle proprie angosce e paure, quale ad esempio quella di essere indotti nuovamente a sbagliare una volta usciti dal carcere, oppure il desiderio di riunirsi ai propri cari, o, ancora, di liberarsi dalle proprie ossessioni, (da tener presente il senso di giustizia che permea tutte le favole, nessuna esclusa) e la speranza che, una volta fuori dal carcere, vi sia la possibilità di ritrovare se stessi e che venga loro concessa una seconda occasione di vita. Ha permesso, inoltre, di trasformare la vita, con cui ogni giorno ciascuno di loro deve confrontarsi, in una realtà più accettabile e meno dolorosa. La maggior parte delle favole riportano tematiche legate all’altruismo, alla cura, al senso di protezione, all’accoglimento; in alcune è evidente la tematica delle diversità e la possibilità di convivenza pacifica nonostante questa. Tutte le favole hanno un lieto fine. Nello spazio immaginario non è accettabile che il fine non sia lieto, a confermare, ancora una volta, il bisogno che questi uomini hanno di una seconda possibilità e l’allontanamento, quasi scaramantico, dell’idea che dopo questa triste realtà vi sia una triste fine. A complicare la detenzione vi si aggiunge anche il problema della relazione tra il genitore-detenuto e il proprio figlio. 21
Mantenere un legame d’affetto vivo con i propri figli quando si sta scontando una pena è spesso faticoso e le problematiche che si incontrano all’interno del sistema carcerario non agevola tale rapporto, un rapporto che è di estrema importanza sia per la crescita dei figli, nonché figli di detenuti, che frequentemente si ritrovano a dover affrontare il disagio creato dallo stigma sociale nell’essere additati come figli di detenuti e il disagio per la lontananza fisica dal proprio genitore. Mantenere vivo il legame affettivo permette al figlio di confrontarsi con il genitore ed imparare, dal rapporto con questi, a non commettere crimini in futuro. Ma è importante anche per il detenuto stesso perché gli permette di mantenere attiva la sua partecipazione alla vita e all’educazione del figlio evitando di condurlo a pensare che la responsabilità di genitore in quanto detenuto, sia sospesa. Importante anche, e soprattutto, per il suo reinserimento in società. È provato che se il rapporto con la propria rete sociale e familiare viene reciso vi è un’alta possibilità che il soggetto, una volta tornato in libertà, abbia una recidiva e torni a delinquere. Il mantenimento di legami affettivi vivi, in questo senso, funge da fattore di protezione contro eventuali recidive. A tal proposito in settembre 2016 a Roma è stata firmata la ratifica del protocollo della “Carta dei figli 22
di genitori detenuti”, in cui si afferma la necessaria continuità del legame affettivo con il genitore in carcere. Come accennato in precedenza, il fine ultimo del Progetto è quello di creare uno spazio fantastico in cui il mondo dell’adulto-detenuto e quello del proprio figlio possano incontrarsi, e la fiaba può essere una strumento per farlo, in special modo quando vi siano bambini piccoli a cui è difficile dare spiegazioni in merito alla lontananza di un genitore. In questo senso la fiaba, letta o raccontata, ha la funzione fondamentale di mettere in naturale relazione chi legge con chi ascolta e permette la costruzione di un rapporto affettivo, un rapporto che non può permettersi la prerogativa di vivere di quotidianità. Nel momento in cui l’adulto legge e il bambino ascolta si instaura tra questi una relazione narrativa che attiva una corrispondenza affettiva, emotiva e di intenzioni: il genitore spinto a dedicare tutta l’attenzione al figlio è totalmente dedito alla lettura e non si permette distrazioni, il bambino, da parte sua, esigente di questi spazi di attenzione e momenti di condivisione difende il possesso del genitore e gioisce di questi momenti di convivialità familiare che spesso gli sono negati a causa della mancata quotidianità.
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La fiaba diventa così uno strumento educativo a disposizione dell’adulto attraverso il quale egli può entrare nel mondo magico del proprio figlio. Devo personalmente congratularmi con le persone che hanno creduto fortemente in questo progetto e che con forza e determinazione lo hanno portato avanti nonostante le difficoltà che hanno incontrato. Devo congratularmi con i detenuti che con questi scritti ci insegnano che al di là del luogo, al di là dei luoghi comuni si può preservare la propria dignità di individuo. Mi auguro che questo progetto sia una progetto pilota che possa fungere da monito per molte altre carceri italiane, perché dietro le sbarre vi sono emozioni, sentimenti, dignità che devono ritrovare la loro naturale collocazione.
Rosella Vitali psicologa clinica-psicoterapeuta .
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Lettera ai lettori
di Silvia Corvino Associazione Ariele Arti Ricerca e Libertà Espressiva.
Carissimi tutti e tutte, adulti e bambini, il libro che state per leggere è nato per incanto, come vuole la migliore tradizione fiabesca, dalla matita dei detenuti di Alta Sicurezza del carcere di Terni che, come una bacchetta magica, ha tessuto trame, storie fantastiche, viaggi immaginari, ha delineato percorsi, ha reso possibili pensieri, desideri, sogni e voglia di cambiamento. Insomma, nessuno di noi, all’inizio di questo laboratorio, avrebbe mai pensato che semplici esercizi di scrittura potessero trasformarsi in un vero libro di fiabe. Dalla pancia del lupo stavolta non sono usciti soltanto Cappuccetto Rosso e la nonna ma uomini desiderosi di riscatto, genitori che si sono raccontati ai loro figli, che li hanno avvolti in un abbraccio di parole piene di significato. Come nei binomi fantastici di Gianni Rodari “non c’è vita dove non c’è lotta” e “l’immaginazione non nasce mai dalla quiete”. Ringrazio Placido, Gennaro (Genni), Antonio, Francesco, Giovanni, Francesco (Franco), Giuseppe, 25
Francesco, Giovanni, Francesco (Franco), Giuseppe, Antonio, Salvatore, Vincenzo, Andrea per il loro impegno e la fiducia. Abbiamo vissuto e sperimentato insieme cosa significhi realmente “sospensione del giudizio”. E ringrazio i ragazzi del corso di disegno e pittura tenuto da Gisella che hanno accettato di mettere a disposizione competenze e talento illustrando Fiabe con le ali che grazie alla loro arte potrà così volare al di là di sbarre e pregiudizi. Un forte abbraccio a tutti coloro che leggeranno questo libro, che ne apprezzeranno i contenuti e le intenzioni e che vorranno aiutarci a farlo conoscere “fuori”.
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Introduzione alla lettura
di Francesca Rotolo, MAST– Officina delle arti
Con questa “Introduzione alla lettura” di Fiabe con le ali
mi si presenta l’occasione di raccontare quell’intreccio di ricordi ed esperienze personali che sta dietro alla nascita del Progetto e a questo prodotto editoriale. Nella mia vecchia cameretta c’è ancora il librone 365 Fiabe, una per ogni giorno dell’anno. Le leggevo con quello spirito con cui forse si leggono gli oroscopi: giorno dopo giorno cercavo di associare la fiaba a quel che mi accadeva nella realtà, a volte cercavo risposte, altre volte conforto, altre ancora conferme. In casa tutti avevamo la fiaba personale e se un giorno accadeva qualcosa di particolare anche quel giorno aveva la sua fiaba: la mia era quella del 23 aprile, il mio compleanno. Peccato che proprio quella non mi sia mai piaciuta, fu una vera delusione. Il ricordo più caro mi vede insieme a mio fratello sul lettone accoccolati accanto a mia madre mentre leggeva le favole, sempre le stesse ma non era quello l’importante. Poi, crescendo, le fiabe della sera sono diventate il libro di storia che sempre mia madre leggeva per farmi ripassare la materia prima dell’interrogazione. All’epoca cercavo disperatamente di rimanere sveglia… peccato che il mattino dopo, in 27
classe, la “storia” non era proprio quella che avevo sognato. Al liceo, come accade a molti ragazzi, leggere e studiare era per me un obbligo e rifuggivo qualsiasi tipo di lettura extra scolastica. Il senso di colpa mi suggeriva: “Studia! E non perdere tempo a leggere un libro che non ti serve per l’interrogazione.” E così, paradossalmente, è stata proprio la scuola ad allontanarmi dal piacere della lettura. Ero incostante, iniziavo i libri e anche se mi piacevano non riuscivo a finirli. Poi accadde un fatto, un incontro: arrivò una nuova professoressa di italiano. Quando mancavano pochi minuti alla fine della lezione, lei tirava fuori dalla sua borsetta le fiabe di Calvino, apriva a caso e iniziava a leggere: erano per me momenti di puro piacere. E il piacere non era dato solo dal fatto che leggesse le fiabe di quel genio di Calvino, ma che lei le sapesse leggere. Son sicura che se quelle stesse fiabe fossero state interpretate da me o dai miei compagni non avrebbero avuto lo stesso gusto. Intuivo che il mio modo di leggere a voce alta era piatto e insignificante. Mi vergognavo a lasciare che le intenzioni che avevo nella mente si trasformassero in intonazioni nella voce. Saper leggere a voce alta non è una cosa scontata. Insomma, nonostante la scuola e grazie alla scuola, incarnata nella mia nuova insegnante di Lettere, mi ricordai dell’infanzia e ricominciai dalle fiabe e dai racconti brevi e 28
finalmente scoprii quel senso di soddisfazione e appagamento che si prova arrivando all’ultima pagina. Dal respiro successivo alla parola “Fine”, ripensavo a tutta la storia, ripercorrevo le avventure dei personaggi, formavo un’opinione critica, la storia mi costringeva a riflettere su me stessa e a trarre le mie conclusioni. Se il libro mi aveva entusiasmato cercavo notizie sull’autore, su altri racconti scritti dallo stesso autore o che parlavano dello stesso tema, ed ecco che presto si presentava un altro compagno sul comodino. Questi “pensieri felici” sono le motivazioni che sorreggono la mia passione, sono le pozioni magiche e penso che mi hanno trasformata in una lettrice… e chissà, se magari funziona anche con gli altri. Durante la mia esperienza nel contesto penitenziario mi sono accorta di come i detenuti-attori cercavano di imparare a memoria la parte il prima possibile, per staccarsi delle limitazioni del foglio e dalla difficoltà di leggere, quasi come se dovessero mettere in atto una traduzione del segno in significato e suono vocale. Ma perché perdersi il piacere del libro? Rendere una lettura fluida è solo una questione di allenamento. E per essere in forma bisogna conoscere le tecniche per allenarsi. Ho ripensato a quelle che erano state le mie difficoltà e ho cercato le motivazioni che possono spingere ad aprire un libro e cominciare a leggerlo. Quale poteva essere la chiave per schiudere la porta 29
della lettura a chi non la conosce e non l’ama? I figli! I figli, spesso, sono l’unica cosa per la quale si sopporta il carcere. In questo caso si è spronati non tanto dall’amore per se stessi, ma per amore loro. E se i figli sono piccoli, le fiabe hanno un linguaggio utile per creare la relazione. Sono brevi, metaforizzano il reale e sono portatrici di significati e messaggi educativi. Nasce così Liber Liberanti – lettura di fiabe e favole dal carcere. Il Progetto, iniziato nel 2014 a Roma presso il Carcere Femminile di Rebibbia e avviato successivamente nel carcere di Cassino, Genova Pontedecimo e Terni, è rivolto alle detenute-madri e ai detenuti-padri. Il laboratorio è un viaggio alla scoperta del libro, al piacere di leggere e di essere ascoltati e mira a favorire la creazione e lo sviluppo di momenti di condivisione tra genitore-detenuto e figli. Secondo l’art. 27 della Costituzione la pena deve mirare alla rieducazione del condannato: e allora quale modo migliore per ricominciare da capo se non con le fiabe? Recuperare la memoria della propria infanzia, viverla, per quanto possibile, attraverso le letture che si sarebbero dovute fare all’epoca e leggerle con le consapevolezze dell’adulto e la coscienza di saper già distinguere il bene dal male. L’obiettivo è “sapere” per poter insegnare e compiere quel ruolo di educatore che il genitore è tenuto a svolgere e che la detenzione non può negare (se non in 30
rari casi). Il genitore deve farsi esempio e se il figlio lo vedrà con un libro in mano, e se quel libro diventerà l’elemento che li unisce, quel figlio non vedrà il libro come il mattoncino noioso da sfogliare, ma come l’amico che fa compagnia, diverte e consola. Ma perché parlare tanto della lettura se abbiamo scritto fiabe? Perché è proprio leggendo Cappuccetto Rosso che abbiamo iniziato a divertirci con la fantasia, perchè è solo a furia di leggere che viene voglia di scrivere, ed è leggendo ad alta voce, ascoltandosi, che si impara a mettere le virgole e ad esprimere nel modo corretto un proprio pensiero. In carcere si scrive tanto. Si scrivono le “domandine” per fare la spesa o per chiedere udienza all’avvocato, o all’educatore, per partecipare a un corso o per fare il colloquio e si scrivono lettere per cercare di tenere vivo il rapporto con i parenti o gli amici che vivono al di là del muro. Ma la vita di una persona reclusa è ripetitiva e limitata nel tempo e nello spazio e lo sono anche le parole che si usano. Una cosa è senza confini: la fantasia. Ma come la lettura anche la fantasia deve essere allenata, soprattutto se si vogliono scrivere fiabe. Nella Grammatica della Fantasia di Gianni Rodari e nelle carte di Propp abbiamo trovato i trucchetti per iniziare a giocare, per iniziare a vedere su quei soffitti bianchi e un po’ scrostati ombre di personaggi che chiedevano di raccontare la loro storia. 31
Il gioco è semplice: si scelgono cinque parole e ad ognuna si affida un ruolo (protagonista, antagonista, luogo, oggetto magico, ecc.) e poi si mettono in relazione tra di loro. Siamo partiti dai racconti che nel libro trovano spazio nella seconda sezione: tra questi troviamo le avventure di Anna, di Oriana, di Silvia o di Perla (dei nomi a caso? No! Sono i nomi delle mogli o delle figlie degli autori che diventano protagoniste dei racconti). Poi siamo passati a Cappuccetto Rosso: abbiamo letto la versione di Perrault, moralista e castigatrice, quella dei Grimm, educativa e a lieto fine. Dalla filastrocca Le favole a rovescio di Rodari e da Signorina-Si-Salvi-Chi-Può di Philippe Corentin sono arrivati i suggerimenti per stravolgere le storie e trasformare Cappuccetto Rosso in una bimba birichina o invertire i caratteri dei personaggi. Da Lo zoo delle favole, sempre di Rodari, è nata l’idea di far incontrare a Cappuccetto Rosso i personaggi di altre fiabe. Giocando con le parole guida cavallo, dormire, scarpe, mamma, pioggia gli autori hanno immaginato un sequel dell’originale. Dalla realtà abbiamo preso spunto per immaginare Cappuccetto come ragazza di oggi, che vive il terremoto di Amatrice o un amore omosessuale. Come conclusione si trova un breve scritto che non ha la forma della fiaba, ma le parole scorrono e si rincorrono narrando il carcere e ricordando quanto la fantasia e 32
l’immaginazione, “come il volo di una rondine”, siano una boccata di libertà. Ad impreziosire le pagine di Fiabe con le ali ci sono le illustrazioni che aiutano a dare forma visibile ai personaggi e alle situazioni. I partecipanti del corso di pittura, dopo aver attentamente letto i racconti ne hanno sintetizzato i contenuti rendendo il libro ancor più adatto ad un lettore-bambino. Gli autori delle fiabe hanno vissuto questo percorso come una concreta opportunità per mantenere e a volte recuperare un rapporto con i propri figli o parenti lontani, o per raccontare una realtà che diventa troppo faticoso spiegare a chi è ancora troppo piccolo per capire… Aspettando il suo papà è una fiaba particolare, faceva parte della sezione di cappuccetto rosso, ma abbiamo preferito inserirla in chiusura della raccolta come ultima e oggettiva rappresentante della finalità di questo progetto. Le narrazioni di questi autori svelano misteriosi e affascinanti mondi interiori. La fiaba si carica della vita di queste persone e il suo valore sta proprio nel rivelarne l’interiorità senza metterla a nudo, proteggendola, così come la letteratura ha la capacità di svelare il cuore di chi scrive. Ed è questa la straordinaria potenza della fiaba che noi utilizziamo come strumento ludico, ma che potrebbe scandagliare l’animo umano perché è la 33
forma di narrazione più antica che esista ed è nella sua forma che troviamo l’origine ancestrale di ciò che siamo.
