Comunicare attraverso le immagini Tipologie e caratteristiche di un albo illustrato
Germana Della Rocca
Tesi di laurea
Comunicare attraverso le immagini
Tipologie e caratteristiche di un albo illustrato
“A cosa serve un libro senza figure e senza filastrocche?� - Lewis Carroll
É questo che pensava Alice in apertura del famoso libro, lei è seduta accanto alla sorella maggiore immersa nella lettura di un libro con tante parole. C’è un luogo singolare che abita lo spazio sterminato della letteratura per l’infanzia, un luogo in cui, a differenza di altri ambiti e grazie al peculiare linguaggio della narrazione, i bambini possono dialogare alla pari con gli adulti e, se opportunamente sollecitati, dimostrano vivacità e abilità di lettura insospettabili, a volte perfino superiori a quelle degli adulti. Questo luogo speciale dimora nello spazio letterario degli albi illustrati, non solo riservati ai bambini ma sono rivolti anche ai ragazzi e agli adulti. Un aspetto degli albi illustrati è la loro capacità di trasportare il lettore in mondi magici in cui tutto può accadere, ci si può immedesimare nei protagonisti dei racconti, gioire e soffrire con loro, affrontare paure e difficoltà: vivere un’avventura ogni volta che si guardano le immagini. Quante volte, sfogliando un libro senza leggerne la storia, capita d’imbattersi nelle illustrazioni, restandone folgorati e rapiti. Ci si lascia trasportare dall’immaginazione e la storia prende corpo nella nostra mente, i personaggi si animano e, una pagina dopo l’altra, la vicenda diventa sempre più articolata. Le illustrazioni, con i colori e le forme narrano da sé la vicenda grazie alla capacità del lettore-osservatore che vede e immagina. Poi si decide di leggere la storia, quella vera, quella scritta dall’autore per il proprio lettore e ci si accorge che in realtà la storia è ben diversa da quella che abbiamo immaginato. Ma è stato comunque bello poter andar oltre il testo scritto, leggere le immagini, proprio come fanno i bambini che non hanno ancora imparato a leggere. E chissà quante altre storie avrebbero potuto prender vita dall’incontro di quelle illustrazioni e della nostra immaginazione. Questa tesi illustra la definizione di albo illustrato, le sue caratteristiche e tipologie ed infine il suo rapporto con l’infanzia. Mi sono occupata, inoltre dell’illustrazione di una fiaba inventata, lasciandomi trasportare dalla mia immaginazione e dall’idea che si formava nella mia mente.
01 Storia dell’illustrazione XIX-XX sec.
Le origini
XVII-XVIII sec. PAG. 11
1.1 Tecniche di riproduzione
PAG. 14
02
PAG. 33
PAG. 30
L’Illustrazione
Cos’è l’illustrazione
PAG. 38
2.1 Tipologie di albo
PAG. 48
Caratteristiche
PAG. 49
I suoi codici educativi
PAG. 51
1.2 XV-XVI sec.
PAG. 24
Picturebook
PAG. 41
Valenze educative
PAG. 53
03
L’illustrazione per l’infanzia Libro gioco - Munari
PAG. 95
3.2 Case editrici
3.1 I primi libri illustrati La storia
Infanzia e libro
PAG. 59
04
PAG. 79
Caratteristiche dei libri
PAG. 107
Le illusioni
L’anamorfismo oggi PAG. 115
PAG. 69
L’effetto Moirè Le illusioni ottiche
L’avventura nella lettura
Tipi di illusioni ottiche PAG. 75
PAG. 101
PAG. 111
PAG. 113
PAG. 119
Introduzione Questa tesi nasce dalla passione per l’illustrazione e dall’interesse di approfondire il tema, sia dal punto di vista teorico sia dal punto di vista pratico. Avere una matita in mano, una penna e disegnare di tutto è stata una mia necessità fin dai primissimi anni di vita, una finestra sul mio mondo interiore, un modo per esprimere ciò che avevo dentro. L’obiettivo principale è stato un percorso di studio e di ricerca, consapevole di dimenticare molte cose e di essere superficiale in altre, ma finalizzato ad ottenere un elaborato personalizzato. Il mio lavoro è strutturato in quattro capitoli: storia dell’illustrazione, illustrazione,
l’illustrazione per l’infanzia e le illusioni. Partendo da questi presupposti, nel primo capitolo ho trattato l’argomento iniziando con un breve excursus storico sulla storia dell’illustrazione e le sue origini, passando alla descrizione delle varie tecniche di riproduzione come la xilografia, la calcografia e la litografia con i vari supporti utilizzati. Nello stesso capitolo ho parlato di illustrazione stampata con l’invenzione dei caratteri mobili e le prime stampe di Gutemberg. Questa tecnica di stampa si sviluppò così rapidamente grazie anche all’invenzione della carta, il cui costo decisamente inferiore a quello
della pergamena fece abbassare notevolmente i costi di produzione. Nel secondo capitolo ho cercato di indicare le varie definizioni di albo illustrato fatte da alcuni studiosi del settore come la Picherle, Merletti e la Terrusi individuando tra le caratteristiche principali dell’albo il rapporto d’interdipendenza tra testo e immagini, tra codice verbale e codice iconografico, tra parole e figure. Per questi studiosi l’albo illustrato è anche un libro che sorprende e meraviglia, è un’arte che attraverso varie fasi coinvolge non solo l’autore e l’illustratore ma anche il graphic designer, l’editore e lo stampatore; tutti con lo stesso obiettivo di finire l’opera. Un’altra caratteristica dell’albo illustrato è il suo “destinatario”:
il bambino in età prescolare. Infatti l’uso precoce di libri illustrati aiuta e stimola i bambini ad estrarre significati dal testo, attraverso l’ascolto del linguaggio scritto, e l’analisi percettiva di quello iconico. Tale esperienza si configura come stimolo allo sviluppo del linguaggio, della rappresentazione simbolica e della stessa motivazione alla lettura. In questo modo si valorizza un’idea di lettura che ha i suoi presupposti non tanto nella decodifica delle singole lettere, quanto nel dare senso alle immagini e ai segni grafici. La capacità di leggere che verrà acquisita successivamente è dunque il punto di arrivo di un lungo processo di simbolizzazione che dal disegno e dalla lettura del disegno perviene
alla lettura vera e propria. Nello stesso capitolo ho ripercorso i momenti salienti storici dell’evoluzione dei primi albi illustrati. Mi sono soffermata sull’Orbis Pictus di Comenio, in quanto rappresenta il primo sussidiario illustrato per l’infanzia. Nel terzo capitolo “illustrazione per l’infanzia” ho trattato dei primi libri per l’infanzia quali Cuore, Pinocchio e quelli di Salgari considerati i libri più famosi della letteratura per l’infanzia italiana; i primi due libri sono tra loro lontani e diversi in tutto e sono considerati i due best-sellers più letti e tradotti della letteratura italiana moderna. Sono libri per l’infanzia, che esprimono però posizioni ideologiche diffuse fra tutte le fasce d’età della società italiana,
coinvolgendo le principali istituzioni del paese come scuola, famiglia, esercito, strutture del potere e si fanno carico dell’integrazione dei diversi strati sociali e delle diverse regioni italiane e vanno quindi considerati qualche cosa di più di semplici testi di letteratura infantile. Lo dimostra il fatto che i due libri hanno raggiunto vastissimi strati di pubblico adulto. Come spesso accade per i libri dedicati ai bambini, le illustrazioni giocano un ruolo chiave. E moltissimi sono gli artisti che si sono cimentati con le tavole di Pinocchio e di Cuore. L’ultimo capitolo è un capitolo extra, quasi distaccato, che parla delle illusioni ottiche in generale e in particolare dell’anamorfismo e dell’effetto moirè.
Storia dell’ illustrazione
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Le origini “The_Writings” di Charles Dickens, illustrato da George Cruikshank.
L’
illustrazione è una forma d’arte molto antica, risalente, come narrazione di storie tramite immagini, agli antichi egizi e successivamente alla miniatura. Come supporto per disegnare, gli egizi usavano il papiro, ricavato da una pianta acquatica molto comune nel delta del Nilo e in alcune parti del Mediterraneo. La carta di papiro rappresentò una vera e propria rivoluzione nel campo della scrittura, poiché aveva tutte le qualità per gli scritti: era facilmente pieghevole,
leggera e di colore chiaro. Il primo produttore del prezioso materiale fu l’Egitto. I fogli di papiro venivano accostati e incollati con una colla fatta di acqua e farina, sovrapponendo alcuni centimetri del bordo laterale in modo da produrre una striscia lunga molti metri, che veniva arrotolata. Col passare del tempo fu introdotta la pergamena, fatta con pellame di vitello o altri animali conciato che permise, fin dall’epoca romana, di disegnare su libri che in principio
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In alto Salterio Diurno miniato del sec. XVII già presente nella Biblioteca Scarabelli di Caltanissetta, rubato nel 2010. Accanto esempio di Codex.
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erano sottoforma di rotolo. L’invenzione del codex (codice), cioè del libro rilegato, facilitò la lettura e aprì nuovi orizzonti all’illustrazione con la tecnica della miniatura. La parola “miniatura” deriva dal minio, un ossido misto di piombo di colore rosso con cui si scrivevano solitamente
le iniziali dei testi. In seguito si è passato a designare tutta la decorazione grafica o dipinta realizzata su supporto di pergamena o carta per mezzo di inchiostri, pigmenti colorati, metalli, oro, eseguita a mano senza procedimenti meccanici. Nel 400 raggiunse il massimo splendore, un
esempio è dato dai “Libri d’ore” che contengono preghiere, letture bibliche. Con l’avvento del Cristianesimo ci fu una notevole diffusione di questo tipo di tecnica illustrativa, realizzata con colori a tempera e spesso decorata con parti in foglia d’oro. La Chiesa cattolica considerava l’uso delle immagini una forma didattica di apprendimento di Testi sacri e né incoraggiò l’uso. Le miniature medioevali si diffusero dalle prime lettere capitali, cioè le lettere introduttive del testo, ai bordi delle pagine o alle pagine intere. Esse erano solitamente realizzate in ambito monastico. In seguito le miniature riempirono anche libri di preghiere privati, ope-
re scolastiche, varie carte da gioco… I costi, però, di questo tipo di produzione erano tuttavia elevati fino all’arrivo della carta, giunta in Europa dalla Cina grazie agli Arabi intorno all’XI secolo.
In alto esempio di papiro.
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1.1 Tecniche di riproduzione Nota 1: La parola xilografia deriva dal greco xilon: legno e graphia: segno, scrittura, ossia incisione sul legno.
P
rima dell’invenzione della stampa i libri, nella loro forma manoscritta, erano illustrati a mano. Il più antico esempio di libro illustrato che si conserva è un rotolo egizio su papiro risalente al 2000 ca. a.C. Nell’antico Egitto il testo illustrato maggiormente diffuso era il “Libro dei Morti”, che veniva posto nelle tombe perché servisse al defunto nell’aldilà. In Europa, in epoca classica, le prime illustrazioni furono realizzate per i testi scientifici: le cita ad esempio il filosofo greco Aristotele come completamento ai suoi
studi. Successivamente nacquero i ritratti degli autori e quindi le illustrazioni di brani letterari, come i passi dell’Iliade e dell’Odissea. In seguito gli artisti dell’Europa Medievale illustrarono i manoscritti, ornandoli con miniature, iniziali e margini riccamente decorati. Come per i testi, la duplicazione delle illustrazioni avveniva solo attraverso la ricopiatura a mano. Con l’abbassamento dei costi ci fu una maggiore diffusione di testi e illustrazioni; quest’ultime erano stampate, all’inizio, con il metodo della xilografia.
A destra un’opera di Durer “La grande passione”.
