Rivista Rivist staa di M Medicina e iccin ed ina Veterina Veterinaria, naria, vol. vol o . 49, 49 n. 2, 2013 20 013 1
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RIVISTA di MEDICINA VETERINARIA VOL. 49 - n. 2 - Agosto-Dicembre 2013
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RIVISTA di MEDICINA VETERINARIA “Recensita da CAB Abstracts”
Pubblicazione semestrale di informazione e aggiornamento su temi inerenti la ricerca scientifica e la tecnologia veterinaria e zootecnica
Direttore scientifico Silvano Carli
Direttore responsabile Giorgio Valla
Comitato di redazione D. Bizzarri; C. Camoni; P. Casappa; F. Cozzi; A. Fiorentini; A. Galuppini; A. Meini; L. Montanari
Segretaria di redazione Irma Lucarelli Redazione e Amministrazione Viale Colleoni 15 - 20864 Agrate Brianza (MB) - Tel. 039.6559.442
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Rivista di Medicina Veterinaria, vol. 49, n. 2, 2013
Sommario
Sezione ANIMALI DA COMPAGNIA L’associazione benazepril-spironolattone (Cardalis®) come primo trattamento in cani affetti da insufficienza cardiaca congestizia causata da degenerazione cronica della valvola mitralica Studio FILIT (FIrst LIne Treatment) P. Ovaert, E. Guillot, V. Grassi, E. Ollivier pag. 7 L’importanza della visita clinica cardiologica Oriol Domenech, Federica Marchesotti pag. 15 L’uso della Cabergolina nella gestione dei tumori mammari della cagna Maria Carmela Pisu
pag. 25
Sezione RUMINANTI La flogosi nelle patologie uterine del bovino e il ruolo di BoHV-4 Sarah Jacca, Valentina Franceschi
pag. 29
Ipocalcemia sub-clinica Danilo Buoli
pag. 33
Utilizzo del dispositivo intravaginale a lento rilascio diprogesterone, nella terapia dell’anaestro di tipo i, ii, iii: prova in campo Giovanni Gnemmi
pag. 43
Sezione SUINI Comparazione dell’efficienza in scrofette puberi di un trattamento progestinico e di un trattamento progestinico associato a gonadotropine A. Scollo, E. Catelli, P. Casappa, C. Mazzoni pag. 49 1
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Sezione EVENTI CEVA ReprodAction Meeting - Gestione riproduttiva delle manze in allevamenti da latte Convegno Internazionale Ceva Santé Animale, Berlino, 18-19 Aprile 2012
pag. 55
Abstracts and research digest - Estratti di articoli selezionati comparsi su altre riviste veterinarie Effetto della somministrazione di meloxicam su sensibilità al dolore, ruminazione e sintomi clinici in bovine da latte affette da mastiti cliniche indotte da endotossine G. Valla
pag. 69
Tassi di luteolisi e di gravidanza in bovine da latte dopo trattamento con cloprostenolo o dinaprost G. Valla
pag. 71
Nella bovina da latte il trattamento con progesterone prima dell’inseminazione artificiale favorisce la sincronizzazione dell’ovulazione, aumenta i tassi di gravidanza per inseminazione eriduce le perdite di gravidanza dopo l’inseminazion G. Valla
pag. 73
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Editoriale
IL RINNOVAMENTO CONTINUA Gentile lettrice, gentile lettore Con la pubblicazione del n°1-2012 è iniziato, per la Rivista di Medicina Veterinaria, un nuovo percorso che ha previsto modifiche nella grafica e l’introduzione di nuove sezioni con l’obiettivo di fornire ai Medici Veterinari uno strumento che possa essere utile nell’acquisizione di ulteriori conoscenze ed approfondimenti nel campo della Medicina Veterinaria. Ma i tempi cambiano e con questi cambia anche il modo di comunicare ed il modo di fruire degli strumenti di aggiornamento. Nel solco di questo cambiamento il Comitato di Redazione ha deciso che dal prossimo numero (n°1 del 2014) la Rivista di Medicina Veterinaria, che molti di voi già ricevono la Rivista unicamente o anche in formato elettronico. sarà inviata solo in formato elettronico e non più in forma cartacea. Di seguito, i lettori che attualmente ricevono la Rivista unicamente in formato cartaceo, troveranno i riferimenti utili per la comunicazione dell’indirizzo di posta elettronica al quale, ne caso in cui non sia stato comunicato in precedenza, potrà essere inviata la Rivista di Medicina Veterinaria. In ultimo, ma non per ultimo, questo cambiamento contribuirà a ridurre la quantità di carta utilizzata con riflessi positivi, sia pur limitati, sulla protezione dell’ambiente. Confidiamo che questa scelta sia apprezzata e possa consentire un migliore utilizzo dei contenuti della Rivista Un cordiale saluto Il Comitato di Redazione
Per ricevere la Rivista in formato digitale scrivi una mail all’indirizzo marketing.italy@ceva.com oppure collegati al sito www.ceva-italia.it/Rivista
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L’associazione benazepril-spironolattone (Cardalis®) come primo trattamento in cani affetti da insufficienza cardiaca congestizia causata da degenerazione cronica della valvola mitralica - Studio FILIT (FIrst LIne Treatment) P. Ovaert*, E. Guillot*, V. Grassi+, E. Ollivier+ * Ceva Santé Animale, Medical Services, Companion Animals, Libourne, France + Ceva Santé Animale, Research and Development, Libourne, France Autore cui inviare la corrispondenza: patricia.ovaert@ceva.com
Parole Chiave: spironolattone, benazepril, cane, insufficienza cardiaca, compliance, qualità di vita Negli ultimi anni sono stati condotti numerosi studi clinici (Bench Study Group, 1999; Bernay et al., 2010; Besche et al., 2007; Haggstrom et al., 2008) per valutare l’efficacia dei diversi farmaci utilizzati nella gestione dell’ insufficienza cardiaca congestizia (CHF) causata da degenerazione cronica della valvola mitralica del cane (CDVD). Si è trattato di studi prospettici, a singolo o doppio cieco, comparativi o con controllo placebo, basati principalmente sulla valutazione dell’efficacia dei preparati farmaceutici. Tra i parametri in genere considerati sono stati spesso trascurati aspetti importanti come la praticità di utilizzo dei preparati da parte di proprietari e veterinari, la compliance e l’appetibilità dei prodotti. Lo “Studio FILIT” descrive l’impiego clinico di un’associazione tra benazepril e spironolattone, recentemente approvata in Europa (Cardalisº), come primo trattamento in cani con CHF causata da CDVD. Nel corso dello studio, insieme a efficacia e sicurezza, sono stati valutati anche la compliance alla terapia, l’appetibilità del preparato farmaceutico e la facilità di somministrazione da parte di proprietari e veterinari.
Trattamenti Il protocollo terapeutico ha previsto 2 diversi periodi di trattamento. La terapia è iniziata con la somministrazione di Cardalis® (0.25 mg di benazepril e 2 mg di spironolattone per kg di peso corporeo) una volta al giorno per 3 mesi (periodo di trattamento 1) ed è continuata per altre 2 settimane con una somministrazione giornaliera di benazepril (Fortekorº) + spironolattone (Prilactoneº) (periodo di trattamento 2). Nei soggetti sottoposti alla prova era ammessa la somministrazione di altri farmaci come furosemide e pimobendan. In caso di necessità era autorizzato anche il ricorso alla somministrazione di una dose doppia di benazepril. Il ricorso ad altre terapie convenzionali era consentito se queste non interferivano con l’attività dei farmaci oggetto della valutazione sperimentale. Follow-up Lo studio prevedeva l’effettuazione di 5 visite veterinarie obbligatorie che comprendevano: un esame clinico generale, la misurazione della pressione sanguigna e la valutazione del profilo ematologico e ematochimico.
METODI Criteri di inclusione ed esclusione I cani ammessi allo studio erano portatori di CHF causata da CDVD, confermata dalla presenza di soffi cardiaci, intolleranza allo sforzo, dispnea, edema polmonare, cardiomegalia da radiografia (Buchanan Vertebral Heart Size [BVHS] > 10.5) e ingrossamento atriale sinistro da ecocardiografia (Rapporto Atrio Aorta Sinistri [LA/Ao] ≥ 1.5). I cani non sono stati inclusi nello studio se in precedenza erano stati sottoposti ad altro trattamento farmacologico o erano portatori di una malattia cardiaca diversa da CDVD.
Al giorno 0 (D0) sono stati effettuati un ECG, un’ecocardiografia e una radiografia toracica. La radiografia toracica è stata ripetuta al giorno 84 (D84) (tabella 1). Ad ogni visita il proprietario doveva compilare un modulo (il questionario Functional EvaluaTion of Cardiac Health (FETCH) (Freeman et al., 2012) per documentare la qualità di vita del cane (QOL). Durante la prima settimana di ciascuno dei due periodi di trattamento, il proprietario doveva annotare se il cane assumeva le compresse con facilità o no. Inoltre, i proprietari e i ricercatori dovevano valutare la comodità d’impiego di Cardalis® e la preferenza nei confronti di Benazepril + Prilactoneº.
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P. Ovaert - E. Guillot - V. Grassi - E. Ollivier
TABELLA 1 programma visite. Periodo 1 (Cardalis®)
Periodo di trattamento
Periodo 2 (Benazepril+ Prilactone®)
Nr. visita
V1
V2
V3
V4
V5
No. giorno (D). (Nr. Mese (M)
D0
D7±1
D28±2 (M 1)
D84±3 (M 3)
D98±3 (M 3.5)
Veterinario Esame clinico *
X
X
X
X
X
Pressione sanguigna arteriosa
X
X
X
X
X
Esame del sangue (ematologia e ematochimica)
X
X
X
X
X
ECG
X
RX toracica
X
Ecocardiografia
X
X
Proprietario QOL (punteggio Fetch) Registrazione assunzione (per appetibilità)
X
X
X
X
Prima settimana periodo di studio
X Prima settimana periodo di studio
* Esame clinico: segni clinici (dispnea, tolleranza allo sforzo, tosse, scarsa vitalità), soffio cardiaco (punteggio da 0 a 6), classe ISACHC di insufficienza cardiaca
Valutazione dei risultati Sono stati analizzati tutti i dati derivanti la popolazione canina globale arruolata per la prova. E’ stata confermata l’efficacia nel periodo di trattamento 1, mentre altri parametri sono stati valutati per tutto il periodo dello studio. Si è confermata l’efficacia del trattamento in (a) cani che sono stati trattati con Cardalisº durante lo studio e in (b) cani che sono stati trattati con Cardalisº e con un altro trattamento cardiaco concomitante (Cardalisº+ CCT) almeno una volta durante lo studio
RISULTATI Caratteristiche della popolazione al momento dell’inclusione 101 cani di proprietà sono stati reclutati da 28 centri di ricerca in Francia, Germania, Belgio, Paesi Bassi e Slovacchia. Circa la metà dei soggetti era composta da maschi e l’altra metà da femmine. Con una età media di 11 anni, una maggioranza di cani di piccola taglia e con un peso medio di 11,8 kg, la popolazione reclutata era rappresentativa della comune popolazione di cani cardiopatici con CDVD. In accordo con i criteri di inclusione, tutti i cani presentavano dispnea, intolleranza allo sforzo, soffio cardiaco, cardiomegalia, edema polmonare e ingrossamento atriale sinistro. La maggior parte dei cani presentava tosse (87.1%) e/o ridotta vitalità (60.4%). Quasi il 90% dei cani era portatore di insufficienza cardiaca di classe II. Ulteriori dettagli sono inseriti nella tabella 2.
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TABELLA 2 Caratteristiche dei cani all’inclusione (n=101, numero di casi e %). Età
11.0±2.7 anni (da 3.1 a 18.0)
Peso corporeo
11.8±7.5 kg (da 2.8 a 42.6)
Sesso Maschio Femmina
55 (54.5%) 46 (45.5%)
Razze Cavalier King Charles Spaniel
16 (15.8%)
Barboncino
10 (9.9%)
Russel Terrier
9 (8.9%)
Yorkshire Terrier
6 (5.9%)
Brittany Spaniel
5 (5.0%)
Meticcio
16 (15.8%)
Altre razze
39 (38.6%)
BVHS
12.0 ± 2.2 (10.6 to 26.5)
LA/Ao
2.0 ± 0.4 (1.5 to 3.7)
Classe di insufficienza cardiaca IA e IB II IIIA IIIB Punteggio FETCH
0 (0.0%) 90 (89.1%) 11 (10.9%) 0 (0.0%) 25.8 ± 12.8 (da 6.0 a 61.0)
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Trattamenti cardiaci concomitanti In linea con i criteri di inclusione, al momento dell’inclusione nessuno dei cani era già stato sottoposto a terapie cardiache. In aggiunta a Cardalis®, su una popolazione totale di 36 cani, al momento dell’inclusione nello studio, è iniziato un trattamento cardiaco (35.6%, vedasi tabella 3) che in seguito è stato effettuato anche su altri 9 cani (8.9%). Considerato che durante lo studio 56 cani (54.4%) sono stati trattati solo con Cardalis®, un totale 45 cani (44.6%) ha ricevuto, almeno una volta, un trattamento cardiaco concomitante (CCT) durante lo studio stesso. Nello specifico, furosemide è stato prescritto a 37 cani (36.6%), a dosi medie di 3.6 ± 1.9 mg/kg/giorno, e pimobendan è stato prescritto a 28 cani (27.7%), a dosi medie di 0.5 ± 0.4 mg/kg/giorno. In nessuno dei cani è stato necessario raddoppiare la dose di benazepril alle condizioni di protocollo.
TABELLA 3 Trattamenti cardiaci concomitanti iniziati all’inclusione (numero di cani e %, n=101). Trattamento Cardiaco Concomitante Furosemide
N (%)
Totale furosemide
Totale pimobendan
14 (13.9%) 29 (28.7%)
Furosemide + Pimobendan
15 (14.9%)
Pimobendan
6 (5.9%)
Altri
1 (0.99%)
Nessun trattamento
66 (65.3%)
21 (20.8%)
EFFICACIA DI CARDALIS® Segni clinici e classe di insufficienza cardiaca Nella popolazione globale, tutti i sintomi clinici (dispnea, intolleranza allo sforzo, tosse, diminuita vitalità) e la classificazione dell’insufficienza cardiaca sono migliorati rapidamente e significativamente sino a D7 e poi ulteriormente sino al D28. E’ stata osservata una stabilizzazione dei sintomi clinici fino al D84 (figure 1 e 2 per dispnea e intolleranza allo sforzo). Il miglioramento dei sintomi clinici era coerente con l’evoluzione della classificazione dell’insuffi-
cienza cardiaca (figura 3). Nella popolazione trattata solo con Cardalis®, dispnea e intolleranza allo sforzo sono migliorati in una percentuale maggiore di animali rispetto al gruppo trattato con Cardalis® + CCT (diagrammi 1 e 2). Risultati analoghi sono stati osservati per il sintomo tosse e per la ridotta vitalità. Anche l’evoluzione dell’insufficienza cardiaca è migliorata nel gruppo che è stato trattato solo con Cardalis®.
DIAGRAMMA 1 Evoluzione Dispnea. Popolazione globale (101 cani): rispetto all’inclusione, la dispnea è migliorata rispettivamente del 52.5, 65.3 e 56% nei cani a D7, D28 e D84.
Cani trattati solo con Cardalis® (45 cani): rispetto alla inclusione, la dispnea è migliorata rispettivamente del 49.1, 71.7 e 60.4% nei cani a D7, D28 and D84.
Cani trattati con Cardalis® e con almeno un concomitante trattamento cardiaco (56 cani): rispetto all’inclusione, la dispnea è migliorata rispettivamente del 56.8, 57.1 e 50.0% nei cani a D7, D28 e D84.
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P. Ovaert - E. Guillot - V. Grassi - E. Ollivier
DIAGRAMMA 2 Evoluzione dell’intolleranza allo sforzo.
Popolazione globale (101 cani): Rispetto all’inclusione, l’intolleranza allo sforzo è migliorata rispettivamente del 41.4, 61.1 e 57.1% nei cani a D7, D28 e D84.
Cani trattati solo con Cardalis® (45 cani): rispetto all’inclusione, l’intolleranza allo sforzo è migliorata rispettivamente del 30.9, 60.4 e 64.2% nei cani a D7, D28 e D84.
Cani trattati con Cardalis® e con almeno un concomitante trattamento cardiaco (56 cani): rispetto all’inclusione l’intolleranza allo sforzo è migliorata rispettivamente del 54.5, 61.9 e 47.4% nei cani a D7, D28 e D84.
DIAGRAMMA 3 Evoluzione della classe di Insufficienza cardiaca.
Popolazione globale (101 cani)
Cani trattati solo con Cardalis® (45 cani)
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Cani trattati con Cardalis® e con almeno un trattamento cardiaco concomitante (56 cani)
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DIAGRAMMA 4 Evoluzione del punteggio Fetch.
Popolazione globale (101 cani): rispetto all’inclusione, il punteggio Fetch è migliorato rispettivamente del 39.5, 55 e 50.8% a D7, D28 e D84.
Cani trattati solo con Cardalis® (45 cani): rispetto alla inclusione, il punteggio Fetch è migliorato rispettivamente del 39.5, 56.1 e 61.4% a D7, D28 e D84.
Parametri radiografici Nella popolazione globale, i risultati degli esami radiografici BVHS effettuati al D84 (11.9 ± 2.4) sono risultati comparabili con quelli registrati al D0 (12.0 ( 2.2). L’edema polmonare è migliorato o è rimasto di modesta gravità nell’ 86.5% dei cani, rilievo anch’esso coerente con il miglioramento dei sintomi clinici e della classifica-
Cani trattati con Cardalis® e con almeno un concomitante trattamento cardiaco (56 cani): rispetto all’inclusione, il punteggio Fetch è migliorato rispettivamente del 39.3, 54.2 e 38% a D7, D28 e D84.
zione dell’insufficienza cardiaca (diagramma 4). Nella popolazione trattata solo con Cardalis®, l’edema polmonare è migliorato o è rimasto di modesta gravità nel 96,2% dei cani al D84, mentre la percentuale si è attestata al 72,2% nei cani trattati con Cardalis® + CCT (diagramma 5).
DIAGRAMMA 4 Evoluzione del punteggio Fetch.
Popolazione globale (101 cani): rispetto all’inclusione, il punteggio Fetch è migliorato rispettivamente del 39.5, 55 e 50.8% a D7, D28 e D84.
Cani trattati solo con Cardalis® (45 cani): rispetto alla inclusione, il punteggio Fetch è migliorato rispettivamente del 39.5, 56.1 e 61.4% a D7, D28 e D84.
Cani trattati con Cardalis® e con almeno un concomitante trattamento cardiaco (56 cani): rispetto all’inclusione, il punteggio Fetch è migliorato rispettivamente del 39.3, 54.2 e 38% a D7, D28 e D84.
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P. Ovaert - E. Guillot - V. Grassi - E. Ollivier
Progressione della qualità di vita (valutata dai proprietari) Se paragonato a quello registrato al momento dell’inclusione, il punteggio del questionario FETCH nella popolazione canina globale ha mostrato una diminuzione del 40% al D7 e del 55% al D28, indicando quindi un rapido miglioramento della qualità di vita percepito dai proprietari. Oltre tali percentuali, il punteggio è rimasto stabile fino alla fine dello studio (diagramma 5). TABELLA 4 Trattamenti cardiaci concomitanti iniziati all’inclusione (numero di cani e %, n=101). Cardalis®
Benazepril
Ingestione spontanea senza cibo
34.9%
19.6%
Ingestione spontanea con cibo
57.2%
71.4%
Somministrazione forzata
7.9%
8.9%
In entrambi i sotto-gruppi, la diminuzione del punteggio FETCH è risultato simile al D7 e al D28. Per contro, al D84, mentre il punteggio FETCH continuava a migliorare nei cani trattati solo con Cardalis®, si è registrato un peggioramento nel gruppo di cani trattati con Cardalis® + CCT. Sicurezza di Cardalis® Gli effetti indesiderati registrati sono risultati corrispondenti ai sintomi frequentemente osservati nei cani cardiopatici anziani. Il loro tipo e la loro frequenza sono apparsi paragonabili alle osservazioni riportate in letteratura (ad esempio, BENCH (Bench Study Group, 1999), EFFIC (Besche et al., 2007), COVE (Cove Study Group, 1995) studi effettuati con ACEi). I valori di pressione sanguigna e i parametri sanguigni sono rimasti stabili durante l’intero periodo dello studio.
CARDALIS® CONFRONTATO CON BENAZEPRIL + PRILACTONE®: COMPLIANCE, APPETIBILITÀ, FACILITÀ DI USO Compliance al trattamento La compliance al trattamento è risultata migliore per il periodo di trattamento di 3 mesi con Cardalisº (l’86.5 % dei cani presentava una buona compliance) rispetto al trattamento di 2 settimane con Benazepril + Prilactoneº (74.4%). Durante il secondo periodo di trattamento, la difficoltà era dovuta soprattutto alla necessità di dover somministrare quotidianamente due diversi prodotti invece di doverne somministrare solo uno. Appetibilità Nel 92.1% dei cani Cardalisº è stato ingerito spontaneamente. Se assunto senza cibo, Cardalisº sembra essere più appetibile di Benazepril (tabella 4).
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Opinione del proprietario La percezione del proprietario è stata che il trattamento con Cardalis® risulta molto positivo: il 91.7% dei proprietari si è dichiarato soddisfatto o molto soddisfatto, il 94.4% ha trovato il prodotto facile o molto facile da somministrare e il 97.2% lo ha trovato pratico o molto pratico da gestire su base quotidiana. Più del 97% dei proprietari ha preferito Cardalisº rispetto a Benazepril + Prilactoneº con riferimento alla facilità di somministrazione e alla comodità d’uso. Opinione del ricercatore L’opinione dei veterinari è stata molto positiva: l’88.9% ha trovato Cardalisº più facile da prescrivere rispetto a Benazepril + Prilactoneº ed il 96.3% ha trovato agevole o molto agevole adattare il regime di dosaggio.
DISCUSSIONE Lo “Studio FILIT” ha descritto l’impiego clinico di Cardalisº come primo trattamento in cani con CHF causata da CDVD. La prova non è stata la classica prova comparativa in cieco o con controllo placebo, ma le informazioni raccolte nel corso della prova sono risultate interessanti in quanto descrivono il modo in cui Cardalis® viene utilizzato nella pratica e come viene percepito da veterinari e proprietari. I veterinari, che erano liberi di aggiungere trattamenti convenzionali, hanno associato diuretici a Cardalisº nel 36.6% dei cani e pimobendan a Cardalisº nel 27.7% dei cani. I risultati di questo studio hanno dimostrato che Cardalisº, somministrato come trattamento di prima scelta in cani con CHF causata da CDVD, è ben tollerato e migliora i sintomi clinici e la classificazione dell’insufficienza cardiaca entro 1 settimana. Un ulteriore miglioramento si è registrato entro la fine del primo mese di trattamento, e si è osservata una stabilizzazione per i due mesi successive dello studio. Questi miglioramenti si sono potuti registrare sia quando Cardalis® è stato somministrato da solo che in combinazione con altri principi attivi (pimobendan, furosemide), ma sono risultati maggiori quando Cardalisº è stato somministrato da solo. Le valutazioni di proprietari e veterinari sono state identiche; la qualità di vita dei cani, così come affermato dai proprietari, è migliorata rapidamente. Nella prima settimana di trattamento si è ottenuta una importante diminuzione del punteggio FETCH ed un ulteriore miglioramento si è registrato fino alla fine del primo mese in tutti i cani. La qualità della vita dei cani trattati con il solo Cardalisº, è migliorata ulteriormente fino alla fine dello studio. Ciò non è stato osservato, invece, in cani trattati con Cardalisº e almeno un altro concomitante trattamento cardiaco. La ragione di ciò non è stata determinata, ma nel gruppo specifico
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erano inclusi più cani che al momento dell’inclusione presentavano insufficienza cardiaca di classe III e ciò può aver giocato un ruolo importante. L’appetibilità di Cardalisº si è rivelata buona, con il 92.1% di ingestione spontanea; i proprietari e i veterinari hanno ritenuto il prodotto più pratico rispetto al protocollo che prevedeva la somministrazione di due diversi preparati . Infine, in nessuno degli animali è stato necessario raddoppiare la dose di benazepril ed anche questo è stato apprezzato dai veterinari.