34
35
… Proprio allora passò li davanti il cacciatore e pensò: “Come russa la vecchia! devo darle un’occhiata, potrebbe star male.” Entrò nella stanza e, avvicinatosi al letto, vide il lupo. «Eccoti qua, vecchio impenitente» disse «è un pezzo che ti cerco.» Stava per puntare lo schioppo, ma gli venne in mente che il lupo avesse mangiato la nonna e che si potesse ancora salvarla: non sparò, ma prese un paio di forbici e cominciò a tagliare la pancia del lupo addormentato. Dopo due tagli, vide brillare il cappuccetto rosso, e dopo altri due la bambina saltò fuori gridando: «Che paura ho avuto! Com’era buio nel ventre del lupo!» Poi venne fuori anche la vecchia nonna, ancor viva, benché respirasse a stento. E Cappuccetto Rosso corse a prender dei pietroni, con cui riempirono la pancia del lupo; e quando egli si svegliò fece per correr via, ma le pietre erano cosi pesanti che subito s’accasciò e cadde morto. Erano contenti tutti e tre: il cacciatore scuoiò il lupo e si portò via la pelle; la nonna mangiò la focaccia e bevve il vino che aveva portato Cappuccetto Rosso, e si rianimò; ma Cappuccetto Rosso pensava: “Mai più correrai sola nel bosco, lontano dal sentiero, quando la mamma te l’ha proibito.” 36
‌ ma se la favola di Cappuccetto Rosso non fosse affatto finita?
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38
… Il
cacciatore, subito dopo la
festa, con la pelle del lupo creò una sella per il suo cavallo. Ci montò sopra e cavalcò per il fitto bosco. Dopo alcune ore si fermò a dormire
in una piccola
capanna, costruita da lui stesso molti anni prima come rifugio per la caccia. Quando si svegliò calzò le sue scarpe da montagna e andò a caccia ma ad un certo punto venne la pioggia. Pioveva così tanto e talmente forte che fu costretto a tornare sui suoi passi e a ripararsi sotto due grossi tronchi. Fu allora che vide un po’ più in là una famiglia di orsi. Dapprima si spaventò e li puntò con il suo fucile, ma poi vedendo le amorevoli cure di mamma orsa per i suoi orsetti, non poté fare a meno di desistere dal suo proposito e tra sé e sé pensò... sono come noi!!!
Francesco Pesce 39
…
Cappuccetto Rosso si
fermò a dormire a casa della nonna. Le emozioni e le paure del giorno prima l’avevano sfinita e la mattina dopo si svegliò molto tardi. Preoccupata che la mamma fosse in pensiero disse alla nonna che sarebbe tornata a casa. Riprese il sentiero e si incamminò svelta, come le aveva raccomandato la mamma il giorno prima. All’improvviso cadde una pioggia così forte che la strada si riempì di pozze d’acqua e Cappuccetto Rosso non poté evitare di bagnare le sue scarpe nuove che si rovinarono tutte. Ad un tratto, da lontano, apparve un cavallo bianco che le si avvicinò tranquillo e rassicurante. Cappuccetto vi salì sopra e al galoppo in un battibaleno arrivò a casa sana e salva.
Placido Tonziello
40
…
Cappuccetto Rosso, la nonna e il
cacciatore cantarono vittoria troppo in fretta. Il lupo infatti, mentre i tre festeggiavano contenti, rimise la sua pelle e si appostò nei pressi della casa; lanciò un ululato così forte che li fece schizzare tutti fuori disperdendoli nel bosco. Mangiò focaccia e vino e si rimise a dormire nel lettino della nonna. Nel frattempo uno scroscio di pioggia complicò la situazione: il fango appesantì le scarpe di coloro
che
del
bosco
erano
ostaggio
e
si
muovevano a fatica. Erano ormai perduti poiché venne il buio all’improvviso. Il cacciatore guardò in alto e cercò l’orsa maggiore, la stella che gli avrebbe permesso di orientarsi, ma anche questa era nascosta. Quando tutto ormai sembrava perduto, lo scalpitio degli zoccoli di un cavallo
che si
avvicinava li fece sorridere di nuovo: era la mamma preoccupata per il ritardo della piccola, e mentre portava in salvo tutti quanti, il lupo nel 41
lettino della nonna si svegliò di soprassalto, spaventato, convinto di dover fare i conti con un coltellaccio, ma capì subito che tutta questa storia era stata solo un brutto sogno. Si voltò sull’altro lato e ronfò di nuovo grattandosi la pancia e tirando su la pelle.
Andrea Gusinu
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…
Nel bel mezzo dei festeggiamenti venne giù
dal cielo una pioggia rumorosa e scrosciante. Cappuccetto Rosso si mise un paio di scarpe e corse in groppa ad un cavallo
dalla sua
mamma che l’aspettava impaziente a casa. Finalmente giunta, scese da cavallo, entrò a casa e trovò la sua mamma che dormiva ancora. Era stato tutto un sogno?
Francesco Perspicace
40 43
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…
Quando
tutto
questo
spavento
finì,
Cappuccetto Rosso si addormentò serena tra le braccia della sua mamma. Pioveva. Tutto ad un tratto, dal bosco apparve un cavallo bianco, completamente bagnato dalla pioggia. Lo stallone si avvicinò lentamente alla casa di Cappuccetto. La mamma di Cappuccetto lo vide e presa dallo stupore per questo evento inaspettato si precipitò a svegliare la bambina che dormiva beata avvolta da morbide lenzuola. Cappuccetto Rosso, aperti gli occhi,
indossò
velocemente le sue scarpe preferite e uscì di corsa ad ammirare quello splendido animale ancora sotto la pioggia. Piena di gioia e d’amore lo abbracciò al collo mentre delicatamente gli accarezzava la criniera. Come per magia, le nubi si dissolsero, l’acqua smise di venire giù e Cappuccetto Rosso felice salì sul bel cavallo per passeggiare nel bosco con il suo nuovo amico.
Giuseppe Mangiaracina 45
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‌ e se la vera storia di Cappuccetto Rosso non fosse quella che conosciamo? Variazione della fiaba di Cappuccetto Rosso. Scrittura libera
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Il lupo coraggioso Tanto, tanto tempo fa una nonnina e un lupo vivevano in una casetta nel bosco. Una mattina la nonnina disse al lupo: «Esco, vado nel bosco a cercare un po’ di frutti per fare una torta. Tu rimani a casa e non aprire a nessuno.» «Va bene nonnina, torna presto!» rispose il lupo. La nonna prese una cesta e uscì di casa. Mentre percorreva una stradina circondata di alberi incontrò Cappuccetto Rosso. «Ciao nonnina, cosa fai sola nel bosco?», chiese Cappuccetto. «Ciao nipotina mia. Sto cercando un po’ di frutti per fare una torta.» «Laggiù quell’albero molto alto è pieno di frutti. Se vuoi ti accompagno», suggerì la bambina. «Grazie Cappuccetto. Andiamo, così mi aiuti a portare la cesta.» 49
L’albero che le aveva indicato Cappuccetto Rosso era veramente carico di frutti. Nonnina e nipote iniziarono a raccoglierli e a riempire la cesta, ma dopo un po’… «Si è fatto tardi, è quasi buio! Presto, torniamo! Altrimenti non ritroveremo il sentiero», disse la nonnina. Si misero in cammino e quando furono vicino casa, ormai stanche, incontrarono un cacciatore. «Dove andate con quella cesta pesante?» «Stiamo tornando a casa per fare una buona torta con i frutti che abbiamo raccolto», rispose la nonnina. «Permettetemi di aiutarvi a portare la cesta», si offrì il cacciatore. «Grazie!» disse la nonna, porgendogli la cesta. Ma non appena il cacciatore l’afferrò si mise a correre e fuggì. La nonnina gridò: «Aiuto! Aiuto lupo! Presto!» Il lupo udite le grida disperate della nonna uscì di casa e andò a vedere cosa fosse successo. «Cosa succede, nonnina?» «Un cacciatore ci ha rubato la cesta con i frutti.» «Da quale parte è scappato?» «Di là, in direzione del pozzo.» 50
Il lupo corse e raggiunse il cacciatore, gli prese la cesta dalle mani e con una spinta lo buttò nel pozzo. Poi tornò a casa con la cesta, la nonnina e Cappuccetto Rosso fecero una torta deliziosa; festeggiarono tutti insieme perché proprio quel giorno era il compleanno del lupo che ebbe così una festa a sorpresa!
Vincenzo Pugliese
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La nonnina, il lupo e la nipotina C’era una volta una nonnina e la sua nipotina. A Ferragosto da mangiare, pollo arrosto da gustare. A Settembre inizia la scuola, Non si discute con lì nessuna parola Una tortina preparò la nonnina, un bacio diede alla bambina e a scuola di buona mattina. «Ricordati di prendere la tortina e di mangiarla nel prato sulla panchina!» «L’ho già presa. Oggi a scuola ci sarà una gran sorpresa!» «Non fare arrabbiare la maestra, altrimenti ci sarà una gran tempesta.» Arrivata a scuola aprì la sua borsa, e un lupo uscì di corsa. 52
«Aiuto! Aiuto!» gridava la maestra. Non abbia paura, è solo un lupo a cui piace l’avventura! Dopo un po’ la maestra si calmò e ad insegnare iniziò. Matematica, storia, italiano… il lupo si addormentò piano piano. La scuola è finita! Svegliati lupo, torniamo a casa la nonnina ci aspetta per fare una gran festa. «Ciao nonnina, son tornata e il lupo mi ha accompagnata.» Entrate e andate in giardino, c’è la torta sul tavolino. Giocando e ridendo tutto il giorno, arrivò il tramonto. Si è fatto tardi, la festa è finita e la storia è sparita.
Vincenzo Pugliese 53
Cappuccetto Rosso scrittore C’era una volta Cappuccetto Rosso che come ogni mattina, dopo aver guardato il suo orologio, montava sul motorino per andare a scrivere nella biblioteca più rinomata della città che lo aveva adottato e dove viveva. Il ragazzo correva così forte che quando toglieva il casco i capelli erano tutti scompigliati dal vento e ci metteva sempre un po’ per rimetterli in ordine. Seduto al tavolo, iniziava subito a scrivere la sua fiaba, a scapito del lupo cattivo. Mentre scriveva pensava ai monti del suo paese natale, rivedendo con l’immaginazione quella roccia che aveva l’abitudine di scalare quando era piccolo, molti anni prima, con grande preoccupazione della mamma. Scrivendo creava un mondo fantastico nel quale tutto si materializzava con spargeva
sulle
pagine
l’inchiostro che
bianche.
Un
giorno
qualcuno gli disse: «Cappuccetto Rosso, sai, sei proprio bravo! Ti andrebbe di scrivere per la casa editrice per la quale lavoro?» 54
Cappuccetto accettò con entusiasmo e da quel momento gli si aprì un mondo nuovo e la sua vita cambiò radicalmente. E così visse felice e contento.