Xilografia La xilografia1, è la più antica tecnica di stampa artistica e l’unica usata tradizionalmente in Estremo Oriente. Probabilmente si sviluppò come tecnica per stampare fantasie sulle stoffe e nel V secolo in Cina veniva usata per stampare testi e immagini su carta. Questa tecnica fu di fondamentale importanza nel mondo dell’illustrazione visto che da essa sono nati gli altri processi riproduttivi di stampa fino ai nostri giorni. Le prime riproduzioni meccaniche di illustrazioni vennero eseguite tramite blocchi di legno. Si tracciava il disegno sulla superficie piana di un blocco e poi si procedeva all’esportazione del legno intorno ai tratti disegnati. L’immagine a rilievo risultante, veniva inchiostrata e premuta su una pergamena o carta per
ottenere la stampa. Questo procedimento poteva essere ripetuto più volte, in modo da ottenere numerose illustrazioni identiche da una sola matrice. Qualche volta si incideva su un’unica tavoletta un’intera pagina di libro, formata da testo e illustrazione, creando i cosiddetti Libri xilografici. I testi erano semplici, piuttosto rozzi e destinati a un pubblico semianalfabeta. Il loro contenuto era spesso religioso, come nei più famosi esempi di questo tipo: la Biblia Pauperum e L’Ars moriendi. Alcuni celebri artisti che hanno utilizzato questa tecnica sono Albrecht Dürer, Werner Drewes, Dulah Marie Evans, Hiroshige, Hokusai, Baumann.
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Calcografia L’invenzione della stampa, alla fine del XV secolo, allargò ulteriormente il mercato del libro, che ora si avvaleva di incisioni su rame permettendo in questo modo al disegnatore di avere tratti più fini e dettagliati, nasce così la calcografia2. Nella calcografia, l’incisione era praticata su una lastra e l’inchiostro si depositava negli incavi, cioè nelle parti incise e non sulle parti a rilievo come nella xilografia. Con la pressione esercitata dal torchio, l’inchiostro che si trovava nelle parti scavate si trasferiva sul foglio. L’incisione poteva essere prodotta in modo diretto o manuale, e indiretto o chimico. Nel metodo diretto l’artista incideva direttamente la lastra di metallo con stru-
menti idonei a scalfire come il bulino3, nel metodo indiretto la lastra veniva preparata con sostanze coprenti in modo che il disegno scopriva solo le parti che le sostanze chimiche dovevano incidere, quindi era l’acido che incideva e non la mano dell’artista. Durante il XVI sec. sia i libri religiosi, come le cosiddette Bibbie dei poveri, sia quelli destinati al mercato privato si arricchirono di illustrazioni, che erano sempre stampate separatamente dal testo. Successivamente, per un paio di secoli, quest’arte conobbe un momento di declino, poi nel Settecento si affermarono la mezzatinta, raffinata forma di incisione su rame capace di riprodurre sottili gradazioni di
Nota 2: La parola calcografia deriva dal greco chalkos: rame e graphia: segno, scrittura.
A sinistra “Paradise Lost” di Gustave Dorè. In basso “TheVirgin with the Dragonfl” di Durer.
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Nota 3: sottile scalpello con punta in acciaio per incidere su metallo. A destra “San girolamo” di Durer.
Punta af filata
Lingua di gatto
Punta di diamante
Punta conica
In basso vari strumenti utilizzati per la xilografia.
chiaroscuro, e l’acquatinta, grazie alla quale si potevano ottenere effetti simili a quelli della pittura ad acquerello. La mezzatinta, inventata da Ludwig von Siegen nel XVII secolo, fu usata principalmente in Inghilterra nel XVIII secolo per produrre ritratti. Il foglio di rame era inciso in modo grezzo e uniforme con una lama a mezzaluna che invece di essere lineare aveva una serie di punte acuminate (chiamato rocker), che andavano a creare uno sfondo, e successivamente, sempre lavorando con questo tipo di lama, veniva creata l’immagine vera e propria, incidendo nuovamente nelle aree selezionate, creando anche sfumature, caratteristiche di questa tecnica. La matrice era pronta quando ogni spazio
era stato inciso, doveva quindi presentare uno sfondo puntellato e un’immagine composta anch’essa di piccoli punti più definiti. Il processo si basava sul portare quindi l’immagine dallo scuro (tratti superficiali) al chiaro (tratti profondi), potendo sperimentare una larga gamma di toni tra i due estremi. Le stampe con l’acquaforte sono generalmente molto lineari e spesso contengono dettagli rifiniti e contorni. La linea variava dal levigato all’abbozzo. L’acquaforte era l’opposto della xilografia dato che nell’acquaforte erano le fenditure a trattenere l’inchiostro e non le parti in rilievo. Nella tecnica pura, una placca di metallo veniva ricoperta con una sostanza a base di cera. L’artista poi
disegnava sulla superficie con un ago in metallo, togliendo in quel punto la copertura e quindi esponendo il metallo. La placca veniva quindi imbevuta in un bagno di acido. L’acido corrodeva il metallo, dove era esposto. Il processo di stampa finale era identico a quello incisorio. Verso la fine del secolo fu messa a punto una nuova tecnica di incisione su matrici in “legno di testa” molto più compatto, realizzata con il bulino e in grado di creare immagini molto delicate e spesso risultanti in chiaro su fondo scuro. Alcuni celebri artisti che hanno utilizzato questa tecnica sono William Blake, Albrecht Dürer, Andrea Mantegna, William Hogarth, Gustave Doré.
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Nota 4: La parola litografia deriva dal greco lithos: pietra e graphia: segno, scrittura. In basso “Gerusalemme liberata” di Giovan Battista Piazzetta. A destra “Marienpforte und Bamberger Reiter”.
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Litografia Assieme a queste tecniche di incisioni fu inventato, nel 1796 dal tedesco Aloys Senefelder a Monaco un metodo che permette di stampare con una matrice piana (planografico), senza cioè parti in incavo o a rilievo basato sulla repulsione tra sostanze grasse e l’acqua. Il sistema, prima fu chiamato “stampa chimica su pietra” e poi litografia4 che permetteva agli artisti di operare con maggior fluidità e libertà. Questa pietra, ricavata dalle cave di Solenhofen, veniva levigata e disegnata con una matita grassa e aveva la proprietà di trattenere nelle parti non disegnate un sottile velo di acqua. Si passava poi un velo d’inchiostro, che veniva respinto dalle parti inumi-
dite e trattenuto nella parti disegnate e al torchio il foglio di carta riceveva solo l’inchiostro depositato sulle parti disegnate. La semplicità del procedimento e la facile reperibilità della materia prima, favorì la rapida sostituzione della xilografia e dell’incisione nelle illustrazioni dei giornali e dei libri. La litografia riscosse immediatamente grande successo. Sin dai primi anni del 1800, tutti i grandi artisti si cimentarono con questa nuova tecnica. La xilografia comunque continuerà ad essere adoperata come mezzo espressivo. Fu una tecnica amata tra gli espressionisti. Agli inizi del 1800, Goffredo Eghelman realizzò la cromolitografia, la tecnica di stampa litografica a
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In basso torchi utilizzati per la calcografia, litografia e xilografia.
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più colori per selezione e per sovrapposizione. Infine verso la seconda metà dell’Ottocento si perfezionò la fotografia che fornì versatili mezzi fotomeccanici di riproduzione di un’illustrazione originale, indipendentemente dalla tecnica usata per la creazione. Secondo Walter Crane, nel suo libro “Of the decorativ illustration of books old and new”, la fotografia ha nella storia dell’arte del libro un’importanza quasi pari all’importanza della stampa. La riproduzione fotomeccanica risultò più vantaggiosa rispetto ai metodi manuali come la xilografia e l’acquaforte, inoltre il disegno poteva essere ingrandito o rimpicciolito e il processo poteva essere più veloce ed economico. Questo nuovo procedi-
mento aprì nuove possibilità di ottenere anche illustrazioni a colore. Presto si diffuse la cromolitografia, un processo di collaborazione tra un litografo e un fotografo, il primo curava la realizzazione delle lastre, una per ogni colore, separando i colori solo attraverso “l’occhio e la mano” esperta. L’applicazione pratica di questa separazione di colori si ebbe alla fine del secolo Ottocento. Il risultato del processo cromolitografico era quindi una stampa dai colori crudi, piatti, e la riproduzione di disegni con sfumature di tonalità delicate non fu possibile con questa tecnica. Essa divenne possibile solo con la stampa in tricromia o quadricromia con selezione fotomeccanica a retino.
1.2 XV / XVI secolo - Tipografie Nota 5: Questo definisce un documento stampato con la tecnologia dei caratteri mobili e realizzato tra la metà del XV secolo e l’anno 1500. La definizione di incunabolo deriva dal latino significa “in culla”.
L
a storia del libro stampato ha inizio nel XV secolo con l’invenzione dei caratteri mobili e le prime stampe di Gutemberg che intuì la possibilità di pubblicare un certo numero di copie (tirature) della stessa opera utilizzando l’alfabeto mobile. Tra il 1430 e il 1450 stampò la Bibbia a 42 linee considerata il primo libro stampato con caratteri mobili uscito da un torchio. Il primo libro illustrato con testo stampato in carattere tipografico mobili fu probabilmente “L’edelstein” di Ulrich Boner, prodotto dallo stampa-
tore tedesco Albrecht Pfister di Bamberga, nel 1461. In Italia il primo libro con xilografie fu le “Meditaciones” del cardinale Turrecremata. In questo incunabolo5 mancava il frontespizio, e l’impostazione generale tra illustrazione e testo è simile a quello dei manoscritti. La stampa si sviluppò così rapidamente grazie anche alla produzione della carta il cui costo decisamente inferiore a quello della pergamena fece abbassare notevolmente i costi di produzione; inoltre il progresso delle tecniche di fusione dei metalli
In basso una foto che rappresenta i caratteri mobili di Gutemperg
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aiutò notevolmente l’editoria. Alla stampa realizzata con matrici xilografiche si affiancò la fusione di caratteri alfabetici sempre più precisi realizzati in metallo; si diffuse l’inserimento nei libri di opere d’arte incise su lastre metalliche con la tecnica dell’acquaforte (Albert Durer) e anche il torchio si potenziò sostituendo alcune parti in legno soggette ad usura con parti metalliche. Per tutta una serie di circostanze nel 1465 arrivarono in Italia i caratteri mobili importati da due stampatori di Magonza; essi arrivarono al cenobio benedettino di S.Scolastica a Subiaco dove allestirono una tipografia stampando poco dopo, in 300 copie, una versione della grammatica latina del Donato. Questo libro, uscito
nel 1464, con il titolo “Donatus pro Puerulis” è considerato il primo libro stampato in Italia. L’arte della stampa si diffuse rapidamente in Italia presso le università e le comunità religiose; queste ultime usarono la stampa come mezzo di diffusione del cattolicesimo supportando i testi con stampe ad acquaforte di effige religiose. In Italia alcune città diventarono centri importanti per la stampa: Milano, Venezia, Padova, Verona, Brescia, Bologna, Firenze, Roma, Montecassino e Soncino. In pochi decenni l’Italia conquistò una superiorità nel campo tipografico e la tecnica tedesca si sposò con la cultura classica e artistica italiana. Tra gli artisti che si occuparono dell’invenzione di nuovi alfabe-
Al di sotto una pagina della Bibbia di Gutenberg.
ti studiando il lapidario romano o studiando una ridefinizione ridisegnata degli alfabeti degli antichi manoscritti, ricordiamo Luca Pacioli, Feliciano, Leon Battista Alberti, Moylus. Grazie alla loro opera nacquero nuovi caratteri più leggibili ed eleganti che sostituirono gli aspri caratteri gotici difficili da leggere. Nel 1469 a Venezia, Giovanni Da Spira, pubblicò “Le epistolae ad familiares” di Cicerone e sempre nello stesso anno “La storia naturale” di Plinio il Vecchio. Vindelino Da Spira succeduto al fratello Giovanni nella tipografia tra il 1470 e il 1477 pubblicò diciassette opere comprendenti i classici della letteratura latina come: Virgilio, San Lustio e alcune opere di poeti italiani come il Canzonie-
re del Petrarca e la Divina Commedia di Dante Alighieri. Il libri usciti dalla tipografia veneziana dei fratelli Da Spira sono stampati con un bellissimo carattere rotondo classico ricavato da antichi manoscritti. La veste dei libri di questo periodo è simile a quella dei codici pur essendo più economica; il formato era quasi sempre in folio mancava in genere del frontespizio però riportavano l’insegna6 dello stampatore e il colophon riportava il nome dell’autore, dello stampatore, il luogo e l’anno di stampa. La legatura dei primi libri a stampa era più sobria e inizia ad essere un elemento decorativo che distingueva l’editore o il proprietario del libro stesso che personalizzava così la propria biblioteca.
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Nota6: dal latino insigne ed è logo del tipografo.