5. Freeman, L. M. et al., 2012, Development and evaluation of a questionnaire for assessment of health-related quality of life in cats with cardiac disease, Journal of the American Veterinary Medical Association, v. 240, no. 10, p. 1188-1193. 6. Cove Study Group, 1995, Controlled clinical evaluation of enalapril in dogs with heart failure : results of the Cooperative Veterinary Enalapril Study Group, Journal of veterinary internal medicine, v. 9, no. 4, p. 243-252. 7. Atkins, C. E., and J. Haggstrom, 2012, Pharmacologic management of myxomatous mitral valve disease in dogs, Journal of veterinary cardiology, v. 14, no. 1, p. 165-184.
CONCLUSIONE Quando somministrato come primo trattamento in cani con CHF causata da CDVD, Cardalisº (preparazione farmaceutica che combina benazepril e spironolattone) risulta ben tollerato e migliora le condizioni cardiache (segni clinici valutati dai veterinari e qualità di vita testimoniata dai proprietari). Questo miglioramento è stato dimostrato in cani trattati con il solo Cardalisº e in cani portatori di una più severa insufficienza cardiaca che sono stati invece trattati anche con pimobendan e/o furosemide. Cardalisº è risultato anche appetibile e la combinazione dei due farmaci, che fanno entrambe parte della terapia standard per cani con insufficienza cardiaca (Atkins and Haggstrom, 2012), sembra poter migliorare la compliance,fattore di grande importanza nei casi di terapie polifarmacologiche di lunga durata .
BIBLIOGRAFIA 1. Bench Study Group, 1999, The effect of benazepril on survival times and clinical signs of dogs with congestive heart failure: Results of a multicenter, prospective, randomized, double-blinded, placebo-controlled, long-term clinical trial. The BENCH (BENazepril in Canine Heart disease) Study Group, Journal of veterinary cardiology, v. 1, no. 1, p. 7-18. 2. Bernay, F., J. M. Bland, J. Haggstrom, L. Baduel, B. Combes, A. Lopez, and V. Kaltsatos, 2010, Efficacy of Spironolactone on Survival in Dogs with Naturally Occurring Mitral Regurgitation Caused by Myxomatous Mitral Valve Disease, Journal of veterinary internal medicine, v. 24, no. 2, p. 331-341. 3. Besche, B., V. Chetboul, M. P. Lachaud Lefay, and E. Grandemange, 2007, Clinical evaluation of imidapril in congestive heart failure in dogs results of the EFFIC study, The Journal of small animal practice, v. 48, no. 5, p. 265-270. 4. Haggstrom, J. et al., 2008, Effect of Pimobendan or Benazepril Hydrochloride on Survival Times in Dogs with Congestive Heart Failure Caused by Naturally Occurring Myxomatous Mitral Valve Disease: The QUEST Study, Journal of veterinary internal medicine, v. 22, no. 5, p. 1124-1135.
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L’importanza della visita clinica cardiologica Oriol Domenech DVM, Ms, Dipl. ECVIM-CA Federica Marchesotti DVM Istituto veterinario di Novara, Dipartimento di cardiologia
RIASSUNTO Le patologie cardiache sono una delle più importanti cause di morbidità e mortalità negli animali. Nonostante i progressi nell’ecocardiografia e nella cardiologia interventistica che hanno permesso dei cambiamenti nella diagnosi e gestione delle patologie cardiovascolari, la visita clinica cardiologica è il punto chiave nell’identificazione delle patologie cardiache e facilita la diagnosi nella maggior parte dei casi. Il segnalamento, l’anamnesi, la visita clinica e l’auscultazione sono i 4 punti principali della visita cardiologica ed il clinico, grazie a queste manovre poco invasive e poco costose, riuscirà ad orientarsi sul problema del paziente e decidere quali saranno i test diagnostici più corretti per raggiungere una corretta diagnosi.
ABSTRACT Diseases of the heart remains an important cause of morbidity and mortality in animals. While advances in echocardiography and in interventional cardiology changed the diagnosis and management of the cardiovascular diseases, the cardiological clinical examination is a key point in the early detection of a heart disease and facilitates the diagnosis in the majority of the cases. Signalment, anamnesis, clinical examination and auscultation are the 4 key points of the clinical cardiology evaluation, and the clinician thanks to these minimally invasive and inexpensive maneuvers, will be able to have the appropriate problem oriented approach to the patient and will be able to decide which of the diagnostic tests will be most appropriate to reach a correct diagnosis.
INTRODUZIONE La cardiologia veterinaria ha avuto in questi ultimi anni un notevole sviluppo delle conoscenze scientifiche sia diagnostico-cliniche che terapeutiche; l’aumento dell’età media degli animali e la maggiore attenzione dei proprietari sul loro stato di benessere ha inoltre contribuito ad evidenziare più frequentemente alcune malattie cardiache e a conoscerle meglio. La cardiologia rappresenta quindi oggi per il Veterinario un’area di
intervento molto importante e sempre più frequente: conoscere gli strumenti adeguati per effettuare una corretta visita clinica è quindi di forte attualità. La visita consente di approcciare correttamente il paziente anche dal punto di vista terapeutico, offrendogli le migliori possibilità in termini di qualità ed aspettativa di vita.
LA VISITA CLINICA E’ noto come nella cardiologia gli esami strumentali (es. elettrocardiogramma, ecocardiografia), siano di fondamentale importanza diagnostica, tuttavia non si deve dimenticare come anche la visita clinica, eseguita in modo accurato e scrupoloso, possa orientarci sul tipo di problema del nostro paziente, facilitandoci la diagnosi nel 75% dei casi. E’ per questo motivo che la visita cardiologica rappresenta la base essenziale ed imprescindibile di qualsiasi accertamento diagnostico strumentale cardiovascolare. Essa si articola e si sviluppa in 4 punti fondamentali: segnalamento, anamnesi, visita clinica e auscultazione. 1) SEGNALAMENTO Il segnalamento, insieme ad una buona anamnesi aiuta il clinico ad orientarsi sul sospetto diagnostico. E’ molto importante conoscere l’epidemiologia delle principali patologie cardiache, soprattutto di quelle congenite, in quanto un riconoscimento precoce permette di fornire la migliore terapia, sia essa di natura medica o chirurgica, con lo scopo di migliorare, dove possibile, la prognosi. Nel segnalamento vanno valutate attentamente: • età dell’animale: soggetti anziani saranno più facilmente affetti da patologie cardiache acquisite primarie o secondarie a patologie sistemiche e/o neoplasie, mentre nei cuccioli o negli animali giovani andranno prese in considerazione patologie cardiache congenite o secondarie a patologie infettive, le quali possono causare endocarditi, miocarditi o pericarditi [2]. La prevalenza di alcune patologie, come per esempio degenerazione mixomatosa valvolare, è fortemente correlata all’età: si passa da una
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piccola percentuale nei cani giovani, a circa il 75% nei cani con età superiore a 16 anni [2]. Razza e taglia dell’animale: per quasi ogni patologia, sia acquisita che congenita, esiste una predisposizione di razza. La cardiomiopatia dilatativa, per esempio, è tipica dei cani di taglia gigante/media, con particolare predisposizione per gli Alani, e i Dobermann Pinscher [2]. Anche per le patologie congenite esiste una predisposizione di razza (Tabella 1). Uno dei più recenti studi a tale proposito è stato pubblicato nel 2011 e ha valutato l’epidemiologia delle patologie congenite in 976 cani italiani [5]. Da questo lavoro è emerso che in Italia la patologia congenita più comune nel cane è la stenosi polmonare (32,1%), seguita dalla stenosi sub-aortica (21,3%) e dal dotto arterioso pervio (20,9%) [5].
TABELLA 1 predisposizione di razza delle patologie congenite. Tratto da: Retrospective Review of Congenital Heart Disease in 976 Dogs. Oliveira P., Domenech O., et al. J Vet Intern med 2011.
Dotto arterioso pervio
Pastore tedesco Meticcio Terranova Maltese Dobermann Barbone Yorkshire Terrier Cavalier King Charles Spaniel Bassotto Chihuahua West Highland White Terrier Volpino di Pomerania Setter Irlandese Pastore Belga Pastore Australiano
Difetto del setto interventricolare
Meticcio Pinscher Bulldog Francese Pastore Tedesco Labrador Retriever
Stenosi Aortica
Boxer Bull Terrier Pastore Tedesco
Displasia della tricuspide
Labrador Retriever Boxer Pastore Tedesco Bulldog Inglese Golden Retriever
PATOLOGIA CONGENITA RAZZA Stenosi polmonare
Stenosi sub-aortica
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Boxer Meticcio Bulldog Inglese Bulldog Francese Pinscher Pastore tedesco Beagle West Highland White Terrier America Staffordshire Terrier Chihuahua Cavalier King Charles Spaniel Cocker Spaniel Pitbull Terrier Rottweiler Terranova Golden Retriever Shih-Tzu Yorkshire Terrier Mastino Italiano Barbone Schnautzer Boxer Pastore tedesco Dog de Bordeaux Terranova Rottweiler Golden Retriever
2) ANAMNESI Anamnesi e visita clinica sono i punti chiave della diagnosi. Esse sono cruciali per le decisioni riguardanti la valutazione clinica e la terapia. Un’accurata e precisa anamnesi fornisce importanti informazioni sul paziente cardiologico. Una buona anamnesi aiuta il clinico a riconoscere dove è localizzato il problema, a distinguere tra patologia respiratoria e patologia cardiaca, a determinare la frequenza e la gravità dei sintomi, a valutare la risposta alla terapia, a determinare la presenza di altre patologie concomitanti ed infine, ma non meno importante, a stabilire un rapporto di fiducia con il cliente. Durante l’approccio iniziale è importante che il proprietario forni sca le informazioni secondo il proprio punto di vista, che dipenderanno dallo stato d’animo e dall’esperienza con gli animali. Spesso fornirà delle informazioni non rilevanti, che il clinico dovrà essere in grado di filtrare, ma altrettanto spesso potrà fornire delle indicazioni cruciali sullo stato clinico del paziente, sentendosi ascoltato e messo a proprio agio. Un altro tassello importante durante la rac-
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colta dell’anamnesi è l’essere consapevoli del fatto che non tutte le informazioni importanti saranno fornite dal proprietario, a causa dell’incompleta osservazione dei segni clinici o di un’ interpretazione sbagliata della sintomatologia da parte di quest’ultimo. Il clinico quindi deve essere in grado di interrogare in maniera guidata il proprietario sul tipo di sintomatologia, per cercare di focalizzare i sintomi di interesse cardiologico (Tabella 2) [3], senza però dimenticare il concetto che un animale è fatto di più organi. A volte è utile avere una schema scritto in modo tale da essere sicuri di non tralasciare nulla di importante. TABELLA 2 sintomatologia in corso di patologie cardiache.
lo di regione dorsale dell’area lombare (Figura 1) [3]. Questo processo è molto complesso e l’eziologia è multifattoriale ed è causato dall’anoressia (presente nel 34-75% dei cani cardiopatici), malassorbimento ed aumento della produzione di varie citochine infiammatorie come il fattore di necrosi tumorale e l’interleuchina 1 [4]. FIGURA 1 cane con cachessia cardiaca in seguito a grave insufficienza mitralica e tricuspidale. Si apprezza la perdita di massa muscolare a livello di regione temporale della testa e a livello di regione dorsale dell’area lombare.
SINTOMI PIU’ COMUNI NEI PAZIENTI CON PATOLOGIE CARDIACHE Tosse Dispnea Sincopi Debolezza/intolleranza all’esercizio Distensione addominale Perdita di peso
FIGURA 2 Effetti cardiovascolari e nutrizionali delle citochine infiammatorie. TNF: fattore di necrosi tumorale; IL-1: interleuchina 1.
Zoppie Questo schema dovrà comprendere, oltre al segnalamento, l’anamnesi ambientale (dove vive l’animale e se è a contatto diretto con altri animali), le informazioni riguardanti il tipo di dieta, l’anamnesi remota (patologie presenti in passato e tipi di trattamento), lo stato vaccinale del paziente, il tipo di profilassi eseguita (filaria, pulci e zecche), le eventuali terapie in atto (dosaggio, durata e risposta alla terapia) e l’accurata valutazione su eventuali sintomi presenti. 3) VISITA CLINICA Una scrupolosa visita clinica completerà le informazioni ricevute dall’anamnesi e dal segnalamento. La visita clinica già inizia mentre l’animale entra in ambulatorio. Molto importante è osservare il proprio paziente, ancora prima di manipolarlo. Questo permetterà di valutare: • Body condition score: l’insufficienza cardiaca cronica può portare alla cosìdetta cachessia cardiaca[4]. Questo calo ponderale negli animali con insufficienza cardiaca è diverso da quello di un cane sano che perde peso [4]. In un animale sano che sta ricevendo una quantità di calorie insufficiente a soddisfare i fabbisogni, il grasso funge da fonte energetica primaria e ciò contribuisce a preservare la massa corporea magra [4]. In un cane con insufficienza cardiaca la fonte primaria di energia è rappresentata dagli amminoacidi di derivazione muscolare, il che porta ad una perdita della massa corporea magra [4]. Ciò comporta, oltre alla perdita di peso, anche la perdita di massa muscolare, in particolare a livello di regione temporale della testa e a livel-
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E’ noto che queste molecole provocano direttamente anoressia, aumentando i fabbisogni energetici ed incrementando il catabolismo della massa corporea magra (Figura 2) [4]. Inoltre nel cucciolo è importante valutare la crescita corporea, confrontandola con quella di eventuali fratelli: infatti la scarsa crescita può essere indice di una patologia congenita, sia di natura cardiovascolare che non [2]. Respiro: la frequenza ed il tipo di respiro è un’ottima valutazione iniziale sulla gravità della patologia cardiaca e soprattutto sull’urgenza dell’intervento del clinico. Una respirazione frequente e superficiale è molto spesso presente nei cani durante una visita clinica. Questo tipo di respiro deve essere distinto dalla vera dispnea. Esistono 2 tipi di pattern respiratorio in base alla causa di dispnea: - Pattern restrittivo: è caratterizzato da un aumento della frequenza respiratoria e da una riduzione della profondità del
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respiro [2]. E’ causato da una riduzione dei volumi polmonari determinata da una ridotta compliance dei polmoni o della parete toracica. Generano questo quadro condizioni quali l’edema polmonare, altri disturbi interstiziali o infiltrativi e la fibrosi polmonare. Tutte queste patologie riducono l’area disponibile per gli scambi gassosi, diminuendo la compliance. Essa è anche compromessa dal collasso parziale del polmone causato da accumulo di liquido pleurico o altre alterazioni dello spazio pleurico [7]. - Pattern ostruttivo: è caratterizzato da un aumento della frequenza e profondità del respiro [2]. E’ causato da patologie che ostruiscono il lume delle vie respiratorie, a qualsiasi livello dell’albero respiratorio (es. paralisi laringea, asma) [2]. Nel paziente cardiopatico è anche molto importante la valutazione della frequenza respiratoria a riposo che deve essere inferiore ai 30 atti respiratori al minuto. Per questo è fondamentale che il clinico istruisca il proprietario del paziente sul modo più semplice di valutarla. L’aumento della frequenza respiratoria a riposo, nel paziente cardiopatico, può essere un segno precoce di scompenso cardiaco. Oltre a scopo diagnostico, questa informazione può essere usata durante la visita clinica per valutare al meglio la frequenza respiratoria del nostro paziente. Sono ora disponibili applicazioni on line gratuite ( Cardio DogCeva Salute Animale) che consentono al proprietario di monitorare facilmente la frequenza respiratoria e di mandare il report al Veterinario curante. Intolleranza all’esercizio: animali con patologie cardiache sono spesso riluttanti al movimento [2, 3]. Con patologie gravi essi possono anche essere capaci di deambulare per più di qualche metro [2]. Tuttavia subdoli affaticamenti sono difficili da riconoscere e quantificare, per questo è necessario un’accurata anamnesi [2]. Distensione addominale: la distensione addominale causata dall’ascite è comune nei cani con insufficienza cardiaca destra conseguente a stenosi polmonare, cardiomiopatia dilatativa, patologie congenite o acquisite a carico della tricuspide, filariosi cardiopolmonare [2, 3]. Verificarla è abbastanza semplice, attraverso la palpazione addominale o il test del ballottamento [2, 3]. Occasionalmente può essere difficile da identificare in soggetti obesi e necessita della valutazione ecografica [2]. Distensione delle vene giugulari: animali con insufficienza cardiaca destra o patologie pericardiche possono presentare distensione delle vene giugulari e talvolta anche polso giugulare [2, 3]. Dopo aver osservato molto attentamente l’animale si procede alla visita clinica vera e propria. Gli elementi da valutare saranno: Colore delle mucose e tempo di riempimento capillare: le mucose normalmente si presentano rosee e umide con tempo di riempimento capillare inferiore a 2 secondi [2, 3]. Questi elementi
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possono essere influenzati fa numerosi fattori, sia patologici (es. anemia, policitemia), sia fisiologici (animali molto spaventati) [3]. Per questo tali valutazioni sono spesso poco sensibili per valutare la perfusione tissutale e la massa circolante di eritrociti [3]. Di solito, nei pazienti con insufficienza cardiaca il colore delle mucose ed il tempo di riempimento capillare è normale, a meno che non sia presente un grave scompenso [3]. La presenza di cianosi (colore bluastro delle mucose) può derivare da cianosi di tipo centrale o cianosi di tipo periferico [7]. La prima è correlata a concentrazioni > 50 g/l di emoglobina insatura e si riscontra di solito durante shunts causati da patologie cardiache congenite quali tetralogia di Fallot e PDA invertito [7]. Quest’ultima condizione causa un particolare tipo di cianosi centrale che viene definita cianosi differenziale ed è caratterizzata dalla presenza di cianosi a livello di mucose caudali e non craniali [7]. La cianosi peiferica è invece correlata ad una scarsa o assente perfusione periferica [7]. E’ tipica dei gatti cardiopatici in seguito a tromboembolismo arterioso [7]. Palpazione del collo: è molto importante, oltre alla visualizzazione diretta del collo e delle vene giugulari la palpazione del collo [3]. Questo esame è particolarmente utile nel gatto con cardiomiopatia ipertrofica per la valutazione della tiroide, in quanto in questa specie sono molto comuni patologie della tiroide che determinano ipertiroidismo e secondariamente patologie cardiache [3]. Palpazione addominale: questo tipo di esame viene effettuato per valutare la presenza di ascite ed epatomegalia [3]. Questi reperti sono di comune riscontro nell’insufficienza cardiaca destra e nelle patologie con ostruzione della vena cava caudale [3]. Un’altra manovra che si può eseguire è la valutazione del riflesso epatogiugulare che si presenta come distensione delle vene giugulari in seguito ad una compressione addominale craniale di 10-30 secondi [7]. Questa alterazione è associata ad un aumento della pressione venosa centrale in seguito ad elevate pressioni in atrio destro [7]. Palpazione del torace: la palpazione del torace serve per valutare l’itto cardiaco e l’eventuale presenza di fremito [3]. L’itto cardiaco è di solito anche il punto in cui i toni cardiaci si presentano di massima intensità [3]. Esso può essere dislocato in seguito alla presenza di qualsiasi condizione che determina uno spostamento cardiaco all’interno del torace [3]. Nei pazienti obesi può essere affievolito o assente [2, 7]. Il fremito invece rappresenta una vibrazione palpabile sulla parete toracica, corrispondente solitamente al reperto auscultatorio dei soffi cardiaci [7]. Valutazione del polso arterioso: il polso si basa sulla differenza tra la pressione arteriosa sistolica e la pressione arteriosa diastolica [7]. L’intensità, la regolarità e la velocità delle onde pressorie periferiche arteriose si valutano mediante la palpazione del polso dell’arteria femorale o di altri vasi periferici [7]. Nella de-
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terminazione del polso sono importanti 3 fattori: la frequenza cardiaca, la gittata cardiaca e le resistenze periferiche [2]. Il polso dovrebbe essere sempre valutato contemporaneamente all’auscultazione cardiaca. Esistono diversi tipi di polso: - Polso ipocinetico (debole): può dipendere da un aumento della frequenza cardiaca (riduzione della durata della diastole con conseguente aumento della pressione diastolica, la quale porterà ad una riduzione dell’intensità del polso) oppure da una riduzione della gittata cardiaca secondaria a insufficienza cardiaca congestizia, tamponamento cardiaco o ipovolemia [2]. Tuttavia in seguito ad un aumento compensatorio delle resistenze periferiche, questo reperto viene riscontrato in caso di marcata riduzione della gittata cardiaca [2]. - Polso ipercinetico (forte): l’aumento dell’intensità del polso può essere causata da un aumento della pressione sistolico e/o riduzione della pressione diastolica ed è un reperto tipico dei pazienti con insufficienza aortica, dotto arterioso pervio o fistole artero-venose [2]. Polso ipercinetico può anche essere presente nei pazienti con ipertermia, anemia, ipertiroidismo e marcata bradicardia [2, 3]. - Polso paradosso: è tipico dei pazienti con tamponamento cardiaco o con masse che comprimono l’atrio destro ed è caratterizzato da una riduzione dell’intensità del polso durante l’inspirazione ed un aumento durante l’espirazione [2, 3, 7]. Questo fenomeno si verifica in quanto, durante l’inspirazione, si assiste ad una riduzione della pressione intratoracica e intrapericardica e quindi anche a livello di atrio destro, con conseguente aumento del riempimento ventricolare destro [2, 7]. Tale fenomeno a sua volta causa uno spostamento del setto interventricolare verso sinistra con riduzione della portata cardiaca sinistra e calo della pressione arteriosa [2, 7]. Tale reperto si può riscontrare quando il calo della pressione arteriosa sistolica durante l’inspirazione è maggiore di 10mmHg [2, 3, 7]. - Polso alternante: caratterizzato da un’alternanza ritmica di polso in seguito a gravi disfunzioni del ventricolo sinistro (es. cardiomiopatia dilatativa) [2]. Un altro tipo di polso alternante, caratterizzato però dall’assenza di ritmicità, è quello che si può riscontrare nella fibrillazione atriale secondaria a cardiomiopatie o a endocardiosi. Tale polso è caratterizzato da un’alternanza irregolare di polsi di varia ampiezza e morfologia [5] - Polso piccolo e tardivo: è tipico dei pazienti con grave stenosi aortica in cui, in seguito ad un aumento del tempo di eiezione, presenta un’ascesa lenta ed un picco più tardivo [2]. - Polso irregolare: la frequenza dell’onda sfigmica non è regolare e non è associata a variazioni della respirazione [2]. E’ tipico di aritmie quale la fibrillazione atriale primaria. L’intensità del polso è costante, ma la frequenza è irregolare e non varia con il respiro (distinguere dall’aritmia sinusale respiratoria). - Assenza di polso: un numero inferiore di pulsazioni femorali,
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rispetto ai battiti cardiaci indica un deficit di polso. Tali deficit sono causati da aritmie cardiache che generano il battito prima che si sia verificato l’adeguato riempimento ventricolare (es. battiti ectopici ventricolari prematuri) [7]. L’assenza di polso è tipico in pazienti con tromboembolismo o grave ipotensione. In caso di tromboembolismo è possibile rilevare polso assente o polso debole simmetrico o asimmetrico in base alla localizzazione del trombo [7]. Pressione arteriosa: La pressione arteriosa esprime l’intensità della forza con cui il sangue spinge sulle pareti arteriose, ed è in funzione della portata cardiaca e delle resistenze vascolari periferiche [7]. Poiché la portata cardiaca è rappresentata dalla gittata sistolica per la frequenza cardiaca, essa sarà influenzata dalla contrattilità cardiaca, dal precarico e dal postcarico [3]. Tra questi parametri esistono interazioni continue [7]. In condizioni normali la pressione arteriosa viene mantenuta entro stretti limiti dall’attività del sistema nervoso autonomo (barocettori arteriosi), dal sistema endocrino (es. sistema renina-angiotensina-aldosterone, ormone antidiuretico/vasopressina e peptide natriuretico atriale), dai meccanismi di controllo endoteliali, dalle prostaglandine vasodilatatrici e dalla regolazione del volume di sangue da parte del rene [7]. Si definisce pressione sistolica la pressione massima che si verifica al momento di ciascuna eiezione cardiaca [7]. Si definisce pressione diastolica invece, la pressione minima raggiunta appena prima dell’eiezione successiva [7]. Il valore medio della pressione arteriosa nei cani è circa 133/75 mmHg, mentre nel gatto il valore normale è circa 124/84 mmHg [7]. Si inizia a parlare d’ipertensione quando la pressione sistolica è 150-180 mmHg [2]. Ovviamente nella valutazione della pressione si deve valutare lo stato di ansietà del paziente e devono eseguire più misurazioni per rendere più attendibile il valore risultante [2]. Gli organi più comunemente danneggiati dall’ipertensione sono occhi, reni, encefalo e cuore [2]. Se durante una visita clinica viene diagnosticata ipertensione, questi organi dovrebbero essere attentamenti esaminati per valutarne il danno [2]. In particolare a livello cardiaco l’ipertensione cronica determinerà ipertrofia del ventricolo sinistro [2]. In pazienti con assenza di anomalie all’auscultazione, l’ipertensione dovrebbe essere presa in considerazione come causa d’ipertrofia cardiaca [2]. L’ipotensione è invece definita quando la pressione sistolica è inferiore a 80 mmHg [2]. Essa dovrebbe essere presa in considerazione in tutti i pazienti che si presentano con segni clinici riferibili a una bassa portata cardiaca (es. estremità fredde, polso periferico debole), shock, perdita di sangue e ottundimento del sensorio [2].