Francesco Perspicace
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CAPPUCCETTO ROSSO Una ragazza del 2000 57
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Cappuccetto Rosso e il terremoto C’era una bambina che abitava con la mamma in un paesino ai piedi di una montagna. Qui tutti la chiamavano Cappuccetto Rosso da quando la nonna, che abitava poco distante, per il suo ottavo compleanno le regalò un cappuccio rosso dal quale non si separava mai. Infatti la bambina ogni volta che compiva gli anni aveva l’abitudine di chiedere un regalo di colore rosso. Un giorno la mamma le disse: «Cappuccetto Rosso devi portare le medicine alla nonna. Parti subito altrimenti fai tardi a scuola e mi raccomando, non fermarti a parlare con tutti quelli che incontri!» «Va bene mamma», rispose la bambina. Cappuccetto Rosso prese la cesta con le medicine e si incamminò. Ad un certo punto, lungo la stradina che conduceva alla casa della nonna, Cappuccetto sentì un lamento e notò un batuffolo nero nascosto in un cespuglio: era un cagnolino piuttosto malandato che quando vide la bambina, scodinzolando, le 59
disse: «Cappuccetto Rosso aiutami, mi sono ferito.» «Come sai il mio nome? E come mai sai parlare?», chiese la bambina sorpresa. «So tutto di te e ti stavo aspettando. Solo tu puoi capire ciò che dico.» Cappuccetto
Rosso
lo
prese delicatamente e lo mise Quando
nella
cesta.
arrivarono
vicino alla casa della nonna il cagnolino parlò di nuovo. «Cappuccetto
Rosso,
ascoltami. Stanotte sarà una brutta notte per tutto il paese. Cadranno tutte le case e molte persone moriranno.» Cappuccetto Rosso, che era felice di aver trovato un nuovo amico, quando sentì quelle parole si rabbuiò. Arrivata dalla nonna le raccontò quanto che era accaduto e l’avvertì che nella notte ci sarebbe stato il terremoto. 60
La nonna di Cappuccetto Rosso non prendeva sempre sul serio tutto ciò che raccontava la bambina ma stavolta, anche se quella storia aveva dell’incredibile, decise di crederle. Così tutti insieme, Cappuccetto, la nonna e il cagnolino, si misero in cammino e raggiunsero la piazza del paese. Cappuccetto Rosso cominciò a suonare tutti i campanelli delle case e avvisò tutti gli abitanti che quella notte ci sarebbe stato un tremendo terremoto. Decisero tutti di uscire dalle loro abitazioni, anche chi non credeva a quella storia e la folla si radunò nella piazza. Quando Cappuccetto suonò alla casa del Sindaco però questi non le credette, la prese in giro. «Smettila di raccontare sempre sciocchezze. Poi la mia è una casa antisismica!» E sbatté la porta in faccia alla bambina. Cappuccetto Rosso tornò nella piazza gremita di gente dove trovò anche la sua mamma. Il cagnolino vedendo che l’unico che mancava era il Sindaco del paese corse a cercarlo. Con la zampetta riuscì a suonare il campanello della sua casa. 61
Il Sindaco aprì la porta e il cagnolino gli sgattaiolò tra le gambe ed entrò in casa. All’improvviso si trasformò in un cane talmente grosso e talmente brutto che il Sindaco, terrorizzato, prese le sue due bambine e con la moglie si precipitò fuori. Subito dopo si sentì un boato fortissimo, la terra tremò e crollarono tutte le case del paese. Fu terribile ma gli abitanti del paese erano salvi. E Batuffolo? Il cagnolino che li aveva salvati? «Batuffolo, Batuffolo, dove sei?», chiamarono tutti. Ma di Batuffolo nessuna traccia. Era morto sotto le macerie mentre cercava di salvare la famiglia del Sindaco. Cappuccetto Rosso a causa di tutta quella distruzione e per la scomparsa di Batuffolo era diventata molto triste e usciva dalla sua tenda solo per portare dei fiori sulle macerie dove era rimasto vittima il cagnolino. Dopo due giorni però, mentre stava posando il solito mazzolino di fiori, Cappuccetto sentì un lamento, lo stesso che aveva udito quando trovò Batuffolo lungo il sentiero. Cappuccetto Rosso urlò dalla gioia e a quel grido accorsero tutti gli abitanti del paese che scavando 62
con le mani riuscirono a disseppellire il cagnolino tutto bianco di polvere e di calcinacci. Era ancora vivo! Il loro eroe era salvo. Il Sindaco fece erigere una statua del cagnolino in mezzo alla piazzetta del paese per celebrare l’eroe che aveva salvato tutti gli abitanti. Cappuccetto
Rosso
e
Batuffolo
divennero
inseparabili e il cagnolino da allora non parlò piÚ. Gli abitanti del paese vissero felici e contenti pensando che per colpa degli uomini accadono disgrazie mentre un piccolo cagnolino può salvare tante vite.
Antonio Zagaria
63
Cappuccetto Rosso e l’amore arcobaleno In un villaggio vicino al bosco abitava una bella bambina a cui sia la mamma sia la nonna volevano molto bene. La nonnina le aveva cucito un mantello con un cappuccio di colore rosso e per questo motivo tutti la chiamavano Cappuccetto Rosso. Dopo aver avuto quella brutta esperienza del lupo che ormai tutti conosciamo bene, Cappuccetto Rosso diventò una bella ragazza e la mamma e la nonna decisero di darla in sposa. A casa di Cappuccetto Rosso si presentarono diversi pretendenti ma la ragazza trovava a tutti qualche difetto. Certe volte le dava fastidio il modo in cui raccontavano le proprie gesta o come esaltavano la loro bravura nella caccia, altre volte non sopportava le loro poesie o le loro canzoni. Altre volte non le piaceva il loro modo di vestire troppo stravagante. «Ah, sono insopportabili… », sospirava Cappuccetto Rosso. 64
Un giorno, durante una delle sue passeggiate nei dintorni del villaggio si fermò davanti a una graziosa, anche se modesta, casetta e senza farsi vedere sbirciò da una finestra. Vide una giovane ragazza molto bella che scriveva senza sosta fogli e fogli di pergamena con una grafia meravigliosa. Cappuccetto capì che si guadagnava da vivere in quel modo e che si occupava anche dei quattro fratelli più piccoli poiché erano rimasti orfani. A un certo punto vide arrivare i fratellini tutti sorridenti e la ragazza si mise a scrivere su una grande lavagna numeri e parole: faceva loro da maestra e insegnava con grande allegria ridendo e cantando per far divertire i piccoli che così imparavano rapidamente. Cappuccetto Rosso vedendo questa ragazza così attenta, utile al prossimo e con un cuore grande, capì che era attratta da lei anche se era dello stesso sesso e si disse che aveva trovato la sua anima gemella. Cappuccetto Rosso chiese alla mamma e alla nonna di chiamare la giovane ragazza. Quando la incontrò le comunicò i sentimenti che provava per lei e le chiese se era d’accordo a 65
sposarla.
La
ragazza
acconsentĂŹ.
CosĂŹ
domandarono al re della città l’autorizzazione per il matrimonio e anche per adottare dei figli. Il re concesse entrambe le richieste. Cappuccetto Rosso e la giovane ragazza si sposarono e adottarono diversi bambini formando una bella famiglia insieme ai fratellini della giovane e tutti insieme vissero felici e contenti.
Placido Tonziello
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Cappuccetto e lo swacth C’era una volta una ragazza da tutti conosciuta con il nome di Cappuccetto Rosso per via del suo bel cappottino che aveva un cappuccio rosso rosso. Faceva una vita frenetica Cappuccetto, non aveva mai tempo e ne perdeva ancor di più guardando di continuo il suo swatch luccicante: il bell’orologio che le aveva regalato il suo papà per il compleanno. Ogni mattina aveva un’impresa da portare a termine: fare di tutto per arrivare in tempo a scuola. La mattina per lei iniziava presto. Si svegliava alle sette, faceva un’abbondante colazione e dopo aver finito si vestiva di tutto punto indossando il suo cappuccio rosso sulla testa. Poi metteva il casco e via sul suo motorino, anche questo di un bel rosso fiammante: per lei era il più bello del mondo! Le piaceva attraversare le colline verdi sentendo il vento sul viso, quel vento fresco portava con sé l’odore inconfondibile degli ulivi che costeggiavano le strade del paese che percorreva ogni giorno per raggiungere la scuola, giù alla marina. 67
Amava fare un giro sul lungomare e sentire il rumore delle onde che si infrangevano sulla roccia. Arrivata a scuola parcheggiava il motorino e si aggiustava con cura il suo cappuccio rosso. Poi entrava in classe sempre con il suo splendido sorriso che le illuminava il viso, apriva il suo zainetto, tirava fuori libri e quaderni e con la sua penna pilot iniziava a scrivere piano piano, imparando sempre cose nuove, orgogliosa di essere riuscita a portare termine per un altro giorno la sua impresa‌ arrivare in orario!
Antonio Campisi
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Favole al rovescio Favole al rovescio 69
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Il lupo mansueto Quella mattina soffiava un vento maestrale impetuoso, sembrava che volesse portar via anche i sassi. Una monella si alzò molto tardi dal letto e dopo i classici stiramenti delle braccia e del tronco, con i capelli arruffati, si infilò dritta nel bagno e prima che ne uscisse, la madre dovette urlare parecchio. «Fai tardi a scuola, cerca di muoverti!», disse la donna un po’ preoccupata. «Uffa! Sei la solita rompi… », replicò indispettita la ragazzina. «Su, da brava, devi ancora far colazione», cantilenò ancora la madre in tono affettuoso. Il piccolo diavolo guardò l’orologio e aggiunse: «Manca ancora mezz’ora per la colazione. Mi dai i soldi e compro una merendina strada facendo», urlò mentre continuava a imbellettarsi lucidandosi il piercing al naso. Uscì dal bagno circa venti minuti più tardi; si vestì con un paio di jeans e un giubbetto nero e ai piedi mise i soliti scarponi pesanti di tipo militare. 71
La testa invece la coprì con un cappuccio rosso. Prima di inforcare il motorino mise a tracolla lo zaino, mentre la madre la pregava di passare dalla nonna e portarle notizie al suo rientro. Due accelerate e sparì. Bum bum bum! Tre calci alla porta quasi a sfondarla. «Chi è?», chiese la nonna dall’interno. «Pompieri! Aprite! Aprite! Sta andando a fuoco la casa!», urlò con la voce grossa la piccola peste. La povera vecchia, quasi svenuta dallo spavento, aprì a stento la porta col cuore in gola, mentre la monella si catapultava all’interno come una furia, aprì tutte le ante dei mobili, comodini compresi. «Nonna! Mi servono i soldi per la merenda, non ho neanche un centesimo!», brontolò, seppure avesse in tasca i soldi che le aveva dato la madre. «Come sta la mamma?» chiese la nonna mentre allungava alcune monete.
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«Male! Male! Anzi, malissimo! A casa devo fare tutto io!»,
brontolò ancora la peste, mentre
inforcava il motorino per sparire di nuovo. «Povera piccola!», disse intenerita la nonna. Quando giunse a metà della strada quel piccolo diavolo decise di marinare la scuola. “Mi compro qualcosa e vado a spuntinarla in campagna” pensò, mentre un vecchio lupo apparve all’improvviso dal bosco. Rallentò il motorino e lo guardò con aria di sfida. «Ooohh, che bella bambina, come ti chiami?», chiese il lupo curioso. «Sono Cappuccetto Rosso e se non ti levi dai piedi ti passo sopra col mio motorino», replicò a muso duro e mentre accelerava passandogli a fianco gli rifilò un calcione al costato facendolo ruzzolare nella cunetta, poi rise di gusto quando lo vide raccogliere un dente da terra. Partì di nuovo ancora una volta zigzagando col motorino, ma a un certo punto perse il controllo e volò via dalla strada e dallo zaino uscirono i pezzi: le merendine, il quaderno, il libro e la penna. 73
«Ahi! Ahi!», si lamentò appoggiata a una roccia, aveva i jeans strappati e il ginocchio sbucciato. Il lupo aveva assistito all’incidente e si avvicinò. «Povera piccola, ti sei fatta male?», chiese masticando le parole a causa del dente mancante per la rovinosa caduta; leccò la ferita al ginocchio per farla guarire, poi decise che non poteva lasciarla da sola e lanciò alcuni ululati verso il paese per dare l’allarme, ma la gente si mosse per dargli la caccia gridando. «Al lupo! Al lupo!» “Se in quelle menti non muore qualche pregiudizio sarò sempre il lupo cattivo”, pensò la povera bestia mentre fuggiva. Giunti sul posto con bastoni, mazze e forconi, trovarono la peste più arzilla di prima. «Che ti è successo? Racconta! Racconta!», chiesero in coro. «Il lupo cattivo mi è corso dietro e voleva mangiarmi», rispose Cappuccetto Rosso indicando il lupo mentre fuggiva. Ma un cacciatore che si trovava nel bosco e aveva seguito tutta la scena fin dall’inizio, intervenne. 74
Mentre parlava il lupo era al suo fianco: infatti era
addomesticato
e
mansueto,
poiché
il
cacciatore lo aveva educato fin da quando lo aveva trovato ancora cucciolo nel bosco. Solo a quel punto la gente capì e andò via lasciando Cappuccetto Rosso sola a riflettere.
