Quale governance globale?

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EDITORIALE DI ADOLFO URSO

Gianfranco FINI

fini@farefuturofondazione.it

Segretario generale

Adolfo URSO

urso@farefuturofondazione.it

Segretario amministrativo

Pierluigi SCIBETTA

scibetta@farefuturofondazione.it

Consiglio di fondazione

Direttore scientifico Alessandro CAMPI

Direttore Mario CIAMPI

campi@farefuturofondazione.it

ciampi@farefuturofondazione.it

Direttore editoriale Angelo MELLONE

Coordinatore editoriale Filippo ROSSI

mellone@farefuturofondazione.it

filipporossi@farefuturofondazione.it

Nuova serie Anno III - Numero 14 - gennaio/febbraio 2009

Gianfranco FINI - Adolfo URSO - Alessandro CAMPI - Angelo MELLONE - Pierluigi SCIBETTA Ferruccio FERRANTI - Emilio CREMONA - Giancarlo ONGIS - Giancarlo LANNA - Vittorio MASSONE - Daniela MEMMO D’AMELIO - Piero PICCINETTI

Poste italiane s.p.a. Spedizione in abboonamento D.L. 353/003 (conv. in L. 7/0/004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB (Roma)

Presidente

w ww. f aref u t u rofondazione.it Quale governance mondiale?

Farefuturoèunafondazionediculturapolitica,studieanalisisocialichesiponel’obiettivo di promuovere la cultura delle libertà e dei valori dell’Occidente e far emergere una nuova classe dirigente adeguata a governare le sfide della modernità e della globalizzazione. Essa intende accrescere la consapevolezza del patrimonio comune, di cultura, arte, storia e ambiente, con una visione dinamica dell’identità nazionale, dello sviluppo sostenibile e dei nuovi diritti civili, sociali e ambientali e, in tal senso, sviluppare la cultura della responsabilità e del merito a ogni livello. Farefuturosiproponedifornirestrumentieanalisiculturalialleforzedel centrodestra italiano in una logica bipolare al fine di rafforzare la democrazia dell’alternanza, nel quadro di una visione europea, mediterranea e occidentale. Essa intende operare in sinergia con le altre analoghe fondazioni internazionali, per rafforzare la comune idea d’Europa,contribuirealsuoprocessodiintegrazione, affermareunanuovaevitalevisione dell’Occidente. La Fondazione opera in Roma, Palazzo Serlupi Crescenzi, via del Seminario 113. Èun’organizzazioneapertaalcontributodituttiesiavvaledell’operatecnico-scientifica edell’esperienzasocialeeprofessionaledelComitatopromotoreedelComitatoscientifico. Il Comitato dei benemeriti e l’Albo dei sostenitori sono composti da coloro che ne finanziano l’attività con donazioni private.

QUALE GOVERNANCE MONDIALE? Bimestrale della Fondazione Farefuturo Nuova serie anno III - n. 14 - gennaio/febbraio 2009 - Euro 8 Direttore Adolfo Urso

Governance globale: meglio il G13 Il collasso finanziario del pianeta costringe il Nord ad allargare per la prima volta il tavolo dei big anche al Sud del mondo. Si riscrivono le gerarchie economiche e quindi i criteri di governance globali: una svolta storica, epocale che ha pochi precedenti nella storia. Nemmeno la crisi del ‘29 ebbe questi effetti perché allora non vi erano altri e qualificati pretendenti dietro la porta. Ad aprile il G20 di Londra raccoglierà l’eredità di quello di Washington svolto per la prima volta a livello di capi di Stato e di governo. Il primo obiettivo ch’era stato posto nella capitale americana, la chiusura del Doha round, non è stato raggiunto e si dubita che la nuova amministrazione Obama, impegnata in un massiccio sforzo interno dalle coordinate protezioniste, possa assumersi le responsabilità di fare nuove e significative proposte di apertura dei mercati in questa fase così difficile e tanto meno potrà farlo l’India alle prese con una difficile campagna elettorale. I G20 a Londra cercheranno di raggiungere una intesa sui nuovi criteri di governance finanziaria, a cominciare dalla creazione di quella bad bank che non solo Tremonti ritiene essere l’unica soluzione per disinquinare il mercato mondiale e quindi l’economia reale dalle tossine mortali dei derivati. Il loro ammontare è calcolato in circa trenta trilioni di miliardi Per la prima volta il Sud di dollari, oltre dodici volte il prodotto indel mondo siede al terno lordo del pianeta. tavolo dei big. Nasce un Poi, toccherà all’Italia con il vertice di lunuovo ordine globale? glio della Maddalena, districare la matassa definendo metodo e merito, il nuovo formato e le nuove tematiche, affinché la nuova governance globale coinvolga davvero i cosiddetti “emergenti” anche nella risposta sistemica: non solo finanza ma anche e soprattutto ambiente, energia, alimentazione, quindi sicurezza e sviluppo sostenibile. Toccherà quindi soprattutto a noi tentare di riprendere l’agenda del Doha round, per dare finalmente prospettive e stimoli alla ripresa, e nel contempo definire la nuova formula, certamente a geometria variabile, che però non appaia del tutto confusionaria, come sinora s’è manifestata, con tavoli che si allargano e si restringono a secondo degli argomenti, e commensali che si aggiungono sotto diverse forme. A Londra si “infiltreranno” anche Spagna e Olanda, con una governance che rischia di diventare una Babele. Sino ad oggi i G7-G8 hanno rappresentato il Nord del pianeta: Stati Uniti e Canada, Gran Bretagna, Russia e Giappone sono intorno alla calotta artica, Germania e Francia e Italia nella sua prossimità geografica. Tutti i nuovi entranti stanno invece più a Sud alcuni anche nell’altro emisfero, addirittura vicino


SOMMARIO

APPUNTAMENTI

NUOVA SERIE ANNO III - NUMERO 14 - GENNAIO/FEBBRAIO 2009

A CURA DI BRUNO TIOZZO www.farefuturofondazione.it

Quale governance mondiale?

ROMA

Oltre gli stereotipi. La nuova cultura civica in Italia Lunedì 23 febbraio - ore 11

Governance globale: meglio il G13 ADOLFO URSO

La politica ai tempi del G20 - 2 PAOLO QUERCIA G8 a geometrie variabili - 10 FRANCO FRATTINI

Un’opportunità da non perdere - 18 EMMA BONIBO

Indonesia e Corea: un futuro oltre le divisioni - 134

Presso la sede della Fondazione Farefuturo avrà

RODOLFO BASTIANELLI

luogo la presentazione del progetto di ricerca”Oltre

Australia: ponte per un nuovo futuro - 144 GIUSEPPE MANCINI

Quando la crisi rafforza l’economia - 152

gli stereotipi. La nuova cultura civica in Italia”, che ha l’obiettivo di delineare un modello italiano di cultura civica. Intervengono Adolfo Urso, Luigi Di Gregorio, Alessandro Campi e Andrea Oliviero..

RICCARDO GEFTER

Il Sudafrica non può fare a meno del suo continente - 160 DANIELE CRISTALLINI e ERIC MOLLE

Per una nuova Bretton Woods è necessaria l’Europa - 26

ROMA

WASHINGTON

The Gas Wars: Causes, Forecasts, and Solutions for Russia, Ukraine, and the Eu. Le ripercussioni della crisi del gas vengono analizzate dall’American Enterprise Institute. Martedì 3 febbraio

Lincoln vs. Obama: Freedom vs. The Good. L’annuale Russel Kirk lecture della Heritage Foundation è stata affidata allo studioso Shelby Steele che parlerà dell’incompatibilità tra il legame di Lincoln e la politica “buonista” di Obama. Giovedì 12 febbraio

Direttore Adolfo Urso urso@farefuturofondazione.it

WASHINGTON

Direttore responsabile Pietro Urso ursop@chartaminuta.it

WASHINGTON Is the Bolshevik Design Dead? Presentazione presso la Heritage Foundation di un libro dell’ex agente sovietico Viktor Suvorov con dei paralleli tra i progetti geopolitici di Stalin e Putin. Mercoledì 4 febbraio

Cena della Fondazione

MASSIMO LO CICERO

Giovedì 2 aprile

PARIGI

Alla finanza servono regole condivise - 40 ROBERTO PASCA DI MAGLIANO

Cena ufficiale riservata ai soci della Fondazione Farefuturo. Parteciperanno i massini esponenti

Parola d’ordine: equidistanza - 54 INTERVISTA A FERRUCCIO DE BORTOLI di Maria Elena Giuliano Innovazione e flessibilità: l’unica cura possibile - 61

WASHINGTON

della fondazione.

STRUMENTI

Mosquées de Paris. Proiezione presso la Fondation pour la innovation politique di un documentario sulle moschee di Parigi. Segue dibattito. Giovedì 5 febbraio

BERLINO

WASHINGTON

Documento conclusivo del G20 a Washington - 170 EMANUELA MELCHIORRE

Dal Giappone all’Italia via Heiligendamm - 81 ALFREDO MANTICA

ROMA ALESSANDRO ORTIS

Parlamentarismo in Italia e in Germania

Turchia, la cerniera fra Oriente e Occidente - 94

Venerdì 19 giugno

Energia, le frontiere oltre il petrolio - 88

ALESSANDRO MARRONE

L’Islam che guarda ad Occidente - 104 BARBARA MENNITTI e PIETRO URSO

Keiner lebt für sich allein - Das Miteinander der Generationen Conferenza annuale “Christ und politik” della Konrad Adenauer Stiftung in collaborazione con le chiese evangeliche tedesche. Interventi di esponenti politici ed ecclesiastici. Lunedì 9 – Martedì 10 febbraio

La fondazione Farefuturo e la Konrad Adenauer Stiftung organizzano il convegno di studi sul tema “Il futuro del Parlamentarismo in Italia e in

L’India è la vera icona dalle opportunità infinite - 116

Germania”. Sono previste le relazioni di Gianfranco

FRANCO OLIVA

Fini, presidente della Camera dei deputati e della

La Cina imparerà a rispettare le regole - 128 INTERVISTA A ALESSANDRO POLITI di Elisa Borghi

presidente del BUndestag.

Fondazione Farefuturo, e di Norbert Lammert,

BERLINO 60 Jahre NATO - Wird Deutschland zur Triebkraft oder zum Mitläufer? La Konrad Adenauer Stiftung s’interroga, in occasione del 60esimo anniversario della Nato, sul ruolo futuro della Germania nell’Alleanza Atlantica. Lunedì 23 febbraio

EMANUELE BALDACCI

Adesso mutiamo le regole dell’assetto monetario - 70

Energy Transitions: The Time Factor Seminario dell’American Enterprise Institute sulle fonti di energia rinnovabile. Interviene il professor Vaclav Smil dell’università di Manitoba. Martedì 17 febbraio

GRAND RAPIDS America's Economic Crisis: Looking Back, Looking Forward. Seminario dell’Acton Institute sulle origini della crisi economica negli Stati Uniti e sulle prospettive per il futuro. Giovedì 12 febbraio

Rethinking Education Schools for a New Era. Incontro dell’American Enterprise Institute sulle sfide che il sistema educativo statunitense dovrà affrontare nei prossimi decenni. Giovedì 26 febbraio

BERLINO 20 Jahre Freiheitsbewegung in Mittel-, Ost- und Südosteuropa. Erinnern für ein neues Europa? Conferenza internazionale della Konrad Adenauer Stiftung sui 20 anni di libertà nell’Europa centro-orientale. Interviene l’ex Primo ministro ungherese Viktor Orban. Venerdì 27 febbraio

Direttore editoriale Angelo Mellone mellone@farefuturofondazione.it Coordinatore editoriale Filippo Rossi filipporossi@farefuturofondazione.it

Collaboratori di redazione: Roberto Alfatti Appetiti, Alessandra Bergamasco, Guerino Nuccio Bovalino, Rosalinda Cappello, Diletta Cherra, Valeria Falcone, Filippo Lonardo, Barbara Mennitti, Cecilia Moretti, Michele De Feudis, Giuseppe Proia, Adriano Scianca. Direzione e redazione Via del Seminario, 113 - 00186 Roma Tel. 06/96996400 - Fax 06/96996430 E-mail: redazione@chartaminuta.it ursop@chartaminuta.it; direttorecharta@gmail.com Segreteria di redazione Cecilia Moretti moretti@chartaminuta.it Progetto grafico Elise srl www.elisegroup.tv Editrice Charta s.r.l. Abbonamento annuale € 70, sostenitore da € 200 Versamento su c.c. bancario n. 87827/33, Cab 05066, Abi 3002 Banca di Roma, Ag. 246, intestato a Editrice Charta s.r.l. - C.c. postale n. 73270258 Registrazione Tribunale di Roma N. 419/06

Amministratore unico Gianmaria Sparma Segreteria amministrativa Silvia Rossi Distribuzione Soc.i.d s.r.l Via Carducci, 10 00187 Roma Tipografia Renografica s.r.l. - Bologna Ufficio abbonamenti Domenico Sacco

www.chartaminuta.it


SOMMARIO

APPUNTAMENTI

NUOVA SERIE ANNO III - NUMERO 14 - GENNAIO/FEBBRAIO 2009

A CURA DI BRUNO TIOZZO www.farefuturofondazione.it

Quale governance mondiale?

ROMA

Oltre gli stereotipi. La nuova cultura civica in Italia Lunedì 23 febbraio - ore 11

Governance globale: meglio il G13 ADOLFO URSO

La politica ai tempi del G20 - 2 PAOLO QUERCIA G8 a geometrie variabili - 10 FRANCO FRATTINI

Un’opportunità da non perdere - 18 EMMA BONIBO

Indonesia e Corea: un futuro oltre le divisioni - 134

Presso la sede della Fondazione Farefuturo avrà

RODOLFO BASTIANELLI

luogo la presentazione del progetto di ricerca”Oltre

Australia: ponte per un nuovo futuro - 144 GIUSEPPE MANCINI

Quando la crisi rafforza l’economia - 152

gli stereotipi. La nuova cultura civica in Italia”, che ha l’obiettivo di delineare un modello italiano di cultura civica. Intervengono Adolfo Urso, Luigi Di Gregorio, Alessandro Campi e Andrea Oliviero..

RICCARDO GEFTER

Il Sudafrica non può fare a meno del suo continente - 160 DANIELE CRISTALLINI e ERIC MOLLE

Per una nuova Bretton Woods è necessaria l’Europa - 26

ROMA

WASHINGTON

The Gas Wars: Causes, Forecasts, and Solutions for Russia, Ukraine, and the Eu. Le ripercussioni della crisi del gas vengono analizzate dall’American Enterprise Institute. Martedì 3 febbraio

Lincoln vs. Obama: Freedom vs. The Good. L’annuale Russel Kirk lecture della Heritage Foundation è stata affidata allo studioso Shelby Steele che parlerà dell’incompatibilità tra il legame di Lincoln e la politica “buonista” di Obama. Giovedì 12 febbraio

Direttore Adolfo Urso urso@farefuturofondazione.it

WASHINGTON

Direttore responsabile Pietro Urso ursop@chartaminuta.it

WASHINGTON Is the Bolshevik Design Dead? Presentazione presso la Heritage Foundation di un libro dell’ex agente sovietico Viktor Suvorov con dei paralleli tra i progetti geopolitici di Stalin e Putin. Mercoledì 4 febbraio

Cena della Fondazione

MASSIMO LO CICERO

Giovedì 2 aprile

PARIGI

Alla finanza servono regole condivise - 40 ROBERTO PASCA DI MAGLIANO

Cena ufficiale riservata ai soci della Fondazione Farefuturo. Parteciperanno i massini esponenti

Parola d’ordine: equidistanza - 54 INTERVISTA A FERRUCCIO DE BORTOLI di Maria Elena Giuliano Innovazione e flessibilità: l’unica cura possibile - 61

WASHINGTON

della fondazione.

STRUMENTI

Mosquées de Paris. Proiezione presso la Fondation pour la innovation politique di un documentario sulle moschee di Parigi. Segue dibattito. Giovedì 5 febbraio

BERLINO

WASHINGTON

Documento conclusivo del G20 a Washington - 170 EMANUELA MELCHIORRE

Dal Giappone all’Italia via Heiligendamm - 81 ALFREDO MANTICA

ROMA ALESSANDRO ORTIS

Parlamentarismo in Italia e in Germania

Turchia, la cerniera fra Oriente e Occidente - 94

Venerdì 19 giugno

Energia, le frontiere oltre il petrolio - 88

ALESSANDRO MARRONE

L’Islam che guarda ad Occidente - 104 BARBARA MENNITTI e PIETRO URSO

Keiner lebt für sich allein - Das Miteinander der Generationen Conferenza annuale “Christ und politik” della Konrad Adenauer Stiftung in collaborazione con le chiese evangeliche tedesche. Interventi di esponenti politici ed ecclesiastici. Lunedì 9 – Martedì 10 febbraio

La fondazione Farefuturo e la Konrad Adenauer Stiftung organizzano il convegno di studi sul tema “Il futuro del Parlamentarismo in Italia e in

L’India è la vera icona dalle opportunità infinite - 116

Germania”. Sono previste le relazioni di Gianfranco

FRANCO OLIVA

Fini, presidente della Camera dei deputati e della

La Cina imparerà a rispettare le regole - 128 INTERVISTA A ALESSANDRO POLITI di Elisa Borghi

presidente del BUndestag.

Fondazione Farefuturo, e di Norbert Lammert,

BERLINO 60 Jahre NATO - Wird Deutschland zur Triebkraft oder zum Mitläufer? La Konrad Adenauer Stiftung s’interroga, in occasione del 60esimo anniversario della Nato, sul ruolo futuro della Germania nell’Alleanza Atlantica. Lunedì 23 febbraio

EMANUELE BALDACCI

Adesso mutiamo le regole dell’assetto monetario - 70

Energy Transitions: The Time Factor Seminario dell’American Enterprise Institute sulle fonti di energia rinnovabile. Interviene il professor Vaclav Smil dell’università di Manitoba. Martedì 17 febbraio

GRAND RAPIDS America's Economic Crisis: Looking Back, Looking Forward. Seminario dell’Acton Institute sulle origini della crisi economica negli Stati Uniti e sulle prospettive per il futuro. Giovedì 12 febbraio

Rethinking Education Schools for a New Era. Incontro dell’American Enterprise Institute sulle sfide che il sistema educativo statunitense dovrà affrontare nei prossimi decenni. Giovedì 26 febbraio

BERLINO 20 Jahre Freiheitsbewegung in Mittel-, Ost- und Südosteuropa. Erinnern für ein neues Europa? Conferenza internazionale della Konrad Adenauer Stiftung sui 20 anni di libertà nell’Europa centro-orientale. Interviene l’ex Primo ministro ungherese Viktor Orban. Venerdì 27 febbraio

Direttore editoriale Angelo Mellone mellone@farefuturofondazione.it Coordinatore editoriale Filippo Rossi filipporossi@farefuturofondazione.it

Collaboratori di redazione: Roberto Alfatti Appetiti, Alessandra Bergamasco, Guerino Nuccio Bovalino, Rosalinda Cappello, Diletta Cherra, Valeria Falcone, Filippo Lonardo, Barbara Mennitti, Cecilia Moretti, Michele De Feudis, Giuseppe Proia, Adriano Scianca. Direzione e redazione Via del Seminario, 113 - 00186 Roma Tel. 06/96996400 - Fax 06/96996430 E-mail: redazione@chartaminuta.it ursop@chartaminuta.it; direttorecharta@gmail.com Segreteria di redazione Cecilia Moretti moretti@chartaminuta.it Progetto grafico Elise srl www.elisegroup.tv Editrice Charta s.r.l. Abbonamento annuale € 70, sostenitore da € 200 Versamento su c.c. bancario n. 87827/33, Cab 05066, Abi 3002 Banca di Roma, Ag. 246, intestato a Editrice Charta s.r.l. - C.c. postale n. 73270258 Registrazione Tribunale di Roma N. 419/06

Amministratore unico Gianmaria Sparma Segreteria amministrativa Silvia Rossi Distribuzione Soc.i.d s.r.l Via Carducci, 10 00187 Roma Tipografia Renografica s.r.l. - Bologna Ufficio abbonamenti Domenico Sacco

www.chartaminuta.it


EDITORIALE DI ADOLFO URSO

Gianfranco FINI

fini@farefuturofondazione.it

Segretario generale

Adolfo URSO

urso@farefuturofondazione.it

Segretario amministrativo

Pierluigi SCIBETTA

scibetta@farefuturofondazione.it

Consiglio di fondazione

Direttore scientifico Alessandro CAMPI

Direttore Mario CIAMPI

campi@farefuturofondazione.it

ciampi@farefuturofondazione.it

Direttore editoriale Angelo MELLONE

Coordinatore editoriale Filippo ROSSI

mellone@farefuturofondazione.it

filipporossi@farefuturofondazione.it

Nuova serie Anno III - Numero 14 - gennaio/febbraio 2009

Gianfranco FINI - Adolfo URSO - Alessandro CAMPI - Angelo MELLONE - Pierluigi SCIBETTA Ferruccio FERRANTI - Emilio CREMONA - Giancarlo ONGIS - Giancarlo LANNA - Vittorio MASSONE - Daniela MEMMO D’AMELIO - Piero PICCINETTI

Poste italiane s.p.a. Spedizione in abboonamento D.L. 353/003 (conv. in L. 7/0/004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB (Roma)

Presidente

w ww. f aref u t u rofondazione.it Quale governance mondiale?

Farefuturoèunafondazionediculturapolitica,studieanalisisocialichesiponel’obiettivo di promuovere la cultura delle libertà e dei valori dell’Occidente e far emergere una nuova classe dirigente adeguata a governare le sfide della modernità e della globalizzazione. Essa intende accrescere la consapevolezza del patrimonio comune, di cultura, arte, storia e ambiente, con una visione dinamica dell’identità nazionale, dello sviluppo sostenibile e dei nuovi diritti civili, sociali e ambientali e, in tal senso, sviluppare la cultura della responsabilità e del merito a ogni livello. Farefuturosiproponedifornirestrumentieanalisiculturalialleforzedel centrodestra italiano in una logica bipolare al fine di rafforzare la democrazia dell’alternanza, nel quadro di una visione europea, mediterranea e occidentale. Essa intende operare in sinergia con le altre analoghe fondazioni internazionali, per rafforzare la comune idea d’Europa,contribuirealsuoprocessodiintegrazione, affermareunanuovaevitalevisione dell’Occidente. La Fondazione opera in Roma, Palazzo Serlupi Crescenzi, via del Seminario 113. Èun’organizzazioneapertaalcontributodituttiesiavvaledell’operatecnico-scientifica edell’esperienzasocialeeprofessionaledelComitatopromotoreedelComitatoscientifico. Il Comitato dei benemeriti e l’Albo dei sostenitori sono composti da coloro che ne finanziano l’attività con donazioni private.

QUALE GOVERNANCE MONDIALE? Bimestrale della Fondazione Farefuturo Nuova serie anno III - n. 14 - gennaio/febbraio 2009 - Euro 8 Direttore Adolfo Urso

Governance globale: meglio il G13 Il collasso finanziario del pianeta costringe il Nord ad allargare per la prima volta il tavolo dei big anche al Sud del mondo. Si riscrivono le gerarchie economiche e quindi i criteri di governance globali: una svolta storica, epocale che ha pochi precedenti nella storia. Nemmeno la crisi del ‘29 ebbe questi effetti perché allora non vi erano altri e qualificati pretendenti dietro la porta. Ad aprile il G20 di Londra raccoglierà l’eredità di quello di Washington svolto per la prima volta a livello di capi di Stato e di governo. Il primo obiettivo ch’era stato posto nella capitale americana, la chiusura del Doha round, non è stato raggiunto e si dubita che la nuova amministrazione Obama, impegnata in un massiccio sforzo interno dalle coordinate protezioniste, possa assumersi le responsabilità di fare nuove e significative proposte di apertura dei mercati in questa fase così difficile e tanto meno potrà farlo l’India alle prese con una difficile campagna elettorale. I G20 a Londra cercheranno di raggiungere una intesa sui nuovi criteri di governance finanziaria, a cominciare dalla creazione di quella bad bank che non solo Tremonti ritiene essere l’unica soluzione per disinquinare il mercato mondiale e quindi l’economia reale dalle tossine mortali dei derivati. Il loro ammontare è calcolato in circa trenta trilioni di miliardi Per la prima volta il Sud di dollari, oltre dodici volte il prodotto indel mondo siede al terno lordo del pianeta. tavolo dei big. Nasce un Poi, toccherà all’Italia con il vertice di lunuovo ordine globale? glio della Maddalena, districare la matassa definendo metodo e merito, il nuovo formato e le nuove tematiche, affinché la nuova governance globale coinvolga davvero i cosiddetti “emergenti” anche nella risposta sistemica: non solo finanza ma anche e soprattutto ambiente, energia, alimentazione, quindi sicurezza e sviluppo sostenibile. Toccherà quindi soprattutto a noi tentare di riprendere l’agenda del Doha round, per dare finalmente prospettive e stimoli alla ripresa, e nel contempo definire la nuova formula, certamente a geometria variabile, che però non appaia del tutto confusionaria, come sinora s’è manifestata, con tavoli che si allargano e si restringono a secondo degli argomenti, e commensali che si aggiungono sotto diverse forme. A Londra si “infiltreranno” anche Spagna e Olanda, con una governance che rischia di diventare una Babele. Sino ad oggi i G7-G8 hanno rappresentato il Nord del pianeta: Stati Uniti e Canada, Gran Bretagna, Russia e Giappone sono intorno alla calotta artica, Germania e Francia e Italia nella sua prossimità geografica. Tutti i nuovi entranti stanno invece più a Sud alcuni anche nell’altro emisfero, addirittura vicino


all’Antartide. Messico, Brasile e Argentina rappresentano l’altra metà d’America, sino ad oggi esclusa dalla storia; Cina, Corea del Sud, e Indonesia rappresentano l’Altra Asia che torna nella storia; Arabia Saudita e Sud Africa i due Continenti meridionali: quello islamico e quello africano; l’Australia infine è la lontana Europa, così lontana che molti l’avevano dimenticata. Il G8 era la governance dell’Artico che dopo secoli è costretta a dividere il potere con Il nostro paese può Equatore e Antartide. Il mondo gira, le gerappresentare un link rarchie cambiano, gli assetti si spostano. È la equilibrato con i nuovi prima vera grande rivoluzione dalla scoperta entranti delle Americhe che spostò l’asse del pianeta dall’Eurasia all’Atlantico, al Nuovo Mondo, comunque sempre nel nostro emisfero. Stavolta entra in gioco l’altra metà della sfera, persino la lontana Oceania. Come definire i nuovi assetti senza perdere il nostro ruolo? L’Italia è il più piccolo dei G8, ma anche quello che meglio può rappresentare un equilibrato link con i nuovi entranti, per le sue vicende storiche, le sue capacità culturali, i suoi assetti religiosi e civili, la sua struttura sociale ed economica. La nostra storia ha coinvolto il Sud di allora, l’altra sponda del Mediterraneo e il Grande Medio Oriente, la nostra religione cattolica è per sua natura universale e ben presente tra i nuovi entranti, la nostra visione culturale è sempre accogliente, la nostra struttura sociale ed economica è fondata sull’economia reale e su un mix vincente ed equilibrato di industria, agricoltura, turismo, con oltre quattro milioni di imprese diffuse nel territorio e presenti proprio e soprattutto nei paesi emergenti che esaltano il “modello italiano”. Non siamo troppo grandi da essere ingombranti, non siamo troppo piccoli da essere insignificanti. In questo contesto, è meglio il formato dei G13, cioè dei G8 che si aprono ai 5 (Brasile, Messico, Cina, India e Sudafrica) con l’aggiunta, quando le condizioni politiche lo Nel contesto attuale è consentiranno, di un grande paese afro-islameglio un G13: gli 8 più mico come l’Egitto, che coniuga le esigenze Brasile, Messico, Cina, del Nord Africa e del Grande Medio India e Sudafrica Oriente. Quattordici paesi che rappresenterebbero insieme quasi il 75% dell’economia mondiale e nel contempo capaci di rappresentare efficacemente anche i nuovi continenti, i diversi poli di sviluppo e le nuove aggregazioni commerciali e istituzionali. Ove si stabilizzasse tale formula, lo stesso formato potrebbe poi essere riproposto per la riforma del Consiglio di sicurezza dell’Onu. E il mondo ritroverebbe un assetto più stabile ed equilibrato, efficace e rappresentativo per la nuova governance globale.

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Il trentacinquesimo vertice del G8 si terrà in Italia nel luglio di quest’anno, in un momento storico particolarmente complesso per l’economia del pianeta, ovverosia nel mezzo della più grave crisi economico-finanziaria dal dopoguerra ad oggi. Da molte parti ormai si mette in dubbio la reale effettività di questo forum

costituito all’epoca della Guerra Fredda (ed allargato alla Russia nel 1999) quando le più importanti economie del mondo erano tutte democrazie occidentali basate su sistemi di libero mercato. Paradossalmente la caduta del Muro di Berlino, la “fine della storia” e il trionfo della globalizzazione mondiale basata su un


L’ANALISI Paolo Quercia

Come cambiano gli equilibri di potere

La politica ai tempi del G20 Mentre il mondo occidentale avanza con il freno a mano tirato, nuovi attori si affacciano sulla scena mondiale. Paesi emergenti o grandi potenza di ritorno reclamano uno status nella gestione degli affari mondiali. Sullo sfondo della più grande crisi economica dal Dopoguerra ad oggi. DI PAOLO QUERCIA

modello estremizzato del capitalismo occidentale (definito da alcuni turbocapitalismo) hanno finito per produrre un mondo sempre meno basato sull’egemonia politica ed economica globale delle due sponde dell’Atlantico. A partire dagli anni Novanta, il processo di redistribuzione della potenza politica verso i paesi

emergenti si è fatto sempre più significativo. La parabola della Cina rappresenta il caso più evidente di tale fenomeno. Pechino si è inserita al quarto posto della graduatoria delle economie più industrializzate dopo aver superato il Pil pro-capite della Gran Bretagna ed è oramai imminente il superamento della

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Germania, che la precede ancora e il sistema economico mondiale di poco. Tale sorpasso avverrà costruito dall’Occidente. probabilmente nel corso del Se si guarda ad esempio alle ana2009, a meno che il rallentamen- lisi del Boston consulting group to dell’economia cinese registrato sui 100 big challangers, ossia sula fine 2008 non diventi significa- le cento multinazionali non octivo. Ma tale processo non riguar- cidentali che mettono in discusda solo la Cina. Al Canada, che sione la leadership dei grandi vantava un tempo il settimo pro- gruppi industriali occidentali, si dotto interno lordo mondiale osserva che ben 41 di queste pro-capite, si stanno avvicinando aziende sono cinesi, 20 sono inla Russia e il Brasile, l’India ha da diane, 13 brasiliane, 7 messicane poco realizzato il sorpasso sulla e 6 russe. Corea del Sud. È un fenomeno A queste potenze emergenti, che che un politologo indiano-ameri- qualcuno ha voluto accomunare cano, Fareed Zakaria, ha definito nel termine di Bric’s, ma che sono come “the rise of the rest”, ovverosia ben lungi dal rappresentare un blocco o un asse, quel processo – forse l’Occidente guarinarrestabile – che Fra i paesi emergenti da con un misto vede quantomeno vi è un gruppo di Stati di stupore e soda più di un decenspetto, rendennio il mondo meno in grado di elevarsi dosi conto che i industrializzato cre- al ruolo di potenze nuovi emergenti scere a ritmi impenequilibri econosabili per l’Occiden- politiche mondiali mici iniziano già te. Tra i 124 paesi del mondo in cui le economie nel a non coincidere più con gli as2006 e nel 2007 sono cresciute di setti di potere mondiali usciti dioltre 4 punti percentuali, i paesi ciotto anni fa dalla Guerra Fredindustrializzati si contano sul da. E sono, inoltre, sensibilmente palmo di una mano, mentre ben difformi da quelli su cui fu cotrenta di essi sono paesi africani. struito l’ordine internazionale Ma questa generalizzata crescita dopo il secondo conflitto mondel resto del mondo è natural- diale. Certo, l’Occidente geopomente un fenomeno altamente litico controlla ancora all’incirca asimmetrico. Ossia, ed è la cosa i 2/3 della ricchezza planetaria, più importante, nel blocco dei uno dei principali elementi ma124 paesi emergenti vi sono un teriali necessari per costruire la pugno di Stati non solo capaci di potenza politica, ma adesso fronemergere dal sottosviluppo eco- teggia un gruppo di paesi cosidnomico, ma potenzialmente in detti emergenti che produce già grado di elevarsi al ruolo di po- il 20% del reddito mondiale, tenze politiche ed economiche re- cresce da diversi anni ad una vegionali o persino mondiali, sfi- locità significativamente supedando l’unipolarismo americano riore ed include almeno 4 o 5 po-


L’ANALISI Paolo Quercia

tenze nascenti o di ritorno che portano a presagire ulteriori e più radicali cambi negli assetti mondiali di potere. Se si osserva la parabola della percentuale del Pil mondiale prodotta dall’Occidente negli ultimi trent’anni è possibile sviluppare alcune interessanti considerazioni. Gli anni Ottanta sono stati i grandi anni di crescita dell’Occidente nel mondo. Nel 1992, a pochi anni dalla vittoria della Guerra Fredda le economie industrializzate occidentali producevano quasi l’84% del Pil mondiale; poco più di 10 anni prima, nel 1980, gli stessi paesi si fermavano sotto il 70%. La globalizzazione degli anni Novanta ha sparigliato le carte. Nuovi attori sono emersi sulla scena mondiale ed Europa e Giappone, in particolare, hanno iniziato a non riuscire più a tenere il passo della crescita dell’economia mondo, avviando così il

processo di perdita di rilevanza su scala mondiale. Solo gli Usa continuavano a crescere in maniera importante, raccogliendo, così come i paesi emergenti, una buona parte dei dividendi del processo di globalizzazione. Dal 1992 al 1998, nonostante l’economia mondo crescesse in maniera sempre più forte, gli Usa hanno continuato addirittura ad aumentare la propria quota di Pil mondiale, passata dal 26% del 1992 al 29% del 1998. Il decennio successivo però racconta un’altra storia. Anche la quota americana di Pil mondiale ha iniziato a decrescere, ritornando sotto i livelli del 1992. Se osserviamo oggi il peso dell’Occidente complessivamente, non possiamo non constatare il processo di progressiva riduzione del peso dei paesi industrializzati sul sistema mondiale rispetto ai due decenni precedenti. Dopo la vittoria nella Guerra Fredda e due decenni di “occidentalizza-

IL LIBRO

Oltre gli Stati Uniti “Questo non è un libro sul declino dell’America, ma piuttosto sull’ascesa degli altri”. Così Fareed Zakaria inizia il suo nuovo, importante lavoro sull’era nella quale stiamo entrando. L’autore descrive con grande lungimiranza un mondo nel quale gli Stati Uniti non domineranno più l’economia globale, orchestreranno geopolitiche o sommergeranno culture. Vede “l’ascesa del resto” – la crescita di paesi come la Cina, l’India, il Brasile, la Russia e molti altri – come la grande storia del nostro tempo, una storia che rimodellerà il mondo. I palazzi più alti, le dighe più grandi, i telefonini più tecnologici sono tutti costruiti al di fuori degli Stati Uniti. Questa crescita economica produce sicurezza politica, orgoglio nazionale e, potenzialmente, problemi internazionali.

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Percentuali del PIL dell’Occidente e di altri paesi sul PIL mondiale nel periodo 1980 - 2007

Economie avanzate occidentali 1 Stati Uniti Giappone Cina Germania Gran Bretagna Francia Italia Spagna Canada Brasile Russia India

2007

1998

1992

1980

70% 25,2% 8% 6% 6% 5,1% 4,7% 3,8% 2,6% 2,6% 2,4% 2,3% 1,9%

79,9% 29% 12,9% 3% 7,3% 4,8% 4,9% 4% 2% 2% 2,8% 0,9% 1,3%

83,6% 26% 15,5% 1,7% 8,5% 4,4% 5,6% 5,2% 2,3% 2,5% 1,7% 0,3% 1,1%

69% 23,6% 8,9% 2,6% 7,0% 4,5% 5,8% 3,9% 2,2% 1,9% 1,3% n.a. 1,4%

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zione” del mondo i paesi industrializzati tornano ai valori di rilevanza economica mondiale su cui erano già attestati nel 1980. Beninteso, la semplice crescita economica del mondo non industrializzato non rappresenta di per sé un costo o un danno per i paesi occidentali. Anzi, lo sviluppo dell’economia mondiale apre nuovi mercati e consente di cogliere nuove opportunità per le industrie di paesi ad economie mature molto prossime alla saturazione. Vi sono però due questioni importanti di cui tenere conto. Da un lato il fatto che la crescita delle economie emergenti in un sistema aperto di concorrenza globale porta inevitabilmente ad un processo di deindustrializzazione dell’Occidente a causa del differenziale di competitività. Processo che deve essere

gestito con ristrutturazioni industriali di non sempre facile realizzazione e dai risvolti economici e sociali non trascurabili. Dall’altro, e forse è il fattore più importante, occorre tener presente che una prolungata crescita economica porta inevitabilmente nel medio periodo ad una maggiore assertività di tipo politico che, nel lungo periodo, può tradursi nello sviluppo di ambizioni e progetti concreti volti ad aumentare il potenziale militare. La Cina, ad esempio, dal 2000 al 2008 ha aumentato la propria spesa militare di oltre il 140% superando in termini assoluti paesi come la Germania, la Francia e il Giappone. La crescita militare di Pechino non è un dato isolato, ma va contestualizzato in un trend mondiale: dal 2000 al 2008 le spese militari mondiali


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sono cresciute di ben il 38%. Un nente nel G8 almeno di alcuni trend di crescita imponente che paesi del G20, Brasile, Cina, Innegli ultimi otto anni solo gli dia, Messico, Sud Africa in partiStati Uniti hanno avuto ma che colare. Un’altra opzione potrebbe nel caso americano era in buona essere quella di attribuire parte parte dovuto ai costi operativi dei delle funzioni del G8 al G20, un conflitti in Iraq e Afghanistan ol- percorso in parte preparato al tre che a quelli per il rimpiazzo summit G20 di Washington delper usura bellica di una parte si- lo scorso anno, quando il livello gnificativa dello strumento mili- delle rappresentanze è stato intare Usa. Per la Cina esso ha inve- nalzato da quello dei ministri ce rappresentato una scelta di mi- economico-finanziari a quello dei litarizzazione in tempo di pace Capi di Stato e di governo. La che sicuramente ha finito per au- presidenza britannica del G20 mentare il potenziale militare di potrebbe ulteriormente acceleraPechino migliorandone il peso re tale processo nel corso del previsto summit di politico globale. Londra dell’aprile Non può dunque L’Occidente deve 2009. stupire il fatto che Questi tre processi parallelamente alla includere i paesi – crescita econoredistribuzione so- emergenti in una mica, ambizioni stanziale della popolitiche, protenza politica si av- comune cornice grammi di svilupvii un processo di politica e di sicurezza po militare – sono trasformazione anche “formale”, in senso multipo- già in corso per la maggior parte lare degli equilibri, in seno alle dei paesi emergenti, in quanto la principali istituzioni internazio- modifica negli equilibri econonali che favorisca i paesi emer- mici mondiali avvenuta negli genti o le potenze di ritorno. Tale scorsi decenni e tutt’ora in corso fenomeno è evidente anche nei ha prodotto un naturale desiderio processi di riforma delle organiz- nelle nascenti o rinascenti potenzazioni ed istituzioni internazio- ze di vedersi riconoscere uno stanali quali il Consiglio di sicurez- tus ed un’influenza superiori nella za delle Nazioni unite, nel dibat- politica e nella gestione degli aftito sull’allargamento del G8 al fari mondiali. G20 e nella richiesta di ristruttu- Alla luce di quanto sopra, plastirazione delle maggiori istituzioni camente rappresentato dalla confinanziarie internazionali che at- correnza del G20 al G8, è correttualmente sono dominate da to parlare della progressiva afferamericani ed europei. La crisi fi- mazione di un nuovo mondo nanziaria esplosa nell’autunno del post-occidentale? 2008 funge da acceleratore di Di crisi o declino dell’Occidente questo processo e potrebbe presto – o del capitalismo – si parla peportare all’incorporazione perma- riodicamente e ciclicamente e

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molto spesso in passato tali valu- dotati di vastissimi territori, catazioni si sono rivelate palese- pacità militari e soprattutto di mente infondate. Ora se ne parla una sovrabbondanza di popolacon sempre più frequenza e quasi zione capace allo stesso tempo di certezza. È interessante osservare fungere da forza lavoro in ecceche in Cina tale dibattito nasce denza a basso costo e da ampio addirittura nella seconda metà mercato di consumo interno. Cidegli anni Ottanta quando gli na ed India, così come Russia e strateghi e i consiglieri politici Brasile, sono rimaste fuori dalcinesi di Deng Xiaoping già in- l’economia mondiale per l’intero travedevano la fine del mondo bi- Ventesimo secolo. Con il complepolare, il declino statunitense e tamento del dispiegamento delle l’affermarsi della Cina come po- reti della globalizzazione su scala tenza mondiale. Il forte elemento mondiale, questi giganti un temdi novità oggi è costituito certa- po dormienti sono riusciti a rimente dall’emergere dell’Asia e proporsi come fondamentali attorappresenta sicuramente un feno- ri nella competizione planetaria basata sulla logimeno di lungo peca del “mondo riodo e una delle più L’Occidente deve piatto” raccontaampie sfide che includere i paesi ta da Thomas l’Europa e gli Usa si Friedman, uno troveranno ad af- emergenti in una dei più lucidi frontare nei prossi- comune cornice cantori della glomi decenni. Per balizzazione e dei quanto riguarda politica e di sicurezza suoi effetti. l’Europa, dal punto di vista economico, la sfida alla Pur essendo ancora, e probabilleadership mondiale non è una mente destinati a rimanerlo per novità nella storia del nostro con- almeno un altro paio di decenni, tinente. L’Europa ha infatti dovu- l’unica vera superpotenza monto fronteggiare già in passato l’af- diale, gli Stati Uniti, sta inconfermarsi di potenze extra euro- trando già oggi resistenze propee, da quella americana fino al gressivamente maggiori nel persorgere di altre potenze economi- seguimento dei propri interessi che regionali che di volta in volta nazionali proprio a causa della hanno messo a dura prova la com- crescita geopolitica dei paesi petitività del vecchio continente. emergenti unita allo stallo econoÈ il caso del Giappone, della Co- mico e politico dei propri tradirea del Sud, di Taiwan ed altri zionali alleati. In parte, il fenopaesi ancora. Ma è chiaro che meno è imputabile allo stesso l’emergere in Asia di due nuove successo incontrato dall’America grandi superpotenze come la Ci- nell’esportare il proprio sistema na e l’India pone questa volta economico liberoscambista, intequestioni diverse a causa della grando nella globalizzazione tutti stazza “imperiale” di questi Stati i principali avversari di un tempo


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e le culture più diverse. Successo che si è affermato con particolare dinamismo soprattutto negli anni Novanta, spinto dal turbo-capitalismo di matrice anglosassone mosso anche dalla convinzione che la globalizzazione del mondo avrebbe radicalmente modificato le società dall’interno, trasformando gli avversari di un tempo in partner economici prima e in alleati poi. In realtà, si è potuto osservare che questo processo è molto più articolato e complesso di quanto in molti pensarono agli inizi degli anni Novanta, e che molti paesi emergenti hanno utilizzato le opportunità e i benefici della globalizzazione, importando selettivamente solo alcuni aspetti dei modelli socio-economici occidentali. Ciò allo scopo non di contribuire a scrivere la “fine della storia” bensì per rafforzare le proprie identità politiche, ideologiche, culturali, religiose e geopolitiche anche in senso antagonista rispetto agli interessi degli Stati Uniti e dei loro tradizionali alleati occidentali. La grande sfida che si apre ora per l’Occidente è quella non tanto di contenere lo sviluppo economico dell’Asia quanto quello di assicurare che tale sviluppo economico sia il più possibile ricompreso all’interno di una comune cornice politica e di sicurezza, come avvenuto in passato con l’inserimento nell’Occidente politico di paesi quali la Germania, l’Italia, la Spagna, la Turchia, il Giappone, la Corea del Sud, Taiwan. Una grande sfida che deve innanzitutto fare i conti con il complesso

incrocio tra le conseguenze del ventennio della turbo-globalizzazione con quelle che produrrà l’attuale, gravissima crisi finanziaria ed economica. Crisi che, forse per la prima volta nella storia del mondo, è una crisi globale che colpisce le economie di pressoché tutti i paesi, in declino o emergenti e non è dato prevedere in che modo si rifletterà sugli assetti geopolitici e geoeconomici mondiali.

Note 1

Con la definizione di economie avanzate occi-

dentali si intende il gruppo composto dai seguenti paesi: Australia, Austria, Belgio, Canada, Cipro, Corea del Sud, Danimarca, Finlandia, Francia, Grecia, Germania, Giappone, Irlanda, Islanda, Israele, Italia, Lussemburgo, Norvegia, Nuova Zelanda, Paesi Bassi, Portogallo, Regno Unito, Singapore, Slovenia, Spagna, Stati Uniti, Svezia, Svizzera e Taiwan. Nelle statistiche sono computati anche i dati di Hong Kong Sar.

L’Autore PAOLO QUERCIA È analista di relazioni internazionali ed esperto di questioni strategiche e di sicurezza. Si occupa in particolare dell'area dell'Europa sud orientale e delle regioni limitrofe del Caucaso e del Mediterraneo orientale. È consulente del Centro alti studi difesa e commenta periodicamente su tematiche di affari internazionali per numerose tastate giornalistiche italiane e straniere. È responsabile affari internazionali della Fondazione Farefuturo.

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G8 A GEOMETRIE

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a presidenza italiana del vertice de La Maddalena dovrà gestire un’agenda globale molto complessa. La crisi economica e finanziaria deve essere governata senza cedere a tentazioni protezionistiche. Le insicurezze di natura economica, ambientale e fisica sentite dai cittadini chiedono risposte concrete. È necessario coinvolgere nelle istituzioni della governance mondiale le nuove economie emergenti. Per questo l’Italia propone un G8 flessibile, che associ attori diversi a seconda dei temi trattati. DI FRANCO FRATTINI

Il G8 italiano cade in un momento particolarmente delicato ed importante della congiuntura internazionale per diversi motivi: la crisi finanziaria ed economica globale; il cambio della presidenza negli Stati Uniti; il nuovo ruolo negli equilibri internazionali delle economie emergenti. La sfida per l’Italia sarà di riuscire a gestire un’agenda globale già di per sè molto complessa, e non limitata alla pur prioritaria crisi economico-finanziaria, in un contesto in costante evoluzione. Il punto di partenza è il gap accumulatosi tra la crescente doman-

da di governance che il mondo complesso oggi impone, da un lato; e la capacità, insufficiente, dei governi nazionali e delle istituzioni internazionali di rispondervi adeguatamente, dall’altro. La domanda di governance è legata alle crescenti insicurezze dei cittadini, alle “paure” che il mondo interdipendente ha portato e che abbiamo scoperto soprattutto negli ultimi anni dopo una lunga fase di “euforia” della globalizzazione. Le nuove insicurezze sono di carattere economico (la crisi globale), ambientale (il cambiamento climatico) e fisico (terrori-


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VARIABILI

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smo, criminalità, immigrazione illegale). Ad esse occorre che i governi forniscano risposte concrete. Ad esse vogliamo in primo luogo che il G8 di cui siamo presidenti sappia offrire risposte convincenti. Ovviamente al centro dell’agenda del nostro G8 ci sarà la crisi economico-finanzaria con tutti i suoi risvolti. La crisi attuale è globale, non risparmia nessuno. Inutile illudersi che possa essere affrontata con misure parziali ed essere risolta in tempi brevi. La sua soluzione richiede una risposta globale e sistemica. Sono necessarie re-

gole più efficaci e stringenti per il funzionamento dei mercati finanziari. È ciò di cui si sta occupando il G20 che si riunirà nuovamente al massimo livello il 2 aprile prossimo a Londra. Ma è necessario individuare nuovi parametri per assicurare il funzionamento e la sostenibilità delle economie nazionali in un mondo che l’interdipendenza ha reso più piccolo. Al G8 spetterà di approfondire le interazioni tra crisi finanziaria ed economia globale, gli aspetti macro-economici complessivi della crisi. G8 e G20 possono lavorare insieme per un ap-


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proccio coordinato per rilanciare la crescita globale e porre le premesse per una riforma, ormai ineludibile, delle istituzioni finanziarie internazionali create a Bretton Woods. Dal G8, così come dal G20 dovrà provenire un messaggio chiaro contro il pericolo sempre più acuto di ritorno al protezionismo e al nazionalismo economico ed in favore del rilancio del Doha Round: quest’ultimo richiederà tuttavia un impegno condiviso da parte di tutti, paesi sviluppati ed economie emergenti. L’economia aperta è un bene per tutti se viene sostenuta da tutti, senza eccezioni. Un’altra priorità è rappresentata dal cambiamento climatico. La presidenza italiana intende contribuire al successo della confe-

renza delle Nazioni unite di Copenaghen per la definizione di un accordo globale post-Kyoto sul clima. L’Europa ha fatto da apripista nell’auto-fissarsi ambiziosi obiettivi ambientali. Il “nuovo corso” annunciato dal presidente Obama sui temi ambientali pone oggi le premesse per la creazione di un’ asse transatlantico che potrà dare impulso al negoziato ambientale globale. Il G8 attraverso il foro MeM (major economies, che raggruppa paesi industrializzati ed economie emergenti) giocherà un ruolo centrale: è infatti indispensabile anche la partecipazione e condivisione delle responsabilità da parte delle economie emergenti per un accordo globale sul clima. Un accordo che dovrà coniugare gli obiettivi ambienta-


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li con la crescita attraverso nuovi primo, i fatti di Mumbai ne haninvestimenti nel settore delle tec- no tristemente rchiamato l’attualità. Il terrorismo deve essere afnologie pulite. Sviluppo, terrorismo e non proli- frontato con un approccio olistiferazione saranno centrali nella co ed una efficace strategia prenostra agenda. Dobbiamo evitare ventiva. La presidenza italiana che la crisi economico-finanziaria del G8 promuoverà un’iniziativa penalizzi l’Africa in termini di per meglio raccordare le politiattenzione politica e per quanto che nazionali ed internazionali riguarda le politiche degli aiuti. sui diversi fattori destabilizzanti Molti paesi dell’Africa, prima nazionali e transnazionali, dal della crisi, stavano crescendo da traffico di droga, armi, alle midiversi anni ad un ritmo del 5% grazioni illegali e riciclaggio del annuo. Dobbiamo evitare che danaro sporco. Il ruolo del G8 su questo percorso virtuoso venga questi temi è già oggi particolarinterrotto e continuare ad aiutare mente importante: un esempio chiaro di success quella parte del story è rappresenmondo, circa un La crisi attuale tato dal Gruppo miliardo di persone, concentrato so- non risparmia nessuno Roma/Lione, che riunisce esperti e prattutto in Africa, e la sua soluzione funzionari goverche non sono anconativi in materia ra uscite dal sotto- richiede una risposta di lotta al terroris v i l u p p o . A l l o globale e sistemica smo, alla criminastesso tempo dobbiamo guardare alle esigenze di lità organizzata ed al traffico di sviluppo dell’Africa in un’ottica stupefacenti. L’Italia intende più ampia, per poter mobilitare inoltre rafforzare il ruolo del Cgat l’insieme degli strumenti (par- (Counter terrorism action group), tneriati pubblico-privati, coope- l’organismo di raccordo in tema razioni triangolari con le econo- di terrorismo, creato nel quadro mie emergenti) ed attori (enti lo- del G8 ma che vede la partecipacali, Ong, settore privato) in gra- zione anche di altri paesi e rapdo di generare sviluppo. La presi- presentanti delle Nazioni unite denza italiana organizzerà un’ap- ed altri organismi multilaterali. posita sessione di outreach con i Sulla non proliferazione intendialeaders dei paesi africani per ricer- mo dare un impulso decisivo alla care soluzioni comuni a problemi rivitalizzazione dello spirito mulche noi sentiamo comuni. Dob- tilaterale, anche in vista della biamo ascoltare di più i nostri Conferenza di revisione del Tratamici africani e renderl co-parte- tato di non proliferazione che avrà luogo nel 2010. Abbiamo cipi delle politiche globali. Terrorismo e non proliferazione bisogno di rafforzare il regime sono oggi le principali sfide alla multilaterale in un mondo dove sicurezza. Per quanto riguarda il proliferare è diventato più facile.