A destra una pagina de “La storia naturale” di Plinio il vecchio. In basso “l’Hypnerotomachia Poliphili” di Francesco Colonna, illustrazioni dell’edizione di Manuzi
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L’arte tipografica veneziana nel XV secolo si diffuse grazie ad Aldo Manuzio, uomo di grande cultura umanistica, conoscitore della lingua greca e latina e studioso delle opere dei filosofi greci. A Venezia fondò un’officina impressoria con lo scopo di divulgare la cultura umanistica progettando e ridisegnando le lettere dell’alfabeto greco. Egli stampò molte opere in latino e italiane e L’Hypnerotomachia Poliphili di Francesco Colonna, famoso più per le magnifiche illustrazioni che per il testo e stampato in volgare nel 1499 e ritenuto il più bel libro illustrato del Rinascimento italiano. Narrava, in due parti, le vicende di Polifilo innamorata di Polia. Le figure sono state attribuite di volta in volta a Raffaello, a Bel-
lini, a Mantegna, proprio per la loro diversità stilistica degli intagli. Nei primi anni del 1500 si moltiplicarono le tipografie e Venezia divenne la seconda città italiana per importanza nell’arte della stampa. Il primo testo ad avere stampe realizzate con incisioni su rame fu il “De Casibus Virorum Illustrium” (Le sventure degli uomini illustri) di Giovanni Boccaccio. Uno dei più bei libri antichi con illustrazioni fu la Divina Commedia (1481) di Dante Alighieri, con incisioni di Baccio Baldini tratte da disegni di Sandro Botticelli. Si è calcolato che nel periodo degli incunabula circa un terzo di tutti i libri stampati fosse illustrato e che alcuni tra i massimi artisti europei del rinascimento fossero anche illustratori. Nel
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XVI secolo, con la diffusione della stampa, i libri illustrati proliferarono, arricchendosi di motivi ornamentali come camei, fregi, cornici. Tra gli esempi più significativi vi furono: in Italia, l’edizione di Gabriele Giolito delle opere di Petrarca (1544) e le Cento favole di Giovanni Verdizzotti (1570); in Germania, l’erbario di Otto Brunfels (1530), probabilmente il primo testo che riporti il nome dell’illustratore (Hans Weiditz), la Bibbia di Martin Lutero (1534), illustrata da Lucas Cranach, nei Paesi Bassi, una Bibbia (1528), illustrata da Jan Swart e Luca di Leida; in Francia, un Libro d’ore (1525), illustrato da Geoffroy Tory, e L’apocalypse figurée (L’Apocalisse illustrata, 1561), con incisioni
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di Jean Duvet; in Inghilterra un’edizione di Vesalio (1545), illustrata da Geminus, e il Book of Martyrs (Libro dei martiri) di Foxe, pubblicato dallo stampatore John Day nel 1563.
A sinistra illustrazione che rappresenta Aldo Manuzio. In alto illustrazione di Baccio Caldini sulla “Divina Commedia”.
XVII / XVIII secolo William Blake, poeta, pittore e incisore inglese, compose illustrazioni a colori per le proprie raccolte di versi, a partire dai Canti dell’innocenza del 1789. Lo stile era ispirato a quello dei libri xilografici del XV secolo. Il più importante libro illustrato inglese prodotto nel Seicento fu “l’Esopo poliglotta”, illustrato da Francis Barlow nel 1666, che risentì dell’influenza olandese. L’arte dell’illustrazione dei libri entrò in declino nel XVII secolo, quando il fulcro della produ-
zione libraria si spostò dall’illustrazione alla tipografia e alla decorazione. Vennero comunque prodotti alcuni libri notevoli, soprattutto in Francia. Nel Seicento i Paesi Bassi si erano infatti affermati come uno dei centri editoriali europei di maggiore rilievo. Nel Settecento la Francia fu al centro del mondo dell’illustrazione, con testi come “le Fiabe” nel 1755 di Jean de La Fontaine, illustrate da Jean-Baptiste Oudry. Nel 1762 apparve l’edizione dei “Racconti” di La Fontaine, illustrata da Pierre Choffard e Charles Eisen, mentre quella che reca la firma di Jean-Honoré Fragonard porta la data del 1795. Tra i più interessanti libri illustrati inglesi del Settecento ci sono un “Esopo” (1722), con incisio-
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Illustrazione della poesia disegnata da Blake stesso intitolato “L’agnello”.
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ni di Samuel Croxall; “le Poesie” nel 1753 di Thomas Gray, illustrati da Richard Bentley; e “Anatomia del cavallo” nel 1766, illustrata da George Stubbs. L’artista tedesco Daniel Chodowiecki illustrò “La vita e le opinioni” di Tristram Shandy e di Laurence Sterne, e produsse varie altre opere nella sua patria d’origine. Nell’ultima parte del Settecento, le figure di maggior rilievo tra gli illustratori furono Thomas Bewick, che riprese e perfezionò l’incisione su legno e l’applicò, restando nel bianco e nero, nell’ambito dell’illustrazione di fiabe, e il poeta e artista William Blake di cui abbiamo accennato qualche rigo sopra. Nell’Italia settecentesca si distinsero vari centri di produzione: Venezia, specializzata
nella stampa di classici letterari, produsse opere come “la Gerusalemme liberata” di Torquato Tasso, illustrata da Giovanni Battista Piazzetta (1745); a Ferrara si produsse “l’Orlando Furioso” di “Ariosto” con un frontespizio pieno di trofei, armi e centauri marini firmata dal pittore di Nanto, allievo di Tiziano; a Parma operò il grande tipografo Giovan Battista Bodoni; e a Roma, dove Giovanni Battista Piranesi pubblicò le famose tavole delle “Antichità romane” (1756) e delle “Carceri d’invenzione”(1760-61).Un’altra opera di grande importanza, “Le antichità di Ercolano” esposte a Napoli (1757-1792), illustrata da Pozzi, Vanni e La Vega, contribuì a diffondere le scoperte dei nuovi scavi e un rinnovato interes-
se per l’antico. In Giappone, al volgere del Settecento, gli artisti illustravano i libri con xilografie a colori di uccelli, fiori e scene di genere, come quelle di Shigemasa (Lo specchio delle belle donne, 1776), Masanobu Kitao (Yoshiwara, 1784), e Utamaro (Il libro degli uccelli, 1791). XIX / XX secolo Nell’Ottocento l’illustrazione tornò a fiorire, soprattutto in Gran Bretagna. Agli inizi del secolo l’editore londinese Rudolph Ackermann produsse un gran numero di opere sulla topografia e l’architettura inglese, con acquetinte colorate a mano eseguite da illustratori di rilievo come Thomas Rowlandson. Il grande paesaggista J.M.W. Turner illustrò
alcuni libri, come “Italy” (1830); George Cruikshank, Hablot K. Browne (più noto con lo pseudonimo di ‘Phiz’) e John Leech crearono famose illustrazioni per i romanzi di Charles Dickens. Nel 1860 la famiglia di incisori su legno Dalziel creò splendidi libri illustrati da artisti contemporanei come Charles Keene, John Everett Millais e Miles Birket Foster. La presenza di marcati elementi decorativi contraddistinse le opere di Aubrey Beardsley, che illustrò “la Salomè” (1894) di Oscar Wilde, e di Edward Burne-Jones, illustratore della Kelmscott Press, la casa editrice fondata dal pittore, scrittore e designer inglese William Morris, verso la fine dell’ottocento in collaborazione con In alto una pagina delle “Cento favole” di Verdizzotti e “L’apocalypse figurée” di Jean Duvet.
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In alto Burne-Jones: Kelmscott Chaucer.
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Walker, esperto di tipografia. Questa casa editrice pubblicò libri disegnati da artisti e ornati con incisioni xilografiche elaborate. A parte quelle realizzate da Morris stesso, la maggior parte delle illustrazioni delle edizioni della Kelmscott Press sono di Edward Burne-Jone che elaborò ben ottantasette disegni per “I Racconti di Canterbury” di Geoffrey Chaucer. Le opere di William Nicholson (London Types, 1898) anticiparono invece il libro illustrato per bambini del XX secolo. Tra gli artisti francesi ottocenteschi che si occuparono di illustrazioni vi furono Eugène Delacroix, Honoré Daumier, Gustave Doré, Grandville, Paul Gavarni, Edouard Manet e Henri de Toulouse-Lautrec. In
Italia si diffusero le pubblicazioni a carattere didattico e geografico, affiancate da testi illustrati come il “Viaggio romantico pittorico delle province occidentali” (Torino, 1824-1834). Di sapore romantico erano anche le litografie di Francesco Hayez per “l’Ivanhoe” di Walter Scott (1822) e le illustrazioni dei primi romanzi storici italiani, tra cui si ricorda l’edizione del 1840 dei “Promessi sposi” di Alessandro Manzoni, corredata da numerose vignette xilografiche di Francesco Gonin. Nel 1875 l’editore Treves fondò la rivista settimanale “Nuova Illustrazione Universale”, che due anni dopo diventò “L’Illustrazione italiana”, prototipo degli odierni periodici di informazione e costume. Il periodico ebbe un grande
In basso “la Gerusalemme liberata” di Torquato Tasso, illustrata da Giovanni Battista Piazzetta.
successo grazie all’accuratezza della veste grafica, arricchita da numerose immagini, e a collaboratori d’eccezione come Verga, Pascoli, Carducci, Fogazzaro, De Amicis, Deledda, D’Annunzio, Gozzano, Moretti e Cecchi. Quando la casa editrice di Treves fu costretta a chiudere nel 1938 in seguito alla pubblicazione delle leggi razziali, la rivista passò alla Garzanti, che ne curò la pubblicazione fino al 1962, trasformandola in mensile. In Giappone la tradizione di incisioni su legno colorate raffiguranti scene di genere fu proseguita da maestri della scuola Ukiyo-e, come Hokusai e Hiroshige. I più importanti libri illustrati degli inizi del XX secolo vennero realizzati in Francia. Il mercan-
te d’arte ed editore Ambroise Vollard commissionò illustrazioni ad artisti di fama come Pierre Bonnard, Marc Chagall, André Derain, Raoul Dufy, Marie Laurencin, Aristide Maillol, Henri Matisse, Pablo Picasso, Georges Rouault e Maurice de Vlaminck. In Germania si interessarono alla grafica soprattutto gli artisti del gruppo Die Brücke, che riportarono in voga la tecnica xilografica. In Italia, nel Novecento si andarono affermando con sempre maggior successo i periodici illustrati, tra i quali si possono citare “Emporium” “L’arte decorativa moderna” e “L’Italia che ride”, oltre alle riviste futuriste come “Lacerba”, “Il Selvaggio” e “Strapaese” di Maccari, durante il periodo fascista. Dopo la
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In basso un’illustrazione di Francesco Gonin de “I proamessi sposi”. Accanto “l’Ivanohe” illustrato da Francesco Hayez. A destra illustrazioone di “Oliver Twist” di George Cruikshank.
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guerra sono stati pubblicati numerosi libri d’artista, firmati da maestri come Massimo Campigli, Filippo de Pisis, Giorgio de Chirico. La prima metà del Novecento può essere considerato il periodo dell’ultima grande fioritura del libro illustrato, gradualmente soppiantata dalla fotografia, sebbene alcuni contributi importanti si ebbero an-
che dopo il 1950. Oltreoceano, si dedicarono all’illustrazione l’artista americano Ben Shahn, negli ultimi anni della sua carriera (illustrò, ad esempio, Una pernice su un albero di pero, 1959), e lo stampatore Fritz Eichenberg, che lavorò alle edizioni delle opere di scrittori come Emily Brontë, William Shakespeare e Fëdor Dostoevskij.
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Cos’è l’illustrazione A sinistra “Lettere fra i lacci” di Marina Marcolin.
N
on è facile dare una definizione precisa del termine illustrazione. In senso letterale, sul dizionario, questa parola viene definita come un disegno, una figura o una fotografia che ha il compito di spiegare un testo, illustrare, cioè mettere in luce, il significato di un testo, o ha uno scopo decorativo. Ma credo che tutto ciò sia un po’ riduttivo. Un’illustrazione è qualcosa di più complesso, è un elemento visivo che racchiude in sé il senso di ciò che stiamo guardando e che, quando può, va anche oltre le parole scritte.