4) AUSCULTAZIONE L’auscultazione rappresenta uno dei momenti più importante della visita clinica. Deve essere effettuata in un luogo silenzioso
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e possibilmente con l’animale in stazione quadrupedale. I rumori respiratori possono interferire con la valutazione cardiaca. Essi possono essere attenuati chiudendo la bocca dell’animale (se questo presenta tachipnea) oppure chiudendo con un dito una o entrambi le narici per qualche secondo. Nel gatto, altra interferenza all’auscultazione è data dalle fusa. Per ovviare a questo problema si può provare a fargli annusare un batuffolo di cottone bagnato con alcool per qualche secondo, e questo in molti casi, dovrebbe interrompere le fuse per qualche secondo o minuto permettendoci di avere una finestra auscultativa pulita. Durante l’auscultazione verranno valutati i toni cardiaci, la frequenza e il ritmo cardiaco e la presenza di eventuali soffi. I toni cardiaci sono suoni transitori di breve durata e sono distinti in: • Primo tono (S1): associato alla chiusura della valvole atrio-ventricolari, all’inizio della sistole ed è normalmente udibile [2]. • Secondo tono (S2): associato alla chiusura delle valvole semilunari aortica e polmonare ed è normalmente udibile. Nei cani e nei gatti la chiusura della valvola polmonare, in condizioni fisiologiche, è immediatamente successiva a quella della valvola aortica, ma questa differenza normalmente non viene percepita e per questo S2 è percepito come singolo tono [2]. A volte uno sdoppiamento del secondo tono può essere percepito fisiologicamente in pazienti di grossa taglia, oppure essere un reperto patologico in corso di shunt con direzione del flusso destro-sinistro (dotto arterioso pervio reverso), stenosi polmonare, blocco di branca destro [2]. • Terzo tono (S3): segna l’inizio della diastole ed è dato dal riempimento rapido del ventricolo sinistro [2, 3, 7]. E’ un tono a bassa intensità e corta durata non udibile in soggetti sani. La sua presenza è sempre patologica e determina il galoppo proto-diastolico [2]. Può essere associato a marcato sovraccarico volumetrico in corso di cardiomiopatia dilatativa, dotto arterioso pervio ed insufficienza mitralica [2]. Nei gatti è più comunemente attribuibile a patologia miocardica ipertrofica o restrittiva e può essere il primo segno rilevabile con l’esame clinico [7]. La sua presenza è sempre indice di patologia cardiaca [7]. • Quarto tono (S4): è dato dalla contrazione atriale e non è normalmente udibile [2, 3, 7]. La sua presenza è solitamente associata a ipertrofia e/o ridotta compliance ventricolare [1]. Talvolta è udibile in pazienti con blocco atrioventricolare di III grado [1] specialmente in cani di grossa taglia. • Click mesosistolico: è un suono a frequenza medio alta, di corta durata, che sembra originare dalla vibrazione delle corde tendinee della valvola mitralica [2]. Si può auscultare nei cani con insufficienza mitralica lieve e spesso è associato ad un soffio di bassa intensità [2]. I soffi cardiaci vengono definiti come vibrazioni auscultabili che originano dalla presenza di un flusso sanguigno turbolento [7].
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Sebbene siano spesso indicatori di patologia cardiaca, alcuni si verificano in cuori strutturalmente normali (soffi cardiaci innocenti e funzionali) [7]. I soffi innocenti sono tipici dei cuccioli e sono dovuti alle ridotte dimensioni delle strutture vascolari, rispetto alla gittata cardiaca [2]. Sono di solito soffi sistolici , proto-mesosistolici (corta durata) , di bassa intensità (da I-III/VI), localizzati nella base cardiaca sinistra, che cambiano d’intensità in funzione della frequenza cardiaca ed eccitazione del paziente, e scompaiono solitamente entro i 4-6 mesi d’età [2]. La distinzione tra soffio innocente o soffio patologico di corta durata e bassa intensità in un cucciolo è molto spesso difficoltosa e merita l’ ecocardiografia, ma la conoscenza della predisposizione di razza delle varie patologie cardiache congenite può sicuramente aiutare il clinico nel formulare una diagnosi differenziale. Anche i soffi funzionali non sono associati a patologie cardiache, ma alla riduzione od aumento della viscosità del sangue , del volume plasmatico e della frequenza cardiaca [2]. Si possono riscontrare in corso di anemia, ipertermia, gravidanza, ipertiroidismo ed aumento del tono simpatico [2]. Sono solitamente proto- o meso- sistolici con basso grado d’intensità [2]. Come già accennato la sola visita clinica non può differenziare un soffio innocente o funzionale da un soffio patologico di corta durata e bassa intensità. In uno studio del 2009 sui boxer è risultato che il 52% dei soggetti non presentava segni ecocardiografici di patologie cardiache congenite, ma che la maggior parte dei soggetti con patologie cardiache congenite presentava un soffio di bassa intensità [1]. Per questo la sola auscultazione non può essere utilizzata come test diagnostico ma è senz’altro un campanello di allarme che motiva l’esecuzione di un esame ecocardiografico [1]. Infatti può succedere che cardiopatie congenite non vengano diagnosticate in tempo. In uno studio sulle patologie congenite cardiache in Italia è emerso che l’età media dei pazienti al momento della diagnosi era superiore ai 2 anni di età [5]. Questo tipo di patologie dovrebbero essere diagnosticate il più precocemente possibile in modo da ottimizzare la gestione terapeutica e di aumentare l’aspettativa e la qualità di vita [5]. E’ per questo che l’auscultazione cardiaca gioca un ruolo importante e potrebbe essere considerato come il primo passo per la diagnosi delle cardiopatie congenite. I soffi cardiaci vengono descritti in base a: • Insorgenza: indica il momento di comparsa all’interno del ciclo cardiaco [7]. Si possono distinguere in: - Sistolici (Figura 3): sono i soffi più comuni nei cani (circa l’80 %) e possono iniziare contemporaneamente a S1 e durare fino a S2 (pansistolici), possono iniziare subito dopo S1 e durare fino a S2 (olosistolici), oppure possono iniziare con S1 ed estinguersi prima di S2 (olosistolici) ed infine possono insorgere dopo S1 ed estinguersi prima di S2 (Proto o Mesosistolici) [2]. - Diastolici (Figura 3): sono meno frequenti e più difficili da identificare rispetto ai soffi sistolici e si riscontrano comunemente nella fase precoce diastolica (protodiastolici), attraverso tutta la
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FIGURA 3 Nomenclatura dei soffi cardiaci in funzione della durata durante la sistole o la diastole.
diastole (olodiastolici), oppure occasionalmente essere presenti alla fine della diastole (presistolici) [2]. - Continui: sono anche definiti a locomotiva e perdurano durante tutta la durata del ciclo cardiaco [2]. Indicano che tra due aree connesse vascolarmente esiste un costante e significativo gradiente di pressione [7]. A frequenze cardiache basse questo tipo di soffio può non essere udibile verso la fine della diastole [7].
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- To and Fro: sono soffi caratterizzati da una componente sistolica e una diastolica [2]. Localizzazione ed irradiazione (Figura 4): la localizzazione indica l’area di proiezione valvolare in cui il soffio presenta maggiore intensità [2]. Alternativamente la localizzazione può essere descritta semplicemente come basale o apicale [2]. Alcuni soffi si possono irradiare in altre aree, in base alla direzione del flusso sanguigno responsabile del soffio [3].
FIGURA 4 Aree di auscultazione dei soffi cardiaci nell’emitorace sinistro (A) e destro (B) con rappresentazione fonocardiografica dei soffi nelle varie patologie cardiache (IM: insufficienza mitralica; SP: stenosi polmonare; SSA: stenosi subaortica; PDA: dotto arterioso pervio; DIV: difetto interventricolare; DT: displasia della tricuspide).
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• Intensità: L’intensità di un soffio in genere viene graduata su una
• Configurazione o tonalità : indica la frequenza del profilo del
scala da I a VI (Tabella 3) [7]. Nei pazienti con insufficienza mitralica, stenosi polmonare e stenosi sub-aortica l’intensità del soffio è di solito direttamente proporzionale alla gravità della patologia, ad eccezione dei soffi musicali in cui la forte intensità è data dall’effetto del torace che diventa una cassa di risonanza [2].
soffio durante il ciclo cardiaco in relazione alla forma che descrive sul fonocardiogramma [2]. Si distingueranno così soffi a plateau (uguale sonorità durante la loro apparizione, tipici dell’insufficienza mitralica) e soffi crescendo decrescendo (l’intensità aumenta gradualmente fino ad un valore picco, per poi diminuire, tipici della stenosi aortica o polmonare) [2]. Esiste un altro tipo di soffio definito “soffio musicale”. Tale soffio è dovuto alla vibrazione dell’apparato valvolare mitralico dato dal rigurgito ed amplificato dalla gabbia toracica che diventa una sorta di cassa di risonanza [2]. Di solito si riscontra in corso d’insufficienza mitralica lieve o moderata [2] . Sapere riconoscere le diverse caratteristiche del soffio è fondamentale per il clinico, sia per quanto riguarda la gravità della patologia, sia perché ci da informazioni utili sull’eziologia. Infatti ogni patologia cardiaca è caratterizzata da un tipo di soffio cardiaco) [Figura 5].
TABELLA 3 Scala d’intensità dei soffi.
FIGURA 5 diagnosi differenziali in corso di soffi cardiaci patologici.
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CONCLUSIONI La visita clinica è quindi fondamentale, poiché attraverso manovre poco invasive e soprattutto poco costose per il cliente, il clinico potrà essere in grado di orientarsi sul problema dell’animale e decidere quale approfondimento diagnostico riterrà più opportuno in modo di arrivare alla diagnosi di forma ordinata ed orientata al problema, aumentando così la percentuale di esito di arrivare ad una diagnosi corretta. E’ anche un fondamentale servizio per il Cliente, sempre più esigente ed attento alla qualità offerta.
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Rivista di Medicina Veterinaria, vol. 49, n. 2, 2013
L’uso della Cabergolina nella gestione dei tumori mammari della cagna Maria Carmela Pisu DVM, Libero Professionista ECAR Resident
KEYWORDS: mammary tumours, prolattin, cabergoline.
RIASSUNTO Nella cagna intera i tumori mammari sono i secondi per incidenza e risultano maligni in circa il 50% dei casi. E’ stata dimostrata la stretta correlazione tra steroidi sessuali e formazione di neoplasie e il diretto rapporto tra pseudociesi e sviluppo tumorale. La cabergolina si e’dimostrata utile nel ridurre l’iperplasia mammaria progesterone-prolattina indotta e nel ridurre le dimensioni dei noduli mammari benigni e risulta quindi importante il suo utilizzo prima dell’intervento di mastectomia.
ABSTRACT In non-spayed bitches, the mammary tumours are the seconds for incidence, and result malignant in approximately 50% of cases. The close correlation between pseudopregnancy and tumour development has been demonstrated. Cabergoline has proved to be useful in reducing the benign mammary hyperplasia progesterone- prolactin induced and in reducing the size of the mammary benign nodules. Therefore it is important its use before mastectomy.
INTRODUZIONE Nella cagna intera i tumori mammari sono i secondi per incidenza, secondi solo ai tumori cutanei , con un’incidenza del 35-50% di tutti i tumori.(1-2-3) Le neoplasie mammarie si presentano solitamente in cagne di eta’ superiore ai 9 anni (maggiore tra i 9-12 anni) ed e’ anche stata descritta una predisposizione di razza (piu’ colpiti barboncini, terrier e spaniel) (1,4) . Le mammelle piu’ coinvolte sono le mammelle addominali (58% ) che sono solitamente le piu’ sviluppate. Vengono comunemente definiti tumori “fifty-fifty” perche’ la percentuale di tumori maligni e’ praticamente sovrapponibile a quella dei tumori benigni (47%-53%). In ordine di incidenza tra le lesioni benigne si riconoscono, a livello istologico, iperplasia mammaria, fibroadenomi, adenomi e tumori misti benigni. Tra le
neoplasie maligne il 60% e’ rappresentato dai carcinomi, il 30% dai tumori misti e il 10% dai sarcomi. (5,6) E’ stata dimostrata una correlazione tra i tumori mammari e le patologie ovariche e uterine, quali cisti ovariche follicolari, cisti luteiniche, iperplasia endometriale cistica, e il rapporto diretto tra terapie ormonali per la soppressione dei calori e incidenza di neoplasia, cosi come e’ stata descritta la correlazione tra pseudogravidanza sintomatica e insorgenza dei tumori mammari (7). L’ovariectomia precoce si e’ invece dimostrata efficace nella prevenzione delle neoplasie riducendo il rischio relativo (ODDS ratio) a 0.005, 0.08 e 0.26 rispettivamente se l’intervento e’ effettuato prepubere, entro il secondo calore o entro il terzo calore, contro un rischio relativo di 1 nella cagna intera (8). Tale prevenzione , cosi’ come la correlazione con le patologie ovariche, le terapie steroidee e con la pseudogravidanza, trova la sua spiegazione nell’effetto degli ormoni sessuali (estrogeni e progesterone) nello sviluppo della ghiandola mammaria, nel quale gli estrogeni hanno un ruolo nello sviluppo duttale mentre il progesterone in sinergia con la prolattina ha un potente fattore mitogeno sulle cellule epiteliali dell’alveolo e un’azione sulla differenziazione alveolare stessa. Come nella donna, anche nella cagna sono stati descritti nei tumori mammari recettori per gli estrogeni e per il progesterone. Tali recettori sono in numero direttamente proporzionale alla differenziazione della neoplasia: nei tumori maligni diminuiscono rispetto ai tumori benigni e nei tumori indifferenziati rispetto a tumori maggiormente differenziati; tale correlazione inversa nella cagna e’ maggiore per i recettori del progesterone (1) . Nei tumori benigni, cosi come in mammelle iperplasiche, sono anche stati descritti recettori per il GH che si ritiene stimoli, attraverso la produzione di epidermal growth factor (EGF), la moltiplicazione delle cellule epiteliali mammarie. E’ probabilmente per questo motivo che le cagne obese (soprattutto se si tratta di obesita’ giovanile) hanno una maggiore predisposizione alla formazione di neoplasia e una peggior prognosi e aspettativa di vita post chirurgia.
PROLATTINA E ANTI PROLATTINICI La prolattina interviene nel processo di sviluppo della ghiandola mammaria in modo diretto e indiretto, attraverso la stimolazione
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della moltiplicazione delle cellule acinose, attraverso la sinergia con il progesterone nel processo di mitosi cellulare e indirettamente attraverso la sua forte attivita’ luteopropa che permette il perdurare del corpo luteo e della progesteronemia elevata per oltre 65 giorni ad ogni ciclo sessuale. La prolattina e’ anche stata ritenuta responsabile dell’induzione e della crescita di tumori mammari, attraverso l’attivazione di oncogeni. Nella mia personale casistica piu’ del 60% delle pazienti con tumori mammari ha anamnesi di pseudociesi ripetute. Uno studio del 2006 (Verstegen et al) conferma la correlazione tra pseudogravidanza e noduli mammari e valuta l’efficacia dell’utilizzo preintervento di una terapia con un antiprolattinico agonista dopaminergico, la cabergolina, con uno studio in doppio cieco. La somministrazione di 5 μg/die di cabergolina (Galastop®, Ceva Salute Animale, Milano) per 7-10 giorni preintervento si e’ dimostrata utile per ridurre le dimensioni mammarie e la reazione infiammatoria correlata; per ridurre o eliminare piccoli noduli benigni progesterone dipendenti (nel 23% dei casi), per evidenziare piccoli noduli mascherati dall’iperplasia della ghiandola (13%) e di conseguenza rendere piu’ semplice e piu’ efficace la chirurgia (9). In accordo con le piu’ recenti linee guida oncologiche, durante gli interventi di exeresi, personalmente tendo ad asportare il minimo tessuto necessario affinche’ la chirurgia sia risolutiva e sicura. Cio’ significa che risulta indispensabile poter riconoscere e distinguere, al momento della chirurgia, tutti i noduli presenti nel tessuto mammario per poter decidere per una mastectomia parziale, totale di una fila o bilaterale in 2 sedute successive. E’ anche importante sottolineare che proprio per l’effetto del progesterone e della prolattina sulla mammella e sui tumori mammari, i proprietari spesso si accorgono dei noduli in fase diestrale. Per tale motivo in accordo con lo studio di Verstegen, prima di effettuare interventi di mastectomia prescrivo 5μg/kg/die per 10 giorni di cabergolina (Galastop® Ceva Salute Animale, Milano). Con questo protocollo la chirurgia risulta effettivamente piu’ semplice perche’ si interviene su tessuti non iperplasici, senza presenza di latte negli acini e senza congestione mammaria; alla palpazione prechirurgica e’ spesso possibile riconoscere noduli di dimensioni < 5mm che non erano stati riscontrati prima della terapia. D’altro canto e’ spesso possibile osservare la scomparsa di noduli precedentemente rilevati (formazioni benigne progesterone-prolattina dipendenti) e di disomogeneita’ del tessuto mammario(microgranulosita’ e addensamenti localizzati) e di risparmiare in questo modo mammelle sane. Tra i noduli mammari personalmente diagnosticati negli ultimi 3 anni, il 59% e’ risultato istologicamente maligno e di questi il 22% e’ stato identificato come carcinoma complesso, il 16% come carcinoma semplice (tubulare o papillare), il 18% come carcinoma in situ, il 9% come carcinoma squamocellulare, il 2% come sarcomi e
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il 33% come tumori misti. In tutti i casi di diagnosi di noduli mammari (>3mm) viene prescritta terapia con cabergolina per 10 giorni e si rivaluta la paziente a fine terapia. Nell’ 8% dei casi noduli di piccole dimensioni non sono stati rilevati alla visita di controllo, nel 12% dei casi sono stati rilevati noduli adiacenti nella stessa mammella o piu’ spesso in mammelle adiacenti e nel 15% dei casi i noduli sono stati rilevati di dimensioni diminuite, spesso spostando il grading anatomoclinico da T2 a T1 (cioe’ da noduli >3 cm di diametro a noduli <3cm) (10). Per la particolare caratteristica dei tumori mammari, nel 60% dei casi neoplasie benigne e maligne sono presenti nello stesso nodulo, l’utilizzo della cabergolina prima della chirurgia, permette inoltre la riduzione delle dimensione anche dei noduli che all’istologia risultano maligni per l’azione sulla parte benigna e iperplasica del nodulo stesso. Fondamentale risulta inoltre la terapia con cabergolina in tutti i casi in cui la chirurgia viene condotta in diestro (la maggior parte dei casi) e si associa nella stessa seduta chirurgica l’ovariectomia/ ovarioisterectomia: e’ indispensabile infatti evitare che l’aumento della prolattina indotto dall’asportazione delle ovaie e conseguente crollo della progesteronemia induca pseuociesi sintomatica a livello delle mammelle non asportate con conseguente prolungamento dei tempi di cicatrizzazione e di convalescenza post chirurgica.
CONCLUSIONI La terapia preventiva con cabergolina ad un dosaggio di 5μg/kg/ die per almeno 7 giorni si e’ dimostrato, sia negli studi sia nella pratica clinica dell’autore, utile per rendere l’exeresi mammaria piu’ semplice e piu’ tranquillamente terapeutica. Data la dimostrata correlazione tra presudogravidanza e neoplasie mammarie, l’effetto trofico sul tessuto mammario e la probabile capacita’ di attivazioni di oncogeni della prolattina, unito al noto effetto cancerogeno della distensione degli acini alveolari e della permanenza del latte negli alveoli stessi e nei dotti, in una specie in cui le neoplasie mammarie sono il secondo tumore per incidenza, e’ fortemente consigliabile trattare tutte le cagne in stato di pseudociesi anche se sono presenti pochi sintomi, o anche in presenza di soli sintomi comportamentali senza montata lattea. La cabergolina si e’ dimostrata un farmaco sicuro ed efficace nel trattamento della pseudociesi, gli effetti collaterali sono scarsi, di poca rilevanza e limitati solo alla prima o seconda somministrazione. La cabergolina agisce infatti in modo selettivo sui recettori ipofisari svolgendo una azione diretta di inibizione sulla produzione e secrezione della prolattina. La cabergolina inoltre a dosaggi terapeutici, non supera la barriera ematoencefalica e quindi non stimola la “chemo-receptor trigger zone” (CTZ) per cui la comparsa del vomito è ridotta o assente cosi’
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come la gastrite secondaria e deve quindi essere considerato il farmaco di prima scelta per la riduzione della prolattinemia.
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A. Barberio
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La flogosi nelle patologie uterine del bovino e il ruolo di BoHV-4 Sarah Jacca1 , Valentina Franceschi1 1 Dipartimento di Scienze Medico Veterinarie, Università di Parma, Italia, via del Taglio 10, 43126 Parma Autore corrispondente: Dr. Sarah Jacca
RIASSUNTO
KEYWORDS
Le malattie uterine nella specie bovina sono causa di notevoli perdite economiche negli allevamenti e per tali ragioni è molto importante comprenderne l’eziologia e la patogenesi a fini preventivi e terapeutici. Attualmente, lo sviluppo di patologie uterine post-parto, quali metriti ed endometriti, è spesso associato a batteri di origine ambientale, soprattutto E.coli e Arcanobacterium pyogens, e ad alcuni virus, come l’herpesvirus bovino del tipo 4 (BoHV-4). Nella specie bovina il BoHV-4 è in grado di indurre, come altri virus erpetici, infezioni persistenti, in particolare nei macrofagi, ed è stato spesso isolato come patogeno secondario in metriti di origine batterica. E’ stata perciò ipotizzata una stretta relazione tra l’instaurarsi di una endometrite batterica, che induce la secrezione di citochine proinfiammatorie e quindi il richiamo di macrofagi, persistentemente infettati, dai distretti periferici e la stimolazione della replicazione virale, in grado di causare ulteriori danni e infiammazione a carico del tessuto endometriale.
Bovine uterine diseases, Bovine Herpesvirus-4, proinflammatory cytokynes.
SUMMARY Bovine uterine diseases are responsible of great economical losses in the farms and, for these reasons, it is very important to understand their etiology and pathogenesis, for therapeutic and preventive purposes. Nowadays, the development of post-partum uterine diseases, as metritis or endometritis, is often associated to environmental bacteria, as E.coli and Arcanobacterium pyogenes, and to some viruses, like Bovine Herpesvirus-4 (BoHV-4). In the bovine species, BoHV-4, like other herpesviruses, is able to induce persistent infection, especially in macrophages, and it is often isolated as secondary pathogen in bacterial metritis and endometritis. It is suggested the close relationship between the onset of a bacterial endometritis (which induces the secretion of proinflammatory cytokines and the attraction of persistently infected macrophages from the periphery of the body) and the stimulation of viral replication, that causes damages and inflammation to endometrial tissue.