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Questi sforzi avranno maggiore ne, al narcotraffico che poi influicredibilità se accompagnati da scono anche sulla stabilità globaprogressi paralleli sul fronte del le. Una di queste crisi riceverà disarmo. Contiamo molto sul particolare attenzione da parte ruolo indispensabile della nuova nostra: l’Afghanistan. Nel quadro amministrazione Usa nel pro- di una strategia che per essere muovere l’agenda del disarmo e vincente non può essere solo midella non proliferazione. Il nego- litare, ma deve essere comprehensiziato multilaterale si gioverebbe ve, intendiamo rilanciare la dienormemente da un rilancio mensione politica regionale del dell’agenda strategica bilaterale conflitto organizzando un’appositra Stati Uniti e Russia. I primi ta iniziativa di outreach del G8 segnali della nuova amministra- sull’Afghanistan, che coinvolga zione americana e la risposta rus- in progetti comuni anche i diversa sono al riguardo incoraggianti. si paesi della regione – dall’India, L’Italia e l’Europa hanno un ruolo al Pakistan, alla Cina – ed altri importanti stakeda giocare per inholders (ad esempio coraggiare questo Le istituzioni globali l’Arabia Saudita, processo ed elimigli Emirati e l’Aunare le cause di devono essere sentite stralia). Si tratta di frizione tra Russia più vicine ai bisogni mettere a punto ed Occidente sui una strategia di temi della sicurez- dei cittadini e alle loro surge regionale, che za europea. esigenze concrete includa un impeL’impegno del G8 sulla non proliferazione nucleare gno raccordato di questi paesi per si coniuga anche con quello, più quanto riguarda la gestione del ampio, contro la diffusione delle controllo delle frontiere, la lotta armi di distruzione di massa nel al narcotraffico e al riciclaggio, il quadro della cosiddetta global ristabilimento di un clima di fipartnership. È un impegno del G8 ducia tra i paesi della regione. Un di grande rilievo finanziario oltre contesto regionale cooperativo è che politico (20 miliardi di dolla- una cornice indispensabile per il ri in 10 anni: l’Italia si è impe- successo dei nostri sforzi di stabignata per un miliardo di euro ed lizzazione in Afghanistan. ha già avviato un progetto da 360 La crisi di Gaza ha confermato l’urgenza di rilanciare il processo milioni nel settore nucleare). Non può esserci sicurezza globale politico-diplomatico in Medio senza la sicurezza regionale. La si- Oriente. Nella sua drammaticità curezza regionale si riferisce so- la crisi può aprire nuove opportuprattuto all’arco di crisi dal Me- nità per una soluzione basata su dio Oriente all’Afghanistan. È in tre obiettivi tra essi legati ed irriquest’area che si concentrano i nunciabili: la sicurezza di Israele, principali fattori di insabilità - la creazione di uno Stato palestidal terrorismo, alla proliferazio- nese democratico e sostenibile, la


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normalizzazione dei rapporti tra gli Stati della regione. Il G8 non ha un ruolo diretto nel processo di pace. Può tuttavia accompagnare utilmente quest’ultimo con iniziative coordinate ed inclusive in campo umanitario e nell’assistenza all’institution-builiding del futuro Stato palestinese che deve coinvolgere gli stessi paesi della regione, inclusi gli Stati del Golfo. È una responsabilità alla quale l’Italia non verrà meno. Abbiamo un ruolo centrale , grazie al nostro impegno militare in Libano e diplomatico nell’intera regione che intendiamo far valere. È evidente che ci troviamo di fronte ad una fase allo stesso tempo fluida e cruciale per quanto riguarda la definizione degli assetti internazionali.

Il mondo è diventato meno incentrato sull’Occidente ed il numero degli attori chiave si é allargato. È chiara l’esigenza di integrare più pienamente le economie emergenti nelle strutture della global governance e nel G8 stesso. L’Italia è consapevole ed aperta a questa prospettiva. Intendiamo lavorare in stretto raccordo con il G20 ricercando le possibili sinergie. Si dovrà pensare ad un ampliamento delo stesso formato del G8 a partire da quei cinque paesi (Cina, India, Brasile, Messico e SudAfrica) che sono già stati associati strettamente attraverso il processo di Heiligendamm ed includendovi l’Egitto in rappresentanza del mondo islamico moderato. Il vertice della Maddalena darà un

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segnale importante per associare più strettamente questi paesi ai lavori del G8. Per quanto riguarda l’allargamento formale di quest’ultimo occorrerà il consenso anche degli altri membri del club. L’integrazione delle economie emergenti dovrà in ogni caso essere accompagnata da un’assunzione da parte di queste ultime di chiare responsabilità per quanto riguarda la gestione della sicurezza globale e la condivisione degli oneri della governance. Bisogna allo stesso tempo essere consapevoli che nessun formato, neppure un G8 allargato, sarebbe tuttavia in sè sufficientemente autorevole per risolvere i diversi e complessi problemi dell’agenda globale. Ci sarà bisogno di flessibilità e “geometrie variabili”. Per questo motivo l’Italia intende valorizzare nella sua presidenza il concetto di outreach: c’è l’esigenza di associare un numero più ampio di players a seconda dei temi trattati. Va inoltre aggiunto che il progressivo allargamento dei formati e delle istituzioni globali, pur auspicabile e necessario, non può da solo bastare per rafforzarne l’efficienza e la capacità di delivery. Basta guardare all’esempio dell’Omc, dove, sebbene quasi tutti i paesi siano rappresentati, siamo cionondimeno ad un impasse nel negoziato del Doha Round. Insieme all’allargamento della rappresentatività delle istituzioni e dei formati è necessario un approfondimento per quanto riguarda la capacità di agire delle istituzioni stesse. Queste ultime vanno

dotate delle risorse e degli strumenti necessari per decidere ed agire. A cominciare dalle istituzioni di Bretton Woods. La credibilità delle istituzioni è legata anche al rafforzamento della loro responsabilità (accountability). È questo un tema già evidenziato all’ultimo vertice del G8 di Hokkaido e che l’Italia intende sviluppare ulteriormente. Le istituzioni della global governance devono rendere conto in maniera più chiara degli impegni assunti di fronte alle opinioni pubbliche. Abbiamo bisogno di far sentire le istituzioni globali più vicine ai cittadini e alle loro esigenze concrete. È questo, al di là dei dibattiti spesso troppo teorici e retorici sulla governance e i suoi diversi formati, il senso principale che l’Italia vuole dare alla propria presidenza del G8.

L’Autore FRANCO FRATTINI Ministro degli Affari esteri. È stato membro del Partito socialista italiano e ha collaborato al quotidiano Il Manifesto. Segretario generale della presidenza del Consiglio dei ministri durante il governo Berlusconi I, è stato ministro della Funzione pubblica e degli Affari regionali del successivo governo Dini. Nel 1996 si dimette dall’incarico di governo per candidarsi alle elezioni politiche con il Polo per le libertà, nella lista di Forza Italia. Dal 2002 al 2004 è stato ministro degli Affari esteri del governo Berlusconi II, del quale era già componente dal 2001 in qualità di ministro della Funzione pubblica. Dal novembre 2004 al maggio 2008 è stato vicepresidente della Commissione europea e Commissario europeo alla Giustizia, libertà, e sicurezza.


L’ANIDRIDE CARBONICA? CHE TORNI DA DOVE È VENUTA.

LIMITIAMO LE EMISSIONI DI CO2 CON LE NUOVE TECNOLOGIE DI CATTURA E SEQUESTRO. Produrre energia in modo compatibile con l’ambiente è possibile solo continuando ad investire in innovazione e tecnologia. Anche per limitare le emissioni di CO2 prodotte da combustibili fossili. È naturale che partecipiamo ai progetti di ricerca europei sulla cattura e sequestro della CO2, e che siamo impegnati con studi e progetti pilota, come quello del primo impianto industriale italiano per la cattura della CO2 a Brindisi, in grado di rimuovere dalle emissioni della centrale fino a 2,5 tonnellate di CO2 l’ora. È naturale riportarla da dove viene: negli strati più profondi del sottosuolo. Stiamo innovando per cambiare tutto, tranne l’ambiente. www.enel.it/ambiente

LA VERA RIVOLUZIONE È NON CAMBIARE IL MONDO.


UN’OPPORTUNITA’ DI EMMA BONINO

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l mondo si sta ristrutturando, e lo sta facendo in fretta. Al di là dei vari formati G8, G13 o G20, le grandi potenze hanno ripreso a discutere e a muoversi sulla base di formati ancor più ristretti. È chiaro che la competizione non si giocherà sul buon senso, ma sui rapporti di forza, sulla capacità delle diplomazie rispettive di creare alleanze e una nuova visione della governance globale. Se c’è un momento in cui il governo italiano non deve distrarsi e perdere di vista la posta in gioco per il futuro dell’Italia, questo momento è adesso. Negli ultimi dodici mesi il mondo è stato preso alla sprovvista più di una volta. Prima dalla crescita dei prezzi delle derrate alimentari, poi dalla corsa del petrolio verso i 150 dollari a barile, infine dal crollo di un intero sistema finanziario fatto di colossi dai piedi d’argilla. Una sequenza che ha reso evidente la grande contraddizione di questo inizio

millennio: quello di un’economia globale da Ventunesimo secolo che deve fare i conti con una politica internazionale ferma al Ventesimo. A fronte di questi repentini sviluppi frutto di più variabili, ci si è limitati a fare il possibile invece dell’auspicabile. La reazione è stata spesso tardiva, sempre contingente, cercando di tamponare le


L’INTERVENTO Emma Bonino

DA DA NON NON PERDERE PERDERE


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crisi, continuando a seguirne gli zioni Unite, ma anche di riforma sviluppi ma con scarsa capacità di dell’Organizzazione mondiale del intervento e di risposte sistemi- commercio, o del Fondo monetache, quasi fossero catastrofi natu- rio internazionale. Tutte le magrali, come una colata vulcanica o giori istituzioni internazionali un maremoto. Non voglio negare sono ormai sotto scrutinio, e ci si che alcune decisioni importanti interroga su come ripensarle e risiano state prese, ma a livello in- fondarle a partire dal nuovo conternazionale raramente siamo riu- testo globale, pena la loro inutilisciti ad andare al di là del coordi- tà a medio e forse anche breve ternamento minimo indispensabile. mine. In tutto questo, il G8 non Vale a dire che, di fronte a sfide può certo fare eccezione. L’Italia globali, abbiamo messo in campo si ritrova così al cuore di un’evoazioni e strategie per lo più na- luzione storica, e con una grande zionali. Poi, certo, abbiamo an- opportunità: quella di essere tra che organizzato conferenze regio- i protagonisti di questa nuova riflessione (e azionali e tavoli negone) internazionale z i a l i ; a b b i a m o Siamo davanti ad una che mira a dare al mobilitato organizzazioni e agen- nuova riflessione globale mondo un assetto zie internazionali. che mira a dare al mondo capace di rispondere alle crisi atMa non per raccortuali e soprattutto darci, bensì per nuove regole e l’Italia raccontarci tra pae- può essere protagonista a prevenire quelle future. si quello che staNon c’è dubbio che fenomeni vamo facendo. La crisi alimentare è in parte nuovi e complessi imposti dai ritrientrata, il prezzo del petrolio è mi incalzanti della globalizzaziotornato a scendere. Ma sono con- ne – in Italia basti pensare a quelvinta che la risposta necessaria a lo dell’immigrazione che sta dequesti andamenti, a queste due terminando una politica all’insecrisi, per non parlare di quella fi- gna della paura più che una genanziaria – che si è già trasforma- stione seria condotta con struta in recessione – implicherà a menti culturali e politici modertermine ben altro sforzo rispetto ni all’altezza della circostanza – a quello profuso finora. Ciò che costringono a maggiore coordinamanca è un sistema di governance mento e a forme di governance adeguato al mondo del 2009, non condivise. Purtroppo, gli Stati del 1989, né tanto meno del Uniti d’Europa non sono all’orizzonte e nessuno – a parte noi ra1949. Quest’anno gli occhi dell’Italia dicali – sembra porsi seriamente sono rivolti al G8, e comprensi- questo obiettivo. Sicché, i singoli bilmente, dato che siamo noi ad Stati rimangono gli unici attori averne la presidenza di turno. Si inadeguatamente disponibili. Ma parla da anni di riforma delle Na- è proprio perché siamo incapaci


L’INTERVENTO Emma Bonino

di avere uno “Stato europeo” che po sempre più lunga e densa, e ci stiamo inventando tante for- anche sempre meno credibile, mule alternative. Attenzione pe- non ultimo per il mancato manrò ad evitare che queste alchimie tenimento – da parte degli stessi non ci portino a diventare del capi di Stato e di governo – delle tutto irrilevanti rispetto a crisi tante promesse messe su carta. Questo clima di informalità, quenuove e dirompenti. Per il nostro paese, la sfida è du- sta capacità di arrivare tra paesi plice. Non si tratta solamente, cosiddetti like-minded a una visioinfatti, di contribuire alla crea- ne comune su alcune questioni zione di una nuova “capacità glo- fondamentali, è ciò che ha perbale” per far fronte alle crisi. C’è messo al G8 di preservare una sua anche un chiaro interesse nazio- specificità e soprattutto una sua nale a mantenere un ruolo sulla utilità nel panorama sempre più scena internazionale. Il mondo ricco delle organizzazioni interpotrebbe non essere lo stesso già nazionali, a partire dalla grande famiglia Onu. alla fine del 2009, Oggi, tuttavia, o in pochi anni a Portare al tavolo dei continuare come venire. Potremmo se nulla fosse non scoprire la nostra grandi le economie sarebbe più di irrilevanza. È im- emergenti è necessario grande utilità. Un portante capire che quello che è in gio- per cercare di affrontare G8 come quello che abbiamo coco non è un inte- le grandi sfide globali nosciuto finora resse nazionale tra i tanti, ma rappresenta l’interesse servirebbe a poco, o comunque nazionale per eccellenza. Restare servirebbe sempre meno. tra i paesi che influenzano le de- Il fatto che non esista un trattato cisioni europee e internazionali è costitutivo del G8, né un suo sel’obiettivo che dovremmo avere gretariato stabile rappresenta tutti a cuore dal momento che un’opportunità. Grazie a queste due peculiarità, il G8 rappresenta nessuno ci farà sconti. Dalla metà degli Anni ’70 in poi, potenzialmente l’unico foro sulla il G7 prima e il G8 poi sono ri- scena internazionale che almeno masti un foro di dialogo informa- sulla carta potrebbe essere riforle, nel corso del quale, una volta mato ad una velocità simile a l’anno, i capi di Stato e di gover- quella a cui si sviluppano le crisi no dei maggiori paesi industria- globali del Ventunesimo secolo, e lizzati hanno avuto l’occasione di di conseguenza ad una velocità siconfrontarsi liberamente, scam- mile a quella a cui ci sarebbe bibiandosi battute e visioni del sogno di dare risposte. Si tratta di mondo. Ogni vertice ha prodotto una possibilità unica, che andrebuna dichiarazione finale, con li- be sfruttata appieno. nee d’azione e impegni concreti, Nell’immaginario collettivo, il che tuttavia è diventata col tem- G8 è una foto tra i grandi della

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Terra. Ma la vera dimensione non può restare che quella profonda, carsica, della diplomazia. Non può che essere quella di un confronto genuino e di un riavvicinamento reale, tra diverse posizioni nazionali di attori influenti su scala globale, su temi cruciali di politica ed economia internazionale. Come possiamo, allora, garantire tutto ciò? Come può il vertice de La Maddalena diventare un passaggio cruciale nella ridefinizione degli equilibri globali? A mio avviso, ci sono due direzioni fondamentali verso cui l’Italia dovrebbe spingere per trasformare il G8 in un formato utile alla governance globale del 2009 e degli anni a venire. La prima direzione riguarda il metodo di lavoro. Non è più concepibile, né salutare, produrre dichiarazioni fiume, che contengono impegni su tutto e che comunque nessuno legge: non certo i cittadini, ma neppure le amministrazioni, la stampa e – sospetto – neppure diversi degli stessi capi di Stato e di governo che le sottoscrivono! C’è invece bisogno di concentrare il livello di attenzione e le risorse su alcune grandi questioni, sbarazzandosi del “complesso dell’esaustività”. Una dichiarazione di tre pagine, non di trenta, basterebbe. E soprattutto costringerebbe a mettere su carta le misure da adottare per i problemi più urgenti. Questa nuova impostazione sarebbe pienamente conforme allo spirito G8 e frenerebbe la deriva degli ultimi anni, fatta di

un linguaggio e di una retorica ufficiale diventata sempre più simile a quella di tante organizzazioni internazionali. La volontà, o la mancanza di volontà, dei paesi G8 non deve più essere mascherata o sepolta dentro testi lunghi, noiosi, illeggibili. La seconda direzione da intraprendere, ancora più importante della prima, riguarda il numero e la “qualità” dei paesi chiamati a sedersi attorno al tavolo. Il dibattito sull’allargamento del G8 sta prendendo piede, e le capitali si stanno muovendo da tempo. Ma non è ancora chiaro cosa succederà a La Maddalena, e soprattutto cosa accadrà dal giorno dopo. L’Italia è stata la prima, in passato, a proporre un formato G8 allargato alle nuove economie emergenti. Pensare di affrontare all’inizio del Ventunesimo secolo le grandi questioni globali senza


L’INTERVENTO Emma Bonino

Cina o India suona sempre di più ridicolo. Ma l’allargamento del G8 a G10 o G13 – dato che assieme ai due colossi asiatici il G8 ha già sviluppato un dialogo importante con Brasile, Messico e Sud Africa – non è un passaggio immediato, o privo di conseguenze. Va preparato con cura, per fare in modo che sia tempestivo ma non per questo improvvisato. Portare al tavolo dei grandi le economie emergenti non è più una scelta. Semplicemente, è necessario per poter provare ad affrontare le grandi sfide globali, che si tratti dell’economia internazionale, del clima, dell’energia, dello sviluppo dell’Africa. Per la nuova impostazione del G8, però, non basta mandare un invito a Pechino o Nuova Delhi o Città del Messico per tre giorni di sole e buona cucina a La Maddalena a luglio. Serve preparare il processo

– da una parte – per fare in modo che il clima di cordialità e informalità dei vertici G8 venga preservato e che i commensali attorno al tavolo continuino a sentirsi ad un pranzo informale tra pochi, invece che ad un ricevimento ufficiale; e dall’altra – per sviluppare progressivamente nei nuovi invitati un senso di appartenenza non solo alla comunità di chi conta, ma anche alla comunità di chi deve rendere conto. Teniamo sempre bene in mente, infatti, che se il G8 non si è ancora pienamente trasformato in G13 non è solo per le resistenze di alcuni dei membri storici del club. Lo è anche per le resistenze di alcune grandi economie emergenti ad assumersi nuove responsabilità globali. Non si tratta di un dettaglio, ma di un dato strutturale che tutti i fautori unilaterali dell’allargamento del G8 dovrebbero avere bene in mente. Anche per l’allargamento del G8 vale il detto inglese you need two to tango. Rispetto a queste due direttrici, la presidenza italiana del G8 dovrebbe muoversi in fretta. Anche perché il resto del mondo non sta certo ad aspettare noi. Il rischio che vedo, infatti, è che alla fine di questa fase di ridefinizione generale degli assetti internazionali, l’Italia potrebbe ritrovarsi in una posizione periferica e marginale. Così come l’Italia ha la presidenza del G8, il Regno Unito ha, nel 2009, la presidenza del G20. Fino allo scorso novembre, fino cioè al primo vertice di Washington convocato a livello di capi di Stato e di governo, il G20 si riuniva

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solo al livello di ministri delle Finanze, e in generale anche con scarsi risultati. Brown, invece, ha già convocato un nuovo vertice per il 2 aprile, ed è difficile ipotizzare che l’agenda si limiterà alle questioni finanziarie. In questa fase di ridefinizione generale dei temi da affrontare e dei formati migliori per affrontarli, il rischio

per l’Italia diventa quindi evidente e serio: ed è che un rafforzamento del G20 inglese svuoti di fatto il G8 italiano di gran parte dei suoi contenuti. Sarebbe drammatico se la riflessione dell’Italia sull’allargamento da G8 a G13, così come la sua riflessione sulle priorità del G8 per quest’anno, fosse resa obsoleta nei fatti dal vertice G20 di Londra in programma ad aprile. Si sa che in casi come questo le diplomazie si muovono, e che tutti – in pubblico – parlano solo di coordinamento, collaborazione, sinergia. Ma si sa pure che non esistono sconti quando c’è in gioco l’interesse nazionale, o quello personale di un primo ministro, soprattutto quando è in ballo la sua stessa sopravvivenza politica. Questi primi sei mesi del 2009 saranno per il futuro dell’Italia particolarmente delicati. Non possiamo distrarci, né possiamo essere timidi. Non è solo il ruolo del paese ad essere in discussione. Il formato G20 potrebbe funzionare per le questioni finanziarie, ma è probabilmente un formato troppo vasto per permettere un confronto informale e franco su molti altri temi – e capace quindi di sbloccare le impasses negoziali su tanti fronti, dal clima ai dossier politici. Non dobbiamo quindi essere attivi e confermare il primato del G8 su altri fori solo per salvaguardare le nostre prerogative. Dobbiamo farlo anzitutto perché riteniamo che un G8 allargato sia più adatto di un G20 improvvisato per affrontare le grandi sfide globali.


L’INTERVENTO Emma Bonino

Al tempo stesso, è chiaro che la competizione tra G8 (allargato o meno) e G20 non si giocherà sul buon senso, ma sui rapporti di forza, sulla capacità delle diplomazie rispettive di creare alleanze e una nuova visione della governance globale. Se c’è un momento in cui il governo italiano – e le parti migliori della nostra diplomazia e della nostra pubblica amministrazione – non devono distrarsi e perdere di vista la posta in gioco per il futuro dell’Italia, questo momento è adesso. È stato già un errore, ad esempio, non andare, se non in forma ridottissima, al summit di Davos del World economic forum di fine gennaio, dove tutti i maggiori leader del mondo erano presenti, a cominciare da due degli uomini forti del momento, Wen Jiabao e Putin. Il nostro ministro dell’Economia Tremonti ha invece scelto di fare un’apparizione fugace in giornata mentre Sarkozy ha mandato tre ministri “pesanti” che hanno presentato la visione di politica internazionale per il 2009 del governo francese, Angela Merkel ha pronunciato uno dei discorsi principali e il premier britannico Gordon Brown, accompagnato da mezzo governo, ha esposto le priorità del suo G20. Errori come questo l’Italia non se li può permettere. La politica estera non si fa con dichiarazioni saltuarie da Roma; si fa partecipando attivamente ai fori internazionali e partecipandovi con un adeguato livello di governo. Adesso non possiamo compiere altri passi falsi, se non vogliamo

rischiare che mentre tutti scendono in campo, noi rimaniamo in panchina. Il mondo si sta ristrutturando, e lo sta facendo in fretta. Al di là dei vari formati G8, G13 o G20, le grandi potenze hanno ripreso a discutere e a muoversi sulla base di formati ancor più ristretti: come ad esempio il G3 europeo, composto da Londra, Parigi e Berlino. Non possiamo permetterci di fornire ulteriori ragioni a chi auspica un dialogo a quattro o cinque, magari limitato ai G3 più Stati Uniti o Cina: potremmo accorgerci presto che mentre noi stiamo ancora chiedendoci chi invitare al nostro tavolo a La Maddalena, altri hanno già deciso di non invitarci ai loro. Di non invitarci a quei nuovi tavoli dove non solo si discute, ma sempre più si prendono le decisioni che contano.

L’Autore EMMA BONINO

È una politica italiana, vicepresidente del Senato della Repubblica dal 6 maggio 2008. Con Marco Pannella, è una delle due figure più significative del radicalismo liberale italiano dell'età repubblicana. È stata ministro per il Commercio internazionale e per le Politiche europee nel governo Prodi II, mentre in passato è stata Commissario europeo dal 1995 al 1999, ed eurodeputata a Strasburgo. È stata inoltre membro del comitato esecutivo dell'International crisis group (Icg) (organizzazione per la prevenzione dei conflitti nel mondo), Professore emerito all'Università americana del Cairo, nonché segretaria del Partito radicale.

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Usa e Cindia non possono fare da sole

Per una nuova Bretton Woods è necesaria l’Europa DI MASSIMO LO CICERO


L’ANALISI Massimo Lo Cicero

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ommercio, finanza e tecnologia sono le tre gambe del mercato mondiale, che affida alle banche, e non più agli Stati, l’equilibrio del sistema. Bisogna trovare regole adatte per costruire un quadro di riferimento tra dinamica dei cambi e dimensioni relative delle economie reali.

C

Le prime avvisaglie della crisi, economica e finanziaria, dell’economia globale prendono forma nel 2006 e si precisano, progressivamente ed assai rapidamente, negli anni che ci separano da quella data. I primi sintomi indicavano chiaramente il rischio di una crescente insanabilità finanziaria che avrebbe potuto compromettere banche ed intermediari alla scala del mercato mondiale 1. A questa crescente instabilità finanziaria si affiancava, nel medesimo arco di tempo, una impennata dei prezzi – dovuta anche alle pressioni ed agli squi-


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libri alimentati dalla rapida cre- ne a cinque anni rilevate nell’inscita di una parte dell’economia chiesta della University of Michimondiale – che conduceva, a par- gan presso i consumatori hanno tire dal secondo semestre del mostrato un notevole rialzo tra 2008, ad un profilo assai recessi- marzo e giugno; anche quelle su vo delle economie reali, essendosi un orizzonte decennale, desumitrasformata la stessa crisi finan- bili dai differenziali di rendimenziaria in una vera e propria crisi to tra i titoli nominali e quelli insistemica, in seguito al fallimen- dicizzati all’inflazione, hanno to di alcune tra le primarie ban- manifestato una, seppur più lieche dei mercati internazionali. ve, tendenza al rialzo. In un con«Per mantenere le aspettative testo caratterizzato, da una parte, d’inflazione a medio e a lungo dal rialzo delle aspettative d’intermine in linea con l’obiettivo flazione e, dall’altra, dal protrarsi di stabilità dei prezzi ed evitare della crisi del mercato immobiche il rialzo dell’inflazione cor- liare e delle tensioni finanziarie, la Riserva federale rente si ripercuoa fine giugno ha latesse sul processo L’asimentria tra i tassi sciato invariato al di determinazion e d i s a l a r i e d’interesse di Usa e Ue 2% il tasso obiettivo sui federal funds, prezzi, all’inizio ha prodotto maggiore interrompendo la di luglio (2008) il sequenza di consiConsiglio diretti- disuguaglianza stenti ribassi inivo della Banca tra le due economie ziata lo scorso setcentrale europea ha aumentato di 25 punti base il tembre. Le quotazioni dei contasso minimo di offerta sulle tratti futures incorporano attese di operazioni di rifinanziamento rialzo per circa un quarto di punto entro la fine dell’anno». principali, al 4,25%». Con questo aumento del tasso di L’economia europea e quella degli interesse, da parte della Bce, si Stati Uniti, insomma, presentacrea una ulteriore asimmetria tra vano entrambe un profilo recessil’economia del vecchio continen- vo sul piano reale, ed una inflate e quella degli Stati Uniti. zione superiore al 4% su base anL’economia americana sconta un nua, ma anche uno scarto nell’orrallentamento della crescita ed un dine di oltre due punti percenaumento del tasso di disoccupa- tuali nella dimensione dei tassi di zione, che supera il 5%, ma man- interesse alla base dei rispettivi tiene i tassi di interesse al 2%. mercati finanziari, subito prima «L’inflazione al consumo ha rag- dell’estate del 2008. giunto – negli Stati Uniti – il In effetti, l’economia degli Stati 4,2% in maggio, riflettendo Uniti presentava un tasso di inteprincipalmente il continuo rialzo resse reale, al netto dell’inflazione dei prezzi dei prodotti energetici misurata, prossimo allo zero e alimentari. Le attese di inflazio- mentre quella europea, dopo l’ul-


L’ANALISI Massimo Lo Cicero

timo incremento, presentava un banca Lehman . L’euro è uno scutasso di interesse reale sicuramen- do, difende l’economia europea te positivo. Nel medesimo tem- dalla instabilità, ma il dollaro è po, e nonostante la diversa di- una leva ed aiuta i paesi, che se ne mensione del tasso di interesse, servono come moneta, ad allargaentrambe le economie erano e so- re il proprio mercato ed aumentano ancora caratterizzate da una si- re, di conseguenza, la velocità tuazione di liquidità abbondante, della propria crescita produttiva. derivante da una certa crescita Una politica monetaria fatta di della massa monetaria e da un ampia liquidità e di bassi tassi di profilo ridotto degli investimenti, interesse, che abbiamo appena in presenza di un chiaro trend re- detto essere la fenomenologia difcessivo dei consumi interni. L’au- fusa sul mercato americano nel mento dei tassi di interesse, uti- primo semestre del 2008, sollecilizzato dalla Bce per contenere le tava e sosteneva i consumi domepressioni inflattive, era davvero la stici di quella economia. Ma la medesima fenomigliore soluzione dei problemi eco- L’euro difende l’Europa menologia sussisteva anche nelnomici del Vecchio Continente? E che dall’instabilità, mentre l’economia cinese che, in questo cae f f e t t o a v r e b b e il dollaro è una leva so, sostiene, grazie avuto sull’econoa quella manovra mia italiana, molto ed aiuta i paesi che espansiva, le profiacca, in termini la usano come moneta prie esportazioni. di capacità di competere e di crescere anche indi- In entrambi i casi le valute delle pendentemente dalla deflagrazio- due economie accusavano un ecne della crisi globale? Anche nelle cesso di svalutazione, rispetto opinioni dei dirigenti della Bce, all’euro. Ecco la base operativa lo diceva Lorenzo Bini Smaghi in della leva di cui godevano i paesi una intervista concessa al Il Rifor- legati al dollaro, fino a quando il mista il 4 luglio 2008, aumentare cambio con l’euro lo avrebbe coni tassi di interesse in Europa è sta- sentito. Sia gli Stati Uniti, che ta una scelta necessaria, ma non l’Unione europea, avevano subiancora sufficiente per garantire la to, nel corso degli anni precedenti al 2008 un prelievo di risorse soluzione agli squilibri in atto. Insomma, l’economia europea si reali, una “tassa”, da parte dei trovava stretta da tre ordini di paesi che producono petrolio e problemi, che, subito dopo la materie prime, legate al ciclo pausa estiva, verranno ulterior- agroalimentare, in ragione dello mente complicati dalla piena ma- straordinario aumento dei prezzi nifestazione di una crisi sistemi- praticati dai venditori. Il motore ca, e non più solo latente, dei primario della crescita internamercati e degli intermediari fi- zionale – in quel momento come nanziari, con il fallimento della per i prossimi anni – si collocava

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al di fuori sia della economia americana che di quella europea che accusavano, entrambe, un deficit di produttività reale e richiedevano, allora come oggi, una politica economiServiva una politica ca adeguata capace di riportare per garantire le risorse sottratte loro un riposidalla tassa petrolifera zionamento competitivo. Ma, mentre gli Stati Uniti cercavano di realizzarlo nel breve periodo attraverso un cambio debole e contavano di recuperarlo, nel medio termine, grazie alla propria dote tecnologica ed alla capacità di combinare quelle tecnologie con le dinamiche di consumo che si vanno diffondendo nel mercato globale, l’Europa 30 non è omogeneamente dotata, al suo interno, di queste risorse tecnologiche2. Nel medio e lungo termine, dunque, sarebbe stata utile, al netto dei cambiamenti indotti dall’esplosione della crisi sistemica e dei suoi prevedibili effetti recessivi successivi, una politica economica globale capace di riportare sul mercato le risorse sottratte dalla tassa petrolifera: per alimentare, con questa espansione della domanda effettiva mondiale, una successiva espansione della produzione, nei paesi tradizionalmente sviluppati come in quelli che si presentano solo ora sulla scena. Solo allora la crescita, in un regime di prezzi stabili, avrebbe finito con il prevalere sulle tendenze ad una stagnazione, accompagnata da pressioni inflattive: lo scenario che preoccupava eccessivamente la Bce. Un timore che produceva

l’aumento dei tassi in Europa, nella primavera del 2008 e che si è ormai ribaltato in una generalizzata attesa di basso profilo congiunturale, in Europa, negli Stati Uniti ed in larga parte dell’economia mondiale. A maggior ragione, moneta, occupazione e reddito oggi dovrebbero essere governate effettivamente alla scala del mercato globale. È questo il significato della ipotesi che si fa strada nella discussione sulla politica economica internazionale e che indica come termine di riferimento, per il proprio esito, la realizzazione di


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una seconda Bretton Woods: un accordo mondiale che, come avvenne nel 1944, sia capace di governare cambi, circuiti macroeconomici del reddito e flussi finanziari verso un equilibrio di crescita e di benessere generale. Una simile prospettiva è oggi complicata dal fatto che questa politica dovrebbe governare contemporaneamente la ricostruzione di un clima di fiducia sia nei mercati finanziari che in quelli reali, oltre che le politiche di spesa dei singoli Stati nazionali. Mentre, nel 1944, il ruolo dei mercati finanziari, alla

scala internazionale, era assolutamente marginale ed i flussi finanziari con cui si muovevano i capitali, alla scala del mercato mondiale, erano compiutamente decisi dalle scelte dei governi nazionali, dalle banche centrali e dalle agenzie che vennero istituite a Bretton Woods: la Banca mondiale ed il Fondo monetario internazionale. Qualora fosse realizzabile e realizzato questo equilibrio dinamico espansivo dell’economia mondiale, si avrebbe certamente una espansione del reddito generalizzata. Ma una distribuzione equa del benessere alimentato dalla ripresa della crescita del reddito – e la coerenza tra equità, coesione 31 sociale e crescita – rimarrebbe nell’agenda nazionale delle singole economie mondiali e dei loro governi. Ovviamente la soluzione di questa catena di incognite dipende oggi dall’esito delle elezioni presidenziali intervenute negli Stati Uniti, dall’impatto che avrà la politica di Obama sull’economia mondiale e dalla capacità dell’Unione europea – e dei singoli Stati nazionali che aderiscono all’Unione, ma che entrano anche direttam e n t e n e l - Il nuovo accordo dovrà ricostruire un clima l’equilibrio di fiducia sul mercato mondiale, cofinanziario e reale me la Germania o il Regno Unito – di collegarsi a quelle scelte promuovendo una nuova stagione di cooperazione multilaterale da parte dei grandi paesi dell’Occidente: nella prospettiva di un ritrovato e virtuoso equili-


IL PERSONAGGIO

In Europa grazie a Guido Carli 32

Presidente del Mediocredito dal 1953 al 1956, presidente dell'Istituto italiano dei cambi dal 1956 al 1957, ministro del Commercio con l'estero nel governo Zoli (19 maggio 1957-1 luglio 1958), presidente del Crediop (1959), nel 1960 è nominato direttore generale della Banca d'Italia. Ne diventa governatore sei mesi dopo, sostituendo Donato Menichella, e resterà in carica fino al 18 agosto 1975, quando rassegnerà le dimissioni. A sostituirlo sarà chiamato Paolo Baffi, suo principale collaboratore – benché non sempre le vedute fossero coincidenti – in quanto direttore generale dell'istituto di emissione dal 1960. I motivi per cui Carli

brio mondiale che eviti la formazione di un asse privilegiato tra Stati Uniti, Cina e Far East Asia. Vista in questa prospettiva la situazione italiana appariva, prima dell’estate, un caso locale e regionale nell’ambito dell’Europa, anche se non veniva percepita adeguatamente per quello che era da una larga parte dell’opinione pubblica nazionale. Naturale, in queste circostanze, che il governo anticipasse la legge finanziaria

si dimette da governatore non sono mai stati chiariti. Probabilmente ha contato non poco il fatto che dopo quindici anni alle redini di via Nazionale subentrasse un po' di stanchezza. Inoltre, nel 1975 stava prendendo il via quella fase che nel 1978 avrebbe condotto il Partito comunista italiano a entrare nella maggioranza di governo, e la linea economica di Carli non era certo in sintonia con Enrico Berlinguer e gli economisti del Pci. È stato presidente di Confindustria dal 1976 al 1980. È eletto senatore come indipendente della Democrazia cristiana nel 1983 e nel 1987. È ministro del Tesoro nel sesto e nel settimo governo Andreotti, dal 22 luglio 1989 al 24 aprile 1992. In tale veste è uno dei firmatari per l'Italia del Trattato di Maastricht. Dal 1 novembre 1978 alla morte è presidente dell'università Luiss di Roma. Autore di numerose pubblicazioni di carattere economico, nella metà degli anni Settanta collaborò con il settimanale L'espresso sotto lo pseudonimo di Bankor. È autore dell'autobiografia Cinquant'anni di vita italiana (Laterza 1993), redatta con la collaborazione di Paolo Peluffo. Era membro della Gran Loggia d'Italia degli Alam. La Luiss porta il suo nome.

per mettere sotto tutela la dinamica e l’equilibrio dei conti pubblici. Naturale che fossero allora, in sede di approvazione della legge finanziaria, ragionevolmente convergenti le opinioni del ministro del Tesoro, Giulio Tremonti, e quelle del governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi. Anche se il secondo veniva descritto come troppo sbilanciato verso la business community internazionale, che traeva profitto dal-


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la speculazione, che impazzava na, con le sue capacità e le sue cocome la peste, diceva il primo. In noscenze, aumentò il valore relaeffetti ed in realtà Draghi si limi- tivo dei propri prodotti manufattava a riconoscere, ed a ribadire ti e ridusse lo scarto relativo tra nei suoi ultimi interventi, che la il prezzo dell’energia e quello concorrenza aiuta i mercati ad delle merci finite. Per neutralizespandersi ed offriva opportunità zare gli effetti della trasformazioai deboli. E che non si può pensa- ne in atto, grazie alla crisi, dei re di ritornare ad un mondo che prezzi relativi alla scala internarifiuta i vantaggi delle tecnologie zionale, non basteranno i valori e delle ingegnerie finanziarie che intangibili, come la capacità e le ora siamo in grado di controlla- competenze delle risorse umane, re3. La finanza, agisce nel mondo o le nuove conoscenze, managecontemporaneo prevalentemente riali e tecnologiche, del mondo sui mercati, e non solo nell’opaca imprenditoriale. relazione tra coloro che control- Trasformare nuove idee in nuovi prodotti richiedelano gli intermerà mercati del ladiari e le banche. Ridurre la pressione voro – che riconoRegolare i mercascano il merito ti, e non sostituirsi fiscale per dare per aumentare la ad essi, è la strada ai cittadini il potere produttività – e per aiutare crescita reti ed infrastrute stabilità. Draghi di scegliere la destinavede, tuttavia, la zione delle loro risorse ture, che rendano efficiente lo sporiduzione della pressione fiscale come restituzio- stamento delle merci e delle ne al cittadino del potere di sce- persone necessarie allo sviluppo gliere la destinazione delle pro- degli scambi. prie risorse, diffidando di una L’Italia, nel nuovo mondo globapubblica amministrazione che, le, insomma, non potrà vivere se deve essere trasformata alla ra- solo di talenti ma anche di orgadice, come dice anche il governo, nizzazioni ed azioni collettive. deve essere considerata incapace Lo capiscono bene sia Draghi di utilizzare le risorse in maniera che Tremonti: produrre organizefficace ed efficiente. È anche ve- zazioni non è mestiere che si ro, tuttavia, che le grandi infra- possa lasciare solo ai mercati. strutture, necessarie per ritrovare Usare in maniera intelligente e la competitività delle imprese coordinata le politiche fiscali e italiane e del paese nel suo com- quelle monetarie potrebbe, inveplesso, non possono essere pro- ce, essere un buon esercizio locagettate e costruite dalla coopera- le, per testare i modi di una polizione tra moltitudini di soggetti tica economica capace di riconoprivati. Quando aumentò il prez- scere e promuovere tutti i vanzo del petrolio, negli anni Set- taggi della globalizzazione nel tanta, parte dell’industria italia- mercato mondiale, e riaccredita-

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re, con questo nuovo modo di governare, il nostro paese sulla scena internazionale. La sfida del federalismo poteva rappresentare un tavolo di lavoro sul quale misurarsi con questi problemi. La deflagrazione della crisi sistemica degli intermediari finanziari, nell’ottobre del 2008, ridefinisce il perimetro delle politiche possibili proponendo in primo piano la dimensione di un nuovo coordinamento economico alla scala internazionale e riequilibrando la dimensione puramente domestica dell’aggiustamento necessario alla nostra economia, per ritrovare una dimensione effettivamente competitiva. Perché bisogna riportare gli intermediari finanziari, ed i mercati in cui essi agiscono, verso la loro funzione principale: trasformare il risparmio disponibile in nuovi investimenti capaci di alimentare il processo di crescita. Questa ripresa della crescita, sotto il profilo macroeconomico, non può essere guidata dall’espansione della domanda effettiva in ogni economia nazionale, ma deve essere realizzata attraverso una nuova articolazione delle strutture economiche di ogni economia nazionale, che si fondi sui vantaggi e le opportunità della information and communication tecnology, ma sia anche capace di servire la crescita della domanda effettiva alla scala della intera economia mondiale. In un passato non troppo lontano anche una parte degli Stati, che oggi aderiscono all’Unione europea, e le banche centrali che agivano nelle loro economie, aveva-

no voce in capitolo nel governo della crescita mondiale. Esse concorrevano nella formazione e negli impieghi della base monetaria internazionale e la valuta, in cui veniva espressa quella base monetaria, era il dollaro americano che, dalla scarsezza che ne aveva accompagnato la nascita negli anni immediatamente successivi agli accordi di Bretton Woods (1944), era diventato progressivamente abbondante e, forse, anche ridondante. Dal dollar gap al dollar glut, come si diceva in gergo4. Erano gli anni del progressivo trapasso dal regime di dollar standard – il dollaro che cambia convenzionalmente ad uno standard fisso con l’oro e le monete mondiali che fissano il proprio cambio contro il dollaro – ad un regime nel quale gli Stati Uniti rivendicarono, nel 1971, la disdetta di quegli accordi e la possibilità di far fluttuare il cambio della propria valuta. Questo regime spurio di fluttuazione del dollaro si conclude con gli anni Ottanta, dopo aver attraversato un paio di crisi petrolifere. In quegli anni nascono gli eurodollari, che diventano poi petrodollari e xenodollari. Vari modi per dire sempre la medesima cosa: l’esistenza, nella circolazione bancaria internazionale, di una grande quantità di dollari che, al di fuori dei confini degli Stati Uniti, transitano nei conti delle banche internazionali: diventano depositi denominati in dollari che possono essere trasferiti da quelle banche, per importi assolutamente equiva-


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lenti, non dovendo esse accantonare riserve su quegli impieghi, a finanziamenti in dollari. Nasce, in questo modo, una componente della base monetaria internazionale – fatta di moneta fiduciaria e depositi che diventano impieghi – che alimenta il ciclo degli investimenti e della produzione internazionale. Guido Carli propone, in quella stagione, dopo la prima crisi petrolifera, un “Piano Marshall” per i paesi in via di sviluppo. Eppure, in quegli anni, paradossalmente, dell’euro, della Banca centrale europea, dell’Unione europea e del suo repentino e tumultuoso allargamento, non c’era traccia alcuna. Molti cambiamenti intervengono tra quella stagione e le dinamiche del Ventunesimo secolo: il serpente monetario, prima, e la progressiva convergenza delle monete europee, dopo. Dalle esperienze di coordinamento valutario nel vecchio continente nascono l’euro e l’idea di chiudere in una sorta di nocciolo duro, unificata al suo interno dalla moneta, la speranza che l’unificazione politica ne fosse la inevitabile conseguenza. Implodeva l’impero sovietico ed esplodeva la stagione della information and communication technology negli Stati Uniti. L’Unione europea si proponeva come un mercato unico ed introverso rispetto al mondo che la circondava, mentre si andava formando il mercato globale. I paesi dell’ex impero sovietico si mettevano in marcia verso il mercato e la democrazia. Il club monetario europeo, indicato come l’orizzonte internazio-

nale nel quale potevano approdare i paesi che avevano adottato l’euro, doveva precipitosamente allargarsi, generando una corona commerciale intorno al suo nocciolo monetario. Fuori dell’euro restava la nazione europea che, per prima, aveva scelto la privatizzazione della sua economia, il ritorno al mercato, e si era specializzata nell’international banking e non nella produzione di manufatti: il Regno Unito. Il nuovo mercato globale, infine, trasformava, grazie alla crescita che rendeva possibile questo esito, in paesi creditori del sistema i nuovi protagonisti che, dal Sud dell’Asia e dalle Americhe, decollavano con straordinaria velocità. Questa nuova domanda aggregata generava squilibri ambientali e squilibri nei prezzi, nei cambi e nella bilancia dei pagamenti: per ogni paese del mondo. Ma questa è, appunto, la cronaca di ieri, che abbiamo anticipato prima. Quali sono le differenze, nella struttura monetaria e finanziaria del mercato mondiale, tra gli anni dei petrodollari e quelli che stiamo vivendo? Allora i dollari erano la moneta del paese che aveva vinto la guerra e supportato la ricostruzione. Bretton Woods era una sorta di rampa di lancio che preparava il decollo del mercato globale contemporaneo, possiamo dire ora con il senno di poi. La nascita di un mercato globale ha comunque dovuto scontare la stagione della Guerra Fredda e la implosione dell’impero sovietico. E dovrà scontare ora una politica di stabi-

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lizzazione e crescita dopo le onde mercati finanziari; non sono più i della crisi finanziaria ed economi- dealer della crescita. L’euro non ca che lo percorrono minacciose. rappresenta né il debito di uno C’è, tuttavia, un filo rosso tra la Stato, come accade per il dollaro, conferenza monetaria di Bretton né quello di una banca centrale, Woods nel 1944, la nascita di come nel caso della sterlina. I Banca mondiale e Fondo moneta- mercati finanziari, quando i flussi rio, la caduta del Muro di Berli- della crescita ristagnano, attivano no. I dollari, emessi dal Tesoro gli scambi tra ricchezza esistente americano a fronte delle proprie e liquidità disponibile: la securitiriserve auree, alimentavano la sation non porta il risparmio verso moneta fiduciaria, gestita dalle nuovi investimenti ma rende ligrandi banche, e rappresentavano quidi i crediti e gli asset reali già una potenziale base monetaria, presenti nel sistema. Per questo l’utilizzo della quale poteva esse- motivo una politica monetaria efre condivisa dai governi europei e ficace avrebbe dovuto tenere conto non solo dell’inda quello americadice dei prezzi, dei no. La scena con- L’Unione europea beni e dei servizi, temporanea è ma anche di quello molto diversa. Le conta meno adesso del corso dei titoli. g r a n d i b a n c h e di quanto contassero E, per tutte queste hanno ridotto sia ragioni, la capacità la dimensione pa- negli anni Settanta di governare la cretrimoniale che il i grandi Stati europei scita mondiale si proprio ruolo nella gestione della intermediazione ripartisce oggi tra Stati Uniti e creditizia. Produce risk to distribute paesi emergenti, Cina, India, Far it, il nuovo standard di comporta- East Asia e sud America, mentre mento delle banche internaziona- l’Europa, che non è uno Stato soli, ha ridotto la dimensione di vrano, conta meno, di quanto crediti e depositi ed ha aumenta- contassero negli anni Settanta i to quelle dei titoli emessi e dei grandi Stati europei. Per superare portafogli delle famiglie, in cui questo stallo servirebbe davvero essi vengono collocati. I mercati una seconda Bretton Woods. Nel dei titoli rappresentano volumi regime monetario dell’euro oggi crescenti mentre il ruolo dei bi- si entra per cooptazione da parte lanci bancari, come pilastri del del club dei paesi che lo hanno trasferimento tra risparmi ed in- creato. Il resto del mondo, al convestimenti attraverso il credito, si trario, si è dollarizzato perché il riduce. Una parte di questi titoli biglietto verde si è imposto, per non è liquidabile perché opaca motivi ogni volta vari e diversi, nella manifestazione del rischio come strumento per regolare le che il loro possesso genera nei transazioni commerciali o quelle portafogli degli investitori. Le finanziarie. Robert Mundell (Il banche sono diventate broker sui Sole 24 ore del 13 novembre


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2007) dice che: «Parlando di mo- meno e rende molto di più, della nete, non bisogna fermarsi al- integrazione verticale alimentata l’economia in senso stretto, ma dalla contiguità. riflettere anche su storia e geo- Il fatto che lo yuan non si rivaluti grafia. Posso pensare ad un ruolo verso l’euro, nonostante il surplus crescente dell’euro ed anche a commerciale della Cina, consente momenti durante i quali l’euro alle multinazionali di produrre in avrà un ruolo centrale, come è Cina le merci destinate alla fascia successo tra le due guerre mon- bassa dei consumi americani e diali con dollaro e sterlina. Ma sa- che la Cina, parallelamente, sporà sempre il dollaro a dominare la sti verso l’Europa una parte imscena». Bisogna, allora, cercare di portante delle sue esportazioni capire quale sia la ragione che negli Stati Uniti. Mentre, con porta ancora al centro dell’equili- una quota del surplus accumulato brio mondiale la moneta degli nei propri conti con l’estero, la Stati Uniti. A guardare la storia e Cina finanzia la sua penetrazione nel controllo di la geografia si capisce che esse garan- Molte economie hanno molte infrastrutture nei paesi svitiscono ancora agli luppati ma anche Usa la forza per af- scelto il dollaro come in Africa e negli fermare i propri moneta di riferimento altri paesi in via di principi nel monsviluppo, allargando, e che quella e l’Europa rischia così forza consegna alla di essere ridimensionata do la propria rete di influenza sul si“nazione senza nome” la possibilità di una politica stema delle relazioni internazioestera determinante nel disegno nali. Non avrà una spada affilata degli equilibri internazionali. Fi- come quella americana, ma ha, no a quando l’Europa non avrà la certamente, una forza economica spada e la feluca non sarà la sua che si traduce in una crescente inmoneta, nata in laboratorio, ad fluenza politica, grazie allo stanessere il perno degli equilibri dard fisso con il dollaro. Nel mondiali. Commercio, finanza e mondo esiste un sistema di camtecnologia sono le tre gambe del- bi flessibili tra euro e dollaro ed la dinamica mondiale. Ed è evi- un sistema di cambi fissi tra dente che la vera novità degli ul- molte economie, che hanno sceltimi venti anni, la globalizzazio- to il dollaro come moneta di rifene, ha modificato radicalmente la rimento e gli Stati Uniti come scena. Il mercato unico mondiale partner privilegiato. L’Europa rigenera una trasformazione tecno- schia di essere ridimensionata logica ed una riconfigurazione nelle sue ambizioni da questa tedella produzione: la frammenta- naglia e da una insidiosa consezione delle filiere verticali attra- guenza della globalizzazione: la verso i confini nazionali5. Perché sovrapposizione tra domanda di la connessione, a distanza, costa moneta per transazioni e doman-

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da di moneta come opzione alternativa all’investimento in titoli. Che diventa, in certi casi, domanda di prodotti finanziari derivati. La crisi dei subprime, dei derivati e della ingegneria finanziaria ce lo ha drammaticamente insegnato. Commercio, finanza e tecnologia sono le tre gambe del mercato mondiale, che affida alle grandi banche, e non più agli Stati, l’equilibrio del sistema. Una nuova Bretton Woods dovrebbe trovare le regole adatte per costruire un quadro di riferimento tra dinamica dei cambi e dimensioni relative delle economie reali. Riducendo l’asimmetria tra euro e dollaro e la distanza politica tra Europa e Stati Uniti. Ed impedendo che le dimensioni del circuito monetario e reale dell’economia globale si possano ridurre ad una relazione bilaterale tra Stati Uniti e Cindia. Nell’interesse dell’Europa e del resto del mondo, ma anche di quei due grandi giganti che, comunque, da soli ed in una relazione troppo stretta e reciproca, non troverebbero una scala adeguata ad una ripresa della crescita capace di chiudere i fabbisogni necessari alla soluzione degli squilibri reali e finanziari che i divari territoriali interni della Cina e l’eccesso di debito della popolazione americana continuerebbero a generare.