L’immagine spesso viene considerata di secondaria importanza rispetto al testo, un ornamento al testo ma in realtà cammina a braccetto con esso esaltandone sensi espliciti o nascosti per renderlo più chiaro e appetibile. L’illustrazione, quindi, per essere definita tale, deve essere narrativa, cioè, da sola o insieme ad altre tavole deve raccontare una storia, deve far venir voglia di chiedersi: Cosa sta accadendo? Perché quel personaggio si comporta in un dato modo? Dove sta andando? Deve suscitare curiosità per legare in maniera indissolubile il
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lettore e immergerlo in mondi nuovi. Per realizzare un’illustrazione, anche la più semplice, ci vuole un grande lavoro di sintesi, ciò non vuol dire che l’immagine stilisticamente debba essere sintetica, può anche essere ricca di elementi descrittivi, ma essa, da sola, può sintetizzare una porzione di testo, o un concetto della storia. Se prendiamo come esempio i libri di Leo Lionni notiamo che non sempre egli realizza in maniera realistica esseri umani o animali, ma la loro essenza. È fantastico vedere come con dei “semplici” pezzettini di carta colorati lui riesca a trattare temi importanti come la diversità (Piccolo blu e piccolo giallo - Babalibri) e la coscienza di se stessi (Pezzettino - Babalibri).
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Egli crea degli albi illustrati con pochi elementi ma che hanno una forza comunicativa dirompente. I libri illustrati non sono solo per l’infanzia, ogni libro (o quasi) racchiude una molteplicità di messaggi, e anche il libro considerato per “bambini” vuol mandare un messaggio al genitore, o all’adulto, che lo sta leggendo. Allo stesso modo ci sono libri illustrati prettamente per adulti, che possono far crescere i bambini se accompagnati a una lettura insieme ai genitori e possono fargli superare paure senza farli vivere in una campana di vetro. The PictureBook L’albo illustrato o PictureBook è una forma originalissima della letteratura per l’infanzia, desti-
nato originariamente al bambino che non sa leggere o ha solo i primi rudimenti di lettura e appartiene a quella sottocategoria di letteratura per l’infanzia che Silvia Blezza Picherle e Luca Ganzerla chiamano “narrativa illustrata o letteratura a colori”. Oggi questa “forma narrativa”, come la definisce Marcella Terrusi non è più riservata solo all’infanzia ma si rivolge anche a ragazzi adolescenti e adulti. L’argomento centrale di questo lavoro di ricerca è l’albo illustrato nel suo rapporto con l’infanzia, nella sua definizione, nella sua caratterizzazione e sua classificazione. A livello internazionale il termine che indica questo prodotto-libro è dato dall’inglese picture-book, in italiano questo stesso prodotto ha
vari termini usati sia nella lingua comune come negli ambienti dove viene analizzato: libro illustrato, libro con immagini, libri di figure, libro con le figure, albo illustrato. Però il termine più usato è quello di libro con figure per la categoria di libri con immagini e albo illustrato per quel libro che tramite la combinazione di immagini e testo narra una storia. L’albo illustrato deriva dal francese “album mutuato”, dall’espressione latina coniata in Germania “album amicorum”. In ambiente scientifico francese il termine più usato è proprio album o album pour jeunesse, mentre nel linguaggio comune che in quello professione si predilige il termine livre d’images. La terminologia in ambiente anglosassone, come già In alto copertina di “Il piccolo blu e piccolo giallo” e “Pezzettino” di Leo Lionni.
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accennato, è decisamente più precisa ed univoca; vengono infatti identificate tre categorie importanti di libri illustrati o libri con immagini: illustrated book, picturebook e wordless picturebook. Le tre categorie raggruppano tre tipi diversi di prodotto-libro, ma anche tre modi diversi di interazione tra testo e immagine: nell’illustrated book le immagini sono accessorie e non sono indispensabili per comprendere il testo; nel picturebook la narrazione è creata e trasmessa attraverso l’interazione coordinata e armonizzata di testo e immagini che diventano indissolubili. Nel wordless picturebook la narrazione è affidata esclusivamente ad immagini. Tra gli studiosi italiani, Blezza Picherle e Valentino Merletti,
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Nota 7: Silvia Blezza Pincherle “Di fronte alle figure” in Pepe verde. In alto “Federico” di Leo Lionni. In basso illustrazione “Tweeting 2” di Maria Carluccio.
cercano di dare una definizione all’albo illustrato.Per la Picherle7: “Le parole albo (che deriva dal francese album), albo illustrato e “libro di figure” definiscono di solito un libro con sole immagini o con immagini cui si affianca un testo scritto, costituito da poche parole e frasi, oppure da una brevissima storia. Quando si passa a racconti lunghi, più ampi e più articolati sotto il profilo testuale, allora si preferisce ricorrere a termini quali libro illustrato o “libro con le figure”. Tuttavia oggi è convenzionalmente accettata anche l’adozione della parola “albo” per definire qualsiasi libro che abbia molte figure.” Dalle parole della studiosa si capisce il ruolo secondario che il testo assume nei confronti delle immagini. Altri studiosi danno un’interpretazione che si discosta abbastanza da tale convin-
zione e sostengono il gran valore che anche il testo assume. Tra essi quello che ha detto la Merletti8: “I primi libri che si leggono ai bambini o con I bambini, sono gli albi illustrati che contengono ― o così dovrebbero ― una bella storia, tratta dal repertorio delle fiabe della tradizione o inventata da autori contemporanei e non, in chiave realistica o fantastica. […] l’albo illustrato. Si definisce così infatti un tipo di libro che ha come caratteristica fondamentale e unificante il rapporto di interdipendenza tra testo e immagine.” Una descrizione che sottolinea chi sono i destinatari principali dell’albo illustrato, la presenza di una “bella storia” e l’interdipendenza che si stabilisce tra testo e immagini. Marcella Terrusi da un’interpretazione di albo illustrato più
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Nota 8: Rita Valentino Merletti “Leggere ad alta voce” Milano, Mondadori 1996 pp.116/117)
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aggiornata: “L’albo illustrato è un dispositivo dotato di sue specifiche caratteristiche morfologiche e funzionali, dove confluiscono i linguaggi della scrittura e dell’illustrazione, competenze progettuali, metafore e visioni del mondo, energie che insieme concorrono alla produzione di un oggetto fisico. Il racconto si sviluppa negli albi principalmente grazie al rapporto dialettico fra parole e immagini; si parla a questo proposito specificatamente di un «iconotesto», cioè di un codice composito verbo-visuale.” Qui l’autrice sottolinea il rapporto dialettico che esiste tra testo e immagine. Tra le caratteristiche principali dell’albo c’è il rapporto d’interdipendenza tra testo e immagini, tra codice verbale e codice iconografico, tra parole e figure. Inoltre esso è anche un libro che sorprende e mera-
viglia, è un’arte che attraverso varie fasi coinvolge non solo l’autore e l’illustratore ma anche il graphic designer, l’editore e lo stampatore; tutti con lo stesso obiettivo di finire l’opera. Un’altra caratteristica dell’albo illustrato è il suo “destinatario”: il bambino in età prescolare. Chi crea un albo deve considerare il proprio destinatario la sua fase di sviluppo, la sua curiosità, la sua poca conoscenza del mondo e al tempo stesso il tuo desiderio di esplorarlo ecc. Inoltre chi si occupa di un albo illustrato dovrebbe individuare una storia da raccontare, dalla quale farsi coinvolgere, un mondo in cui il bambino riconoscerà e imparerà a nominare esperienze ed emozioni, farà nuove esperienze. Un’altra caratteristi-
ca da non trascurare dell’albo illustrato è che deve essere letto o raccontato al bambino da un adulto, che con la propria voce spiega un mondo, non solo visivo ma anche sonoro. L’adulto diviene la voce che accompagna il bambino, che racconta e spiega. “L’albo illustrato” afferma la scultrice, pittrice ed illustratrice di libri per bambini Kveta Pacovska, “è la prima galleria d’arte che il bambino visita”. È grazie alle immagini, inoltre, che il bambino riesce a seguire più agevolmente lo svolgimento della vicenda. In ultima analisi l’albo
illustrato è una raffinata forma artistica che vede confluire ed integrarsi codici e linguaggi diversi; un mezzo per veicolare le narrazioni che possono appartenere ai più diversi generi letterari; infine un affascinante strumento di attivazione della relazione tra adulto e bambino e nel bambino tra il mondo esterno e la sua interiorità.
A sinistra “Open Very Carefully” picturebook di Nicola O’Byrne’s.
2.1 Tipologie di albo illustrato
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ome abbiamo già menzionato precedentemente, in base al rapporto tra testo e immagini, l’albo si divide in tre tipologie: Illustrated book: il testo scritto è in grado di reggersi da solo in quanto narra in modo compiuto una storia, le immagini sono accessorie la narrazione può essere compresa anche senza la presenza delle figure.Un classico esempio sono le fiabe illustrate; Picturebook: la storia viene raccontata attraverso l’interazione tra codice verbale e quello
iconico, formando un insieme indivisibile, l’uno non può esistere senza l’altro; Wordless book/Silent book: la storia è raccontata solo attraverso le immagini. L’unica componente testuale è il titolo; La Picherle, fa due classificazioni diverse di albi illustrati. La prima, in base al rapporto tra testo e immagine distingue: albo con sole immagini, albo con breve testo scritto e albo con più testo scritto; La seconda classificazione si basa sul formato degli albi e li distingue in: Di piccolo formato: libricini adat-
Illustrazione di Sydney Smith.
ti alle manine dei più piccoli e sono destinati a storie di animaletti, hanno illustrazioni semplici ma ricche di particolari; Di grande formato: dove si raffigurano ambienti grandi e ricchi di particolari, creano una specie di effetto scenografico dove il supporto cartaceo diventa il palco dove si svolge la scena; Di formato diverso: sono quelli di formato diverso dallo standard, come ad esempio rettangolari o quadrati, quest’ultimo permette di raddoppiare le illustrazioni sulle due pagine aperte creando un effetto cinetico e a questo gruppo appartengono i libri sagomati, in forma di carta, libri puzzle ecc.; Molte altre sono le classificazioni di tipo editoriale che si possono individuare consultando
un catalogo di una casa editrice specializzata in libri per bambini o entrando in una libreria specializzata in letteratura per ragazzi, ma si tratta di classificazioni estremamente variabili e che generalmente riguardano la categoria più ampia dei libri per bambini e non specificatamente l’albo illustrato. Le sue caratteristiche I libri illustrati coprono una vasta gamma di argomenti e soggetti, sono scritti in versi e in prosa, possono essere illustrati con varie tipologie di mezzi, possono essere senza testo e la storia narrata solo attraverso le immagini. Tuttavia c’è una cosa che li accomuna: hanno un formato strutturato; i libri illustrati sono la categoria di libri per
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“Pool” illustrazione di Julie Paschkis.
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bambini più strutturata che esiste e possono essere catalogati in: Libri cartonati: sono destinati a lettori dai 0-2 anni; le loro pagine sono realizzate con un cartone più spesso e robusto per resistere all’usura delle mani e della bocca dei bambini. Sono
storie molto brevi e ogni pagina contiene poche parole o nessuna; Libri di concetto: essi introducono i bambini a tematiche come l’alfabeto, i numeri, i colori o le forme. Raccontano una storia o semplicemente spiegano il concetto dicendo “A come Ape”.
L’età a cui sono indirizzati va dai 2-8 anni; Prime letture: usano un numero limitato di parole per creare delle storie e sono strutturati come libri a capitoli più che libri illustrati e il loro scopo è di preparare e aiutare i nuovi lettori a leggere in autonomia. Sono indirizzati ai bambini dai 4-8 anni; Non-fiction: questo genere di libri si concentra su fatti reali e la storia deve aiutare il bambino a capire tematiche come la religione, storia, matematica ecc., indirizzato a bambini tra gli 4-8 anni; Libri senza testo: le storie sono raccontati dalle immagini che variano da semplici forme a complesse ed elaborate immagini. I bambini in età prescolare
possono usare le immagini per capire il significato delle situazioni;
In basso copertina “There” di un picturebook di un’artista irlandese, Marie-Louise Fitzpatrick.
I suoi codici educativi L’albo illustrato, come detto in precedenza, è una forma d’arte basata su due livelli di comunicazione: la comunicazione visiva, che ha la funzione di scrivere e la comunicazione verbale, che ha la funzione di narrare; esso ha anche una natura dinamica che si manifesta attraverso spazi bianchi da riempire dove agiscono l’azione interpretativa del lettore che viene coinvolto attivamente alla costruzione del significato del testo. L’albo illustrato è caratterizzato da sei codici comunicativi interconnessi tra di loro: Codice iconico: si riferisce all’uso
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A destra “I prelibri” di Munari. Al di sotto “I pisolini di Polly” di P. Newell.