Nella specie bovina le perdite prenatali, intese come mortalità embrionale e morte fetale, rappresentano le più importanti cause di mancato reddito negli allevamenti (1). La maggior parte di queste perdite si verifica durante la fase embrionale che è compresa tra il momento della fertilizzazione e il completamento dello stadio differenziativo, ossia da quando l’embrione, essendosi già formati tutti gli organi e iniziando la fase di mineralizzazione dei tessuti duri, inizia a essere definito feto. Il momento più delicato della fase embrionale è quello compreso tra il primo giorno post-fertilizzazione e il momento dell’impianto embrionale che si verifica verso il 20°-21° giorno dopo la fertilizzazione (2). Le perdite embrionali sono attribuibili alla mancanza di condizioni intrauterine in grado di permettere prima l’impianto dell’embrione e in seguito il proseguo della gravidanza. Infatti, il ruolo principale dell’endometrio è quello di accogliere l’embrione e supportarne la crescita nel corso della gravidanza, in assenza della quale il corpo luteo regredisce e prende avvio un nuovo ciclo ovarico. L’impianto dell’embrione è un processo estremamente dinamico che richiede un attento dialogo fra blastocisti ed endometrio. Nel bovino, cosi come nella maggior parte dei mammiferi, il periodo di tempo durante il quale l’endometrio è recettivo all’impianto è ridotto e in questo periodo i livelli di progesterone aumentano mentre diminuiscono quelli degli estrogeni. Questi eventi chiave legati all’impianto embrionale sono dovuti a tutta una serie di modificazioni non solo endocrine ma anche immuno-istologiche dell’endometrio: infiltrazione leucocitaria, modificazione della matrice extra-cellulare e incremento della permeabilità vasale. Tutti fenomeni riconducibili a un evento infiammatorio, anche se moderato e non patologico. Ed è proprio la regolazione dell’inizio, dell’intensità e della risoluzione di questo stato flogistico parafisiologico (paraflogosi) a rivestire un ruolo di estrema
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importanza nell’impianto dell’embrione e nel mantenimento della gravidanza (3). Ne consegue che un’alterata regolazione di tale risposta infiammatoria, sia nel senso di una flogosi esuberante che di una sua completa assenza, potrebbe portare a patologie ginecologiche e a mancata gravidanza. Una dettagliata conoscenza delle possibili vie di flogosi dell’endometrio costituisce un requisito indispensabile per lo sviluppo di nuovi strumenti diagnostici e terapeutici (1,3). Le funzioni uterine sono spesso alterate dalla contaminazione, dalla proliferazione e dalla persistenza di microorganismi patogeni nel lume uterino in conseguenza del parto (Figura 1). FIGURA 1 Metriti ed endometriti sono principalmente indotte da batteri di origine ambientale. Le cellule epiteliali endometriali sono le prime a venirne in contatto e sono indotte alla secrezione di citochine proinfiammatorie che richiamano macrofagi dai distretti periferici nel sito dell’infiammazione. In un animale persistentemente infettato con Bovine herpesvirus 4, l’attivazionemacrofagica induce la replicazione di BoHV-4 e, in questo modo, la cronicizzazione della patologia.
Sebbene in molti casi questi microorganismi possano essere spontaneamente eliminati nell’arco di circa tre settimane dal parto, nel 10-17% delle bovine la persistenza dell’infezione può causare turbe infiammatorie a carico dell’utero, lesioni istologiche e un ritardo dell’involuzione uterina (con conseguente mancato impianto embrionale). L’involuzione post-parto dell’utero favorisce l’eliminazione dei microorganismi contaminanti, mentre è ostacolata e ritardata dalla loro persistenza. Infatti, la valutazione dell’involuzione uterina post-parto può aiutare nel discriminare una condizione fisiologica da una patologica. In animali sani le corna uterine raggiungono un diametro di 3-4 cm a 25-30 giorni dal parto, mentre 40 giorni circa dopo il parto la cervice raggiunge un diametro inferiore a 5 cm, anche se l’involuzione uterina non può essere considerata completa fino a 50 giorni dopo il parto. Da un punto di vista patologico la definizione dello stato infiammatorio del tratto genitale è semplice: in caso di
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infiammazione limitata e circoscritta si parla di endometrite, quando interessa l’intero spessore della parete uterina, strato muscolare compreso, si parla di metrite, se infine interessa i legamenti sospensori si parla di parametrite. Le evenienze flogistiche più frequenti sono rappresentate da metriti ed endometriti: in entrambi i casi la mucosa si presenta congesta, edematosa, con una prominente infiltrazione leucocitaria spesso accompagnata da degenerazione cellulare (apoptosi e necrosi). Queste condizioni patologiche sono per lo più associate alla presenza di microorganismi di origine batterica, anche se alcuni virus, come il BoHV-4 (Bovine Herpesvirus-4), possono talvolta essere rilevati, anche se solo come agenti di irruzione secondaria. Il quadro istologico in caso di metriti ed endometriti è caratterizzato da leucocitosi e deplezione e atrofia delle ghiandole endometriali. Nel caso in cui la metrite o l’endometrite siano associate alla presenza di batteri piogeni, oltre che alla presenza di un corpo luteo progesterone-secernente che garantisce il mantenimento della cervice chiusa, si parla di piometra (1,3). Se in termini anatomo-istopatologici la definizione dello stato infiammatorio dell’utero è apparentemente semplice, lo stesso non si può dire della sua definizione clinica. Da questo punto di vista le affezioni uterine a carattere flogistico si distinguono in: 1) Metrite: stato flogistico acuto prettamente sostenuto da batteri penetrati nell’utero per via ascendente e che tende a manifestarsi entro 21 giorni circa dal parto. Essendo una forma acuta, la metrite è anche clinicamente manifesta e i segni clinici possono essere di entità variabile, localizzati o sistemici. In funzione della variabilità dei sintomi, le metriti possono essere classificate in: metrite di grado 1, caratterizzata da ridotta involuzione uterina con secrezioni uterovaginali muco-purulente, brunastre e maleodoranti e da assenza di sintomi sistemici; metrite di grado 2, nella quale, in aggiunta ai precedenti, sono presenti sintomi sistemici come febbre (>39,5 C°) e riduzione della produzione lattea; metrite di grado 3, con la quale subentrano anche apatia, depressione del sensorio, inappetenza e stati tossiemici. I soggetti con metrite di grado 3 sono spesso incurabili e presentano prognosi infausta. 2) Endometrite clinica: non si manifesta prima dei 21 giorni dal parto (più spesso verso il 26° giorno), è caratterizzata da secrezioni utero-vaginali mucopurulente e da un diametro cervicale maggiore di 7,5 cm e non è accompagnata da sintomi sistemici. L’intensità dell’endometrite clinica è determinata dal grado di mucopurulenza delle secrezioni utero-vaginali. Si può così avere un’endometrite clinica di grado 1 quando sono presenti pochi flocculi di pus, un’endometrite di grado 2 quando i flocculi sono più densi e numerosi ma non superano il 50% del secreto, un’endometrite di grado 3 quando invece i flocculi di pus superano il 50% del secreto. Si è osservato che al crescere del grado aumenta anche l’incidenza della presenza di
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microorganismi patogeni e si riduce la probabilità di successo terapeutico. 3) Endometrite subclinica: forma infiammatoria dell’endometrio ad andamento cronico, con assenza di secrezioni mucopurulente e diagnosticabile tramite indagine citologica. Come l’endometrite clinica, la forma subclinica si manifesta dopo almeno 21 giorni dal parto e fino a 60 giorni. Sebbene le conoscenze non siano ancora molto approfondite, sulla base dei dati disponibili è stato proposto che si possa parlare di endometrite sub-clinica quando i campioni citologici uterini (prelevati tramite flushing o cytobrush tra i 21 e i 32 giorni dopo il parto) presentano una percentuale di neutrofili maggiore del 10% oppure se i campioni, prelevati tra i 34 e i 47 giorni dopo il parto, presentano una percentuale di neutrofili maggiore del 5% (1,3). Come scritto in precedenza, la maggior parte delle affezioni uterine di origine infettiva sono a eziologia prettamente batterica. Questo assunto, ormai confermato da una copiosa letteratura scientifica, ha fatto sì che potenziali agenti patogeni endometrio-tropi di origine virale fossero del tutto trascurati sia dal punto di vista diagnostico che eziopatologico. Le infezioni uterine di natura batterica sono infatti quasi sempre associate a contaminanti ambientali che penetrano in utero durante il parto per via transvaginale e sono perciò di individuazione relativamente semplice. Al contrario, le infezioni uterine di origine virale si verificano per via sistemica e perciò sono difficilmente individuabili o addirittura non considerate, soprattutto in caso di animali persistentemente infetti. Solo in seguito a indagini accurate, che non prendano in considerazione soltanto la ricerca di agenti batterici ma anche di virus, si è potuto constatare che il BoHV-4 è spesso associato a metriti post-parto in copresenza di batteri (4,8). Il BoHV-4 può essere isolato dalle lesioni endometriali e dai fluidi utero-vaginali soprattutto nelle prime 3 settimane dopo il parto e si accompagna spesso a rialzo dei titoli anticorpali. Inoltre, quando la metrite post-parto è caratterizzata dalla copresenza di batteri e BoHV-4, è accertabile anche una discreta refrattarietà ai trattamenti antibiotici (1,3). Il BoHV-4 è in grado di indurre infezione persistente nei macrofagi, grazie ai quali può diffondere a livello sistemico (9,10). Nei distretti organici in condizioni flogistiche e iperemiche e nei quali si verifica un richiamo di macrofagi dai distretti periferici, in caso di infezione persistente da BoHV-4 si può manifestare riattivazione virale grazie alla presenza di molecole pro-infiammatorie (9). Infatti non è un caso che il BoHV-4 si possa riattivare durante il parto e sia facilmente isolabile in sede uterina in animali persistentemente infetti. Purtuttavia non si assiste sempre allo sviluppo e alla cronicizzazione della metrite ma tale possibilità si riscontra soprattutto in seguito alla copresenza di BoHV-4 e di alcuni batteri (8) riconosciuti come patogeni uterini specifici, quali A.pyogenes, E.coli, Streptococcus sp. and Citrobacter.
Essendo noto che il BoHV-4 viene spesso co-isolato con batteri metritogeni e che da solo non è in grado di indurre metrite, persino dopo inoculazione sperimentale, è stato ipotizzato che il virus possa fungere da agente sia predisponente che cronicizzante le infezioni uterine sostenute da batteri (8,11). In generale, i batteri e i virus in grado di resistere ai meccanismi di difesa e di proliferare nei tessuti animali costituiscono i principali fattori scatenanti il processo infiammatorio e il richiamo di cellule polimorfonucleate (PMN) dalla periferia che, paradossalmente, sono responsabili della forma patologica e delle lesioni. La mobilizzazione dei PMN nella sede di flogosi è poi orchestrata dall’interazione fra leucociti e citochine (12,13). Quando tale mobilizzazione risulti particolarmente esuberante, nonostante si verifichi per contrastare l’infezione, spesso contribuisce essa stessa allo sviluppo delle lesioni. Durante lo sviluppo della flogosi le prime citochine prodotte sono IL-1β e TNF-α, che inducono marcata secrezione di IL-8, il più efficace fattore chemiotattico e attivatore dei PMN. IL-1β, TNF-α e IL-8 promuovono la degranulazione dei PMN e il rilascio a livello extracellulare di metaboliti dell’acido arachidonico (PGE2 e leucotrieni), radicali tossici dell’ossigeno ed enzimi proteolitici che, operando insieme, generano le lesioni tessutali (12,13). Sulla scorta delle informazioni di cui sopra e di una serie di dati sperimentali ottenuti in vitro e in vivo è stato delineato il seguente paradigma patogenetico: durante il parto l’utero di un animale può venire a contatto con diversi batteri di origine ambientale. Qualora l’animale presenti una persistente infezione da BoHV-4 a livello macrofagico, l’utero infiammato richiama macrofagi dalla periferia. In queste cellule, grazie alla produzione di molecole pro-infiammatorie (come l’LPS [lipopolisaccaride]) prodotte dall’endometrio per via della proliferazione batterica, si assiste alla replicazione del BoHV-4 che così può infettare dapprima le cellule stromali e in seguito quelle epiteliali dell’endometrio. La replicazione del BoHV-4 nelle cellule endometriali determinerà quindi, grazie a un proteina virale, un ulteriore sintesi di IL-8 che, come già ricordato, è uno dei maggiori responsabili del richiamo di PMN. Per il complesso di questi eventi si potrà assistere alla trasformazione dell’infiammazione uterina da una condizione acuta e transitoria (metrite) a una condizione cronica (endometrite) (8,11,13,15). Un simile meccanismo non si verificherà invece in animali non persistentemente infettati nei quali l’infezione, definibile come para-fisiologica, si risolverà in circa 3 settimane.
CONCLUSIONI Sulla base di queste risultanze si può concludere che gli agenti virali, nello specifico il BoHV-4, costituiscono una componente aggiuntiva nelle infezioni e nelle patologie uterine della bovina. Per tali ragioni sarebbe auspicabile l’utilizzo di procedure
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diagnostiche più accurate, che non limitino il loro campo di ricerca ai soli agenti batterici. Queste tecniche, anche se più complesse e dispendiose, potrebbero infatti rappresentare un valore aggiunto per una corretta diagnosi e un conseguente approccio preventivo e terapeutico.
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Rivista di Medicina Veterinaria, vol. 49, n. 2, 2013
Ipocalcemia sub-clinica Danilo Buoli Medico Veterinario, Cremona
RIASSUNTO Il parto e l’inizio della lattazione sono alla base di cambiamenti metabolici che coinvolgono primariamente il calcio e, di conseguenza, il metabolismo energetico e lo stress ossidativo. Questi sono fenomeni complessi e interdipendenti: allo scopo di controllarli, è necessario migliorare la gestione dell’allevamento attraverso l’utilizzo di appropriati strumenti di indagine.
SUMMARY Calving and beginning of lactation are responsible of metabolic changes that primarily involve Calcium turnover, consequently energy metabolism and oxidative stress. These are complex and interdependent phenomena: in order to control them, it is necessary to keep on improving the farm management resulting from appropriate instrument surveys. Key words: Subclinic Hypocalcaemia (SCH), Milk Fever, DCAD, NEFA, β-OHB, Oxidative Stress.
INTRODUZIONE Per le bovine ad alta produzione la regolazione omeoretica del metabolismo in fase di transizione corrisponde all’utilizzazione dell’energia disponibile, dei minerali e degli antiossidanti per la produzione di latte e per affrontare l’attività riproduttiva. Già nei giorni precedenti il parto hanno inizio fenomeni metabolici e immunologici contrastanti. Al calo di ingestione fisiologica (circa 30%) si contrappone una maggiore richiesta di energia per il completamento del feto ( ≥ 500 g/die) e la produzione di colostro. Contemporaneamente si innescano i normali processi immunitari che porteranno successivamente al distacco ed espulsione della placenta (intervento della IL-8). L’obbiettivo che tutte le figure professionali interessate si debbono porre è quello di ridurre il più possibile l’entità dei seguenti aspetti: - deficit energetico - stress ossidativo - ipocalcemia
Questi sono argomenti che possono essere trattati anche separatamente, ma che inevitabilmente si intrecciano a causa delle vicendevoli interferenze. Limitando la trattazione al metabolismo del calcio, dobbiamo ricordarne l’importanza per l’organismo, essenziale per il mantenimento di un buono stato di salute ma anche per il controllo di numerose attività extra e intra-cellulari. Funzioni extracellulari: - mineralizzazione ossea - coagulazione - eccitazione neuromuscolare Funzioni intracellulari: - attivazione neuronale - contrazione muscolare - secrezione di ormoni - secondo messaggero per ormoni e fattori di crescita - regolazione trascrizione genica e attività metaboliche
IL METABOLISMO DEL CALCIO Considerando il ruolo biologico di primo piano di questo minerale, non sorprende che il metabolismo del calcio sia soggetto a un controllo piuttosto complesso, finemente regolato da sostanze ormonali e non. Scopo primario dell’omeostasi calcica è quello di mantenere costanti le concentrazioni ematiche di calcio. La ripartizione del calcio nell’organismo è riportata in tabella 1. TABELLA 1 Ripartizione del calcio nell’organismo. Calcio mineralizzato delle ossa
98%
Calcio plasmatico
1% (di cui il 50% ionizzato e il 50% legato a proteine e sali)
Calcio extracellulare e intracellulare
1%
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La calcemia è un parametro rigidamente regolato a cui partecipano: - intestino: gradiente osmotico, diffusione facilitata dalla calcium binding protein (CBP), vitamina D dipendente - rene - tiroide - paratiroidi Tuttavia la perdita elevata di calcio che si verifica a fine gravidanza per il completamento delle strutture ossee del vitello e per la produzione del colostro possono causare dei cali più o meno elevati di calcio ematico. E’ opportuno ricordare che la quantità di calcio elementare presente nella prima munta di colostro corrisponde a 4-5 volte la quantità di calcio totale in circolo nel sangue della bovina. Questi cali, in funzione dello scostamento dai normali valori ematici, possono causare quadri clinici o subclinici.
I QUADRI CLINICI DELL’IPOCALCEMIA I quadri clinici sono riportati nella tabella 2. TABELLA 2 Quadri clinici di ipocalcemia.
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L’ipocalcemia subclinica, priva di segni clinici apparenti, è diagnosticabile solo strumentalmente. Allo scopo quindi di eseguire una diagnosi corretta, possono essere utilizzati, a livello aziendale, due tipi di strumenti: - enzimatico-fotometrici (VetScan II, Catalist, e altri) - emogas analizzatori (EMGA). I primi strumenti esprimono il valore del calcio in mg/dl e misurano la quantità di minerale presente in toto nel sangue (ionizzato, legato alle albumine, in aggiunta a quello presente sotto forma di citrati, fosfati e bicarbonati). L’EMGA rileva invece solo la frazione ionizzata unitamente al pH ematico, parametro quest’ultimo estremamente importante in fase di indagine predittiva nel periodo di close-up. L’incidenza dei primi due quadri clinici (collasso puerperale e ipocalcemia senza perdita di stazione) si va progressivamente riducendo e risulta ormai limitata al 3,5/7%. Secondo DeGaris e Lean, 2008, a un tasso di ipocalcemia subclinica (SCH) del 33% corrisponde un tasso di ipocalcemia clinica del 5%. Il vero pericolo che corrono attualmente le nostre bovine è quindi rappresentato dall’ipocalcemia subclinica (SCH). Abbiamo detto che si tratta di una patologia subdola, diagnosticabile solo strumentalmente nel
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periodo di massimo pericolo rappresentato dai 3-4 giorni dopo il parto. In passato sono stati considerati come valori subclinici quelli compresi tra 5,5 mg/dl e 8 mg/dl. Quest’ultimo valore pare debba essere ulteriormente aumentato a 8,59 mg/dl (Martinez et al., 2012). L’SCH è quindi condizione comune nell’immediato postpar-
nardt et al., il 25% delle bovine primipare e il 47% delle pluripare sono colpite da SCH. Gli autori hanno rilevato che la percentuale di SCH aumenta con l’aumentare del numero dei parti. Questi dati sono facilmente rilevabili anche da parte del medico veterinario nella normale pratica professionale.
to (Reinardt et al., 2011) dovuta all’elevata perdita di calcio con il
ESPERIENZE PERSONALI
colostro associata a un’inadeguata capacità di mobilizzazione le mia (Goff, 2008). Secondo uno studio condotto nel 2011 da Rei-
Le Figure 1a, 1b, 1c e 1d riportano i dati relativi a indagini personali che confermano quanto riportato precedentemente, e cioè il fatto che la SCH interessa il 50% e oltre delle bovine pluripare.
FIGURA 1a Misurazione del calcio eseguita giornalmente dal giorno del parto per 4 giorni successivi utilizzando l’EMGA. Il valore espresso nel grafico rappresenta la quantità di calcio ionizzato presente nel sangue in mmol/I.
FIGURA 1c Misurazione del calcio eseguita giornalmente dal giorno del parto per 4 giorni successivi utilizzando l’EMGA. Il valore espresso nel grafico rappresenta la quantità di calcio ionizzato presente nel sangue in mmol/I.
FIGURA 1b Misurazione del calcio eseguita giornalmente dal giorno del parto per 4 giorni successivi utilizzando l’EMGA. Il valore espresso nel grafico rappresenta la quantità di calcio ionizzato presente nel sangue in mmol/I.
FIGURA 1d Misurazione del calcio eseguita giornalmente dal giorno del parto per 4 giorni successivi utilizzando l’EMGA. Il valore espresso nel grafico rappresenta la quantità di calcio ionizzato presente nel sangue in mmol/I.
proprie riserve organiche al fine di ristabilire una normale calce-
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Nel caso sopra riportato la misurazione della calcemia è stata eseguita giornalmente con EMGA a partire dal giorno del parto e per i 4 giorni successivi. Il valore espresso nel grafico rappresenta la quantità di calcio ionizzato presente nel sangue espressa in mmol/l. Essendo il peso atomico del calcio pari a 40 e considerando che il calcio ionizzato rappresenta il 50% del calcio totale, per ottenere il controvalore in mg/dl del calcio totale si deve moltiplicare il valore rilevato per 8 (1 mmol/l di calcio ionizzato corri-
sponde a 8 mg/dl di calcio totale): si può quindi rilevare che solo la bovina n.102 conserva una calcemia ottimale dal giorno del parto fino al quarto giorno. Nelle Figure 2, 3, 4, 5 e 6 sono riportati i dati ottenuti nel corso di una prova durante la quale la misurazione della calcemia è stata sempre eseguita nei 4 giorni successivi al parto, misurando direttamente il calcio totale.
FIGURA 2 Valutazione della calcemia e seguita nei 4 giorni sucessivi al parto (calcio totale).
FIGURA 3 Valutazione della calcemia e seguita nei 4 giorni sucessivi al parto (calcio totale).
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FIGURA 4 Valutazione della calcemia e seguita nei 4 giorni sucessivi al parto (calcio totale).
FIGURA 5 Valutazione della calcemia e seguita nei 4 giorni sucessivi al parto (calcio totale).
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FIGURA 6 Valutazione della calcemia e seguita nei 4 giorni sucessivi al parto (calcio totale).
Anche questa prova ha confermato che, indipendentemente dai valori metabolici rilevati nel close-up, l’ipocalcemia subclinica interessa una percentuale elevata di bovine (nella prova in oggetto il 50%). Al fine di riconoscere e far riconoscere il problema, il medico veterinario deve innanzitutto mettere a disposizione dell’allevatore e del nutrizionista gli opportuni strumenti (EMGA, Vetscan, Catalist, Spotchem ecc.) ed il tempo necessario all’esecuzione ed interpreFIGURA 7 Misurazione del ph ematico e del ph urinario.
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tazione dei risultati ottenuti con queste metodiche analitiche. Le misurazioni devono essere eseguite nei modi e nei tempi (come riportato negli esempi precedenti) utili per la correzione della forma patologica. E’ compito del veterinario anche individuare sempre strumentalmente i fattori di rischio che nel close-up possono interferire o agire negativamente sui meccanismi di mantenimento della normale calcemia: -misurazione del pH ematico e urinario (DCAD negativo) (Figura 7).