Note 1

Si vedano Ben S. Bernanke, The Economic Outlook Before the National Italian American Foundation, New York, November 28, 2006, e Mario Draghi, Le istituzioni fi nanziarie internazionali nell’economia mondiale, Firenze, 11 Ottobre 2006. Si vedano anche, ed in una dimensione ex post rispetto alle dinamiche di crisi ormai manifeste, Mario Draghi Banche e mercati: lezioni dalla crisi, Intervento alla Foreign Bankers’ Association, The Nederlands Amsterdam, 11 giugno 2008 e Fabrizio Saccomanni, Nuove regole e mercati finanziari, Sspa – Scuola superiore della pubblica amministrazione, Roma, 19 gennaio 2009. Bollettino Economico numero 53, luglio del 2008, Banca d’Italia, pagina 16 Bollettino Economico numero 53, luglio del 2008, Banca d’Italia, pagina 11. Si deve leggere anche Ben S. Bernanke, Semiannual Monetary Policy Report to the Congress Before the Committee on Banking, Housing, and Urban Affairs, U.S. Senate, July 15, 2008. At Http://www.federalreserve.gov/newsevents/testimony/bernanke20080715a.htm Il 13 ottobre 2008, sulle pagine de La Repubblica, viene pubblicata una efficace e sintetica ricostruzione del salto di qualità che la crisi subisce con il fallimento della più aggressiva banca d’affari americana. Si veda Luigi Spaventa, Capire la crisi, le statuine e il mercato. Su questa analisi convergono sia le opinioni di Giangiacomo Nardozzi – I danni del denaro facile: quell’alleanza tra Fed e Cina, in Il Sole 24 ore del 26 giugno 2008 – che quelle di Paolo Savona. Si vedano “Europa svegliati, serve una sola voce”, del 5 luglio 2008 e “Prezzi, Dollaro e Borsa” del 16 luglio 2008, entrambi su Il Messaggero. Ma anche “Euro, dollaro ed inflazione. Chi ha


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incastrato Roger Rabbit?” sempre su Il Messaggero del 28 luglio 2008. 2 Si veda Marcello De Cecco; “Germania hub industriale dell’Unione”, su La Repubblica, Affari & Finanza, 19 gennaio 2009. 3 Mario Draghi, Guido Carli innovatore, Accademia Nazionale dei Lincei, Roma, 16 gennaio 2009. In una intervista rilasciata al Forum di Davos, gennaio 2009, Mario Draghi afferma che la crisi potrà essere superata solo a queste condizioni: «In the end, what we want is a financial industry and banking-sector industry where you have more capital, less debt, more rules and much stronger supervision... (financial) markets largely remain frozen and that the only thing that would attract investors – many of which actually serve as lenders because they invest in debt – is an assurance of safety and transparency... The only thing we can do to help restart the market is to tell the world that there are certain kinds of real products that are simple to understand, easy to price and satisfy certain legal conditions». Dove, atteso che Draghi parla dei mercati finanziari, per real products si intendono titoli da classare nei portafogli degli investitori, aprendo di nuovo la possibilità di utilizzare il mercato del credito e quello finanziario per trasferire risparmio ai nuovi investimenti, alimentando la crescita e superando, così, il clima recessivo che domina la scena. 4 Si veda: http://www.imf.org/external/np/exr/cen ter/mm/eng/mm_sc_03.htm, che è una pagina web, nel sito del Fondo monetario internazionale, nella quale si trovano fonti e documenti che raccontano molto chiaramente la storia degli anni compresi tra gli anni sessanta e le crisi petrolifere. Money matters: la moneta conta. È

questo il tema dominante dei testi ai quali si rimanda il lettore. 5 Si leggano, sulla dimensione reale e quella finanziari del nuovo assetto del mercato globale due articoli di Marcello De Cecco: “Il capitalismo dei compari”, su La Repubblica, Affari & Finanza, 8 dicembre 2008; “Germania hub industriale dell’Unione, su La Repubblica, Affari & Finanza, 19 gennaio 2009, già citato in precedenza.

L’Autore MASSIMO LO CICERO Docente di Economia della comunicazione ed Economia della cultura e dell’Informazione presso la Facoltà di Economia dell’Università Tor Vergata. È docente di Valutazione e Finanziamento dei progetti presso la facoltà di Scienze politiche dell’Università degli studi di Roma La Sapienza, insegnamento del Corso di laurea magistrale in Analisi economica delle istituzioni Internazionali; incarico attribuitogli per chiara fama dal Consiglio di facoltà. Membro ordinario del Consiglio superiore delle comunicazioni su nomina del ministro delle Comunicazioni, per il quadriennio 2005-2009. Componente della Commissione scientifica della Fondazione Ansaldo; del Comitato scientifico della Rivista Economica del Mezzogiorno della Svimez; del Laboratorio per le politiche di sviluppo costituito dal Dipartimento per le politiche di sviluppo e di coesione presso il ministero dello Sviluppo economico. È advisor finanziario del rettorato dell’Università Roma Tre. Ha curato programmi per la Rai ed è stato ed è editorialista ed opinionista per Il Sole 24 Ore, Il Riformista, Il Mattino ed Emporion. Pubblica saggi e ricerche di economia, finanza e politica economica su L’Acropoli, Economia Italiana, Ideazione, Aspenia ed altre riviste italiane.Nel 1992 ha ricevuto il premio Ischia Internazionale di Giornalismo, per la sezione speciale di Economia, e nel 2006 il Premio giornalistico Sele d’Oro Mezzogiorno 2006.

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er attenuare gli effetti distruttivi della attuale crisi finanziaria è necessaria una governance mondiale in grado di varare interventi repentini e coordinati coinvolgendo i paesi occidentali e quelli emergenti. Attraendo capitali freschi potrà rimettere in moto l’economia globale

Ripartire senza cedere al protezionismo

Alla finanza servono regole condivise DI ROBERTO PASCA DI MAGLIANO

La gravità e profondità della crisi finanziaria che dalle economie occidentali va estendendosi all’intero pianeta affonda le sue radici su comportamenti irresponsabili di grandi gruppi finanziari e bancari, ma è anche conseguenza di inspiegabili carenze e sottovalutazioni da parte degli organismi in-

ternazionali e nazionali, peraltro non previste dagli economisti1. La colpevole carenza di controllo e sorveglianza sulle attività delle banche d’affari negli Stati Uniti è stata poi aggravata da scelte erronee di politica monetaria ed economica adottate dallo stesso governo. Comportamenti che sono


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stati favoriti dalla strenua fiducia nel liberismo sfrenato e nel “mercato privo di regole” da parte della Federal reserve bank (Fed) ed assecondati da un clima politico accondiscendente riconducibile principalmente a due provvedimenti: l’adozione della legge che cancellò la separazione tra banche commerciali e banche di investimento e che sottopose gli istituti al controllo della Sec (l’omologa della nostra Consob) in tema di individuazione di comportamenti scorretti da parte dei politici; l’approvazione della legge che liberalizzò i prodotti derivati, consentendo alle banche di investire in derivati anche se non avevano capitale sufficiente per assorbire le eventuali perdite.

Negli Stati Uniti si è diffusa un’irresponsabile coscienza dei “prestiti facili” senza valutare i rischi ad essi associati. Le banche d’affari, esasperando oltremodo la leva finanziaria, hanno creato e diffuso sul mercato derivati ad alto rischio di insolvenza2. Ciò è alla base della prolificazione di quelli che vengono considerati “titoli nocivi” detenuti da banche e altri organismi finanziari. L’insieme di questi fattori ha fatto esplodere la crisi dei mutui sub-prime, provocando prima il collasso degli istituti bancari maggiormente esposti e poi estendendone le conseguenze nefaste ad altre banche, assicurazioni ed altri enti, provocando conseguenze sull’economia reale.


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Ed è per questi motivi che si ad- ni casi il crollo delle quotazioni densano le critiche su un sistema societarie va aprendo ghiotte ocfinanziario internazionale che casioni per l’acquisizione di sonon ha saputo adeguare le funzio- cietà da parte di nuovi capitalisti, ni di governance alle innovazioni accrescendo il rischio di scalate di una finanza spesso spregiudi- ostili in settori strategici per le cata e senza norme. Viene da economie occidentali. chiedersi se, complice l’eccessi- Gli effetti della crisi finanziaria va fiducia nel liberismo privo di sono stati amplificati dalla recesregole e sulle capacità di aggiu- sione che fin dal primo semestre stamento del mercato anche nel del 2008 andava manifestandosi settore finanziario, sia alla corda nelle economie avanzate per la un sistema fondato sull’interme- prevista contrazione dei consudiazione meramente speculati- mi, provocata a sua volta dalla va. Un sistema, per sua stessa perdita di potere di acquisto dei natura troppo distante dall’eco- salari e dalle incertezze sulla produzione industrianomia reale e pole e sull’occupazioco rispondente al- Le tempeste della crisi ne. La sottovalutala visione smizione da parte dei thiana del laissez- colpiranno di più governi e delle aufaire, la quale col- i sistemi economici torità monetarie loca il mercato in dei rischi conseun’equilibrata in- più vulnerabili sotto guenti all’esubeterazione con le il profilo bancario ranza dei mercati istituzioni governative, con uno Stato attento e finanziari, sovrapponendosi alla intelligente ma non assente. Non crisi recessiva in atto, ha aggraè, quindi, in discussione la validi- vato la performance economica dei tà del mercato e delle forze che lo paesi occidentali spingendola determinano, piuttosto l’inspie- verso la recessione. gabile carenza di governance dei Non è ancora possibile valutare mercati finanziari ed il comporta- appieno le conseguenze che le perturbazioni finanziarie riverseranmento dei loro attori. La speculazione finanziaria si è no sull’economia reale. Il Fondo anche abbattuta per larga parte monetario internazionale (Fmi) del 2008 sui prezzi delle materie stima in 2.200 miliardi di dollari prime energetiche e delle commo- l’entità del collasso finanziario e dities provocandone l’estrema vo- prevede un lungo periodo di relatilità. Anche le borse valori cessione dell’economia reale dei hanno subito le conseguenze di paesi industrializzati, anche se rimanovre speculative sui titoli tiene improbabile un disastro azionari spingendo le quotazioni analogo al crollo del ’29 per la prima al rialzo e poi al ribasso, maggiore fiducia che si pone sulle acuendo il divario tra l’economia politiche economiche e monetafinanziaria e quella reale. In alcu- rie. Ne risentirà, tuttavia, la cre-


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scita mondiale che nel 2008 non supererà il 4%, ma grazie solamente alla spinta dei paesi emergenti. Il 2009 sarà certamente peggiore per le ricadute della crisi sui consumi e sugli investimenti. Si prevede un modesto 2,5% a livello mondiale. Il crollo maggiore riguarderà in primis il Regno Unito (-2,8%) e il Giappone (-2,6%), mentre la riduzione del Pil Usa potrà limitarsi all’1,6% per effetto del gigantesco piano di aiuti che il neo presidente Barack Obama si appresta a varare. Anche l’Europa ne soffrirà con una contrazione del Pil del 2%, la Germania che registrerà un -2,5%, la Francia -1,9% e l’Italia -2,1%. Nell’area degli emergenti vi sarà un rallentamento, anche se la crescita sarà sempre di segno positivo (Cina +6,7%). Le tempeste scatenate dalla crisi colpiranno in

modo diverso i sistemi economici penalizzando quelli più vulnerabili sotto il profilo finanziario e bancario. Il nostro paese si presenta in condizioni relativamente meno vulnerabili. L’importante è stimolare le economie con interventi coordinati, evitando rigurgiti protezionistici che avrebbero la conseguenza di scatenare una conflittualità internazionale, interrompendo quello di positivo che aveva realizzato il libero scambio. La necessità di riformare il sistema monetario e finanziario internazionale, introducendo nuovi e più efficaci sistemi di governance, è il corollario per riprendere la via di una crescita più equa ed equilibrata. Le risposte degli Stati

Lo Stato torna in campo per arginare la crisi finanziaria e mitigare

FOCUS

Laissez-faire: istruzioni per l’uso Il laissez-faire (dal francese) è un principio proprio del liberismo economico, favorevole al non intervento dello Stato. Secondo questa teoria, l'azione del singolo, nella ricerca del proprio benessere, sarebbe sufficiente a garantire la prosperità economica della società. L'espressione, che nella sua interezza suona laissez faire, laissez passer (lasciate fare, lasciate passare), viene per lo più attribuita a J.C.M. Vincent de Gournay (1712-1759), esponente della fisiocrazia, più attento di altri economisti francesi alla realtà industriale e commerciale del paese e favorevole alla libertà economica e all'abolizione di dazi e protezioni anche all'interno di questi settori. John Maynard Keynes nel suo La fine del laissez-faire (1926), scrive che la massima del laissez-faire è tradizionalmente attribuita al mercante Legendre nella sua risposta a una richiesta di Jean Baptiste Colbert e aggiunge che il primo scrittore che usò l'espressione fu D'Argenson, ex ministro di Luigi XV, verso il 1751: Laissez faire, telle devrait etre la devise de toute puissance publique, depuis que le monde est civilisé. Keynes inoltre affermava che “la popolarità della dottrina deve di più ai filosofi politici del tempo che agli economisti” .

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i suoi effetti sull’economia reale. Lo dimostrano le importanti misure decise negli Stati Uniti e in Europa. Ai primi cenni della crisi la Gran Bretagna ha nazionalizzato la banca Northern Rock; gli Stati Uniti sono intervenuti prima nella banca Bearn Stearns e poi hanno stanziato 150 miliardi di dollari per nazionalizzare le due agenzie di garanzia dei mutui Fannie Mae e La crisi finanziaria ha Freddie Mac, la contagiato l’economia compagnia assireale e si traduce in curativa Aig e riduzione del credito B&B. Dopo il fallimento di Lehman Brothers, il governo americano ha varato il piano predisposto dal segretario al Tesoro Henry Paulson di 850 miliardi per essere pronti a sanare le perdite di altri istituti finanziari.

In Europa i governi nazionali hanno approvato molteplici interventi per garantire i depositi bancari e per entrare, ove necessario, nel capitale di banche in crisi. Anche se i piani predisposti appaiono adeguati e condivisi dalle banche centrali, il clima di sfiducia che serpeggia nei mercati borsistici non accenna a placarsi per il timore di un inasprimento della recessione. La contaminazione dell’economia reale è ormai consumata e si manifesta attraverso la riduzione del credito alle imprese e la falcidia che colpisce i patrimoni delle banche più esposte sui titoli nocivi. L’impegno dei governi a sostegno dell’economia reale si va orientando su articolati programmi diretti non solo a neutralizzare i ri-


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schi di contaminazione provenienti dalla crisi finanziaria ma a contenere la recessione e rilanciare la crescita. Dopo la crisi del ’29 l’allora presidente, Herbert Clark Hoover, reagì in modo erroneo adottando misure restrittive trasformando quella che era una crisi di liquidità in una grande depressione; la produzione industriale crollò di un terzo e la disoccupazione toccò il 25%. Sbagliò la Fed che tolse liquidità alle banche, anziché aumentarla. Sbagliò il Congresso che approvò una legge protezionistica che portò al collasso le esportazioni americane. Sbagliò il presidente Hoover nell’introdurre una strategia punitiva contro gli speculatori con re-

gole gravose che limitarono le operazioni finanziarie e destabilizzarono i mercati; nel vietare alle imprese di tagliare le retribuzioni salariali, portando a numerosi fallimenti; nell’adottare inasprimenti fiscali che diedero il colpo di grazia all’economia. Oggi la situazione è diversa; le scelte economiche hanno tratto esperienza dagli errori passati e appaiono in teoria più adeguate a curare crisi anche profonde come l’attuale, ma non certo a ristabilire il clima di fiducia tra i consumatori e gli investitori. Parafrasando il Nobel Paul Samuelson, l’economia e la politica economica sono cresciute sulle catastrofi. Di fronte all’aggravarsi della crisi 45 finanziaria ed ai connessi pericoli di deflazione e recessione sono state varate misure incisive e tempestive per dare ossigeno ai consumi e rilanciare gli investimenti, cercando di evitare che la crisi diventi strutturale. Le nuove azioni si affidano da un lato alla politica monetaria e dall’altro ad interventi di politica economica e a misure regolamentari. Sul primo fronte, l’operatività è affidata alle banche centrali che perseguono la C’è bisogno di una riduzione dei seria politica monetaria tassi di riferie di interventi e misure mento nella di politica economica speranza “postliberista” di rinvigorire il mercato del credito e quindi gli investimenti3. Ma la cura monetarista ha i suoi limiti quando la deflazione è provocata dal crollo dei consumi e degli investimenti, entrambi prigionieri


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della sfiducia nelle possibilità di auspicare che il finanziamento di ripresa a breve termine. È diffici- banche in difficoltà si traduca in le ed improbabile che la riduzio- un aumento delle attività creditine del costo del danaro possa in zie per esser certi che aumenterà tali condizioni stimolare gli inve- l’offerta di credito al sistema delstimenti. È allora indispensabile le imprese, anche perché langue il ricorso alla politica economica la domanda di credito da parte e alla definizione di nuove e più delle imprese (e anche delle famiglie). Occorre piuttosto trovare il efficaci regole. Sul fronte delle politiche econo- modo per legare il sostegno pubmiche gli Stati sono scesi in cam- blico al sistema bancario con mipo mobilitando risorse pubbliche sure di politica economica capaci mirate al salvataggio del sistema di stimolare sia l’offerta che la bancario ed a garantire i risparmi domanda di credito: una saldatudelle famiglie, nella speranza che ra che va sollecitata con strumenquesto bastasse a superare il credit ti di interventi agevolativi sul credito, cancellancrunch alle impredo ogni forma di se. Così non è sta- Gli Stati hanno sussidio a fondo to, il mercato inperduto. Ancoranterbancario fatica mobilitato risorse do le iniezioni di a risollevarsi, lan- pubbliche per salvare liquidità al sistema gue l’offerta di bancario con aiuti credito alle impre- il sitema bancario e i agli investimenti, se molto restie ad risparmi delle famiglie gli stimoli all’ofindebitarsi, le borse continuano a precipitare e ferta potranno trovare adeguata l’economia reale non dà segni di rispondenza nella domanda di reazione. Se per dar ossigeno alla credito rimettendo quindi in modomanda aggregata non è in di- to il mercato creditizio e legittiscussione la necessità di allegge- mando l’aiuto pubblico4. rimenti fiscali, tanto che la riu- E poi la crisi ha evidenziato la penione dei G20 del novembre ricolosa carenza di valori etici. Il 2008 ha fatto proprio l’auspicio noto liberale conservatore Joseph del direttore del Fondo moneta- Schumpeter auspicava l’introdurio, Dominique Strauss-Kahn, al zione di regole virtuose per aiutacoordinamento delle politiche fi- re il capitalismo libertario alla scali (oltre a quelle monetarie), “grande trasformazione” verso un sono invece le altre misure di po- sistema responsabile e capace di litica economica a destare le mag- risvegliare l’etica nei comportagiori preoccupazioni. Non tanto menti degli attori economici. perché non siano di per sé valide, ma perché rischiano di essere Rimedi più efficaci inefficaci, ossia di non essere ca- Oltre a badare alle politiche mopaci di liberare il mercato del cre- netarie ed economiche, i governi dito. Non è sufficiente, infatti, dovranno necessariamente affron-


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tare altri due ordini di problemi: come arginare il perpetuarsi di comportamenti speculativi e come migliorare il funzionamento dei mercati finanziari ricorrendo ad un insieme di regole virtuose, capaci di agire sui comportamenti dei diversi operatori senza scadere in eccessi burocratici. Una sintesi dei principali interventi in atto da parte dei governi dei paesi occidentali, Usa e Ue in primis, integrati con suggerimenti migliorativi, può far meglio

comprendere il senso di quanto fin qui sostenuto. (vedi tabella) Se le cause della crisi finanziaria sono ormai evidenti, così come le conseguenze perverse sull’economia reale, non può dirsi che via sia condivisione e certezza sull’efficacia delle misure da adottare per arginare l’intensità della recessione. È certo da condividere la necessità di realizzare interventi in grado di dispiegare un’efficacia rapida. E, tenendo conto delle scelte che

Politiche economiche di contrasto alla recessione e di sostegno alla crescita

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vanno maturando, possiamo au- mercato dei capitali e ai commerspicare che la strategia di uscita ci, coinvolgendo i principali paedalla crisi si adegui alle seguenti si emergenti e alcuni arabi nella linee di azione: costruzione di un condivisione di un sistema di renuovo accordo internazionale gole ispirate alla trasparenza e alesteso alle valute, ai mercati fi- l’equità. Il ritorno alle parità fisse nanziari, ai commerci; condivi- è impensabile, ma si dovrà far sione di poche ed efficaci regole chiarezza, perché se prevarranno i di comportamento, controllo e cambi flessibili, essi dovranno essorveglianza; graduale sostituzio- sere estesi a tutte le principali vane di un sistema dollaro-centrico lute evitando politiche monetarie con una gestione delle fluttuazio- dirigistiche che alterano il valore ni valutarie e del debito pubblico dei tassi di cambio rispetto al licondivisa tra i paesi avanzati e i bero mercato. paesi Bric; coordinamento delle Il riordino della finanza e del principali misure di politica eco- mercato dei capitali hanno necessità di principi etinomica per scong i u r a r e d e r i v e Serve un nuovo accordo ci ispirati alla trasparenza, che non protezionistiche. devono degenerare L’accordo di Bret- che dalle valute ton Woods del e dalla finanza si estenda in misure protezionistiche ormai se1945, pur avendo polte dalla globaresistito per 60 al mercato dei capitali lizzazione dei meranni a fluttuazioni e ai commerci cati. L’economia monetarie, all’eliminazione della parità aurea ed a mondiale continua, infatti, a bediverse turbolenze finanziarie, si neficiare degli effetti positivi delmostra oggi incapace a governare l’apertura dei mercati, conseun sistema non più dollaro-cen- guente più a fattori tecnologici trico ma dominato anche da di- (nuove opportunità offerte dalle verse altre valute, nuove (euro), tecnologie Ict) che dal progresso valute tradizionali (sterlina, fran- degli accordi sul libero commerco svizzero, yen) e da new-entry cio (stallo dei negoziati Omc). (valute dei paesi Bric). Il grafico Nell’ultimo quinquennio gli seguente mostra come, a partire scambi commerciali sono cresciudal 2006, il tasso di cambio del ti notevolmente così come gli indollaro sia stato caratterizzato da vestimenti esteri, i quali hanno una progressiva svalutazione nei superato nel 2007 il livello reconfronti delle principali valute cord che avevano raggiunto nel internazionali; l’unica eccezione è 2000 prima dell’esplosione della l’apprezzamento nei confronti del- bolla informatica. A spingere gli la sterlina. (Grafico, fonte Bce, Ocse) investimenti e specie le attività Si sente la necessità di un nuovo e di fusione e acquisizione di impiù ampio accordo che dalle valu- prese (M&A) sono i capitali prote e dalla finanza si estenda al venienti dai nuovi paesi emergen-


L’ANALISI Roberto Pasca di Magliano

Var. % del tasso di cambio delle principali valute nei confronti dell’euro (2002-2008)

ti (non solo i paesi del gruppo Bric) e dai paesi petroliferi. Questi potranno esplicare i loro effetti benefici solo se le misure di rilancio e di controllo saranno coordinante e concordate a livello mondiale e se i singoli Stati saranno capaci di resistere alle tentazioni protezionistiche nel disperato e miope tentativo di difendere interessi nazionali. Se i paesi occidentali riusciranno a coinvolgere quelli emergenti nella definizione di una governance mondiale e se saranno capaci di varare interventi repentini e coordinati, le possibilità di ripresa potranno essere facilitate beneficiando dell’attrazione di capitali freschi dai nuovi paesi emergenti, così da attenuare gli effetti distruttivi della crisi finanziaria e far ripartire l’economia mondiale fin nel prossimo anno. Per agevolare questa prospettiva occorre che si realizzi il programma di riorganizzazione del “governo mondiale” dei mercati fi-

nanziari, degli scambi commerciali e dei cambi (nuova Bretton Woods). Sarà anche necessario che i singoli Stati affianchino al sostegno e alla salvaguardia del sistema bancario, azioni concertate in sede del prossimo G20 per varare da una parte nuove regole condivise ispirate a standard etico-giuridici5, in grado di eliminare gli eccessi della speculazione sui mercati borsistici e su quelli finanziari, e dall’altro politiche economiche e fiscali capaci di ridare ossigeno alla domanda interna. Senza adeguate risposte, in termini di regole minime comuni e condivise, il rischio di rigurgiti protezionistici da parte dei paesi avanzati appare sempre più concreto e più pericoloso. In uno scenario che ha urgente bisogno di stabilizzazione e di innovazione nelle regole di comportamento, l’afflusso di capitali esteri assume primaria importanza per far fronte alle necessità di ricapitalizzazione delle imprese occidentali;

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di banche, servizi e imprese di per una cooperazione transatlanmolti paesi occidentali, che man- tica che scoraggi la rinascita del tengono comunque una forte ca- protezionismo sempre latente nepacità di attrazione grazie alla di- gli Stati Uniti e in alcuni paesi sponibilità di elevate conoscenze europei, come la Francia. professionali e tecnologiche e al Determinante sarà il coordinafatto di essere localizzate in siste- mento delle politiche economimi economici ed istituzionali do- che e monetarie in sede europea per quattro motivi principali: per tati di stabilità ed credibilità. La definizione di regole condivise isolare i titoli tossici in bad bank sul piano globale e la concertazio- o company create dalle banche in ne delle misure di politica mone- difficoltà onde evitare di far ricataria ed economica ha lo scopo dere il costo del dissesto sui conprimario di scongiurare il ripie- tribuenti e non, come è giusto, gamento verso un protezionismo sugli investitori; per estendere il che innescherebbe un dannoso campo di azione della Bce al di là del mero controllo processo di dedell’inflazione avglobalizzazione, L’italia deve ricorrere vicinandone le distruggendo gli competenze a quelindiscutibili sti- a una politica le della Fed; per rimoli che il proces- di de-fiscalizzazione definire i vincoli di so di liberalizzazione dei mercati per stimolare la crescita Maastricht escludendo dai parameha assicurato alla del reddito nazionale tri di bilancio le crescita del benessere economico e sociale nell’ulti- spese per investimento e consenmo ventennio6. Il dibattito tra i tire l’emissione di obbligazioni principali attori mondiali sembra per il finanziamento delle grandi procedere in modo coerente con infrastrutture come proposto noqueste tesi aprendo ad azioni con- stro ministro dell’Economia, certate che dovrebbero essere as- Giulio Tremonti; per coordinare sunte nel prossimo incontro tra i la politica monetaria tra l’euro e paesi del G8, ove l’Italia avrà la la sterlina, favorendone il suo inpresidenza, e quindi nella sede al- gresso nell’Euro-zona e per contilargata ai paesi del G20. Gli sfor- nuare l’estensione dell’euro; per zi congiunti dei governi tedesco, favorire una nuova cooperazione francese e italiano sembrano con i nuovi protagonisti sul mermuoversi giustamente nella dire- cato dei capitali (Cina, India, zione di definire poche regole ef- Brasile e paesi del Golfo in partificaci da adottare in un nuovo or- colare) orientata ad un ordine ganismo snello e autorevole come monetario più rispondente alle potrebbe essere l’Onu dell’econo- fluttuazioni del mercato e non mia suggerito dal cancelliere An- più fondato solo sul dollaro e dalgela Merkel7. L’Ue dovrà, inoltre, l’altro all’ulteriore liberalizzazioimpegnarsi a ristabilire le basi ne dei commerci.


L’ANALISI Roberto Pasca di Magliano

Azioni queste che agevoleranno tutto verificato il contributo che la diffusione di un nuovo e più potrà conseguire al crollo dei proficuo clima di fiducia tra gli prezzi delle materie prime, oltre che del costo del credito. Ma l’atoperatori economici. Le scelte di politica economica tenzione va anche alle novità che non potranno, invece, trascurare si prospettano sui mercati dei cale peculiarità dei singoli paesi e la pitali con l’ingresso in forza dei rispettiva diversa esposizione alla Fondi di ricchezza sovrana, nuovi crisi finanziaria. I paesi con con- protagonisti sul fronte degli intenuto debito pubblico ma con vestimenti diretti esteri. Al traelevato debito privato, ancorché dizionale interesse per i titoli di dotati di amministrazioni pub- Stato, questi fondi vanno sempre bliche efficienti, potranno fare af- più orientandosi verso attività di fidamento all’aumento della spe- investimento diretto, in particosa pubblica di marca keynesiana lare nell’acquisizione di parteci(Francia, Germania, Paesi Bassi, pazione in imprese. I nuovi fondi sovrani potranno Regno Unito). Paesi invece op- I fondi sovrani potranno contribuire alla ripresa dell’econopressi da un elevamia, alimentando to debito pubblico alimentare i flussi flussi crescenti di ma con un conte- di investimenti verso investimenti verso nuto indebitameni paesi occidentali to delle famiglie (è i paesi occidentali in crisi di liquidiil caso dell’Italia) in crisi di liquidità tà. Essi sono credovranno adottare misure di de-fiscalizzazione nella sciuti enormemente grazie all’aucertezza di impatti rapidi sulle mento delle riserve valutarie acscelte di consumo e di investi- cumulate dai paesi emergenti e mento e ciò anche perché la com- dai paesi esportatori di prodotti plessa ed inefficiente macchina energetici. Dispongono di capitaamministrativa non consentireb- li propri valutati oggi in circa be ad una maggiore spesa pubbli- 4mila miliardi di dollari e proietca di dispiegare i propri effetti tati verso i 12 mila miliardi nel benefici nel breve periodo. Peral- 2012. Sono fondi di proprietà tro, i limiti alla spesa posti dal- pubblica che hanno finora svolto l’elevato debito pubblico non il ruolo di investitori silenti di consentono ampi spazi di mano- lungo periodo, proprio perché invra, mentre le misure fiscale po- teressati alla creazione di fonti di trebbero stimolare la crescita del ricchezza alternative a quelle fireddito nazionale, l’emersione di nora realizzate sul fronte comimponibili sommersi, neutraliz- merciale. A fronte delle indiscuzando quindi le conseguenze in tibili opportunità offerte dai fondi sovrani, crescono però le preoctermini di gettito complessivo. Rivolgendo l’attenzione alle pro- cupazioni dei paesi occidentali spettive di ripresa, andrà innanzi- sul rischio di acquisizioni in im-

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prese operanti in settori strategici per l’interesse e la sicurezza nazionale da parte di governi esteri che non brillano in termini di democrazia e tutela dei diritti umani. Proprio per questo motivo alcuni organismi internazionali suggeriscono la ricerca di soluzioni condivise finalizzate a creare un quadro normativo che soddisfi esigenza di libertà di movimento dei capitali con la trasparenza delle scelte. Dopo una fase di crescita disordinata della loro presenza nel mercato dei capitali sembra prevalere oggi una tendenza all’adozione di un codice volontario di condotta articolato in pochi e condivisibili principi8. Ma nell’insieme le possibilità di ripresa conseguiranno dall’efficacia delle misure di politica monetaria ed economica, dalla capacità di coordinamento che i Governi del G20 riusciranno a condividere e alla riuscita delle azioni rivolte alla riforma del sistema monetario, finanziario e commerciale internazionale.

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L’ANALISI Roberto Pasca di Magliano

Note 1

In verità due economisti avevano previsto gli effetti deflagranti di una crisi finanziaria che si andava manifestando fin dall’inizio del 2008: Nouriel Roubini e Roach di Morgan Stanley. Impressionante e deludente è stato il silenzio del Fondo monetario internazionale e le rassicuranti valutazioni di molte società di rating che, tra l’altro, attribuivano un elevato rating ai titoli Lehman Brothers fino a pochi giorni prima del suo crack. Sul fronte opposto bisogna dar merito al governo italiano di aver posto in situazioni di sicurezza i conti pubblici nazionali con la legge finanziaria varata prima che la crisi devastasse i mercati. 2

Il fenomeno più diffuso è quello dei credit default swaps, una sorta di assicurazioni su titoli ad alto rischio. 3 Il tasso di riferimento del dollaro (gen-

naio 2009) è stato azzerato; la Banca d’Inghilterra lo ha ridotto all’1% e le altre banche centrali si muovono nella stessa direzione. La stessa Bce, la più riottosa a tagliare il tasso di riferimento dell’euro, lo ha ridotto al 2,5% (dicembre 2008) e forse sarà costretta ad effettuare ulteriori tagli se si confermeranno i rischi di deflazione. Ma l’efficacia di tali provvedimenti mostra tutti i suoi limiti, peraltro noti in economia come “trappola della liquidità”. 4

Analogamente è auspicabile un maggior ricorso alla spesa per opere pubbliche immediatamente realizzabili ricorrendo al meccanismo del project financing per attirare capitali privati e migliorare efficacia e rapidità di realizzazione dei progetti.

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Su questi temi si va realizzando una forte coesione europea che vede il nostro paese (organizzatore del G8 del marzo 2009) in posizione di protagonista con proposte innovative avanzate dal ministro Tremonti alla recente conferenza di Parigi “Nuovo mondo, nuovo capitalismo” che si affiancano a quelle della Merkel e di Sarkozy. 6

Non vanno trascurati i benefici in termini di riduzione della povertà assicurati dalla strabiliante crescita economica manifestatisi nei paesi Bric.

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Proposta, questa, che si muove nella direzione dell’eliminazione della dispersione di competenze tra Fmi, Banca mondiale e Wto e nella condivisione di procedure decisionali più snelle e rapide come quelle adottate in sede Onu. 8

Il Fmi, d’intesa con alcuni maggiori fondi sovrani, ha proposto un codice volontario di comportamento sulla trasparenza che sembra trovare ampie condivisioni.

L’Autore ROBERTO PASCA DI MAGLIANO Professore ordinario di Economia politica presso il dipartimento di Teoria economica e Metodi quantitativi per le scelte politiche, Università di Roma La Sapienza. Attualmente insegna Economia politica, Economia aziendale ed Economia dello sviluppo presso la facoltà di Scienze politiche. È Presidente del corso di laurea Cooperazione e sviluppo.

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PAROLA D’ORDINE INTERVISTA A FERRUCCIO DE BORTOLI DI MARIA ELENA GIULIANO

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i profila un futuro multipolare con potenze di area di riferimento e nuovi attori che si affacciano sulla scena mondiale. In questo scenario allargato l’Italia, finora media potenza, può ancora avere un ruolo. A patto che punti su una politica estera basata sull’equidistanza Qualcosa sta cambiando nell’oreconomico e politico mone concertata, quando dine diale. Per la prima volta, infatti, possibile, con l’Europa nuovi paesi, prevalentemente provenienti dall’emisfero meridionale, si affacciano al tavolo dei Grandi. È successo nella riunione dei G20 di Washington e si ripeterà a breve nel suo followup che si terrà a Londra. Ma siamo davvero di fronte a uno spostamento della ricchezza e del potere verso i paesi del Sud? La governante del pianeta sta davvero passando di mano? Ne abbiamo parlato con Ferruccio De Bortoli,


L’INTERVISTA Ferruccio De Bortoli

EQUIDISTANZA

direttore del quotidiano economico Il Sole 24 ore. Lo scorso novembre i Bric, per voce di Lula, hanno criticato i paesi industrializzati, considerandoli responsabili dell’attuale crisi economica mondiale. Hanno poi chiesto a gran voce la riforma di istituzioni come Fmi e Banca mondiale, in quanto espressione di un ordine economico mondiale che ora non esiste più. Cosa rappresenta secondo Lei questa presa di posizione dei paesi del Sud, questo loro “alzare la voce” e puntare il dito contro i “vecchi” potenti?

Devo fare subito una premessa. Tutti i temi di questa conversazione sono trattati dal Sole 24 Ore nelle sue varie sezioni. In particolare in quella di Mondo e Mercati, diretta da Sara Cristaldi. Quella critica di Lula è la conferma definitiva (se ce ne fosse bisogno) del nuovo mondo in cui ci ritroviamo a vivere. Un mondo in cui gli equilibri di potere economico e politico sono molto cambiati rispetto alla realtà del mondo uscito dalla Seconda Guerra mondiale e regolato dagli accordi di Bretton Woods. Anche se quello attuale potrà non essere l’assetto definitivo della transizione all’economia post-industriale. A maggior ragione dopo lo tsunami dell’attuale crisi che non sembra risparmiare nessuno, a Nord come a Sud. Ciononostante, proprio nella crisi del sistema di Bretton Woods e nella mancata riforma delle grandi istituzioni internazionali (Onu, Fondo monetario, Banca mondiale) nascono le rivendicazioni dei nuovi protagonisti del primo secolo del Terzo Millennio. Il secolo dell’Asia, per molti osservatori, che però può riservare sorprese in altre aree emergenti del Sud del globo. A partire dall’America latina dove proprio il gigante Brasile, forte del suo peso economico e del suo riuscito melting pot, già da tempo gioca la sua partita di leader politico in Sudamerica ma an-

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che nei consessi internazionali: dall’Onu alle trattative Doha Round del Wto per l’ulteriore liberalizzazione degli scambi mondiali. O anche, più vicino all’Italia, l’Egitto beneficiato dalla posizione geo-strategica del Canale di Suez, snodo fondamentale sulle rotte commerciali Europa-Asia. A far “alzare la voce” ai paesi del sud del mondo ha in ogni caso definitivamente contribuito la tempesta finanziaria ed economica mondiale. Una crisi non nata, una volta tanto, negli emergenti, ma a cui questi ultimi arrivano con “spalle più larghe” che in passato paradossalmente grazie alle ricette e alle cure prescritte nei passati decenni dalle istituzioni internazionali gestite e indottrinate dai paesi del più ricco Nord. Le cui leadership e autorevolezza, Stati Uniti in testa, risultano alquanto appannate. Quel che è certo è che i rappresentanti del Sud non accetteranno più inviti a G8, o G14 o G20 che dir si voglia, giusto per fare da comparse. Il presidente Lula Inacio da Silva l’ha detto a chiare lettere: se accetteranno, non sarà solo per prendere una tazza di tè. Le regole vanno riscritte con voce in capitolo di chi a Bretton Woods, sessantacinque anni fa, non c’era. Ci sarebbe da chiedersi a questo punto se il Nord non abbia perso troppo tempo nel riconoscere “diritto di parola” ai big del Sud, perdendo così anche potere contrattuale nella progettazione del Nuovo Mondo. Ma questo è l’aspetto più interessante dei mesi e degli anni a venire.

Tra i paesi del Sud del mondo membri del G20, quali secondo Lei hanno più potere economico e più forza politica per cambiare le regole del gioco?

I paesi Bric (volendo usare il fortunato acronimo di Goldman Sachs creato nel 2001 per indicare Brasile, Russia, India e Cina) possono giocare tutto il loro peso in termini economici e di popolazioni di nuovo in marcia sulla strada dello sviluppo. Certo la Cina dall’alto dei suoi 1,4 miliardi di abitanti e dei suoi 2 mila miliardi di riserve valutarie, ha un potenziale di leadership dirompente. A maggior ragione se si considera che il suo modello di “socialismo di mercato” o di “capitalismo di Stato”, come lo si voglia chiamare, ha un’indubbia attrattiva per molti paesi ancora sulla via dello sviluppo nell’emisfero Sud. Il Vietnam, ad esempio, è stato tra i primi a seguirne la strada, finora con risultati sorprendenti sul piano economico. Ma anche il Brasile ha frecce al suo arco e la sua diplomazia agguerrita è pronta a giocare la partita di Brasilia in tutte le sedi. Per non parlare dell’India che, a differenza della Cina peraltro, vanta il primato della più grande democrazia mondiale. Diverso il discorso della Russia, invece, che non è ancora pienamente inserita nel contesto economico mondiale: è l’ultima grande economia a non far parte del Wto. Poco diversificata la sua economia, ancora largamente dipendente da petrolio, gas e materie prime; troppo incerto il busi-


L’INTERVISTA Ferruccio De Bortoli


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ness climate a partire dalle carenze sul fronte della certezza del diritto. Ma è comunque chiaro fin d’ora che anche Mosca appare intenzionata a giocare la sua partita per riemergere come potenza politica di riferimento, anche e soprattutto per il Sud del mondo. Sono giganti che, anche grazie alla velocità consentita dalla rivoluzione tecnologica, si sono messi in moto sul piano economico e, contrariamente a quanto hanno fatto Usa ed Europa, hanno saputo seminare negli ultimi anni sul piano politico negli altri scacchieri del Sud del mondo, rendendosi strumenti di sviluppo e portavoce degli interessi di interi continenti, a partire dall’Africa, nei consessi e nei negoziati internazionali. Pensiamo, per esempio, all’azione di Cina e India nel Continente nero (a riprova sta anche il recente incremento degli scambi e degli investimenti di New Delhi). Ma l’attivismo si è concentrato anche sul Sudamerica dove si sono ad esempio, moltiplicati i contatti e le azioni di Cina e Russia, come testimoniato anche dalle visite dei presidenti Hu Jintao e Dmitri Medvedev alla fine dello scorso anno. Ci sono poi i vertici a tre India-Brasile-Sudafrica per il rafforzamento della cooperazione economica e politica. Il tutto corroborato dalle nuove rotte dei capitali, sempre più concentrati sulla rotta sud-sud. Un esempio è rappresentato dai Fondi sovrani del Golfo che, a causa della crisi globale, oggi investono preferibilmente nella loro regione, in

Nord Africa e nel Continente sub-sahariano. Come si immagina il nuovo ordine mondiale tra qualche anno?

C’è chi come Zbigniew Brzezinski, politologo e consigliere per la Sicurezza nazionale del presidente Carter, ha recentemente avanzato l’ipotesi che il futuro vedrà la nascita di un G2 UsaCina, alla luce delle loro potenze economiche (tra l’altro strettamente interconnesse) e della leadership nelle rispettive aree di influenza. Ma non è più tempo di “Chimerica”, del modello cioè che ha caratterizzato i primi anni del Terzo Millennio: alti consumi americani e alto export cinese


L’INTERVISTA Ferruccio De Bortoli

re via gli alibi storici per comportamenti fuori misura. A Sud come a Nord. Quale può essere il ruolo dell’Italia nei confronti dei nuovi potenti: alleati o competitor?

con conseguenti squilibri macro e finanziari. Un futuro multipolare con potenze di area di riferimento che possano gestire i ventri molli potenzialmente pericolosi (Asia centrale per citarne uno). E in questo contesto potrebbero emergere anche nuovi attori: la Turchia potrebbe essere uno di questi, con la sua funzione di ponte tra Islam e Occidente, tra Europa e Asia, tra culture diverse. L’importante è che si riesca a creare, nel più breve tempo possibile, un nuovo sistema di regole condiviso e soprattutto istituzioni di controllo che abbiano il potere di far rispettare le nuove regole. Occorre spazza-

L’Italia, media potenza (almeno fino a ieri, e oggi?) dovrebbe saper impostare una politica estera basata sull’equidistanza e priva dei tradizionali giri di valzer e di pacche sulle spalle. Il che le potrebbe permettere di giocare nelle crisi del Nuovo Mondo (che pure ci saranno) un ruolo di negoziatore super partes e di peacekeeping. In realtà, di fronte ai nuovi giganti, sarebbe utopistico ritagliarsi velleitari spazi di azione in solitario. Meglio agire con l’Europa, quando si può. Piuttosto occorre dare più attenzione (e regia unica) alla cosiddetta politica estera economica, per tutelare meglio gli interessi delle imprese italiane, e quindi del paese in generale, nell’era della globalizzazione. Qui in effetti sarebbe importante stringere nuove alleanze a Sud per rafforzare i flussi di investimenti esteri, in uscita quanto in entrata, in linea con l’unico modo possibile di fare impresa nel mondo globalizzato. Finora, purtroppo, non si è seminato molto su questo fronte. E nel Sud del mondo siamo ancora troppo poco presenti, a differenza dei nostri concorrenti più tradizionali, cui oggi si sommano nuovi protagonisti (comprese le nascenti multinazionali degli emergenti)

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Sempre Lula ha sottolineato l’importanza di chiudere il Doha Round al più presto, in quanto solo un commercio internazionale veramente libero può risollevare l’economia mondiale dalla crisi. Qual è il Suo punto di vista a riguardo?

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A voler essere realisti, forse questo è il momento peggiore per pensare che il negoziato per il libero scambio si possa chiudere in tempi ravvicinati: contrazione degli scambi mondiali, risorgenti tentazioni protezionistiche da cui tutti sembrano contagiati. Ma quella del libero scambio è una strada obbligata alla luce dei vantaggi che ha portato finora in termini di sviluppo. Significativo è che la richiesta venga dai paesi del Sud del mondo. Il problema sarà sul tavolo del futuro G20, a maggior ragione ora che la nuova presidenza Usa ha iniziato la sua azione. Il Nord oggi sa che sul fronte più caldo, quello agricolo, non potrà più rimanere attestato su anacronistiche difese di interessi costituiti e ineguaglianze non più giustificabili. Ancora una volta però c’è da chiedersi se non sia troppo tardi. Il rischio è quello di restare emarginati nei nuovi equilibri del mondo e di avviarsi a un inesorabile storico declino.

L’Intervistato

FERRUCCIO DE BORTOLI Nasce a Milano nel 1953, dopo la laurea in giurisprudenza esordisce nella professione giornalistica al Corriere dei ragazzi, nel 1973. Lavora successivamente per il Corriere di In-

formazione, Il Corriere della Sera e L'Europeo. Nel 1987 torna al Corriere della Sera prima come caporedattore dell'economia, poi come vicedirettore; nel 1997 assume la guida del primo quotidiano italiano. Lasciato il Cor-

riere nel 2003, diventa amministratore delegato di Rcs Libri: dopo un periodo da editorialista per La Stampa, nel gennaio 2005 diventa direttore del Sole 24 Ore e direttore editoriale del gruppo legato al più importante quotidiano economico nazionale.

L’Autore MARIA ELENA GIULIANO Giornalista, laureata in Scienze Politiche, Ha lavorato per il Sole 24 Ore e Milano Finanza. Ha vissuto a Londra, dove ha lavorato per Bloomberg Tv, e a New York e Los Angeles, da dove ha collaborato per varie riviste italiane tra cui Il Venerdì di Repubblica e Banca Finanza.


L’ANALISI Emanuele Baldacci

L’export italiano non crollerà

Innovazione e flessibilità: l’unica cura possibile DI EMANUELE BALDACCI

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La crisi finanziaria avviatasi a metà del 2007 e tuttora in corso ha raggiunto il suo apice verso la fine dello scorso anno. Nei primi mesi del 2009 i principali indicatori finanziari si sono andati stabilizzando, sia pure a livelli anomali rispetto a quelli precedenti alla crisi, e la volatilità dei prezzi di mercato è diminuita.