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di immagini (illustrazioni, fotografie, simboli iconici ecc.) per descrivere un’azione, una situazione, uno stato d’animo; Codice verbale: si riferisce all’uso di parole, frasi, suoni onomatopeici, “silenzi testuali”, attraverso cui l’autore narra una storia; Codice grafico: indica gli elementi che compongono la pagina, come il registro grafico, l’orientamento delle immagini, la scelta del font e del formato. Un esempio è l’albo illustrato di Eric Carle “Il piccolo bruco Maisazio” che racconta le avventure di un giovane bruco che gioca e interagisce con i buchi e il formato delle pagine dell’albo; Codice tipografico: riferito alla scelta della carta, della forma, dell’applicazione degli altri
materiali dei libri (fustellature, applicazioni manuali di oggetti, della rilegatura, della cura e della qualità del processo di stampa). Un esempio è dato dai libri di Munari ripubblicati recentemente dalla casa editrice Corraini e che sono formati da una serie di dodici piccoli libri (10x10cm) dedicati ai bambini che non hanno ancora imparato a leggere e scrivere e disegnati per essere adattati alle loro mani usando vari tipi di materiali (carta, cartoncino, legno, plastica, ecc.), colori e rilegature (spago, rafia, spirale metallica); un altro esempio è rappresentato dall’albo “I pisolini di Polly” di P. Newell, sulle cui tavole illustrate, pubblicate originariamente fra il 1906 e il 1907, la casa editrice Orecchio
Acerbo, ha fatto un lavoro di restauro trasformandolo in un albo di 10 x10 cm, più maneggevole per le mani dei piccoli; Codice del mediatore e della modalità di lettura: indica la relazione a tre tra bambino, libro e adulto, dove l’adulto è il mediatore e ha il compito di sollecitare un incontro positivo tra lettore e libro; questo mediatore può essere un genitore, un insegnante; Codice relazionale: si riferisce alle scelte che l’autore/ illustratore usa per dialogare con il lettore, per attrarlo nella narrazione; Le sue valenze educative La lettura per l’infanzia, da sempre, svolge un ruolo importante nello sviluppo del bambino perché, attraverso la narrazione, lo educa. Negli albi illustrati per
l’infanzia, la valenza educativa del libro si amplia ulteriormente in quanto le illustrazioni, più che le parole, tendono a depositarsi col tempo nella memoria di un bambino. Questo lo si può capire da quello che ha affermato Farnè9: “Le illustrazioni costituiscono un’esperienza di “lettura parallela” a quella del testo scritto, ovviamente diversa da questo per il linguaggio utilizzato, ma altrettanto importante dal punto di vista dei possibili esiti educativi. In molto casi sono proprio le figure più che le parole a depositarsi col tempo nella memoria di un bambino, come segni indelebili di una lettura di cui quelle immagini sono autentici emblemi.” Quindi le immagini in un albo illustrato costruiscono uno spazio condiviso e di libera discussione, dove i bambini, anche quelli più
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Nota 9: Farnè R., Iconologia didattica. Le immagini per l’educazione: dall’Orbis Pictus a Sesame Street, Bologna, Zanichelli, 2002, p. 115.) In basso e a destra “Lettere fra i lacci” di Marina Marcolin.
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piccoli o con difficoltà nella lettura o nell’apprendimento possono accedervi grazie alla presenza del linguaggio visivo. Per interpretare le sequenze visive e narrative dell’albo i bambini attingono alle loro conoscenze e esperienze e apprendono che i ricordi visivi possono essere una risorsa per ricercare similitudini, differenze, o dare significati. Attraverso la lettura interpretativa i bambini arricchiscono il loro bagaglio di emozioni, conoscenze ed estetiche e sono stimolati a ricercare, come sostiene, Eco, il “non detto”, il “ non manifesto in superficie, a livello di espressione”. Alcuni studiosi hanno una posizione negativa riguardo all’utilità delle illustrazioni, tra questi c’è Bruno Bettelheim che afferma che
le illustrazioni impoveriscono e banalizzano il messaggio della fiaba, mentre la comunicazione orale e il racconto della fiaba opera sul bambino un’influenza pedagogica e psicologica di tipo liberatorio. Per lui le immagini possono servire per visualizzare ciò che è descritto nel testo e dare concretezza al linguaggio scritto, oppure possono dare al testo un quadro di riferimento, chiarire il contesto e produrre una visione d’insieme. La maggioranza dei pedagogisti proclama l’utilità delle illustrazioni. Comenio, Dallari, Lodi condividono l’opinione secondo la quale, per i bambini che non sanno leggere e scrivere, le immagini svolgono un ruolo formativo culturale preminente che, se viene progressivamente
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Accanto illustrazione di Suzy Lee dell’albo “Le onde”. A destra e nella pagina successiva “The rainbow garden is my friends”.
educato, non si perde negli anni a venire con la conquista dell’alfabetizzazione ma si trasforma correlandosi ai vari livelli con l’esercizio della lettura. Farné, nel suo libro Iconologia Didattica (2003), cita uno scrittore che ha dato un grande contributo alla ricerca, Antonio Faeti, a cui va il merito di aver indagato con rigore pedagogico i territori per lo più inesplorati di un iconografia per l’infanzia troppo a lungo trascurata e condannata,
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dalle categorie dell’idealismo, a una inesorabile minorità estetica e didattica. Per Farné le figure che riempiono le pagine di un libro per bambini non vanno considerate come una mera appendice figurativa al testo ma rappresentano un’esperienza di “lettura parallela”, importante dal punto di vista educativo. In molti casi sono proprio le figure più che le parole a depositarsi col tempo nella memoria di un bambino.
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Illustrazione per l’infanzia
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La storia
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aola Pallottino, nel suo libro “Storia dell’illustrazione italiana”, ricerca una definizione al termine illustrazione. La studiosa premette che per illustrazione intende “ogni multiplo ottenuto tramite la riproduzione a stampa di un artefatto di natura grafico-pittorica, commissionato dall’industria editoriale”, quindi, si tratta di un prodotto che può essere ripetuto e che si serve di un codice di tipo iconico. Per lei il termine deriva dal latino “illustris”, illustre vuol dire: rendere chiaro, rendere glorioso, dichiarare, commentare e descrivere
corredare di figure un testo per agevolarne la comprensione e renderlo più attraente. L’illustrazione quindi illumina una parte di testo, la amplifica, la rende visibile nei dettagli e crea un altro testo, diverso, in grado di rafforzare od opporsi al testo narrativo. L’illustrazione è infatti una narrazione, che si rende visibile, ed è un’opera sociale in quanto nasce per un pubblico. L’incontro ufficiale tra l’illustrazione e il mondo dell’infanzia è avvenuto nel 1658, quando il teologo e pedagogista boema Giovanni Amos Comenius,
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aveva pubblicato a Norimberga un libro di nomenclature ricchissimo di illustrazioni intitolato “Orbis sensualium pictus” (Il mondo figurato delle cose sensibili), considerato il primo libro illustrato per bambini. In quest’opera raccontò il mondo ai bambini suddividendolo in 150 argomenti corredati da altrettante immagini create con la tecnica dell’ incisione. Le figure dominavano rispetto al testo scritto, per spazio nella pagina, ed erano accompagnate da didascalie in latino e tedesco che riportavano nomenclatura e informazioni sugli oggetti rappresentati. Come precisò lo stesso autore, infatti un buon libro per bambini: “[…] avrà tre scopi fondamentali: rafforzare le impressioni delle cose come già si è detto,
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invogliare le menti ancora tenere a cerare cose piacevoli in altri libri, far imparare a leggere più facilmente. Poiché infatti le singole immagini avranno scritto sopra i rispettivi nomi, potrà di qui cominciare l’insegnamento della lettura.” Comenio pose così le basi allo sviluppo futuro di alcune caratteristiche dell’albo illustrato e il suo libro “Orbis Pictus” fu uno strumento rivolto in primo luogo ai sensi dei bambini secondo la convinzione che essi debbano vedere direttamente e con i propri occhi le cose. Dopo Comenio, i libri per l’infanzia ebbero la stessa importanza dei libri stessi nel momento in cui John Newbery iniziò a pubblicare i primi libri per l’infanzia. “A little Pretty Pocket-Book” di Newbery, un misto di poesie, imma-
gini, storie e proverbi per i più piccoli, fu pubblicato in Inghilterra nel 1744. Fino a quel momento circolavano alcune copie illustrate delle “Favole” di Esopo del 1489, mentre la collezione di “Fiabe” di Charles Perrault fu pubblicata in Francia nel 1697. Verso la fine del XVIII secolo, l’idea del libro illustrato per bambini, si era strutturata ed alcuni artisti erano diventati famosi mentre altri si nascondevano dietro pseudonimi del tipo “dall’autore di …” o “da una signora”. Questi libri enfatizzavano questioni religiose e morali o comportamenti sociali che erano visti e considerati come una chiave per la prosperità. Infatti, quando pensiamo al moderno libro destinato ai bambini, è il nome dell’artista
che spicca rispetto a quello dell’autore, anche se in molti casi questi coincidono. Solitamente ci riferiamo ai libri di Sendak o di Wildsmith noti per il nome dell’illustratore piuttosto per il nome di chi lo ha scritto. Nel XIX secolo, lo scenario cambia e tra i testi ricordiamo: The book of nonsense di Lears, Alice nel paese delle meraviglie di Carroll in Inghilterra, e L’Isola del tesoro di Stevenson in Scozia. La Danimarca celebra le Fiabe di Christian Andersen, mentre in Italia il Pinocchio di Collodi allietava le giornate dei più piccoli. Negli Stati Uniti le Avventure di Huckleberry Finn di Mark Twain, all’inizio scritto per un pubblico adulto, fu poi destinato ad uno più giovane mentre Moore scriveva “A visit
In un’illustrazione di Philip Giordano, “Retail news”. A sinistra illustrazione di Philip Giordano, “Marine life”.
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from St. Nicholas” solo per bambini. Come detto inizialmente nel capitolo dedicato alla Storia dell’illustrazione, i vari metodi utilizzati per i libri illustrati erano la xilografia, la lamina intagliata e la litografia utilizzata nel XVIII secolo anche per i libri per bambini. Quest’ultima aveva gli stessi svantaggi dell’incisione sul legno avendo la necessità di un processo di stampa
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separato da quello del testo. Inoltre i libri illustrati con il metodo della litografia erano molto costosi e avevano meno illustrazioni. Ma nel 1830 Thomas Bewick apportò delle migliorie nel metodo di incisione facendo dimenticare gli svantaggi dei processi precedenti e il suo metodo divenne il più diffuso tra i libri per bambini. Le migliori illustrazioni però restavano non
In alto la prima edizione del libro “Huckleberry Finn” di Mark Twain. A destra illustrazione di Bentley-afterJonathan Bentley, “Little big”.
colorate anche se i libri venivano pubblicati in due versioni: una semplice e una colorata; quest’ultima era realizzata a mano – almeno per i libri per bambini. I colori iniziarono a diffondersi a partire dal 1850, soprattutto nei “Toy books”. I toy books furono introdotti nella seconda metà del XIX secolo, piccoli volumi in brossura dove la parte visuale dominava sul testo e la proporzione delle immagini rispetto al testo era maggiore e molte di queste erano a colori. I volumi più interessanti di questo genere furono realizzati dagli inglesi Caldecott, Crane e Greenaway che con il supporto di Evans avevano prodotto una serie di volumi di qualità. Caldecott fu considerato uno dei
padri dell’albo moderno. A lui è dedicato un premio che riguarda il picturebook contemporaneo: la Caldecott Medal, attribuita dai bibliotecari americani al migliore albo illustrato dei migliori anni. Per Greenaway i suoi soggetti sono bambini con costumi creati da lei stessa che esprimono la pace di un luogo utopico danzando e saltando. Walter Crane è stato uno dei pilastri storici dell’illustrazione inglese del diciannovesimo secolo. Era sia pittore sia illustratore, anche se era maggiormente conosciuto per la seconda attività e i suoi disegni furono ammirati su libri, piastrelle in ceramica e altri tipi di decorazione. Ha illustrato moltissime fiabe tutt’oggi famose, tra cui La bella e la Bestia, Cappuccetto
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In alto “The tale of Peter Rabbit” di Beatrix Potter. A destra “The dog that Nino didn’t have” illustrato da Anton Van Hertbruggen.