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E’ opportuno fare in modo che il pH ematico non scenda a valori inferiori a 7,35 per non causare stati di acidosi non compensati (Constable, 2010). L’acidificazione ematica migliora anche la funzionalità del paratormone (PTH) e contribuisce complessivamente al mantenimento di quote elevate di calcio totale e di calcio ionizzato dopo il parto. Gli obiettivi da raggiungere sono: - un corretto livello ematico del potassio (da 3,5 a 5 mmol/l); - un apporto di macroelementi in quantità e biodisponibilità ottimali - un corretto apporto di antiossidanti (vitamine A, E e C, betacarotene, zinco, selenio, rame-manganese). L’ipocalcemia subclinica (SCH) Le patologie direttamente riconducibili all’SCH possono sintetizzate nei seguenti punti: - aumento della cortisolemia come fattore di immuno depressione (Horst e Jorgensen,1982); - concentrazioni elevate di cortisolo riducono la chemiotassi e l’attività antibatterica dei neutrofili (Roth et al., 1982; Salak, Johnson & McGlone, 2007); - in presenza di SCH la cortisolemia aumenta di 5-7 volte rispetto alla norma (Horst e Jorgensen, 1982); - SCH come agente di stress; - diminuzione della contrattilità della muscolatura liscia (Harsen et al., 2003); - diminuzione della contrattilità del rumine e dell’abomaso (Chapinal et al., 2011); - diminuzione della contrattilità degli sfinteri dei capezzoli (aumento dei casi di mastite) (Curtis et al., 1983); - diminuzione della contrattilità del miometrio, e conseguente incremento delle ritenzioni placentari; - diminuzione dei neutrofili e aumento dell’incidenza delle metriti (Ducusin et al., 2003); - aumento dei parti “languidi” con aumento delle distocie (Curtis et al., 1983); - aumento del rischio di prolasso uterino (Risco et al., 1984); - diminuzione del calcio intracellulare che si verifica prima della riduzione del calcio ematico (Kimura, 2006) (Il calcio è un messaggero secondario dell’immunità cellulare. Dopo la fissazione dell’antigene sul linfocita la liberazione del Ca2+ contenuto nel reticolo endoplasmatico favorisce la produzione di anticorpi e peptidi antibatterici); - riduzione del numero di cellule immunitarie collegata a ritenzione placentare (Melendez et al., 2004) (la SCH causa la riduzione del 40% della capacità dei neutrofili di aggredire i batteri e del 30% circa la capacità dei linfociti di produrre anticorpi); - l’incidenza delle metriti si riduce del 22% per ogni aumento di 1 mg/dl del calcio ematico totale (Martinez et al., 2012);
- le bovine affette da SCH hanno elevati livelli di corpi chetonici (Curtis et al., 1983); - la SCH causa l’aumento di NEFA e β-OHB (Martinez et al., 2012; Ospina et al., 2010; Chapinal et al., 2011). Abbiamo detto in precedenza che questi sconvolgimenti metabolici non sono completamente separati, ma hanno dei naturali punti di contatto e di cointeressenza. Si arriva quindi al punto di contatto tra calcemia, metabolismo energetico (NEFA e β-OHB) e stress ossidativo. L’aumento dei NEFA causato dalle SCH produce inoltre ulteriori effetti negativi sulla risposta immunitaria. Si riduce infatti la capacità di distruzione delle cellule polimorfonucleate dei batteri per i seguenti motivi (Hammon , 2006): • riduzione dell’attività mieloperossidasica (Hammon, 2006) • riduzione dei livelli di glicogeno nei neutrofili (Galvao et al., 2010) • riduzione della moltiplicazione delle cellule mononucleari (Sordillo et al., 2009) e dell’attività ossidativa dei neutrofili (Ster et al., 2012) • possibile danno a carico delle cellule pancreatiche preposte alla produzione di insulina. Nelle bovine ad alta produzione, per sostenere la produzione di latte, si verifica un periodo transitorio di resistenza all’insulina. L’aumento dei NEFA ha la funzione di compensarne la resistenza temporanea (Kahn et al., 2006); Inoltre, i NEFA sono in grado di fissarsi ai TLR 4 (Tool Like Receptors) che sono normalmente stimolati dai lipopolisaccaridi batterici (LPS). Questo stimolo innesca il processo infiammatorio nell’utero, che in condizione normali viene invece indotto dal contatto con gli LPS batterici (Hotamisligil et al. al., 2008); l’aumento dei corpi chetonici sembra invece non avere un effetto sfavorevole sulla proliferazione delle cellule mononucleate sanguigne, sulla produzione di interferone da parte di queste cellule, né sull’attività ossidativa dei neutrofili (Ster et al., 2012). I corpi chetonici non sono quindi necessariamente responsabili degli effetti sfavorevoli associati alla riproduzione: sono solo da considerarsi dei semplici marcatori. Buon ultimo, ma non meno importante aspetto, è quello rappresentato dal controllo e dalla valutazione dello stress ossidativo. Tutto ciò che permette di limitare la quantità dei NEFA (0.3 meq/l prima del parto e 0.8-1 meq/l dopo il parto) in presenza di SCH ha un effetto benefico sulla produzione dei radicali liberi. Il deficit energetico è associato a un elevato stress ossidativo, causa a sua volta di disfunzione dell’attività mitocondriale e del reticolo endoplasmatico, di morte cellulare (apoptosi) e di modificazione dell’espressione di numerosi geni; - l’aumento dello stress ossidativo nelle bovine grasse è una delle maggiori cause di alterazione del sistema immunitario (Sorillo, 2009). Il tessuto adiposo è da considerare ormai un organo ad attività endocrina (Inguartsen, 2001; Mukesh, 2009),
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capace di esprimere e regolare le adipochine e in grado di avviare il processo infiammatorio con l’intermediazione delle citochine proinfiammatorie TNF α, IL 6, ecc.) liberate in grande quantità quando il BCS aumenta. Correzione dell’ipocalcemia Considerando quindi l’ipocalcemia (come forse impropriamente ritenuto da alcuni) la madre di tutte le patologie, vediamo come si può operativamente correggere questa patologia. Le forme cliniche di ipocalcemia, con o senza perdita di stazione, vanno ovviamente corrette mediante iniezione endovenosa di soluzioni a base di calcio. In Italia attualmente disponiamo di prodotti a base di gluconato di calcio al 20%, associato o meno a sali di fosforo, magnesio e vitamina B12 . La quantità di prodotto da infondere dipende da due fattori: 1. ogni grammo di gluconato di calcio contiene 100 mg di calcio elementare; 2. alla luce del primo dato, la quantità da somministrare è in relazione alla quantità di calcio effettivamente presente in circolo al momento dell’iniezione. Dobbiamo altresì considerare un ulteriore aspetto: la quota infusa è da considerare come quota ionizzata, cioè immediatamente disponibile. Il conteggio deve quin di tenere conto di questo particolare (il Ca2+ è il 50% del calcio totale). A titolo esplicativo, si ritiene opportuno mostrare un esempio dei valori che si possono rilevare in un caso di bovina a terra con collasso ipocalcemico: - Ca++ totale 4 mg/dl ---> Ca++ 2 mg/dl - una bovina di 700 kg con un volume di sangue di circa 50 litri ha in circolo un totale di circa 1 g di Ca++, mentre dovrebbe averne circa 3.5 g. Con la somministrazione di 500 ml di calcio gluconato al 20% si infondono realmente 10 g di calcio elementare. Questo semplice ragionamento suggerisce quindi grande prudenza nell’uso endovenoso, comunque sempre successivo ad una valutazione di tipo strumentale. Prevenzione dell’ipocalcemia subclinica L’ipocalcemia subclinica può essere prevenuta, come le forme cliniche, mediante interventi nel periodo di close up: - controllo dell’apporto di K+ in grado di interferire attraverso la depolarizzazione delle cellule della parete ruminale, sull’assorbimento del magnesio e, in qualità di anione, di contrastare l’acidificazione della dieta; - controllo dell’apporto di Ca++, P e Mg; - introduzione eventuale di mezzi di acidificazione della dieta nel periodo di close-up. Questo accorgimento può consentire di ottenere, al momento del parto, una più rapida mobilizzazione del Ca++ dalle ossa e una riduzione della stabilità del legame tra Ca++ e albumine e di aumentare con la mediazione del magnesio
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l’affinità del paratormone (PTH) con i suoi recettori periferici. Tutti questi provvedimenti sembrano essere in grado di ridurre l’incidenza dell’SCH del 15-25% (Garret, 2013), senza tuttavia arrivare ad annullarla. I possibili ulteriori interventi atti a contrastare questa patologia possono essere fondamentalmente due: l’infusione sottocutanea, al momento del parto, di soluzione di gluconato di calcio o la somministrazione di boli di sali di calcio. La prima modalità di intervento ha controindicazioni importanti: - la quantità di calcio elementare infuso è modesta (500 ml di calcio gluconato al 20% infondono solo 10 g di calcio elementare); - l’istolesività della soluzione infusa che imporrebbe la sommini strazione di quantità massime di 75 ml di soluzione per ogni punto di inoculo (Garret, 2013). Decisamente più efficace è la modalità di somministrazione di calcio attraverso boli di sali di calcio (cloruro di calcio e solfato di calcio). Questa soluzione, di facile impiego e senza rischi reali, consente un rapido incremento del Ca++ totale, che si protrae nel tempo. Ulteriore buona caratteristica è l’effetto anionico del prodotto stesso.
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Rivista di Medicina Veterinaria, vol. 49, n. 2, 2013
Utilizzo del dispositivo intravaginale a lento rilascio di progesterone nella terapia dell’anaestro di tipo I, II, III: prova in campo Giovanni Gnemmi DVM PhD Diplomato ECMHM, BOVINEVET Bovine Ultrasound Services
RIASSUNTO Obiettivo dello studio è stato quello di valutare l’efficacia, in condizioni di campo, di un dispositivo intra-vaginale a lento rilascio di progesterone (PRID®) nel trattamento di bovine in anaestro. L’efficacia del trattamento è stata valutata sulla base del tasso di concepimento registrato a 28-35 e a 55-62 giorni post inseminazione. Il dispositivo è stato mantenuto in situ per 7 giorni; al momento della rimozione sono stati somministrati 0,150 mg di D-cloprostenolo (PGF2_) e 500 U.I. di eCG. Dopo 56 ore dalla somministrazione della PGF2_ sono stati somministrati 4 μg di buserelin (GnRH). Le bovine sono state inseminate artificialmente (IA) a distanza di 18 ore dal trattamento con il GnRH. Sono state incluse nella prova un totale di 100 bovine di razza Holstein con anaestro rilevato a seguito di due successive indagini ultrasonografiche eseguite a distanza di 14 giorni), nelle quali non era stata evidenziata la presenza di un corpo luteo (CL). Tra il 28° e il 35° giorno post-IA e tra il 55° e il 62° giorno post-IA sono stati effettuati anche due accertamenti ultrasonografici transrettali per diagnosticare la gravidanza. Il tasso di concepimento rilevato è stato rispettivamente del 39% (a 28-35 giorni post-IA) e del 33% (a 55-a62 giorni post-IA). Considerata la tipologia delle bovine oggetto della prova (bovine ad alta produzione in condizioni di anaestro), i risultati ottenuti sono da ritenersi soddisfacenti.
SUMMARY Objective of the study was to evaluate the efficacy, in field conditions, of an intra-vaginal device releasing progesterone (PRID®) in the treatment of bovine in anoestrus. The efficacy of the device was evaluated on the basis of the conception rate recorded at 28-35 and at 55-62 days post-insemination (AI). The device was removed after 7 days from its insert. At the time of removal 0.150 mg of D-cloprostenol (PGF2_) and 500 IU eCG were administered. After 56 hours from PGF2_ injection, 4 mg of buserelin (GnRH) were administered. Cows were artificially inseminated (AI) after 18 hours from GnRH administration. A total of 100 Holstein cattle, with
anoestrus detected by the execution of two successive gynecological ultrasound examinations, spaced at 14 days, in which had not been highlighted the presence of a corpus luteum (CL ), were included in the trial. Pregnancy was diagnosed by two trans-rectal ultrasonography exams carried out twice, the first between the 28th and the 35th day after AI and the second between the 55th and the 62nd day post AI. The conception rate was respectively of 39 % at 28-35 days post AI and 33 % at 55-62 days post AI. Considering the characteristics of the selected cows (high-producing cows in anoestrus), the results can be considered satisfactory .
INTRODUZIONE L’anaestro è una delle patologie riproduttive più importanti della specie bovina e può interessare il 20-30% degli animali alla fine del tempo di attesa volontario1,2. Un’elevata produzione lattea è considerata come un fattore di rischio: circa il 25% delle bovine ad alta produzione è sottoposto a riforma anticipata per problemi riproduttivi nei primi 50 giorni di lattazione3. Esistono quattro diversi tipi di anaestro4 che presentano una sintomatologia clinica sempre caratterizzata dall’assenza della ciclicità ma con un’eziopatogenesi completamente diversa. Nell’anaestro di tipo I non si arriva alla deviazione del follicolo dominante per assenza di FSH4. Nell’anaestro di tipo II, dopo la deviazione, il follicolo dominante (FD) regredisce a causa di una scarsa pulsatilità dell’LH. Ne consegue un nuovo reclutamento follicolare, la deviazione di un nuovo FD e la sua regressione, processo che si può ripetere per due, tre o più volte in relazione alla profondità del bilancio energetico negativo4. Infatti, l’anaestro di tipo I e II sono strettamente correlati a un deficit energetico della bovina. Il tipo I è presente in circa l’8 delle bovine, e in particolare nelle primipare4. L’anaestro di tipo III, conosciuto anche come degenerazione cistica, si caratterizza sotto il profilo eziopatogenetico per l’assenza del picco pre-ovulatorio dell’LH (surge); conseguenza di ciò è che il FD invece di ovulare continua a crescere e può persistere, in assenza di un corpo luteo (CL), anche per settimane. L’anaestro di tipo IV è caratterizzato dalla presenza di un CL persistente, come conseguenza
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di una infiammazione endometriale, che di fatto pregiudica la produzione endogena di PGF2α e impedisce così la luteolisi4. L’anaestro non dovrebbe essere considerato una vera e propria patologia ma solo un sintomo e come tale dovrebbe essere gestito6. L’anaestro di tipo I, II e III sono l’espressione, a diversi livelli, di un bilancio energetico negativo, mentre l’anaestro di tipo IV è la conseguenza di una infiammazione uterina. Prima di intraprendere una terapia per l’anaestro, ci si dovrebbe chiedere quale è l’obiettivo: curare il “sintomo” o ingravidare la bovina? Apparentemente le due cose costituiscono un unico obiettivo ma in realtà di tratta di una visione medico-scientifica e zootecnica molto diversa. Se l’obiettivo sanitario è quello di curare il “sintomo” possono essere adottate diverse strategie: nell’anaestro di tipo I, II e III si può prendere in considerazione l’utilizzo di GnRH o di hCG5-6-7 associato alla somministrazione di vitamine liposolubili (A-D-E), mentre in caso di anaestro di tipo IV si può ricorrere a trattamenti intrauterini e/o alla somministrazione di prostaglandine (naturali o sintetiche)8,9. L’obiettivo sanitario dovrebbe però coincidere con l’obiettivo zootecnico: curare il sintomo finalizzando la terapia all’ingravidamento della bovina. Nel caso di anaestro di tipo I, II e III, questo obiettivo può essere perseguito ricorrendo all’impiego di un dispositivo intra-vaginale a lento rilascio di progesterone. L’efficacia di questo tipo di terapia nel contrastare l’anaestro è ampiamente documentata in letteratura10,11,12,13,16. Questo lavoro si prefigge lo scopo di descrivere il risultato di una prova di campo condotta in 12 diversi allevamenti nei quali sono state selezionate 100 bovine di razza Holstein con anaestro di tipo I, II e III e alle quali è stato applicato un dispositivo intra-vaginale a lento rilascio di progesterone (PRID®DELTA).
OBIETTIVO DELLA PROVA L’obiettivo della prova è stato quello di verificare i tassi di concepimento in bovine in anaestro di tipo I, II e III a distanza di 28-35 e di 55-62 giorni dall’inseminazione, a seguito dell’applicazione di un dispositivo intra-vaginale. Nello studio non era prevista la presenza di gruppi di controllo positivi e/o negativi.
MATERIALI E METODI Criterio diagnostico. Le bovine selezionate per la prova erano di razza Holstein e Red Holstein. Il numero medio di giorni di lattazione era di 117 giorni (minimo 92 e massimo 136 giorni), il BCS medio era di 2.25 (minimo 2.00 e massimo 2.50) e la produzione lattea media era di 36 litri/giorno (minimo 28 e massimo 46 litri/giorno). Le bovine sono state incluse nel gruppo di studio, dopo essere
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state sottoposte a due visite ginecologiche e ad accertamenti diagnostici ultrasonografici eseguiti a distanza di 14 giorni e nei quali non è stata evidenziata la presenza di corpi lutei (CL). Nelle bovine non sono state verificate le concentrazioni di progesterone, e quindi la diagnosi di anaestro è stata emessa solo sulla base dei due accertamenti ecografici. L’ecografia ha dimostrato di avere un’ottima sensibilità e specificità nella determinazione della presenza-assenza di CL14,15. I criteri di valutazione adottati nel corso dell’esame ecografico sono riportati di seguito:
• Anaestro tipo I: sono state definite in anaestro di tipo I le bovine con strutture follicolari inferiori a 8 mm, in assenza di CL. Totale bovine in anaestro di tipo I: 6.
• Anaestro tipo II: sono state definite in anaestro di tipo II le bovine con strutture follicolari tra 8-15 mm, persistenti nelle due successive visite, in assenza di CL. Totale bovine in anaestro di tipo II: 53.
• Anaestro tipo III: sono state definite in anaestro di tipo III le bovine con strutture follicolari > 15 mm, persistenti nelle due visite successive, in assenza di CL. Totale bovine in anaestro di tipo III: 41. Il Dispositivo. Le bovine sono state incluse nello studio solo alla fine del periodo di bilancio energetico negativo, ovvero al momento del calo del picco di lattazione. Complessivamente sono stati inseriti 101 dispositivi intra-vaginali: nel corso della prova infatti un dispositivo è stato perso da una bovina che, di conseguenza, è stata estromessa dalla prova. Il tasso di ritenzione del dispositivo è stato quindi del 99%. Questo dato è stato superiore alle attese, in considerazione del fatto che il tasso di ritenzione normalmente registrato è intorno al 97% (Dati Ceva). Il dispositivo intra-vaginale impiegato è stato il PRID DELTA© (Ceva), contenente 1.55 grammi di progesterone. La regione perineale è stata lavata, detersa e disinfettata prima dell’inserimento del dispositivo che è stato posizionato sul fondo della vagina, a ridosso dell’ostio cervicale esterno, mediante l’utilizzo di un apposito applicatore. Per facilitare lo scorrimento del dispositivo nell’applicatore si è fatto ricorso a un gel. Il Programma di sincronizzazione. Il dispositivo è stato mantenuto in situ per 7 giorni; in settima giornata il dispositivo è stato quindi rimosso dalla vagina grazie all’apposito cordino collegato al dispositivo stesso. Al momento della rimozione, a ogni bovina sono stati iniettati 0,150 mg di d-cloprostenolo (VETEGLAN® BIO98) e 500 UI di eCG (SINCROSTIM® CEVA). Dopo 56 ore dalla somministrazione della prostaglandina sono stati somministrati 4 μg di buserelin (RECEPTAL© MSD), cui è seguita una inseminazione artificiale a distanza di 18 ore (Tabella 1).
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TABELLA 1 Programma di sincronizzazione con dispositivo intravaginale in bovine da latte.
Diagnosi di gravidanza. Le bovine sono state sottoposte a diagnosi di gravidanza ultrasonografica per via trans-rettale utilizzando un’unità ecografica ultra-portatile di 1.850 grammi (IMAGO© ECM). La diagnosi è stata realizzata ricorrendo a una sonda lineare da 7.5 MHz. Il criterio diagnostico utilizzato è stato il seguente: 1. Verifica delle ovaie (destro e sinistro): ricerca di uno o più CL, identificando anche la posizione (destra o sinistra) del CL. In caso di CL multipli si è registrata la presenza e la loro distribuzione sulle ovaie: ovaio destro e sinistro, due a destra o due a sinistra. Non si è provveduto a registrare il tipo di CL (compatto, cavitario, ex cavitario), non essendo questo dato sensibile e/o condizionante nella gestione del metodo. La diagnosi di gravidanza è stata realizzata a 28-35 giorni post inseminazione su tutte le bovine che non hanno manifestato calore precedentemente al 28° giorno dall’inseminazione (n=62 bovine). Una seconda diagnosi di gravidanza è stata realizzata a 55-62 giorni su tutte le bovine che sono risultate gravide con embrione vivo al primo controllo (n=37 bovine).
RISULTATI I risultati relativi alla diagnosi di gravidanza eseguita a 28-35 giorni post inseminazione sono riportati nella Tabella 2. Trentotto bovine (38%) hanno manifestato il calore tra il 18° e il 25° giorno postinseminazione mentre le restanti sessantadue bovine (62%) sono state sottoposte a diagnosi di gravidanza ultrasonografica transrettale tra il 28° e il 35° giorno post-AI. Di queste 39 (pari al 39% del totale delle bovine e al 57,35% delle bovine sottoposte a diagnosi) sono risultate gravide. Due delle 39 bovine diagnosticate gravide (pari al 2% del totale, ovvero al 5.12% delle gravide) mostravano morte embrionale tardiva (una bovina alla diagnosi eseguita al 28° giorno e un’altra al 33° giorno postAI). Delle 37 bovine risultate gravide, 3 presentavano gravidanza gemellare (7.69% delle gravide), due delle quali bilaterali e una
TABELLA 2 Diagnosi di gravidanza eseguita a 28-35 giorni post inseminazione artificiale.
monolaterale destra. Altre 5 bovine risultate gravide presentavano un doppio CL: 3 a destra, 1 a sinistra e 1 a destra e a sinistra. Tutti gli embrioni sono stati valutati ecograficamente, senza manipolazione uterina, ed è stata rilevata la presenza di un battito cardiaco normale e di una frequenza regolare. Inoltre sono stati valutati i seguenti parametri: anecogenicità del liquido amniotico, anecogenicità del liquido allantoideo, integrità della membrana amniotica, aderenza della membrana corion-allantoidea, dimensione dell’embrione. Tutti i 37 embrioni vivi presentavano i parametri vitali nella norma. Delle 23 bovine risultate non gravide al primo controllo (pari al 23% del totale, ovvero al 37.09% di quelle non viste in calore), otto (pari all’8% del totale, ovvero al 34.78% delle bovine non gravide al primo controllo) non presentavano un CL, mentre delle 15 bovine con tessuto luteale, 3 presentavano due CL (in entrambi i casi 1 a destra e 1 a sinistra). I risultati relativi alla diagnosi di gravidanza eseguita a 28-35 giorni dopo l’inseminazione sono riportati nella Tabella 3. TABELLA 3 Diagnosi di gravidanza eseguita a 55-62 giorni post inseminazione artificiale.
Il secondo controllo di gravidanza è stato eseguito tra il 55° e il 62° giorno di gestazione. Delle 37 bovine gravide al primo controllo, 4 sono state trovate “vuote” (10.81%), una di queste con un feto di circa 50 giorni all’interno del corno uterino ipsi-laterale al CL. Una delle gravidanze perse era una gravidanza gemellare mono-latera-
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le, mentre le restanti 3 erano gravidanze singole. In totale 33 bovine (pari al 33% del totale delle bovine) sono state riscontrate gravide al secondo controllo di gestazione. Tra il primo e il secondo controllo di gestazione si sono perse 6 gravidanze (pari al 15,38% del totale delle gravide alla prima diagnosi di gravidanza).
DISCUSSIONE E CONCLUSIONI L’anaestro è una patologia riproduttiva importante e di non facile gestione. Soprattutto negli allevamenti commerciali è fondamentale poter utilizzare protocolli collaudati, di facile impiego e in grado di garantire ripetibilità dei risultati. Questi protocolli devono integrarsi ai programmi di sincronizzazione già in uso per le bovine cicliche. Esistono diverse interpretazioni, relativamente all’efficacia dei diversi trattamenti, che possono prevedere o meno l’incorporazione di un dispositivo intra-vaginale a lento rilascio di progesterone17,18. I risultati di questa prova confermano la validità del metodo utilizzato , garantendo un tasso di concepimento assolutamente accettabile al secondo controllo di gestazione (33%) e perfettamente in linea con i dati di Bryan e collaboratori, che hanno rilevato un tasso di concepimento tra il 30 e il 36% in bovine in anaestro trattate con un dispositivo intra-vaginale rilasciante progesterone associato o meno alla somministrazione di eCG al momento della rimozione del dispositivo18. Considerando la tipologia delle bovine selezionate per questa prova (bovine ad alta produzione), i risultati ottenuti sono incoraggianti. Queste bovine infatti presentano un catabolismo epatico degli ormoni steroidei accelerato rispetto alle manze, alle bovine in asciutta e a quelle a bassa produzione. Ulteriori approfondimenti sono comunque necessari per comprendere come sia possibile mantenere un livello di P4 >1.5 ng/ mL (per bloccare la pulse dell’LH). L’applicazione di due dispositivi o il ricorso a un dispositivo con un maggiore livello di progesterone, oppure con una diversa forma di rilascio, potrebbe essere una possibile soluzione.
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Comparazione dell’efficienza in scrofette puberi di un trattamento progestinico e di un trattamento progestinico associato a gonadotropine A. Scollo1,DVM, PhD, E. Catelli1, DVM, P. Casappa2, DVM, C. Mazzoni1, DVM 1 Medico Veterinario Suivet 2 Ceva Salute Animale
RIASSUNTO
INTRODUZIONE
Nell’allevamento suinicolo moderno la gestione e l’introduzione della scrofetta nella carriera riproduttiva ricoprono un ruolo fondamentale, in quanto da questo animale dipende il futuro produttivo dell’azienda. Lo scopo del presente lavoro è stato quello di determinare l’efficacia della sincronizzazione degli estri sulle performance zootecniche di un gruppo di scrofette puberi sottoposte a trattamento farmacologico con il solo progestinico (Altresyn®, 4 mg/ml di Altrenogest) o con il progestinico associato a una successiva somministrazione di gonadotropine (Fertipig®, eCG 80UI/ml e hCG 40UI/ml). I risultati suggeriscono che la somministrazione nelle scrofette di eCG e hCG in associazione (Fertipig®) 24 ore dopo la fine del trattamento con Altrenogest (Altresyn®) garantisce maggiore omogeneità tra la fine di quest’ultimo trattamento e la venuta in estro degli animali, consentendo così un’ottimizzazione del management delle fecondazioni.