Tuttavia le difficoltà non sono finite. È ora la volta dell’economia reale: gli indicatori globali indicano un forte calo della crescita economica e del commercio internazionale con implicazioni durature per il sistema produttivo che avevamo conosciuto finora. Quali sono le conseguenze strutturali di questa tempesta?


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Dopo un cataclisma naturale (co- La crescita eccezionale dell’econome quelli che spesso avvengono mia mondiale che abbiamo sperinei paesi caraibici ed in alcune mentato è stata figlia di due fatparti dell’Asia) si contano i danni tori che hanno operato congiunarrecati alle infrastrutture e la tamente: la rivoluzione tecnolopriorità immediata diventa quel- gica che ha ridotto i costi del trala di ricostruire materialmente sferimento di merci e servizi e la strade, scuole e case per poter ri- liberalizzazione degli scambi prendere le attività quotidiane. commerciali e dei servizi finanSpesso però la tempesta ha dan- ziari (ma anche un flusso maggioneggiato le strutture produttive re di idee e culture). La combinaportanti dell’economia e quindi zione di questi fattori ha profonla crescita economica futura po- damente trasformato il modo di trebbe essere a rischio nonostante produrre merci e servizi su scala l’attività di ricostruzione possa globale con il risultato che nuove dare un aiuto alla ripresa econo- economie (i cosiddetti mercati emergenti) hanno mica nel breve terassunto un ruolo mine. La risposta a Le imprese che hanno importante sia coquesti problemi in me piattaforma casi come questo avviato un percorso può comportare la di internazionalizzazione manifatturiera (ad esempio la Cina), necessità di modisia come produttoficare profonda- attiva con investimenti mente il sistema all’estero sono più solide ri di servizi in qualche caso ad alproduttivo: quello che si produce e come lo si fa. Per to valore aggiunto (ad esempio analogia anche nella crisi attuale, l’India). Oggi questi paesi rapdopo che sarà passato il tempo presentano una quota maggioridella necessaria ricostruzione del taria nella crescita della domansistema finanziario pesantemente da aggiuntiva e marciano velocecolpito dalle persistenti turbo- mente verso la convergenza nei lenze dei mercati attraverso gli livelli di reddito con le econointerventi eccezionali messi in mie più mature. Questo si è ricampo dalle autorità monetarie e flesso nel progressivo allargadai governi ed i relativi interven- mento dei consessi decisionali ti di stimolo dell’economia reale multilaterali dal G7 al G20 con che ha subito gli effetti della cri- l’inclusione delle maggiori ecosi, bisognerà chiedersi se le mo- nomie a medio reddito. dalità che hanno permesso al si- Le conseguenze di questa trasforstema economico di crescere mazione degli assetti globali hanininterrottamente per quasi un no però riguardato non solo la decennio sono ancora valide ed geografia del potere economico, efficaci e come le imprese do- ma soprattutto il modo di produvranno posizionarsi per il nuovo zione delle merci e dei servizi su scala mondiale. La frammentaziomondo che verrà.


L’ANALISI Emanuele Baldacci

ne della filiera produttiva e la sua dislocazione su scala globale (production unbundling) ha sostituito come modello produttivo quello più tradizionale basato sulla divisione del lavoro tra paesi. In quest’ultimo sistema il grosso delle interazioni tra paesi avveniva attraverso flussi di export e solo alcune grandi imprese operavano cross border sotto forma di multinazionali. Nel nuovo sistema, invece, sempre più l’origine delle merci che arrivano in un punto vendita di qualsiasi parte del globo è complessa, essendo frutto di fasi di lavorazione e input che provengono da paesi diversi. Questa specializzazione è stata governata dalla ricerca della massima efficienza produttiva in ogni fase della filiera da parte delle imprese, dal trionfo del ruolo della logistica e dalla creazione di competenze di nicchia da parte dei produttori grandi e piccoli che si inserivano in tali filiere. In questo nuovo mondo, le imprese più dinamiche e vincenti sono state quelle che non si sono limitate a vendere sui mercati esteri ma hanno avviato percorsi di internazionalizzazione attiva attraverso investimenti esteri diretti, specializzazione e innovazione. Non necessariamente la dimensione aziendale elevata e la forte capitalizzazione sono fattori vincenti in tale contesto, mentre contano di più le idee, la competenza e l’affidabilità. Il sistema industriale italiano ha subito negli ultimi anni un rapido processo di selezione e adattamento che ha visto l’emergere di

IL LIBRO

Quando le previsioni non bastano Com'è possibile che il disastro concentrato nel settore dei mutui, gli ormai famigerati subprime loans, abbia congelato il mercato del credito, mandato in tilt le quotazioni azionarie, provocato il fallimento di numerose banche e portato il mercato internazionale sull'orlo del collasso finanziario? L'avvocato ed ex banchiere Charles Morris analizza in questo libro, uscito negli Usa ad aprile 2008, nei minimi dettagli, con uno stile chiaro anche per i non addetti ai lavori, i motivi che hanno portato il mercato alla più grossa crisi finanziaria del credito. Partendo dalle teorie economiche degli anni Settanta, fino alla bolla speculativa del nuovo millennio, l'autore analizza come le crescenti complessità dei prodotti finanziari e lo scarso controllo da parte delle istituzioni abbiano portato la situazione al punto di rottura: trecentottanta miliardi di dollari in perdite già subite e calcolate da Bloomberg, più circa centosettanta previsti a carico di banche e finanziarie entro il 2009 secondo la stima di Meredith Whitney della Oppenheimer & Co. Questo finora il costo globale, tra contabilizzato e previsto, della crisi finanziaria del 2007-2008, crisi che sta coinvolgendo drammaticamente tutti i mercati internazionali e di cui è difficile intuire lo sviluppo futuro.

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imprese dinamiche di media di- credito. La crisi ha generato un mensione (le cosiddette multina- clima di avversione al rischio che zionali tascabili) che si sono inse- ha ridotto l’offerta di credito alle rite con le loro produzioni di imprese e alle famiglie e tende a punta nelle filiere globali a me- comprimere gli investimenti e i dio valore aggiunto del nuovo ca- consumi privati per motivi prepitalismo. Questo processo ha vi- cauzionali. A questa riduzione sto tra l’altro la crescita di impre- dell’offerta di credito si è unito se che hanno rapporti con l’estero un aumento dei premi a rischio e sia in termini di fatturato deri- del costo della raccolta di fondi. vante da vendite su questi merca- La combinazione di questi fattori ti, sia attraverso varie modalità di ha effetti anche sul credito alinsediamento (con filiali, accordi l’esportazione con la riduzione di vendita, investimenti greenfield dei fondi a disposizione per fio joint venture). Tuttavia, nono- nanziare le transazioni del comstante queste realtà, il sistema mercio internazionale. Questo effetto, unendosi al produttivo italiarallentamento delno nel suo com- Dal 2009 a causa la domanda globaplesso è anche cale, riduce la dinaratterizzato da li- del rallentamento mica dei flussi velli elevati di della domanda anche commerciali gloproduzioni a basso bali a ritmi magcontenuto di tec- le economie emergenti giori della riduzionologia e limitato risentono della crisi ne della crescita valore aggiunto con imprese spesso di dimensione economica. troppo ridotta e che operano su A partire dalla seconda metà del mercati tradizionali. Per capire 2008 gli indicatori dell’economia quale sarà l’esito su questo siste- reale hanno iniziato a segnalare ma industriale italiano della crisi questo rallentamento nelle econoeconomica e delle trasformazioni mie avanzate più esposte agli efproduttive globali in atto biso- fetti della crisi finanziaria, ed in gna dunque analizzare le prospet- particolare negli Stati Uniti e nel tive congiunturali e strutturali Regno Unito. Le economie avandell’economia dopo la tempesta zate hanno subito prima un ridimensionamento della crescita delfinanziaria. Lo scoppio della bolla immobilia- la domanda interna e poi una vera re negli Stati Uniti ha generato e propria fase recessiva guidata un processo a catena che, combi- dalla caduta dei consumi privati. nando scarsa liquidità nel settore Le maggiori economie emergenti interbancario, svalutazione dei ti- hanno tenuto meglio in una pritoli delle istituzioni finanziarie e ma fase, soprattutto per la persibassa capitalizzazione delle ban- stente forza del loro export. Verso che e delle compagnie assicurati- la fine del 2008 e nei primi mesi ve, ha determinato una crisi del del 2009, però, anche la forza del-


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le esportazioni dai paesi emergen- +10%. Buona anche se ridotta la ti si è fortemente ridotta con una performance di metalli e macchicaduta delle vendite verso Giap- nari. Invece il rallentamento è stato molto marcato per i prodotti pone, Stati Uniti e l’area euro. Il rallentamento della domanda più tradizionali del made in Italy e mondiale ha avuto effetti anche per l’output dei distretti indusulle esportazioni italiane. Dopo striali che hanno avuto una conun triennio di crescita molto so- trazione delle vendite sui mercati stenuta che ha portato nel 2007 esteri. La domanda del Nord Afriall’incremento delle quote in va- ca e dell’Europa extra-Ue è risullore delle esportazioni italiane, la tata in accelerazione, mentre è crisi ha avuto effetti anche sulle peggiorato l’andamento delle vendite estere delle nostre impre- vendite nei tradizionali mercati di se. Nel 2008, soprattutto nella se- sbocco europei. È proseguita la conda metà, si è verificato un ral- forte crescita delle esportazioni in lentamento della crescita delle Russia e Polonia, dove ci sono stati aumenti tendenesportazioni reali ziali cumulati sudi beni e servizi, L’export italiano periori al 15%. che hanno registraIn questo contesto to un aumento in tiene bene nei trasporti di rallentamento termini tendenziali e nell’agroalimantare, delle vendite alinferiore all’1%. l’estero il dato suPrincipali cause so- ma il made in Italy gli investimenti no state nella pri- e in controtendenza diretti esteri è in ma metà dell’anno l’euro forte e gli elevati prezzi controtendenza. Sono infatti raddelle commodity e nella seconda doppiati nel 2007 i flussi netti di metà il forte deterioramento della investimenti italiani che hanno domanda globale, anche in quei raggiunto un ammontare superiomercati in cui le merci italiane re a 65 miliardi di euro. Anche nel 2008 alcune stime indicano una crescevano in doppia cifra. La frenata delle vendite è stata pe- buona tenuta degli investimenti. rò molto differenziata tra i settori In parte questo è dovuto a strategie a dimostrazione di un diverso gra- commerciali di internazionalizzado di capacità competitiva dei no- zione che non sono state interrotte stri prodotti e disparità ancora per effetto della crisi essendo legamaggiori si possono riscontrare te ad obiettivi di business di menelle analisi intra-settoriali tra dio-lungo termine. Un altro fattoimprese competitive e imprese in re è legato al cambio forte nei condifficoltà all’interno dello stesso fronti del dollaro e nel ridotto comparto. A trainare l’export so- prezzo di alcuni asset industriali no stati soprattutto i mezzi di tra- che ha reso possibili importanti acsporto e l’agroalimentare, con quisizioni di soggetti industriali quest’ultimo che ha riportato tas- italiani in mercati avanzati e sosi di variazione superiori al prattutto nell’area del dollaro.

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Come sarà alla luce di questi segnali l’anno in corso? Gli effetti della crisi finanziaria già evidenti nei dati congiunturali determineranno un forte indebolimento delle condizioni economiche. La crescita globale scenderà sotto La ripresa arriverà il 2% e la riprelentamente dal 2010 sa arriverà lenper stabilizzarsi concretamente nel 2011 tamente a partire dalla seconda metà del 2010 per concretizzarsi solo nel 2011. Il commercio internazionale risentirà più che proporzionalmente della recessione, con una crescita prevista inferiore rispetto alla media degli ultimi anni. Questo processo di inversione della tendenza alla 66 globalizzazione non sarà però duraturo. Al contrario, il processo di internazionalizzazione delle economie proseguirà a ritmi accelerati per effetto dell’affermazione del modello di produzione basato sulla frammentazione globale delle filiere. Le economie industrializzate subiranno uno shock molto forte, a causa del loro maggiore coinvolgimento nella crisi finanziaria, con una previsione di espansione per il prossimo La previsione di cresita triennio di poco superiore dell’economia globale all’1% annuo in per i prossimi tre anni è solo dell’1% termini reali. Il rallentamento sarà però più contenuto nei mercati emergenti, specialmente quelli asiatici, grazie alla maggiore solidità del sistema manifatturiero e alla capacità di adattare politiche economiche espan-

sive per rilanciare la domanda interna. Anche questi mercati risentiranno, tuttavia, della crisi in seguito alla riduzione della domanda di beni e servizi da parte delle economie avanzate come già sta avvenendo per i principali paesi esportatori. Nel complesso, nei prossimi tre anni il grosso della domanda di beni e servizi proverrà dai mercati emergenti e dai paesi a basso reddito, mentre la domanda aggiuntiva proveniente dai mercati avanzati sarà ridotta (e pari a zero in media in termini reali per l’anno in corso). Quali saranno gli effetti di queste tendenze globali per le imprese italiane? Nel complesso le esportazioni italiane reagiranno alla


L’ANALISI Emanuele Baldacci

crisi attuale meglio di quanto accaduto nella recessione del 20012002. Tuttavia, ci sarà una perdita della quota di mercato italiana che si prolungherà fino al 2012 in quanto la forza del nostro export non terrà il ritmo della crescita globale. Anche se questo dato può apparire negativo è in realtà in parte dovuto alla strutturale differenza di crescita tra mercati maturi e mercati emergenti che si amplierà durante gli anni della recessione globale. Anche per i principali competitor europei però ci sarà nei prossimi anni un analogo calo della quota di mercato delle proprie merci. La posizione relativa italiana non sarà dunque peggiore di quella

dei principali concorrenti dei paesi maturi, ma lo sarà invece rispetto ai paesi Bric (Brasile, Russia, India e Cina), Turchia, Emirati Arabi Uniti e Sud Africa per citare i principali mercati. Sono più positive le previsioL’export italiano ni per gli inve- reagirà meglio alla crisi stimenti diretti attuale rispetto a quella italiani all’estedel 2001-2002 ro per i quali, nei prossimi anni, ci sarà solo un modesto arretramento rispetto ai recenti flussi record. Le imprese italiane cercheranno infatti di compensare la minore spinta delle vendite nei mercati avanzati andando a collocare le produzioni nelle aree dove si prevede una 67 maggiore crescita della capacità di consumo. Il rallentamento previsto per la crescita delle esportazioni italiane riguarderà sia i beni sia i servizi, anche se con dinamiche diverse. Per i beni si prevede una crescita media a prezzi costanti in forte riduzione rispetto al quinquennio precedente; per i servizi, la previsione di crescita media in volume è costante rispetto ai cinque anni precedenti e superiore a quella dei beni. A liLa domanda di beni vello di rage servizi proverrà gruppamenti principali di soltanto dall’economie emergenti industria, sarà buona la performance prevista per i beni di investimento, la cui dinamica delle esportazioni dovrebbe aumentare, nell’orizzonte di previsione, di un punto percentuale rispetto al periodo 2003-2007 e mantenersi


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al di sopra della crescita media dei flussi commerciali dall’Italia dell’export di beni. In particolare verso mercati rilevanti come Gerevidenza, come già da alcuni an- mania, Francia, Spagna, Regno ni, sarà la performance dell’export Unito, a cui si aggiungono anche nella meccanica strumentale. gli Stati Uniti. Maggiori invece Questo settore sarà infatti in gra- saranno le perdite di quote di do di supplire allo scarso volume mercato in Sud Africa e Asia, di attività previsto nei paesi un’area questa verso la quale si avanzati puntando maggiormen- prevede un decremento delle te sulla domanda di macchinari quote del 30%. Un dato positivo da parte delle economie emergen- arriva invece da alcuni paesi ti. Sopra la media sarà anche la emergenti (Brasile, India, Ruscrescita delle esportazioni di pro- sia), verso i quali le esportazioni dotti agricoli, che comprendono di beni e servizi cresceranno a tasalimentari e bevande e la cui at- si medi annui intorno al 10%. Si trattiva è legata alla qualità dei prevede che l’incremento medio delle esportazioni prodotti del made sarà superiore al in Italy. Si dimez- Le esportazioni italiane 7% anche in altri zerà, invece, la dimercati emergenti n a m i c a d e l l e cresceranno verso i come Indonesia, esportazioni di be- paesi economicamente Polonia, Slovacchia ni intermedi, soe Turchia. prattutto a causa emergenti come In molti settori ci del forte rallenta- Brasile, Russia e India saranno buone opmento previsto nei settori del metallo e dell’industria portunità per le imprese italiane. estrattiva. Per i beni di consumo i In Polonia, si prevede la buona tassi di crescita rimarranno molto performance del settore delle appacontenuti a causa della forte ridu- recchiature elettriche, mentre in zione nei consumi di fascia media. Romania, tra tutti i paesi consiLa quota di domanda mondiale di derati, si ha la migliore previsioimportazioni che verrà soddisfat- ne per il settore della gomma e ta dalle esportazioni italiane si ri- plastica con una crescita media durrà in modo diffuso nelle diver- che si manterrà alta nel triennio se aree del mondo, anche se con 2008-2010. Buone, inoltre, le modalità differenti. La vicinanza opportunità per i distretti indugeografica continuerà infatti a striali della moda che continuegiocare un ruolo importante per ranno a ricevere ordini consistenla dinamica delle esportazioni, ti dalla Russia, sostituendo quei per cui le quote di mercato italia- mercati che rappresentavano gli ne saranno più elevate in mercati sbocchi tradizionali per il settore, vicini quali l’area euro, l’Europa quali Stati Uniti e Germania. In centro orientale e i paesi del Turchia, dove l’industria della laNord Africa e Medio Oriente. Si vorazione dei metalli si è svilupprevede una notevole riduzione pata in parallelo con la crescita


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del paese, la domanda di metalli sarà elevata e potrà portare a un 15% medio di crescita delle esportazioni italiane. Per la meccanica buone possibilità di crescita si riscontreranno in Brasile nel comparto dei macchinari per l’imballaggio e l’imbottigliamento. A trainare le esportazioni di macchinari in India sarà soprattutto la domanda di macchine per l’industria tessile e dell’abbigliamento. Per il settore chimico sarà la farmaceutica, destinata al mercato cinese, a supportare le nostre previsioni di vendite, con una media di crescita dell’export del 12,2% annuo per il triennio 2008-2010. Infine, le esportazioni di alimentari e bevande cresceranno notevolmente in molti mercati, tra cui la Svizzera, con una dinamica che dovrebbe più che raddoppiare raggiungendo una crescita media del 7,7% nel periodo 2008-2010. Le maggiori opportunità ci saranno per i produttori italiani di vino, con un’incidenza sul totale delle esportazioni di generi alimentari italiani verso il paese del comparto vinicolo pari al 40%. Dunque la crisi sarà dura e creerà maggiore selezione anche tra le imprese italiane. L’internazionalizzazione in un contesto di maggiore sviluppo del processo di global production unbundling che risulterà accentuato dalla crisi sarà però, prima che una opzione strategica, una necessità. Fortunatamente molte imprese italiane sono già ben collocate nelle filiere produttive grazie alla loro capacità di innovazione, flessibilità,

orientamento al cliente. Sta alla politica economica non sostituirsi ai meccanismi di selezione di mercato ma accompagnare le imprese migliori e meritevoli in questa sfida globale con adeguati strumenti finanziari, migliorando il contesto operativo e rendendo dinamico e competitivo l’ambiente in cui operano.

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L’Autore EMANUELE BALDACCI Chief Economist Sace


Per andare avanti si dovrà tornare indietro

Adesso mutiamo le REGOLE dell’assetto monetario La via da indicare sarà quella di un ritorno ad un cambio valutario fissoche può riportare equilibrio negli Stati e nella finanza DI EMANUELA MELCHIORRE 70

È diffusa l’opinione che la crescita economica che alcuni grandi paesi del sud del mondo hanno sperimentato in questi ultimi due decenni possa incidere oggi sugli assetti mondiali e sulle sfere di influenza in modo da rivoluzionare il ruolo trainante, finora consolidato, delle economie tradizionalmente industrializzate, ossia di quei paesi che componevano il noto G7 (Stati Uniti, Gran Bretagna, Canada, Francia, Germania, Giappone e Italia) e che con le loro economie, al momento della costituzione del summit in parola, contribuivano per l’80% alla ricchezza mondiale. Già nel recente passato, e con precisione col vertice di Birmingham del 1998, si è assistito a un primo ampliamento del summit internazionale alla Russia, in seguito al modifi-

carsi degli assetti economici e politici e del differente contributo che i paesi hanno progressivamente dato alla ricchezza mondiale. Si è così cominciato a parlare del G7+1, anche detto G8. Oggi si pensa di allargare ulteriormente il foro ad alto livello decisionale, in cui si discute delle più importanti questioni macroeconomiche e di politica monetaria, ai paesi emergenti che presentano i più alti tassi di crescita economica. È infatti sembrato opportuno consentire l’ingresso a paesi, quali Australia, Corea del Sud, Arabia Saudita, Messico, Brasile, Argentina, Turchia, Sudafrica, Cina, Indonesia e India, al forum più importante e, per tale via, permettere loro di dare un contributo all’attuale crisi economica che ha investito tutto il mondo,


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non solo i paesi industrializzati, ma anche le economie emergenti, in seguito allo scoppio delle tre bolle speculative di questi mesi (quella dei subprime, quella petrolifera e quella dei generi alimentari). Occorre comunque considerare che con il notevole aumento del numero dei paesi che interverranno al summit il processo decisionale sarà inevitabilmente più lungo: un accordo tra venti membri sarà di gran lunga più difficile da raggiungere rispetto a un accordo tra un numero di paesi minore. Si parla da qualche anno, dopo la diffusione della relazione del 2003 del Goldman Sachs Global Research Centres dal titolo “Dreaming With Brics: The Path to 2050”, firmata dagli economisti Dominic Wilson e Roopa Puru-

shothaman, dei cosiddetti “Bric”, per indicare con tale acronimo l’insieme di quattro paesi (Brasile, Russia, India e Cina) che più di altri dimostrano vaste potenzialità di crescita (grafico 1). Nel loro complesso tali paesi contano più della metà della popolazione mondiale e rappresentano circa la metà del totale delle terre emerse. La Russia e il Brasile sono ricchi di risorse naturali e in gran parte sfruttano proprio questa dotazione per migliorare le loro condizioni di vita. La Cina e l’India hanno sperimentato un processo di industrializzazione molto rapido. Il Brasile, oltre al tradizionale allevamento di bovini, alla fiorente agricoltura e alla coltivazione soprattutto di soia, caffè, canna da zucchero, agrumi, cacao e cotone,


possiede metalli preziosi e rilevanti giacimenti di petrolio, in parte sulla terra ferma e in parte sulla piattaforma continentale. Inoltre, immensi giacimenti di oro nero, di circa 8 miliardi di barili, sono stati scoperti recentemente nella Baia di Santos, al largo delle coste brasiliane, sotto uno strato di roccia e di sale, a 6

chilometri di profondità. La produzione, che dovrebbe iniziare a marzo del 2009, potrebbe aggirarsi intorno a 100 mila barili al giorno, unitamente a 3,5 milioni di metri cubi di gas. Le riserve brasiliane sono state stimate a 60 miliardi di barili equivalenti di petrolio, pari a circa tutte le riserve del sottosuolo russo. È un pri-

FOCUS

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QUANDO IL BRIC SUPERERÀ L’OCCIDENTE Bric è un acronimo utilizzato in economia internazionale per riferirsi congiuntamente a Brasile, Russia, India e Cina. Questi paesi condividono una grande popolazione (Russia e Brasile oltre il centinaio di milioni di abitanti, Cina e India oltre il miliardo di abitanti), un immenso territorio, abbondanti risorse naturali strategiche e, cosa più importante, sono stati caratterizzati da una forte crescita del Pil e della quota nel commercio mon-

diale, soprattutto nella fase iniziale del XXI secolo. Questo termine è apparso per la prima volta nel 2003 in una relazione della banca d’investimento Goldman Sachs. La relazione suggeriva che le economie dei paesi Bric sarebbero cresciute rapidamente, rendendo il loro Pil nel 2050 paragonabile a quello dei paesi del G6 (Stati Uniti d'America, Giappone, Regno Unito, Germania, Francia e Italia).


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mato brasiliano la produzione di prime, ma anche da accordi presi etanolo prodotto dal mais ed è con i governi delle economie giunta a compimento la speri- avanzate. Egli è stato ben attento mentazione della tecnologia per alla ripartizione dei rischi tra la produrre “etanolo di seconda ge- Russia e i paesi consumatori, innerazione”, ottenuto dai residui vestendo nell’ammodernamento di canna da zucchero, mais, gra- e nella realizzazione di nuovi imno, soia e segatura, che entrerà in pianti con capitali stranieri in commercio nel 2010. Per via del- quote di partecipazione inferiori la produzione di etanolo dal mais al 50 per cento, garantendosi, in il Brasile aveva ricevuto le criti- questo modo, la conservazione che corali di molti ambientalisti del controllo delle fonti energetie anche di alcuni esponenti di go- che e la diversificazione dei merverni che imputavano al paese ca- cati di sbocco. Mosca controlla rioca la responsabilità, per tale tutte le infrastrutture della regiovia, dell’impennata dei prezzi ne delle ex repubbliche sovietiche, poiché il sidelle derrate alimentari, che nel La produzione di materie stema di idrocarburi della vecchia 2008 ha provocato Unione Sovietica inflazione nei paesi prime, come gas era stato costruito industrializzati e e petrolio, sono i veri per essere gestito aggravato ulteriordal centro, cioè da mente il problema pilastri dello sviluppo Mosca, e oggi è della fame nei pae- di Brasile e Russia appannaggio delle si poveri. Tale errato convincimento era piuttosto società russe che, come la Gazdiffuso e se ne parlò anche in oc- prom, sono sotto il controllo gocasione del vertice Fao sulla sicu- vernativo. La Russia, oltre che sul rezza alimentare, nel giugno giacimento di Shtokman, nel 2008. Quando invece l’effettiva Mare di Barents, nell’Artico, può causa dell’impennata dei prezzi contare su quello che è definito il agricoli, ovvero la spinta della “tesoro del Caspio”. In questa respeculazione, è venuta meno con gione Mosca esercita il controllo lo scoppio della bolla speculativa, dei prezzi del gas naturale. I prezanche le accuse al Brasile non so- zi del gas destinato ai paesi limitrofi sono stati rivisti al rialzo rino state replicate. La Russia, con l’avvento di Putin spetto a quelli praticati a livelli al potere, ha conosciuto una nuo- politici in nome di quella che era va espansione grazie allo sfrutta- stata la “fratellanza sovietica”. La mento delle risorse naturali, mi- Russia persegue la politica di rinerali e pietre preziose, ma so- portare il livello dei prezzi a prattutto petrolio e gas naturale. quello di mercato, provocando in La politica di Putin di risana- tal modo un raddoppio del prezzo mento dell’economia russa è par- che tali paesi sono costretti a patita dal commercio di materie gare per le loro forniture di gas.

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Un tale aumento ha originato la essere tra i fiumi più inquinati al crisi tra Russia e Ucraina che si mondo e costituisce un pericolo ripete ormai ogni anno nei mesi per decine di milioni di persone invernali, spesso a discapito che vivono lungo le sue rive. dell’Europa tutta. Secondo i piani Per alimentare la crescita acceledella Putinomics del 2006 l’econo- rata della sua economia, in questi mia delle fonti energetiche, in- anni il governo cinese si è adopequadrata in un più ampio conte- rato per tessere una fitta rete di sto delle esportazioni di tutte le accordi commerciali e di intese materie prime, avrebbe dovuto politiche soprattutto con gli Stati portare al raddoppio del Pil della africani (in prevalenza con gli Russia in cinque anni, quindi en- “Stati canaglia”) e asiatici volti a tro il 2011, con un incremento ottenere materie prime e petrolio medio annuo del 10%. L’attuale in cambio di investimenti e precrisi economica però costringerà stiti a tassi agevolati. Con la Rusil governo di Mosca a ridimensio- sia è stato concordato un piano di collaborazione in nare i propri desidiversi settori deri di espansione. Sia Cina che India (energia, siderurDurante gli anni gia, industria miOttanta e Novan- hanno stretto accordi neraria) in attesa ta, la Cina, la cui con gli “Stati canaglia” della costruzione popolazione come di oleodotti tra i noto si aggira in- per poter sviluppare due paesi per la torno a 1,3 miliar- la propria economia fornitura di petrodi di persone, ha sperimentato una fase di crescita a lio. tassi molto elevati, in gran parte L’India, con 1,1 miliardo di perin seguito agli investimenti di sone, è il secondo paese più popomultinazionali europee e soprat- lato al mondo dopo la Cina. Il gotutto americane nei settori tradi- verno Manmohan Singh ha portazionali. Ciò è valso alla Cina, che to avanti una serie di politiche ha visto svilupparsi soprattutto le economiche e sociali mirate alla aree costiere, più facilmente rag- crescita industriale e al miglioragiungibili e collegabili al resto del mento delle condizioni di vita mondo tramite i porti, l’appellati- delle masse contadine più povere. vo di “fabbrica del mondo”. Va- Ha stretto accordi di cooperaziostissime aree dell’entroterra con ne con l’Unione europea, sono elevato carico di popolazione, in- migliorati i rapporti politici con vece, sono rimaste arretrate e po- la Cina, ma ancora difficile è la sivere. Le vie di comunicazione nel- tuazione con il Kashmir, la regiole campagne sono pressoché inesi- ne a nord del paese, e con il vicistenti, non vi sono presidi sanitari no Pakistan. La sua spiccata die in tutto il paese l’inquinamento pendenza dall’estero per l’approvambientale ha raggiunto livelli al- vigionamento dell’energia, è crelarmanti. Il fiume Giallo risulta sciuta soprattutto dal 1991, in


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seguito all’alto tasso di sviluppo dell’economia, soprattutto di quella manifatturiera. Il bisogno di energia ha fatto sì che il governo indiano stringesse un accordo con gli Stati Uniti riguardo al nucleare civile impegnandosi ad aprire i suoi stabilimenti nucleari alle ispezioni della Aiea (Agenzia internazionale dell’energia atomica) in cambio di forniture di tecnologie atomiche (reattori e combustibile) da parte statunitense. La necessità di cercare all’estero nuove fonti energetiche ha condizionato la politica estera indiana, inducendo Nuova Delhi a stabilire buone relazioni con alcuni “Stati canaglia”, tra cui il Venezuela, il Sudan, la Siria, la Birmania e l’Iran. E proprio le relazioni con quest’ultimo paese e, in particolare, il progetto di costruzione del gasdotto Ipi, il cosiddetto “gasdotto della pace” che dovrebbe collegare l’Iran all’India passando per il Pakistan,

ha rallentato il processo di allineamento strategico con gli Usa. Il sospetto di un capovolgimento delle sfere di influenza dagli Usa all’area asiatica, che fino a non molto tempo addietro non era raro leggere su quotidiani e riviste, non è nuovo. Basti pensare all’eco che ebbe il cosiddetto “pericolo giallo” in seguito al boom industriale giapponese degli anni Sessanta. Come si ricorderà, durante quel decennio, con la precisione dal 1961 al 1970, il Giappone, grazie anche agli ingenti aiuti americani, presentava un tasso di accrescimento annuo del Pil del 10%, di gran lunga superiore a quello di tutti i paesi altamente industrializzati nello stesso periodo. Poi c’è stato il rallentamento e da ultimo l’economia si è quasi fermata e scarso effetto ha avuto la politica dei bassi tassi di interesse. Così come è avvenuto per il Giappone, anche in questi ultimi

Grafico 1 - Crescita % reale del Pil dei “BRIC” Fonte Nostre elaborazioni su dati OCSE

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anni è circolata l’ipotesi che l’im- trebbe raggiungere la ricchezza peto dell’economia cinese avreb- pro-capite americana, crescendo be consentito al Dragone di egua- sempre a un tasso del 5% annuo, gliare l’economia statunitense nel non prima che siano trascorsi due giro di un ventennio o poco più. secoli, mentre occorrerà, con il Per poter avere una idea riguardo medesimo tasso di sviluppo, un a quanto questa ipotesi possa es- secolo al Brasile e alla Russia. Sisere plausibile ci siamo esercitati mili esercizi matematici possono nell’analisi dell’eventualità che solo essere considerati alla strel’economia cinese raggiungesse lo gua di un complicato passatempo stesso livello di sviluppo di quel- di una economista. La situazione la statunitense interrogandoci su economica mondiale è in contiquanti anni avremmo dovuto at- nua evoluzione e le previsioni a tendere prima che tale ipotesi si lungo e lunghissimo termine perrealizzasse. A tal fine abbiamo dono di qualsiasi valore pratico e preso in considerazione un indice teorico. Possono però essere strumentali alla comdello sviluppo e della ricchezza di In seguito all’attuale crisi prensione di quanto ampio sia il diun paese tra i più significativi, ossia si è rafforzata l’idea che vario tra i paesi citati. il Pil pro-capite. lo sviluppo economico La crisi internazioAttualmente il Pil nale nei prossimi pro-capite cinese è dei paesi emergenti mesi si rivelerà in appena il 5% di debba ancora avvenire tutta la sua diquello statunitense, ossia occorre moltiplicare ben mensione non solo in Cina, ma venti volte il reddito medio di un anche in India e in Russia e in cinese per eguagliare quello at- generale nei paesi emergenti, votuale di un americano. Mediante tati all’esportazione, il cui sviuna nota formula di matematica luppo quindi dipende dalla crefinanziaria si può calcolare il nu- scita dei paesi industrializzati. mero degli anni che occorre at- Se i paesi ricchi smettessero di tendere prima che il valore del crescere, la sorte dei paesi emerreddito medio pro-capite cinese genti sarebbe segnata. I recenti eguagli quello statunitense, con dati relativi alle variabili econol’ipotesi che l’economia cinese miche più importanti, come la cresca di almeno il 5% all’anno e produzione industriale e l’andaquella americana del 3%. Da un mento delle esportazioni dei simile calcolo è emerso che occor- paesi asiatici, e della Cina in prirerà attendere almeno un secolo e mo luogo, in seguito all’attuale mezzo. È molto improbabile che crisi economica, non ha fatto aluna economia possa crescere a rit- tro che rafforzare il convincimi tanto sostenuti per un periodo mento che il sostanziale svilupdi tempo tanto lungo. Altrettan- po delle economie dei paesi to si può dire per l’India che po- emergenti debba ancora avveni-


L’ANALISI Emanuela Melchiorre

Tabella 1 - Paesi membri del G20

Fonte Dati Calendario Atlante De Agostini (2008) - Nota: tra i paesi membri rientra anche l’Unione europea

re. Anche la Russia ha subito gli effetti sfavorevoli del recente crollo delle Borse. La Borsa di Mosca, infatti, in un anno di attività ha perso quasi il 70% del suo valore in termini di capitalizzazione ed è stata addirittura chiusa per alcuni giorni per evitare eccessi di ribasso. Anche le Borse asiatiche hanno subito perdite equivalenti, sempre in termini di capitalizzazione. La Cina ha perso in un anno di attività quasi il 65% del suo valore di Borsa, l’India più del 57%. È importante considerare che il capitale ha una spiccata tendenza alla volatilità, anche nel caso in cui sia utilizzato per finanziare attività produttive in ambienti economici che presentano notevoli vantaggi in termini di basso costo di mano d’opera e di scarsa attenzione alla salubrità dell’ambiente di lavoro, di bassa imposizione fiscale e, infine, di scarsa at-

tenzione alla tutela ambientale. Il fenomeno che ha interessato Cina e India prende il nome, come accennato, di delocalizzazione internazionale della produzione. Nel momento in cui i vantaggi della delocalizzazione in termini di costo vengono meno o si attenuano, gli investitori possono cambiare le loro decisioni e dirigersi verso altri paesi con maggiori vantaggi comparati o scegliere di tornare a produrre in patria. In Cina, in particolare, si assiste in questi mesi all’aumento dei fallimenti e dei tagli produttivi delle imprese cinesi, tanto che non sono da escludere una massiccia disoccupazione e forti tensioni sociali. L’effettiva gravità della tensione sociale è di difficile determinazione anche perché la stampa locale, soggetta al controllo del governo cinese, si adopera per ridimensionare gli eventi. Si è innescato, inoltre, il

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fenomeno del controesodo dalla scoppio della bolla petrolifera fascia costiera e industrializzata nell’estate del 2008, infatti, il verso le zone rurali dell’entroter- prezzo del petrolio ha subito un ra. Si tratta della inversione del vistoso calo, è crollato cioè dai flusso migratorio che negli ulti- 147 dollari dell’11 luglio 2008 mi 30 anni aveva provocato (grafico 2) a circa 35-40 dollari di l’esodo della popolazione dalle questi giorni. campagne verso le città, come Il repentino incremento del prezera accaduto ad esempio in Ita- zo del petrolio dell’estate scorsa, lia, fatte le dovute proporzioni, dovuto alla speculazione, ha innegli anni Cinquanta. L’esodo ha nescato una serie di reazioni da ingrossato la popolazione urbana parte della domanda che si è rie ha costituito la forza lavoro a volta, in parte, alla ricerca di buon mercato che ha permesso nuove fonti energetiche, tra cui il l’industrializzazione delle aree nucleare e le fonti cosiddette rincostiere del paese. La disoccupa- novabili. Gioca in questo periodo, inoltre, un ruozione che il prolo non marginale il cesso inverso della Lo scoppio della bolla risparmio energetidelocalizzazione co e lo sfruttamensta comportando petrolifera ha fatto to di nuovi giaciin questo periodo crollare il prezzo menti già individi crisi economica duati che, salvo riguarda, secondo del petrolio che adesso imprevisti, dostime preliminari, costa 35-40 dollari vrebbero entrare in circa 250 milioni di cinesi che si avviano a ritorna- produzione nel corso del 2009. In re nelle campagne e in quelle particolare, oltre alle autorizzaterre che avevano abbandonato zioni della precedente ammininei decenni precedenti, con la strazione Bush a perforare le coste speranza di una vita lavorativa in statunitensi, dovrebbe entrare in fabbrica. Quando le fabbriche produzione fin da marzo 2009, chiudono, a questi disoccupati come accennato, il giacimento renon resta altro che tornare a col- centemente scoperto nella Baia di tivare la terra, ma questa volta Santos, in Brasile. L’insieme di senza le tutele che l’economia queste reazioni, dette “diversione socialista assicurava loro prima di domanda”, unitamente al calo dell’apertura del regime alle lo- della stessa domanda di prodotti giche e ai vantaggi del mercato e energetici per via della contrazione della produzione mondiale dello scambio internazionale. La crisi odierna è un momento hanno fatto sì che il prezzo del importante anche per quei paesi petrolio sia tornato ai livelli preche hanno incentrato la propria cedenti al rigonfiamento della economia esclusivamente sullo bolla speculativa. In questo consfruttamento delle risorse petroli- testo, non solo per la Russia, che fere del loro territorio. Dopo lo ha visto contrarsi gli introiti da


L’ANALISI Emanuela Melchiorre

esportazione, ma anche e soprattutto per l’Opec la crisi odierna è un momento importante. I paesi che compongono il cartello petrolifero dovrebbero comprendere che fare largo ricorso ai tagli della produzione non sortirà gli effetti desiderati dell’incremento del prezzo di mercato, perché il petrolio caro è un incentivo al potenziamento del nucleare, e al ricorso, seppur marginale, alle fonti alternative, allo sfruttamento dell’energia geotermica e a politiche di risparmio energetico. L’incalzare della crisi economica ha portato i paesi industrializzati, e gli Stati Uniti in primo luogo, a importanti interventi non solo per il sostegno del settore bancario e finanziario, ma anche di quello automobilistico. Queste decisioni hanno segnato il punto di svolta. Infatti, proprio in virtù di questi primi interventi pubblici a sostegno di un settore produttivo in particolare e non più solamente nei confronti del sistema finanziario e bancario in ge-

nerale, ulteriori interventi in altri settori e in altri paesi saranno sempre più probabili. Bisognerà evitare che gli interventi pubblici a sostegno dell’industria non si rivelino però una forma di “protezionismo non tariffario”, ovvero un tipo di protezionismo che non passa per la via dell’imposizione di dazi, ma attraverso i sussidi alla produzione e i sostegni pubblici all’industria e all’agricoltura. In questo contesto il ruolo del G7+1, ma anche e soprattutto quello del G20 sarà quello di raggiungere un accordo sugli inevitabili interventi di politica economica, affinché si sventi il rischio che si inneschi una guerra commerciale tra i principali paesi industrializzati e tra questi ultimi e quelli emergenti, che inevitabilmente porterebbe a una corsa al protezionismo, questa volta anche tariffario, e a futuri probabili conflitti. L’ipotesi che i paesi emergenti diventino in poco tempo ricchi come i paesi economicamente avan-

Grafico 2 - Prezzo del greggio da gennaio 2006 a novembre 2008

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zati e possano svolgere un ruolo determinante per la sorte dell’economia mondiale è, alla luce delle considerazioni fin qui esposte, ancora abbastanza lontana. Ciò non toglie che anch’essi partecipino alle scelte strategiche per un mondo migliore, dove le relazioni economiche siano improntate alla cooperazione e alla collaborazione internazionale. Banco di prova sarà il superamento della crisi finanziaria ed economica, ormai planetaria e che rischia per ampiezza e per profondità di provocare fratture tra i vari paesi e in primo luogo quelli economicamente più deboli. Il prossimo G20 che si svolgerà sotto la presidenza italiana, potrà stabilire i principi sani per una ripresa economica equilibrata e scevra da speculazioni di ogni sorta. La via da indicare sarà quella di un ritorno nel più breve tempo possibile a un nuovo ordine monetario e finanziario internazionale, basato sui cambi valutari fissi. Mutatis mutandis, dovrà essere un ritorno agli accordi di Bretton Woods, allorché nel lontano luglio del 1944, ogni paese partecipante agli accordi rinunciò in parte alla propria sovranità monetaria in vista dell’equilibrio delle partite correnti della bilancia dei pagamenti. Il sistema dei cambi valutari fissi consentì la ricostruzione dopo la guerra e il conseguimento del benessere in molti paesi, compresa l’Italia. È da augurarsi che il nuovo presidente degli Stati Uniti voglia inserire nel suo programma l’obiettivo di un nuovo ordine moneta-

rio internazionale, al quale tutti i paesi, nessuno escluso, possano partecipare accettando un insieme di regole comuni atte a impedire il sorgere di protezionismi, di speculazioni finanziarie e di guerre affinché l’unica lotta da combattere sia quella contro la fame e il sottosviluppo.

L’Autore EMANUELA MELCHIORRE Economista e pubblicista, ha collaborato con importanti istituti di ricerca nazionali, con il dipartimento di economia pubblica dell'Università La Sapienza di Roma e con l'Investment Centre della Fao. Scrive regolarmente di politica economica e di economia internazionale su giornali e su riviste specializzate.


PUNTO DI VISTA Alfredo Mantica

A cosa serve il G8

Dal Giappone all’Italia via Heiligendamm Quali sono i temi, le questioni e le urgenze all’ordine del giorno nel prossimo vertice e come affrontarle al meglio. DI ALFREDO MANTICA

L’idea di far incontrare annualmente le grandi potenze economiche mondiali nasce nel 1975 come formato G6 (Francia; Stati Uniti; Italia; Germania; Regno Unito; Giappone) in risposta all’esigenza di disporre di un foro di dialogo informale tra i capi di Stato e di governo delle maggiori democrazie industrializzate. L’obiettivo iniziale fu di affrontare con spirito aperto e costruttivo le crisi economiche della metà degli anni Settanta, in particolare lo shock petrolifero e la riforma del sistema monetario internazionale dopo la fine del sistema di Bretton Woods e l’abbandono della convertibilità in oro del dollaro. Il primo vertice fu convocato su iniziativa del governo francese e ospitato a Rambouillet, nei pressi di Parigi. L’allargamento del formato ha avuto luogo con l’ingresso del Canada, nel


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1977 e della Russia, invitata per la prima volta al vertice di Napoli nel 1994. Il G8 non è un’Organizzazione internazionale, ma è piuttosto un quadro di incontri informali al massimo livello, che è venuto strutturandosi nel corso degli anni. Ai vertici dei capi di Stato e di governo che avevano all’origine un’agenda di contenuto prevalentemente economico-finanziario si è aggiunta la collaborazione a livello di ministri (oltre a Esteri, anche Ambiente, Energia, Sviluppo, Lavoro, Giustizia e Affari interni, Ricerca scientifica, Agricoltura) e l’avvio di numerosi gruppi di lavoro, dalla salute allo sviluppo alle problematiche relative all’energia nucleare. I ministri dell’Economia e delle finanze continuano a riunirsi in formato G7, mantenendo una propria specifica competenza in materia economico-finanziaria rispetto al G8. Ricordiamo, però, che esiste anche il formato G20, voluto a Washington per affrontare la crisi e con cui il G8 sarà correlato. Parallelamente all’ampliamento dei temi e dei livelli della collaborazione in formato G8, anche le dichiarazioni Da questa crisi dei capi di Stato si uscira sicuramente e di governo in con un ordine occasione del mondiale modificato loro vertice annuale hanno assunto una sempre maggiore articolazione. Le dichiarazioni non hanno carattere vincolante, ma sono molto significative perché costituiscono impegni politici al più alto livello e indicano gli in-

dirizzi delle principali democrazie industrializzate su temi chiave quali la finanza, lo sviluppo, la pace, l’ambiente. Tra le misure di maggiore impatto adottate in occasione dei vertici del G8, merita ricordare il Fondo globale per la lotta all’Aids, la tubercolosi e la malaria, lanciato in occasione del vertice di Genova del 2001, che secondo le stime più attendibili ha salvato 2 milioni di vite umane nei suoi sette anni di esistenza, finanziando con circa 6 miliardi di dollari oltre 500 progetti in 136 paesi. Il fondo (finanziato per l’80 per cento da risorse dei G8) si basa su un modello innovativo di cooperazione, che ha puntato su un partenariato pubblico-privato caratterizzato da un significativo coinvolgimento di società civile, comunità locali e istituzioni multilaterali. Il fondo, recentemente rifinanziato, può contare su circa 10 miliardi di dollari per il periodo 2008-2010. Il riconoscimento della crescente complessità delle sfide globali ha comportato, da parte del G8,


PUNTO DI VISTA Alfredo Mantica

la ricerca di un dialogo sempre più intenso con le maggiori economie emergenti. Dai primi inviti a partecipare al vertice estesi ai capi di Stato e di governo dei paesi emergenti si è giunti nel 2007 al lancio di un dialogo rafforzato nell’ambito del “Processo di dialogo di Heiligendamm”. L’importanza di promuovere un approccio inclusivo del G8 rispetto ai paesi emergenti e a quelli in via di sviluppo è fortemente sostenuta dal governo italiano ed infatti è il tratto caratterizzante della presidenza italiana che si terrà a La Maddalena nel luglio 2009. In definitiva, l’esperienza dei primi trent’anni di funzionamento del G8 ha dimostrato che il suo carattere informale, favorendo un confronto aperto delle posizioni tra un nucleo di paesi che condividono valori e livelli di sviluppo, è stato un elemento chiave del successo. L’intuizione che ha portato al lancio del processo alla metà degli anni Settanta mantiene intatta la sua attualità, ma, per affrontare le nuove

sfide dettate da un lato dall’espansione economica dei paesi emergenti e dall’altro dalla necessità di trovare risposte adeguate e coordinate per superare la crisi in corso, occorre pensare a nuove formule, Il carattere informale forse a geomedei vertici G8 tria variabile, di volta in vol- consente un approccio ta legate non immediato e concreto solo ai punti dell’agenda ma anche alle singole esigenze degli Stati. La particolarità del G8 è quella di aver rappresentato, sin dalla prima riunione del 1975, un foro di dialogo ad alto livello tra i leader delle principali democrazie industrializzate. Un foro che si carat83 terizza per la sua informalità che risulta funzionale alla capacità di assumere in tempi rapidi decisioni comuni rispetto alle sfide globali, siano esse di ordine economico, finanziario, ambientale o di aiuto allo sviluppo. A partire dagli anni Novanta l’ascesa di nuovi attori internazionali e la crescente complessità delle sfide da affrontare hanno spinto il G8 a promuovere un dialogo rafforzato con le principali economie emergenti: proprio la presidenza italiana intende infatti dar vita ad un nuovo dialogo. I formati saranno plasmati a seconda dell’interlocutore e della questione da affrontare. Ecco che allora il G8 di volta in volta si allargherà a G13, G14 e forse al G20, per i soli argomenti di economia e finanza, tenendo conto delle esigenze. I dialoghi così strutturati ed elastici hanno preso


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forma a partire dal vertice del prio lo scopo di allargare il dialo2007 quando, attraverso l’Heili- go tra i G8 e i paesi in via di svigendamm dialogue process, fu luppo, allargato anche ai princiintrodotto il confronto diretto pali donatori Osce, ad alcune con Brasile, Cina, India, Messico agenzie Onu ed ai rappresentanti e Sudafrica sui temi degli investi- dell’Unione africana. L’Africa ofmenti, dell’energia, dell’innova- fre oggi sempre maggiori opporzione e dello sviluppo. Il primo tunità ma, nel contempo, pone biennio dell’Hdp si concluderà anche sfide per la sicurezza globaproprio quest’anno sotto la nostra le e per gli interessi complessivi presidenza, cui spetterà proporre della comunità internazionale. In ai partner l’eventuale prosecuzio- virtù della prossimità geografica, ne del processo. Sempre sul fronte tali opportunità e sfide riguardadei paesi emergenti, il G8 ha pro- no direttamente l’Europa ed in mosso meccanismi di dialogo primo luogo l’Italia. Le opportustrutturato anche nell’ambito del nità sono offerte dalle grandi potenzialità econocambiamento climatico, avviando Bisogna promuovere la miche del continente, che registra appuntamenti quali il Major eco- riforma delle istituzioni tassi di crescita del Pil superiori al 5 nomies meeting internazionali per cento medio lanciato nel 2007 sotto iniziativa per garantire una nuova annuo e dagli interessi che queste sustatunitense. Il governance globale scitano, che vanno MeM si propone di concorrere al buon esito del dalle risorse naturali ancora non negoziato sul cambiamento cli- pienamente sfruttate e dai potenmatico nell’ambito più ampio ziali mercati, attualmente poco delle Nazioni unite, attraverso un integrati nei circuiti dell’econoconfronto in formato ridotto ma mia mondiale, all’esigenza che a sufficientemente rappresentativo livello regionale e sub-regionale delle economie avanzate, emer- si costituiscano sistemi efficaci di genti e sviluppate, maggiormen- sicurezza collettiva e di cooperate responsabili delle emissioni di zione economica in grado di progas serra. Al MeM partecipano durre solide politiche di svilupsedici paesi: oltre ai G8, sono da po. Da un punto di vista politico, considerarsi anche Brasile, Cina, non si può non guardare con atIndia, Messico, Sudafrica, Au- tenzione al lento ma graduale difstralia, Corea del Sud e Indonesia. fondersi di sistemi di governo baUn discorso a parte merita la sati su principi democratici e su questione africana. L’African par- libere elezioni. Le sfide derivano tnership forum (Apf), nato nel dai conflitti armati (spesso ina2003 in occasione del vertice di spriti anche da componenti etniEvian, dall’idea che ebbe la presi- co-religiose) e dal ruolo che in denza italiana nel 2001, ha pro- questi svolgono entità non stata-


PUNTO DI VISTA Alfredo Mantica

li, alimentate dai traffici di risor- mostrato determinato nell’affronse minerarie e di armi, da condi- tare l’emergenza alimentare, anzioni economiche di base talvolta nunciando nuovi finanziamenti e molto precarie, da realtà demo- nuove misure per agire sulle caugrafiche complesse e dalle conse- se di fondo della crisi congiuntaguenti pressioni migratorie, da- rale che l’intero pianeta sta attragli effetti dei processi di desertifi- versando. Il G8 si è infatti impecazione sugli equilibri ecologici gnato a sostenere la task force sulla mondiali, dalle grandi emergenze crisi alimentare istituita dal segretario generale delle Nazioni sanitarie e umanitarie. Di particolare interesse, e soprat- unite, completando la riforma tutto di riflessione per la nostra della Fao per accrescerne l’efficapresidenza, risultano le decisioni cia nella gestione delle crisi e nel assunte in occasione dello scorso garantire la sicurezza alimentare. G8, svoltosi in Giappone. Ri- In tema di lotta al cambiamento guardo alla sicurezza energetica è climatico, il G8 ha espresso la volontà di condivistata ribadita l’imdere, con il contriportanza di solu- Il G8 di Toyako buto di tutte le zioni durevoli, principali econocentrate sull’effi- ha identificato come cienza e sulle nuo- temi prioritari la salute, mie e secondo il principio delle ve tecnologie, con “responsabilità col’ambizione di con- l’acqua, l’istruzione, muni ma differentribuire al dialogo la pace, e la sicurezza ziate”, l’obiettivo tra paesi produttori e paesi consumatori. Il G8, sot- di ridurre le emissioni globali di tolineando l’importanza di assi- gas serra e contestualmente adocurare uno sfruttamento traspa- perarsi affinché vengano potenrente delle materie prime, ha rac- ziate nuove forme di energie alcomandato però la piena imple- ternative, nell’ambito del negomentazione dell’Extractive indu- ziato climatico delle Nazioni unistries transparency initiative (Ei- te. È stato affermato l’impegno di ti). Nel campo della tutela della attuare ambiziosi programmi naproprietà intellettuale, è stata ri- zionali per lo sviluppo di tecnolobadita l’esigenza di rafforzare la gie low-carbon volte al conseguicollaborazione nella lotta alla mento della sicurezza energetica contraffazione e alla pirateria, che e di una crescita economica sostehanno ormai raggiunto dimen- nibile. È stata anche riconosciuta sioni preoccupanti, ed è stato in- la necessità di fissare obiettivi a coraggiato il progresso dei nego- medio termine per l’efficienza ziati per l’adozione di un nuovo energetica, input che l’Italia ha quadro giuridico internazionale, sin da subito messo in opera. Il l’Anti-counterfeiting trade G8 ha riaffermato l’importanza agreement (Acta).Nel corso del- dell’innovazione tecnologica e del l’esperienza giapponese il G8 si è trasferimento delle tecnologie

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esistenti ai paesi in via di sviluppo. È stata sostenuta l’importanza di una produzione ed uso sostenibile dei biocarburanti. È stato riconosciuto il ruolo del nucleare utile per ridurre le emissioni di CO2 e per rispondere ai crescenti bisogni nazionali di sicurezza energetica. L’uso civile dell’energia nucleare dovrà ispirarsi ai principi di non-proliferazione e di sicurezza nucleare. Il G8 ha riaffermato, a Toyako, gli impegni assunti al vertice di Gleneagles, di aumentare gli aiuti allo sviluppo per l’Africa di 25 miliardi di dollari l’anno entro il 2010, rispetto al livello del 2004. Il vertice ha posto particolare attenzione a settori come la salute, l’acqua ed i sistemi igienico-sanitari, l’istruzione, la pace e la sicurezza. I tempi di attuazione dell’impegno assunto al vertice di Heiligendamm del 2007 di sostenere con 60 miliardi di dollari la lotta alle malattie infettive e il rafforzamento della sanità sono stati accelerati. È stato ribadito l’impegno a garantire l’accesso universale alla prevenzione dall’Aids entro il 2010, così come quello di assicurare che tutti i bambini abbiano accesso alle cure mediche di base entro il 2015. All’interno di un piano d’azione per la sanità, il G8 si è impegnato ad attuare le raccomandazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità, tra cui quella di garantire una copertura sanitaria adeguata, garantendo almeno 2,3 operatori sanitari ogni mille abitanti. È stata sottolineata l’importanza di dare efficace attuazio-

ne al piano di Evian per un uso efficiente e razionale delle risorse idriche. Il G8 si è impegnato a sostenere la Fast track initiative dell’Onu per l’accesso universale all’istruzione primaria e secondaria. Accanto ai temi sociali, il G8 ha richiamato l’attenzione sull’urgenza di creare in Africa migliori condizioni per gli investimenti, sia esteri che nazionali, al fine di promuovere lo sviluppo. Il compito della presidenza italiana è particolarmente delicato, perché siamo di fronte ad una crescente domanda di governance, richiesta alla quale i governi e le organizzazioni internazionali non sanno fornire risposte adeguate. Prova ne sia la riforma dell’Onu da tempo in agenda, ma mai realmente affrontata. Siamo in un passaggio difficile, perchè da questa crisi si uscirà sicuramente con un ordine mondiale modificato. Il G8, dunque, potrà essere un’occasione importante per affrontare le emergenze economiche e istituzionali con coraggio. In un momento di crisi difficile e complessa, la prima cosa dalla quale la comunità internazionale non deve lasciarsi sopraffare è la paura.