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Rosso, Il gatto con gli stivali, La bella Addormentata nel bosco. Ebbe una passione per lo studio delle stampe giapponesi che si tradusse in una serie di libri illustrati che ne riprendevano la complessità; diede così inizio ad una vera e propria moda. All’inizio del nuovo secolo (1900) nacque un libretto pensato per i bambini in un formato piccolo, una o due brevi frasi che accompagnavano l’illustrazione, scritto e illustrato da Beatrix Potter: “The tale of Peter Rabbit”. La passione per la natura, per gli animali, e per la pittura (in particolare ad acquerello) furono il tema conduttore della vita di Potter fin dall’infanzia, e si riflettono nelle sue opere letterarie. Tra il XIX e il XX secolo un gruppo di artisti
americani e inglesi si guadagnavano da vivere illustrando libri per bambini: Rose O’Neil, Arthur Rackhman, Willy Pogany, Edmund Dulac, Charles Robinson avevano realizzato volumi di otto/dodici pagine che avevano immagini ed illustrazioni oppure lastre che accompagnavano il classico story book per bambini. Nel 1873 a New York uscì il primo giornale dedicato ai bambini che conteneva storie, poemi, immagini, vignette umoristiche, puzzle e giochi: St. Nicholas Magazine. Questo magazine fu pubblicato da Mary Dodge e divenne un punto di riferimento dove venivano ridisegnate le storie di importanti scrittori come Louisa May Alcott. St. Nicholas fu il precursore dell’editoria per ragazzi an-
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Nota 10: si basa sullo stesso principio della litorafia, anzichè stampare il foglio a contatto diretto con la pietra o la lastra di zinco, la stampa avviene attraverso l’uso di tre cilindri a contatto tra loro.
A sinistra “Histoire de Babar Le petit elephant Bar” illustrato da Brunoff. In basso la copertina della rivista “St. Nicholas Magazine”.
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che se fu solo nel 1919 che Macmillan aprì il primo bookstore dedicato ai bambini. Agli inizi del 900 il picturebook fu re-inventato dai francesi e appaiono albi scritti da Legrand Monvel Bonnard e Brunoff. Quest’ultimo illustrò “Histoire de Babar Le petit elephant Bar” dove la doppia pagina si confermò come spazio narrativo dell’indissolubile incontro tra parola e immagine. Molto è stato scritto su Babar, sulla sua qualità grafica dell’illustrazioni ma anche per le tematiche trattate come il colonialismo e la morte della madre del protagonista. Ufficialmente, in Italia, possiamo far partire il concetto di illustrazione dalla fine dell’ottocento e gli inizi del novecento, con una diffusione che si al-
larga dai prodotti per ragazzi ai periodici per adulti, con un riscontro nei manifesti pubblicitari e nelle copertine per i libri e riviste. I primi esempi di illustrazione per ragazzi in Italia ci vengono dagli illustratori dei romanzi di Emilio Salgari e da quelli di Pinocchio, che ancora oggi rimane il libro più tradotto nel mondo dopo la Bibbia. Il Corriere dei Piccoli è stata la prima rivista settimanale di fumetti dell’editoria italiana; pubblicata dal 1908 al 1995. La rivista divenne subito una lettura di riferimento per molte generazioni di bambini e ragazzi italiani. Quando nacque le storie indirizzate ai bambini riflettevano l’impronta pedagogica dell’epoca, patriottica e risorgimentale. Come tutte le riviste per l’infan-
zia europee del primo Novecento, le storie non avevano i “fumetti”, perché erano considerati sconveniente e diseducativi. Infatti in esse erano pubblicati racconti poesie e brevi copioni teatrali. Tuttavia, in base a quanto detto poc’anzi le riviste straniere e il corriere dei piccoli in Italia sono rimasti famosi per la prima pagina. Sulla prima pagina del Corriere dei Piccoli c’era una storia di una sola tavola a colori, quasi sempre suddivisa in quattro strisce di due vignette ciascuna. Vi erano due distici sotto ogni vignetta; le strofe erano ottonari in rima baciata, secondo il modello del cantastorie. Le tavole delle storie non avevano le nuvolette originarie ma erano sottotitolate da filastrocche in
rima baciata. Fiorì così una produzione italiana di storielle con una filastrocca come didascalia; fra i personaggi famosi di quest’epoca ci sono Bilbolbul di Mussino, Quadratino di Rubino e il Signor Bonaventura di Sergio Tofano. Nel periodo tra la prima e la seconda guerra mondiale le caratteristiche del moderno libro illustrato presero forma in Europa e in America ed i libri per bambini iniziarono a diventare territorio esclusivo degli illustratori. In questo periodo si utilizzò la litografia offset10 per stampare immagini. Dopo la seconda guerra mondiale la litografia offset fu perfezionata e per la fine del 1950 si realizzarono tutte le migliorie in modo che la tecnologia potesse servire lo sviluppo di ulte-
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In alto “Tokyo - The tomb of the sea serpente” di Teressa Ong.
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riori qualità di stampa dell’immagine attraverso la visione imprenditoriale dell’editore di libri per bambini della Oxford University. Negli anni ’50 Geisel, noto come Dr. Seuss, incantò milioni di bambini grazie alle rime e ai suoi disegni nella sua opera “The cat with the hat”. Negli anni ’60 fu il momento del genio di Sendak che uscì con: Nel paese delle creature selvagge. Questo fu il momento d’oro per i libri illustrati: con i colori raffinati, qualità della carta usata, le tecniche di riproduzione e gli inchiostri di stampa. Negli anni ’70/’80, con la crescente domanda di collaborazione internazionale all’interno del mercato del libro, le immagini furono stampate singolarmente e vendute in paesi diversi
dove poi si aggiungeva il testo nella madrelingua portando due vantaggi per il consumatore finale: riduzione dei costi e visione originaria di molti artisti e creativi. Infanzia e libro Fino a due o tre secoli fa, nella società occidentale non c’era una chiara coscienza della differenza fra l’infanzia e le altre età della vita: in un certo senso, l’infanzia non esisteva, proprio perché non aveva un’identità sociale ben riconoscibile. A maggior ragione non esisteva una letteratura per ragazzi propriamente detta, ma solo testi letterari, destinati all’inizio ad un pubblico di adulti, che venivano usati anche per l’infanzia, a volte rimaneggiati o adattati,
in forma orale o scritta. Infatti, la materia prima della letteratura per i bambini era in gran parte derivata dalla tradizione orale dei racconti popolari, delle fiabe, delle leggende, dei miti per quanto riguarda la narrativa, e delle filastrocche e delle ninne nanne per quanto riguarda la poesia. Nel corso del tempo, gli adulti hanno gradualmente cambiato il loro modo di considerare il bambino e questo cambiamento è stato accompagnato, e in parte prodotto, da modifiche delle pubblicazioni dedicate all’infanzia e al modo di illustrarle. L’importanza dell’immagine nei libri destinati ai giovani veniva intanto presa in considerazione sempre maggiore, e si venne sviluppando la tradizione del libro illustra-
to per bambini. Attraverso le illustrazioni si racconta quanto dice un testo scritto, si cerca di entrare in sintonia con il bambino che legge, non si tratta solo di decorare una pagina con una o più illustrazioni ma di renderla assolutamente autonoma di fronte al testo. Illustrare un libro per bambini non è facile, non basta l’accademia, la preparazione tecnico- artistica ma bisogna andare oltre, capire il bambino, per disegnare per lui. La Rosellina Archinto sostiene che bisogna guardare le facce e i movimenti dei bambini e immedesimarsi in loro e poi fare le illustrazioni. Il mondo dei libri per bambini è un mondo affascinante, misterioso, un’avventura piena di significato per la loro crescita, è una
In alto “Pinocchio”, illustrazione di Frezzato.
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In alto “Man underwater” di Victoria Semykina Armenian Tales. A destra un’illustrazione di “Pinocchio” di Frezzato e “Teagan White”.
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specie di “libreria stregata” con numerose proposte come sostiene Morley. Il libro permette di entrare in uno spazio molto intimo che è quello fantastico dell’infanzia. In esso ci sono storie da cui si può attingere e di cui l’infanzia ha un enorme bisogno per crescere. Molti lettori hanno affermato che chi ha conosciuto il piacere delle prime letture, desidera riprovarlo nel corso della sua vita. I bambini sono incantati dalle parole, sono convinti che la lettura abbia una forza magica, capace di cambiare il mondo e di rendere familiare ciò che appare strano o minaccioso. Ci sono molti modi di vivere un libro, leggerlo, guardare le figure al suo interno, sfogliarne le pagine, scoprire la magia delle illustra-
zioni e lasciarsi affascinare da una voce adulta che racconta. I primi libri per l’infanzia sono libri ricchi di illustrazioni; esse servono al bambino per essere guidato nella lettura e nelle interpretazioni delle storie. All’interno di queste storie, le immagini devono essere chiare e coerenti al testo in modo che i bambini comprendano il vero significato della storia che rappresentano. La Terrusi spiega che “le immagini nei libri illustrano, chiariscono le informazioni contenute nel testo, da cui sono dunque necessariamente sempre dipendenti”. Lo scrittore svizzero Bichsel ricorda che nella biblioteca del padre alla ricerca di libri meno scontati di quelli per ragazzi, scoprì il manuale per pittori, un testo pieno di immagini che stuzzi-
carono la sua fantasia spingendolo ad inventare storie. Anche Calvino ricorda che le immagini senza parole pubblicate sul Corriere dei piccoli lo avevano stimolato e trasformato in lettore. Molti altri autori ricordano il loro avvicinamento alla lettura come un momento irripetibile e di evasione. Spesso l’esperienza della lettura coinvolge tutti i nostri sensi, stimolati dalle storie che evocano odori, sapori o colori e dal punto di vista fisico. Infatti quando apriamo un libro mettiamo in moto un’esperienza che è anche tattile, olfattiva, uditiva e anche gustativa. Pensiamo agli acquerelli di Beatrix Potter, alle illustrazioni di Scarry, all’elefantino Babar di Brunhoff, agli albi di Elmer l’elefante variopinto che gioca
su illusioni ottiche o semplici animazioni. Queste illustrazioni possono proporre itinerari imprevedibili, descrizioni di ciò che le parole non possono dire. La recente riscoperta del piacere di leggere ha contribuito, come sostiene Emy Beseghi nel suo libro “Infanzia e racconto – il libro, le figure, la voce, lo sguardo”, a riversare nella letteratura per l’infanzia un effluvio di sensi che non si pensava potessero avere tante e raffinate applicazioni nelle pagine di un libro. Ella sostiene che i libri non si esplorano solo con gli occhi, ma anche con le mani, con la bocca, con l’intero corpo attivando tutti i sensi. I libri hanno forme diverse, colori, materiali più svariati, dimensioni che si adattano agli usi e alle
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sperimentazioni più disparate. Infatti il bambino piccolissimo familiarizza con l’oggetto-libro toccandolo, annusandolo, tuffandolo in acqua. Infatti il primo contatto con il libro è di tipo tattile: libri di stoffa, di plastica, con superfici ruvide, libri profumati, con meccanismi sonori, libri che diventano paesaggi tridimensionali, libri le cui pagine possono essere staccate per diventare un grande pannello messo a terra a forma di puzzle, libri di spugna. Libri che sono giocattoli che però hanno la forma di libro e si sfogliano come tali. In alto “Peter Pan”, di Frezzato. A destra copertina “There” di un picturebook di un’artista irlandese, Marie-Louise Fitzpatrick.
L’avventura nella lettura La lettura è quindi un’avventura, un viaggio e viene associata da Faeti ad un vampiro capace
di rapire, incantare, mordere, lasciare un segno e generare un cambiamento. Viene anche associata al simbolo della porta che apre nuovi spazi, o all’isola, poiché come quella del romanzo di Stevenson accende un desiderio conoscitivo che spinge alla ricerca del tesoro del libro. Il bambino lettore è colui che, alle prese con la solitudine dell’infanzia e con la difficoltà della crescita, trova nel libro uno spazio dove poter essere sé stessi, indipendentemente dalle aspettative degli adulti. Il simbolo della bambina lettrice, dice la Beseghi, è Matilde, di Roald Dahl, una bambina di quattro anni che avendo imparato a leggere da sola ed essendo divenuta assidua lettrice di libri riesce a ribellarsi allo squallore
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In alto un’illustrazione di Maria Carluccio, “Circus”. A sinistra Frezzato con un’illustrazione de “Le nuvole” di De Andrè.