Nell’allevamento suinicolo la scrofetta richiede particolari attenzioni in quanto dalla sua delicata gestione dipende il futuro riproduttivo dell’intera azienda. Ricoprendo un ruolo cardine, i costi a essa legati non sono trascurabili e un calo di efficienza può rapidamente tradursi in una tangibile perdita economica (1). Nella realtà zootecnica, ogni anno vengono riformate dal 30 al 50% delle scrofe che vengono sostituite dalla rimonta delle scrofette (2): il successo di questa sostituzione rappresenta una vera e propria sfida per il management dell’azienda. Sfortunatamente però non è facile ottenere un numero sufficiente di scrofette pronte a garantire il tasso di rimonta e quindi il successo dell’intera operazione passa necessariamente attraverso un’ottimizzazione dei flussi di questi animali. L’opportunità di poter decidere in che momento sincronizzare gli estri delle scrofette, ma soprattutto di poterli concentrare in un breve lasso di tempo può rappresentare un punto di grande utilità per l’azienda. I risvolti positivi tanto sulla gestione del seme, certamente ottimizzato soprattutto se acquistato, quanto sulla gestione dei parti, a loro volta più concentrati nell’unità di tempo, possono veramente “fare la differenza”. Numerosi studi hanno dimostrato l’efficacia della somministrazione per via orale dei progestinici nella sincronizzazione dell’estro in scrofette puberi, anche in una fase sconosciuta del ciclo estrale (2). Tuttavia, l’insorgenza del calore in animali sincronizzati con progestinici può avvenire in un arco di tempo non del tutto prevedibile e distribuirsi anche all’interno di una intera settimana. Questo inconveniente è per la maggior parte attribuibile a un insufficiente sviluppo follicolare. Con lo scopo di stimolare questo sviluppo e ottenere un maggiore effetto sincronizzante, negli ultimi anni la ricerca ha indirizzato la propria attenzione verso protocolli di sincronizzazione dell’estro che prevedono l’utilizzo di gonadotropine al termine del trattamento col progestinico (3). Diversi studi sono stati già condotti sugli effetti dell’associazione di queste due categorie di farmaci nella fisiologia delle scrofette (4, 5, 6), mentre per contro meno indagato
ABSTRACT In modern pig breeding, the management and the introduction of the gilt in the reproductive career play a key role, from this depends the reproductive future of the herd. The aim of this work was to determine the effectiveness of oestrus synchronization on the reproductive performances of a pubertal gilts group subjected to pharmacological treatment with progestin-only (Altresyn ®, 4mg/ ml of Altrenogest), or with progestin associated with subsequent administration of gonadotropins (Fertipig ®, e CG and hCG 80UI/ ml 40UI/ml) group. The results suggest that the administration of eCG and hCG in combination (Fertipig®) 24 hours after the end of treatment with Altrenogest (Altresyn®) in gilts, ensures greater uniformity between the end of the latter treatment and the coming of the animals in oestrus, allowing optimization of insemination management.
KEY WORDS Gilt, Gonadotropin, Estrus, Progestin, Gonadotropine.
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A. Scollo - E.Catelli - P. Casappa - C. Mazzoni
è stato finora l’aspetto zootecnico delle performance conseguenti alla sincronizzazione. Lo scopo del presente lavoro è stato quello di determinare le performance zootecniche di scrofette puberi sottoposte a trattamento farmacologico con il solo progestinico (Altresyn®, 4mg/ml di Altrenogest) oppure con il progestinico associato a una successiva somministrazione di gonadotropine (Fertipig® eCG 80UI/ml e hCG 40UI/ml).
MATERIALI E METODI Animali e management Lo studio è stato condotto in un allevamento suinicolo commerciale a ciclo aperto, rispettando le norme minime sulla protezione dei suini come indicate dalla legislazione vigente (7). Per la prova sono state selezionate 66 scrofette puberi in fase estrale sconosciuta, tutte di genetica ibrida commerciale Large White × Landrace. L’età media degli animali era di circa 180 giorni di vita, con un peso stimato intorno ai 100 kg. L’ultima fase di selezione, prima dell’introduzione nel reparto di gestazione, è avvenuta valutando l’integrità degli appiombi, le dimensioni dei genitali esterni e la condizione corporea (BCS) (8). Il periodo di osservazione è iniziato in marzo, concomitantemente al trasferimento delle scrofette nelle gabbie di gestazione (attorno ai 7 mesi di vita e a un peso di 120 kg), ed è terminato in maggio. Gli animali sono stati allocati all’interno di un capannone a ventilazione forzata con pavimentazione in grigliato e sono stati sottoposti a un’irradiazione luminosa di 8 ore di luce al giorno ad un’intensità di 300 lux. L’alimento, in ragione di 1,80 kg/capo/die di una formulazione standard, è stato fornito con sistemi automatizzati due volte al giorno (alle ore 07:00 e alle ore 16:00). L’acqua è stata lasciata a disposizione ad libitum tramite un abbeveratoio a spillo. A tutte le scrofette è stato somministrato puntualmente e individualmente Altrenogest (Altresyn® 4 mg/ ml, Ceva) al dosaggio orale di 20 mg/capo/die (pari a 5 ml di preparato) per 18 giorni consecutivi al momento del pasto delle ore 07:00. Il diciannovesimo giorno (ossia 24 ore dopo l’ultima somministrazione di Altrenogest) 36 scrofette sono state trattate per via intramuscolare con 5 ml di un preparato contenenti 400 UI di eCG e 200 UI di hCG (Fertipig®, Ceva). Le rimanenti 30 scrofette sono state invece trattate con le stesse modalità con una soluzione placebo. A partire dal giorno 19 per due volte al giorno (alle ore 08:00 e alle ore 16:00) è stata effettuata la ricerca degli estri con il verro; la venuta in estro è stata registrata alla manifestazione del riflesso dell’immobilità da parte dell’animale e delle tipiche caratteristiche dell’estro descritte da Signoret (9). Durante l’estro, le scrofette sono state fecondate alla presenza del verro, con inseminazione artificiale convenzionale con cateteri a spugna e buste monodose da 90 ml per 2,6 x 106 spermatozoi vivi e vitali in extender a lunga conservazione. Il seme refrigerato, utilizzato entro 24 ore dal prelievo, è stato depositato nelle vie
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genitali femminili con una prima dose al rilevamento dell’estro e una seconda a distanza di 24 ore, secondo il protocollo suggerito da Almeida et al. (10). Gli animali sono stati quindi monitorati per l’intera gravidanza e gli eventuali ritorni in estro o gli aborti sono stati annotati. Oltre all’intervallo tra la fine del trattamento con Altrenogest e l’insorgenza dell’estro (ISE-pt) sono stati calcolati anche i principali parametri riproduttivi degli animali, quali la fertilità ecografica, la portata al parto e la percentuale di calori entro l’ottavo giorno post-trattamento. Inoltre, al momento del parto, per ciascuna scrofetta sono stati raccolti i dati relativi al numero di nati totali, nati vivi, nati morti e mummificati. Analisi statistica Le percentuali di portata al parto dei due gruppi sono state confrontate tramite l’analisi del chi-quadro, mentre per le percentuali di scrofette in calore entro gli 8 giorni dalla fine del trattamento è stato utilizzato il Fisher’s exact test. Per l’ISE-pt, il numero di nati totali, nati vivi, nati morti e mummificati invece è stato utilizzato il t-test. La variabile ISE-pt è stata successivamente analizzata anche con il test del chi-quadro per il confronto tra due distribuzioni di dati. Un ulteriore z-test è stato effettuato per il confronto tra frequenze di dati entro ciascun giorno di venuta in calore.
RISULTATI Sono emerse differenze significative tra i due gruppi di trattamento (P < 0,05) per intervallo tra la fine del trattamento con Altrenogest e l’insorgenza dell’estro (di seguito nel testo ISE-pt), la cui durata è risultata di 5,6 giorni per le scrofette trattate con Altrenogest e Fertipig® e di 6,3 giorni per il gruppo trattato solamente con Altrenogest. Tale differenza è stata confermata anche nell’analisi della distribuzione dei dati nei due gruppi (P < 0,05); l’indice di Kurtosis calcolato ha evidenziato una distribuzione con una curva ad angolo molto più acuto (?) nel gruppo delle scrofette con doppio trattamento piuttosto che nel gruppo trattato con solo Altrenogest (3,03 vs 0,24), descrivendo la minore variabilità della venuta in estro dopo la somministrazione di gonadotropine (Grafico 1). Infatti, il 57% delle scrofette trattate con entrambi i farmaci ha manifestato il calore a distanza di 5 giorni dalla fine del trattamento con Altrenogest, con un complessivo 83% tra il giorno 5 e 6. Tra le scrofette non trattate con Fertipig® invece, solo il 41% ha manifestato il calore concomitantemente al giorno 6, mentre le restanti si sono distribuite nei giorni precedenti e seguenti (10% il giorno 5; 17% sia il giorno 7 che il giorno 8). Nel confronto tra frequenze percentuali per ciascun giorno di venuta in calore si è evidenziata forte differenza significativa (P < 0,001) al giorno 5 (Grafico 2). I risultati non significativi degli altri parametri indagati sono riportati in Tabella 1.
Rivista di Medicina Veterinaria, vol. 49, n. 2, 2013
GRAFICO 1 Analisi della distribuzione degli intervalli tra l’ultima somministrazione di Altrenogest ed il calore.
GRAFICO 2 Frequenze percentuali del giorno di insorgenza dei calori nelle scrofette appartenenti ai due gruppi di trattamento (analisi della distribuzione dei dati: P < 0,05).
A: scrofette trattate solo con Altrenogest; B: scrofette trattate sia con
a,b
Altrenogest che con Fertipig®; k = indice di Kurtosis.
due gruppi di trattamento (P< 0,001).
: lettere differenti indicano differenza significativa tra le frequenze nei
TABELLA 1 Dati produttivi delle scrofette dei due gruppi di trattamento. Variabile
Altrenogest
Altrenogest + Fertipig
P-value
Scrofette (n°)
30
36
Calori entro 8 giorni (%)
96,6
97,2
> 0,05
ISE-pt, media (giorni)
6,3 ± 1,4a
5,6 ± 1,1b
< 0,05
Fertilità ecografica %
90
83,3
> 0,05
Portata al parto (%)
83,3
77,8
> 0,05
Nati totali, media (n°)*
14,8 ± 2,7
13,2 ± 3,5
> 0,05
Nati vivi, media (n°)*
12,6 ± 3,1
11,5 ± 4,1
> 0,05
Nati morti, media (n°)*
1,5 ± 2,2
1,0 ± 1,3
> 0,05
Mummificati, media (n°)*
0,7 ± 1,4
0,7 ± 2,3
> 0,05
*Dati calcolati escludendo i parti delle scrofette tornate in calore dopo la fecondazione.
DISCUSSIONE Alla luce della ormai consolidata difficoltà di individuare il momento ideale della fecondazione nelle scrofe e ancor più nelle scrofette, il controllo dell’estro è l’unico approccio per cercare di determinare il minore intervallo possibile tra il momento dell’ovulazione e la fecondazione artificiale. A tale scopo, l’efficacia dell’Altrenogest nel sincronizzare l’estro in scrofette puberi è ampiamente documentato (revisioni: 2, 11, 12). Riassumendo i dati riportati in letteratura Estienne et al. (5) sostengono che la sincronizzazione con l’utilizzo di Altrenogest per 18 giorni garantisce l’estro approssimativamente nel 90% delle scrofette trattate. I risultati
del presente lavoro hanno invece superato queste aspettative in entrambi i gruppi di trattamento, raggiungendo entro l’ottavo giorno dall’ultima somministrazione di Altrenogest il 96,6% e il 97,2% rispettivamente per le scrofette senza gonadotropine e per quelle trattate anche con il Fertipig®. L’elevata percentuale di scrofette in calore entro l’ottavo giorno dalla fine del trattamento conferma dunque l’efficacia dell’Altrenogest nella sincronizzazione dell’estro a prescindere dall’utilizzo di gonadotropine. Come già osservato da de Jong et al. (13) in un recentissimo lavoro, le differenze nelle performance zootecniche dei due gruppi possono infatti essere esigue. Tuttavia, a differenza di quanto
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A. Scollo - E.Catelli - P. Casappa - C. Mazzoni
effettuato nel presente lavoro, de Jong ha utilizzato le sole eCG per la stimolazione dello sviluppo follicolare. Sebbene infatti le gonadotropine corioniche di cavalla siano spesso utilizzate da sole, la loro associazione con le hCG rappresenta uno tra i protocolli di induzione dell’estro più diffusi sia per la sua efficacia nella stimolazione dell’ovulazione (14) che per la minore mortalità embrionale che ne deriva (15). Nel presente lavoro, utilizzando una associazione tra eCG ed hCG è emersa una differenza significativa (P < 0,05) per l’ISE-pt, che nel sopracitato studio si era manifestata solo con una lieve tendenza senza piena significatività statistica (P = 0,07). Le scrofette trattate con il Fertipig® invece hanno manifestato il calore 5,6 giorni dopo la fine del trattamento rispetto ai 6,3 giorni degli animali trattati solo con Altrenogest. Risultati simili erano stati riportati precedentemente in letteratura da Horsley et al. (6), anche in questo caso a seguito dell’associazione di hCG e eCG. Ancora, una riduzione dell’ISE-pt nelle scrofette è stata osservata anche da Engl et al. (16) (con l’impiego del GnRH) e da Martinat-Bottè et al. (17) (con l’impiego di eCG associate a un agonista del GnRH). Al contrario, Kaeoket (18), facendo ricorso alla somministrazione delle sole hCG dopo l’Altrenogest, afferma che l’intervallo tra la fine del trattamento e la comparsa dell’estro non è tra i parametri influenzati dalla somministrazione di gonadotropine. Malgrado i risultati contrastanti, è comunque da sottolineare il differente utilizzo delle gonadotropine fatto dai diversi autori che ha permesso di evidenziare una apparente minore efficacia per i protocolli che prevedono, dopo il trattamento progestinico, la somministrazione di solo una delle gonadotropine in esame (eCG o hCG) e non una associazione tra le diverse gonadotropine o tra gonadotropine e GnRH. Sebbene i diversi studi non possano essere confrontati in quanto condotti in condizioni sperimentali differenti, l’effetto positivo registrato nel presente lavoro sulla venuta in estro dopo il trattamento potrebbe essere attribuibile proprio all’associazione di eCG e hCG. È probabile infatti che la riduzione dell’intervallo ISE-pt sia avvenuta grazie alla sinergia nell’attività LH- ed FSH-simile delle due gonadotropine; Driancourt et al. (19) affermano infatti che l’LH stimola la crescita follicolare dai 4 mm fino alle dimensioni preovulatorie e che questo si traduce in un accorciamento della fase follicolare e nella conseguente riduzione dell’ISE-pt (13, 20). Inoltre, l’efficacia del protocollo terapeutico utilizzato conferma anche la correttezza delle tempistiche di somministrazione delle gonadotropine dopo l’ultima dose di Altrenogest (24 ore): Kaeoket (18) infatti, che non aveva registrato alcuna efficacia nel proprio protocollo, suggeriva che il timing utilizzato per la somministrazione gonadotropinica (3 giorni dopo l’ultima dose di Altrenogest) poteva essere improprio e responsabile di uno squilibrio ormonale in grado di determinare il mancato incremento preovulatorio di LH, la precoce produzione di progesterone per luteinizzazione dei follicoli, e le conseguenti
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interferenze nel processo di ovulazione. Gli altri parametri analizzati nel presente lavoro non hanno mostrato differenze significative tra i due gruppi di trattamento. Sebbene le stesse conclusioni abbiano suscitato alcune perplessità in altri autori (17) sui reali effetti benefici conseguenti all’aggiunta di gonadotropine all’Altrenogest, è utile sottolineare come da un’indagine più approfondita sull’ISE-pt si possano rilevare risvolti estremamente interessanti per quanto riguarda l’ottimizzazione della successiva fase di inseminazione della scrofetta. Infatti l’analisi del parametro ha evidenziato anche nel gruppo trattato con Fertipig® una maggiore concentrazione degli estri in due giorni invece che in quattro. Engl et al. (16) suggeriscono il potenziale tornaconto ottenibile dalla concentrazione delle inseminazioni in un arco di tempo minore. Come suggerito da Degenstein et al. (21), l’ottenimento di calori ravvicinati permetterebbe di focalizzare una maggiore attenzione zootecnica e valutare con più precisione il momento delle ovulazioni garantendo così un ottimale management di questa delicata fase. L’adozione di un protocollo di inseminazione artificiale con scarso margine di errore rappresenta infatti il valore aggiunto dell’efficacia dell’induzione dell’estro; il fine ultimo delle ricerche in questo campo, empiricamente, è l’ulteriore restringimento di questo intervallo per l’utilizzo di una singola dose di seme (21). In conclusione, la somministrazione nelle scrofette di eCG e hCG in associazione (Fertipig®) 24 ore dopo la fine del trattamento con Altrenogest garantisce un migliore intervallo tra quest’ultimo e la venuta in estro degli animali. Il più ristretto range di insorgenza dell’estro consente inoltre di ottimizzare il management delle inseminazioni nella scrofetta, facilitando così la delicata gestione di questo animale che riveste un ruolo chiave nell’azienda suinicola moderna.
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A. Meini
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Rivista di Medicina Veterinaria, vol. 49, n. 2, 2013
Gestione riproduttiva delle manze in allevamenti di bovine da latte
con il Dr. Giorgio Valla (giorgio.valla@ceva.com) che si farà carico di contattare l’esperto. FIGURA 1 Il gruppo che ha partecipato all’incontro scientifico. In piedi da sinistra a destra: Ceva Sante Animale ha organizzato il secondo ReprodAction Scientific Meeting con il contributo di un nuovo gruppo di ricercatori esperti nel campo della riproduzione e della gestione della mandria. L’incontro si è tenuto il 16 e il 17 Aprile del 2013 presso l’Azienda “La Blanca Dairy Hub” (www.blancapyrenees.com) a La Seu de Urgell, in Spagna. Obiettivo principale dell’incontro è stato quello di creare un ambiente ideale per un aperto scambio di idee e per un’ampia discussione tra esperti su uno specifico argomento: “La gestione riproduttiva delle manze in allevamenti di bovine da latte”. I partecipanti all’incontro, provenienti da diversi Paesi, hanno presentato dati e discusso delle pratiche più comuni nella gestione delle manze (con particolare riferimento agli aspetti riproduttivi), prendendo in considerazione i differenti sistemi di allevamento nei vari Paesi.
RICONOSCIMENTI Ceva Sante Animale vuole ringraziare tutti i partecipanti all’incontro per il sostegno e l’impegno profusi nel fornire informazioni aggiornate sull’argomento oggetto del simposio. Un particolare ringraziamento va al Dr. Alex Bach (IRTA), al Sig. Pepe Ahedo, alla sua famiglia e al Dr. Daniel Martinez della Blanca Dairy Hub. Un doveroso ringraziamento va anche al Dr. Palma per il prezioso contributo nella stesura di questo documento.
NOTA I contenuti riportati in questa breve rassegna non rappresentano l’opinione di un singolo esperto ma sono piuttosto un compendio delle opinioni dei diversi partecipanti all’incontro. Nel caso di un interesse riguardo particolari linee di ricerca o per approfondire singoli punti di vista riguardanti gli argomenti trattati nel presente documento, invitiamo i lettori a prendere contatto direttamente
Gamze Alpun (Ceva Product Manager, Turkey), Gita Imam (Ceva Technical Manager Savapars, Iran), Aryan Badiei (Islamic Azad University, Tehran, Iran), Pedro Rodriguez (Ceva Corporate Product Manager), Robert Dobson (Dairy Producer, UK), Simon King (BVM&S MRCVS, Lambert Leonard & May Vet Practice, UK), Thomas Paliargues (Ruminant Director for Ceva Africa/Middle East), Russ Davis (Ceva Product Manager, Australia), Valentin Nenov (Ruminant Product Manager, Ceva Middle-East), Hilary Dobson (University Liverpool, UK), Juan Munoz-Bielsa (Ceva Corporate Marketing Director), Stephanie Clarke (Ceva Marketing Manager, UK), Tine Van Werven (Utrecht University, Netherlands), Anna Zakharova (Ceva Veterinary Adviser, UK), Ralf Werner (Ceva Livestock Manager, Germany), Marta Terré (IRTA Research Center, Spain), Prof. Geert Opsomer (University of Ghent, Belgium), Rafal Trukan (Ceva Product Manager, Poland), Heinrich Bollwein (University of Zurich, Switzerland), Tomasz Janowski (University of Warmia and Mazury, Poland), Şukru Metin Pancarcı (University of Balikesir, Turkey), Giovanni Gnemmi (ECBHM Diplomate, Bovinevet, Italy), Stephane Floch (Ceva Product Manager, France), Vasileios Kanoulas (Ceva Product Manager, Greece).
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Convegno Internazionale Ceva Santé Animale, Berlino, 18-19 Aprile 2012
In prima fila, da sinistra a destra: Victor Cabrera (University of Wisconsin, USA), Alex Souza (Ceva Corporate Technical Manager), Giorgio Valla (Ceva Marketing Manager, Italy), Antonio Jimenez (Ceva Product Manager, Spain), Susana Astiz (INIA Research Center, Spain).
FIGURA 1 Le manze nullipare sono spesso allevate in zone remote dell’allevamento da latte - la sindrome della manza “dimenticata”. Diapositiva presentata dal Dr. S. King. UK.
INTRODUZIONE Questo documento si prefigge l’obiettivo di riassumere gli aspetti principali e le conclusioni relative agli argomenti trattati nel corso di una riunione di esperti nel campo della gestione sanitaria e dell’allevamento della bovina da latte, riunione che si è concentrata soprattutto sul tema della “gestione riproduttiva delle manze nell’allevamento delle bovine da latte”. I dati presentati relativi all’età ideale, nonché al peso ottimale al momento del primo parto, si applicano alle manze di razza frisona; informazioni su altre razze sono disponibili su richiesta. Il documento è suddiviso in cinque sezioni: • Panoramica sulle pratiche di gestione delle manze nei diversi Paesi • “Dalla nascita al periodo dell’accoppiamento/inseminazione: investire sulla futura bovina” • Le migliori strategie e pratiche di gestione al momento dell’accoppiamento/inseminazione • Appendice: riassunto dei principali programmi di riproduzione disponibili per le manze • Appendice: linee-guida nutrizionali durante il periodo di allevamento delle manze Panoramica sulle pratiche manageriali di gestione delle manze nei diversi Paesi Tutti i partecipanti all’incontro hanno concordato sul fatto che gli allevatori hanno la tendenza a investire poco tempo e a dedicare poca attenzione alla gestione dell’allevamento delle manze, e in particolare agli aspetti riproduttivi che riguardano in modo specifico questi animali. Nel corso degli interventi sono stati portati alcuni esempi per evidenziare una gestione non adeguata delle manze: • le manze sono spesso allevate in aree (al pascolo o in recinti) distanti dall’allevamento principale (Figura 1); • i ricoveri delle manze sono spesso costituiti da strutture obsolete o da adattamenti improvvisati o non idonei; • il personale addetto alla gestione delle manze può non possedere un adeguato livello di competenza; • infine, e questo punto è stato considerato molto importante, tutti gli esperti hanno convenuto che si riscontrano spesso grandi difficoltà ad accedere e a disporre di un adeguato e accurato sistema di registrazione dei dati di allevamento in generale e dei dati riproduttivi delle manze in particolare, che talvolta semplicemente non esistono.
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La mancanza di interesse e la carenza di informazioni sulle strategie nutrizionali adottate nelle manze risultano evidenti se si considerano i dati di letteratura disponibili. Durante gli ultimi decenni l’allevamento delle manze ha ricevuto scarsa attenzione da parte della comunità scientifica e accademica rispetto a quella dedicata alle bovine in lattazione. Il risultato è stato che sono disponibili limitate informazioni scientifiche per quanto riguarda alcune aree relative alla gestione delle manze. La Dott.ssa Terré (Spagna) e la Professoressa Dobson (Regno Unito) hanno dimostrato che, nonostante sia spesso trascurato dagli allevatori, l’allevamento delle manze rappresenta la seconda voce di spesa tra i costi globali sostenuti in un allevamento di bovine da latte e incide in genere per circa il 15-20% dei costi totali di produzione (Figura 2). FIGURA 2 I costi relativi alle manze allevate per la rimonta costituiscono la seconda voce di spesa nell’allevamento da latte. Diapositiva presentata dalla Dr.ssa Terré, Spagna.