L’Autore ALFREDO MANTICA è sottosegretario di Stato per gli Affari esteri, carica che ha ricoperto anche nella XIV legislatura. È senatore della Repubblica italiana dal 1987, eletto nel collegio della Lombardia.


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Un nuovo concetto di approvvigionamento

Energia, le frontiere oltre il petrolio I nuovi equilibri e i nuovi rapporti di forza che si vanno delineando in questa fase storica, saranno profondamente influenzati anche dal polsesso e dai mercati delle risorse energetiche, soprattutto di petrolio e gas. Per avere voce in capitolo, l’Europa deve unire le forze e parlare con una voce unica. DI ALESSANDRO ORTIS 88

Questo breve scorcio del Ventunesimo secolo preannuncia un quadro ricco di implicazioni anche per gli scenari della sicurezza energetica internazionale. L’affacciarsi di nuovi protagonisti sullo scenario globale e il profondo mutamento degli equilibri e delle relazioni fra Stati resteranno molto influenzati anche dal possesso e dai mercati delle risorse energetiche (soprattutto di petrolio e gas). I problemi delle risorse energetiche stanno senza dubbio influenzando i rapporti di forza nel mondo a livello globale e le sfide per uno “sviluppo sostenibile”; ne sia esempio il fatto che ormai il concetto di sicurezza è sempre più collegato al possesso di risorse energetiche e al loro approvvigionamento. Così, i rapporti fra paesi pro-

duttori e consumatori di idrocarburi continueranno ad avere un peso significativo nei rapporti internazionali. La crescente rilevanza dell’accesso alle fonti di energia, infatti, impegna anche verso una evoluzione della natura delle relazioni che legano i paesi consumatori e i paesi produttori; relazioni, queste, che hanno già subito profonde e radicali trasformazioni nel corso dell’ultimo secolo. Attualmente la maggioranza delle riserve petrolifere e di gas non è più in mano alle compagnie internazionali per decenni protagoniste della storia dell’energia (solo per citarne alcune, le famose “sette sorelle” degli anni Sessanta fra cui la Standard Oil of New Jersey, la Royal Dutch Shell, la Texaco, la Gulf Oil e oggi la Exxon e la nostrana Eni); anzi, le In-


L’ANALISI Alessandro Ortis

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ternational Oil Companies (Ioc) come vengono chiamate in gergo, hanno subito un significativo ridimensionamento e sono passate a detenere solo il 10% delle riserve petrolifere mondiali e il 30% di quelle di gas. La più parte delle risorse energetiche oggi è detenuta dalle National Oil Companies, (Nocs). Tali compagnie, da più voci ri-

battezzate come le “nuove sette sorelle”, sono saldamente protette (anche come accesso a giacimenti ed infrastrutture domestiche) dai governi nazionali, di cui spesso sono diretta emanazione. Tali aziende operano ormai in ogni settore dell’intera filiera del mercato e si sono sviluppate a tal punto da potersi inserire agevolmente anche nei mercati


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liberalizzati dei paesi stranieri. più immediatamente economico. Emblematici, in questa direzio- Le nuove potenze energetiche ne, gli accordi commerciali sti- tendono a considerare le loro fonpulati recentemente da Gaz- ti quale risorsa e strumento di prom e Sonatrach per l’accesso esclusivo interesse nazionale e goalla vendita downstream in Euro- vernativo, ed i paesi consumatori del mondo occidentale avvertono pa e nel nostro paese. I grandi paesi consumatori, che la necessità di individuare strateper la maggior parte del secolo gie nuove di confronto, di capaciscorso non avevano difficoltà a ri- tà di risposta positiva e di “adatfornirsi di idrocarburi, adesso de- tamento” al mutato bilanciamenvono pianificare, se non addirit- to degli equilibri nella governantura più intensamente promuove- ce globale. re, la propria sicurezza dell’ap- Diviene dunque prioritario che provvigionamento energetico. A questo periodo di transizione vacontribuire ai mutamenti degli da letto nello specifico, specie dai paesi europei, coequilibri energetime necessità/opci mondiali sono Per garantire portunità di camstati, come noto, biare gradualmenla Cina, l’India e la sicurezza energetica te le politiche altri paesi in forte occorre un’azione energetiche, sfrutsviluppo che detando la possibilità vono creare una politica a 360 gradi “base energetica” sullo scacchiere globale di seguire alternative credibili. alla loro eccezionale (per tempistica e per tasso di Tutto ciò tenendo conto degli impegni internazionali e nazioincremento) crescita economica. In questo quadro si stanno così nali già assunti o in via di definisviluppando anche i provvedi- zione in merito alla tutela ammenti di altri paesi produttori – bientale e più in generale allo quelli dell’Ocse in particolare – a “sviluppo sostenibile”. favore di una diversificazione dei Lo sviluppo di nuove tecnologie mix di copertura energetica (verso può dare un contributo di primo una minor dipendenza dagli idro- piano alla soluzione dei problemi carburi, utilizzando anche sorgen- già accennati. ti rinnovabili) di una più avanzata L’innovazione, il risparmio, la riefficienza (verso un utilizzo sem- cerca di una sempre maggiore efficienza energetica anche nel pre più razionale dell’energia). In un contesto di siffatta natura, quadro di una nuova politica fiquindi, il concetto stesso di ap- nalizzata a contrastare i cambiaprovvigionamento energetico, deve menti climatici e a rafforzare la essere rivalutato in una più ampia sicurezza energetica, non possoprospettiva, distinguendo la sua no prescindere da una forte aziovalenza sia sotto il profilo pretta- ne politica a 360 gradi sullo mente strategico che sotto quello scacchiere globale.


L’ANALISI Alessandro Ortis

In particolare l’Europa dovrà saper anche sviluppare una politica energetica interna ed esterna comune per porsi sempre più verso i paesi terzi come espressione di “una voce sola”, forte di 500 milioni di consumatori. In questa direzione anche lo sviluppo di un unico mercato europeo dell’energia e di reti di infrastrutture sempre più interconnesse sono un passaggio non eludibile. Gli ultimi mesi del 2008 hanno evidenziato l’acutizzarsi di una crisi economica mondiale, di ec-

cezionale portata. Esito dell’accumularsi di gravi patologie, questa crisi è considerata da molti analisti come la crisi più importante dal 1930. Il conseguente brusco rallentamento dell’economia reale ha ben presto investito con forza e contagiato anche l’economia europea e mondiale. Evidenti ed immediate conseguenze della crisi sono e continuano ad essere la frenata degli investimenti, con forti segnali di ridimensionamento dei relativi piani, ma anche dei consumi; il

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rallentamento dell’industria, con Il crollo dei prezzi del petrolio e, calo di fatturato, ordini e produ- probabilmente, una significativa zione; il peggioramento delle riduzione della relativa domanda condizioni del mercato del lavo- hanno fatto altresì ipotizzare, da ro, con tassi di disoccupazione in parte di alcuni, un significativo taglio degli investimenti in nuotendenziale crescita. L’accentuata negatività dello sce- ve capacità. Condizione, quest’ulnario economico internazionale tima, che, seppur non giustificata induce considerazioni anche con sul piano finanziario visto l’attuariferimento al più specifico con- le corso del prezzo del petrolio, testo dei mercati energetici. In potrebbe determinare nel prossiparticolare si pone all’attenzione, mo futuro rimbalzi verso l’alto da un lato, il positivo e forte ridi- del prezzo del petrolio stesso. mensionamento dei prezzi degli Se da un lato, infine, la diminuidrocarburi (petrolio in particola- zione del prezzo del petrolio dere), dall’altro, un possibile gene- termina effetti positivi sui costi delle forniture di rale quadro di inenergia elettrica e certezza per gli in- L’Europa deve parlare gas, dall’altro rivestimenti, sia da mane forte il riun punto di vista con una voce unica schio che si innedelle capacità fi- forte del suo mercato schi una fase econanziarie per il lonomica recessiva ro sostegno che da composto da 500 con un impatto sul un punto di vista milioni di consumatori prossimo triennio. della loro attuale valutazione di convenienza eco- A questo proposito dovrebbe punomica. Gli investimenti restano re confermarsi l’interesse per ininecessari per il potenziamento e ziative – come quelle auspicate l’ammodernamento delle infra- dalla Autorità per l’energia italiastrutture e degli impianti di pro- na – che, forti del potere contratduzione, comunque determinanti tuale e promozionale di una single per ampliare i caratteri di concor- voice Ue, possano determinare od renzialità dei mercati di riferi- indurre accordi e contratti petromento e per l’economicità e la liferi di lungo termine (scevri da qualità dei servizi destinati ai influenze speculative), nonché accordi e contratti per approvvigioconsumatori finali. Per quanto riguarda i prodotti namenti di gas naturale sempre petroliferi, ai cui prezzi è ancora più sicuri e convenienti. molto esposto il sistema energeti- Importanti impatti sui sistemi co europeo, ed ancor più il siste- energetici continentali e nazionama nazionale, appare evidente li scaturiranno anche dalle deciche un mercato caratterizzato da sioni europee attese (i pacchetti oscillazioni così rilevanti e repen- della Ue) per lo sviluppo sostenitine è un mercato che manifesta bile (risparmio energetico; ruolo delle fonti rinnovabili; emissioni delle problematiche importanti.


L’ANALISI Alessandro Ortis

di gas ed effetto serra) e per il mercato interno dell’energia elettrica e del gas (unbundling delle reti, armonizzazione e potenziamento dei ruoli e dell’indipendenza dei regolatori nazionali; istituzione di una Agenzia europea dei regolatori; coordinamento e codici per le reti). Al pari di quello internazionale, anche lo scenario nazionale appare fortemente condizionato, a livello macro, dai riflessi della crisi economica e dall’andamento dei prezzi del petrolio. I mercati energetici hanno ultimamente evidenziato la presenza di un maggior numero di offerte e di offerenti, nel settore elettrico in particolare (in termini del tutto insoddisfacenti invece nel settore gas); ciò è testimoniato anche dagli interessanti tassi di switching rilevati per il mercato più aperto alla concorrenza, quello elettrico, e dalla ancora eccessiva dominanza dell’operatore ex monopolista Eni nel mercato del gas naturale. Per lo sviluppo e il completamento del mercato dell’energia elettrica va pure segnalata l’opportunità offerta dall’avvio dei mercati dei derivati. In sintesi, persistono ancora forti asimmetrie, in termini di efficienza dei mercati e di concorrenzialità, tra i settori elettrico e gas, registrando, quest’ultimo, un assetto competitivo ancora molto embrionale. In questo quadro, potrà avere importante influenza la prevista evoluzione normativa nazionale incidente sullo sviluppo dei mer-

cati e sui compiti o funzioni della stessa Autorità per l’energia. Va pure considerato che i processi nazionali di liberalizzazione, avviati da oltre un decennio nei settori dell’energia elettrica e del gas, offrono oggi mercati nei quali le regole per la concorrenza sono abbastanza definite e consolidate; essi, tuttavia, non evidenziano ancora adeguati livelli di reale concorrenzialità raggiunta. È necessario, quindi, al più presto associare ai risultati raggiunti, in termini di liberalizzazione della domanda, livelli di concorrenza decisamente più avanzati lato offerta. Tutto ciò in coerenza ed a sostegno di tutele sempre più efficaci per i consumatori.

L’Autore ALESSANDRO ORTIS Presidente dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas dal dicembre 2003. Ha ricoperto ruoli dirigenziali in aziende pubbliche e private: Gruppo Zanussi, Gruppo Pirelli, Gruppo Eni, Ispredil – Ance, Serono, Tecnofarmaci. Successivamente è stato vice presidente dell’Enel; presidente di Eureletric (l’Associazione delle aziende elettriche europee); Docente di organizzazione e gestione aziendale; presidente del gruppo di esperti per il settore elettrico dell’Aie (Agenzia internazionale dell’energia). Più recentemente è stato direttore generale per l’Energia e le risorse minerarie al ministero Attività produttive; presidente della Ccse (Cassa conguaglio per il settore elettrico); membro del Governing board dell’Aie, del Consiglio superiore dei Lavori pubblici, della Commissione tecnico-scientifica del Dipartimento della Protezione Civile e del Comitato scientifico della Sogin.

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Turchia, la cerniera fra Oriente e Occidente A cavallo fra Europa e Asia, fra Islam e laicitĂ , fra tradizione e globalizzazione, il paese di Erdogan deve la sua importanza alla sua posizione strategica: geografica, politica e culturale DI ALESSANDRO MARRONE


TURCHIA Alessandro Marrone

La Turchia, o meglio la Repub- servizi e l’integrazione nel mercablica di Turchia, fa parte del G20 to internazionale. Infatti nel in virtù sì dei buoni risultati eco- 2008 il 63% del Pil turco è stato nomici raggiunti negli ultimi de- prodotto dal settore terziario, il cenni, ma anche per diversi fatto- 29% dall’industria e solo l’8% ri di carattere geo-strategico e dall’agricoltura. In particolare i servizi sono stati trainati princisquisitamente politico. La Turchia è considerata un’eco- palmente dal boom del turismo, nomia di mercato assimilabile a che è diventato la prima fonte di quella dei paesi industrializzati, reddito della Turchia. sebbene alcuni indicatori econo- Questa notevole trasformazione è mici siano molto distanti da dovuta in gran parte alle riforme quelli occidentali e permanga economiche iniziate negli anni una forte presenza statale nel- Ottanta, e notevolemente accelerate dai governi del Partito per la l’economia. Il Pil turco nel 2008 è ammonta- giustizia e lo sviluppo (Akp) al potere dal 2002. to a circa 800 miLa riduzione dei liardi di dollari, ol- Il trend dell’economia limiti legali al tre il doppio di commercio con quello argentino è dovuto al passaggio ma di gran lunga dal modello autarchico l’estero, una legislazione favorevole inferiore al livello dei paesi membri a uno basato sui servizi agli investimenti del G8. Anche il e integrato nei mercati stranieri, ingenti privatizzazioni e Pil pro-capite registrato nel 2008, 12.900 dollari, è la riduzione del controllo pubblimolto più alto di altri paesi del co sull’economia sono alcune delG20 come Egitto e Indonesia, ma le riforme generalmente ritenute non è paragonabile ai livelli occi- tra le maggiori cause della modentali. Tuttavia occorre rilevare dernizzazione dell’economia turcome, dopo l’ultima crisi econo- ca. L’unione doganale formata mica del 2001, l’economia turca con l’Ue nel 1995 ha certamente sia cresciuta a ritmi sostenuti e contribuito in maniera significastabili, oltre il 4% annuo, mentre tiva a tale processo aumentando nel 2008 il tasso di disoccupazio- gli investimenti europei in Turne è sceso al 3,2% e quello di in- chia e fatto dell’Europa il princiflazione al 5%, testimoniando pale partner turco per quanto riuna costante marcia di avvicina- guarda sia le importazioni che mento agli standard economici l’export. Con un mercato interno formato da oltre 70 milioni di dei paesi industrializzati. Tale crescita è in gran parte do- consumatori e una forza lavoro di vuta alla radicale transizione, tut- 23 milioni, la Turchia è diventata tora in corso, da un modello eco- nell’ultimo decennio una meta nomico autarchico e prevalente- appetibile per gli investimenti mente agricolo ad uno basato sui diretti stranieri, che nel 2006

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hanno sfiorato i 20 miliardi di dollari. Allo stesso tempo il debito pubblico turco è sceso al 27% del Pil, incrementando così la fiducia nella solidita’ finanziaria dello Stato che controlla settori strategici dell’economia nazionale come quello bancario e dei trasporti. Uno dei simboli di questo processo di crescita e stabilizzazione macroeconomica è stato l’introduzione nel 2005 della nuova lira turca, del valore di 1 milione di vecchie lire turche: anche se il change over non ha mutato i fondamentali dell’economia nazionale, di certo è molto più rassicurante per i turchi pensare che un euro vale circa due lire turche e non più due milioni. 70 Restano tuttavia elementi strutturali di debolezza nell’economia turca, quali la relativa arretratezza della base industriale e la dipendenza da investimenti stranieri, che potrebbero amplificare l’impatto negativo dell’attuale crisi economica internazionale. Inoltre lo sviluppo socio-economico è sbilanciato nel paese: la metropoli di Istabul con i suoi 11 milioni di abitanti (contro i 4 della capitale Ankara) e le citta’ sulle coste occidentali meta di Metropoli come gran parte del Istambul e Ankara sono flusso turistico il motore dell’industria sono il motore e del terziario dell’industria e del terziario, mentre le aree interne dell’Anatolia e soprattutto le regioni ai confini orientali restano decisamente arretrate e basate maggiormente sull’agricoltura. Oltre ai motivi economici, questo squilibrio è do-

vuto anche ad alcune delle peculiarità geopolitiche della Turchia, in particolare i suoi confini a est e la questione curda, che rendono le regioni orientali molto meno sicure e stabili del resto del paese. La Turchia da decenni fa i conti con uno dei più numerosi popoli senza Stato del mondo, i curdi. Di lingua ed etnia diversa dai turchi, questa “minoranza” di circa 40 milioni di individui vive in diversi Stati negli altopiani a cavallo tra Iran, Siria, Iraq e Turchia. Inizialmente lo Stato turco ha duramente represso la minoranza curda del paese, con operazioni militari accusate di palesi violazioni dei diritti umani. Anni di relativa quiete si sono alternati


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a periodi in qui la spirale di violenza tra gli attacchi delle milizie indipendentiste curde e la repressione militare sembrava sul punto di sfociare in una guerra civile. Negli ultimi decenni tuttavia, nel quadro anche della crescita economica turca e del suo avvicinamento all’Unione europea, questa dinamica è parzialmente cambiata. Nel 1991 lo Stato turco ha riconosciuto come minoranza etnica i curdi che vivono in Turchia. Negli anni Novanta, grazie al mutato quadro geopolitico post-Guerra Fredda, la Russia e la Siria hanno smesso di sostenere la guerriglia curda, che è rimasta così priva di supporto economico, logistico e militare.

Nel 1999 l’arresto del leader del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk), Abdullah Ocalan, ha segnato il culmine di una serie di duri colpi inferti dallo stato alle milizie curde. Infine, nelle elezioni politiche del 2007 sono stati Da decenni la Turchia fa i conti con uno dei più eletti 24 parlanumerosi popoli senza mentari curdi Stato del mondo, i curdi presentatisi come indipendenti ma facenti capo al Partito della società democratica radicato nelle regioni curde, segnando un notevole passo avanti nel processo di integrazione della minoranza nel processo politico nazionale. Benché dimostrino la fine di un pericoloso scenario di repressione 71


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e destabilizzazione, i recenti sviluppi non implicano ancora una soluzione definitiva della questione curda. Infatti rimane il problema delle discriminazione politica, culturale ed economica della minoranza ad opera dello Stato turco. Inoltre sporadici attentati di matrice curda si sono verificati anche negli scorsi anni, spingendo nell’autunno del 2007 le forze armate turche a compiere bombardamenti e incursioni nel nord dell’Iraq, il cosiddetto Kurdistan iracheno, dove ritenevano si trovassero le basi dei gruppi di guerriglieri curdi precedentemente cacciati dalla Turchia. Dopo la sconfitta nella Prima Guerra Mondiale che ha distrutto l’impero Ottomano, la guerra di liberazione dalle potenze europee

condotta dal giovane ufficiale Mustafa Kemal ha disegnato gli attuali condinfi della nazione turca. Rispetto all’estensione del precedente impero che andava dal Cairo a Bucarest passando per Damasco, l’odierna Turchia comprende solo la penisola anatolica, grande circa il doppio della Germania, e il lembo di Europa chiamato Tracia che le assicura il controllo sugli stretti che uniscono il Mar Nero al Mediterraneo. Così mentre a occidente la Turchia confina con Grecia e Bulgaria, entrambi membri dell’Ue e della Nato, a oriente si ritrova a dover confinare con alcuni tra i maggiori focolai di instabilità di Medio Oriente e Caucaso: la Georgia invasa dalla Russia lo scorso agosto, l’Iran su cui si concentra


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l’attenzione mondiale per il pro- nendo impegnate diverse divisoni gramma nucleare, l’Iraq sulla fa- sovietiche sul Caucaso e distoticosa via della stabilizzazione, la gliendole così dal fronte europeo. Siria accusata di sostenere il mo- Il solido rapporto turco-americavimento terrorista di Hamas. no è stato però recentemente inNelle regioni orientali della Tur- debolito dal venir meno del cochia non è raro l’eco dei bombar- mune nemico sovietico, e dalla damenti oltre confine, in Georgia guerra in Iraq, cui la Turchia si è o in Iraq, né quello delle esplosio- opposta con forza nel timore di ni in territorio turco dovute ad veder nascere uno Stato curdo ai attentati della guerriglia curda o suoi confini. In ogni caso, Ankara rimane un alleato cruciale per gli a rappresaglie dell’esercito. La complessa e importante posi- Stati Uniti nella regione in quanzione geopolitica della Turchia ha to unico paese mediorientale profondamente determinato, e membro della Nato. Inoltre Watuttora influenza, i rapporti di shington ha bisogno della collaborazione turca Ankara con i paesi vicini e con i mem- A est la Turchia confina per continuare la stabilizzazione bri del G8. Con l’inizio della con i maggiori focolai di dell’Iraq e incrementare la presGuerra Fredda, gli instabilità di Medio sione diplomatica Stati Uniti hanno sull’Iran. Infine, la subito considerato Oriente e Caucaso: la Turchia un allea- Giorgia, Iran, Iraq, Siria Turchia negli ultimi anni ha giocato to cruciale per il containment dell’Unione Sovietica, un ruolo più attivo nel processo sia verso il Mediterraneo grazie al di pace in Medio Oriente, in parcontrollo degli stretti con il Mar ticolare nel 2008 come mediatore Nero, sia verso il Medio Oriente tra Siria e Israele, grazie anche al grazie al bastione turco-iraniano fatto di essere uno dei pochi paesi sul Caucaso. Non a caso la Tur- musulmani in buone relazioni chia è entrata nella Nato già nel con Tel Aviv. 1952, ed ha goduto di un’intensa Con la fine della Guerra Fredda la collaborazione militare con gli Turchia ha acquisito anche un Stati Uniti continuata fino alla nuovo valore geopolitico per fornitura dei caccia americani l’Occidente. La disintegrazione F16 negli anni Novanta. L’Ame- dell’Unione Sovietica ha infatti rica, inoltre, ha sempre sostenuto aperto la strada per lo sfruttal’ingresso della Turchia prima mento delle risorse energetiche, nella Cee e poi nell’Ue, puntando gas e petrolio, che si trovano in ad una piena integrazione dell’al- Asia centrale e in particolare a rileato nella comunità euro-atlanti- dosso del Mar Caspio. Gli Stati ca. L’esercito turco dal canto suo è Uniti hanno efficacemente colto stato finora il più numeroso della l’occasione offerta dalla debolezza Nato dopo quello americano, te- di Mosca negli anni Novanta per

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costruire la pipeline Baku-Tbilisi-Ceylan (Tbc), che porta il gas e il petrolio dell’Azerbaijan attraverso la Georgia fino al porto turco di Ceylan sul Mediterraneo. Al momento questo corridoio è l’unico accesso ai giacimenti centroasiatici fuori dal controllo del Cremlino che, dopo aver nazionalizzato le imprese private nel monopolista pubblico Gazprom, si è efficacemente impegnato per diventare l’unico fornitore di energia asiatica dell’Europa. In questa nuova corsa all’oro (nero), la Turchia gioca un ruolo fondamentale per l’Ue. Infatti è sul territorio turco che dovrebbe passare la pipeline prevista dal progetto Nabucco, che dal Mar Caspio dovrebbe portare poi gas e petrolio attraverso Bulgaria, Romania e Ungheria fino all’hub austriaco di Baumgarten an der March, da dove è possibile la connessione alle principali reti energetiche europee. Considerati i prezzi del petrolio raggiunti nel 2007, le frequenti crisi tra Ucraina e Russia sulle forniture energetiche, il prossimo esaurimento dei giacimenti del Mare del Nord, e soprattutto le pesanti conseguenze politiche di una dipendenza energetica da Mosca, l’Europa avrebbe tutto l’interesse a costruire un solido rapporto con Ankara. Eppure stenta a farlo. Nei suoi primi anni di vita la Cee aveva deciso di gettare un ponte verso la Turchia con il Trattato di associazione firmato nel 1963. Ankara ha presentato domanda di ammissione al club europeo nel 1987 e nel 1999 l’Ue ha concesso

alla Turchia lo status di paese candidato. Nel 2005 infine sono iniziati i negoziati per l’adesione, che sono però finiti presto in una situazione di stallo. La posizione della Turchia costituisce, infatti, non solo un valore geopolitico, ma anche una grande sfida per l’Europa. Ad esempio, si pone un problema di controllo dei confini: la libera circolazione all’interno dell’Ue si basa sul controllo delle frontiere esterne dell’Unione, e se già è difficile fermare gli sbarchi di clandestini in Italia o Spagna è impossibile controllare migliaia di chilometri di confine montagnoso con Stati come Siria, Iraq, Iran, Armenia e Georgia. Confine attraverso il quale non passano solo migranti ma anche traffici illegali e terroristi. Inol-


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tre, l’ingresso della Turchia nell’Ue porterebbe l’Unione a confinare direttamente con tutti i ben noti focolai di crisi mediorientali, con gravi conseguenze sulla sicurezza del Continente che né i maggiori Stati europei né gli attuali assetti istituzionali, in primo luogo la Politica europea di sicurezza e difesa (Pesd), sono in grado di affrontare. In terzo luogo, l’integrazione di 70 milioni di musulmani in un’Europa che stenta a trovare un equilibrio tra le sue radici cristiane, i suoi Stati secolari e le sue banlieu musulmane, si presenta come una sifda improba per una comunità politica ancora fragile. Questo terzo aspetto, e quindi il tipo di rapporto tra la Ankara e l’Ue, dipende più in generale dal rappor-

to tra Islam e Stato secolare e da come si è sviluppato in Turchia. Le fondamenta dello Stato turco sono state gettate da Mustafa Kemal, che non a caso i suoi compatrioti hanno onorato con il cognome “Ataturk”, ossia “padre dei turchi”. In un’epoca in cui il resto del mondo guardava alla moderna Europa come modello di sviluppo, e sulle macerie di un Impero Ottomano dimostratosi incapace di adeguarsi alla modernità, Ataturk dimostrò doti da statista di gran lunga superiori a tanti altri aspiranti padri della patria che imitarono senza successo il modello europeo. Kemal costruì infatti non soltanto uno Stato, ma una nazione. Attraverso massicci scambi di popolazione con la Grecia consolidò l’omogeneità etnica della Turchia; tramite una drastica riforma della lingua che cancellò le influenze arabe e persiane diede ai turchi un’identità linguistica e nazionale; impiantando nel paese codici civili, penali e amministrativi di stampo napoleonico diede un fondamento legale europeo alla società turca; costruendo uno Stato autoritario sul modello prussiano, basato su esercito, burocrazia e potere giudiziario, mise sotto controllo la religione musulmana, le tensioni sociali e la minoranza curda; persino nell’ambito del costume Ataturk forzò i suoi concittadini ad abbandonare simboli della tradizione religiosa come il velo. Quello che per l’Europa fu il ventennio della crisi, per la Turchia fu il primo ventennio di una nuova

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vita come Stato-nazione, moder- e l’impegno di gran parte delle no e laico. E come l’adolescenza forze politiche per l’ingresso del forma le basi di un uomo adulto, paese nell’Ue. Uno dei protagocosì i primi anni kemalisti della nisti di questa transizione è stato Repubblica di Turchia hanno il partito attualmente al potere, gettato le basi per le successive l’Akp, che già negli anni Novanta era stato sciolto dai militari cinque decadi di storia. Il lascito di Ataturk, quel mix di per le sue posizioni giudicate laicità e nazionalismo comune- troppo islamiste. Dopo tale sciomente chiamato “kemalismo”, è glimento la nuova generazione di stato custodito per oltre sessan- leader islamisti, tra cui l’attuale t’anni dalle Forze armate tuche, presidente della Turchia Gul e il che hanno goduto fino a poco premier in carica Erdogan, hanno tempo fa di un potere politico, compiuto una certa opera di moeconomico e ideologico di gran dernizzazione della piattaforma lunga superiore al loro, pur im- politica e della classe dirigente del partito, vinportante, potere cendo le elezioni militare. Infatti, Europa e Stati Uniti parlamentari nel con il suffragio 2002 con il 34% univerale e il regi- hanno tutto l’interesse dei voti. L’efficace me pluripartitico a integrare la Turchia politica economiben presto emerseca intrapresa ro in Turchia spin- nell’economia e nelle te divergenti ri- istituzioni internazionali dall’Akp, l’attenzione per classi spetto modello di Stato e società creato da Ataturk. medie e operaie delle città turIn tre occasioni, nel 1961, nel che, le riforme liberali adottate 1971 e nel 1980, l’esercito turco per rispettare i criteri di ammisè intervenuto attraverso colpi di sione all’Ue, e le prudenti apertuStato per impedire uno sbilancia- re verso la minoranza curda, hanmento del sistema politico verso no rafforzato il consenso del parle posizioni della sinistra comu- tito che ha ottenuto il 47% dei nista o dell’islamismo radicale. In voti e la maggioranza assoluta dei tutti e tre i casi i militari non seggi nelle elezioni parlamentari hanno agito per “rivoluzionare” del 2007. L’ascesa al potere della societa’ quanto per “conservar- l’Akp è stata segnata dallo sconla”, e dopo pochi mesi hanno ri- tro con l’establishment militare e consegnato il governo alle forze burocratico kemalista, e con i politiche rimanendo pronti a in- partici laici di destra e di sinistra che attualmente siedono all’optervenire di nuovo. Anche questa dinamica tra potere posizione nel Parlamento turco. militare e civile si è evoluta dalla Oggetto del contendere il ridifine degli anni Ottanta, complice mensionamento del ruolo istitulo sviluppo economico della Tur- zionale dell’esercito, l’elezione di chia, la fine della Guerra Fredda, un membro dell’Akp alla carica


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di presidente della Repubblica e quindi capo delle Forze armate, e l’abolizione del divieto di portare il velo in luoghi pubblici come le università. Nei primi due casi il partito islamista ha vinto la sua battaglia, nel terzo la legge approvata dal Parlamento che permetteva di portare il velo è stata bocciata dalla Corte Costituzionale. In ogni caso è importante osservare che l’accesa battaglia politica e ideologica non è degenerata in violenza, né ha causato un intervento dei militari al di fuori delle regole democratiche. Aldilà delle complesse vicende sviluppatesi attorno a questi tre nodi chiave – manifestazioni di piazza, pronunciamenti della corte costituzionale, arresti di ufficiali – due sono le chiavi di lettura da tenere presenti per capire l’attuale situazione politica della Turchia. Da un lato c’è chi vede nelle scelte di Erdogan un subdolo tentativo smantellare il kemalismo e sovvertire passo dopo passo il carattere laico e secolare dello Stato turco, iniziando con il diritto a portare il velo e finendo con l’applicazione della Shari’ah. Dall’altro c’è chi giudica le riforme di Erdogan lo sforzo necessario per riconciliare con la tradizione religiosa del paese uno stato laico costruito a forza contro questa tradizione. Forzando un po’ la comparazione storica, si potrebbe paragonare il ruolo che potrebbe svolgere in questo senso l’Akp con quello svolto in Italia dal Partito popolare di Sturzo. La strada che prenderà il processo politico turco e l’evoluzione del

rapporto tra Islam e democrazia sarà importante non solo per il futuro della Turchia. Infatti il successo, o il fallimento, di uno Stato laico e democratico in una società musulmana cambierebbe significativamente le chance che l’Ue accetti Ankara al suo interno. Inoltre, il successo del modello turco in ogni caso rappresenterebbe un esempio positivo per tutto il Medio Oriente. Anche per questi motivi, Stati Uniti ed Europa hanno tutto l’interesse ad incoraggiare e vigilare sulle riforme intraprese da Erdogan, a favorire una maggiore integrazione della Turchia nell’economia e nelle istituzioni internazionali, e a legittimare il ruolo turco di media potenza e di leader regionale tramite l’inclusione nel G20. È ancora troppo presto per dire quale delle due interpretazioni sugli sviluppi turchi si rivelerà esatta, tuttavia oggi la Turchia appare più prospera, libera, moderna e stabile di dieci anni fa, e questo è senza dubbio un motivo di speranza.

L’Autore ALESSANDRO MARRONE

Frequenta un master in Relazioni internazionali presso la London School of Economics and Political Science. È stato asssistente alla ricerca per i Rapporti Transatlantici e Sicurezza e difesa presso l’Istituto Affari Internazionali di Roma, per il quale ha redatto alcune pubblicazioni. Ha collaborato con le riviste Ideazione e L’Occidentale.

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Gli alleati del mondo arabo

L’Islam che guarda DI BARBARA MENNITTI

E PIETRO URSO

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L

’inclusione di Egitto e Arabia Saudita al tavolo dei grandi è certo significativa per la disponibilità di fonti energetiche dei due paesi arabi. Ma risponde anche a criteri politici.

EGITTO

Il ruolo politico privilegiato che l’Egitto riveste per l’Occidente risale almeno al 1974. Quando il successore del generale Nasser, Anwar Sadat, persa la guerra dello Yom Kippur contro Israele, optò per una politica moderata di normalizzazione dei rapporti con gli Usa. Il percorso approdò, nel 1978, al summit di Camp David che gettò le basi per la firma del trattato di pace con Israele nell’anno successivo. Una mossa che costò all’Egitto l’espulsione dalla Lega Araba, dove fu riammesso solo nel 1989, e la vita al presidente Sadat, assassinato nel 1981 da un estremista del gruppo alJihad. Ma il solco era ormai tracciato. Il nuovo presidente Hosni


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a OCCIDENTE

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Mubarak, esponente come i suoi predecessori dell’oligarchia militare egiziana, ha sposato fin da subito una linea di continuità con la politica di Sadat, distanziandosi dal panarabismo nazionalista e socialista di Nasser, conducendo una politica filo-occidentale e vicina agli Stati Uniti e riguadagnando anche una posizione centrale nel mondo arabo. Da allora, il paese è si è sempre posto come un affidabile punto di contatto fra l’Occidente e il mondo arabo, e come un efficace mediatore fra palestinesi e israeliani, come dimostrato anche nella crisi di inizio 2009. Politicamente l’Egitto è una Repubblica presidenziale, che però assomiglia molto a un regime,

dato che si fonda sul potere delle forze armate dal 1952. Le attese di democratizzazione che erano legate alla riforma costituzionale, approvata tramite referendum, sono state largamente deluse. L’emendamento all’articolo 76 della Costituzione avrebbe dovuto rendere possibile la presentazione di candidati indipendenti alla presidenza, ma in realtà la forma approvata è talmente cavillosa da rendere quasi impossibile sfidare Mubarak. Le ultime elezioni presidenziali si sono tenute nel settembre del 2005, Hosni Mubarak ne è uscito vincitore incontrastato, mentre il suo partito, il Partito nazionale democratico, si è confermato la forza politica dominante in Par-


lamento. Nelle ultime elezioni, a dicembre del 2005, è però anche cresciuto il consenso a favore dei Fratelli musulmani, l’organizzazione che vorrebbe trasformare il paese in una repubblica islamica basata sulla Shari’ah e che oggi rappresenta, forse, la principale minaccia per il governo. Ad accentuare il carattere autoritario e paternalistico del sistema politico egiziano, contribuisce l’applicazione, ininterrotta dal 1981, delle cosiddette leggi d’emergenza, che attribuiscono

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estese prerogative alle forze di polizia nel controllo dei mezzi d’informazione e dei cittadini e sanciscono l’istituzione delle Corti della sicurezza dello Stato. Si tratta di tribunali eccezionali competenti per i casi di violazione delle disposizioni contenute nelle leggi d’emergenza, ma anche di quelle disposizioni della legge ordinaria che il presidente della Repubblica deferisce alle Corti: quindi anche reati comuni. Le loro sentenze non sono appellabili. Le leggi d’emergenza


EGITTO e ARABIA SAUDITA Barbara Mennitti e Pietro Urso

avrebbero dovuto essere abolite prendere alcuni provvedimenti a nel 2008, ma sono state, invece, favore della popolazione: l’auprorogate per altri due anni, no- mento dei salari e delle pensioni e nostante le associazione umanita- l’allargamento del bacino dei berie denuncino casi di arresti abu- neficiari dei sussidi sociali e alisivi, di tortura e restrizioni della mentari. Le esportazioni hanno continuato nel loro trend positilibertà di stampa e di opinione. Economicamente l’Egitto è in vo, i prodotti non-oil hanno supeespansione. Viste le dimensioni rato quelli petroliferi e hanno telimitate della sua economia e il nuto il comparto turistico e l’atsuo sistema finanziario poco sofi- tività del Canale di Suez, tutti sticato e scarsamente connesso fattori che hanno contribuito a con gli altri sistemi finanziari un buon andamento complessivo mondiali, il paese non ha risenti- della bilancia dei pagamenti. Si to in maniera vistosa della crisi registra anche un’espansione delfinanziaria mondiale dello scorso la domanda interna che ha indotto una crescita autunno, anche se delle importazioni b i s o g n a a n c o r a Il sistema finanziario delle merci e dei aspettare per valuservizi, dato sitare gli effetti indi- scarsamente integrato retti che la crisi con i sistemi globali ha gnificativo per il nostro paese che avrà nei settori delnel 2007 (le ultile esportazioni, del permesso al paese di turismo e degli in- risentire poco della crisi me rilevazioni disponibili) era il vestimenti dall’estero. Al momento, il ciclo terzo fornitore dell’Egitto, dopo espansivo innescato nel 2004 dal- Usa e Cina. la favorevole congiuntura e dalle Ma perché questa situazione tenriforme economiche delle autori- denzialmente positiva possa contà egiziane, ha fatto registrare nel solidarsi e resistere alle incertezze 2008 un aumento del Pil del del quadro regionale, è necessario 7,2%. Al rallentamento del set- che le autorità investano in protore degli idrocarburi ha fatto da grammi di riforme strutturali che contrappeso la crescita dei settori migliorino l’efficienza del sisteagricolo e manifatturiero, l’occu- ma produttivo, permettendogli pazione è aumentata, nonostante di misurarsi in un contesto interla popolazione in età lavorativa nazionale sempre più competiticresca a tassi del 2% annui e il vo. In particolare, bisogna puntatasso di disoccupazione nel 2008 re a rafforzare il settore industriasi è attestato all’8,4% (dall’8,9 le, potenziando le esportazioni di dell’anno precedente). Nel corso prodotti non petroliferi. Diversi dell’anno si è verificato, però, un sono i fattori che ancora frenano rialzo dell’inflazione dei prezzi al questo settore, fra cui la mancanconsumo che ha oltrepassato la za di manodopera specializzata, le soglia del 20% e che ha spinto a produzioni ancora non orientate

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all’esportazione, gli alti costi dei cedute quote significative del Biterreni necessari alla realizzazione sco Misr e della banca Nsgb, di strutture industriali e, in gene- controllate dalla National Bank rale, un approccio “primitivo” al of Egypt, ed è stata conclusa la finanziamento dell’attività im- privatizzazione parziale di Teleprenditoriale e staccato dal siste- com Egypt. ma bancario. Per dare un impulso Settore fondamentale è, chiaraalle circa 26mila aziende che mente, quello energetico: in compongono il settore industria- Egitto vengono prodotti 700mila le egiziano, le autorità hanno av- barili di petrolio e 800mila barili viato nel 2006 un piano quin- di gas al giorno. Il governo punta quennale per l’incremento di in particolare sull’espansione decontributo al Pil, stanziando a gli idrocarburi, promuovendo questo scopo 25 miliardi di euro. l’estrazione di gas naturale (oggi Il piano per lo sviluppo socio- ne produce 60 miliardi di metri economico 2007-2012 prevede cubi all’anno), del quale è il secondo produttore lo stanziamento di un ulteriore È prioritario sviluppare fra i paesi africani e il sesto esportatore a miliardo di euro livello mondiale. Le per la creazione il settore industriale e riserve egiziane di di 750mila posti continuare il percorso gas naturale sono di lavoro nelle stimate fra i 2 e i piccole e medie di privatizzazione 3mila miliardi di imprese e nel delle aziende di Stato metri cubi. Procede, novembre scorso il governo annunciato un ulte- intanto, l’ampliamento dell’Arab riore pacchetto di misure fiscali Gas Pipeline, il gasdotto che si a sostegno dello sviluppo econo- snoda per 390 chilometri, collemico. Negli ultimi anni, grazie gando l’Egitto alla Giordania e anche alle politiche di enti creati alla Siria. Da qui, in un secondo ad hoc, si sono insediate nel pae- momento, porterà le forniture di se circa 16mila nuove società gas fino alla Turchia e all’Europa centrale. Quello energetico è un straniere. Nel difficile percorso di trasfor- settore particolarmente rilevante mazione di un’economia di Stato anche per l’Italia, visto che il in una di mercato, le privatizza- gruppo Eni è rappresentata e opezioni rappresentano un nodo cru- ra in Egitto da oltre cinquant’anciale. Le società statali destinate ni e controlla una quota di mercaad essere privatizzate, del tutto o to nella produzione di petrolio e in parte, in tempi relativamente gas pari al 55% del totale naziobrevi sono 700 e appartengono ai nale. L’Eni, inoltre, è presente in settori più svariati. Fra il 2004 e maniera significativa nel consoril 2008 il ministero degli Inve- zio Segas che gestisce il più granstimenti ha venduto 53 società a de impianto del mondo per la lipartecipazione statale; sono state quefazione del gas naturale, quel-


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lo di Damietta. Nel quinquenni zione urbana rappresenta attual2007-2012 è prevista, inoltre, la mente l’80,2% di quella totale. realizzazione di diverse centrali La popolazione arabica è essenelettriche e la distribuzione del- zialmente araba tranne il 16% l’elettricità, anche di quella pro- delle minoranze etniche. L’indice dotta da aziende pubbliche, sarà di accrescimento demografico è sensibilmente superiore a quello consentita a società private. Il quadro generale dell’Egitto, medio mondiale e lo stesso dicasi dunque, è quello di un paese che, per il coefficiente di natalità pur con tutte le sue falle demo- (37,8‰), mentre il coefficiente cratiche, continua a mantenere la di mortalità (4,4‰) è nettamente sua leadership nel mondo arabo e inferiore. un ruolo chiave nei rapporti col La principale minoranza etnica mondo occidentale, mentre eco- (circa 500mila) è formata in parte nomicamente sta compiendo dai discendenti di antichi schiavi, grandi sforzi per modernizzarsi e i takarina, che hanno in genere assimilato la cultuintegrarsi con i paera e l’organizzasi più avanzati. Uno La democratizzazione zione sociale degli sforzo in questo del sistema politico arabi e sono disenso, seppur grastribuiti lungo il duale, anche sul potrebbe togliere aria Mar Rosso (copiano politico e dei ai movimenti islamisti munità agricole), diritti civili potrebnell’Hegiaz (lavobe consentire al go- cresiuti nelle urne ratori domestici) verno di alleviare le tensioni sociali presenti nel pae- e anche nel Neged e nella parte se, facendo sì che il malcontento orientale del paese. Numerosi non abbia come unica via di sfogo pellegrini africani o asiatici si staquella indicata dalle organizza- biliscono temporaneamente o definitivamente intorno alla Mecca, zioni islamiste. mentre sulla costa orientale vi sono beluci, indiani. La popolazioARABIA SAUDITA L’Arabia Saudita è guidata da una ne araba si suddivide tradizionalmonarchia ereditaria fondata sui mente in sedentari (agricoltori, principi dell’Islam. La legge isla- commercianti), considerati somica, Shari'ah, costituisce il fon- cialmente inferiori, e in nomadi, damento del sistema di governo e fra i quali le tribù allevatrici di stabilisce la natura dello Stato, i cammelli sono le più ricche e le suoi obiettivi e responsabilità, re- più potenti. golamentando anche i rapporti Il Regno dell’Arabia Saudita fu costituito per decreto il 18 settra governo e cittadini. La sua popolazione ammonta a 19 tembre 1932. In precedenza, milioni di persone, ma ha un li- ‘Abd al-‘Aziz ibn Sa‘ud, che gli vello di mortalità del 4,4% su dette il nome, si era proclamato tutta la popolazione. La popola- re dell’Hegiaz nel gennaio 1926.