Andrea Gusinu
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È per ingannarti meglio
C’era una volta un lupo che viveva in un bosco. Il lupo adorava quel luogo e faceva lunghe passeggiate spingendosi anche verso i sentieri. Un giorno vide una casetta che gli piaceva tanto e mentre la osservava vide una bambina con la nonna. Il lupo, che era un lupo buono, si avvicinò perché avrebbe voluto fare amicizia con quella bambina ma proprio in quel momento la nonna la chiamò. «Cappuccetto Rosso, vieni a mangiare. La nonna ha cacciato per te un bell’orso e te l’ha cucinato come piace a te… alla cacciatora!» Il lupo a quelle parole si spaventò e scappò lungo il sentiero, dicendo fra sé e sé: “La nonnina ha cucinato un orso? Meglio girare alla larga, se mi becca mi cucina allo spiedo!” Il lupo non si avvicinò più alla casetta, ma un giorno sentì una vocina nel bosco e vide tra gli 77
alberi Cappuccetto Rosso che stava raccogliendo delle more. Si avvicinò e la salutò. «Ciao Cappuccetto Rosso, dove vai tutta sola?» «Sto raccogliendo dei frutti per la mia nonnina così mi prepara una bella crostata ai frutti di bosco come piace a me. Perché non vieni a casa con me così l’assaggi?» Il lupo ripensò immediatamente a quell’orso ma poiché era buono d’animo e non sapeva dire di no, accettò l’invito e ignaro del pericolo che stava correndo si incamminò con la bambina. Giunti
davanti
alla
casetta Cappuccetto Rosso guardò il lupo. «Su entra! Vieni con me, bel lupacchiotto.» Il lupo ebbe un attimo di esitazione ma poi si fece coraggio. Come passò l’arco della porta Cappuccetto urlò. «Presto nonna! Presto! Apri la gabbia!» 78
La nonna si scaraventò addosso al lupo, lo immobilizzò e lo mise nella gabbia. Cappuccetto Rosso rivolta alla nonna: «Hai visto come sono stata brava? Te l’ho portato fino a casa proprio come hai fatto tu con quell’orso… » «Brava, nipotina mia!» «Però nonna, me lo cucini allo spiedo? Mi piace di più!» Il lupo si disperò. «Oh cavolo! Mi vogliono fare davvero allo spiedo! Povero me! Mi sono fidato di una bambina ed eccomi qua a combattere tra la vita e la morte!» Il lupo cominciò a ringhiare e a prendere a morsi la gabbia dov’era rinchiuso. Avrebbe voluto scappare, sentiva che la fine era vicina. Si rivolse alla bambina, «Cappuccetto, perché mi stai facendo questo? Hai un viso così carino… » «È per ingannarti meglio!», disse Cappuccetto Rosso e si mise a ridere forte. L’ora della fine si avvicinava. La nonna stava finendo di preparare la brace. Il lupo pensò che non aveva mai visto tanta cattiveria in un posto solo, si sentì sfinito, senza forze e si abbandonò. 79
Quando sembrava che tutto fosse perduto si sentì bussare alla porta. «Aprite! Aprite! È la forestale!», qualcuno gridò. Il lupo stremato non ce la faceva nemmeno a emettere un gemito. Udì dei rumori e la porta che si spalancava sotto i colpi dei calci dell’agente del corpo di polizia forestale, poi svenne. L’agente dichiarò in arresto la nonna e Cappuccetto Rosso. «È da molto tempo che vi sto addosso», disse «vi siete mangiati quasi tutti gli animali del bosco. Cosa vi hanno fatto di male? Perché lo fate? Stavate per mangiarvi anche questo povero lupo.» La nonnina rispose con aria innocente. «Lo
facciamo
per
fame,
non
abbiamo
da
mangiare… » Ma non aveva neanche finito di parlare che fece un balzo indietro, afferrò il fucile, sparò al lupo che nel frattempo aveva ripreso i sensi. Puntò l’arma contro l’agente che riuscì a schivare la pallottola mentre con la pistola fece fuoco contro la donna e l’uccise. L’agente si voltò e vide Cappuccetto Rosso a terra priva di vita, colpita dal colpo che era riuscito a 80
schivare. Andò dal lupo e vide che respirava ancora. Lo prese e lo curò e da quel giorno il lupo e l’agente diventarono grandi amici e vissero felici e contenti.
Giovanni De Salvo
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Lo zoo delle favole Mischiare i personaggi delle favole
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Cappuccetto Rosso e la scarpetta di Cenerentola In un museo vicino al Palazzo Reale era esposta, protetta da una vetrina, la scarpetta di Cenerentola, proprio quella scarpetta che aveva perso la notte in cui era fuggita dal palazzo del principe. E in quella vetrina, davanti alla scarpetta, si può leggere la storia incredibile della bellissima coppia. Cappuccetto Rosso, che lavorava in una biblioteca lì vicino, ammirò la scarpetta di cristallo e pensò che forse un giorno anche lei avrebbe avuto la fortuna di incontrare un marito, bello e gentile. Per diversi giorni tornò al museo per guardarla e riguardarla sognante. Le guardie, abituate alla sua presenza, non facevano più caso alla giovane e trascuravano di sorvegliare la scarpetta. Cappuccetto Rosso era così attratta da quel luccichio che un giorno, approfittando della distrazione delle guardie, se ne impossessò. 85
La mise in borsa e se la diede a gambe. Ma questa volta la scarpetta non portò né felicità, né marito perché le guardie del muse o,
s cop ert o
il
fu rto,
rintracciarono Cappuccetto Rosso e la fecero arrestare. Quando alla bella principessa Cenerentola giunse voce di quello che era successo, spedì al carcere uno dei suoi paggi per sapere i motivi che avevano indotto la ragazza a rubare la scarpetta. Il paggio, tutto bardato nel suo vestito di velluto e con un berretto ornato di piume sul capo, giunse al
carcere
dove
era
rinchiusa
la
ragazza.
Cappuccetto Rosso credette di trovarsi davanti il principe più affascinante del mondo. «La nostra Principessa desidera sapere perché hai rubato la sua scarpetta di cristallo», disse il paggio. E siccome la ragazza esitava insistette. «Allora Cappuccetto Rosso perché hai osato tanto?», Cappuccetto Rosso a quel punto confessò. «Non volevo dare un dolore alla Principessa! Chiedetele che mi perdoni.» La ragazza non riuscì ad aggiungere altro e scoppiò in lacrime. 86
Tornato al palazzo il paggio riferì alla Principessa quanto era accaduto e aggiunse che Cappuccetto Rosso gli era sembrata sincera e buona. «In tal caso… » decise la principessa, «ti ordino di liberarla e di portarla da me!» Cappuccetto Rosso era felicissima e tremava come una foglia mentre veniva accompagnata al cospetto di Cenerentola da quel paggio meraviglioso che per lei era più favoloso di qualunque
principe.
Più
tardi
confidò
alla
principessa le sue illusioni e questa sorrise con aria misteriosa. Cappuccetto Rosso rimase al fianco di Cenerentola e divenne sua preziosa e fidata consigliera. Poco tempo dopo sposò il paggio che era diventato per lei la persona più importante del mondo. A giudicare dalla felicità
del
matrimonio, la scarpetta non aveva perso il suo potere…
Placido Tonziello
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Il lupo Fischio C’era una volta una nonnina che abitava nel bosco con un lupo che aveva trovato quand’era ancora cucciolo. L’aveva chiamato Fischio perché era veloce proprio come un fischio. Il lupo voleva molto bene alla nonnina e guai a chi la toccava! Una mattina la nonna gli disse: «Fischio, vai a prendere la mia nipotina, Cappuccetto Rosso, e ricordale di portarmi un po’ di focaccia. Stai attento ai cacciatori, mi raccomando!» «Non ti preoccupare, nonnina» rispose il lupo, «e non aprire a nessuno.» Fischio si mise in cammino verso la casa di Cappuccetto Rosso, tutti la chiamavano così perché portava sempre un cappuccio rosso e aveva una vera passione per quel colore. Il lupo mentre percorreva il sentiero vide un uomo in lontananza, ma non gli sembrò un cacciatore. Quando furono vicini l’uomo gli disse: «Dove vai così di buon mattino?» «Vado a prendere Cappuccetto Rosso per accompagnarla 88
dalla nonna» rispose il lupo. «Vengo con te, ti faccio compagnia!» Ma mentre Fischio era voltato di spalle l’uomo sfilò un coltello. Il lupo se ne accorse e tentò di scappare ma ormai era tardi. L’uomo lo ferì a una zampa e lo catturò. Cappuccetto Rosso impaziente, vedendo che il lupo non arrivava cercò la mamma. «Posso andare incontro a Fischio?» «Va bene Cappuccetto, prendi anche un po’ di focaccia. Stai attenta e non uscire mai dal sentiero.» Cappuccetto Rosso percorse tutta la strada fino alla casa della nonna ma del lupo nessuna traccia. La nonna preoccupata chiese alla nipotina di tornare indietro alla ricerca di Fischio. Cappuccetto si incamminò e a un certo punto notò sul sentiero delle macchie di sangue. «Fischio! Fischio! Dove sei?», gridò la bambina senza ottenere risposta. Cappuccetto iniziò a correre di qua e di là alla ricerca del lupo, uscì dal sentiero e vide una grossa quercia dalla quale scendevano sette piccoli ometti. «Chi siete?», domandò la bambina. 89
«Siamo i sette nani. E tu che ci fai nel bosco tutta sola?» le chiesero i nanetti in coro. «Sto cercando il mio amico Fischio, il lupo della nonna che morirà dal dispiacere se non lo vedrà tornare.» I nanetti si guardarono. Proprio pochi istanti prima avevano visto passare un cacciatore con un lupo sulle spalle.
«Andiamo! Ti aiutiamo noi a ritrovare il lupo.» Si incamminarono tutti insieme e da lì a poco videro Fischio legato a una fune e il cacciatore sdraiato lì vicino che dormiva. In un balzo i nanetti gli furono addosso, lo immobilizzarono,
gli
presero
liberarono il lupo. 90
il
coltello
e
«Ora il lupo ti mangerà in un sol boccone!» dissero i nanetti per spaventare il cacciatore che già tremava dalla paura. Fischio fece finta di avvicinarsi minaccioso e il cacciatore scappò a gambe levate. Tutti si misero a ridere e i sette nani dissero, sempre in coro: «State tranquilli che questo cacciatore non si farà più vedere nel bosco!» Andarono tutti a casa della nonna che quando vide Fischio lo abbracciò e pianse di gioia. La mattina seguente, quando la nonna si svegliò trovò i nanetti che stavano mangiando gli ultimi resti di focaccia. «Tornate ancora a trovarci, che ce ne sarà di più!» disse.
La storia è finita, c’è chi l’ha letta e chi l’ha sentita!!! Antonio Zagaria
91
92
Cappuccetto, il gatto e la volpe Tanto, tanto tempo fa, in un piccolo paesino abitavano Cappuccetto Rosso e la sua mamma. Un giorno la mamma chiese alla bambina di aiutare la vecchia nonna. «Prendi
il
motorino,
vai
dalla
nonna
e
accompagnala a fare la spesa. Mi raccomando, vai piano e torna presto!» Senza esitare Cappuccetto Rosso ubbidì. «Va bene, mamma. Vado subito.» Mentre la bambina era per strada sul suo bel motorino rosa, il vento le sussurrò all’orecchio. «Cappuccetto… non passare lungo la strada della grande roccia, dietro vi sono nascosti il gatto e la volpe e ti vogliono rubare il motorino.» Cappuccetto seguì il consiglio del vento e imboccò un’altra strada. Il gatto e la volpe in attesa della bambina, non vedendola arrivare si arrampicarono in cima alla roccia. Da lì si accorsero che Cappuccetto aveva cambiato
strada
così
velocemente
dall’altura e cercarono di raggiungerla. 93
scesero
In
quel
momento
forti
raffiche
di
vento
cominciarono a soffiare spazzando via ogni cosa e spingendo i due in una foresta lontana dalla quale non riuscirono più a ritrovare la strada di casa. Cappuccetto,
quando
arrivò
a
destinazione,
ancora trafelata con il cuore in gola per l’emozione, abbracciò stretta la cara nonnina. «Ci penso io a te, nonnina cara!» Aiutò la nonna con la spesa e quando ormai si fece l’ora di rientrare, prima di salutarla prese carta e penna. «Voglio farti un regalo!» e su un foglio bianco iniziò a scrivere. “Alla mia cara nonnina che in finestra se ne stà, Ti protegge la tua nipotina dalla sera alla mattina. Un abbraccio dono a te che sei saggia più di un re. Vuoi sapere ora il perché? Su allegra! Tu hai me accanto a te!”
Vincenzo Pugliese 94
Ti do le parole ... tu inventa una storia
95
Anna C’era una volta Anna, una bambina solare che andava sempre al mare. Un bel giorno di vita quotidiana, mentre era sulla spiaggia le apparve un mago che teneva in mano una bacchetta magica. Il mago, accortosi che la bambina non vedeva bene, fece comparire un paio di occhiali e glieli regalò fra lo stupore di tutti i presenti. Anna per la gioia si mise a correre lungo la riva ma gli occhiali le caddero nell’acqua e le onde li portarono via. Il mago si accorse che la bambina piangeva per aver perso il dono appena ricevuto, allora si trasformò in un’onda gigantesca riportando sulla spiaggia il prezioso regalo smarrito. Anna riprese a correre piena di vita.
Giuseppe Mangiaracina 96
Anna e gli occhiali C’era una volta un mago
che regalò degli
occhiali magici a una bambina di nome Anna che viveva vicino al mare. Questi occhiali esaudivano ogni desiderio della piccola. Un giorno, mentre era al mare, una balena si mangiò una tartaruga e Anna chiese agli occhiali di riportarla in vita. La tartaruga per ringraziare Anna la fece salire sulla sua schiena e la portò a giocare tra le onde con lei.
Vincenzo Pugliese
97
Anna e il mare C’era una volta una ragazzina di nome Anna. Anna abitava in un villaggio di pescatori. La sua famiglia era molto povera e umile, vivevano alla giornata e facevano molti sacrifici per poter sopravvivere. Anna un bel giorno si accorse che faceva fatica a vedere bene. Così lo disse alla mamma. La povera donna, non sapendo come fare, perché non aveva i soldi per comprare gli occhiali, si recò da una famiglia che abitava a pochi passi da loro per chiedere un prestito, assicurando che quanto prima lo avrebbe restituito. In questo modo riuscì a comprare gli occhiali alla figlioletta. Anna, molto contenta del fatto che finalmente vedeva bene, decise di andare a pesca. Tutta orgogliosa si preparò il cesto con gli ami e le esche, prese la canna e si recò in riva al mare. Mentre era indaffarata a preparare il tutto per la pesca, le caddero gli occhiali nell’acqua e non riuscì più a trovarli. Disperata, non sapendo più che fare, iniziò a piangere con grossi singhiozzi. 98
Lì vicino c’era un vecchietto che sentendo la bambina piangere così tanto, si avvicinò per chiedere spiegazioni. Anna gli raccontò per filo e per segno quello che le era capitato e i sacrifici che la mamma aveva fatto per comprarle gli occhiali. Il vecchietto si commosse di fronte a questa storia così triste ma poiché era un mago e conosceva molte formule magiche le disse: «Non preoccuparti!» e alzando gli occhi al cielo recitò un rito magico verso il mare. All’improvviso apparve un delfino con uno scrigno in bocca. Anna si avvicinò, prese il cofanetto, lo aprì e all’interno c’erano gli occhiali e delle pietre preziose. Anna si girò per ringraziare il vecchietto ma per incanto non c’era più nessuno. Contenta ritornò a casa e raccontò alla mamma l’accaduto; la donna, felice di quanto era successo, restituì il denaro che le era stato prestato e con il resto che le era rimasto vissero felici e contenti per tutta la vita.