Pertanto, l’aumento dell’efficienza nella gestione delle manze rappresenta un fattore di criticità per una buona economia aziendale.
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Per quanto riguarda la gestione riproduttiva, quando si confronta il quadro relativo alle performance riproduttive delle manze in Europa uno dei problemi principali da affrontare e risolvere è costituito dalla mancanza di un’affidabile registrazione dei dati a livello nazionale. Inoltre, secondo l’esperienza dei partecipanti, molti allevatori fanno ancora affidamento sulla rilevazione visiva degli estri che solo a volte vengono indotti dall’utilizzo di prostaglandine. La data della prima inseminazione/accoppiamento sembra essere compresa tra i 13 e i 18 mesi di età e la data del primo parto tra i 23 e i 31 mesi. Questo dato varia in modo significativo in funzione del tipo di gestione adottato nell’allevamento. L’utilizzo di sistemi di rilevazione dell’estro, che possono comprendere anche sistemi elettronici rilevatori di attività, può incrementare in modo significativo il tasso di rilevazione dei calori. Gli esperti incoraggiano l’utilizzo di questi dispositivi, anche se occorre sempre tenere in considerazione i possibili limiti correlati alla tipologia dell’allevamento e agli aspetti economico-finanziari legati all’adozione di questi sistemi. Inoltre, allo scopo di ovviare a una scarsa efficienza nella rilevazione dei calori, gli allevatori tendono a utilizzare una grande varietà di programmi di sincronizzazione. In seguito, per fornire un adeguato supporto a veterinari e allevatori nella scelta nella migliore strategia da adottare, saranno discussi in modo approfondito i vari aspetti della gestione riproduttiva delle manze. Il tasso di utilizzo dell’inseminazione artificiale (IA) si differenzia tra i diversi Paesi e persino all’interno dei singoli Paesi: ad esempio, il Dr. Pancarci (Turchia) ha presentato dei dati che evidenziano come l’IA sai molto utilizzata delle zone occidentali della Turchia, mentre la monta naturale è ancora molto diffusa nelle zone orientali del Paese. Queste osservazioni sono state integrate dai dati forniti dal Dr. S. King (Regno Unito), che ha riferito che l’inseminazione naturale è ancora utilizzata in circa il 25% degli allevamenti di bovine da latte da lui controllati nella sua attività professionale. E’ perciò abbastanza evidente che in alcune aree europee l’inseminazione artificiale non è utilizzata nella totalità dei casi e che il ricorso al/ai toro/i è considerata ancora oggi come la scelta migliore per l’inseminazione delle manze. Ciò accade in particolare negli allevamenti che prevedono il pascolo come metodo di allevamento. In generale è stato evidenziato che i vantaggi dell’IA rispetto alla monta naturale sono rappresentati dal miglioramento genetico della mandria, da una migliore bio-sicurezza, da una maggiore uniformità della qualità del seme (ad esempio, il toro aziendale può presentare un seme di bassa qualità nei mesi estivi) e da una migliore performance riproduttiva, almeno quando l’IA è ben gestita. Tutti questi punti sono stati oggetto di approfondimento e di discussione in numerosi articoli scientifici riguardanti sia le bovine da latte che da carne, mentre, come già accennato, sono piuttosto scarsi i dati disponibili relativi alle manze.
Nel corso dell’incontro, uno degli argomenti maggiormente al centro dell’attenzione degli esperti è stato l’aumento dell’utilizzo di seme sessato nella gestione delle manze. Il Dr. King (UK), ad esempio, ha mostrato alcuni dati indicanti che l’uso di seme sessato rappresenta circa il 12,5% del totale del seme utilizzato nel Regno Unito (DairyCo Survey, 2012), anche se ancora non si raggiungono i livelli di utilizzo rilevati in altri Paesi europei quali Svizzera e Germania, come affermato dal Prof.Bollwein. Nonostante ciò, gli esperti si sono mostrati d’accordo nell’affermare che è necessaria una certa cautela al riguardo di un uso “aggressivo” del seme sessato. In breve, devono essere attentamente valutate alcune variabili di mercato quali i prezzi delle manze da rimonta, del latte e delle bovine riformate, così come tutte le variabili correlate alla riproduzione, e in particolare i tassi di gravidanza che si conseguono dopo l’uso di seme sessato o non-sessato. Si vuole qui incoraggiare i lettori ad accedere a un sito web indipendente che utilizza diversi programmi (alcuni di questi sviluppati dal Prof. V. Cabrera, USA) e che può essere d’aiuto nel prendere decisioni accurate riguardo l’utilizzo di seme sessato nelle manze da rimonta: http://dairymgt.uwex.edu/tools.php. Dal sito web è infatti possibile scaricare ulteriore documentazione e dettagli sull’utilizzo dei dati che possono essere utili nell’uso di questi supporti. Il Dr. G. Gnemmi (Italia) ha fornito interessanti dati epidemiologici sull’allevamento delle manze da rimonta in Italia (AIA, 2013; ARAL 2011; dati personali). Il Dr. Gnemmi ha ricordato che ci sono marcate differenze tra le diverse razze di bovine da latte per quanto riguarda l’età al primo parto (ad esempio, Holstein: 27 mesi di vita; Brown Swiss: 31 mesi), probabilmente legate al tipo di gestione e alle dimensioni medie delle mandrie. Per esempio, secondo l’esperienza del Dr. Gnemmi e come confermato anche nell’ultimo rapporto ARAL del 2011, nelle mandrie di grandi dimensioni (>200 bovine in lattazione) le manze presentano un’età al primo parto inferiore a quella registrata nelle mandrie più piccole (<50 bovine in lattazione) (Figura 3 – a sinistra). Una simile tendenza è stata evidenziata anche dalla Dr.ssa S. Astiz (Spagna) (Figura 3 – a destra). FIGURA 3 Effetto della dimensione della mandria sull’età al primo parto in manze da latte.
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Nel corso del suo intervento inoltre il Dr. Gnemmi ha presentato prove convincenti del fatto che, indipendentemente dalla varietà di fattori che possono influenzare le performance delle manze, si possono ottenere buoni risultati, con sistemi di gestione differenziati e mirati, sia negli allevamenti al pascolo che negli allevamenti confinati a stabulazione semi-libera. Il relatore ha affermato che tutto si riduce alla cura dei dettagli. Gli esperti di altri Paesi non sono stati in grado di produrre riscontri ufficiali e aggiornati relativi ai dati riproduttivi nelle manze. Infatti, alcuni dati ufficiali sulla gestione delle manze risalgono a più di dieci anni fa. Secondo il Prof. Opsomer (Belgio), la mancanza di una adeguata registrazione e analisi dei dati è un chiaro elemento di debolezza su base multinazionale. Altri esperti hanno discusso di sistemi alternativi di allevamento. La Prof.ssa T. van Werven (the Netherlands) ha mostrato che circa il 5-8% degli allevatori olandesi vendono sia i vitelli maschi che le femmine ad allevamenti da ingrasso e che quindi non allevano la rimonta in azienda. Le manze gravide vengono quindi acquistate da allevamenti specializzati nella crescita delle manze stesse. La Prof.ssa van Werven ha posto l’attenzione anche su un altro importante aspetto che riguarda l’interpretazione dei dati aziendali: “i veterinari e gli allevatori devono porre molta attenzione alla distribuzione che presenta l’età al primo parto all’interno dell’azienda e non solamente al dato medio”. A questo riguardo, ha fornito alcuni dati (Figura 4) che rivelano che, anche se il dato medio dell’età al primo parto non è lontano dal dato ideale, oltre la metà delle manze partorisce a un’età superiore ai 26 mesi di età. FIGURA 4 La distribuzione dell’età al primo parto è maggiormente rappresentativa delle performance riproduttive reali delle manze piuttosto che la semplice età media al primo parto, diapositiva presentata dalla prof.ssa van Werven - the Netherlands.
Slide presented by Dr. Tine van Werven
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Il Dr. King (UK) ha aggiunto che in un recente studio esplorativo condotto al fine di valutare l’età al primo parto utilizzando i dati provenienti da 500 allevamenti di bovine da latte forniti dalla banca dati nazionale del Regno Unito (Hanks & Kossaibati, 2011), è stato evidenziato che solo il 25% degli allevamenti aveva un’età media al primo parto uguale o inferiore ai 27 mesi. Questo ritardo nell’età al primo parto può avere un considerevole impatto sulla profittabilità dell’allevamento. Oltre alle perdite correlate all’aumento dei costi di alimentazione che si registrano fino al momento del parto, un incremento significativo dei tempi del primo parto rispetto all’intervallo ideale di 23-34 mesi ha un drammatico impatto sulla produzione di latte della prima lattazione, come evidenziato nella Figura 5 presentata dal Prof. Bollwein (Svizzera e Germania). FIGURA 5 L’età al primo parto influenza la produzione lattea alla prima lattazione, diapositiva presentata dal Prof. Bollwein (Svizzera e Germania).
Mahlkow- Nerge 2007. LKV Mecklenburg-Vorpommern.
È interessante notare che la scelta del momento giusto per avviare le manze alla riproduzione, scelta che si basa sul raggiungimento di specifici parametri relativi ad età, dimensioni della bovina (altezza) e peso vivo delle manze stesse, non è necessariamente applicabile in tutti i territori, e in particolare nelle aree sottoposte a condizioni estreme di stress da calore. Nel corso dell’incontro, questo punto è stato sottolineato dal Dr. Badiei (Iran), così come da altri esperti che si sono occupati degli effetti dello stress da calore nei loro Paesi. Di norma, in considerazione del fatto che durante la stagione calda i tassi di concepimento tendono a essere bassi nelle bovine in lattazione mentre non risultano drasticamente influenzati nelle manze nullipare1, gli allevatori hanno la tendenza ad agire sull’età al primo concepimento delle manze (anticipandolo) al fine di ottenere abbastanza gravidanze nel gruppo delle manze per com-
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pensare gli scarsi tassi di concepimento che si riscontrano nelle pluripare negli allevamenti da latte. Di conseguenza, gli allevatori che operano in zone calde possono mantenere il tasso di bovine gravide relativamente costante nel corso dell’anno. Le manze allevate al pascolo rappresentano un’eccezione alla regola che stabilisce l’intervallo tra 23 e 24 mesi di vita come data ideale del primo parto. Questi animali semplicemente non sono in grado di raggiungere dimensioni e peso adeguati a 23 mesi di età e quindi la data ideale del primo parto viene a essere ritardata. Una volta che le manze hanno raggiunto dimensioni/età ideali, è essenziale adottare alcune semplici strategie manageriali durante il periodo di transizione (pre-parto) e nel periodo post- parto. La Prof.ssa Dobson (UK), per esempio, ha sottolineato che, in considerazione del fatto che le bovine alla prima lattazione hanno tipologie e requisiti alimentari differenti da quelli delle bovine pluripare2, è importante mantenere le manze primipare separate dalle bovine pluripare allo scopo di incrementare il tasso di ingestione di materia secca e anche lo stato sanitario nel corso della prima lattazione. Le manze dovrebbero essere introdotte nel gruppo di accoppiamento/inseminazione a circa 400 giorni di vita (o a circa 13 mesi di vita) e dopo che hanno raggiunto almeno i 400 kg di peso. In seguito, per ottenere un’ottimale produzione lattea alla prima lattazione e massimizzare quindi la profittabilità, le manze, sottoposte a un ideale gestione riproduttiva, dovrebbero essere in grado di partorire tra i 23 e i 24 mesi di vita, con un peso che si dovrebbe aggirare intorno ai 650 kg. Dalla nascita al periodo dell’accoppiamento/inseminazione: investire sulla futura bovina. Concetto di sistema di alimentazione intensiva o “enhanced-growth” durante il periodo di allevamento della manzaSecondo la Dott.ssa Terré (Spagna) è frequente la pratica di somministrare ridotte quantità di latte o di sostituti del latte (4 l/giorno) alle vitelle da rimonta. Tuttavia è stato dimostrato che promuovere una rapida crescita nelle prime fasi di allevamento può avere effetti positivi sulla futura produzione di latte e sul mantenimento delle performance nella seconda lattazione [3,4]. L’unico modo per incrementare in modo significativo la crescita delle giovani vitelle è quello di somministrare elevate quantità di latte o di suoi sostituti (fino a 6-7 l/giorno) in modo da consentire un tasso di crescita giornaliera superiore ai 700 g. In genere, mentre le manze crescono si rileva di norma la diminuzione dell’efficienza alimentare e quindi è molto importante accelerare la crescita delle manze non solo durante il periodo pre-svezzamento, ma anche durante il periodo di transizione dallo svezzamento ai 5 mesi di età. Durante questo periodo, per assicurare un buon tasso di crescita, si dovrebbe raggiungere l’obiettivo di una crescita giornaliera media (Average Daily Gain o ADG) > 1,000 g/giorno. Nel corso del suo intervento, la Prof.ssa Dobson (UK) ha sottoli-
neato l’importanza dell’allevamento delle manze e soprattutto il numero impressionante di perdite nel comparto dei giovani animali documentato nel 2009 dalla Prof.ssa Claire Wathes del Royal Veterinary College (UK) in allevamenti commerciali del Regno Unito. I dati, riportati nella Figura 6, evidenziano le perdite in giovani animali registrati dalla nascita all’inizio della lattazione. Sorprendentemente, come descritto dalla Prof.ssa Dobson, solo FIGURA 6 Perdite delle manze da rimonta dalla nascita alla 1a lattazione diapositiva presentata dalla Prof.ssa Dobson (UK).
Brickell et al. 2009
il 77% delle manze arrivano a effettuare la prima lattazione. Pertanto, il miglioramento della gestione delle manze, con particolare riferimento alle misure di prevenzione come la corretta somministrazione del colostro e l’adozione di adeguate strategie alimentari e sanitarie, determina un impressionante effetto sulla salute e sul tasso di sopravvivenza nel comparto delle vitelle dal momento dell’allattamento e dello svezzamento fino all’inizio dell’attività riproduttiva. Quante manze si devono allevare per mantenere costante la dimensione della mandria? Questa è una domanda interessante che merita una certa attenzione, anche perché allevare le manze è un’attività abbastanza costosa (è la seconda voce di spesa in un allevamento di bovine da latte). Come è stato sottolineato nel corso dell’incontro dalla Dott. ssa Terré (Spagna) e dal Prof. Cabrera (USA), oltre a cercare di fare in modo che la maggior parte delle manze arrivino al primo parto il più presto possibile e con dimensioni e peso ideali, gli allevatori più avanzati si pongono l’obiettivo di non allevare un numero di manze superiore a quello effettivamente necessario per mantene-
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re costante la grandezza della mandria (Tabella 1). Gli allevatori con un’elevata efficienza manageriale nell’allevare le manze e che sono in grado di ottenere un’età e una dimensione TABELLA 1 Numero di animali da rimonta necessari per ogni anno per mantenere inalterata la dimensione della mandria in funzione del tasso di riforma nelle bovine in lattazione e dell’età al primo parto in una mandria di 100 vacche in lattazione - Adattato da Paul Frike, 2003.
ideale degli animali al primo parto possono permettersi di avere un numero minore di giovani animali pur mantenendo stabile la dimensione della mandria, come evidenziato nella Tabella 1. Il Prof. Cabrera (USA) ha citato un interessante supporto informatico disponibile in rete (free web-tool) sviluppato da lui in collaborazione con il team del Servizio Tecnico (extension service) dell’Università TABELLA 2 Punteggio del tratto riproduttivo - fonte (7): Andersen et al., 1991.
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del Wisconsin e che ha l’obiettivo di aiutare gli allevatori a calcolare il numero di animali da rimonta necessari per la loro mandria. Questo supporto, e la documentazione relativa, è disponibile al pubblico al sito http://dairymgt.uwex.edu/tools.php. Inoltre, il Prof. Cabrera ha sottolineato che il test genomico sta diventando uno strumento prezioso per gli allevatori di bovine da latte al fine di aumentare l’efficienza dell’allevamento attraverso l’allevamento di un minor numero di animali da rimonta. “Gli allevatori efficienti possono eseguire un test genomico su tutti gli animali da rimonta subito dopo la nascita e allevare solo gli animali migliori” ha commentato il Prof. Cabrera. Le migliori strategie e pratiche gestionali al momento della riproduzione Uno scarso sviluppo uterino, l’età al momento dell’ingresso nel gruppo degli animali in attività riproduttiva e il punteggio di condizione corporea (Body Condition Score o BCS) sono fattori che sembrano chiaramente influenzare la fertilità delle manze. Questi fattori devono essere attentamente valutati prima di avviare le manze all’attività riproduttiva. Per quanto riguarda lo sviluppo uterino, è stato raccomandato di procedere alla valutazione del punteggio del tratto riproduttivo (Reproductive Tract Score), come indicato nella Tabella 2, in tutte le manze prima di iniziare la routine riproduttiva5-7. In generale, le manze con un punteggio che evidenzia scarso o immaturo sviluppo uterino dovrebbero essere gestite in modo differenziato (ad esempio, adottando la riforma selettiva degli animali infertili, il miglioramento del piano nutrizionale, e così via) allo scopo di migliorare i punteggi uterini e consentire alle bovine di iniziare l’attività riproduttiva nel modo migliore. Le manze dovrebbero essere introdotte nel gruppo delle bovine in riproduzione solo quando il punteggio uterino è superiore a 3 nella classificazione riportata nella Tabella 2.
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In relazione all’impatto dell’età e del Body Condition Score (BCS) sulla ciclicità delle manze, nonostante il fatto che i problemi di ciclicità siano stati ampiamente studiati nelle bovine in lattazione, lo stato di anaestro nelle manze di allevamenti di bovine da latte non è stato altrettanto frequentemente oggetto di studio. I dati presentati dal Prof. Janowski (Polonia) e dal Dr. King (UK) evidenziano chiaramente l’impatto che l’età delle manze e il BCS hanno sull’incidenza dell’anestro, come riportato in Tabella 3.
vazione dei calori senza il ricorso ad altre manipolazioni del ciclo estrale che prevedono l’utilizzo di ormoni. Tuttavia, dato che è piuttosto comune che la raccolta dei dati relativi alle performance riproduttive delle manze da latte è relativamente scarsa, molti allevatori non sono consapevoli dello stato reale dell’efficienza riproduttiva delle loro manze. Pertanto, sono necessari molti sforzi per raccogliere informazioni accurate per valutare l’efficienza della rilevazione dell’estro così come i tassi di concepimento che si ottengono nel comparto delle manze.
TABELLA 3 Effetto dell’età delle manze e del BCS sullo stato di ciclicità - diapositiva presentata dal Dr. King (UK).
Quindi, queste due variabili, in aggiunta a una corretta valutazione del punteggio del tratto uterino, devono essere prese in considerazione prima di impostare un programma riproduttivo delle manze. In generale, le manze ben gestite possono raggiungere la pubertà e mostrare cicli riproduttivi normali a partire dagli 11-12 mesi di vita. Quindi le manze, di norma, sono avviate alla riproduzione a partire dai 13-14 mesi di vita e mostrano chiari segni dell’attività estrale che hanno una durata variabile tra le 12 e 18 ore. Pertanto, la maggior parte degli allevamenti nei quali sono utilizzati di routine sistemi di rilevazione degli estri, come la rilevazione visiva o l’utilizzo di altri sistemi (uso di gessetti colorati), tendono a avere un eccellente tasso di rilevazione dei calori (numero di bovine inseminate/numero di bovine idonee a essere inseminate), che può raggiungere il 65-70%8. I tassi di concepimento (numero di bovine gravide/numero di bovine inseminate) che si ottengono nelle manze da latte puberi in seguito a inseminazione all’estro naturale possono raggiungere valori uguali o superiori al 60%. Quindi nelle manze gestite in modo ottimale l’obiettivo di fare sì che la maggior parte degli animali partorisca tra i 23 e i 24 mesi di vita può essere facilmente raggiunto attuando esclusivamente una corretta routine di rile-
L’utilizzo delle prostaglandine (PGF2α), che causano luteolisi e inducono comparsa dell’attività estrale in manze cicliche, può essere una buona scelta per cercare di ridurre il dato relativo ai giorni medi che intercorrono tra la nascita e l’inizio dell’attività riproduttiva e, di conseguenza, anticipare la prima gravidanza e il conseguente inizio della prima lattazione. Il Prof. Cabrera ha anche affrontato e discusso le problematiche relative all’’utilizzo di differenti programmi di sincronizzazione nelle manze e il ritorno dell’investimento effettuato con la loro adozione, argomento che di recente è stato oggetto di una rassegna pubblicata da Chebel8. L’uso delle PGF2α nelle manze cicliche all’inizio del periodo di inseminazione/accoppiamento favorisce l’aumento della percentuale di manze inseminate nel corso di un certo periodo (ad esempio, una settimana) rispetto al gruppo di manze non sottoposte ad alcun trattamento. La letteratura disponibile ha dimostrato che la somministrazione delle PGF2α all’inizio del periodo riproduttivo può indurre una migliore sincronizzazione del comportamento estrale, facilitare la rilevazione dei calori (un maggior numero di animali vanno in calore nello stesso momento) e ridurre di circa 7-10 giorni il tempo necessario per ottenere una gravidanza nelle manze trattate rispetto agli animali di controllo non trattati (Figura 7).
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FIGURA 7 Distribuzione dell’espressione estrale in manze da latte trattate con di PGF 2_ rispetto al gruppo di controllo non trattato - Fonte: adattato da (6,8).
Ad esempio, Stevenson6 ha dimostrato che il 72% delle manze sono rilevate in calore entro una settimana dal trattamento con una singola dose di PGF2α mentre solo il 36% delle manze non sottoposto a trattamento ha mostrato il calore nello stesso periodo. I tassi di concepimento ottenuti non differiscono in modo significativo tra le manze inseminate al calore indotto dal trattamento farmacologico rispetto alle manze di controllo non trattate e inseminate al calore naturale. Quindi, l’uso delle PGF2α raddoppia di fatto la quantità di manze ingravidabili per ogni settimana. Non deve quindi sorprendere che l’utilizzo strategico delle PGF2α nelle manze , come protocollo di sincronizzazione, sia così diffuso a livello mondiale. Gli allevamenti di manze con una bassa efficienza di rilevazione dei calori possono trovare beneficio dall’utilizzo di programmi di sincronizzazione sviluppati recentemente che consentono di eseguire un’inseminazione a tempo fisso e di ottenere elevati tassi di concepimento. Le manze da latte, rispetto alle bovine in lattazione, hanno un certo numero di caratteristiche uniche dal punto di vista riproduttivo, come una maggior percentuale di animali che mostrano mediamente più di 2 (fino a 3) ondate follicolari (ondate follicolari che sono probabilmente più corte) e maggiori livelli di progesterone circolante durante il diestro. Pertanto, i programmi di sincronizzazione come l’Ovsynch9 che
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sembrano funzionare piuttosto bene nelle bovine in lattazione, quando sono utilizzati nelle manze consentono di ottenere tassi di concepimento inferiori a quelli che si ottengono nelle manze inseminate naturalmente all’estro rilevato10. Di conseguenza, nell’ultimo decennio, da parte di diversi gruppi di ricerca sono stati condotti studi di base e di campo per la definizione di programmi di inseminazione a tempo fisso, specificamente sviluppati per le manze, che possano consentire di ottenere tassi di concepimento uguali o superiori a quelli ottenuti dopo inseminazione naturale all’estro rilevato. Un esempio significativo di questi nuovi protocolli, che sembra funzionare abbastanza bene nelle manze, è quello conosciuto come “programma progesterone a 5 giorni” (5 days-progesterone program”)11,12. Seguendo il concetto che prevede l’utilizzo di programmi di sincronizzazione “corti”, la Dott.ssa Astiz (Spagna) ha presentato dei dati ottenuti utilizzando questo programma in otto allevamenti da latte del nord-est della Spagna, per un totale di 451 inseminazioni. Il tasso di concepimento ottenuto è stato del 57.4% (Dr. Palma, 2013 – comunicazione personale). Pertanto, attualmente si ha a disposizione una gamma di efficienti programmi di sincronizzazione per l’inseminazione a tempo fisso che possono essere utilizzati validamente nelle manze e che consentono di inseminare la totalità degli animali con tassi di con-
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cepimento simili o leggermente inferiori a quelli che si possono ottenere con inseminazione naturale delle manze in calori rilevati. Inoltre, come evidenziato dalla Dott.ssa Astiz, una volta presa la decisione di utilizzare, ad esempio, una semplice somministrazione di prostaglandina o di implementare un programma di sincronizzazione più complesso, l’allevatore è comunque obbligato a gestire la riproduzione delle manze su base settimanale o bi-settimanale e, quindi, le manze non sono mai trascurate per un lungo periodo di tempo. Questo, di per sé, si traduce in un miglioramento della gestione riproduttiva della gestione delle manze. Ovviamente, i veterinari e gli allevatori devono tenere in considerazione le differenti variabili e effettuare un’attenta valutazione del ritorno dell’investimento allo scopo di decidere quale possa essere la migliore strategia all’interno dei diversi programmi di sincronizzazione/inseminazione disponibili. Nelle reali condizioni di allevamento delle mandrie gestite in modo ottimale si tende a combinare differenti tecniche per fare in modo che le manze si ingravidino il più presto possibile e nel modo economicamente più vantaggioso. Chebel8 ha effettuato un’interessante analisi economica al fine di comparare i diversi sistemi di gestione riprodutti-
va delle manze in allevamenti di bovine da latte. In breve, Chebel nel corso della sua analisi ha preso in considerazione il numero di giorni risparmiati nel periodo che va dall’inizio di un programma di inseminazione/accoppiamento al parto e i costi associati ai diversi programmi utilizzati. Per acquisire maggiori dettagli può risultare utile la lettura dell’articolo originale8. La principale conclusione del lavoro è stata che, in considerazione del fatto che l’utilizzo delle PGF2α consente di accorciare il tempo per ottenere un calore fertile, si dovrebbero ottenere benefici dall’uso delle prostaglandine anche in allevamenti con un buon (>66%) tasso di rilevazione dei calori, anche in funzione del fatto che i costi sostenuti per il trattamento farmacologico sono compensati dall’anticipazione del concepimento stesso (Figura 8). Un’altra importante conclusione che si può trarre dalla rassegna di Chebel è che gli allevatori che devono affrontare il problema di una non efficiente rilevazione dei calori possono trarre beneficio dall’implementazione di sistemi di sincronizzazione con inseminazione a tempo fisso specificamente studiati per essere utilizzati nelle manze, come il programma che utilizza dispositivi intra-vaginali a base di progesterone (5d-progesterone program).