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Il governo monarchico detiene miche, scolastiche e militari, tutti i poteri; un Consiglio dei nonché degli affari generali dello ministri, creato nel 1953, è re- Stato. Il Consiglio si riunisce setsponsabile esclusivamente verso timanalmente ed è presieduto dal il re (che esercita le funzioni di re o da un suo delegato. La famiglia al-Saud gestisce e controlla la primo ministro). La costituzione emanata nel 1926 vita politica del paese con fermezha istituito organi di governo, tra za. Abdullah bin Abdel-Aziz ali quali figurano un’assemblea le- Saud, sul trono dall’agosto 2005, gislativa alla Mecca, consigli mu- ha formalizzato la procedura di nicipali alla Mecca, Medina e successione in ottobre 2006, inGidda, e consigli di villaggio e di troducendo un metodo di concertribù nelle province. I membri di tazione che dovrebbe permettere questi consigli sono i notabili e i transizioni meno conflittuali in capi tradizionali, nominati o con- seno alla famiglia. Ha inoltre avfermati dal re. Nel 1992 è stata viato una serie di importanti riforme economiche adottata una (tra le quali la “saunuova legge fon- L’Arabia Saudita dizzazione” dell’ecodamentale che ha nomia) e sociali al previsto l’istitu- non punterà più solo fine di diminuire il zione di un Con- sul petrolio, ma anche tasso di disoccupasiglio consultivo zione (circa il 9% di 60 membri di nello sviluppo della popolazione nomina regia. La dei settori non-oil saudita, soprattutto legge coranica è applicata per tutti i reati e i delit- nella fascia giovanile), che, conti e i crimini sono giudicati da nessa al consistente aumento demografico, resta un importante tribunali religiosi. Il sovrano garantisce l’applicazio- fattore di rischio. ne della legge islamica, guida la L’economia dell’Arabia Saudita si politica generale dello Stato, e so- basa soprattutto sull’estrazione e vrintende all’amministrazione e la produzione di materie prime. alla difesa della nazione. Il prin- Infatti, possiede un quarto delle cipe ereditario è nominato dal re. risorse mondiali di petrolio e atI membri del Consiglio dei mini- tualmente ha una capacità prostri assistono il sovrano nel- duttiva di circa 10 milioni di bal’adempimento dei suoi compiti. rili al giorno. Lo sfruttamento dei Il Consiglio è composto dal re, giacimenti petroliferi, insieme al dal principe ereditario che è vice gas naturale, è la maggiore ricprimo ministro, da un secondo chezza del paese e assicura circa il vice primo ministro e dal gabi- 70% delle entrate statali. Tuttanetto dei ministri. Il Consiglio è via, le autorità da diversi anni responsabile della formulazione e hanno adottato una politica di dell’attuazione delle politiche na- “diversificazione”, al fine di stizionali, estere, finanziarie, econo- molare il settore privato a contri-


EGITTO e ARABIA SAUDITA Barbara Mennitti e Pietro Urso

buire allo sviluppo economico nazionale, e hanno avviato una serie di privatizzazioni nei trasporti aerei e nelle telecomunicazioni. Gli analisti del settore prevedono che la crescita economica rimarrà positiva nel biennio 2009-2010, grazie alla spesa pubblica ed all’aumento degli investimenti esteri. Rispetto al 2008, si registrerà per una crescita del Pil nazionale decisamente più contenuta. In particolare, per 2009 si prevede un valore pari al 3,2% e per il 2010 pari al 4,6%.

La crescita saudita si confermerà sostenuta. Nei prossimi anni, si registrerà un generale miglioramento anche dei settori industriali non-oil, trainati da quello delle telecomunicazioni, dei trasporti e dell’industria manifatturiera. Per il 2009 si prevede un rallentamento nella crescita del settore oil, compensato da una forte crescita del settore petrolifero, grazie ai cospicui investimenti nelle infrastrutture e alla crescente domanda interna. Inoltre, sono previsti decrementi

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nell’export e nell’import rispetto a data dalla produzione petrolchimica, un settore ancora dominato quanto registrato nel 2008. Gli Stati Uniti e il Giappone dal governo, ma con un crescente continueranno ad essere i princi- coinvolgimento del settore privapali partner commerciali del to. La crescita del settore privato è una conseguenza dell’obiettivo paese. L’economia saudita, è dominata governativo di ridurre la dipendal settore petrolifero, che contri- denza dell’economia dal petrolio, buisce in media al 35% della for- ma riflette anche l’andamento cimazione del Pil nazionale, al clico della produzione di petrolio 75% delle entrate di governo e e dei prezzi mondiali. all’85% dei proventi delle espor- Sul territorio nazionale sono presenti inoltre, depositi consideretazioni. Il settore industriale si basa sulle voli di oro, minerali di ferro, raampie risorse di idrocarburi ed è me, argento, uranio, carbone, fortemente influenzato dagli svi- tungsteno. Al fine di incrementare lo sfruttamento luppi del settore di queste ricchezze, petrolifero. La L’economia si basa a lungo trascurate a raffinazione del causa del predomipetrolio nel 2002 sul settore petrolifero ha costituito il che copre il 35% del Pil nio del petrolio, è stata creata la socie25,4% del Pil tà statale Saudi aramanifatturiero a e il 75 % delle entrate bina minino compaprezzi costanti. del governo ny (Maadin), il cui Il settore petrolcompito precipuo è di sviluppare chimico in crescita si basa sul gas distribuito dal Master gas sy- progetti nel settore estrattivo in stem, in gran parte associato alla partnership con operatori privati. produzione di greggio. Gli in- La quota del Pil occupata daltroiti petroliferi sono stati utiliz- l’agricoltura (inclusa foreste e pezati per lo sviluppo di settori sca) è cresciuta. quali l’agricoltura ed altre indu- Dal 1970 in poi, lo sviluppo ecostrie, tra cui quella del ferro ed nomico in Arabia Saudita si è baacciaio, materiali da costruzione, sato su piani quinquennali, che lavorazione alimentare, ingegne- stabiliscono obiettivi per le infraria, prodotti chimici e fabbrica- strutture e forniscono una cornice generale per la spesa. zione di metalli. Le esportazioni di merci e servizi L’VIII piano di sviluppo (2005sono la prima voce del Pil nazio- 2009) punta a conservare i valori nale. La rapida affermazione del e gli insegnamenti islamici, a misettore non-oil, in particolare del- gliorare le condizioni di vita della la produzione manifatturiera, è popolazione, sviluppare le risorse stata il più importante successo umane e le opportunità di occudell’economia saudita negli ulti- pazione, proteggere l’ambiente e mi anni. La crescita è stata gui- le risorse idriche, rafforzare i rap-


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porti con i paesi amici, arabi e rando i servizi aeroportuali, sia islamici. Vi sono inoltre una serie creando nuovi porti adibiti a zone di obiettivi economici come: di- di libero scambio. In tale ottica, versificare l’economia con partico- gli obiettivi strategici riguardano lare attenzione all’industria mani- le città di Yanbu, Rabigh, Jizan e fatturiera, settore energetico e de- Haqil sulla costa ovest, e Damrivati, minerario, turistico e infor- mam e Hubail su quella est. mation technology; incrementare la Infine, per le telecomunicazioni produttività dell'economia nazio- Riyadh attualmente rappresenta nale e la sua competitività, ren- il 50% del mercato Ict del Medendola più flessibile ed adeguata dio Oriente-Nord Africa e ai cambiamenti economici a livel- l’obiettivo del piano è rendere lo regionale, nazionale e interna- l’Arabia Saudita l’economia teczionale; aumentare la partecipa- nologica principale dell’area. zione del settore privato nello svi- Questo settore non è stato ogluppo socio-economico; raggiun- getto di una precisa politica geografica, ma il gere uno sviluppo regionale bilancia- L’VIII piano di sviluppo nuovo piano prevede forti incento; sviluppare il si- governativo 2006-09 tivi agli investistema scientifico e menti, anche in tecnologico, con tocca tre macroaree: considerazione particolare attenzio- energia, trasporti, del fatto che l'età ne al settore informatico, sostenere e information technology media della popolazione è di incoraggiare la ricerca scientifica e lo sviluppo tec- 21,4 anni e il 38,2% della poponologico per aumentare l’efficien- lazione ha meno di 15 anni. Si tratta dunque di un bacino za dell'economia del paese. Il piano presenta in particolare tre d'utenza aperto all'innovazione e macro-aree prioritarie: energia, fortemente technology-oriented. trasporti e information technology. Il volume degli investimenti itaPer quanto riguarda il settore in- liani verso l’Arabia Saudita non è dustriale ed estrattivo, gli investi- molto elevato. Essi si concentramenti verranno indirizzati nelle no nei settori petrolchimico, ediaree di Jeddah, Dammam, Mak- le e componenti per l’edilizia, alikah, Gassim e Ahsa, mentre per mentare. Per il futuro si prospetgli impianti di desalinizzazione tano espansioni nel settore dei dell’acqua e gli impianti di estra- servizi. Il mercato saudita ha cozione le risorse saranno orientate munque caratteristiche atte ad attrarre investimenti esteri: è in verso Ras Azour e Jubail. In relazione all’area dei trasporti espansione, il costo dell’energia è l’ambizioso obiettivo del nuovo basso, la manodopera ha costi piano è fare dell’Arabia Saudita il contenuti ed è qualificata grazie crocevia strategico per i collega- all’alto numero di lavoratori stramenti tra est e ovest, sia miglio- nieri. I fattori negativi restano la

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sicurezza, la ristrettezza delle convenzioni sociali, una generale macchinosità dei tempi di risposta. Nel triennio 2005-2007, infatti, l’interscambio tra Italia ed Arabia Saudita ha registrato sempre saldi negativi. Nel 2008 l’aumento dei prezzi internazionali degli idrocarburi ha comportato un cospicuo aumento delle importazioni italiane dall’Arabia Saudita, mentre le esportazioni hanno registrato una crescita contenuta. Tale dinamica ha inciso negativamente sul deficit commerciale italo-saudita, pari a 589 milioni di euro, comunque in netto miglioramento rispetto agli ultimi due anni. La meccanica strumentale rappresenta la prima voce nelle esportazioni italiane in Arabia Saudita; seguono i prodotti della metallurgia dell’elettronica ed elettrotecnica. Le importazioni italiane sono composte prevalentemente da prodotti delle miniere e delle cave. Nei primi otto mesi del 2008, le esportazioni e le importazioni italiane risultano incrementate, rispettivamente, del 12% e del 21%, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Mentre le attività di esportazione hanno fatto registrare un andamento decrescente, le attività di importazione, invece, hanno fatto registrare un andamento crescente. Tra gli altri prodotti esportati dall’Italia troviamo rubinetti e valvole, macchine per la lavorazione delle materie plastiche e della gomma e macchine per impieghi speciali, attrezzature in-

dustriali per la refrigerazione e la ventilazione (per uso non domestico), turbine idrauliche e termiche ed altre macchine che producono energia meccanica compresi parti ed accessori. Mentre, tra i prodotti importati, il cui andamento nel 2007 ha fatto registrare una crescita del 0,03% rispetto al 2006, troviamo il petrolio greggio e il gas naturale, le materie plastiche in forme primarie, i carburanti per motori, combustibili minerali e gassosi (escluso gas naturale).

L’Autore BARBARA MENNITTI Giornalista e traduttore, scrive di società, costume, politica interna e politica estera. È stata direttore del quotidiano online Ideazione.com, collabora con Ffwebmagazine .

PIETRO URSO Giornalista e direttore responsabile di Charta Minuta. È esperto di comunicazione e storia del giornalismo italiano ed europeo.



Chi va avanti oltre la crisi

L’India è la vera ICONA dalle opportunità infinite DI FRANCO OLIVA

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o Stato dell’elefante ora va “di moda”. Il suo ruolo nel mondo non è più messo in discussione. È una potenza atomica, riconosciuta anche dagli Stati Uniti; ha la legittima pretesa di occupare un posto al Consiglio di sicurezza dell’Onu; è parte integrante e indispensabile del G20, il consesso decisionale delle più importanti economie del mondo che sta prendendo il posto del G8


INDIA Franco Oliva

Per il Fondo monetario interna- si, ha riunito quasi 2.500 superzionale «l’economia mondiale sta vip – capi di governo, ministri, attraversando la peggior crisi del banchieri, industriali, grandi madopoguerra». Il Pil globale nel nager, sindacalisti, economisti, 2009 crescerà appena dello 0,5%, scienziati – per quattro giorni a secondo le stime pubblicate a fine Davos, tra le montagne di Grigennaio nel World economic ou- gioni svizzeri, nello chic & charme tlook: il tasso più basso da oltre del paesino dei sanatori racconta60 anni. Le stime dell’Fmi sono ti da Thomas Mann nella Montastate tutte riviste al ribasso rispet- gna Incantata. Come se niente fosto alle previsioni pubblicate a no- se, i grandi protagonisti della govembre. Le previsioni si susseguo- vernance planetaria hanno puntato no peggiorando ogni volta: non il loro sguardo al di là del disapassa giorno senza che arrivino se- stro attuale, che pure loro stessi gnali ancora più negativi e proie- hanno contribuito a creare, e si zioni più preoccupate e preoccu- sono impegnati a offrire le loro insipide ricette panti. Ormai si naper salvare il monviga a vista, ma Il gigante indiano do. Così, hanno tutti sono sicuri dato al Forum che alla fine, quan- è quello meno colpito 2009 il titolo do l’orizzonte si sa- dalla crisi tra gli Stati “Dare forma al rà schiarito, si confermeranno le ana- in via di sviluppo grazie mondo del dopo crisi”. Hanno cerlisi più pessimisti- alla sua dinamicità cato di spiegarsi e che sia sulla profondità sia sulla durata della crisi. spiegare cosa sta succedendo. Ma, Gli strascichi della crisi saranno per lo più, sono riusciti soltanto a difficili da recuperare e anche il litigare tra di loro, alcuni in tema deficit è destinato a esplodere – e altri fuori tema (il turco Recep sostiene l’Fmi – spinto dalle ope- Tayyip Erdogan e il presidente razioni di stabilizzazione e dai co- israeliano Shimon Peres). Sotto sti del salvataggio del sistema fi- accusa, soprattutto ai cinesi e dai nanziario. In confronto al tornado russi, ma anche della Germania, attuale, le ultime importanti crisi gli Stati Uniti d’America, prima – quelle post shock petrolifero del per non aver prevenuto l’esplosio1974-’75 e del 1980-’82 e quella ne della crisi e poi per l’atteggiache ha fatto precipitare le “tigri mento aggressivo e unilaterale asiatiche” nel 1997-’98 – rischia- per salvare banche, industrie e sono di essere declassate a turbolen- stenere i consumatori. Il biglietto da visita di presentazione delze più o meno forti. Che questo sia lo scenario di rife- l’amministrazione Obama, che ha rimento è stato confermato dal- snobbato l’assise di Davos, ha rel’andamento dei lavori del World so ancora più tetro il cerimoniale economic forum, che anche que- del santuario della globalizzaziost’anno, l’anno della Grande Cri- ne e liberalizzazione.

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Un fatto è stato dato per certo e mente; a Taiwan, per esempio, si su di esso convengono anche i è registrato un crollo del 32% su grandi media che sembrano, per base annua a dicembre. una volta, d’accordo: la Grande E le due superstar, Cina e India? Crisi colpirà pesantemente tutti i Secondo il Fmi, per i due paesi paesi, ricchi e poveri, industria- più popolosi del mondo il Pil dolizzati e in via di sviluppo. Ma in vrebbe rimanere comunque amalcuni – segnatamente i più de- piamente positivo, anche se ridiboli, quelli africani – il tornado si mensionato rispetto alle previsioabbatterà con più violenza e la- ni di solo qualche mese fa: il proscerà un segno più duraturo e de- dotto del subcontinente asiatico vastante. Altri, pochissimi, riu- dovrebbe salire del 5,1% quesciranno a limitare i danni e pro- st’anno e del 6,5% il prossimo; cederanno sulla strada della cre- quello cinese, rispettivamente del scita. Tra le economie emergenti 6,7% e dell’8%. precipita in territorio negativo la La Grande Crisi rappresenta un esame di maturità Russia, che vedrà il Pil scendere Newsweek: rappresenta per le economie emergenti. L’esito è dello 0,7%, ma più incerto per l’allarme più dif- una delle poche zone quelle che, con un ficile riguarda le di luce in un’economia manierismo un po’ economie emergenti del conti- mondiale con prospettive stantio, sono ancora etichettate come le nente asiatico, decisamente oscure “tigri asiatiche” – che da qualche anno sono i protagonisti della quelle tradizionali (Corea del crescita mondiale. The Economist Sud, Taiwan, Singapore) e quelle nella copertina dell’edizione in più recenti (Vietnam, Malesia, distribuzione il 31 gennaio scorso Indonesia): non ruggiscono più, titolava: Asia’s shock. Il settima- hanno messo la coda tra le gambe nale rileva che la dimensione e la e aspettano di vedere che succede, velocità della caduta sono tali da mentre prende corpo il fantasma “togliere il respiro” e più ampie della crisi del 1997-’98 che aveva rispetto a quelle della crisi finan- stroncato la loro ascesa che semziaria del 1997-’98. Il Pil della brava consolidata. Cina, che era cresciuto del 13% L’attenzione, comunque, era connel 2007, è cresciuto appena ap- centrata sulla Cina, per il timore pena nell’ultimo trimestre del che una sua frenata troppo brusca 2008, Nello stesso trimestre si avrebbe potuto provocare un destima che il Pil del Giappone sia ragliamento di dimensioni inimcaduto a un tasso annuale del maginabili. Invece, per ora alme10%, Singapore del 17 e la Corea no il pericolo sembra scongiuradel Sud del 21%. I numeri della to, anche se il dragone cinese sta produzione industriale sono pre- sbuffando con meno vapore e, docipitati ancora più drammatica- po anni di inarrestabile crescita a


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doppia cifra, comincia a fare i conti con pesanti tagli alla produzione, un’impennata della disoccupazione e un crollo delle esportazioni che hanno terrorizzato o deliziato il mondo occidentale, a seconda del punto di vista di osservazione (commercianti/produttori o consumatori). Un consistente pacchetto di aiuti alla produzione e al consumo dovrebbe anche attenuare il timore di contraccolpi della crisi sull’assetto sociale del gigante asiatico, in modo da poter affrontare in clima più rilassato, per il governo comunista, il prossimo ventesimo anniversario della rivolta del maggio-giugno 1989 culminata nella strage di piazza Tienanmen. Ma la vera sorpresa, positiva, si è rivelata l’India. Certo, anche l’elefante indiano ha subito lo scossone della crisi, è rimasto un po’ stordito, ha un po’ vacillato,

ma poi ha capito che la perturbazione non avrebbe fermato il suo possente cammino. Magari un po’ più lento, ma con passo fermo. Il settimanale Newsweek non nutre alcun dubbio: «L’India rappresenta una delle poche zone di luce in un’economia mondiale con prospettive decisamente oscure». Anche se la crescita del Pil dovesse restringersi al 5 o 6%, rispetto all’aumento del 9,6% nel 2007 e dell’8,7% nel 2008, si tratterebbe di un ritmo superiore a quello registrato nella media degli anni 1990 e circa il doppio del tasso di espansione dei primi tre decenni di indipendenza (1947-1977). L’India ora va “di moda”, è considerata un’icona di crescita dinamica e di opportunità infinite per l’investitore. Il suo ruolo, anche politico, nel mondo non è più messo in discussione. È una po-

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FOCUS

L’India marcia verso una nuova era

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Quando ho detto ai miei amici che sarei andato in India, la loro reazione immediata è stata di chiedere: “Perché? Il paese del futuro è la Cina!” Sono stato in Cina molte volte. Era ora di incontrare un po’ di imprenditori, accademici e leader politici della “più grande democrazia” del mondo, come l’India si definisce. L’India è grande quasi al di là di ogni possibile immaginazione. Le sue tre città principali, Mumbai, Calcutta e Delhi, fanno apparire piccole New York, Los Angeles e Houston. In quelle tre città vivono più persone (oltre 42 milioni) che nelle 24 maggiori città americane messe insieme. Ogni numero in India è sbalorditivo. Ogni anno, per esempio, oltre 100mila nuovi ingegneri si laureano nelle sue università, mentre altri 120mila giovani indiani studiano negli Stati Uniti. Per riuscire ad avere tutti i laureati che le servono, nei prossimi dieci anni l’India dovrà fondare dozzine di nuove università. Nel 2020 la popolazione dell’India dovrebbe superare quella della Cina, diventando così la nazione più popolosa del mondo. È un paese in marcia. All’inizio degli anni Novanta ha iniziato ad adottare importanti riforme economiche, appoggiate anche dai governi successivi, che hanno accelerato l’ingresso del paese nell’era moderna. Come dimostra ogni anno “l’Indice delle libertà economiche” della Heritage Foundation, maggiore libertà economica (un’economia aperta che opera in uno Stato di diritto) produce maggiore crescita economica. Questo a sua volta, si traduce in maggior reddito

tenza atomica, riconosciuta anche dagli Stati Uniti; ha la legittima pretesa di occupare un posto al Consiglio di sicurezza dell’Onu; è parte integrante e indispensabile

per i cittadini: esattamente quello che sta accadendo in India. No, non sono rimasto abbagliato dai centri high-tech di Hyderabad e Bangalore, perché non ho avuto nemmeno il tempo di visitarli. Ma ho parlato con banchieri, imprenditori, insegnanti e funzionari del governo. Il loro comune impegno per portare avanti le riforme e continuare a investire nel miracolo economico indiano mi ha colpito. Da dodici anni l’economia indiana registra un tasso di crescita compreso fra il 7 e il 9%. Sì, l’India ha ancora davanti a sé sfide spaventose. Quasi la metà della popolazione ricava il suo sostentamento dalla piccola coltivazione. La maggior parte dei suoi cittadini è ancora oppressa da una forte povertà. Il sistema della caste esiste ancora. Ma un buon numero di parlamentari eloquenti, capaci e di sani principi sta scuotendo il sistema. Secondo l’ambasciatore americano David Mulford, è meglio fare affari in India che in Cina. È vero che la famigerata burocrazia indiana resta un ostacolo. Ma le continue riforme e l’applicazione di una legge scritta sta rendendo il paese sempre più business friendly e attento ai diritti individuali.

del G20, il consesso decisionale delle più importanti economie del mondo che sta prendendo il posto del G8. Ma non è stato sempre così. Sessanta anni fa, alla


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fine del dominio coloniale britanQueste sono solo alcune delle ragioni per cui oggi gli Stati Uniti sono il più grande partner commerciale dell’India (42 miliardi di dollari solo nello scorso anno) e il principale investitore straniero nel paese. Nel frattempo le aziende indiane stanno assumendo dimensione internazionale. Il gruppo Tata, che progetta di produrre un’auto per il mercato di massa da vendere a 2500 dollari, ha anche acquistato le linee automobilistiche Land Rover e Jaguar dalla Ford. Recentemente ha investito diversi miliardi di dollari in grandi progetti manifatturieri negli Stati Uniti. E Tata ha aperto anche due call center, uno in Ohio e uno in Florida. Proprio così: un’azienda indiana assume persone americane per rispondere al telefono. L’India deve fare ancora molta strada. Il suo sistema di istruzione avrebbe bisogno di maggiori input da università internazionali, ma è una cosa illegale. La sua struttura finanziaria è monopolistica e non competitiva e servono riforme in molti altri campi. La speranza è che i disegni di legge che il Parlamento si appresta ad approvare, introducano riforme in tutti questi settori critici. Dopo una settimana in India, posso ritenere di avere solo delle impressioni superficiali su questa complessa società e sull’importante rapporto bilaterale fra Stati Uniti ed India. Ma bastano per convincermi che, se il paese continuerà il suo percorso riformatore, diventerà un protagonista importante sulla scena internazionale e un fondamentale sostenitore della libertà nel mondo. Edwin J. Feulner, presidente della Heritage Foundation Copyright Heritage Foundation

nico, e per molti anni a seguire, era il simbolo della miseria e dell’inedia, della fame e delle carestie. Anche oggi, mentre stabilisce sempre nuovi e stupefacenti

record nella sfera economica, centinaia di milioni di indiani vivono in povertà e riaffiora l’immagine di un paese in preda alla miseria e allo squallore. Qualcuno, crudamente, riferendosi al suo decantato ruolo di leader nel settore dell’informatica e delle telecomunicazioni, ha fatto rilevare che l’India forse ha dentro di sé parecchie Silicon Valley, ma ha anche tre Nigerie, con più di 300 milioni di persone che vivono – o, meglio, cercano di sopravvivere – con meno di un dollaro al giorno. Ottocento milioni guadagnano meno di 2 dollari al giorno. L’India ha il 40 per cento dei poveri del mondo e la seconda più grande popolazione infetta di Aids del mondo. Nei paesi in via di sviluppo, molti hanno sistematicamente promesso troppo e mantenuto poco. La tendenza è di spingere le riforme in periodi di difficoltà e di sprecare le risorse quando la pressione si abbassa. E anche in India, dall’inizio delle riforme nel 1991, periodi di entusiasmo ed euforia si sono alternati ad altri di delusione e disappunto. Crescita sì, le cifre non lasciavano spazio ai dubbi, ma nessuna garanzia di irreversibilità. La svolta, in termini di credibilità e di fiducia è recente. Si può, senza eccessiva forzatura, datarla ad appena tre anni fa. E, ancora una volta, ci ritroviamo a Davos, sulle innevate montagne svizzere. Su quella montagna incantata andò in scena, nel vero senso della parola, la favola dell’ammissione dell’India nel club esclusivo dei grandi della finanza e dell’econo-

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mia mondiale. Il Forum 2006 fu monopolizzato dal governo di Delhi con una campagna di Pr costata almeno 5 milioni di dollari: giganteschi manifesti, regali tecnologici, cene predisposte da cuochi fatti venire direttamente dall’India, feste chiassose e divertenti con corpi di ballo arrivati dagli studios di Bollywood. Tutto per fare da colorato sottofondo a documentate presentazioni sui risultati economici già ottenuti dal paese e soprattutto sulle sue enormi potenzialità. Fu un successo senza ombre, mai soldi furono spesi meglio in promozione. «Se lo avessimo fatto solo tre o quattro anni prima», affermò orgoglioso e divertito il responsabile 122 dell’evento, «ci avrebbero riso dietro. Vuol dire che i tempi erano maturi». Da allora, in effetti, nessuno ha più messo in dubbio o ridicolizzato il peso e il ruolo dell’India nell’economia e nella stessa politica mondiale. Il viaggio dell’India da povero paese post-coloniale del Terzo Mondo a paese del club d’élite ad alto reddito (anche se non pro-capite) è una storia piena di giri e volte, di grandi e ambiziosi obiettivi, di riLa ridotta sultati miseri e liberalizzazione di successi conseha impedito il crollo guiti seguendo del sistema finaziario politiche prima disprezzate. In cifre tonde, il reddito globale (Pil) è cresciuto di 250 volte in termini monetari. Tenuto conto dell’inflazione (25 volte) il reddito reale è cresciuto di 10 volte dall’anno fiscale 1950-1. Ma la crescita non

è stata mai né stabile né garantita. È stata lenta per i primi 30 anni, circa 3,5% all’anno anche se più veloce negli anni di Nehru (1950-1964) che nella prima parte dell’era di Indira Gandhi (1966-1977). Si innalzò al 5,5% quando Indira ritornò al potere nel 1980. Ci vollero 19 anni, a partire dal 1950, perché il reddito globale raddoppiasse e ancora altri 19 anni per raddoppiare ancora così che nel 1987’88 risultava 4 volte superiore rispetto al 1950 in termini reali. La crescita prese velocità e ci vollero solo 12 anni per un nuovo raddoppio: l’ultimo anno del


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ventesimo secolo vide il Pil dell’India 8 volte superiore rispetto al livello del 1950. Nello stesso tempo, la popolazione è aumentata di tre volte, migliorando della stessa misura il reddito pro-capite. Nel 1947 gli abitanti erano 347 milioni; all’inizio del 2000 avevano superato il miliardo, equivalente al totale della popolazione mondiale di appena due secoli fa. Oggi sono poco meno di 1,2 miliardi. E l’India continua a crescere. Ogni anno si aggiungono circa 20 milioni di persone: un’Australia ogni anno, una Spagna ogni due, un’Italia ogni tre anni. Con que-

sto ritmo, a metà di questo secolo con un miliardo e 600 milioni di persone supererà abbondantemente la Cina come paese più popoloso del mondo. Si tratta di cifre impressionanti, da far paura, non solo all’India ma a I problemi si sono trasformati tutto il mondo. in ammortizzatori Guai a sottovalucontro la crisi tare i problemi o a cercare scorciatoie di fronte alle difficoltà che la Grande Crisi ha solamente riportato più crudamente alla ribalta. I problemi che l’India deve affrontare erano sottostanti ai conclamati successi macroeconomici. Questi stessi problemi hanno sin qui impedito all’India di accelerare la sua cre123 scita e portarla ai valori messi a segno dalla Cina. Ma, per quanto assurdo possa suonare, proprio alcuni handicap si sono rivelati inaspettati ammortizzatori della crisi, mentre altri possono diventare la piattaforma sulla quale costruire e far decollare una ripresa ancora più sostenuta e stabile. Per quanto riguarda i primi, è indubbio che la mancata o ridotta liberalizzazione del sistema bancario e delle altre istituzioni finanziarie ha evitato o ridotto la bolla la cui deflagrazione ha fatto saltare alcuni fra i più insospettabili e imponenti giganti finanziari internazionali. In India la finanza creativa e gli edge funds non hanno trovato terreno fertile. E le autorità monetarie, nonostante le critiche, hanno mantenuto alti i tassi d’interesse bancari (in estate erano ancora al 12,50%) scongiurando l’ubriacatura che ha porta-


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to al credit crunch globale. I danni tion society, la Satyam Compuci sono stati, eccome. Per esem- ter Service, che in 10 anni era pio, c’è un mercato immobiliare passata da appena 22 a oltre 50 sconvolto da una speculazione mila dipendenti. Ma si è trattache ha fatto triplicare i prezzi di to di un caso di malversazione terreni e abitazioni in tre anni. La da parte del suo fondatore, Radisoccupazione sta aumentando malinga Raju, che ha sottratto al di là del livello d’allarme. In più di un miliardo di dollari alBorsa, nel 2008 è stata bruciata la società per finanziare specuuna capitalizzazione di 377 mi- lazioni private. Il sistema, in liardi di euro, il 57% del valore generale, ha dimostrato di essetotale. In termini percentuali re saldo e capace di resistere alle hanno fatto peggio solo la Russia ristrettezze mondiali. (-67,81%) e la Cina (-64,85%). E questa relativa impermeabilità Ma guardando lo storico dell’in- alle difficoltà esterne, si ricollega dice Bse-Sensex di Mumbai (l’ex un altro presunto handicap che si è rivelato un punto Bombay) c’è solo di forza. Il vantagda meravigliarsi Non aver basato gio dell’India, ora, è di non essersi quello di non aver meravigliati a la propria economia basato la propria suo tempo: l’in- sull’export ha reso crescita solo o in dice era al livello grandissima parte dei 10.000 punti impermeabile l’India sulle esportazioni n e l f e b b r a i o dal tracollo economico come hanno fatto le 2006, al tempo altre economie dell’est asiatico, del successo di Davos; alla fine del 2006, il “toro” aveva supera- Cina compresa. Il governo indiato quota 14.000; un anno dopo, a no non è mai riuscito a far comfine 2007, si sfondava la barriera petere il paese con la Cina come psicologica dei 20.000 punti. Il potenza esportatrice. La domantraguardo di quota 30.000 era da interna rappresenta tre quarti dato per certo e imminente. In- dell’economia indiana, mentre vece, in sintonia con il resto del per la Cina è pari a meno della mondo, il 2008 si è rivelato l’an- metà. E la propensione al consuno dell’Orso. Il crollo è stato pre- mo di una crescente classe media cipitoso: 15.000 punti in aprile, il cui reddito apre le porte all’ac12.000 a luglio, 10.000 a fine quisto di beni a lungo desiderati dicembre. E il 2009 non è co- costituisce un bacino sul quale minciato in maniera più confor- possono contare le imprese indiatante (il 23 gennaio l’indice ha ne. Si calcola che questa “aspiring” classe media cresca a un segnato 8.779 punti). Non ci sono stati, però, i grandi ritmo del 10% annuo e combotti. C’è stato un caso clamo- prenderà 65 milioni di nuclei faroso che ha coinvolto la quarta miliari nel 2010. più grande società dell’informa- Non è una semplice coincidenza


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Fornire servizi per migliorare le performance e le conoscenze delle aziende e degli operatori professionali della filiera elettronica e hi-tech. E’ questa la mission di ANIE SERVIZI INTEGRATI srl, la società di servizi di Federazione ANIE. ANIE SERVIZI INTEGRATI si rivolge a tutte le imprese del settore, agli operatori della filiera (grossisti, installatori, progettisti), alle istituzioni economico-finanziarie, agli utenti finali e ai media, a cui fornisce una serie di servizi informativi e a valore aggiunto. In particolare, i clienti di ANIE SERVIZI INTERGRATI accedono ad un’ampia serie di servizi: Seminari di formazione professionale - per essere sempre aggiornati sull’innovazione tecnologica, sull’evoluzione legislativa e per affrontare i nuovi scenari del mercato. I seminari, offrono alle aziende una opportunità per approfondire tematiche inerenti la gestione e lo sviluppo del business. Segnalazione gare d’appalto - Promuove e facilita la partecipazione delle imprese del ramo elettronico, dell’hi-tech e dei settori contigui, agli appalti pubblici nazionali, comunitari e internazionali, offrendo informazioni specifiche e tempestive, recapitate, via mail oppure tramite fax, ogni giorno direttamente nell’ufficio dell’utente abbonato. Servizio Rilevazioni Statistiche ANIE - indispensabile supporto di aggiornamento professionale per gli operatori economici in Italia e all’estero. I dati statistici di ANIE forniscono indicazioni specifiche alle imprese di settore per consentire loro la comprensione approfondita dei principali fattori produttivi del settore; agevolarne la pianificazione strategica e il processo decisionale e confrontarsi con i propri competitors, attraverso benchmark di settore. Attraverso il proprio website Elettronet.it - il portale dell’Elettronica, dell’Elettrotecnica, dell’Illuminotecnica e dell’ICT - Anie Servizi Integrati consente ai navigatori di essere aggiornati in tempo reale sulle novità del settore, grazie alle news, ai documenti, alle newsletter e ai servizi interattivi (pubblicità online, vetrine virtuali). A partire da gennaio 2009 sarà on line la nuova versione del sito www.elettronet.it, completamente rinnovato nella sua veste grafica, concepita secondo le ultime tendenze del web design pur mantenendo un’ elevata fruibilità e la facilità di navigazione. Il nuovo E l e t t r o n e t . i t si rivolgerà: a tutti gli operatori professionali della filiera (fornitori, grossisti, installatori e progettisti); alle aziende di settore, associate e non associate a Federazione ANIE, aderente a Confindustria. Per ulteriori informazioni: Anie Servizi Integrati Tel. 023264.210 – Fax 023264.395 E-mail: anieservizi@anie.it

Federazione AN IE rappresenta - attraverso 11 Associazioni - le imprese elettrotecniche ed elettroniche che operano in Italia. Con un fatturato aggregato di 63 miliardi di euro (di cui 27 miliardi di esportazioni) è il settore più strategico e avanzato tra i comparti industriali italiani, Le aziende ANIE investono in R&S il 4,6% del fatturato, rappresentando circa la metà dell’intero investimento in R&S realizzato dal settore privato in Italia. www.anie.it


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il fatto che l’India stia vivendo una vera rivoluzione copernicana per quanto riguarda il settore del commercio. Il monopolio dei 12 milioni di piccoli e piccolissimi negozi (kirana stores) è stato finalmente messo in discussione da una nuova politica d’apertura nei confronti della grande e media distribuzione organizzata. Supermarket generalistici e specializzati e veri e propri centri commerciali stanno sorgendo come funghi, cambiando abitudini e architetture, in tutte le città indiane (20 hanno più di un milione di abitanti, a partire dalle megalopoli da oltre 15 milioni di abitanti come Delhi e Mumbai). Al gioco son state ammesse anche le grandi catene internazionali, desiderose di stabilirsi in quello che viene considerato in prospettiva il più vasto mercato di consumo del mondo. Un mercato che dovrebbe far gola non solo ai distributori ma anche a produttori, soprattutto di beni di qualità. Ogni riferimento all’Italia non è puramente casuale. Un altro settore che, da punto di debolezza si potrebbe trasformare in leva per superare la fase di crisi internazionale, è senza dubbio quello delle infrastrutture. L’India registra un grande ritardo per quanto riguarda strade, porti, ferrovie, centrali elettriche. Un ritardo che ne ha compromesso la crescita a ritmo cinese. La Cina e le altre economie dell’est Asia hanno investito negli ultimi anni il 10% del loro Pil in infrastrutture, paragonato al 4-5% dell’India. Una situazione che diventa

sempre più penalizzante e insostenibile nella nuova situazione economica e produttiva del paese. Nei programmi governativo e statali si parla addirittura di 1.500 miliardi di dollari di investimenti nel prossimo decennio. Una sfida immane, per la quale occorre trovare risorse pubbliche e private, interne e internazionali, ma che potrà rivelarsi un eccezionale volano per lo sviluppo delle attività economiche e manifatturiere. Un’occasione – come nel caso del commercio al dettaglio – anche per investitori e per imprese esteri. Opportunità importanti, dunque. Ma anche incognite che condizionano le aspettative e suggeriscono la massima cautela. Oltre alle variabili esogene, prima fra tutte quelle derivanti dalla Grande Crisi, la cui evoluzione è ancora tutta da scoprire, ce n’è una tutta interna ma non per questo meno importante. L’India si sta avvicinando a una delicata tornata elettorale, che inevitabilmente condizionerà le politiche dei prossimi mesi e che potrebbe rimettere in discussione

L’Autore FRANCO OLIVA Consulente di comunicazione e marketing internazionale per i mercati emergenti. È stato corrispondente da Washington, direttore responsabile del Secolo XIX, dei quotidiani veneti del gruppo Espresso e dei periodici economici Espansione e Successo. Negli ultimi anni ha lavorato a Bruxelles e Madrid e operato in India e Giappone.


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Bisogna ragionare in termini globali

La Cina imparerà a rispettare le regole

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P

erché Pechino dovrebbe entrare in un consesso decisionale allargato invece di puntare a una diarchia Cina-Stati Uniti? INTERVISTA A ALESSANDRO POLITI DI ELISA BORGHI

Il Dragone sa bene che conviene fare la parte dell’attore responsabile e che, pagando un gettone di presenza, otterrà le sue contropartite


L’INTERVISTA Alessandro Politi

E se fosse sufficiente un G2 Cina-Stati Uniti? In vista del G8 allargato della Maddalena la domanda non è retorica. E per rendersene conto basta pensare per un istante alla forte interdipendenza economica creatasi tra gli Usa, che rimangono la più grande potenza del globo anche se fortemente indebitata, e la Cina, leader emergente nelle cui casse alberga gran parte dei buoni del tesoro americano. Nel nuovo assetto internazionale – dove “l’ordine mondiale non c’è più”, le decisioni importanti vengono prese in sede bilaterale da Pechino e Washington e i paesi europei rischiano di fare la fine del topo se non trovano una comune strategia d’azione negli affari globali – ha davvero senso creare un altro “club allargato”? È veramente utile mettere in piedi l’ennesima organizzazione che rischia di essere incapace di prendere decisioni vincolanti, data la varietà di interessi di cui sono portatori i paesi membri? Silvio Berlusconi e gli altri leader europei sono convinti di sì. E anche il presidente americano Barack Obama vuole che le potenze emergenti (Cina, India, Messico, Brasile e Sudafrica, il cosiddetto G5) partecipino al club più esclusivo del mondo. Partendo dalla considerazione che “nessuno fa le cose per correttezza politica”, viene da chiedersi quale convenienza abbiano gli otto grandi ad aprirsi ad altre nazioni, mentre non è chiaro perché Pechino dovrebbe pagare l’oneroso “gettone della rappresentanza in

sede politica” visto che già gode di una salda e riconosciuta posizione di leadership all’interno del G5. Ne parliamo con Alessandro Politi, direttore dell’Osservatorio strategico di Nomisma e docente presso il Centro Alti Studi della Difesa. Professor Politi, cosa si aspetta da questo G8?

Il G8 della Maddalena sarà la presa di coscienza definitiva del fatto che bisogna cambiare in profondità le regole per ricreare un sistema di riferimento economico finanziario internazionale. Quali regole?

Bisogna introdurre dei principi di chiarezza e di trasparenza nella gestione del credito internazionale. In tutti i sistemi economici, così come li abbiamo conosciuti in questi ultimi sessant’anni, ci sono sempre stati degli angoli bui dove è stato possibile derogare alle regole generali. Ma ormai la globalizzazione costringe tutti, anche noi italiani, a ragionare in termini globali. A valutare le conseguenze dei nostri singoli atti e a domandarci quale è il prezzo delle nostre azioni, perché se la Borsa di Shanghai starnutisce tutti abbiamo dei problemi. Che interesse ha la Cina ad entrare nel G8 e ad essere vincolata al rispetto di queste regole?

Pechino sa bene che, quantomeno per una questione di immagine, le conviene giocare la parte dell’attore responsabile a livello globale, e parlare un linguaggio di

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gton e Pechino usare il termine G2 apertamente. Ma perché le cose funzionino, gli Usa dovrebbero dare priorità alla Cina come loro partner principale nella gestione dell’economia globale». Anziché allargare il G8, alla Cina e agli Stati Uniti non converrebbe dunque sedersi intorno al tavolo in due, dato che il grosso della partita si gioca tra di loro?

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responsabilità politica. Valutando la convenienza o meno di entrare nel G8, i cinesi si pongono una precisa domanda, si chiedono quali sono i costi di una responsabilità davvero condivisa e quanto sono disposti a pagare. Con ogni probabilità la risposta a questo interrogativo verrà negoziata come partita politica più ampia tra la Cina, gli Stati Uniti ed altri attori che condividono con i cinesi una serie di interessi economici sulla stabilità o sulla ripresa del sistema. Per cui il G13 o il “G” allargato a un qualsiasi altro numero di Stati, diventa un club nuovo, dove uno paga un gettone di presenza più o meno importante in termini di concertazione e in cambio ottiene delle contropartite su altri fronti. There is not representation without taxation. I cinesi lo sanno benissimo. Il momento politico è ineludibile.

Precisiamo subito che nessuno fa le cose per correttezza politica. Se il G8 si allarga è solo per convenienza, e quella americana è di rispolverare quel metodo di partecipazione che ai tempi di Bill Clinton era un unipolarismo consociativo, ed oggi diventa il tentativo di mantenere una condizione di primus inter “quasi” pares. Cina e Stati Uniti sono due giganti con dei talloni d’Achille evidenti e se qualcuno pensa che si possa ricreare una diarchia come quella esistente tra Usa e Urss, si fa delle pie illusioni. Un tale sistema oggi non reggerebbe, in primis perché due paesi non possono decidere per tutto il mondo con efficacia, poi perché i tempi sono diversi. E perché i leader europei vogliono allargare il G8? Quale è il loro interesse?

Occorre distinguere tra l’Europa comunitaria e l’Europa degli Stati. L’Europa comunitaria non ha una strategia sul G8, mentre dovrebbe averla, e l’unica cosa seria che può fare è quella di avere un seggio unico. Ora, si pensa sempre che il seggio unico sia una sorta di bollino blu dell’europeiScrive l’economista americano Fred smo corretto ma questa è una Bergsten su Foreign Affairs: «Sarebbe sciocchezza. Qui si tratta di fare politicamente pericoloso per Washin- massa critica. Non possiamo se-


L’INTERVISTA Alessandro Politi

derci come Germania, Francia, Gran Bretagna, Italia davanti a paesi che hanno molti più soldi e potere di arbitraggio politico di noi. Poi c’è l’Europa degli Stati, che propone di allargare questo foro perché è nel suo interesse coinvolgere nella discussione e nella possibile preparazione di nuove regole comuni il maggior numero di paesi. Le regole comunitarie sono state quelle che hanno sconfitto i tentativi di dazi di Bush sull’acciaio e sulle automobili. Le regole comuni sono importanti. In questo l’interesse dell’Europa degli Stati coincide con quello dell’Unione europea.

Possiamo aiutare Pechino a capire, e dunque a rispettare le regole, esercitando pressione politica?

Sì, lo possiamo fare ma solo se siamo uniti e se abbiamo i conti in ordine. Disuniti e indebitati non abbiamo i necessari mezzi di pressione. E poi dobbiamo evitare di ripetere con Pechino lo stesso errore in cui siamo caduti con le Repubbliche baltiche, che non avevano i requisiti per diventare membri dell’Unione europea ma che nonostante questo sono entrate ottenendo delle deroghe. Il risultato è che ancora oggi non rispettano i criteri di Copenaghen e due su tre continuano a trattare i cittadini russi, che sono A proposito di regole, che cosa le fa una minoranza, come fossero citpensare che la Cina osserverà eventuali tadini di serie B. nuove regole di trasparenza? Pechino non ha mantenuto nemmeno le promesse sui diritti umani che aveva fatto alla comunità internazionale in cambio dell’assegnazione delle Olimpiadi.

Con la Cina l’Occidente ha già commesso questo errore. Lasciando che entrasse nel Wto senza averne i requisiti.

Infatti. Inoltre la Cina non è un I cinesi hanno il problema di con- piccolo paese e sta cambiando la tinuare l’evoluzione della loro natura degli equilibri internaziocultura politica. Faticano a capire nali, modificando il concetto stesin modo esteso le conseguenze del so di ordine mondiale. proprio agire politico. La scorciatoia di non rispettare i diritti In quale direzione? umani nel breve termine mantie- L’ordine mondiale non c’è più. È ne le promesse: assicura il con- un totem che non serve a nessuno. trollo del paese, mette a tacere gli È un concetto da archiviare, da oppositori e il potere centrale re- mettere in soffitta. Non serve più sta egemone. Ma a lungo andare è innanzitutto perché non c’è più una strada deleteria, che si ritorce nessuno in grado di imporlo. contro chi l’ha percorsa. E se chi commette questi crimini non vie- È terminato il periodo degli Usa come ne punito in prima persona, a pa- potenza egemone? gare è l’intera società. Sono certo Non sto dicendo che gli Usa che alla fine anche la Cina capirà, escono definitivamente di scena e come tutti, che c’è una conve- al loro posto entra la Cina. Gli Usa stanno subendo un processo nienza nel rispettare le regole.

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di ridimensionamento che lascia uno spazio vuoto, spazio vuoto che altri, tra cui Pechino, occupano. Ma il finale di questo declino ancora non è scritto. Il processo di ridimensionamento degli Stati Uniti può durare anche un secolo. La Spagna ci mise cento anni a perdere lo status di potenza globale.

ro. Il National intelligence council prevede che fra venticinque anni l’egemonia degli Stati Uniti non sarà più sicura. Ma questo problema non dobbiamo porcelo tra venticinque anni, dobbiamo porcelo subito. Obama è proprio la risposta a quella previsione e sa che la ripresa dell’America passa dalla messa in ordine dei conti di casa.

Cosa accelera il declino degli Usa?

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Di certo la crisi economica. È questo il problema che devono affrontare oggi gli Stati Uniti, perché non si può fare la superpotenza a credito. E molto del credito americano è nelle mani delle banche cinesi. Tuttavia il fallimento della potenza egemone è solo un dettaglio di un fenomeno più vasto. Cioè?

Il mondo non è stato fermo né durante l’equilibrio bipolare, né durante il brevissimo periodo unipolare, che possiamo datare dal 1991 fino al 2008, volendo includervi tutta la presidenza di George Walker Bush. In questi pochi anni il mondo è cambiato profondamente perché c’è stata la globalizzazione. E con essa l’emergere di nuove potenze, in particolare della Cina. Questo sarà “il secolo cinese”?

In questo secolo coesisteranno diverse culture. Oggi siamo in una situazione di multipolarismo disarchico: sul panorama internazionale si affacciano diversi poli di potenza che non hanno ancora capito come sistemarsi fra di lo-

Che fine fa l’Unione europea in tutto questo?

Lo scenario che si delinea manda un chiaro segnale agli europei: sveglia! Sveglia?

Se noi europei non coaguliamo rischiamo di essere rispartiti. L’Occidente politico non c’è più, ci sono gli Occidenti, ci sono diversi paesi che si muovono in mezzo a degli equilibri fluidi. Come in un millefoglie: ai vari eventi si danno risposte diverse a seconda del momento. Il mondo non è più a blocchi, e chi ancora lo sogna guarda al passato. I cinesi in questo sono molto passatisti, hanno una concezione di sovranità nazionale e di potenza di paese che molto presto non sarà più aderente a quello che sono, a quello che fanno e soprattutto alla realtà del partito comunista, che non è un grande monolita. Pechino già adesso deve scendere a patti con i governi regionali. Torniamo al G8 della Maddalena, alla luce della situazione internazionale che ha appena descritto, crede che l’impresa di delineare il nuovo assetto di regole


L’INTERVISTA Alessandro Politi

internazionale sia alla portata del governo italiano che presiede il vertice?

Non credo che l’impresa sia al di fuori dalla portata di questo governo, ma di certo richiede coraggio politico. Il governo italiano potrà avere successo se sarà assistito dagli altri partner – perché da soli non si fa nulla – e se ci sarà la spinta propulsiva di Obama, l’apporto delle democrazie smart. Io penso che nel corso di questo G8 potrebbe crearsi un inedito asse tedesco-americano, tra la Cancelliera Angela Merkel e il segretario di Stato Hillary Clinton, un asse che potrebbe coinvolgere anche Nicolas Sarkozy, sebbene la Francia non sia esattamente sulla stessa linea politica di Obama e della sua squadra come identità politica. A quel punto il governo italiano dovrà avere uno scatto di reni. L’importante è che i politici si preparino scrupolosamente a questo vertice. Devono avere la pazienza di assorbire le informazioni in modo critico.

L’Intervistato

ALESSANDRO POLITI Analista indipendente di problemi strategici e d’intelligence Osint, dirige l’Osservatorio scenari strategici e di sicurezza di Nomisma. È responsabile per il rapporto annuale prospettive economiche e strategiche Nomos & Khaos. Già consigliere speciale di quattro ministri della Difesa e di un Direttore nazionale agli Armamenti, collabora con quotidiani nazionali e media internazionali quali Sole 24 Ore, BBC

World, Rai News 24, Radio France. È cultore della materia Storia militare all’Università di Roma La Sapienza.