Placido Tonziello 99
Il mago del Circeo C’era una volta una bambina che si chiamava Anna. Anna
adorava
le
vacanze
che
era
solita
trascorrere al mare, al Circeo, dove abitava il suo amico mago. Questo mago era molto triste perché costretto a portare un paio di occhiali che gli impedivano di vedere come gli altri, e il mondo poteva solo immaginarselo. Quando Anna andava a trovarlo, la tristezza del mago si trasformava in allegria perché la piccola bambina, attraverso i suoi racconti, riusciva a fargli vivere una dimensione fantastica dove però tutto sembrava diventare reale. Un giorno Anna chiese alla mamma di vivere al Circeo non solo d’estate ma tutto l’anno perché in questo modo avrebbe potuto salvare la vita del suo amico. Infatti gli occhiali del mago non erano altro che un profondo stato di tristezza, non qualcosa di reale. 100
La mamma decise di esaudire il desiderio della bambina e si trasferirono al Circeo. Quando Anna disse al suo amico mago che non sarebbe piĂš partita gli occhiali che portava tutto ad un tratto svanirono e da quel momento la gioia prese il loro posto per tutta la vita!
Gennaro Ricci
101
Anna e il vù cumprà Un giorno Anna se ne andava al mare serena e contenta, ma il sole quel giorno sembrava che volesse fare i capricci: era tanto pungente e brillante che faceva lacrimare i suoi occhi. In breve tempo l’allegria di Anna sembrava completamente
svanita
nel
nulla
e,
quasi
disperata, stava per tornarsene a casa col broncio quando ad un tratto, nella sabbia dorata di quella spiaggia, con le lacrime che le solcavano il volto, ecco davanti agli occhi, come un mago apparso dal nulla, un vu cumprà. Vedendola triste e con gli occhi arrossati dal sole cocente, le offrì un magico dono: un paio di occhiali. «Grazie!», disse Anna felice dopo averli messi a protezione degli occhi. «Oggi mi hai proprio salvato la vita» concluse, godendosi il mare
serena e contenta come
quando vi era arrivata.
Andrea Gusinu 102
Il paese degli Occhialuti C’era una volta, in un piccolo paese sconvolto dalle intemperie climatiche, ove le onde facevan eco con il vento, una popolazione di Occhialuti. Tutti portavano gli occhiali. Si narra che un vecchio mago, reduce dalla tragica disgrazia di aver perso il suo unico figlio in quell’inesorabile mare, affranto dal dolore decise di farla pagare a quel popolino che non aveva visto annegare il suo amato Titan.
103
Maledisse quegli uomini fino a farli nascere quasi tutti orbi, costringendoli così a portare gli occhiali. Anna, la piccola principessina, figlia di re Goffredo, dopo aver letto e riletto la storia del suo paese decise, per esorcizzare quella funesta maledizione, di chiedere al suo papà di istituire un vincolo obbligatorio per tutti i paesani: ognuno di loro avrebbe dovuto prendersi cura della vita dell’altro, vigilandosi a vicenda per scongiurare un’ulteriore disgrazia. Passarono così i mesi e gli anni, quando il vecchio mago, avvedendosi di tutto quell’altruismo, decise
di
finalmente
annullare quella
maledizione. Tornarono così tutti a vedere, senza più quella
zavorra
degli
occhiali.
Francesco Perspicace 104
Perla e la matita magica C’era una volta una bambina, il cui nome era Perla e viveva con la madre in un paesino che si trovava tra un fitto bosco e il mare. Erano tutti molto poveri l’unica fonte di sopravvivenza era la pesca. Perla aveva molta paura del mare da quando aveva visto annegare un vecchio pescatore, colato a picco con la sua barca, così preferiva andare nel sottobosco a guardare i raggi del sole che filtravano tra i rami intersecati degli alberi e ammirare il cielo
disseminato
di
nuvolette
bianche. Lì iniziava a viaggiare con la fantasia e immaginava poco più in là un castello dove c’era un mondo fantastico abitato da fate e fiori che si trasformavano in uccelli colorati e farfalle. Con sé aveva sempre una piccola matita regalatale dal pescatore qualche giorno prima di annegare. Il vecchio le aveva raccomandato di imparare a scrivere e di portarla sempre con sé e così Perla non se ne separava mai. 105
Quando
andava
nel
bosco
si
metteva
a
scarabocchiare per terra. Una mattina la ragazzina si sedette comoda sotto un grosso tronco ricoperto tutto intorno di un mantello di foglie. Mentre spostava le foglie con la matita queste all’improvviso
iniziarono a
trasformarsi.
uccelli
Alcune
divennero
che
cinguettavano, altre farfalle bellissime che si misero a volare intorno a lei. La matita cadde dalle mani della bambina e cominciò a muoversi sospesa nell’aria e man mano che andava avanti si apriva un piccolo sentiero che si trasformava e si allargava sempre di più. Perla iniziò a seguire la piccola matita. Alla fine del sentiero vide come per magia un grande castello. Ipnotizzata da quella bellezza vi entrò e appena superato il cancello udì una voce. «Da oggi questa sarà la tua nuova casa. Puoi abitare qui con tua madre e tutti i pescatori che non avranno più bisogno della pesca per vivere.» Perla capì che la voce era del vecchietto e tutti insieme vissero nel grande castello felici e contenti con la piccola matita. 106
Antonio Zagaria
Il principino e la ragazza vestita di bianco C’era una volta un principino che viveva in un castello vicino al mare. Un giorno il principino disegnò con la sua matita una barca a vela e si vide mentre navigava in alto mare, quando scorse con il suo cannocchiale una nave che si dirigeva verso la riva. Esterrefatto vide, avvolta in un vestito bianco e con una lunghissima collana di perle, una bellissima principessina… da allora non se la levò più dalla testa: ne era segretamente innamorato. Un pomeriggio, mentre si trovava sulla spiaggia, assorto ed estasiato da quella bellissima figura, con la sua matita si mise a disegnarla, quando tutto ad un tratto… la vide avvicinarsi verso di lui. «Tu sei colui che tempesta la mia mente da qualche tempo a questa parte» lei disse con voce soave. Lui, incredulo, le rispose balbettando: «Anche tu… forse in un’altra vita eravamo sposati. Oggi il destino ci ha riuniti e non voglio più starti lontano. Tu sei semplicemente tutto ciò che ho desiderato. Oggi e per sempre la mia dolce realtà».
Francesco Pesce 107
Il bambino e la matita magica C’era una volta un bambino che viveva con il nonno molto malato in un villaggio vicino a un bellissimo castello. Il bambino ne era affascinato, e per poterlo veder da vicino si avvicinava sempre piÚ alle mura. Un giorno il nonno gli raccontò di un incantesimo fatto da un grande mago a una matita che lui da tanti
anni teneva custodita e mai usata.
Questa matita era magica: tutto quello che disegnava diventava realtĂ .
108
Il nonno, ormai moribondo, volle dare la matita in eredità al nipotino il quale disegnò una barca nel mare con tutti i marinai a bordo. Per incanto tutto diventò reale e mentre i marinai pescavano, la rete si impigliò in un grosso baule che con forza riuscirono a tirare a bordo. All’interno c’erano tante perle di grandissimo valore. Con il ricavato di queste perle il bambino comprò il castello che aveva sempre sognato, chiamò i dottori più bravi che ci potessero essere, li pagò e loro riuscirono a guarire il nonno a lui tanto caro. E così vissero felici e contenti.
Placido Tonziello
109
Una barchetta in mezzo al mare C’era una volta un mare minaccioso e nero come l’inchiostro. Un vecchio castello, che era posto in cima alla scogliera, di tanto in tanto si specchiava nelle sue acque: era piacevole guardare in basso e vedere riflessa la sua immagine deformata e capovolta; ma un giorno, il mare spinse nella scogliera i suoi marosi, con una violenza tale da ridurli in mille schizzi. «Splash! Fssshh! Sciak! Vooomm!» lanciava grida tanto forti che si sentivano dall’altra parte della costa. Giganteschi vortici ribollivano come una furia incontrollabile. «Cos’è che hai da urlare tanto?» bofonchiò dall’alto della rupe il vecchio castello, che nella vedetta, aveva due finestre spalancate come occhi vuoti.
110
«Lo sai che basta solo uno dei miei massi per ricacciarti in gola le tue urla» disse con tono minaccioso. «Come osi sfidare la mia furia?» rispose borioso il mare gonfiando il petto. «A me basta solo un’onda per spazzarti via dalla faccia della terra» ringhiò sputando tutta la sua furia contro la scogliera. «Boh boh boh, tremo di paura» ironizzò il castello. «Sono qui da mille anni e non ti permetto di minacciare chi ha ospitato blasonati, nobili e reali» replicò il maniero imbufalito. «Ah ah ah!» rise il mare, «io ospito da sempre, milioni, ma cosa dico?... Miliardi di esseri viventi» e rise ancora a squarciagola, mentre preparava un’altra onda. «Ma per amor del cielo! Smettetela! Siete patetici! Io ho portato in salvo molta gente; eppure non mi do così tante arie come voi» disse una barchetta con voce umile e tremante, mentre veniva sbattuta da una parte all’altra della riva. «Chi è? Come osi? Chi ha parlato?» chiesero in coro i due litiganti. «Sono io! La barca!» gridò galleggiando a stento 111
nel suo cantuccio la barchetta. «Ecco proprio
qua!
Non
niente…
ci
manca
siamo
a
posto… abbiamo anche le pulci con la tosse!» commentarono ironici i due litigiosi. «Aahh! Sei tu dunque che hai portato quella gente che ha occupato buona parte del mio spazio» borbottò il castello imbufalito. «E che dovevo fare? Dall’altra riva vengono cacciati, il mare cerca di affogarli e se tu da questa parte li respingi io non posso certo sostenerne così tanti» disse la barca con voce stanca e preoccupata. «La la la, la la la» canticchiava una perla in fondo al mare. «Io son qui, bella e risplendente, di tutto quel che dite a me non frega niente!» ripeteva
specchiandosi
della sua stessa luce. «Ma
senti
quella
vanitosa… » borbottò il castello spazientito. 112
«Non si rende conto della sua inutilità» concordò il mare. Sembrava proprio che i due litiganti avessero trovato di che sparlare eludendo così i loro problemi di convivenza. «Ma nooo… dai! Nessuno è inutile. Possiamo starci bene tutti in questo mondo», intervenne attirando l’attenzione una vocina tenue e delicata; sembrava quasi un pigolio. «Chi è? Dove sei? Fatti vedere!» chiesero in coro tutti quanti. «Eccomi! Sono qui! Sono io… la matita!» rispose una cosina tutta sola, in parte conficcata nel terreno e anche mezzo corrosa dalle intemperie. «E tu che ne sai del mondo, del mare e della terra?» chiesero ancora tutti insieme. «Guardate… si può fare!» disse mentre disegnava un grande cerchio con tutti gli elementi della terra: mise la barca in mezzo a un mare calmo e liscio come l’olio; il castello aperto a tutti e senza muri di recinzione lo mise al centro della terra.
113
La perla la dipinse in alto come il sole, da dove la sua luce illuminava tutti quanti: bianchi, gialli, neri e rossi, senza distinzioni curiali o religiose di razze e di colori. Questa storia è terminata. C’è chi l’ha detta e chi l’ha ascoltata. Se si praticasse la sua morale nel mondo non ci sarebbe più il male.
Andrea Gusinu
114
La Stanza
C’era una volta una rondine che viveva in una gabbia che lei chiamava stanza, perché il termine gabbia non la faceva sentire libera. La rondine passava giorni interi ad osservare il cielo e sognava un giorno di poter volare e lasciarsi alle spalle la sua stanza, anche se era spaventata di uscire di lì perché fuori c’era sempre un vento forte: temeva che, una volta fuori, la trascinasse in posti che non voleva. Una notte la rondine si addormentò sognando di essere fuori dalla sua stanza. Ma stranamente non sentiva più quel vento che lei temeva tanto e guardando il cielo vide un sole forte. «Sole, perché non ci sei mai quando tira quel vento forte?», chiese la rondine. 115
Il sole rispose, «Piccola, io sono sempre qua, è solo che in quella gabbia è impossibile vedermi.» La rondine si svegliò di soprassalto e si ritrovò di nuovo nella sua stanza. Il mattino seguente la rondine, incoraggiata dal sogno, uscì dalla sua gabbia e iniziò a volare e vedendo il sole si lasciò per sempre la sua stanza alle spalle!