FIGURA 8 Tavola riassuntiva delle priorità da tenere in considerazione per la definizione di un possibile piano di azione per la gestione riproduttiva delle manze da latte.
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Appendice: riassunto dei principali programmi riproduttivi disponibili per le manze .
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Appendice: linee guida nutrizionali durante il periodo di allevamento delle manze. FIGURA 12
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Abstracts and research digest - Estratti di articoli selezionati comparsi su altre riviste veterinarie A cura di G. Valla, Marketing Manager Ruminanti Ceva Salute Animale E-mail: giorgio.valla@ceva.com
EFFETTO DELLA SOMMINISTRAZIONE DI MELOXICAM SU SENSIBILITÀ AL DOLORE, RUMINAZIONE E SINTOMI CLINICI IN BOVINE DA LATTE AFFETTE DA MASTITI CLINICHE INDOTTE DA ENDOTOSSINE. Fitzpatrick CE, Chapinal N, Petersson-Wolfe CS, DeVries TJ, Kelton DF, Duffield TF, Leslie KE. The effect of meloxicam on pain sensitivity, rumination time, and clinical signs in dairy cows with endotoxin-induced clinical mastitis. J Dairy Sci. 2013 May; 96(5):2847-56. Obiettivo dello studio è stato quello di valutare l’efficacia di un dispositivo (algometro a pressione) per la misurazione del dolore (Pressure Algometer=PA) (Figura 1) e di un sistema di monitoraggio automatizzato dell’attività ruminale allo scopo di individuare i mutamenti che si verificano sulla sensibilità al dolore e sui tempi della ruminazione in risposta a mastiti cliniche da endotossine. Il PA è un dispositivo che può essere usato per definire la pressione e / o la forza necessarie per produrre una determinata soglia di pressione-dolore. Secondo obiettivo dello studio è stato quello di valutare gli effetti prodotti da un preparato farmaceutico contenente meloxicam, un farmaco antinfiammatorio non steroideo (FANS), sulla sensibilità al dolore e sull’attività ruminale, così come su altri sintomi correlati, in bovine affette da mastiti cliniche da endotossine. La mastite clinica è stata indotta sperimentalmente in 13 bovine da latte primipare e in 12 pluripare a seguito di infusione intramammaria in un quartiere sano di 25 μg di lipopolisaccaridi di Escherichia coli (LPS). Subito dopo l’infusione, una metà delle bovine è stata sottoposta a trattamento con meloxicam (0.5 mg/kg p.c. [2.5 mL del preparato farmaceutico ogni 100 kg di peso corporeo]), mentre l’altra metà, utilizzata come controllo, è stata trattata con lo stesso volume di un placebo. La soglia di sensibilità al dolore è stata valutata per mezzo della misurazione delle differenze nella pressione necessaria per indurre risposte dolorifiche nei quartieri dei soggetti controllo rispetto ai quartieri dei soggetti infettati, utilizzando un “algometro” 3 giorni prima, immediatamente dopo e a distanza di 3, 6, 12 e 24 ore dall’infusione delle LPS, e dopo trat-
tamento con meloxicam e con la preparazione placebo. L’attività ruminale è stata monitorata in modo continuo per mezzo di un rilevatore individuale collegato a un collare (HR-Tag, SCR Engineers Ltd) a partire dai 2 giorni precedenti e fino a 2 giorni dopo l’infusione di LPS. Inoltre, al fine di valutare l’entità e la durata dell’infiammazione dopo infusione di LPS, sono stati monitorati i seguenti parametri: edema mammario, valutato mediante un punteggio da 1 a 5 (1= nessun edema; 5= edema molto grave); temperatura corporea; punteggio cellule somatiche (Somatic Cells Score = SCS); assunzione di materia secca (Dry Matter Intake = DMI). Negli animali di controllo (trattati con il placebo), a 6 ore dall’infusione di LPS, la differenza nella pressione sui quartieri sani e su quelli infetti è aumentata di 1.1 ± 0.4 kg di forza esercitata rispetto ai valori di base, suggerendo un aumento della sensibilità al dolore nei quartieri infettati. L’infusione di LPS e il trattamento con meloxicam non hanno dimostrato, in generale, di esercitare influenze sull’attività ruminale. Tuttavia, il modello relativo all’attività ruminale diurna nel giorno dell’infezione con LPS ha rivelato una deviazione complessiva dai valori basali. In particolare, le bovine hanno trascorso meno tempo a ruminare nelle ore seguenti l’infusione di LPS e un tempo maggiore nella seconda parte della giornata. Il trattamento con meloxicam non ha influenzato il conteggio delle cellule somatiche o il livello di assunzione della materia secca. Tuttavia, gli animali trattati con meloxicam hanno mostrato l’insorgenza di un edema mammario di grado minore (Tabella 1) e una temperatura corporea inferiore rispetto ai soggetti di controllo trattati con la preparazione placebo nelle ore successive all’infusione di LPS. Gli Autori concludono affermando che il dispositivo di rilevazione del dolore e il sistema di monitoraggio della ruminazione possono essere utili strumenti per la rilevazione della presenza di mastite e per la valutazione della guarigione della stessa a livello di allevamento. Inoltre, il trattamento con meloxicam presenta benefici per quanto riguarda il contenimento del dolore, dell’edema mammario e della temperatura corporea correlata alla presenza di forme cliniche di mastite indotte da LPS batterici.
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FIGURA 1 Sensibilità al dolore misurata con un dispositivo di rilevazione della pressione (Force Ten FDX 50 pressure algometer - Wagner Instruments, Greenwich, CT), equipaggiato con una piastra di rilevazione della pressione applicata perpendicolarmente al quarto mammario, approssimativamente a 25 cm, ventralmente, all’attaccatura del capezzolo e a 5 cm lateralmente al legamento sospensore mediano.
TABELLA 1 Valori medi dei punteggi relativi all’edema mammario nelle 24 bovine prima (valori basali) e dopo (+ 3, 6, 12 e 24 ore) l’infusione con LPS di Escherichia coli e iniezione di meloxicam o di placebo.
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Rivista di Medicina Veterinaria, vol. 49, n. 2, 2013
TASSI DI LUTEOLISI E DI GRAVIDANZA IN BOVINE DA LATTE DOPO TRATTAMENTO CON CLOPROSTENOLO O DINAPROST. Stevenson J.S.a, Phatak A.P.b. 2010. Rates of luteolsis and pregnancy in dairy cows after treatment with cloprostenol or dinoprost. Theriogenology 73:1127-38. a Department of Animal Sciences and Industry, Kansas State University, Manhattan, Kansas USA b Technical Services Veterinarian, Alta Genetics, Hughson, California USA La luteolisi, definita come regressione o involuzione del corpo luteo con perdita della sua funzionalità, è un momento chiave nei programmi di sincronizzazione attualmente utilizzati nell’allevamento della bovina da latte. Alcuni studi indicano che circa il 20% delle bovine non risponde positivamente alla somministrazione di PFG2α(1). Per ottenere un’efficace diminuzione dei valori di progesteronemia, condizione che precede sempre un’inseminazione fertile(1,2), è essenziale che le bovine presentino una luteolisi completa. In corso di utilizzo di un protocollo di pre-sincronizzazione–sincronizzazione (PreSynch-Ovsynch) con inseminazione artificiale a tempo fisso, la percentuale di bovine gravide raggiunge il 40,5%(1) quando il trattamento con la prostaglandina induce una luteolisi completa e la progesteronemia scende da valori superiori a 1ng/ml a valori inferiori a 0,5 ng/ml a distanza di 56 h dal trattamento prostaglandinico. Tuttavia, il tasso di concepimento diminuisce drasticamente se la luteolisi è ritardata (la concentrazione di progesteronemia non scende a 0,5 ng/ml fino a 96 ore dalla somministrazione della prostaglandina). La situazione risulta ancora più critica, con tassi di concepimento inferiori al 10%, quando la prostaglandina induce luteolisi incompleta. Infine, il tasso di concepimento risulta nullo quando non si verifica la luteolisi e i livelli di progesterone rimangono al di sopra di 1 ng/ml. Le motivazioni per le quali un corpo luteo maturo può risultare refrattario al trattamento prostaglandinico sono al momento sconosciute. In riferimento alla farmacodinamica delle diverse prostaglandine, naturali o sintetiche, Pursley e Coll.(4) suggeriscono l’esistenza di differenze nel tempo che intercorre tra la somministrazione della prostaglandina e la successiva luteolisi (rispettivamente, 29,4 ore con dinoprost e 29,1 ore con cloprostenolo) e la conseguente ovulazione (103 ore vs 101 ore, rispettivamente con dinoprost e cloprostenolo). Nello stesso studio gli Autori hanno rilevato differenze nelle concentrazioni di progesterone dopo il trattamento con le prostaglandine, con una caduta più veloce della progesteronemia dopo trattamento con cloprostenolo rispetto al trattamento con Dinoprost entro 12 ore. Tuttavia, le differenze scompaiono e le concentrazioni di progesterone risultano sovrapponibili quando la progesteronemia viene valutata fra le 12-24 ore, le 24-48 ore e le 48-96 ore dal trattamento con entrambe le prostaglandine(4). Quindi, si può affermare che esistono differenze di comporta-
mento tra prostaglandine sintetiche e naturali, ma che queste differenze sono presenti solo nelle prime ora post-trattamento(2). La comparazione dell’effetto luteolitico prodotto dalle diverse prostaglandine disponibili sul mercato per quanto attiene percentuale di luteolisi, tasso di induzione dell’estro e tasso di concepimento, è stata al centro di numerosi studi pubblicati negli ultimi 30 anni. La struttura chimica delle prostaglandine sintetiche (come il cloprostenolo) presenta un anello cloro benzilico che è invece assente negli analoghi naturali (come il dinoprost) e che conferisce un’emivita maggiore. Pertanto, in molti studi è stata formulata l’ipotesi che, in considerazione del metabolismo endogeno e della resistenza e del tasso di eliminazione delle varie prostaglandine, i composti di sintesi possano sviluppare una maggiore attività luteolitica rispetto ai composti naturali. Di recente questa ipotesi è stata oggetto di una pubblicazione di Stevenson e Coll (3), che hanno riportato i dati ottenuti nel corso di due altri studi eseguiti negli U.S.A (Figura 1). Nel primo studio, 2358 bovine da latte, provenienti da sei allevamenti da latte della California, sono state sottoposte ad un protocollo di pre-sincronizzazione (Presynch) mediante l’utilizzo di due iniezioni di PGF2α eseguite a distanza di 14 giorni l’una dall’altra. Le bovine rilevate in calore in risposta al trattamento con prostaglandine sono state inseminate (n=1094), mentre le rimanenti bovine (n=1264), che non presentavano calore, sono state sottoposte a un secondo protocollo di sincronizzazione (Cosynch 72), iniziato 12 o 14 giorni dopo la seconda iniezione del Presynch (GnRH; PGF2α dopo 7 giorni; GnRH dopo 72 ore; inseminazione a tempo fisso dopo 72 ore). All’interno del Cosynch, le bovine sono state assegnate “a caso” a due gruppi di trattamento: gruppo a = closprostenolo (n=650 soggetti; gruppo b = dinoprost (n=614 soggetti). Campioni di sangue per la determinazione dei livelli di progesterone (P4) prima e dopo il trattamento con le prostaglandine sono stati raccolti al momento dell’iniezione (tempo 0) e a 48 e 72 ore dall’iniezione. Per la valutazione dei risultati è stato utilizzato un cut-off di 1 ng/ml: concentrazioni di P4 ≥1 ng/ml definivano un corpo luteo (CL) funzionale, mentre concentrazioni di P4 <1 ng/ml indicavano la presenza di un CL non funzionale o l’avvenuta regressione dello stesso. Nel secondo studio, 427 bovine da latte, delle quali non era noto lo stato di gravidanza, sono state incluse in un protocollo di Ovsynch-Resynch. Una dose di GnRH è stata somministrata a 333 bovine, mentre in 94 bovine è stata iniettata soluzione fisiologica. Sette giorni dopo è stata verificata la gravidanza e le bovine risultate non gravide sono state classificate in funzione del numero di CL presenti e assegnate, a caso, al trattamento con cloprostenolo o dinaprost (Figura 1). Considerando le bovine che presentavano concentrazioni ematiche di progesterone ≥1 ng/ml (e che quindi erano potenzialmente in grado di rispondere all’azione luteolitica della prostaglandina), la percentuale di soggetti con luteolisi completa (riduzione dei livelli di P4 a < 1 ng/ml a 73 ore dal trattamento) era significativamente maggiore (P < 0.01) nelle bovine trattate con dinoprost (91.3%) rispetto al cloprostenolo (86.6%) (Figura 2). Anche nel secondo studio la percentuale di regressione luteale è
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risultata statisticamente superiore (P < 0.05) nel gruppo trattato con dinoprost (78.5%) rispetto a quello trattato con cloprostenolo (69.1%). Il tasso di concepimento rilevato nei due gruppi, sia nello studio 1 che nello studio 2, non ha presentato differenze statisticamente significative (Figura 3). Gli Autori concludono che, sulla base della definizione di luteolisi utilizzata nel corso degli studi, che presuppone che le concentrazioni ematiche di P4 scendano al di sotto di 1 ng/ml a 72 ore dal trattamento, dinoprost mostra un’attività luteolitica maggiore di cloprostenolo. Questo dato è stato registrato in entrambi gli studi, anche nelle bovine che mostravano più di un corpo luteo. Tuttavia, nonostante le differenze rilevate nell’efficacia luteolitica delle due tipologie di prostaglandine utilizzate, nei due studi presi in considerazione non sono state riscontrate differenze nelle performance riproduttive.
FIGURA 3 Tasso di concepimento dopo l’utilizzo dei protocolli di inseminazione artificiale (IA) e di due tipi di prostaglandine (3).
FIGURA 1 Schemi di trattamento.
BIBLIOGRAFIA CONSULTATA
FIGURA 2 Percentuale di luteolisi dopo utilizzo dei protocolli di inseminazione artificiale (IA) e di due tipi di prostaglandine (3).
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1) Martins J.P.N., Policelli R.K., Neuder L.M., Raphael W., Pursley J.R. 2011. Effects of cloprostenol sodium at final prostaglandin F2α of Ovsynch on complete luteolysis and pregnancy per artifitial insemination in lactating dairy cows. J. Dairy Science 94:281524. 2) Pursley J.R., Martins J.P.N. 2011. Control farmacologico de la funcion del foliculo y del cuerpo luteo para mejorar la fertilidad en las vacas lecheras en lactacion. Libro de ponencias del XI Congreso Internancional ANEMBE de medicina bovina (Avila 2011). 3) Stevenson J.S., Phatak A.P. 2010.Rates of luteolysis and pregnancy in dairy cows after treatment with cloprostenol or dinoprost. Theriogenology 73:1127-38. 4) Martins J.P.N., Policelli R.K., Pursley J.R. 2011.Luteolytic effects of cloprostenol sodium in lactating dairy cows treated with G6G/Ovsynch. J. Dairy Science 94:2806-14. 5) Pursley J.R., Martins J.P.N. 2011. Factores hormonales que influyen en la fertilidad de la vaca lechera en produccion. Libro de ponencias del XI Congreso Internancional ANEMBE de medicina bovina (Avila 2011).
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NELLA BOVINA DA LATTE IL TRATTAMENTO CON PROGESTERONE PRIMA DELL’INSEMINAZIONE ARTIFICIALE FAVORISCE LA SINCRONIZZAZIONE DELL’OVULAZIONE, AUMENTA I TASSI DI GRAVIDANZA PER INSEMINAZIONE E RIDUCE LE PERDITE DI GRAVIDANZA DOPO L’INSEMINAZIONE. Colazo M.G., Dourey A., Rajamahendran R., Ambrose D.J. Progesterone supplementation before timed AI increased ovulation synchrony and pregnancy per AI, and supplementation after timed AI reduced pregnancy losses in lactating dairy cows. Theriogenology 79 (2013) 833–841. Una delle principali cause di ridotta fertilità nelle bovine da latte ad alta produzione consiste in una inadeguata progesteronemia prima e dopo l’accoppiamento o l’inseminazione artificiale (IA). Infatti, la presenza di idonee concentrazioni di progesterone è essenziale perché l’ovulazione abbia successo e si instauri la gravidanza. Per questa ragione, in passato, sono stati condotti studi al fine di valutare gli effetti sulla fertilità conseguenti alla somministrazione di progesterone. Obbiettivo degli Autori è stato quello di valutare l’efficacia dell’utilizzo di un dispositivo intravaginale a lento rilascio di progesterone, contenente 1,55 g di progesterone (PRID), nei primi 7 giorni di un protocollo Ovsynch (pre-IA) e/o dal 4° all’11° giorno post-IA . Nel corso dello studio sono stati valutati i seguenti parametri: risposta dell’ovaio al trattamento, concentrazioni ematiche di progesterone, tasso di gravidanza per inseminazione artificiale (P/AI) e percentuale di perdita di gravidanza. L’ipotesi alla base dello studio era che il trattamento con PRID pre- e post-IA possa incrementare il tasso di gravidanza e ridurre le perdite di gravidanza. Per la prova sono state utilizzate 608 bovine da latte di tre differenti allevamenti, alle quali è stato applicato un protocollo di sincronizzazione (Ovsynch) che consisteva in due iniezioni di GnRH (100 mg di gonadorelina) ad intervallo di 9 giorni e in un’iniezione di prostaglandina (PG) (500 mg di cloprostenolo) dopo 7 giorni dal primo trattamento con GnRH. In 294 bovine si è proceduto all’inserimento del dispositivo PRID mentre le restanti 314 bovine sono state tenute come controllo (Figura 1). Il dispositivo è stato inserito al momento della prima iniezione di GnRH del protocollo Ovsynch ed è stato rimosso al momento della somministrazione della PG. L’inseminazione artificiale a tempo fisso (TAI) è stata eseguita a 12 e a 16 ore di distanza dal secondo GnRH del protocollo Ovsynch. Un sottogruppo di 217 bovine, in uno dei tre allevamenti, era stato pre-sincronizzato con una doppia iniezione di PG intervallate tra loro da 14 giorni, con la seconda somministrazione di PG effettuata 12 giorni prima del primo trattamento con GnRH previsto dal protocollo Ovsynch. Tutte le altre bovine incluse nello studio hanno iniziato il protocollo Ovsynch in una fase del ciclo non nota. Lo stato di condizione corporea (BCS = Body Condition Score), con
una scala di valutazione da 1 a 5, è stato valutato al momento dell’inseminazione artificiale (TAI). Per la valutazione della risposta al trattamento un esame ultrasonografico (U/S) è stato effettuato in tutte le bovine incluse nello studio al momento della somministrazione del GnRH, al momento della somministrazione della PG, al momento dell’inseminazione artificiale (TAI) e 24 ore dopo la TAI. Inoltre, l’esame ultrasonografico è stato eseguito anche a distanza di 32 e di 60 giorni dall’IA allo scopo di accertare e confermare la gravidanza. A distanza di 4 giorni e mezzo dall’inseminazione artificiale (TAI) (e precisamente al giorno 14) le bovine che non avevano risposto alla PG (con luteolisi valutata mediante esame ultrasonografico e confermata, in modo retrospettivo, dalla valutazione della progesteronemia) e non avevano ovulato (l’ovulazione è stata accertata mediante esame ultrasonografico eseguito al giorno 10,5) dopo il secondo trattamento con GnRH sono state riassegnate a due gruppi: negli animali di un gruppo è stato inserito il dispositivo PRID (n=223), mentre gli animali dell’altro gruppo sono stati tenuti come controlli (n=229). Il dispositivo è stato lasciato in situ per 7 giorni (Figura 1). Al fine di valutare le concentrazioni ematiche di progesterone sono stati raccolti campioni di sangue (BS) al momento del trattamento con la prostaglandina (PG), al momento dell’inseminazione artificiale (TAI) e a distanza di 14 e 21 giorni dall’inseminazione. L’utilizzo del PRID prima dell’IA ha ridotto in modo significativo la percentuale di bovine che hanno ovulato prima dell’inseminazione (5.8% vs. 11.1%) e ha significativamente aumentato il tasso di gravidanze per IA nelle bovine non pre-sincronizzate (41.3% vs. 25.1%). Le bovine che hanno ovulato in risposta al primo trattamento con GnRH (bovine cicliche e bovine con un BCS ≥ 2.75) hanno mostrato un incremento del tasso di gravidanza per inseminazione (P/AI), ma l’utilizzo del PRID pre-TAI non ha aumentato il tasso P/AI in queste bovine. Inoltre, l’utilizzo del PRID post-TAI non ha influenzato il tasso di gravidanza per inseminazione (P/AI). Al contrario, l’applicazione del PRID ha ridotto il tasso di perdita di gravidanza (6.2% vs. 11.4%) tra il 32° ed il 60° giorno di gestazione. La riduzione del tasso di perdita di gravidanza (Tabella 1) era significativamente inferiore (P=0.10) nelle bovine acicliche cui è stato applicato il PRID rispetto alle bovine alle quali il dispositivo non è stato applicato (5.6% vs. 33.3%). Per quanto riguarda le concentrazioni ematiche di progesterone (P4), l’impianto del PRID pre-TAI ha prodotto un aumento significativo (P=0.08) delle concentrazioni di P4 (4.4 ± 0.2 nelle bovine trattate e 3.9 ± 0.2 ng/mL nelle bovine non trattate) al momento della somministrazione della PGF (giorno 7). Un aumento significativo (P<0.01) si è potuto rilevare anche con l’impianto di PRID post-AI (6.5 ± 0.2 nelle bovine trattate e 5.6 ± 0.2 ng/mL nelle bovine non trattate). Inoltre, le concentrazioni ematiche di P4 rilevate al momento della somministrazione della PG e al giorno 21 sono risultate correlate in modo lineare alla probabilità di ottenere una gravidanza al giorno
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32. Gli Autori concludono affermando che il trattamento con progesterone tramite il ricorso a un dispositivo intravaginale a lento rilascio effettuato prima dell’inseminazione (pre-TAI) aumenta il tasso di gravidanza (P/AI) nelle bovine non pre-sincronizzate e che l’utilizzo del dispositivo post-TAI riduce il tasso di perdita di gravidanza, in particolare nelle bovine non cicliche. FIGURA 1 Protocollo sperimentale.
TABELLA 1 Perdita di gravidanza tra il 32° ed il 60° giorno post TAI, in considerazione dello stato di ciclicità rilevata all’inizio del protocollo Ovsynch e del trattamento con PRID eseguito post-TAI.
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NOTE
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