Lei ritiene che in questo scenario allargare i consessi internazionali, come il G8, abbia un senso?

Allargare i forum internazionali è un buon metodo per sentire delle voci, ma concertare le azioni globali è un’altra cosa. Ed è per questo che l’Onu non serve più. La crisi finanziaria, le grosse decisioni richiedono misure che non sempre sono democratiche, ma che si spera vengano prese con uno spirito di ragionevole cooperazione e contrattazione.

L’Autore ELISA BORGHI Giornalista professionista, lavora a Roma come redattore per il quotidiano politico L’Opinione delle Libertà. Specializzata in Cina ed Estremo Oriente. Dopo la laurea ha conseguito un master in Studi internazionali e ha lavorato come ricercatrice per il Centro militare di studi strategici.

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La rinascita del sud-est asiatico

Indonesia e Corea: un futuro oltre le DIVISIONI DI RODOLFO BASTIANELLI

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Tra i paesi del G20, Indonesia e I due paesi asiatici Corea del Sud hanno in questo stanno attraversando decennio conosciuto profonde trasformazioni economiche, a un periodo partire da quelle causate dalla grave crisi finanziaria che alla fidi transizione ne degli anni Novanta posero Senon solo economica, oul e Jakarta davanti ad una pesante recessione i cui effetti, soma anche politica. prattutto nel caso indonesiano, al crollo del regime di Infatti all’Indonesia, portarono Suharto. Dal lato politico poi, dopo la caduta mentre l’Indonesia negli ultimi anni si è trovata a fronteggiare di Suharto, manca pericolose spinte centrifughe interne ed un terrorismo islamico una vera stabilità capace di rappresentare un serio politica che ha rischio per la sicurezza del paese, la Corea del Sud invece ha dovuto permesso al terrorismo gestire non solo il dossier del nucleare di Pyongyang, ma anche la islamico di crescere. drammatica emergenza umanitaLa Corea del Sud, ria in Corea del Nord. invece, deve INDONESIA L’Indonesia riveste una notevole gestire i rapporti importanza per gli equilibri straeconomici e politici tegici dell’Asia orientale sia per ingenti risorse petrolifere e micon la Corea del Nord lenerarie di cui il territorio dispone


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che per il fatto di costituire il più ad Ambon e nelle Molucche tra popoloso paese islamico del mon- cristiani e musulmani insieme al do. Negli ultimi dieci anni però pericolo di attentati terroristici gli scontri etnici e religiosi uniti aveva ridotto considerevolmente ad una difficile congiuntura eco- il flusso turistico e di conseguennomica hanno posto seriamente a za le entrate in valuta pregiata. rischio la stessa esistenza dello Sul piano politico poi l’IndoneStato indonesiano. Formato da sia, che in passato veniva presa ad molteplici nazionalità, diversi esempio per il suo Islam moderagruppi linguistici e confessioni to e tollerante, aveva assistito al religiose – tanto che sullo stem- risveglio del fondamentalismo ma è riportato il motto Unità nel- alimentato soprattutto dall’incala diversità – questo sterminato pacità di una classe politica che arcipelago composto da migliaia in meno di cinque anni aveva di isole è stato infatti teatro di portato quattro presidenti a sucforti tensioni politiche interne, cedersi alla testa dello Stato, ovvero prima l’ex tanto che gli anadelfino di Suharto, listi dubitavano La caduta di Suharto Yussuf Habibie, che sarebbe riuscipoi l’islamico moto a conservare la ha reso politicamente derato Abdulrahsua unità finendo instabile l’Indonesia man Wahid, coper disintegrarsi stretto a dimettersi sotto l’urto delle provocando molta nel 2001 per una sempre maggiori disoccupazione vicenda di corruspinte secessioniste. Dopo il 1998, anno della ca- zione, poi Megawati Sukarnopuduta di Suharto, l’Indonesia ha tri, figlia dello storico leader indipendentista Sukarno ed infine attraversato una profonda crisi. L’economia, nonostante le riserve nel 2004 Susilo Bambang Yupetrolifere di cui disponeva il dhyono, primo capo dello Stato paese, era entrata in una fase di ad essere eletto direttamente dai recessione, con un Pil in calo ed cittadini con la riforma costituuna rupia che si era notevolmente zionale introdotta dopo la fine deprezzata nei confronti del dol- del regime di Suharto. Proprio la laro. La forte instabilità politica vittoria di quest’ultimo ha coninterna aveva inoltre spinto un dotto però il clima economico gran numero di imprese straniere verso un sensibile miglioramena lasciare l’Indonesia, provocando to, e questo nonostante l’Indonecosì un aumento della disoccupa- sia abbia dovuto affrontare due zione che inevitabilmente aveva gravissimi disastri naturali, quali finito per incrementare le già il catastrofico tsunami che nel gravi tensioni sociali. Un ulterio- 2004 ha provocato la morte di alre colpo all’economia era venuto meno centomila persone lascianpoi dal calo del turismo, in quan- done oltre cinquecentomila sento gli scontri religiosi avvenuti zatetto ed il violento sisma che


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nel 2007 ha pesantemente colpi- te di funzioni direttive all’interno to l’isola di Sumatra e la provin- dei diversi settori dell’amminicia di Aceh. Non solo la nuova strazione, è continuata fino al amministrazione ha avviato dei 1999, quando venne deciso che ai programmi a favore delle classi militari non sarebbe stato più popolari tesi a creare nuovi posti consentito di occuparsi degli affadi lavoro unitamente ad un ambi- ri di Stato. Un altro risultato pozioso piano di lotta alla corruzio- sitivo è venuto poi dal raggiungine, ma soprattutto ha deciso di mento di un’intesa con i separatiintrodurre nuove disposizioni che sti di Aceh per porre fine al conrendono più facile per le aziende flitto che da un trentennio oppostraniere investire in Indonesia, a neva il governo centrale agli indicominciare dal varo di una nuova pendentisti locali. Iniziato negli legislazione fiscale approvata lo anni Settanta, lo scontro tra Jascorso anno che riduce sensibil- karta ed il Free Aceh Mouvement mente le imposte per i cittadini e (Gam) traeva origine da molteplici fattori, quali le imprese. Tuttala diversità storica via, nonostante le Negli ultimi anni della regione riliberalizzazioni respetto al resto delcentemente intro- sono state avviate l’Indonesia, la podotte, il ruolo del- importanti riforme litica repressiva lo Stato continua a attuata dai diversi restare quantomai sia istituzionali governi indonesiaforte nel settore che economiche ni e, soprattutto, energetico ed alimentare, mentre non va poi di- lo sfruttamento delle risorse locamenticato come il paese dispon- li da parte di Jakarta senza che gli ga non solo di consistenti riserve abitanti potessero usufruire delle petrolifere ma anche di ingenti ricchezze esistenti nella regione. risorse di gas naturale, oro ed al- Accreditato di un largo seguito tri importanti minerali strategi- tra la popolazione e finanziato da ci nonché di notevoli piantagio- Libia ed Iran, il Gam aveva lo ni di olio di palma situate nel scopo di creare uno Stato islamiKalimantan (Borneo) che susci- co, anche se non dichiaratamente tano l’interesse dei gruppi ali- fondamentalista, nella regione, un obiettivo questo chiaramente mentari mondiali. Ed anche dal lato politico, sotto il improponibile per Jakarta che governo Yudhyono sono state av- solo dopo la caduta di Suharto viate importanti riforme quali la avviò dei negoziati con i separariduzione del ruolo dei militari tisti locali. nelle istituzioni e nella gestione Prima Habibie abolì l’amminidegli affari statali. Instauratosi strazione militare poi Wahid prodopo l’ascesa al potere di Suharto, spettò addirittura l’idea di indire lo dwifungsi, ovvero l’attribuzione un referendum sullo status della agli appartenenti alle forze arma- regione, ma dovette ritirare il pia-

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no per l’opposizione dei naziona- Organization (Opm), un movilisti che temevano il ripetersi di mento indipendentista a base triquanto accaduto a Timor Est. Do- bale la cui attività non ha però po un periodo segnato da scontri e mai costituito una seria minaccia violenze tra ambedue le parti, nel per le autorità indonesiane. Dopo 2001 venne firmato un accordo il crollo del regime di Suharto, che garantiva ad Aceh il diritto di l’allora presidente Wahid effettuò applicare la legge islamica e di alcuni gesti distensivi quali l’aboutilizzare in loco le entrate prodot- lizione della denominazione di te dalle risorse naturali del terri- Irian Jaya per la regione ed il ritorio, ma il Gam dichiarò che pristino di quello di Papua, la avrebbe accettato solo l’indipen- possibilità di utilizzare la bandiedenza costringendo così il gover- ra nazionale e la convocazione di no di Megawati Sukarnoputri ad un’assemblea locale che però, coassumere un atteggiamento più me primo atto formale, dichiarò severo nei confronti dei separatisti illegale e priva di ogni effetto la cui capacità opel’annessione effetrativa verrà pesan- Ultimamente tuata dall’Indonetemente indebolita sia. D a v a n t i a dalle azioni con- il fondamentalismo queste crescenti dotte dall’esercito. islamico è tornato aspirazioni indiSarà solo dopo lo pendentiste della tsunami del 2004 a far paura tra le isole popolazione locache le due parti si indonesiane le, Jakarta ha ridecideranno a tratsposto intensifitare per il raggiungimento di cando nuovamente la repressioun’intesa stabile. Firmato ad Hel- ne, anche se, va detto, il governo sinki due anni più tardi con l’assi- indonesiano nel tentativo di ragstenza dell’ex presidente finlande- giungere finalmente un comprose Marti Ahtisaari, l’accordo pre- messo con i separatisti locali ha vede il ritiro delle truppe indone- approvato una legge speciale che siane, il disarmo del Gam e l’at- assicurerebbe alla regione un’autribuzione di un’autonomia inter- tonomia interna. na alla regione nonché l’invio di Non meno importante si presenta un contingente di trecento osser- infine il problema del terrorismo vatori da parte dell’Unione euro- islamico. Osteggiato e represso pea. Resta invece ancora aperta la dal governo durante gli anni Sesquestione della Papua occidenta- santa e Settanta e considerato una le, l’ex colonia olandese incorpo- minaccia al pari delle forze comurata nel territorio indonesiano nel niste, il fondamentalismo iniziò 1963. Ricca di giacimenti auriferi ad emergere nell’ultima fase del e di altre importanti risorse mine- regime di Suharto, quando l’anrarie, la regione è teatro da diver- ziano dittatore, nel tentativo di so tempo di una guerriglia a bassa riconquistare consensi tra la pointensità condotta dal Free Papua polazione, iniziò a presentare se

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stesso come il difensore della fede sorse naturali di cui il sottosuolo islamica. Da allora sono apparse nordcoreano disponeva, nel dele prime formazioni terroristiche cennio successivo sarà invece il di matrice integralista quali La- sud della penisola a conoscere un skar Jihad, un’organizzazione pre- boom, facilitato da un’economia sente nelle Molucche e responsa- basata sulle industrie leggere ed bile di numerosi attacchi contro orientata all’esportazione grazie le popolazioni cristiane, l’Islam anche ai vantaggi offerti dal basso Defenders Front, attivo più che al- costo del lavoro. E sarà proprio la tro nel racket e nelle estorsioni e buona congiuntura economica a la Jemaah Islamiya, un gruppo favorire sul finire degli anni Otcollegato al network di Al-Qaeda tanta le condizioni per l’avvio di che aspira alla creazione di uno importanti riforme del sistema Stato islamico tra Thailandia, Fi- politico locale. Governata per anlippine, Indonesia e Malaysia e ni da un regime autoritario miliresosi responsabile di numerosi tare, la Corea del Sud nel 1987 fu teatro di proteste attentati nel paepopolari che spinse. Tuttavia, nono- La crisi degli anni ‘90 sero l’allora presistante la presenza di questi movi- ha permesso alla Corea dente Chun Doohwan ad avviare un menti radicali, a l’avvio consistente processo di liberadetta degli analilizzazione che pors t i l ’ I n d o n e s i a di una serie tò all’introduzione continua a rima- di riforme finanziarie di riforme demonere un paese musulmano moderato dove alle ulti- cratiche tra le quali la più imporme elezioni i candidati delle for- tante fu l’elezione diretta del Camazioni islamiche sono riusciti po dello Stato. Indette nel 1987, ad imporsi solo in quei collegi in le consultazioni videro l’affermacui hanno incentrato la loro cam- zione dell’ex generale Roh Taepagna più sui temi economici che woo sotto il cui mandato vennero compiuti altri passi nel processo su quelli religiosi. di democratizzazione, che consentirono cinque anni dopo l’eleCOREA DEL SUD La Corea del Sud rappresenta la zione di un primo presidente citredicesima potenza economica vile dopo oltre trent’anni di regimondiale e la quarta del conti- me militare, il conservatore Kim nente e per anni ha rappresentato, Young-sam. Ma la vera svolta pocon la sua crescita a doppia cifra, litica avverrà comunque nel 1997 un modello di sviluppo per tutti con la vittoria dell’ex dissidente gli economisti. Se per tutti gli Kim Dae-jung, favorevole ad avanni Cinquanta ed i primi anni viare un processo di distensione Sessanta era stata la Corea del con Pyongyang. Mentre sul piano Nord a registrare il maggior tasso interno, complice la crisi finandi sviluppo grazie anche alle ri- ziaria che aveva colpito l’Asia sul


INDONESIA e COREA DEL SUD Rodolfo Bastianelli

finire degli anni Novanta, il nuovo governo avviò una serie di provvedimenti tesi a riformare il sistema bancario e finanziario che fecero ripartire subito l’economia del paese, nei confronti della Corea del Nord il neo presidente avviò quella che venne indicata come la Sunshine policy. Questa nuova linea diplomatica nei riguardi del nord si proponeva di unire l’opportunità di avviare una cooperazione con Pyon-

gyang senza rinunciare tuttavia allo strumento della deterrenza militare. In merito alla riunificazione, il progetto di Kim Daejung nel presente si limitava all’idea di un’unione de facto che avrebbe dovuto portare a scambi commerciali e culturali, mentre l’effettiva unificazione politica ed istituzionale si sarebbe potuta realizzare solo nel lungo periodo e dopo la concreta riconciliazione tra i due paesi.

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La linea del dialogo verso Pyon- stia che ha colpito il paese e le ingyang è stata confermata da Roh quietudini suscitate dal programMoo-yun, successo a Kim Dae- ma nucleare e dai test missilistici jung nel 2002, sotto la cui presi- effettuati dalla Corea del Nord in denza si sono sviluppati diversi questi ultimi anni, hanno finito progetti di cooperazione econo- per rafforzare quelli che da semmica con il nord. Di questi, il più pre avevano criticato le aperture importante è stato varato sei anni verso il regime di Kim Jong-il dopo attraverso la creazione di sostenendo invece la necessità di un complesso industriale finan- adottare una posizione più ferma. ziato dalla Corea del Sud a Kae- Alle elezioni del 2007 si è così song (Kic), situato all’interno imposto il conservatore Lee della zona smilitarizzata che tut- Myung-bak, esponente del Grand tora divide in due la penisola. National Party (Gnp), la cui posiL’area ospita almeno cinquanta zione è che la Sunshine policy non aziende sudcoreane e rappresenta potrà essere ripresa finché Pyongyang non abbanun territorio di lidonerà il suo probero scambio nel I rapporti tra le due gramma nucleare, quale è consentito mentre sullo stesso l’uso di carte di Coree è migliorato complesso inducredito e la circo- solo sotto l’aspetto striale di Kaesong lazione di valuta il nuovo capo dello s t r a n i e r a . G l i commerciale, ma no Stato sudcoreano obiettivi che si in quello diplomatico ha sottolineato copropone l’istituzione di questa area industriale me il proseguimento del progetto sono molteplici. Se dal lato eco- sarà legato ai progressi che si renomico l’iniziativa costituisce gistreranno nelle trattative per lo per le imprese sudcoreane un ser- smantellamento dei reattori atobatoio di manodopera a basso co- mici nordcoreani. Come sottolisto, da quello politico il progetto neano gli esperti militari di Seintende non solo rappresentare oul, il possesso di armi nucleari un segno di effettivo disgelo nei da parte della Corea del Nord rapporti tra le due Coree, ma cambia radicalmente tutto lo scevuole anche essere da stimolo per nario strategico, in quanto, pur il regime di Pyongyang affinché essendo le forze convenzionali sudcoreane qualitativamente suacceleri le riforme. Ma se i rapporti intercoreani han- periori rispetto a quelle di Pyonno assunto un tono collaborativo gyang, queste potrebbero essere sul piano commerciale, non al- annientate qualora i nordcoreani trettanto significativi sono stati decidessero di lanciare un attacco invece i miglioramenti su quello atomico. Ed in queste ultime setdiplomatico. L’atteggiamento timane la tensione tra le due Coambiguo tenuto da Pyongyang in ree ha ripreso nuovamente a salioccasione della drammatica care- re. La decisione di Lee Myung-


INDONESIA e COREA DEL SUD Rodolfo Bastianelli

bak di porre in stato d’allerta i reparti sudcoreani dislocati lungo la costa occidentale, un’area dove negli anni passati si sono registrati scontri tra le forze navali dei due paesi, nonché la nomina come ministro dell’Unificazione di Hyun In-taek, il quale sostiene come il livello degli investimenti sudcoreani nel nord sarà legato ai progressi sul nucleare ed alle riforme economiche attuate dal regime di Pyongyang, hanno suscitato una dura protesta da parte della Corea del Nord che ha accusato Seoul di voler alzare la tensione e provocare un nuovo conflitto nella penisola. Per gli osservatori però i toni bellicosi di Pyongyang sarebbero l’ennesima mossa di Kim Jong-il per negoziare la concessione di aiuti dalla comunità internazionale per la disastrata economia nordcoreana, nonché il tentativo di ottenere un trattamento più favorevole da parte della nuova amministrazione statunitense di Barack Obama facendo leva proprio sul programma nucleare. Vi è infatti chi sostiene come il neo presidente potrebbe decidere di impegnarsi in negoziati diretti con la Corea del Nord abbandonando l’approccio multilaterale finora seguito da George W. Bush. Oltre alla recessione economica, il presidente sudcoreano deve quindi gestire anche la questione dei rapporti con il nord. Ma, stando a quanto ritengono diversi esperti, anche in presenza di un atteggiamento più rigido la politica di Seoul continuerà comunque a rimanere improntata al

pragmatismo. Un conflitto avrebbe effetti catastrofici sulla penisola, mentre l’ipotesi di un regime change a Pyongyang rimane un’ipotesi puramente accademica, non esistendo in Corea del Nord alcuna forma organizzata di dissenso. Nessuno poi auspica un crollo del regime di Kim Jong-il che porterebbe a tutta una serie di scenari imprevedibili. In fondo la stabilità è quello che desiderano il mondo economico e gli ambienti diplomatici.

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L’Autore RODOLFO BASTIANELLI Esperto di questioni internazionali, collabora cone la rivista dello Stato Maggiore della Difesa Informazioni della Difesa firmando inoltre su Liberal, Affari Esteri, Rivista Marittima ed il periodico dello Iai Affari Internazionali. Ha collaborato anche con Ideazione e la rivista Acque & Terre.


Australia: ponte per un nuovo futuro Il continente oceanico vuole diventare il mediatore principale per spostare il centro del mondo dalle sponde atlantiche a quelle del oceano Pacifico DI GIUSEPPE MANCINI


AUSTRALIA Giuseppe Mancini

Tra i paesi del G20, l’Australia è prattutto alla Cina, futura potenil più meridionale in termini di za egemone – economica e politicoordinate geografiche, il più vi- ca – di tutta l’Asia orientale. In cino al Polo Sud. Ma l’Australia effetti, la politica estera dei gonon appartiene al sud del mondo, verni australiani del dopoguerra, né si percepisce come tale: da un sia laburisti sia liberali, è stata punto di vista economico, perché sempre basata su tre irrinunciabinon è un paese in via di sviluppo li principi: in primo luogo, un ma un paese pienamente indu- interesse attivo, di carattere polistrializzato, membro a pieno tito- tico ed economico, nei confronti lo dell’Ocse, con un reddito an- dell’Asia; in secondo luogo, un nuo pro-capite superiore a quello impegno costruttivo nelle orgadella Gran Bretagna, della Fran- nizzazioni internazionali, come cia o dell’Italia; da un punto di media potenza fautrice del multivista geopolitico, perché è da de- lateralismo; in terzo luogo, un atcenni inserita nelle strutture di teggiamento di progressiva rivendicazione di sicurezza e di coouno spazio politiperazione dell’Oc- Sidney rivendica co autonomo nei cidente – e delconfronti delle l’Occidente si sen- uno spazio politico scelte dei più pote parte integrante: più autonomo tenti e tradizionali per composizione alleati, cioè Gran demografica, per nei confronti di Usa Bretagna e Stati struttura economi- e Gran Bretagna Uniti. Principio, ca, per tradizioni quest’ultimo, che comunque non politiche, per matrice culturale. Una parte integrante dell’Occi- ha impedito all’Australia, durandente che, tuttavia, è sempre più te tutto l’arco della Guerra Fredattratta dall’Asia, e che ha finito da, di costituire un poderoso e per farsi intrappolare in un di- convinto baluardo degli interessi lemma geopolitico di difficile so- occidentali: sia, insieme alla luzione. Se sciogliamo la sempli- Nuova Zelanda e agli Stati Uniti, cistica dicotomia nord-sud, paesi come membro dell’Anzus, l’equisviluppati-paesi in via di svilup- valente della Nato nel Pacifico po, possiamo infatti osservare che istituita col trattato di Canberra l’Australia del post 1989 da una del 1951; sia come partecipante, parte è tentata per affinità politi- con uomini e mezzi, agli interco-culturali da una sempre mag- venti bellici in Corea, in Vietnam gior integrazione economica e e alla guerra civile malese. militare con gli Stati Uniti, ma Con il governo laburista di Paul dall’altra si rivolge ai mercati Keating, nella prima metà degli emergenti dell’Asia sud-orienta- anni Novanta, questa visione trale, a cui è legata – come del resto dizionale dei rapporti tra l’Auagli arcipelaghi del Pacifico – per stralia e il mondo è stata portata ineluttabilità geografica, e so- alle sue più estreme conseguenze:

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l’Asia è diventata la priorità asso- liberale di John Howard, eletto luta, il centro degli interessi na- primo ministro nel 1996 e in cazionali, il treno economico a cui rica fino al 2007, ha scelto agganciarsi (erano gli anni del l’estremo opposto: la partnership boom delle Tigri asiatiche), l’area con gli Stati Uniti come più rilegeopolitica più rilevante in ter- vante garanzia – nei fatti, l’unica mini di stabilità e sicurezza. Una – per il perseguimento degli inpolitica di engagement, nelle paro- teressi strategici, politici, cultule dello stesso Keating: non solo rali ed economici dell’Australia – rapporti commerciali e accordi di tanto da partecipare, al fianco sicurezza (come quello, storico, delle truppe statunitensi, alle firmato con l’Indonesia nel operazioni belliche in Iraq. Alla 1995), ma anche ingresso a pieno politica dell’engagement con l’Asia titolo dell’Australia nelle istitu- perseguita da Keating, insomma, zioni regionali (economiche e po- è stata preferita quella definita litiche) asiatiche. Una politica, “dell’intersezione”, che vede nell’Australia un ibriin effetti, nata come il completa- L’Australia è uno Stato do tra posizione geografica asiatica mento esteriore di e valori culturali un profondo mu- di intersezione tamento interiore: tra posizione geografica anglosassoni; valori anglosassoni la sostituzione dei che, secondo la vimodelli tradizio- asiatica e valori sione del mondo di nali – culturali e culturali anglosassoni Howard e del miistituzionali – di origine anglosassone con il mul- nistro degli Esteri Alexander ticulturalismo in grado di valo- Downer, vanno rigidamente salrizzare la cultura aborigena e i vaguardati da ogni suggestione contatti col mondo asiatico, fa- multiculturale o “asiatica”. La cilitati anche dal sempre più scelta occidentale, animata in massiccio arrivo di immigrati partenza soprattutto da ragioni dalla Cina e dalla penisola indo- ideologiche, ha inoltre trovato cinese. Una nuova Australia, re- col passare degli anni anche mopubblica e non più monarchia tivazioni di carattere pragmaticon a capo la regina Elisabetta co: la crisi asiatica del 1997, col (ma il referendum del 1999 ha contemporaneo boom degli Stati visto la sconfitta dei repubblica- Uniti, motore incontrastato ni), più asiatica e meno occiden- dell’economia mondiale; la politale: la riconciliazione di geo- tica intransigente del premier grafia, interessi economici e malese Mahathir, che ha posto il veto alle precedenti richieste aunuovi modelli culturali. Se l’interpretazione tradizionale straliane di partecipazione ai fodella politica estera australiana è rum regionali e di creazione di stata portata da Keating alle sue un’area di libero scambio tra Auestreme conseguenze, il governo stralia e Asean; il terrorismo in-


AUSTRALIA Giuseppe Mancini

ternazionale di matrice islamica, zioni australiane verso gli Stati che dopo gli attentati dell’11 Uniti abbiano conosciuto crescisettembre ha direttamente coin- te significative. volto gli interessi australiani in Tuttavia, proprio nel 2003 la Indonesia con l’attentato nell’ot- concreta politica estera australiatobre 2002 a Bali, meta privile- na ha conosciuto un deciso camgiata del turismo australiano biamento di rotta, un riequilibrio (202 furono i morti e 209 i feriti, verso il multilateralismo, verso il regionalismo asiatico, verso la Cimolti dei quali australiani). Dopo quell’attentato Howard e na: non a discapito del rapporto Downer arrivarono a definire, per privilegiato con gli Stati Uniti, l’Australia, una vera e propria che è rimasto ben saldo, ma come dottrina strategica dell’interven- dimensione aggiuntiva di un apto preventivo, al fine di scongiu- proccio che meglio tiene conto rare nuovi attacchi agli interessi delle aspirazioni di una media australiani nell’area o addirittura potenza, occidentale per vocazione ma asiatica per infiltrazioni terrogeografia e interistiche sul proprio La politica estera ressi commerciali; territorio sovrano, una media potencomunque sempre resta ambigua za che teme l’ascedi concerto con gli per gli stretti rapporti sa della Cina ma Stati Uniti: susciche vuole sfruttartando gli irati ti- instaurati sia con ne tutte le potenmori dei vicini e il gli Usa che con la Cina zialità economisarcasmo dell’opposizione laburista che è insorta che. La politica estera australiana, contro “la politica del vice-scerif- insomma, dal 2003 è diventata fo”. E anche dal punto di vista molto più sofisticata, di conseeconomico il governo liberale ha guenza molto più ambigua e difprivilegiato il rapporto bilaterale ficile da interpretare – a tratti con gli Stati Uniti, attraverso la contraddittoria nella pretesa di stipulazione di un accordo di li- mediare tra Stati Uniti e Cina. Se bero scambio: proposto prima da il primo segnale di questo nuovo Bush senior nel 1992, ma allora approccio è stato la proposta di respinto da Keating, riesumato istituire un’unione economica tra da Bush junior nel 2001, nego- gli Stati insulari del Pacifico, al ziato nel 2003 e finalmente fir- fine di promuoverne lo sviluppo mato nel 2004 – un accordo che equilibrato ed evitare rischi di in Australia è stato contestato destabilizzazione economica e poaspramente e che, nei fatti, ha litica che favoriscono i fenomeni prodotto benefici quasi esclusi- terroristici, il suo più evidente vamente per gli Stati Uniti, che simbolo è stato la duplice e ravvinel 2007 sono diventati la mag- cinata visita – con tanto di digiore fonte di importazioni per scorso al parlamento federale di l’Australia senza che le esporta- Canberra, nell’ottobre 2003 – di

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George Bush e del presidente cinese Hu Jintao (che siglò un colossale accordo per l’acquisto di gas liquefatto). Ma Howard ha puntato a rafforzare i suoi rapporti economici non solo con la Il primo ministro Rudd Cina, con la ha proposto di istituire quale sono in un nuovo organismo corso dal magdi cooperazione gio 2005 i negoziati per un accordo di libero scambio, ma con tutta la regione del sud-est asiatico. In primo luogo, sono stati stipulati accordi bilaterali di libero scambio con Singapore (luglio 2003) e la Thailandia (luglio 2004), stavolta con condizioni molto favorevoli per l’Australia, mentre i negoziati 148 per un accordo analogo con la Malaysia sono ancora in corso. In secondo luogo, è stato ripristinato un fattivo legame di collaborazione (economica, politica, nella lotta contro il terrorismo) con l’Indonesia, interrotto dopo la guerra di secessione di Timor Est del 1999. In terzo luogo, l’Australia è stata finalmente invitata a partecipare ai negoziati per la creazione di un’area regionale di libero scambio coi paesi dell’Asean e con la Nuova Zelanda, che si sono conclusi nell’agosto del 2008 con la nascita dell’Aanzfta, l’Asean, Australia and New Zealand Free Trade Agreement. Infine e soprattutto, dopo la firma a sorpresa da parte di Howard – nonostante avesse più volte dichiarato la sua contrarietà – del Trattato di amicizia e cooperazione dell’Asean (nei fatti, un patto di non aggressione) ha potuto

partecipare anche al vertice fondativo dell’East Asian Summit (a Kualu Lumpur nel dicembre 2005) che avrebbe dovuto portare alla creazione di una vera e propria Comunità dell’Asia orientale sul modello di quella europea, raggruppando i 10 paesi dell’Asean, la Cina, il Giappone, la Corea del Sud, l’Australia, la Nuova Zelanda e l’India – ma questo progetto è rimasto incompiuto e non sembra destinato a un grande futuro. Il premier laburista Kevin Rudd, che ha sconfitto Howard nelle elezioni del dicembre 2007, ha potuto quindi costruire le sue nuove iniziative di politica estera partendo da una base particolar-


AUSTRALIA Giuseppe Mancini

mente solida e ricca di valide alternative. Al suo primo viaggio fuori dall’Oceania, nel marzo e aprile 2008, ha fatto il giro del mondo in 17 giorni. È partito da Canberra per raggiungere Washington e poi New York, alle Nazioni unite (l’Australia aspira a un seggio nel Consiglio di sicurezza per il 2013); è passato per Londra, Bruxelles e Bucarest, dove ha partecipato da ospite al vertice della Nato; infine, ha trascorso quattro giorni a Pechino, prima di tornare a casa. Tappe che simboleggiano le tre priorità che Rudd e il ministro Stephen Smith stanno seguendo nella loro azione di governo: l’Occidente, imperniato sugli Stati Uniti po-

tenza globale e sulla Gran Bretagna antica madrepatria; il multilateralismo – politico, militare ed economico – rappresentato dalle Nazioni unite, dalla Nato e dall’Unione europea; l’Oriente rampante, in cui la Cina è diventata per l’Australia un partner economico e politico privilegiato – a discapito dell’India e del Giappone, esclusi dal viaggio di Rudd tra le vive proteste soprattutto di Tokyo (sgarbo diplomatico poi riparato con una visita nel giugno 2008, in Giappone e in Indonesia). La parte asiatica del viaggio è stata quella più impegnativa e controversa. Asiatica, ma esclusivamente cinese. Del resto Rudd, di149 plomatico di carriera, ha passato alcuni anni in Cina e parla alla perfezione il mandarino: e questa sua affinità vuole sfruttarla per dare ulteriore slancio ai rapporti già eccellenti con Pechino, che è diventato nel 2007 il primo partner commerciale dell’Australia (soprattutto nel settore energetico e minerario). E ancor prima della sua visita, nel febbraio 2008, i due paesi hanno inaugurato degli incontri di carattere strategico tra i Dal 2007 la Cina ministri degli è diventato il primo Esteri, peraltro partner commerciale messi in prodell’Australia gramma dal governo Howard; mentre Rudd, piuttosto repentinamente, ha lasciato cadere analoghi impegni presi con New Delhi e Tokyo. La Cina è per l’Australia il nuovo partner strategico, l’India e il Giappone ri-


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schiano di essere declassati ad alleati di seconda fascia. Consapevole di questo sbilanciamento a favore della Cina e dei timori suscitati tra i vicini asiatici e soprattutto a Washington, Rudd ha dapprima portato a rapida conclusione i negoziati dell’Aanzfta e ha poi lanciato una iniziativa diplomatica potenzialmente rivoluzionaria, la proposta di istituire una nuova organizzazione di cooperazione regionale – l’Asia-Pacific Community. A differenza dell’East Asian Community, pensata come estensione dell’Asean, l’Asia-Pacific Community sarebbe invece un’evoluzione dell’Apec, il forum di cooperazione economica nato nel 1989 su iniziativa di un predecessore di Rudd, l’altro laburista Bob Hawke: un coordinamento agile di 21 membri che ha come obiettivo fondamentale la creazione di una vasta area di libero scambio che inglobi le due rive del Pacifico. L’idea dell’attuale premier australiano è di promuoverne la trasformazione, entro il 2020, in un’organizzazione internazionale – comunque molto più fluida rispetto all’Ue – che si occupi non solo di economia, ma anche di politica e di sicurezza: a sancire, grazie alla partecipazione di tutte le grandi potenze o aspiranti tali (gli Stati Uniti, la Cina, ma anche la Russia e l’India), l’effettivo trasferimento del centro del mondo dall’Atlantico al Pacifico, con un ruolo centrale per l’Australia da mediatore tra le due sponde – tra Cina e Stati Uniti, tra Asia e Oc-

cidente – e risolvere così il suo dilemma geopolitico. Un progetto estremamente ambizioso, che necessita di un costante dialogo diplomatico: e per meglio gettarne le basi, Rudd ha nominato Dick Woolcott (un ex alto diplomatico) come suo inviato speciale e l’ha spedito in giro per il mondo, fino ad adesso in 16 paesi e con visite previste nel 2009 anche in Russia, Canada e Stati Uniti – nella speranza che Barack Obama ne diventi un grande sostenitore.

L’Autore GIUSEPPE MANCINI Esperto di relazioni internazionali, giornalista e storico, dottorando di ricerca dell'Istituto italiano di Scienze umane con uno studio sulla politica estera di Francia e Italia negli Anni '50 e '60.


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MESSICO, ARGENTINA e BRASILE Riccardo Gefter

Chi ha imparato dai propri errori

Quando la crisi rafforza l’economia Brasile, Messico e Argentina hanno vissuto negli Anni ‘90 gravi crisi bancarie e finanziarie e tutti e tre ne sono usciti strutturalmente fortificati. Infatti hanno introdotto, in quel periodo, meccanismi di regolazione e controllo delle operazioni e norme trasparenti per operare nel mercato azionario evitando in questo modo le difficoltà economiche dei paesi settentrionali DI RICCARDO GEFTER

La riunione del G20 dello scorso novembre ha avuto una grande importanza simbolica per due motivi: è stata convocata all’apice di un terremoto economico e finanziario di portata storica, e si è tenuta negli Stati Uniti, il paese in cui la crisi è stata incubata e da cui successivamente si è diffusa in tutto il mondo. La velocità di propagazione e la profondità della crisi – dalla finanza al sistema bancario all’industria al commercio – ha reso palese la necessità di stabilire meccanismi di concertazione che coinvolgano anche le potenze emergenti. Negli scorsi anni diversi Stati del Sud del mondo hanno goduto di

un periodo di grande crescita economica grazie alla sostenuta domanda internazionale e agli alti prezzi delle materie prime, delle commodities energetiche e degli alimenti. Questa situazione era il riflesso della tacita convergenza di interessi tra gli Stati Uniti sempre più indebitati e la Cina esportatrice e competitiva che andava acquisendo dollari e debito Usa. Grazie alla crescita del Pil, agli attivi di bilancia commerciale e corrente e alla liquidità disponibile presso il sistema finanziario internazionale, durante questo ciclo i paesi emergenti hanno avuto meno bisogno dei prestiti dalle istituzioni multilaterali di credi-

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to, il cui prestigio era stato grave- brasiliano e argentino), dall’altro mente intaccato dalla crisi econo- sono assai meno contaminati damica che aveva travolto Russia, gli attivi finanziari “tossici” che Sud-Est asiatico e America latina hanno portato al collasso diverse alla fine degli anni Novanta. Im- banche dell’emisfero settentrioprovvisamente, nel settembre nale. Sono stati introdotti meccascorso, il Fondo monetario inter- nismi di regolazione e controllo nazionale e la Banca mondiale so- delle operazioni dei gruppi banno tornati alla ribalta. E l’entità cari e finanziari, e norme traspadel terremoto era tale da rendere renti per operare nel mercato necessario un aggiornamento azionario. Per queste ragioni la complessivo dell’architettura fi- crisi internazionale, questa volta, nanziaria internazionale e di un sta contagiando le economie laticoordinamento maggiore con gli noamericane più attraverso il caaltri big player – Banca centrale nale dell’economia reale che ateuropea, Federal reserve, governi traverso quello finanziario. – capaci di iniettare liquidità laddo- Negli Stati MESSICO ve necessario. Indissolubilmente La riunione an- latinoamericani legato all’andanuale del G20 – la crisi ha colpito di più mento economico creato nel 1999 degli Stati Uniti, quale foro di dia- l’economia reale invece il Messico figura logo su tematiche di quella finanziaria tra i paesi latinoainerenti la stabilimericani più coltà economica mondiale – ha rap- piti dalla crisi internazionale. La presentato quindi il palcoscenico crescita del Prodotto interno lorideale per dare voce a quei paesi do è scesa dal 3,2% del 2007 al che non siedono nel G8, ma il cui 1,8% nel 2008 a causa del calo dinamismo è oggi fondamentale della domanda interna e sopratper incoraggiare la ripresa del- tutto della brusca caduta delle esportazioni verso gli Usa nel sel’economia mondiale. Tre Stati latinoamericani fanno condo semestre dell’anno. L’80% parte del gruppo: il Messico, delle esportazioni messicane, in l’Argentina e il Brasile. Tutti e larga misura nel settore manifattre hanno vissuto recentemente turiero, ha come destinazione gli gravi crisi bancarie e finanziarie: Stati Uniti, da cui inoltre proil Messico nel 1994-’95, l’Argen- vengono importanti volumi di tina nel 2001, il Brasile – in mi- rimesse degli emigrati. Il detesura minore – nel 1998. Tutti e rioramento delle aspettative initre ne sono usciti strutturalmente zia a ripercuotersi sul livello defortificati e se da un lato i rispet- gli investimenti esteri, attorno ai tivi sistemi bancari operano con 18 miliardi di dollari nel 2008. tassi di interesse ancora esagera- Per la Commissione economica tamente alti (soprattutto nei casi delle Nazioni unite per l’Ameri-


MESSICO, ARGENTINA e BRASILE Riccardo Gefter

ca latina e i Caraibi (Cepal nel- sorbendo buona parte dei flussi di l’acronimo in spagnolo) la con- investimento estero scalzando la trazione economica è destinata a regione centroamericana. continuare, facendo segnare per Un settore fondamentale per l’ecoil 2009 una crescita inferiore al nomia messicana restano gli idrocarburi, con una produzione di 2,8 punto percentuale. Dal punto di vista interno, la crisi milioni di barili di petrolio al “Tequila” del 1994-’95 ha di fatto giorno – la metà dei quali sono prodotto un rafforzamento del si- esportati – e poco meno di 7 mistema bancario e aumentato l’in- liardi di piedi cubi di gas naturale. terdipendenza con gli Stati Uniti, Sul fronte interno, il governo di che non esitarono a stanziare 20 centrodestra guidato da Felipe miliardi di dollari per sostenere Calderón sta coordinando un’ofgli istituti finanziari messicani e fensiva militare e di polizia per proteggere così banche e investi- contenere l’ondata di violenza lementi americani (in totale il pac- gata alla guerra tra i principali cartelli della drochetto di salvatagga. Nel 2008 si gio raggiungeva i Il settore sono registrati più 50 miliardi di dolmanifatturiero di 5300 omicidi lari). che hanno coinLa liberalizzazione è cresciuto grazie agli volto in misura degli scambi comquasi esclusiva merciali nell’ambi- scambi commerciali narcotrafficanti e to del Nafta ha nell’ambito del Nafta agenti delle forze permesso di sviluppare il settore manifatturiero di sicurezza dello Stato. A diffemessicano. Oggi tuttavia i sinda- renza dei suoi predecessori, quancati americani e diversi esponenti do ha assunto i poteri nel 2006 del Partito democratico indicano Calderón si è trovato costretto a la crisi occupazionale e la minore disegnare un piano d’azione intedomanda interna quali solidi ar- grale per frenare l’avanzata del gomenti per rimettere in questio- narcotraffico e affrontare il dramne la convenienza stessa del Nafta matico problema della corruzione per gli Stati Uniti. Sarà impor- all’interno delle Forze di polizia. tante vedere nei prossimi mesi in L’utilizzo delle Forze armate in che misura le folte comunità operazioni anticrimine è stato messicane presenti in Florida e consigliato e cofinanziato dagli Nevada, Colorado e New Mexico Stati Uniti, e diversi capi crimiriusciranno a compensare l’azione nali sono stati estradati. La guerra delle lobby protezioniste e sinda- per il controllo del territorio e del cali nei confronti dell’Ammini- business della droga (per la Drug strazione Obama. Negli ultimi enforcement administration si anni il Messico ha sofferto anche tratta di un giro d’affari di 65 del dinamismo del settore mani- miliardi di dollari l’anno) è andafatturiero cinese, che è andato as- ta inasprendosi, arrivando a rap-

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presentare il principale problema per la società civile messicana. Insieme alle azioni di politica economica per sostenere la crescita, l’efficacia del contrasto alla criminalità costituisce il principale tema politico nella campagna elettorale Negli ultimi anni per le elezioni il Messico ha aperto relazioni diplomatiche legislative del con Cuba e Venezuela luglio prossimo, che potrebbero segnare un recupero del tradizionale Partido de la revoluciòn institucional. Dal punto di vista esterno, negli ultimi anni il Messico ha cercato di armonizzare il naturale matrimonio economico e commerciale con gli Stati Uniti (suggellato tra 156 l’altro proprio dal Nafta) con maggiori aperture nei confronti dei governi di sinistra sudamericani. La normalizzazione delle relazioni diplomatiche con Cuba si inscrive in questa logica, così come il miglioramento del dialogo con il governo venezuelano di Hugo Chávez. ARGENTINA

Negli anni Novanta il presidente Carlos Menem e il ministro dell’Economia Domingo CaDuhalde e Lavagna vallo inventarohanno traghettato no la formula l’argentina fuori perfetta per dall’abisso della crisi congelare l’aumento dei prezzi, attrarre investimenti esteri e stabilizzare le principali variabili macroeconomiche di un’Argentina travolta dall’iperinflazione della fine del decennio precedente: la convertibilità mo-

netaria per legge tra il peso e il dollaro. Forti dosi di finanza e marketing internazionale permisero di nascondere la perdita di competitività e posti di lavoro del comparto industriale causati dalla sopravvalutazione della moneta nazionale. Quando, dopo la svalutazione del real brasiliano nel 1998, il governo non riuscì o non volle abbandonare il corsetto della convertibilità, il paese imboccò la strada che lo portò al collasso finanziario e al default del dicembre 2001. Un’esperta gestione dell’emergenza ad opera della coppia formata da Duhalde, presidente, e Lavagna, ministro dell’Economia, permise di traghettare l’Argentina fuori dall’abisso, e di consegnarla poi nelle mani di


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un’altra corrente del peronismo, legata più alla militanza radicale degli anni Settanta che alle idee dei monetaristi di Chicago. Iniziava il regno dei coniugi Kirchner, Néstor (2003-2007) e Cristina (2008-2011). Dal 2003 fino al primo trimestre 2008 il paese sudamericano ha conosciuto una crescita sorprendente, grazie al taglio del debito estero, alla vigorosa riattivazione della produzione industriale e soprattutto alle eccellenti performance del settore agricolo. Una moneta ora sottovalutata rispetto al dollaro ha iniettato forti dosi di competitività nell’economia, che rischiava però di surriscaldarsi con un’inflazione che sfuggiva al controllo del governo. Per non dover pagare il costo politico di

una razionalizzazione della spesa pubblica, il governo nel 2006 ha iniziato a manipolare procedure e risultati dei rilevamenti statistici nazionali, erodendo in tal modo la reputazione internazionale del paese, peraltro Dal 2003 al 2008 già severamenl’argentina ha avuto te segnata dal un tasso di crescita default del simile a quello cinese 2001. L’Argentina ha continuato a crescere a ritmi quasi cinesi, nascondendo i problemi strutturali esistenti nei settori energetico, delle infrastrutture fisiche e in generale nella pianificazione strategica della politica economica. Il trend di crescita si è inceppato 157 nel corso del 2008 per ragioni in primo luogo di origine interna. La crisi internazionale ha poi peggiorato lo scenario economico negli ultimi mesi dell’anno, con un ulteriore razionamento del credito, la caduta della domanda internazionale e l’abbassamento dei valori dei prodotti agricoli. In una situazione di relativo isolamento internazionale e di frizioni presenti anche all’interno del Mercosur, la partecipazione al G20 rappresenIl G20 permetterà ta per Buenos all’Argentina di dare Aires l’occasioun respiro più ampio ne per dare alla s u a p o l i t i c a alla sua politica estera estera un profilo più attivo e realista rispetto agli ultimi anni. Di più, potrebbe costituire una ulteriore occasione per migliorare il livello di coordinamento con il Brasile su temi di natura commerciale e finanziaria.


agricoli e dei macchinari, dalla Dei tre paesi latinoamericani che richiesta di entrare come membro partecipano al G20, il Brasile è pieno del Mercosur ai faraonici l’unico a poter essere considerato progetti del gasdotto continentauna potenza regionale che inizia le fino all’acquisizione dei caccia lentamente a emergere come un Sukhoi di fabbricazione russa. attore globale. È nota la sua azio- Brasilia non ha mai cercato un ne per accedere ad un seggio per- confronto diretto con il Venezuemanente nel Consiglio di sicurez- la, ed è andata per la sua strada. za delle Nazioni unite. Da anni Con gli Stati Uniti e la Banca insta conducendo un’attiva politica teramericana di sviluppo è stato commerciale con la Russia, la Ci- siglato un importante accordo nel na e l’India, che quest’anno verrà settore dei biocarburanti; la Franrafforzata dal primo vertice dei cia è stata confermata quale parpresidenti del cosiddetto gruppo tner strategico in materia di tecBric. Le aziende e le banche brasi- nologia militare e nucleare (e così liane sono sempre il Brasile si apprepiù presenti nei Le dimensioni sta ad essere l’unipaesi africani, non co paese latinoal i m i t a n d o s i a geografiche e il mercato mericano dotato di quelli di lingua interno hanno permesso un sommergibile a portoghese. Quepropulsione nusta azione è ac- di applicare politiche cleare); a livello compagnata da di stimolo alla domanda continentale è stauna politica diplota promossa la matica di avvicinamento cultura- creazione di un Consiglio di difele e di riscoperta dell’eredità afri- sa nell’ambito dell’Unione delle cana nel Brasile moderno. nazioni sudamericane. È tuttavia in America meridiona- Di fatto, l’azione internazionale le che si gioca quotidianamente del governo del presidente Lula la misura e l’efficacia della leader- pare ispirata da una doppia logiship brasiliana. Negli ultimi an- ca: un grande pragmatismo sui ni, complice l’alto prezzo del ba- dossier strategici (ad esempio i rile di greggio, il presidente ve- rapporti con gli Stati Uniti e la nezuelano Hugo Chávez ha cerca- difesa degli interessi delle aziento di contrastare il peso specifico de brasiliane minacciate dai godi Brasilia con generose e dina- verni nazionalisti nella regione) e miche iniziative di natura com- una visione più ideologica su temerciale, di cooperazione e finan- matiche di politica internazionale ziarie: dalla fornitura sottocosto (la retorica dell’integrazione polidi petrolio ai governi amici alle tica regionale, gli interventi in missioni di medici e dentisti cu- fori quali le Nazioni unite, il rebani, dall’acquisto delle obbliga- cente caso Cesare Battisti). zioni di Stato argentine ed ecua- Nella scala delle priorità del Bradoriane alle commesse nei settori sile del terzo millennio l’istituBRASILE

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MESSICO, ARGENTINA e BRASILE Riccardo Gefter

zione che ha perso maggiori posizioni è probabilmente il Mercosur. Troppo grandi le asimmetrie tra i quattro membri del mercato comune, troppo scarsa la volontà politica di creare organismi e meccanismi dotati di un potere veramente sopranazionale. La crisi economica di questi mesi ha colpito anche il gigante sudamericano, con una brusca caduta del mercato azionario e del settore manifatturiero e automobilistico in particolare. Rispetto alle crisi anteriori, tuttavia, questa volta le autorità brasiliane contano su un maggior numero di strumenti di politica economicaper minimizzare gli impatti negativi del rallentamento mondiale. Le prime azioni si sono dirette al mercato del credito: la Banca centrale ha iniettato nel sistema finanziario circa 33 miliardi di dollari riducendo i requisiti delle riserve delle banche; sono state create linee dirette di credito per 11,3 miliardi di dollari per finanziare le esportazioni; sono stati ampliati i poteri della Banca centrale per intervenire nel sistema bancario. Tra ottobre e novembre si è assistito a due importanti fusioni tra banche private – Itaú e Unibanco hanno dato vita alla più grande banca dell’America meridionale – e statali – Banco do Brasil e Nossa Caixa. Il governo federale e alcuni Stati quali São Paulo hanno adottato misure fiscali per venire incontro alle difficoltà delle imprese, e sono stati confermati i grandi impegni in termini di investimenti in infrastrutture.

Nel complesso, le dimensioni geografiche e il grande mercato interno brasiliano permettono di applicare politiche di stimolo alla domanda e vasti programmi di investimenti misti pubblico-privati. Nel dicembre scorso il gradimento del presidente Lula aveva raggiunto uno storico livello dell’80%, a testimonianza che la stabilizzazione e la crescita economica degli ultimi anni sono ritenute consistenti e reali dalla gran parte della popolazione.

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L’Autore RICCARDO GEFTER Lavora presso la sede di Buenos Aires dell’Università di Bologna. Collabora con il Centro militare di studi strategici e la rivista Risk come analista della regione latinoamericana. Ha svolto incarichi di consulenza per la Banca mondiale, il ministero degli Affari esteri e il ministero delle Sviluppo economico.