Gennaro Ricci
116
Il leone e l’albero magico C’era una volta un piccolo leone che si era smarrito mentre giocava a nascondino con i suoi fratelli. Il leone era disperato e pieno di brutti pensieri perché erano molti giorni che gironzolava nel bosco senza riuscire a trovare la strada di casa. Un giorno, mentre percorreva un sentiero nel bosco, vide un albero molto bello con le foglie colorate. Il leone si avvicinò e raccolse da una fronda una foglia di colore azzurro: era il suo colore preferito e anche il colore del cielo. Ma all’improvviso l’albero, che era magico, cominciò a dondolare da una parte all’altra e con voce dolce disse al leone: «Grazie che mi hai tolto una foglia dai miei rami, così potranno respirare e crescere. Ora per gratitudine voglio esaudire un tuo desiderio.» Il leone era stupefatto perché non riusciva a credere a quello che stava succedendo. Quando tornò in sé pensò a cosa chiedere all’albero ma il 117
suo desiderio più grande era quello di ritornare dalla sua famiglia. Chiese quindi di poter avere un paio di ali per poter volare in alto e cercare la sua casa. L’albero esaudì subito la sua richiesta e il leone immediatamente spiccò il volo nel cielo azzurro con le sue ali splendenti. Dopo qualche ora che volava in mezzo alle nuvole nel cielo, avvistò finalmente la sua casa e si precipitò dai suoi cari. Una volta sceso a terra le ali scomparvero. La sua famiglia non credeva a quello che aveva visto ma per la gioia immensa di rivederlo corse ad abbracciarlo e organizzò una grande festa per il suo ritorno con tutti gli animali che abitavano là vicino.
Vincenzo Pugliese
118
Il leone Marco C’era una volta un piccolo leone che si chiamava Marco e che viveva in una grande città con i suoi genitori. Il suo papà però era costretto a stare lontano da casa per lunghi periodi e il piccolo leone, essendo l’unico maschio, quando mancava il padre aiutava la mamma. Un giorno la mamma chiese a Marco di andare in paese a prendere la carne che gli aveva preparato la zia. Per arrivare in paese il piccolo doveva passare per una strada
che al centro era
sbarrata da un grosso albero. Nel mezzo del suo tronco c’era un’apertura a forma di arco che avrebbe consentito il passaggio, ma una leggenda narrava che chi fosse passato sotto quell’arco si sarebbe trovato in un posto sconosciuto e pericoloso. Così la mamma diede al piccolo leone delle ali per oltrepassare l’albero volando e gli raccomandò di non attraversare l’arco. 119
Il piccolo la tranquillizzò dicendo: «Non ti preoccupare mamma, non avere pensieri, farò come mi hai chiesto.» Quando il leoncino Marco si trovò davanti il grosso albero fu preso da una grande curiosità e non resistette alla tentazione di attraversare l’arco. Fu così che si ritrovò in un luogo sconosciuto, completamente spoglio, arido. Si voltò indietro ma l’albero era scomparso. Allora si mise a camminare
con
la
speranza
di
incontrare
qualcuno che potesse portarlo fuori di lì. Ma non c’era nessuno. Nel frattempo la mamma, non vedendolo tornare, lo andò a cercare dalla zia e seppe che lì non era mai arrivato. Allora tornò indietro e attraversò dell’albero.
Trovò
il
piccolo
l’apertura
leone
Marco
piangente perché non sapeva più come fare a tornare a casa. Lo abbracciò forte e insieme indossarono le ali.
120
Tutto a un tratto si ritrovarono sulla strada vicini al grosso albero e Marco promise alla mamma che da quel momento non le avrebbe piĂš disubbidito.
Gennaro Ricci
121
Silvia e il fiore In un tempo lontano e in una galassia lontana viveva una bambina che si chiamava Silvia che aveva come migliore amico un fiore. I due trascorrevano giorni interi a giocare su una
stella. Un giorno videro avvicinarsi una nuvola che, man mano che avanzava, oscurava sempre più la stella dove stavano giocando, fino al punto che i due amici non videro più nulla. Silvia e il fiore si persero di vista per colpa del buio e la bambina, triste e spaventata, si mise a piangere disperatamente. Le sue lacrime erano talmente tante che arrivarono fino al mare che cominciò a ingrossarsi sempre di più. Qui viveva un genio che vedendo l’acqua aumentare a vista d’occhio si preoccupò e si mise a seguire lo scorrere delle lacrime fino a raggiungere la bambina. «Piccola, perché piangi così tanto?», le chiese. 122
«Perché ho perso il mio migliore amico per colpa di questa nuvola che ha oscurato tutto.» Il genio allora le regalò una candela che permise a Silvia di illuminare la stella e di scorgere il
fiore: il suo amico stava dormendo. Silvia lo svegliò e si abbracciarono. Erano così contenti di essersi ritrovati! Accostarono la candela alla nuvola che con il calore si dissolse e i due amici, di nuovo felici tornarono sulla loro stella a giocare.
Gennaro Ricci
123
Il genio della candela C’erano una volta due sorelle che si chiamavano Stella e Silvia e che abitavano in riva al mare. Un giorno decisero di fare una passeggiata in un campo pieno di fiori. Mentre passeggiavano in mezzo ai fiori molto profumati e colorati, trovarono una candela e la conservarono nella loro borsa. Nel frattempo una grossa nuvola coprÏ il sole e si fece buio.
124
Le due sorelle decisero di accendere la candela per poter distinguere la strada del ritorno a casa, ma appena l’accesero apparve un genio. Le due sorelle all’inizio si spaventarono ma il genio le tranquillizzò e le ringraziò per averlo liberato dopo tanti anni di prigionia in quella candela: chiese dunque cosa potesse fare per loro per esprimere la propria gratitudine. Le due sorelle allora gli chiesero di cacciare via la nuvola e illuminare la strada per ritornare a casa. Il genio con un soffio allontanò la nuvola e Stella e Silvia ritrovarono la loro strada ancora incredule per quello che era accaduto. Il genio, dopo aver aiutato le due sorelle, sparì in cielo.
Vincenzo Pugliese
125
Ancora un minuto... Una stella brillava in cielo emanando un bagliore che quasi accecava. In una notte gelida di dicembre un genio, che già da un po’ la stava ad osservare, si accorse che la stella quasi non si vedeva più. Sembrava ormai solo la luce fioca di una candela accesa in una stanza buia. Il genio rimase lì ancora un po’, ancora un minuto. La guardava, la riguardava. Finalmente la vide. Una nuvola
grigia aveva coperto
quell’immenso bagliore. Tutti i suoi timori si dissolsero con quella nube spazzata via in un sol soffio. La stella era ancora lì al suo posto, lì dove era sempre stata a specchiarsi nel mare. Si era ormai fatta l’alba. Silvia, preoccupata perché il suo genio non era ancora rientrato, si affacciò alla finestra e lo vide lì, seduto su una panca ad osservare il cielo. Lo chiamò. «Ancora un minuto… ancora un minuto e sono da te!» le rispose lui. 126
Raccolse un fiore dalla terra, con tutta la zolla e le radici e lo offrì alla sua adorata per piantarlo nel loro giardino. «Il mio cuore brilla per te più di quella stella in cielo!» E vissero felici e contenti.
Giovanni Di Salvo
127
La stella dei desideri In un piccolo paesino vicino al mare vivevano due sorelline con la loro mamma che le amava moltissimo. Un giorno le bambine, mentre giocavano nel giardino dietro casa, videro una stella che era caduta dal cielo. Si avvicinarono per afferrarla ma la mamma disse loro di non toccarla perché poteva essere pericoloso. Le sorelline però, molto cocciute, senza farsi vedere la presero nascondendola nella loro cameretta. La sera, quando si misero a letto per dormire, la stella iniziò a illuminarsi. «Mi avete salvato! Cosa volete che faccia per voi prima che ritorni in cielo?» Le bambine all’inizio si spaventarono ma la stella le tranquillizzò e cominciò a riempire la loro cameretta di giochi magici. Le piccole chiesero alla stella di poter riportare il loro papà a casa perché era lontano. 128
La stella subito volò in cielo e andò a prenderlo e lo riportò a casa. Le bimbe erano felicissime di riavere con loro il papà che non vedevano da tanto tempo e la stella ritornò in cielo contenta di aver potuto aiutare le due sorelline.
Vincenzo Pugliese
129
La musica che salvò un principe
Tanto tempo fa, in una grotta c’era un principe che era stato trasformato in una statua da un mago cattivo. Un giorno nel paese vicino ci fu una festa. Zampogne e tamburelli producevano una musica talmente forte che sul soffitto della grotta si aprirono delle crepe dalle quali iniziò a scendere dell’acqua che bagnò la statua sciogliendo il gesso in cui era imprigionato l’uomo. Il Principe immediatamente riprese a vivere e per la gioia immensa di avere riacquistato la libertà corse in paese e raccontò l’accaduto. Era tornato in vita grazie alla musica. Tutti allora capirono la verità... quella musica era magica.
Vincenzo Pugliese 130
La dea dell’acqua Nella foresta dell’Amazzonia scorreva da una montagna una cascata d’acqua dove tutti gli abitanti del villaggio andavano a lavarsi. Un giorno un bambino sentì provenire dalla sorgente una musica soave e molto piacevole. Incuriosito iniziò a seguire questa melodia e scoprì che dietro questa cascata d’acqua si nascondeva una grotta. Il bambino incominciò a esplorarla e vide una statua angelica che stringeva fra le mani un flauto. La musica veniva proprio da questa statua e appena la toccò sentì una voce. «Io sono la dea dell’acqua e proteggo il tuo villaggio da migliaia di anni.» Il bambino, quasi impaurito, scappò di corsa al villaggio e insieme al padre radunò tutti gli abitanti a cui raccontò la straordinaria verità che aveva scoperto. 131
Da quel giorno tutti andarono alla grotta
a
portare omaggi alla dea dell’acqua pregandola affinchÊ nel villaggio governassero sempre pace e amore.
Placido Tonziello
132
La musica magica C’era una volta una bambina che viveva con i suoi genitori su una piccola isola e andava sempre a prendere l’acqua in una grotta. Un giorno lungo il tragitto notò un’altra grotta che non aveva mai visto. Incuriosita vi entrò e sentì una musica magica. Quando tornò a casa raccontò tutto ai suoi genitori che, increduli, vollero vedere con i loro occhi se la piccola avesse detto la verità. Si misero in cammino tutti e tre. Trovarono la grotta, vi entrarono e sentirono una musica melodiosa. Si addentrarono ancora di più e videro una statua che all’improvviso parlò. «Chi siete? Cosa vi ha portato qui?». I genitori rimasero ammutoliti mentre la bambina riuscì a tirar fuori un filo di voce. «Vorrei sapere da dove viene questa musica.» La statua allora rispose: «L’ho fatta io perché era da tempo che non parlavo più con nessuno. 133
Speravo
che
questo
suono
potesse
attirare
quaggiù qualcuno.» Fu così che, commossa di fronte a
tanta
solitudine, la bambina decise che non avrebbe lasciata sola la bella statua costretta a restare immobile in quella grotta buia. Da allora ogni giorno la bambina trascorre ore in compagnia della statua a chiacchierare delle bellezze e i segreti dell’universo e ad ascoltare musica magica.
Salvatore Irrera
134
La solitudine C’era una volta una bambina di nome Oriana, un po’ timida e che non faceva conoscenza con nessuno. Il suo unico amico era un palloncino che aveva ricevuto in regalo dai genitori all’età di cinque anni. Oriana gli aveva dato un nome un po’ strano, l’aveva chiamato… Sfirifino. Un brutto giorno il palloncino volò e la bambina pianse disperata, sentendosi all’improvviso sola. Dopo cinque mesi lo ritrovò sopra un albero e ritornò verso casa felicissima. Lungo il cammino lo perse di nuovo ma fortunatamente incontrò una bambina, si chiamava Sara, che riuscì a riacchiapparlo e glielo restituì. Le due bambine fecero amicizia e Oriana avrebbe desiderato che diventassero inseparabili, ma già il giorno dopo Sara partì per la Francia. Oriana si intristì ancora di più perché si convinse che non poteva avere amici e si rassegnò. Un bel giorno mentre era distesa sul divano Oriana sentì suonare il campanello: «Mamma, 135
vado io!» gridò la bambina. Quando aprì la porta vide Sara. In un primo momento rimase immobile dalla sorpresa poi con un balzo abbracciò l’amica quasi a buttarla a terra per l’entusiasmo. Sara era tornata per stabilirsi definitivamente nel paesino dove abitava Oriana e le due amiche non si separarono più.
Salvatore Irrera
136
La storia di una cavalla bianca C’era una volta una ragazzina di nome Oriana che desiderava tanto una cavalla con cui andare in collina a correre e giocare nei prati fioriti. Però suo
padre
e
sua
madre
non
potevano
comprargliela perché erano molto poveri, avevano solo i soldi sufficienti a comprare qualcosa da mangiare e dei vestiti. La ragazzina lo sapeva ma era ferma nel suo intento. Un giorno i genitori di Oriana si svegliarono e la chiamarono diverse volte senza però avere riposta. Suo padre salì in camera ma non la trovò. Allora si ricordarono che lei aveva detto di volere a tutti i costi una cavalla: capirono che era scappata per cercarne una nella foresta. Decisero di andare a cercare la bambina. Dopo svariate ore non l’avevano ancora trovata e tornarono a casa senza speranza di rivederla. Dopo qualche giorno sentirono la voce della figlia ma credettero fosse solo un’illusione; tuttavia guardarono fuori dalla finestra pur pensando che 137
non ci fosse nessuno. E invece la videro arrivare non da sola ma... con la bellissima cavalla bianca dei suoi desideri. I due l’abbracciarono felici. «Ma dove sei stata, figlia mia? Eravamo molto preoccupati per te!» Oriana iniziò a raccontare ai genitori ciò che le era successo. «Sono arrivata nel bosco di sera. Dietro di me sentivo delle voci, erano gli alberi che dicevano: “Ma dove vuoi andare senza una spada? Il bosco è molto pericoloso.” Così una grande quercia mi ha dato una spada magica grazie alla quale sono riuscita a sconfiggere un grosso drago malvagio. Oltre la caverna del drago, ho visto un prato fiorito e, tra gli alberi, c’era una bellissima cavalla bianca. Mi sono avvicinata a lei, l’ho accarezzata e siamo subito diventate amiche e così siamo tornate a casa insieme.» Oriana, da quel momento in poi, fu felice e anche i suoi genitori.