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della vita familiare animata dalla tv, fino a sprigionare poteri magici, sconfiggere la cattivissima direttrice Spezzindue e allearsi con l’amata maestra Dolcemiele. In Matilde la lettura diventa arma e sfida (oltre che ribellione) mentre il romanzo di Dahl
è occasione di una satira nei confronti della televisione.Un altro esempio di bambino lettore è rappresentato da Bastian, il protagonista del romanzo “La storia infinita” di Michael Ende, che usa la lettura come una funzione salvifica. Duran-
te la lettura del libro Bastian si farà risucchiare dall’intreccio, fa vivere i personaggi, diventa anch’egli protagonista contribuendo all’andare avanti della storia. Il libro di Ende ci ricorda che la letteratura per l’infanzia non può essere separata dai bambini che la fanno vivere e, la storia della letteratura per l’infanzia è anche la storia dei libri che i bambini si sono conquistati mettendo alla prova la nostra concezione dell’infanzia. I bambini hanno infatti trascurato le opere così didascaliche e normative create per veicolare esempi e modelli di vita, e hanno respinto e selezionato i messaggi proposti loro. Il bambino lettore è parte attiva del testo con le sue fantasie e le sue partecipazioni empatiche, ed è
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In basso “Il piccolo bruco Maisazio” di Eric Carle.
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con lui che bisogna dialogare. Bastian diventa un’importante icona dell’iniziazione del lettore all’accettazione del suo ruolo creativo. Ritornato a casa dopo l’esperienza vissuta è pronto ad iniziare la terza parte della storia infinita, quella non scritta. Quella che ogni libro restituisce al lettore. Molti sono i libri per bambini che contengono un omaggio non solo al piacere di leggere ma anche a quel tesoro spesso nascosto che è la biblioteca. Questo è ciò che avviene nel romanzo Lilli de Libris, in cui i due cugini Nils e Berit, indagano sulla misteriosa Lilli de Libris e sulla sua biblioteca magica. Un’avventura che ne contiene molte altre. La lettura è spesso anche metafora di libertà e di autorità legata alla cono-
scenza, ecco perché, in un celebre film di François Truffaut, tratto dall’omonimo romanzo di Ray Bradbury, i libri vengono considerati superflui e pericolosi e devono essere distrutti. Nel mondo fantascientifico di Bradbury è vietato leggere, quindi è vietato conoscere e ricordare. Ma Montag, con la sua curiosità, cederà alla tentazione di rubare un libro diventando, infine, egli stesso un uomo libro. Anche a lui, quindi, la lettura dà la possibilità di scoprire altri mondi e la libertà della conoscenza.
3.1 I primi libri illustrati italiani Nota11: Children’s Literature nei paesi di lingua anglosassone, Literature d’enfance et de jeunesse in Francia, Kinder-und Jugendliterature in Germania, Literatura Infantil y Juvenil in Spagna.
L
a letteratura per l’infanzia11 è cresciuta molto negli ultimi decenni e comprende tutta quella serie di opere letterarie proposte all’attenzione e alla fruizione di un pubblico infantile e di quelle che, pur scritte in origine per adulti, sono state apprezzate nel tempo e sentite come proprie dai giovani lettori. I libri di questo genere sono generalmente suddivisi per una fascia d’età relativamente ampia che va dagli 0 ai 16/18 anni. A livello internazionale da tempo si adotta una terminologia unica e condivisa per definire il ge-
nere rivolto all’infanzia. Ci sono alcune opere e autori considerati classici nel settore: in Italia troviamo Gianni Rodari, Carlo Collodi (Pinocchio), Edmondo De Amicis (Cuore); tra gli altri autori, i più popolari sono Hans Christian Andersen (con le sue fiabe), Lewis Carroll (Alice nel Paese delle meraviglie e Attraverso allo Specchio, il quale fu concepito come storia per bambini ma viene generalmente considerato più adatto a un pubblico adulto), i fratelli Grimm (Le Fiabe del Focolare), Jack London (Zanna Bianca), Jules Verne (Il Giro del
Mondo in 80 Giorni), Antoine de Saint-Exupery (Il Piccolo Principe). Tra gli autori moderni e più recenti vorrei ricordare la saga di Harry Potter (grande successo non solo letterario, ma anche cinematografico), scritta dalla talentuosa J.K. Rowling, e anche David Grossman, non avvezzo al genere ma che si è cimentato in questo tipo di scrittura con il suo ultimo libro “Ruti vuole dormire e altre storie”. Le belle tavole che ci propongono gli illustratori per ragazzi di oggi traggono le loro origini da un passato non troppo lontano, quando questi artisti venivano definiti “figurinai”. I figurinai erano in passato i venditori ambulanti di figurine e questo termine fu usato per la prima volta dal fiorentino Piero Bernardini, e na-
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scondeva ironicamente un sentimento di amarezza comune e noto agli illustratori di libri per ragazzi: un’amarezza nata dal fatto che il proprio lavoro era considerato come un semplice
passatempo, un ripiego per un fallimento nella pittura, e quindi tagliato fuori dal mondo esclusivo ed elitario della critica d’arte. L’opera dei “figurinai”, disse una volta il Bernardini, era tutta sulla carta e non necessitava di tele, “di cornici o teche di velluto”, e tanto bastava per tenerla fuori dal mondo della pittura, “quella tutta ad olio”. Nella sua analisi delle immagini presenti nei testi per l’infanzia a cavallo tra il 1800 e il 1900, Faeti sottolinea il ruolo di questi figurinai, illustratori che affondavano le radici nella tradizione delle stampe popolari, vendute nelle strade dai venditori ambulanti. Per questo i figurinai proponevano nei libri per bambini immagini che da un lato dovevano convincere, esporre, spiegare,
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Nella pagina precedente “Alice” illustrata da John Tenniel e “Christian tales” di Anderson Hans. A destra un’illustrazione di “Pinocchio” di Chiostri. Al di sotto illustrazione di Ferraguti del libro “Cuore”.
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dall’altro lato erano allusive, ambigue, fonti di dubbi. Il figurinaio riproponeva ai bambini un repertorio antico e denso di contraddizioni che non spaventava. Faeti considera il figurinaio come l’autentico “Pifferaio di Hamelin” che trascinava misteriosamente a sé i bambini, poiché li attira a sé con il fascino del mistero, dell’indefinibile, immagini che non si riescono a decifrare interamente. Firenze, la città che aveva dato spazio ai primi editori di libri per fanciulli, fu il luogo preferito del figurinaio Gaspero Barbera. Qui operarono e vissero tra i più antichi disegnatori italiani per l’infanzia, trovando molti editori che lavoravano per libri dedicati all’infanzia. Tra i nomi dell’editoria fiorentina del tem-
po si ricordano Le Monnier, Bomporad, Paggi, Salani, ma Gaspero Barbera appare quello più consapevole e capace di esporre le linee di un manifesto che probabilmente era condiviso anche dai colleghi. La sua idea era basata sul progresso, fondato su ragioni illuministiche, mescolata al buon senso cittadino, dedotto da una sana tradizione fatta di lavoro, risparmio, inventiva. Nella sua autobiografia scrisse le ragioni che potevano sorreggere e motivare l’attività di un editore fiorentino e italiano nella seconda metà dell’Ottocento. Alla base della sua idea c’era l’istruzione popolare, il sogno illuministico dell’obbligo della scuola primaria, costringendo così diciassette milioni di analfabeti a farsi
lettori e quindi potenziali fruitori delle pubblicazioni che lui metteva in commercio. Come Barbera, tutta l’editoria fiorentina sembrava caratterizzata dalla volontà di educare e di istruire. Gli editori fiorentini erano quindi alla ricerca di un tipo di scrittore capace di situarsi idealmente di fronte ad un crocevia. Questi autori dovevano avere l’intenzione di rivolgersi ai bambini, come destinatari naturali dei libri scolastici. Erano questi i libri che alle varie case intendevano produrre, in modo da trovare un mercato sicuro e ampio. Il problema principale però era la necessità di educare il popolo. I libri più famosi della letteratura per l’infanzia italiana sono stati Pinocchio di Carlo Collodi e Cuore di Edmondo
De Amicis. Questi due libri sono tra loro lontani e diversi in tutto e sono considerati i due best-sellers più letti e tradotti della letteratura italiana moderna. Sono libri per l’infanzia, che esprimono però posizioni ideologiche diffuse fra tutte le fasce d’età della società italiana, coinvolgendo le principali istituzioni del paese come scuola, famiglia, esercito, strutture del potere e si fanno carico dell’integrazione dei diversi strati sociali e delle diverse regioni italiane e vanno quindi considerati qualche cosa di più di semplici testi di letteratura infantile. Lo dimostra il fatto che i due libri hanno raggiunto vastissimi strati di pubblico adulto. Come spesso accade per i libri dedicati ai bambini, le illustrazio-
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ni giocano un ruolo chiave. E moltissimi sono gli artisti che si sono cimentati con le tavole di Pinocchio e di Cuore. Pinocchio Tra le illustrazioni storiche del Pinocchio di Collodi ci sono illustratori come Mazzanti, Chiostri e Mussino, Jacovitti e Mattotti. Faeti nel suo libro “Guardare le figure”, prende in considerazione il mito di Pinocchio analizzando le sue illustrazioni e affermando che esse aiutavano coloro che non sapevano leggere e semplicemente guardando le figure il lettore poteva costruirsi una propria idea delle avventure del burattino. Mazzanti è stato il primo illustratore delle Avventure di Pinocchio e fu l’illustratore di
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quasi tutte le opere di Collodi; è legato a lui da profonda amicizia, nonostante fosse nato 26 anni dopo, nel 1852. Riuscì a lavorare in stretta corrispondenza con lo scrittore. Si laureò in ingegneria ma mosso da atteggiamenti fantastici, creò delle illustrazioni in grado di evocare un universo stregonesco, gotico e bizzarro in parte distante dalle suggestioni del testo di Collodi. Ispirato da Doré e suggestionato da Bush, il Pinocchio di Mazzanti è tratteggiato con la matita ed è l’unico personaggio dell’illustrazione. Sua l’immagine, rimasta celebre e insuperata, di Pinocchio con le mani sui fianchi, l’aria spavalda, cappello a punta e gorgiera, con gli altri personaggi sullo sfondo; suo l’unico Pinocchio disegnato
quando Collodi era ancora in vita e da lui presumibilmente approvato. Mazzanti illustra in tutto 62 tavole. Secondo illustratore delle Avventure di Pinocchio fu Carlo Chiostri, nato nel 1863. Per lui come per Mazzanti, questa fu un’occasione fondamentale che gli consentì di cimentarsi in un testo capace di regalare profonde suggestioni. Egli realizza un’illustrazione lontana da quella di Mazzanti, anche solo per il tratto diverso, ottenuto con gli acquarelli e la penna. Chiostri riesce ugualmente ad ottenere un’atmosfera straniante, allucinata, perturbante. Chiostri, appunta ogni elemento con minuzia, il suo è un realismo molto ben dettagliato, e l’ambientazione diventa quella della Toscana gran-
ducale. Il realismo di Chiostri, dimesso nelle prime due tavole, in cui si limita a seguire la lezione mazzantiana, esplode nella terza tavola, che descrive l’arresto di Pinocchio. In questa illustrazione il carabiniere è davvero un Reale carabiniere, mentre la folla che assiste si compone di una piccola borghesia rurale fin nei minimi dettagli, perché l’intento di Chiostri è proprio quello di calare l’elemento fantastico nella realtà senza l’effetto straniante. Alla III tavola l’illustratore si diverte a rendere in modo vivido gli ambienti della Toscana rurale cittadina di fine Ottocento. Il secondo appunto sui disegni di Chiostri riguarda invece i personaggi: mentre Mazzanti era interessato al mondo favolistico, Chio-
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stri tenta invece un approfondimento psicologico dei caratteri, da Pinocchio, che sembra più introspettivo del suo predecessore, alla folla per strada. Nella recente edizione einaudiana del Pinocchio stampata a Parigi dal Tallone, vengono messe a confronto le illustrazioni dei due primi disegnatori del burattino. In “Collodi narratore” di Bertacchini si afferma che Chiostri rispetto a Mazzanti, aggiunge già qualcosa: una grazia maggiore nei particolari e dettagli più curati, il rilievo morbido dell’acquerello al confronto del secco tratto in penna, ma insieme una minore congenialità col linguaggio del libro ( si avverte, al semplice confronto tra i due frontespizi, un costume nuovo ed un certo avvio al floreale).