L’obiettivo: stabilizzare l’area sub-sahariana

Il Sudafrica non può fare a meno del suo continente DI DANIELE CRISTALLINI E ERIC MOLLE

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SUDAFRICA Daniele Cristallini e Eric Molle

La Repubblica del Sudafrica costituisce sotto vari aspetti una sorta di eccezione rispetto al resto del continente africano. Paese completamente governato dai bianchi si macchiava della terribile esperienza dell’apartheid sin dal secondo dopoguerra (1948) e fino agli anni Novanta, quando la liberazione del leader della lotta contro la segregazione razziale, Nelson Mandela, sancì di fatto la fine della politica di separazione tra bianchi afrikaaners e le diverse popolazioni autoctone.

Con le elezioni del 1994 – le prime a suffragio universale – il paese si apriva definitivamente alla democrazia, e bianchi e neri davano inizio a quella coesistenza pacifica che tutta la comunità internazionale auspicava da decenni. Forte di uno sviluppo economico sostenuto, il Sudafrica è oggi il simbolo di un’Africa che cresce e consolida in maniera decisa la sua presenza tra i grandi del mondo. Nel novembre scorso, un ulteriore passo verso il rafforzamento della leadership africana del Sudafrica è stato compiuto. La crisi economica e finanziaria scoppiata nello scorso autunno ha improvvisamente portato alla ribalta una conferenza internazionale, quella del G20, che era nata su iniziativa del G8 nel 1999 come riunione dei ministri delle Finanze dei 19 paesi maggiormente industrializzati, allargata all’Unione europea e agli esperti del Fondo monetario e della Banca mondiale. Questa conferenza ha per anni vissuto piuttosto in sordina e senza grande efficacia, mantenendo un basso profilo e restando offuscata dal ben più importante G8. Lo scorso novembre, tuttavia, il governo britannico – cui spetta la presidenza di turno del G20 – ha deciso di elevare il livello della riunione convocando a Washington i capi di Stato e di governo – anziché i loro ministri delle Finanze – per avviare una riforma del sistema di governo dell’economia mondiale. Questo evento è un precedente di estrema importanza poiché dimostra come le tematiche più scottanti relative alla

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governance globale non possano ormai più essere affrontate da un gruppo ristretto di paesi, ma necessitino di essere dibattute in un foro più ampio, che coinvolga anche i paesi emergenti del sud del mondo. Leader del gruppo dei G20 sono i più importanti paesi emergenti, i cosiddetti Outreach 5 ovvero India, Cina, Brasile, Messico e Sudafrica. Si tratta certamente di un ulteriore traguardo per il Sudafrica, ma anche di una grande responsabilità nei confronti del resto del continente, di cui il paese è l’unico portavoce all’interno del G20. Ciò spiega anche perché, al termine dell’ultima riunione dell’Unione africana, i delegati degli 162 Stati membri hanno consegnato ai loro colleghi sudafricani una sorta di linee guida e di richieste da inoltrare ai potenti del mondo in sede G20. La scelta di cooptare il Sudafrica all’interno del ristretto gruppo di decision-maker della governance mondiale si spiega alla luce di due elementi: da un lato, il nuovo ruolo del continente africano nello scacchiere internazionale; dall’altro, la posizione di leader che da sempre il L’Africa è il nuovo fronte di opportunità Sudafrica occupa rispetto agli di investimento e scambi commerciali altri Stati della regione sub-sahariana e dell’Africa intera. Negli ultimi anni l’Africa ha acquisito una nuova centralità all’interno dell’agenda politica internazionale, che si è concretizzata nell’adozione di un rinnovato

impegno a favorire lo sviluppo del continente. Sotto questo aspetto, un passaggio importante è stato il vertice del G8 a Gleaneagles in Scozia, in cui i paesi più sviluppati si sono accordati per accrescere gli aiuti allo sviluppo. Ma il segnale forse più importante di questo nuovo interesse è il fatto che, accanto alle iniziative multilaterali, il continente sia diventato oggetto di attenzione da parte dei singoli governi, che hanno avviato una propria strategia, caratterizzata dal considerare l’Africa come un insieme di opportunità di investimento e di scambi commerciali. In questo contesto è la Cina ad avere attuato per prima un’aggressiva politica di “corteggiamento” dei singoli Stati africani, con i quali ha instaurato stretti legami politici ed economici.


SUDAFRICA Daniele Cristallini e Eric Molle

In questo contesto, il ruolo di leader continentale del Sudafrica si declina sia a livello economico che politico. Dal punto di vista della performance economica, il Sudafrica si colloca tra i paesi a medio-alto reddito secondo la classifica della Banca mondiale e rappresenta il motore economico dell’intero continente, con un Pil pari ad oltre un quarto di quello dell’intera regione sub-sahariana. Il tasso di crescita degli ultimi anni si è aggirato intorno al 5%, sia pure con una forte flessione nel primo trimestre del 2008 a causa delle drastiche interruzioni nella fornitura di elettricità da parte della compagnia statale Eskom, dovute all’obsolescenza degli impianti. L’emergenza elettricità è comunque rapidamente rientrata e il Sudafrica ha già in-

trapreso la strada della ripresa economica con l’obiettivo di raggiungere, nei prossimi anni, un tasso di crescita annuo del 6%. Per raggiungere questo traguardo ambizioso, il governo sta valutando la possiIl Sudafrica vuole bilità di avviare un programma avviare un programma di energia nucleare di energia nuper crescere cleare con lo scopo di diversificare le fonti di energia. A questi elementi si aggiunge, sul piano politico, un’incisiva presenza nelle organizzazioni internazionali a livello continentale (come l’Unione africana) e regionale (come la Sadc, South african development community), in cui l’in163 fluenza del paese è tale che non di rado diplomatici e politici sudafricani vengono chiamati a svolgere


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un ruolo di mediazione tra paesi o gruppi etnici in conflitto. Ciononostante, per il Sudafrica non è tutto oro – anzi diamante, si potrebbe dire per un paese che ha fatto della vendita di questa pietra preziosa una delle basi del proprio sviluppo economico – quello che luccica. Nell’imminenza dell’appuntamento elettorale della prossima primavera, la classe politica deve fare i conti con alcune difficoltà. In primo luogo dovrà far fronte alla propria crescente frammentazione interna. In secondo luogo dovrà adottare le opportune misure per contenere l’aumento della criminalità e delle violenze interetniche che sono riapparse pesantemente lo scorso anno. Alla base del cambiamento politico avvenuto nel paese agli inizi degli anni Novanta siede ovviamente la figura principale della politica sudafricana: Nelson Mandela. Simbolo della lotta alla segregazione razziale, Mandela è riuscito, tramite una costante azione politica (condotta durante la lunghissima prigionia: più di un quarto di secolo), a cambiare la politica sudafricana. L’African national congress (Anc), il partito creato nel 1912 per difendere i diritti e le libertà della maggioranza nera del paese, ha dominato, sotto la guida di Mandela, i vari confronti elettorali svoltisi dal 1994 in poi. L’ascesa del partito è iniziata infatti proprio nel 1994 quando, presentandosi alle prime elezioni politiche libere, ottenne il 62,6% dei voti e 252 seggi in Parlamen-

to. In quell’occasione Mandela divenne il primo presidente di colore del Sudafrica. Presentando liste congiunte con il partito comunista e i sindacati, l’Anc vide il suo risultato elettorale migliorare ulteriormente alle elezioni del 1999, quando ricevette circa il 66% dei voti. Già dal 2001, l‘Anc vide la sua alleanza con il partito comunista e i sindacati venire meno e decise di spostarsi verso un programma decisamente più liberale che portò il partito a correre da solo alle elezioni del 2004. Da un punto di vista di strategia elettorale, la mossa si rivelò quanto mai indovinata, poiché il principale partito sudafricano non solo vedeva confermato il suo primato ma anche incrementato il sostegno dei cittadini, raccogliendo il 69% dei voti. Sono ormai passati cinque anni dalle ultime elezioni e in primavera si voterà di nuovo. Tuttavia, dalla schiacciante vittoria del 2004 ad oggi alcune vicende interne al partito di maggioranza hanno scosso il mondo politico sudafricano e la netta superiorità dell’Anc non è più così sicura. La successione di Mandela sembrava assicurata e consolidata quando Thabo Mbeki fu eletto presidente nel 1999 e in seguito riconfermato nel 2004. Mbeki, già segretario e poi presidente dell’Anc, era stato la voce del partito all’estero durante il periodo della prigionia di Mandela. Al suo ritorno in patria nel 1993, Mandela gli consegnò la presidenza del partito, quindi lo indicò quale successore alle elezioni


SUDAFRICA Daniele Cristallini e Eric Molle

del 1999, nel corso delle quali venne eletto presidente della Repubblica. Mbeki fu poi rieletto nel 2004, ma nel corso del suo secondo mandato iniziarono i dissapori con Jacob Zuma, politico influente e presidente dell’Anc dal 2007. Nell’imminenza delle prossime consultazioni elettorali il quadro politico del Sudafrica è sottoposto in questi mesi a forti tensioni legate allo scontro tra i due principali leader. Lo scontro politico è iniziato nel 2005 quando Zuma fu messo sotto inchiesta dalla National prosecuting authority (Npa) per un caso di corruzione legato alla compravendita di armi. Zuma veniva quindi indagato e rassegnava le proprie dimissioni accogliendo la richiesta del presidente Mbeki. Questa mossa politica, nonostante fosse obbligata, rappresenta la prima scintilla di uno scontro politico e giudiziario tra i due. Dal 2005 in poi, Zuma ha iniziato a remare contro Mbeki all’interno del partito. Le accuse da parte della Npa nei confronti di Zuma stesso sono cadute e poi sono state ripresentate più volte. Alla fine, nel settembre del 2008, il giudice incaricato del processo rigettava la richiesta sulla base di errori procedurali commessi dalla Npa, ma soprattutto sulla base di una presunta ingerenza politica da parte del presidente Mbeki, che scagionò, di fatto, Zuma. Lo scandalo di questa presunta ingerenza ha portato i vertici dell’Anc a richiedere le dimissioni di Mbeki dalla presidenza della Repubblica. Mbeki ha rassegnato le


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dimissioni lo scorso settembre l’Anc, che sinora non ha mai avuto 2008 (Kgalema Motlanthe è sta- un vero e proprio concorrente alle to nominato presidente ad interim elezioni, e quindi neanche una vesino alle prossime elezioni) e allo ra opposizione in Parlamento. stesso tempo è uscito dall’Anc Qualunque sia il risultato delle fondando un proprio partito: il urne in primavera, l’agenda del Congresso del popolo (Cope), che nuovo presidente e del suo goverè formato in gran parte da ex- no si presenta già piena di questioni importanti da risolvere. Inmembri dell’Anc. Lo scontro giudiziario non sem- nanzitutto dovrà essere affrontato bra comunque terminato: il 12 con più decisione il problema legennaio 2009 la Corte costituzio- gato all’Aids che negli ultimi annale, interpellata da Mbeki, ha di ni si è dimostrato una piaga fatto cancellato il vizio di proce- estremamente dura per il Sudafridura sollevato dal giudice ren- ca. Poi, in vista anche dei mondendo possibile un nuovo proces- diali di calcio del 2010, il paese dovrà affrontare il so contro Zuma. tema della sicurezLa Corte ha di- L’immigrazione da altri za: nell’ultimo anchiarato incostituno è aumentato il zionali le dichiara- paesi africani tasso di criminalità zioni da parte del è il grande problema soprattutto nei giudice riguardo la possibile inge- che lo Stato sudafricano pressi delle baracrenza politica di deve ancora affrontare copoli in prossimità dei grandi centri Mbeki, sollevando così una questione di fondo ri- urbani, dove si affollano le comspetto alla decisione dell’Anc di ponenti più povere ed emarginate richiamare Mbeki dalla sua carica della società sudafricana. Infine, sarà di non facile risolupresidenziale. La campagna elettorale si fa oltre- zione un problema nuovo per il modo interessante poiché il parti- paese: l’immigrazione. Da anni il to di Mbeki, il Cope, pur non po- Sudafrica è meta di lavoratori tendo verosimilmente vincere le provenienti da altri paesi africani elezioni, rappresenta una seria mi- (soprattutto Zimbabwe, ma annaccia per la supremazia dell’Anc che Somalia o dai Grandi Laghi) in quanto potrebbe erodere una che si offrono sul mercato del laparte del consenso del partito di voro come mano d’opera a basso maggioranza e recuperare gran costo, ingrossando così le fila del parte dei voti dei bianchi residenti lavoro nero e accentuando il pronelle grandi città e delle compo- blema della disoccupazione dei nenti rurali della popolazione. giovani sudafricani. A settembre Molto probabilmente assisteremo del 2008 sono scoppiati atti di ad un gioco di coalizioni che potrà violenza interetnica nei confronti portare il Cope e altri partiti a for- degli immigrati, accompagnati mare una reale opposizione al- da proteste violente da parte de-


SUDAFRICA Daniele Cristallini e Eric Molle

gli abitanti delle baraccopoli, che oggi quello di sfruttare queste rela polizia e l’esercito hanno im- altà sovranazionali per avviare la stabilizzazione dell’area e consenpiegato diversi giorni a sedare. Oltre che un tema sensibile per la tirne lo sviluppo economico, sopolitica interna, il problema della ciale e culturale. sicurezza e della stabilizzazione Di sicuro l’Europa e l’Italia vedodi tutta l’area dell’Africa centrale no nella Repubblica del Sudafrica e australe rimane uno dei princi- un interlocutore determinante pali obiettivi di politica estera per la cooperazione politica in della Repubblica sudafricana. tutta l’area sub-sahariana e al Questa volontà dichiarata di ten- contempo un partner importante tare di mediare per la pace in Afri- per il commercio e gli investica è stata spesso indicata dai rap- menti. Dal canto suo, il Sudafrica presentanti sudafricani presso ha elaborato negli ultimi anni l’Unione africana, ma anche presso una serie di strumenti volti ad inla South african development crementare i rapporti economici con gli altri paesi. community. QueSi tratta in modo sta comunità che L’Italia deve superare particolare del comprende 15 Stati National industrial dell’Africa centrale la logica da paese participation proe australe è un’or- donor per diventare gramme e dell’Exganizzazione preport marketing e inposta al coordina- un partner alla pari vestment assistance mento delle politi- dell’Africa scheme. Il primo è che economiche dei paesi membri ma, nel tempo, è di- rivolto all’attrazione di investiventata anche un foro importante menti esteri nel settore dell’inper la risoluzione di controversie dustria mentre il secondo ha internazionali tra gli Stati mem- principalmente lo scopo di stibri. In questo ambito, ad esempio, molare le esportazioni e di trovail presidente Mbeki ha mantenuto re nuovi mercati di sbocco per un canale aperto con il vicino l’export sudafricano, ma anche Zimbabwe di Mugabe, martoriato quello di segnalare agli investiper la propria condizione interna e tori stranieri i settori più produtinternazionale, tentando di me- tivi nei quali investire. diare per uno sviluppo pacifico L’Italia è già da tempo in prima della situazione. Tramite la Sadc linea per cogliere le opportunità Mbeki ha anche potuto lanciare che il paese offre e, a questo prouna prima mediazione con le parti posito non è indifferente il ruolo in conflitto nella Repubblica de- che la Camera di commercio italo-sudafricana svolge nel rafforzamocratica del Congo. L’obiettivo del Sudafrica – proba- re i legami tra le nostre imprese e bilmente l’unica vera potenza i loro partner locali. A testimoeconomica consolidata e indipen- nianza dell’importanza che il paedente sul continente africano – è se riveste per il nostro export e i

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nostri investimenti vale la pena di ricordare che già da diversi anni l’Ice (Istituto del commercio estero) ha un proprio ufficio a Johannesburg mentre Sace (che offre sostegno assicurativo a chi desidera investire all’estero) ne ha aperto uno lo scorso luglio. Tuttavia il rinnovato interesse per l’Africa da parte della comunità internazionale, e soprattutto dei giganti asiatici India e Cina, porta con sé alcune indicazioni strategiche importanti che l’Italia ha già incominciato a recepire (ad esempio con l’adozione di un piano per l’Africa da parte del ministero dello Sviluppo economico), e che trasformano radicalmente la struttura delle sue relazioni economiche con i paesi africani in generale e con il Sudafrica in particolare. Si tratta cioè della necessità di rendere più competitiva la relazione con l’Africa allo scopo di trarne maggiori benefici. Il rapporto economico, finora articolato sovente in base alle esigenze della cooperazione allo sviluppo va oggi rimodulato in un’ottica di “sviluppo condiviso”, che permetta all’Italia di ottenere dei vantaggi economici consistenti al tempo stesso in cui trasferisce i capitali e l’esperienza del proprio modello di sviluppo nei paesi africani per catalizzarne lo sviluppo in loco. Si tratta, in poche parole, di superare una logica da paese donor per diventare un “partner alla pari” dell’Africa. Questo è ciò che oggi gli stessi paesi africani, talvolta persino danneggiati da una

cooperazione eccessivamente paternalistica, chiedono all’Europa e per questo, non trovando una risposta adeguata, si rivolgono sempre più spesso ai paesi asiatici emergenti che strutturano le loro relazioni economiche sulla base di un modello di cooperazione sud-sud. Tuttavia quest’ultimo tipo di relazioni sta oggi rischiando di far sprofondare nuovamente i paesi africani nella spirale del debito. L’aiuto che paesi come l’Italia possono fornire in questo frangente passa allora inevitabilmente attraverso l’internazionalizzazione dei fabbisogni e delle risorse, allo scopo di ottenere dei vantaggi reciproci che permettano, tra l’altro, di contenere i pesanti effetti dell’attuale crisi economica globale.

L’Autore DANIELE CRISTALLINI Specializzato in studi arabi e dottorando in studi sul vicino oriente e Maghreb presso l’Università degli studi di Napoli“L’Orientale, collabora con alcune riviste di attualità politica. Attualmente svolge l’attività di Consulente esperto di Africa e Medio Oriente presso il ministero dello Sviluppo economico.

ERIC MOLLE Eric Molle è dottore in Relazioni internazionali e analista specializzato nello studio della geopolitica, in particolare dell’Africa e del mondo della difesa.


gli strumenti di

Nelle pagine seguenti Charta Minuta mette a disposizione 170

dei lettori, nella sua versione originale, il documento conclusivo della riunione dei G20 che si è tenuta a Washington il 15 novembre 2008, “nel mezzo di una seria minaccia alle economie e ai mercati finanziari mondiali”. I venti leader si dichiarano “determinati a collaborare per ristabilire la crescita globale e adottare le riforme necessarie ai sistemi finanziari mondiali”. La prima parte del documento si occupa di identificare le cause della crisi e di analizzare le misure prese e da prendere per porvi rimedio, fissando dei principi comuni per la riforma dei mercati finanziari. Si sottolinea la necessità di aumentare la trasparenza e la responsabilità dei mercati, di rafforzarne la regolamentazione e di promuovere al loro nterno un criterio di integrità che protegga i consumatori.


STRUMENTI


e, the Leaders of the Group of Twenty, held an initial meeting in Washington on November 15, 2008, amid serious challenges to the world economy and financial markets. We are determined to enhance our cooperation and work together to restore global growth and achieve needed reforms in the world's financial systems. Over the past months our countries have taken urgent and exceptional measures to support the global economy and stabilize financial markets. These efforts must continue. At the same time, we must lay the 172 foundation for reform to help to ensure that a global crisis, such as this one, does not happen again. Our work will be guided by a shared belief that market principles, open trade and investment regimes, and effectively regulated financial markets foster the dynamism, innovation, and entrepreneurship that are essential for economic growth, employment, and poverty reduction.

W

Root Causes of the Current Crisis During a period of strong global growth, growing capital flows, and prolonged stability earlier this decade, market participants sought higher yields without an adequate appreciation of the risks and failed to exercise proper due diligence. At the same time, weak underwriting standards, unsound risk management practices, increasingly complex and opaque financial products, and consequent excessive leverage combined to create vulnerabilities in the system. Policy-makers, regulators and supervisors, in some advanced countries, did not adequately appreciate

and address the risks building up in financial markets, keep pace with financial innovation, or take into account the systemic ramifications of domestic regulatory actions. Major underlying factors to the current situation were, among others, inconsistent and insufficiently coordinated macroeconomic policies, inadequate structural reforms, which led to unsustainable global macroeconomic outcomes. These developments, together, contributed to excesses and ultimately resulted in severe market disruption. Actions Taken and to Be Taken We have taken strong and significant actions to date to stimulate our economies, provide liquidity, strengthen the capital of financial institutions, protect savings and deposits, address regulatory deficiencies, unfreeze credit markets, and are working to ensure that international financial institutions (Ifis) can provide critical support for the global economy. But more needs to be done to stabilize financial markets and support economic growth. Economic momentum is slowing substantially in major economies and the global outlook has weakened. Many emerging market economies, which helped sustain the world economy this decade, are still experiencing good growth but increasingly are being adversely impacted by the worldwide slowdown. Against this background of deteriorating economic conditions worldwide, we agreed that a broader policy response is needed, based on closer macroeconomic


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cooperation, to restore growth, avoid negative spillovers and support emerging market economies and developing countries. As immediate steps to achieve these objectives, as well as to address longerterm challenges, we will: Continue our vigorous efforts and take whatever further actions are necessary to stabilize the financial system. Recognize the importance of monetary policy support, as deemed appropriate to domestic conditions. Use fiscal measures to stimulate domestic demand to rapid effect, as appropriate, while maintaining a policy framework conducive to fiscal sustainability. Help emerging and developing economies gain access to finance in current difficult financial conditions, including through liquidity facilities and program support. We stress the International Monetary Fund's (ImfF) important role in crisis response, welcome its new short-term liquidity facility, and urge the ongoing review of its instruments and facilities to ensure flexibility. Encourage the World Bank and other multilateral development banks (MDBs)

to use their full capacity in support of their development agenda, and we welcome the recent introduction of new facilities by the World Bank in the areas of infrastructure and trade finance. Ensure that the IMF, World Bank and other MDBs have sufficient resources to continue playing their role in overcoming the crisis. Common Principles for Reform of Financial Markets In addition to the actions taken above, we will implement reforms that will strengthen financial markets and regulatory regimes so as to avoid future crises. Regulation is first and foremost the responsibility of national regulators who constitute the first line of defense against market instability. However, our financial markets are global in scope, therefore, intensified international cooperation among regulators and strengthening of international standards, where necessary, and their consistent implementation is necessary to protect against adverse cross-border, regional and global developments affecting international financial stability. Regulators must ensure that

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their actions support market discipline, avoid potentially adverse impacts on other countries, including regulatory arbitrage, and support competition, dynamism and innovation in the marketplace. Financial institutions must also bear their responsibility for the turmoil and should do their part to overcome it including by recognizing losses, improving disclosure and strengthening their governance and risk management practices. We commit to implementing policies consistent with the following common principles for reform. Strengthening Transparency and Accountability: We will strengthen financial market transparency, including by enhancing required disclosure on complex financial products and ensuring complete and accurate disclosure by firms of their financial conditions. Incentives should be aligned to avoid excessive risk-taking. Enhancing Sound Regulation: We pledge to strengthen our regulatory regimes, prudential oversight, and risk management, and ensure that all financial markets, products and participants are regulated or subject to oversight, as appropriate to their circumstances. We will exercise strong oversight over credit rating agencies, consistent with the agreed and strengthened international code of conduct. We will also make regulatory regimes more effective over the economic cycle, while ensuring that regulation is efficient, does not stifle innovation, and encourages expanded trade in financial products and services. We commit to transparent assessments of our national

regulatory systems. Promoting Integrity in Financial Markets: We commit to protect the integrity of the world's financial markets by bolstering investor and consumer protection, avoiding conflicts of interest, preventing illegal market manipulation, fraudulent activities and abuse, and protecting against illicit finance risks arising from non-cooperative jurisdictions. We will also promote information sharing, including with respect to jurisdictions that have yet to commit to international standards with respect to bank secrecy and transparency. Reinforcing International Cooperation: We call upon our national and regional regulators to formulate their regulations and other measures in a consistent manner. Regulators should enhance their coordination and cooperation across all segments of financial markets, including with respect to cross-border capital flows. Regulators and other relevant authorities as a matter of priority should strengthen cooperation on crisis prevention, management, and resolution. Reforming International Financial Institutions: We are committed to advancing the reform of the Bretton Woods Institutions so that they can more adequately reflect changing economic weights in the world economy in order to increase their legitimacy and effectiveness. In this respect, emerging and developing economies, including the poorest countries, should have greater voice and representation. The Financial Stability Fo-


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rum (Fsf) must expand urgently to a broader membership of emerging economies, and other major standard setting bodies should promptly review their membership. The Imf, in collaboration with the expanded Fsf and other bodies, should work to better identify vulnerabilities, anticipate potential stresses, and act swiftly to play a key role in crisis response. Tasking of Ministers and Experts 1We are committed to taking rapid action to implement these principles. We instruct our Finance Ministers, as coordinated by their 2009 G20 leadership (Brazil, UK, Republic of Korea), to initiate processes and a timeline to do so. An initial list of specific measures is set forth in the attached Action Plan, including high priority actions to be completed prior to March 31, 2009. In consultation with other economies and existing bodies, drawing upon the recommendations of such eminent independent experts as they may appoint, we request our Finance Ministers to formulate additional recommendations, including in the following specific areas: Mitigating against pro-cyclicality in regulatory policy; Reviewing and aligning global accounting standards, particularly for complex securities in times of stress; Strengthening the resilience and transparency of credit derivatives markets and reducing their systemic risks, including by improving the infrastructure of over-thecounter markets;

Reviewing compensation practices as they relate to incentives for risk taking and innovation; Reviewing the mandates, governance, and resource requirements of the IFIs; and Defining the scope of systemically important institutions and determining their appropriate regulation or oversight. 11. In view of the role of the G20 in financial systems reform, we will meet again by April 30, 2009, to review the implementation of the principles and decisions agreed today. Commitment to an Open Global Economy We recognize that these reforms will only be successful if grounded in a commitment to free market principles, including the rule of law, respect for private property, open trade and investment, competitive markets, and efficient, effectively regulated financial systems. These principles are essential to economic growth and prosperity and have lifted millions out of poverty, and have significantly raised the global standard of living. Recognizing the necessity to improve financial sector regulation, we must avoid over-regulation that would hamper economic growth and exacerbate the contraction of capital flows, including to developing countries. We underscore the critical importance of rejecting protectionism and not turning inward in times of financial uncertainty. In this regard, within the next 12 months, we will refrain from raising new barriers to investment or to trade in goods and services, imposing new export restrictions, or implementing World trade organization (Wto) inconsistent measures to stimulate

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exports. Further, we shall strive to reach agreement this year on modalities that leads to a successful conclusion to the Wto's Doha Development Agenda with an ambitious and balanced outcome. We instruct our Trade Ministers to achieve this objective and stand ready to assist directly, as necessary. We also agree that our countries have the largest stake in the global trading system and therefore each must make the positive contributions necessary to achieve such an outcome. We are mindful of the impact of the current crisis on developing countries, particularly the most vulnerable. We reaffirm the importance of the Millennium Development Goals, the development assistance commitments we have made, and urge both developed and emerging economies to undertake commitments consistent with their capacities and roles in the global economy. In this regard, we reaffirm the development principles agreed at the 2002 United Nations Conference on Financing for Development in Monterrey, Mexico, which emphasized country ownership and mobilizing all sources of financing for development. We remain committed to addressing other critical challenges such as energy security and climate change, food security, the rule of law, and the fight against terrorism, poverty and disease. As we move forward, we are confident that through continued partnership, cooperation, and multilateralism, we will overcome the challenges before us and restore stability and prosperity to the world economy.

Action Plan to Implement Principles for Reform This Action Plan sets forth a comprehensive work plan to implement the five agreed principles for reform. Our finance ministers will work to ensure that the taskings set forth in this Action Plan are fully and vigorously implemented. They are responsible for the development and implementation of these recommendations drawing on the ongoing work of relevant bodies, including the International Monetary Fund (IMF), an expanded Financial Stability Forum (FSF), and standard setting bodies. Stre ng t hen in g Trans pa re nc y an d Ac countability The key global accounting standards bodies should work to enhance guidance for valuation of securities, also taking into account the valuation of complex, illiquid products, especially during times of stress. Accounting standard setters should significantly advance their work to address weaknesses in accounting and disclosure standards for off-balance sheet vehicles. Regulators and accounting standard setters should enhance the required disclosure of complex financial instruments by firms to market participants. With a view toward promoting financial stability, the governance of the international accounting standard setting body should be further enhanced, including by undertaking a review of its membership, in particular in order to ensure transparency, accountability, and an appropriate relationship between this independent body


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and the relevant authorities. Private sector bodies that have already developed best practices for private pools of capital and/or hedge funds should bring forward proposals for a set of unified best practices. Finance Ministers should assess the adequacy of these proposals, drawing upon the analysis of regulators, the expanded Fsf, and other relevant bodies.

Medium-term actions The key global accounting standards bodies should work intensively toward the objective of creating a single high-quality global standard. Regulators, supervisors, and accounting standard setters, as appropriate, should work with each other and the private sector on an ongoing basis to ensure consistent application and enforcement of highquality accounting standards. Financial institutions should provide enhanced risk disclosures in their reporting and disclose all losses on an ongoing basis, consistent with international best practice, as appropriate. Regulators should work to ensure that a financial institution' financial statements include a complete, accurate, and timely picture of the firm's activities (including off-balance sheet activities) and are reported on a consistent and regular basis. Enhancing Sound Regulation Regulatory Regimes The Imf, expanded Fsf, and other regulators and bodies should develop recommendations to mitigate pro-cyclicality, including the review of how valuation and leverage, bank capital, executive compen-

sation, and provisioning practices may exacerbate cyclical trends.

Medium-term actions To the extent countries or regions have not already done so, each country or region pledges to review and report on the structure and principles of its regulatory system to ensure it is compatible with a modern and increasingly globalized financial system. To this end, all G20 members commit to undertake a Financial Sector Assessment Program (Fsap) report and support the transparent assessments of countries' national regulatory systems. The appropriate bodies should review the differentiated nature of regulation in the banking, securities, and insurance sectors and provide a report outlining the issue and making recommendations on needed improvements. A review of the scope of financial regulation, with a special emphasis on institutions, instruments, and markets that are currently unregulated, along with ensuring that all systemically-important institutions are appropriately regulated, should also be undertaken. National and regional authorities should review resolution regimes and bankruptcy laws in light of recent experience to ensure that they permit an orderly winddown of large complex cross-border financial institutions. Definitions of capital should be harmonized in order to achieve consistent measures of capital and capital adequacy. Prudential Oversight Regulators should take steps to ensure

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that credit rating agencies meet the highest standards of the international organization of securities regulators and that they avoid conflicts of interest, provide greater disclosure to investors and to issuers, and differentiate ratings for complex products. This will help ensure that credit rating agencies have the right incentives and appropriate oversight to enable them to perform their important role in providing unbiased information and assessments to markets. The international organization of securities regulators should review credit rating agencies' adoption of the standards and mechanisms for monitoring compliance. Authorities should ensure that financial institutions maintain adequate capital in amounts necessary to sustain confidence. International standard setters should set out strengthened capital requirements for banks' structured credit and securitization activities. Supervisors and regulators, building on the imminent launch of central counterparty services for credit default swaps (Cds) in some countries, should: speed efforts to reduce the systemic risks of Cds and over-the-counter (Otc) derivatives transactions; insist that market participants support exchange traded or electronic trading platforms for Cds contracts; expand Otc derivatives market transparency; and ensure that the infrastructure for Otc derivatives can support growing volumes. Medium-term actions Credit Ratings Agencies that provide public ratings should be registered. Supervisors and central banks should de-

velop robust and internationally consistent approaches for liquidity supervision of, and central bank liquidity operations for, cross-border banks. Risk Management Regulators should develop enhanced guidance to strengthen banks' risk management practices, in line with international best practices, and should encourage financial firms to reexamine their internal controls and implement strengthened policies for sound risk management. Regulators should develop and implement procedures to ensure that financial firms implement policies to better manage liquidity risk, including by creating strong liquidity cushions. Supervisors should ensure that financial firms develop processes that provide for timely and comprehensive measurement of risk concentrations and large counterparty risk positions across products and geographies. Firms should reassess their risk management models to guard against stress and report to supervisors on their efforts. The Basel Committee should study the need for and help develop firms' new stress testing models, as appropriate. Financial institutions should have clear internal incentives to promote stability, and action needs to be taken, through voluntary effort or regulatory action, to avoid compensation schemes which reward excessive short-term returns or risk taking. Banks should exercise effective risk man-


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agement and due diligence over structured products and securitization. Medium-term actions International standard setting bodies, working with a broad range of economies and other appropriate bodies, should ensure that regulatory policy makers are aware and able to respond rapidly to evolution and innovation in financial markets and products. Authorities should monitor substantial changes in asset prices and their implications for the macroeconomy and the financial system. Promoting Integrity in Financial Markets Our national and regional authorities should work together to enhance regulatory cooperation between jurisdictions on a regional and international level. National and regional authorities should work to promote information sharing about domestic and cross-border threats to market stability and ensure that national (or regional, where applicable) legal provisions are adequate to address these threats. National and regional authorities should also review business conduct rules to protect markets and investors, especially against market manipulation and fraud and strengthen their cross-border cooperation to protect the international financial system from illicit actors. In case of misconduct, there should be an appropriate sanctions regime.

Medium -term actions National and regional authorities should implement national and international

measures that protect the global financial system from uncooperative and nontransparent jurisdictions that pose risks of illicit financial activity. The Financial Action Task Force should continue its important work against money laundering and terrorist financing, and we support the efforts of the World Bank - Un Stolen Asset Recovery (StAR) Initiative. Tax authorities, drawing upon the work of relevant bodies such as the Organizatione for economic cooperation and development (Oecd), should continue efforts to promote tax information exchange. Lack of transparency and a failure to exchange tax information should be vigorously addressed. Reinforcing International Cooperation Supervisors should collaborate to establish supervisory colleges for all major cross-border financial institutions, as part of efforts to strengthen the surveillance of cross-border firms. Major global banks should meet regularly with their supervisory college for comprehensive discussions of the firm's activities and assessment of the risks it faces. Regulators should take all steps necessary to strengthen cross-border crisis management arrangements, including on cooperation and communication with each other and with appropriate authorities, and develop comprehensive contact lists and conduct simulation exercises, as appropriate.

Medium-term actions Authorities, drawing especially on the work of regulators, should collect information on areas where convergence in

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regulatory practices such as accounting standards, auditing, and deposit insurance is making progress, is in need of accelerated progress, or where there may be potential for progress. Authorities should ensure that temporary measures to restore stability and confidence have minimal distortions and are unwound in a timely, well-sequenced and coordinated manner.

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Reforming International Financial Institutions The Fsf should expand to a broader membership of emerging economies. The IMF, with its focus on surveillance, and the expanded Ffs, with its focus on standard setting, should strengthen their collaboration, enhancing efforts to better integrate regulatory and supervisory responses into the macro-prudential policy framework and conduct early warning exercises. The Imf, given its universal membership and core macro-financial expertise, should, in close coordination with the Fsf and others, take a leading role in drawing lessons from the current crisis, consistent with its mandate. We should review the adequacy of the resources of the Imf, the World Bank Group and other multilateral development banks and stand ready to increase them where necessary. The Ifis should also continue to review and adapt their lending instruments to adequately meet their members' needs and revise their lending role in the light of the ongoing financial crisis. We should explore ways to restore

emerging and developing countries' access to credit and resume private capital flows which are critical for sustainable growth and development, including ongoing infrastructure investment. In cases where severe market disruptions have limited access to the necessary financing for counter-cyclical fiscal policies, multilateral development banks must ensure arrangements are in place to support, as needed, those countries with a good track record and sound policies.

Medium-term actions We underscored that the Bretton Woods Institutions must be comprehensively reformed so that they can more adequately reflect changing economic weights in the world economy and be more responsive to future challenges. Emerging and developing economies should have greater voice and representation in these institutions. The Imf should conduct vigorous and even-handed surveillance reviews of all countries, as well as giving greater attention to their financial sectors and better integrating the reviews with the joint Imf/World Bank financial sector assessment programs. On this basis, the role of the Imf in providing macrofinancial policy advice would be strengthened. Advanced economies, the Imf, and other international organizations should provide capacity-building programs for emerging market economies and developing countries on the formulation and the implementation of new major regu-


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lations, consistent with international standards.

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SOMMARIO

APPUNTAMENTI

NUOVA SERIE ANNO III - NUMERO 14 - GENNAIO/FEBBRAIO 2009

A CURA DI BRUNO TIOZZO www.farefuturofondazione.it

Quale governance mondiale?

ROMA

Oltre gli stereotipi. La nuova cultura civica in Italia Lunedì 23 febbraio - ore 11

Governance globale: meglio il G13 ADOLFO URSO

La politica ai tempi del G20 - 2 PAOLO QUERCIA G8 a geometrie variabili - 10 FRANCO FRATTINI

Un’opportunità da non perdere - 18 EMMA BONIBO

Indonesia e Corea: un futuro oltre le divisioni - 134

Presso la sede della Fondazione Farefuturo avrà

RODOLFO BASTIANELLI

luogo la presentazione del progetto di ricerca”Oltre

Australia: ponte per un nuovo futuro - 144 GIUSEPPE MANCINI

Quando la crisi rafforza l’economia - 152

gli stereotipi. La nuova cultura civica in Italia”, che ha l’obiettivo di delineare un modello italiano di cultura civica. Intervengono Adolfo Urso, Luigi Di Gregorio, Alessandro Campi e Andrea Oliviero..

RICCARDO GEFTER

Il Sudafrica non può fare a meno del suo continente - 160 DANIELE CRISTALLINI e ERIC MOLLE

Per una nuova Bretton Woods è necessaria l’Europa - 26

ROMA

WASHINGTON

The Gas Wars: Causes, Forecasts, and Solutions for Russia, Ukraine, and the Eu. Le ripercussioni della crisi del gas vengono analizzate dall’American Enterprise Institute. Martedì 3 febbraio

Lincoln vs. Obama: Freedom vs. The Good. L’annuale Russel Kirk lecture della Heritage Foundation è stata affidata allo studioso Shelby Steele che parlerà dell’incompatibilità tra il legame di Lincoln e la politica “buonista” di Obama. Giovedì 12 febbraio

Direttore Adolfo Urso urso@farefuturofondazione.it

WASHINGTON

Direttore responsabile Pietro Urso ursop@chartaminuta.it

WASHINGTON Is the Bolshevik Design Dead? Presentazione presso la Heritage Foundation di un libro dell’ex agente sovietico Viktor Suvorov con dei paralleli tra i progetti geopolitici di Stalin e Putin. Mercoledì 4 febbraio

Cena della Fondazione

MASSIMO LO CICERO

Giovedì 2 aprile

PARIGI

Alla finanza servono regole condivise - 40 ROBERTO PASCA DI MAGLIANO

Cena ufficiale riservata ai soci della Fondazione Farefuturo. Parteciperanno i massini esponenti

Parola d’ordine: equidistanza - 54 INTERVISTA A FERRUCCIO DE BORTOLI di Maria Elena Giuliano Innovazione e flessibilità: l’unica cura possibile - 61

WASHINGTON

della fondazione.

STRUMENTI

Mosquées de Paris. Proiezione presso la Fondation pour la innovation politique di un documentario sulle moschee di Parigi. Segue dibattito. Giovedì 5 febbraio

BERLINO

WASHINGTON

Documento conclusivo del G20 a Washington - 170 EMANUELA MELCHIORRE

Dal Giappone all’Italia via Heiligendamm - 81 ALFREDO MANTICA

ROMA ALESSANDRO ORTIS

Parlamentarismo in Italia e in Germania

Turchia, la cerniera fra Oriente e Occidente - 94

Venerdì 19 giugno

Energia, le frontiere oltre il petrolio - 88

ALESSANDRO MARRONE

L’Islam che guarda ad Occidente - 104 BARBARA MENNITTI e PIETRO URSO

Keiner lebt für sich allein - Das Miteinander der Generationen Conferenza annuale “Christ und politik” della Konrad Adenauer Stiftung in collaborazione con le chiese evangeliche tedesche. Interventi di esponenti politici ed ecclesiastici. Lunedì 9 – Martedì 10 febbraio

La fondazione Farefuturo e la Konrad Adenauer Stiftung organizzano il convegno di studi sul tema “Il futuro del Parlamentarismo in Italia e in

L’India è la vera icona dalle opportunità infinite - 116

Germania”. Sono previste le relazioni di Gianfranco

FRANCO OLIVA

Fini, presidente della Camera dei deputati e della

La Cina imparerà a rispettare le regole - 128 INTERVISTA A ALESSANDRO POLITI di Elisa Borghi

presidente del BUndestag.

Fondazione Farefuturo, e di Norbert Lammert,

BERLINO 60 Jahre NATO - Wird Deutschland zur Triebkraft oder zum Mitläufer? La Konrad Adenauer Stiftung s’interroga, in occasione del 60esimo anniversario della Nato, sul ruolo futuro della Germania nell’Alleanza Atlantica. Lunedì 23 febbraio

EMANUELE BALDACCI

Adesso mutiamo le regole dell’assetto monetario - 70

Energy Transitions: The Time Factor Seminario dell’American Enterprise Institute sulle fonti di energia rinnovabile. Interviene il professor Vaclav Smil dell’università di Manitoba. Martedì 17 febbraio

GRAND RAPIDS America's Economic Crisis: Looking Back, Looking Forward. Seminario dell’Acton Institute sulle origini della crisi economica negli Stati Uniti e sulle prospettive per il futuro. Giovedì 12 febbraio

Rethinking Education Schools for a New Era. Incontro dell’American Enterprise Institute sulle sfide che il sistema educativo statunitense dovrà affrontare nei prossimi decenni. Giovedì 26 febbraio

BERLINO 20 Jahre Freiheitsbewegung in Mittel-, Ost- und Südosteuropa. Erinnern für ein neues Europa? Conferenza internazionale della Konrad Adenauer Stiftung sui 20 anni di libertà nell’Europa centro-orientale. Interviene l’ex Primo ministro ungherese Viktor Orban. Venerdì 27 febbraio

Direttore editoriale Angelo Mellone mellone@farefuturofondazione.it Coordinatore editoriale Filippo Rossi filipporossi@farefuturofondazione.it

Collaboratori di redazione: Roberto Alfatti Appetiti, Alessandra Bergamasco, Guerino Nuccio Bovalino, Rosalinda Cappello, Diletta Cherra, Valeria Falcone, Filippo Lonardo, Barbara Mennitti, Cecilia Moretti, Michele De Feudis, Giuseppe Proia, Adriano Scianca. Direzione e redazione Via del Seminario, 113 - 00186 Roma Tel. 06/96996400 - Fax 06/96996430 E-mail: redazione@chartaminuta.it ursop@chartaminuta.it; direttorecharta@gmail.com Segreteria di redazione Cecilia Moretti moretti@chartaminuta.it Progetto grafico Elise srl www.elisegroup.tv Editrice Charta s.r.l. Abbonamento annuale € 70, sostenitore da € 200 Versamento su c.c. bancario n. 87827/33, Cab 05066, Abi 3002 Banca di Roma, Ag. 246, intestato a Editrice Charta s.r.l. - C.c. postale n. 73270258 Registrazione Tribunale di Roma N. 419/06

Amministratore unico Gianmaria Sparma Segreteria amministrativa Silvia Rossi Distribuzione Soc.i.d s.r.l Via Carducci, 10 00187 Roma Tipografia Renografica s.r.l. - Bologna Ufficio abbonamenti Domenico Sacco

www.chartaminuta.it


SOMMARIO

APPUNTAMENTI

NUOVA SERIE ANNO III - NUMERO 14 - GENNAIO/FEBBRAIO 2009

A CURA DI BRUNO TIOZZO www.farefuturofondazione.it

Quale governance mondiale?

ROMA

Oltre gli stereotipi. La nuova cultura civica in Italia Lunedì 23 febbraio - ore 11

Governance globale: meglio il G13 ADOLFO URSO

La politica ai tempi del G20 - 2 PAOLO QUERCIA G8 a geometrie variabili - 10 FRANCO FRATTINI

Un’opportunità da non perdere - 18 EMMA BONIBO

Indonesia e Corea: un futuro oltre le divisioni - 134

Presso la sede della Fondazione Farefuturo avrà

RODOLFO BASTIANELLI

luogo la presentazione del progetto di ricerca”Oltre

Australia: ponte per un nuovo futuro - 144 GIUSEPPE MANCINI

Quando la crisi rafforza l’economia - 152

gli stereotipi. La nuova cultura civica in Italia”, che ha l’obiettivo di delineare un modello italiano di cultura civica. Intervengono Adolfo Urso, Luigi Di Gregorio, Alessandro Campi e Andrea Oliviero..

RICCARDO GEFTER

Il Sudafrica non può fare a meno del suo continente - 160 DANIELE CRISTALLINI e ERIC MOLLE

Per una nuova Bretton Woods è necessaria l’Europa - 26

ROMA

WASHINGTON

The Gas Wars: Causes, Forecasts, and Solutions for Russia, Ukraine, and the Eu. Le ripercussioni della crisi del gas vengono analizzate dall’American Enterprise Institute. Martedì 3 febbraio

Lincoln vs. Obama: Freedom vs. The Good. L’annuale Russel Kirk lecture della Heritage Foundation è stata affidata allo studioso Shelby Steele che parlerà dell’incompatibilità tra il legame di Lincoln e la politica “buonista” di Obama. Giovedì 12 febbraio

Direttore Adolfo Urso urso@farefuturofondazione.it

WASHINGTON

Direttore responsabile Pietro Urso ursop@chartaminuta.it

WASHINGTON Is the Bolshevik Design Dead? Presentazione presso la Heritage Foundation di un libro dell’ex agente sovietico Viktor Suvorov con dei paralleli tra i progetti geopolitici di Stalin e Putin. Mercoledì 4 febbraio

Cena della Fondazione

MASSIMO LO CICERO

Giovedì 2 aprile

PARIGI

Alla finanza servono regole condivise - 40 ROBERTO PASCA DI MAGLIANO

Cena ufficiale riservata ai soci della Fondazione Farefuturo. Parteciperanno i massini esponenti

Parola d’ordine: equidistanza - 54 INTERVISTA A FERRUCCIO DE BORTOLI di Maria Elena Giuliano Innovazione e flessibilità: l’unica cura possibile - 61

WASHINGTON

della fondazione.

STRUMENTI

Mosquées de Paris. Proiezione presso la Fondation pour la innovation politique di un documentario sulle moschee di Parigi. Segue dibattito. Giovedì 5 febbraio

BERLINO

WASHINGTON

Documento conclusivo del G20 a Washington - 170 EMANUELA MELCHIORRE

Dal Giappone all’Italia via Heiligendamm - 81 ALFREDO MANTICA

ROMA ALESSANDRO ORTIS

Parlamentarismo in Italia e in Germania

Turchia, la cerniera fra Oriente e Occidente - 94

Venerdì 19 giugno

Energia, le frontiere oltre il petrolio - 88

ALESSANDRO MARRONE

L’Islam che guarda ad Occidente - 104 BARBARA MENNITTI e PIETRO URSO

Keiner lebt für sich allein - Das Miteinander der Generationen Conferenza annuale “Christ und politik” della Konrad Adenauer Stiftung in collaborazione con le chiese evangeliche tedesche. Interventi di esponenti politici ed ecclesiastici. Lunedì 9 – Martedì 10 febbraio

La fondazione Farefuturo e la Konrad Adenauer Stiftung organizzano il convegno di studi sul tema “Il futuro del Parlamentarismo in Italia e in

L’India è la vera icona dalle opportunità infinite - 116

Germania”. Sono previste le relazioni di Gianfranco

FRANCO OLIVA

Fini, presidente della Camera dei deputati e della

La Cina imparerà a rispettare le regole - 128 INTERVISTA A ALESSANDRO POLITI di Elisa Borghi

presidente del BUndestag.

Fondazione Farefuturo, e di Norbert Lammert,

BERLINO 60 Jahre NATO - Wird Deutschland zur Triebkraft oder zum Mitläufer? La Konrad Adenauer Stiftung s’interroga, in occasione del 60esimo anniversario della Nato, sul ruolo futuro della Germania nell’Alleanza Atlantica. Lunedì 23 febbraio

EMANUELE BALDACCI

Adesso mutiamo le regole dell’assetto monetario - 70

Energy Transitions: The Time Factor Seminario dell’American Enterprise Institute sulle fonti di energia rinnovabile. Interviene il professor Vaclav Smil dell’università di Manitoba. Martedì 17 febbraio

GRAND RAPIDS America's Economic Crisis: Looking Back, Looking Forward. Seminario dell’Acton Institute sulle origini della crisi economica negli Stati Uniti e sulle prospettive per il futuro. Giovedì 12 febbraio

Rethinking Education Schools for a New Era. Incontro dell’American Enterprise Institute sulle sfide che il sistema educativo statunitense dovrà affrontare nei prossimi decenni. Giovedì 26 febbraio

BERLINO 20 Jahre Freiheitsbewegung in Mittel-, Ost- und Südosteuropa. Erinnern für ein neues Europa? Conferenza internazionale della Konrad Adenauer Stiftung sui 20 anni di libertà nell’Europa centro-orientale. Interviene l’ex Primo ministro ungherese Viktor Orban. Venerdì 27 febbraio

Direttore editoriale Angelo Mellone mellone@farefuturofondazione.it Coordinatore editoriale Filippo Rossi filipporossi@farefuturofondazione.it

Collaboratori di redazione: Roberto Alfatti Appetiti, Alessandra Bergamasco, Guerino Nuccio Bovalino, Rosalinda Cappello, Diletta Cherra, Valeria Falcone, Filippo Lonardo, Barbara Mennitti, Cecilia Moretti, Michele De Feudis, Giuseppe Proia, Adriano Scianca. Direzione e redazione Via del Seminario, 113 - 00186 Roma Tel. 06/96996400 - Fax 06/96996430 E-mail: redazione@chartaminuta.it ursop@chartaminuta.it; direttorecharta@gmail.com Segreteria di redazione Cecilia Moretti moretti@chartaminuta.it Progetto grafico Elise srl www.elisegroup.tv Editrice Charta s.r.l. Abbonamento annuale € 70, sostenitore da € 200 Versamento su c.c. bancario n. 87827/33, Cab 05066, Abi 3002 Banca di Roma, Ag. 246, intestato a Editrice Charta s.r.l. - C.c. postale n. 73270258 Registrazione Tribunale di Roma N. 419/06

Amministratore unico Gianmaria Sparma Segreteria amministrativa Silvia Rossi Distribuzione Soc.i.d s.r.l Via Carducci, 10 00187 Roma Tipografia Renografica s.r.l. - Bologna Ufficio abbonamenti Domenico Sacco

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