Salvatore Irrera
138
Lungo il sentiero Un cavaliere prospero, sagace e baldanzoso, lungo la via della baldoria e dei divertimenti, aveva tanti amici forti e spensierati: tutti scelti fra i cavalieri e le dame di un reame. Canti, balli e musicanti si alternavano per farlo divertire senza freni inibitori. Tutto sembrava facile, in pianura e senza asperità; ma un giorno, mentre percorreva il suo sentiero, si trovò stanco, assonnato e forse anche poco attento alle trappole che, di tanto in tanto, la vita dissemina nel nostro, a volte splendido, a volte lugubre cammino. Così, durante il suo viaggio di ritorno, deviò dal solito percorso, quello che gli era stato sempre congeniale. In sella al suo destriero si ritrovò improvvisamente inghiottito da una strada erta e tortuosa. In lontananza, sotto un cielo di nuvole basse e pesanti, in cima a una montagna circondata da orribili vegetazioni, notò un castello misterioso, con mura lugubri marcate dagli sguardi vuoti delle sue finestre ben squadrate. 139
Continuò a galoppare e comunque lo guardasse i particolari della scena non mutavano. In breve tempo si trovò davanti alla porta carraia, spalancata come la bocca di una tomba vuota e pronta per inghiottire la sua salma. Appena entrò si chiuse la porta alle sue spalle. All’interno un lungo corridoio. Su una parete faceva la sua mostra un orologio tetro e gigantesco con il pendolo e le lancette che non erano perfettamente in sintonia. In quel castello il tempo si era fermato e non passava mai, i muri delle stanze erano come drappi avvolgevano e toglievano il respiro.
neri
che
Osservando con più attenzione l’aspetto tenebroso del castello, vide che dal pavimento e dalle sue segrete,
come
piante
carnivore,
spuntavano
radici che si innalzavano come liane per tenere in catene i prigionieri come tronchi morti. Tutti quei suoni cupi e tristi riempivano di orrore il cavaliere, mentre per i prigionieri quei muri grigi, quelle forme e quei rumori, attraverso lunghe sofferenze, erano diventati materia della loro dimora familiare. 140
Il cavaliere fuggì terrorizzato dalle atrocità di quell’ambiente, giunse barcollante verso l’uscita, colto da spasmi e in agonia, trovò la carraia chiusa e cadde a terra logorato e senza forze. Solo allora capì che nel castello era più facile entrarvi che venirne fuori… Proprio in quell’istante i raggi della luna piena lo destarono dal sogno… In effetti, mentre rientrava dalle baldorie e dai divertimenti, era caduto da cavallo e si era addormentato: l’incubo comunque lo portò a riflettere e ragionando pensò che durante il percorso della nostra vita, oltre al resto, ci sono tante incognite e non bisogna mai lasciare una strada sicura per una incerta: si potrebbe
finire
in
quel
castello…
senza
distinzione di titoli o blasone.
Andrea Gusinu
141
Il fabbro Tanto tempo fa, in un villaggio con le case costruite
in
pietra,
viveva
un
fabbro
che
rispettava molto la natura e amava tutte le persone del luogo. Un giorno, mentre stava battendo con il martello un ferro per fare degli zoccoli, sentì un rumore di cavalli e di una carrozza. Si girò e vide l’esercito del re fermo proprio davanti alla sua bottega. Gli si avvicinò un centurione che disse: «Sei tu il fabbro del villaggio?» «Sono io, per servirvi», rispose l’uomo. «Bene. Il re ordina di fabbricare delle catene perché ne è rimasto solo un paio e i prigionieri sono molti» disse il centurione. L’uomo, che era una persona buona, si rifiutò. Il centurione aveva ricevuto ordine dal re di arrestare il fabbro in caso di un rifiuto, di rinchiuderlo nelle segrete del castello in cima alla montagna e usare l’ultimo paio di catene per lui. 142
Così i soldati presero il fabbro, lo caricarono sulla carrozza e lo imprigionarono. L’uomo si ritrovò sottoterra in una stanza umida e buia, gli sembrò di essere sepolto vivo. Lì non entrava neanche un raggio di sole e c’erano molti prigionieri incatenati alle sbarre da molti anni e nessuno poteva sapere quello che accadeva in quelle segrete. Passò molto tempo, il povero fabbro pregava giorno e notte. Una di queste interminabili notti sbucarono dai pavimenti delle celle delle forti e grosse radici che spezzarono le catene e fecero crollare i muri. I prigionieri scapparono e tornarono tutti dalle loro famiglie. Il re del castello vedendo una cosa simile si terrorizzò e da quel giorno decise di non incatenare più nessuno nelle segrete.
Vincenzo Pugliese
143
… Aspettando il suo papa’ C’era una volta Cappuccetto Rosso che viveva col suo papà e la sua mamma in un piccolo paesino vicino al mare. Una notte all’improvviso qualcuno bussò alla porta della loro casa: sembrava quasi che la volessero buttare giù. Cappuccetto Rosso, spaventata, corse nel letto dei suoi genitori e il suo papà andò a vedere chi avesse bussato così forte. «Chi è?» chiese il papà di Cappuccetto Rosso. «Carabinieri! Aprite o buttiamo giù la porta.» Il papà di Cappuccetto Rosso aprì la porta e, trovandosi davanti tanti carabinieri, chiese cosa stesse succedendo. «Perquisizione!», risposero i carabinieri. Nel frattempo la bambina si era addormentata tra le braccia della sua mamma. Dopo aver finito la perquisizione i carabinieri presero il papà della piccolina e lo misero in una macchina senza farlo più scendere. La mamma fu costretta a portare Cappuccetto 144
vicino
alla
macchina
dei
carabinieri
per
permettere alla piccina di salutare il suo papà, perché lo avevano arrestato. Passò quasi un mese senza che l’uomo potesse vedere né la moglie né la sua bambina che ogni giorno interrogava la mamma: «Ma dov’è il mio papà? Quando torna?» «Presto piccolina mia, presto!», rispondeva la mamma. Ma la bambina in quei giorni pensava che il suo papà l’avesse abbandonata e per la tristezza non riusciva più a mangiare e a dormire, anche perché erano molto legati l’uno all’altra. Dopo tanti giorni di attesa finalmente Cappuccetto Rosso poté rivedere il suo papà. «Papà,
perché
non
torni
a
casa?»
chiese
Cappuccetto, «Non è che ti sei trovato un’altra fidanzata?» «No, amore mio. Sto lavorando. Devo costruire un palazzo. Quando finisco ritorno a casa da voi.» rispose il papà. La bambina, che era piccolina, non capiva dove poteva trovarsi il suo papà. Ma un giorno, durante un colloquio Cappuccetto gli disse: «Papà, però con tutte queste sbarre 145
sembra una prigione.» Il papà non sapeva cosa dire ma per non far prigione»
le
soffrire la figlia. «Non è una
disse
«è
un
palazzo
che
sto
costruendo.» Passarono molti anni, durante i quali l’uomo fu spostato da carcere in carcere, lontano dalla sua famiglia, costringendolo a vedere la sua amata bambina solo poche volte l’anno. “Ormai Cappuccetto Rosso ha quasi dieci anni” pensò tra sé, “sarebbe ora che le dica la verità”. Per molte notti il papà non riuscì a dormire cercando il modo giusto per parlarle e farla soffrire il meno possibile. Poi, grazie ad un corso che stava frequentando in carcere pensò: “Posso provare a dirle la verità attraverso una fiaba!” Sono passati anni da allora e non si è mai saputo se quell’uomo sia riuscito a trovare il coraggio per raccontare alla sua amata Cappuccetto Rosso la sua fiaba. Sappiamo di certo però che uscì dal carcere e tornò da sua moglie e dalla sua bambina, che ormai non era più così piccolina, e dimostrò loro, giorno dopo giorno, tutto il suo amore.
Uno per tutti, tutti per uno 146
Conclusione
Niente di nuovo sotto il sole… Una stanza e un cielo a quadri… Una rondine portata via dal vento rompe la desolazione dell’anima. Basta poco per riempire una stanza.
Evasioni Evasive
Momenti
alternati fra dolori e tristezza in un
susseguirsi come nuvole in cielo; momenti che si amalgamano e si intrecciano in un mondo di corridoi, ferro, cemento e furgoni blindati. È il mondo invincibile dei vinti, che si affannano a mostrarsi con gli occhi buoni e sinceri della ragione: un modo come un altro per convincere chi ti ci ha relegato che puoi liberarti da quelle ombre nere, che influenzano e inquinano l’anima umana. Intanto, mentre cerchi di cancellare il passato, pensi al futuro e inesorabilmente ti sfugge il presente. Tutto questo sta alla base di questa esistenza… il tuo universo diventa una stanza: non ti servono i piedi perché non hai dove andare; non utilizzi le mani perché non hai un lavoro da fare; è inutile anche la voce perché nessuno ti ascolta. Soltanto il pensiero può portarti lontano. Dalla finestra il sole entra a spicchi e il cielo lo vedi a 147
quadretti e così, mentre il vento ti sputa in faccia chi sei… una rondine piroettando nel cielo ti ricorda che è passata un’altra stagione, e mentre continui a sognare un mondo migliore, ti senti impotente e non puoi far nulla per poter cambiare le cose. Con occhi sognanti continui a guardare la rondine che vola felice regalandoti pensieri di libertà, e mentre aspetti che passi un’altra stagione, i tuoi capelli diventano grigi; solo allora ti accorgi che anche il volo di una rondine può farti sognare e regalarti un’evasione evasiva che nessuno, neppure la logica, potrà mai punire.
Andrea Gusinu
148
Postfazione
di Fabio Gianfilippi, Magistrato di sorveglianza
Un
libro di fiabe non finisce mai per davvero.
Certo, la liturgia del racconto prevede la parola fine, che segue di solito una soluzione rassicurante delle peripezie dei protagonisti. Però, poi, si ricomincia sempre da capo. E allora una postfazione non può che essere un ponte per riprendere la lettura. Un’occasione per fare una pausa dopo aver esplorato tanti orizzonti fantastici e rassicurarci che basterà aprire nuovamente il libro al punto
giusto
ed
i
nostri
personaggi
preferiti
cominceranno nuovamente a interpretare se stessi e a tradurre in azioni semplici e vere i propri sentimenti così difficili da esprimere a parole. L’esperienza di scrittura che ha condotto a Fiabe con le ali è davvero luminosa. Ha toccato le persone detenute nelle corde dolenti dell’affettività, ancora così negata nelle nostre carceri. Le ha sollecitate ad utilizzare un vocabolario emotivo cui gli adulti, giovani e meno giovani, sono ormai così poco abituati. Le ha rimesse in contatto con la parte di sé, che non
149
ci abbandona mai, che delle fiabe è stata ascoltatrice rapita in una infanzia vicina o ormai lontana, felice o infelice nei nostri ricordi. E le fiabe sono oggi a disposizione di chi voglia leggerle e raccontano in modo efficace soprattutto il superamento degli stereotipi e l’inestricabile groviglio di bene e di male che c’è nelle persone. In questo sono racconti adulti e moderni. Se insegnano, insegnano soprattutto a giudicare al di là delle apparenze, a diffidare di ciò che sembra troppo chiaramente buono o cattivo, a saper faticare per trovare la strada giusta, che non è necessariamente quella che a prima vista ci si era mostrata. C’è un bagno di realtà dietro a queste fiabe? A me pare di intravederlo. E il senso costituzionale di una esecuzione penale è proprio in questo bagno di realtà, che consente di rivedere criticamente quanto di negativo si è fatto per poter costruire solidamente un futuro in cui si recuperi a pieno un posto responsabile nella società. Diceva Don Milani in L’obbedienza non è più una
virtù che “Bisogna avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani, per cui l’obbedienza non è ormai più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni, che non credano di 150
potersene far scudo né davanti a Dio né davanti agli uomini, che bisogna che si sentano ognuno l’unico responsabile di tutto.” Nelle fiabe di questo libro il protagonista è spesso solo di fronte alle sue scelte e spesso solo è l’uomo di fronte alle scelte di vita. Le sirene della deresponsabilizzazione e delle colpe della società e del contesto tentano di impedire che ciascuno si riappropri di questa sovranità e, nel proprio credibile quotidiano, si interroghi su ciò che è giusto e sui mezzi giusti, perché rispettosi dell’altro e dei suoi diritti, per raggiungerlo. Questo messaggio, invece, desiderano passare gli autori ai propri figli, ai propri lettori. A spezzare le catene dei prigionieri, in una delle storie che avete letto, sono le radici che, per forza sovrannaturale, prendono forza e vita pur nei recessi di una orribile prigione senza luce. Le radici evocano gli affetti ancestrali, il nostro passato, le famiglie, la casa, la terra d’origine, ma evocano, per me ancor più profondamente, quella parte di ciascuno in cui risiede la dignità, che il reato non può scalfire. Al di là del fine pena delle persone detenute che hanno scritto queste storie, è in questa parte profonda del sé che è altro dal reato, in questa individualità piena di 151
bellezza originaria, che stanno la forza per ogni riscatto e la libertà. Ed è compito di chi lavora sui percorsi di risocializzazione dei detenuti saperla intercettare e darle la forza di riespandersi o di espandersi per la prima volta. Nel ringraziare chi ci ha consegnato un lavoro così delicato e prezioso, non mi resta che apporre la parola fine, che scrivo però come preludio ad una nuova lettura di queste fiabe ed anche come segno di speranza di un nuovo inizio. Perché ai “c’era una volta” è bello sostituire già oggi molti “ci sarà una volta… ”, carichi di un futuro migliore di un presente altrimenti doloroso e difficile.
152
Postfazione
di Stefano Anastasia, garante dei detenuti dell’Umbria
Buon
ultimo arrivo io. Ultimo e inessenziale, mi
aggiungo alle pagine scritte (e lette) fin qui solo per la cortesia di Francesca Rotolo, che ha voluto coinvolgermi in corso di stampa, e per l’ammirazione che nutro nei confronti del lavoro che lei e Silvia Corvino hanno svolto con i detenuti della sezione di alta sicurezza del carcere di Terni, gli autori di questa preziosa raccolta letteraria. Solo recentemente sono state scoperte le plurime virtù della scrittura in ambiente penitenziario. Le sue funzioni pratiche e tradizionali sono sempre lì, immutabili e irrinunciabili: in carcere si scrive per mantenere i contatti con il mondo di fuori, per lasciare un segno del proprio passaggio in una camera detentiva ovvero per rivolgere un’istanza a un’autorità, penitenziaria o giurisdizionale che sia. Si tratta, evidentemente, di bisogni fondamentali di comunicazione, che nessun detenuto ha potuto reprimere a cuor leggero e che ciascuno cerca di soddisfare, magari con l’aiuto del compagno di stanza o di reparto che sa scrivere e mettere in forma i sentimenti altrui o una domanda di giustizia. Dietro 153
le migliaia di pagine di lettere dal carcere di detenuti celebri, ci sono le innumerevoli pagine scritte da donne e uomini comuni che attraverso la parola scritta hanno cercato di salvaguardare quel filo di comunicazione tra se stessi e i propri cari. Dietro la gran parte delle decisioni giurisdizionali sui diritti dei detenuti ci sono altrettante innumerevoli istanze, autografe o redatte dallo scrivano del reparto, o anche solo una lettera a un parente o a un avvocato per sapere cosa poter fare per questo o per quello. Finché esisterà il carcere, le persone detenute sentiranno quel bisogno di comunicare con l’esterno, per far conoscere le proprie ragioni e i propri sentimenti, e ogni forma di limitazione degli strumenti di comunicazione con l’esterno costituisce una pena nella pena, una pena oltre la pena e, in fondo, una pena illegittima. Ma la scrittura, prima che una forma di comunicazione, è anche uno strumento di ricerca di sé, delle proprie emozioni e dei propri sentimenti. Sì, certo, quando si scrive (una lettera o una poesia, una fiaba o un articolo) si pensa a chi possa leggere quella successione di parole e, idealmente, vi ci si rivolge. Ma chiunque sia il destinatario delle tue parole, la scrittura ti costringe a pensare, a fare i conti con te stesso per poter rendere conto agli altri delle tue idee 154
e dei tuoi sentimenti. Per questo, io credo, negli ultimi anni si sono andati moltiplicando nelle carceri italiane i laboratori di scrittura: perché sono una opportunità unica per mettersi alla prova, per comprendere - prima ancora che per esprimere - i propri sentimenti e per argomentare le proprie ragioni. In questo modo, chi scrive prende fino in fondo consapevolezza di sé e può aprirsi con più forza alla relazione con l’altro. Personalmente ho sempre nutrito una forma di laico scetticismo sulla funzione rieducativa del carcere e ho sempre pensato che quell’obbligo costituzionale (“le pene devono tendere alla rieducazione del condannato”) comportasse un impegno per le amministrazioni dello stato nonostante il carcere, non grazie a esso. Penso cioè che i costituenti (molti dei quali avevano conosciuto personalmente il carcere e, lì dentro, avevano conosciuto le cause sociali della devianza e della criminalizzazione) sapessero quale tragedia fosse la pena detentiva e quale controsenso fosse voler rieducare qualcuno attraverso il suo allontanamento dalla società. Con quella consapevolezza imposero alle generazioni future una sfida forse difficile, ma certo necessaria: limitare la sofferenza della pena e darle un senso attraverso l’offerta di opportunità di recupero dello svantaggio 155
sociale che è all’origine di tanta parte delle incarcerazioni. Tra queste opportunità ci sono (meglio: ci dovrebbero essere, più di quanto non ci siano) quelle legate all’istruzione, alla formazione e al lavoro, su cui si misura gran parte della scommessa rieducativa. Ma quelle opportunità, per essere colte, hanno bisogno di persone consapevoli di sé, dei propri sentimenti e delle proprie ragioni, della propria intelligenza e delle proprie abilità. Ecco, allora, che l’esercizio della scrittura, lo scavo nei propri sentimenti e nelle proprie opinioni, la ricerca delle parole giuste per condividerle con gli altri, con i propri compagni, con le proprie compagne, con i propri figli e nipoti, magari – come qui – nella forma del racconto fiabesco, tutto ciò può costituire il primo passo di un percorso di reinserimento sociale.
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Ringraziamenti
Dott. Stefano Anstasia, Garante per i diritti dei detenuti del Lazio e dell’Umbria. Dott. Fabio Gianfilippi, Magistrato di sorveglianza. Dott.ssa Chiara Pellegrini, Direttore della Casa Circondariale di Terni. Dott. Fabio Gallo, Comandante del Corpo di Polizia Penitenziaria. Dott.ssa Gabriella Simonetti, Responsabile dell’Area Trattamentale. Dott.ssa Francesca Sabbatini, Funzionario Giuridico Pedagogico. Dott.ssa Mara Bravi, Funzionario Giuridico Pedagogico. Dott. Sergio Pera, Addetto alla Segreteria Tecnica dell’Area Trattamentale. Maestra d’Arte Gisella Manuetti Bonelli, Curatrice del Laboratorio Artistico dell’Associazione Caritas-San Martino presso il Circuito di Media Sicurezza. Prof.ssa Claudia Cianca dell’Istituto Professionale I.P.S.I.A. Dott.ssa Rosella Vitali, Psicologa clinica-Psicoterapeuta. Dott.ssa Francesca Capitani, Festival della Cultura in onore di Giovanni Solinas. Dott. Lorenzo Gianfelice, Presidente del Cesvol della provincia di Terni. Dott.ssa Emanuela Puccilli, Servizio editoria sociale e editing del Cesvol della provincia di Terni. Un ringraziamento particolare va a tutti gli autori: Antonio Campisi,
Giovanni De Salvo, Andrea Gusinu, Salvatore Irrera, Giuseppe Mangiaracina, Francesco Pesce, Francesco Perspicace, Vincenzo Pugliese, Gennaro Ricci, Placido Tonziello, Antonio Zagaria . E ancora ai detenuti partecipanti al corso “Figli d’arte di Gisella”.
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Francesca Rotolo Nasce a Varese nel 1985, autrice e regista si laurea alla facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università La Sapienza con la tesi Educazione al Teatro. Progetto per un nuovo spettatore. Dopo il Master in Teatro Sociale prende parte come aiuto-regia e actor-coach teatrale al film Cesare deve Morire dei Fratelli Taviani (Orso d’Oro alla Berlinale 2012 e nominato dall’Italia agli Oscar). Nel 2011 fonda MASTOfficina delle Arti una associazione culturale che promuove arte e cultura in Italia. Nel 2015 Liber Liberanti viene scelto tra i migliori progetti under 35 nel Lazio e inserito nel Volume Lazio Creativo ricevendo una lettera di merito dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Lo spettacolo di lettura di fiabe apre la stagione 2016/2017 del Teatro Quarticciolo di Roma: in scena insieme alle detenute di Rebibbia le attrici Lella Costa, Iaia Forte e Michela Cescon. Sito: www.mast.officinadellearti.com Pagina Facebook
MAST – Officina delle Arti o Liber Liberanti. Silvia Corvino Organizza eventi cercando di unire sempre qualità artistica e impegno civile. In particolare con l’Associazione ARIELE Arti Ricerca e Libertà Espressiva si occupa di diffondere e far conoscere le attività artistiche e culturali che si svolgono nelle carceri italiane a scopo riabilitativo. Dopo aver assistito ad alcuni spettacoli di lettura espressiva presso il carcere romano di Rebibbia Femminile realizzati nell’ambito del Progetto Liber Liberanti propone di realizzarlo anche nel carcere di Terni. Qui Francesca Rotolo, regista tearale e ideatrice del Progetto, la vuole per coadiuvarla nella realizzazione di Liber Liberanti con i detenuti della sezione di Alta Sicurezza. 160
Una filastrocca tutta per te
Il topo giallo C’era una volta un topo giallo, Somigliava ad un gallo. Svegliava la gente di buon mattino, anche il bambino nel suo lettino. Si lamentavano tutti quanti, amici, turisti villeggianti. Non mangiava mai il formaggio e si sentiva tanto, ma tanto saggio. Non aveva però molto coraggio, tanto da aver paura anche di uno scarafaggio. Il topo giallo era un animale assai strano, ma anche lui sapeva dare una mano.
Salvatore Irrera
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Indice
Introduzione
di Antonio Zagaria
pag.
7
»
9
»
14
»
15
»
16
di Claudia Cianca
»
17
C’era una volta di Rosella Vitali, psicologa clinica-psicoterapeuta
»
19
Libertà Espressiva
»
25
Introduzione alla lettura di Francesca Rotolo, MAST– Officina delle arti
»
27
Fiabe con le ali
di Dott.ssa Chiara Pellegrini, direttore della Casa Circondariale di Terni
Riflessione breve
di Francesca Sabbatini, il funzionario giuridico pedagogico
Vi racconto una favola di Sergio Pera
Creatività… spazio senza sbarre di Gisella Manuetti Bonelli
Fiabe per un progetto di vita
Lettera ai lettori di Silvia Corvino , Associazione Ariele Arti Ricerca e
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CAPPUCCETTO ROSSO … e se la favola di Cappuccetto Rosso non fosse affatto finita? … il Cacciatore, Francesco Pesce
»
39
… Cappuccetto Rosso, Placido Tonziello
»
40
… Cappuccetto Rosso, Andrea Gusinu
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… nel bel mezzo, Francesco Perspicace
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… quando, Giuseppe Mangiaracina
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45
… e se la vera storia di Cappuccetto Rosso non fosse quella che conosciamo? Variazione della fiaba. Scrittura libera Il lupo coraggioso, Vincenzo Pugliese
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La nonnina, il lupo e la nipotina, Vincenzo Pugliese
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Cappuccetto Rosso scrittore, Francesco Perspicace
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Cappuccetto Rosso: una ragazza del 2000 Cappuccetto Rosso e il terremoto, Antonio Zagaria
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59
Cappuccetto Rosso e l’amore arcobaleno, Placido Tonziello
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Cappuccetto e lo swacth, Antonio Campisi
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164
Favole al rovescio. Invertire i caratteri dei personaggi Il lupo mansueto, Andrea Gusinu
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71
È per ingannarti meglio, Giovanni De Salvo
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77
Cappuccetto Rosso e la scarpetta di Cenerentola, Placido Tonziello
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85
Il lupo Fischio, Antonio Zagaria
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88
Cappuccetto, il gatto e la volpe, Vincenzo Pugliese
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93
Lo zoo delle favole. Mischiare i personaggi delle favole
Ti do le parole… tu inventa una storia Anna, Giuseppe Mangiaracina
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96
Anna e gli occhiali, Vincenzo Pugliese
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97
Anna e il mare, Placido Tonziello
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98
Il mago del Circeo, Gennaro Ricci
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100
Anna e il vù cumprà, Andrea Gusinu
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102
Il paese degli Occhialuti, Francesco Perspicace
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103
Perla e la matita magica, Antonio Zagaria
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105
Il principino e la ragazza vestita di bianco, Francesco Pesce
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107
Il bambino e la matita magica, Placido Tonziello
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108
Una barchetta in mezzo al mare, Andrea Gusinu
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110
La stanza, Gennaro Ricci
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115
Il leone e l’albero magico, Vincenzo Pugliese
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117
165
Il leone Marco, Gennaro Ricci
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119
Silvia e il fiore, Gennaro Ricci
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122
Il genio della candela, Vincenzo Pugliese
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124
Ancora un minuto… , Giovanni Di Salvo
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126
La stella dei desideri, Vincenzo Pugliese
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128
La musica che salvò il principe, Vincenzo Pugliese
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130
La dea dell’acqua, Placido Tonziello
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131
La musica magica, Salvatore Irrera
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133
La solitudine, Salvatore Irrera
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135
La storia di una cavalla bianca, Salvatore Irrera
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137
Lungo il sentiero, Andrea Gusinu
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139
Il fabbro, Vincenzo Pugliese
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… Aspettando il suo papà, Uno per tutti tutti per uno
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Conclusione
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Evasioni evasive, di Andrea Gusinu
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147
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di Stefano Anastasia, garante dei detenuti dell’Umbria
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153
Ringraziamenti
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159
Una filastrocca tutta per te
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Postfazione
di Fabio Gianfilippi , Magistrato di sorveglianza
Postfazione
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Questi sono nostri e...
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... ora tocca a te!
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Umbria Volontariato Edizioni Questo volume è stato stampato presso CMStudio Srl – Collestatte (TR)
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Gocce 5
MAST
Ariele
Arti Ricerca e Libertà Espressiva
Officina delle Arti
FIABE CON LE ALI
Il progetto Liber Liberanti – fiabe e favole dal carcere è stato realizzato nel 2016 presso il carcere di Terni, a cura delle associazioni ARIELE e MAST – Officina delle Arti.
ISBN 978-88-99107-14-7
FIABE CON LE ALI
Questo è l’incipit di una delle più celebri fiabe della tradizione secondo la riscrittura di un padre detenuto del carcere di Terni. Fiabe con le ali è una raccolta di fiabe reinterpretate o inventate dai reclusi nella sezione di alta sicurezza di un carcere. Fiabe senza tempo e contemporanee, genitori che per quanto condannati restano genitori, figli che aspettano il ritorno ingannando il tempo con la più antica delle “grammatiche della fantasia”.
Ariele e Mast
C’era una volta Cappuccetto Rosso che viveva col suo papà e la sua mamma in un piccolo paesino vicino al mare. Una notte all’improvviso qualcuno bussò alla porta della loro casa, sembrava quasi che la volessero buttare giù. Cappuccetto Rosso, spaventata, corse nel letto dei suoi genitori e il papà andò a vedere chi avesse bussato così forte. «Chi è?» chiese il papà di Cappuccetto Rosso. «Carabinieri! Aprite o buttiamo giù la porta.
Dal carcere di Terni rinascere attraverso la fantasia
a cura di Francesca Rotolo e Silvia Corvino
Gocce 5