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E ancora in “Paragone” di Attilio Bertolucci (n. 20, agosto 2011) si constata come Chiostri sia soprattutto: Meno spiritato, ma mateticissimo. In lui i carabinieri che mettono “in mezzo a loro due” Pinocchio sono storici, veri e propri carabinieri con la lucerna in testa, tutto è più realistico che nell’altro illustratore e più malinconico, in un segno grave e lento. Così dall’opinione di Bertecchini e da quella di Bertolucci, si capisce come Chiostri sia stato diverso da tanti illustratori che lo hanno preceduto e lo hanno seguiito, lui possiede uno stile che è composto dai due elementi citati, assorbe anche l’ironia di una curiosa visione del mondo, sostanzialmente basata su di una satira dolente
e rassegnata. Tutt’altra cosa è l’illustrazione di Benito Jacovitti, illustratore nato nel 1923 e compagno di scuola di Zeffirelli e Fellini. Jacovitti fu uno degli autori più prolifici d’Italia, e le sue illustrazioni mostrano le sua incredibile fantasia e vitalità. La sua opera è stata accostata a quella di Escher o Bosch. Diversa è senz’altro l’atmosfera creata da Lorenzo Mattotti, artista di fama internazionale nato nel 1954, inizia a pubblicare i suoi fumetti giovanissimo, e nel corso degli anni ‘70 ed ‘80, collabora con la rivista Linus, ed incontra artisti quali Igort e Jori, fondando a bologna il gruppo Valvoline. Nel frattempo comincia la sua ricerca che approda al celebratissimo Fuochi, del 1984. Le sue esperienze
di illustratori di libri per ragazzi si intensificheranno negli anni ‘80, prima con Pinocchio. La sua illustrazione è di grande potenza cromatica, con il nero che cadendo dal cielo incombe sul burattino e sul paesaggio.
Nelle pagine precedenti illustrazioni del libro “Pinocchio” di Bongini e Chiostri. A sinistra illustrazione di Mattotti su “Pinocchio”. In basso Copertina di una storica edizione della Garzanti del libro “Cuore”.
Cuore Il libro “Cuore” è un romanzo per ragazzi scritto da Edmondo de Amicis e pubblicato nel 1886 dalla casa editrice Treves. Egli racconta una storia ambientata nel periodo successivo all’Unità d’Italia e il protagonista è un bambino di dieci anni, Enrico, che attraverso un diario scrive, giornalmente, quello che vede e sente, tutto quello che gli accade intorno. Pare che l’idea di scrivere Cuore sia maturata nella mente di Edmondo De
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Amicis nell’anno 1878. La genesi del romanzo, tuttavia, fu abbastanza lunga e tormentata, visto che il libro venne infine pubblicato solo nel 1886 dalla Casa editrice Treves. A fine Ottocento, questo editore era uno dei più importanti e rinomati di tutto il Paese; egli accolse con entusiasmo la proposta di De Amicis, sia perché capì che poteva diventare un ottimo affare sotto il profilo commerciale, sia perché andava nella direzione culturale da loro auspicata, cioè proponeva un modello educativo nuovo, idoneo all’Italia unita post-risorgimentale, coi suoi valori laici, a un tempo nazionali e liberali. Nel romanzo “Cuore” l’attenzione è posta in particolare sul mondo della scuola, la maggior
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parte delle riflessioni sono sugli insegnanti e sugli alunni della classe di Enrico, che racconta aneddoti e descrive i suoi compagni di avventura. Lo scrittore, attraverso la penna del protagonista, fa notare le differenze che intercorrono tra i vari bambini, ponendo l’accento sulla provenienza sociale; è questo che marca di più la distanza di comportamento tra un ragazzo e un altro. Diventa fondamentale nel percorso individuale del bambino l’educazione familiare, la disciplina e i valori che vengono dati dai genitori, che formano il carattere dei figli. Ogni alunno è descritto con attenzione, ognuno ha una particolarità che lo rende differente da un altro. Nei racconti di Enrico c’è l’immancabile secchione, il ragazzo
Logo della casa editrice Treves. A sinistra illustrazioni di Enrico Nardi e Arnaldo Ferraguri per il libro “Cuore”.
astuto, intelligente, c’è quello burbero che si mette puntualmente nei guai, e il bambino che ha un animo gentile e tende sempre a difendere gli altri, facendosi da scudo per prendersi cura dei più deboli. Lo scrittore fornisce così precise descrizioni dei suoi protagonisti, quasi a suggerire uno schema agli illustratori, che stabilirono una connessione con lui. Infatti gli illustratori ai quali si rivolse l’editore Treves per la prima edizione tennero presenti le direttive dell’autore. La prima edizione conteneva i disegni di tre illustratori: Arnaldo Ferraguti, Enrico Nardi e Giulio Sartorio. Il primo dei tre è Ferraguti che, ad esempio, è tra i tre il più fotografico e nel libro non può esimersi dal dipingere Garrone
come un grosso forzato buono, con il testone pelato chino sulla spalla della mamma di Nelli che lo abbraccia riconoscente. Anche Coretti, Precossi, Garoffi e il muratorino, ricevono un preciso trattamento che li colloca nello stesso ambito truce e triste. Un altro esempio è a pagina 81 della prima edizione dove Ferraguti, mostra Franti cacciato dalla scuola, colpevole di avere fatto scoppiare un petardo proprio dopo che con enfasi militare si è commemorato in aula il “Re soldato” e ancora mentre due suoi compagni si passavano la copia del “Tamburino Sardo”. Altro illustratore era Enrico Nardi che, a differenza di Ferraguti, era dotato di una vena più ironica e leggera. A lui vengono assegna-
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In alto illustrazione di Giulio Aristide Sartorio e a destra di Arnaldo Ferraguti del libro “Cuore”.
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te le immagini più “scarse” che invitano allegria per far riposare il lettore dopo tante lacrime. Suo è, ad esempio, quello che poi è diventato il simbolo del libro, cioè il gruppo di ragazzi (Derossi, Garrone, Garoffi, Precossi e Coretti padre e figlio, oltre a Enrico) che tornano saltellando dalla campagna. Nardi è il più deamicisiano dei tre illustratori del libro Cuore, è lui infatti che coglie la vena bozzettistica del libro. È interessante notare come Ferraguti ha bisogno di chiudere le figure dentro un riquadro con interni bui e spenti, Nardi invece approfitta del mutamento di scenario offerto dai racconti mensili, per inserire scene di massa, scorci di panorama, personaggi in costume più liberi rispetto a quelli
logori e grigi di Ferraguti. Nardi quindi ha il compito di creare pause rasserenanti, perfino divertenti. Se si considera l’intento del libro di far scendere le lacrime ai lettori, il compito di Nardi non è facile e infatti ogni tanto lo si vede allineato a Ferraguti, nel delineare qualche triste situazione che sfugge un po’ al suo segno abbastanza aperto e sereno. Il terzo illustratore è Giulio Aristide Sartorio. Lui rappresenta una delle scene più curiose che si possono trovare all’interno del gruppo degli illustratori italiani per l’infanzia. Per chi conosceva il pittore e i suoi quadri, è stato strano pensare che sia lui l’autore delle figure di un libro come Cuore, d’altronde non c’è possibilità che si tratti di un disegnatore
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diverso, visto che la firma di tutte le tavole è molto chiara ed è proprio quella tipica del pittore. Lo stile di Sartorio, qui nel libro, non è diverso da quello dei suoi quadri, è caratterizzato da un limpido segno che usava nelle incisioni e nei pastelli. Sartorio non si è solo limitato ad accompagnare i richiami sepolcrali del volume, ma ha fornito un’atmosfera inquietante dove si incontrano visi sfatti e cerei, più espliciti riferimenti figurali, come quella morte che accarezza i soldati con la falce o il vecchio funereo mendicante. Il pittore ha infatti la capacità di far sembrare tutte le immagini spente e decomposte, non illustra semplicemente una delle componenti del Cuore, lui rivela e contribuisce a chiarire l’es-
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senza. Sartorio è quello dei tre che ha colto di più l’atmosfera significativa e generale del libro. Salgari L’opera di Salgari nasceva a stretto contatto con quella dei suoi illustratori, alcuni di essi furono suoi buoni amici e ciò creò una grande coerenza tra le pagine scritte e quelle illustrate; ancora di più, il fantastico universo salgariano riusciva a collegare tra loro i vari disegnatori creando un territorio comune di tipi fisici, paesaggi, situazioni che andavano oltre lo stile personale di ciascuno. I suoi romanzi e le immagini che li accompagnavano, sono nati contemporaneamente e l’iconografia salgariana risulta in un certo senso codificata
fin dall’inizio, tanto che esiste un tratto comune, pur con le evidenti differenze di stile, che unisce tutti i primi illustratori salgariani.Infatti i primi illustratori crearono un vero e proprio “stile” salgariano, che sarebbe servito come modello per tutti gli altri. Le loro tavole furono ripetute in decine di edizioni successive, spesso in numero variabile di volta in volta, a seconda delle possibilità dell’editore, e con quella caratteristica particolare di non essere legate ad una specifica pagina di testo: queste illustrazioni quasi mai sono “di fronte” alla pagina nella quale si trova l’episodio descritto, ma rimandano ad un’altra pagina. Questa caratteristica, che forse ha lo scopo di stimolare la lettura del testo, di
incuriosire, si è poi imposta anche in altre opere illustrate. E’ stato fatto notare da Faeti che sia Salgari che i suoi illustratori furono influenzati dai favolosi racconti di viaggio che si trovavano nelle riviste popolari per famiglie, dalla lettura di atlanti ed enciclopedie che lasciando ampi spazi alla fantasia, arricchivano le cronache di viaggi reali, contribuendo a creare il mito dell’Oriente misterioso. Brevi cronache di viaggiatori, talvolta semplici notizie di agenzia, venivano arricchite a tavolino in modo da offrire a un pubblico affascinato narrazioni pseudo-scientifiche dove si parlava di luoghi misteriosi, di riti violenti, di tribù dedite costantemente al cannibalismo. Questo contribuì a formare un
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immaginario collettivo sulle Indie, sui pirati, sulle isole caraibiche, sull’Africa, che interessò intere generazioni di lettori: e se pensiamo che Salgari navigò solo per un breve periodo, durante il servizio militare, lungo le coste adriatiche, tutto ciò è davvero pazzesco. Gli illustratori salgariani si impegnarono a rendere visivamente questo mondo particolare, nel quale elementi storici e realistici sono appena toccati, e subito trasfigurati. L’opera di Salgari nasce già per essere accompagnata dalle immagini, e forse è proprio per questo che si è anche prestata efficacemente a riduzioni cinematografiche, televisive, e fumettistiche. Alberto Della Valle fu uno dei tre grandi illustratori salgariani, si
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aiutava, nell’impostazione delle figure, con le fotografie che lui stesso scattava (e anche sviluppava) a famigliari e amici, in posa e in costume a interpretare principesse indiane, corsari, avventurieri. Lui stesso era spesso modello in posa: armato di tutto punto (con pezzi della sua collezione: pistole, archibugi, sciabole) vestito nelle maniere più assurde o costretto in posizioni scomode, spinse questo metodo all’estremo, finendo per prestare il suo volto maturo, e forse a indentificarsi un pò, a Yanez de Gomera, il corsaro portoghese amico fraterno di Sandokan. Infatti in un’illustrazione di Yanez, seduto a gambe incrociate sul trono, l’illustratore entra nell’inquadratura solo per poter poi “montare”, col
disegno, il suo volto su quello del personaggio. Celebri poi le copertine/manifesto di Della Valle, che mescolavano elementi esotici con motivi floreali e linee sinuose tipicamente liberty che rispecchiavano pienamente il gusto estetico dell’epoca. Egli era abile anche con il bianco e nero, sapeva dosare benissimo i contrasti di luci e ombre. Le sue immagini accompagnarono 22 romanzi di Salgari, dal 1908 al 1913: ma Della Valle non resse alla perdita dell’amata moglie, e si suicidò – sembra sparandosi un colpo con la grande pistola che usava disegnare nelle mani di Sandokan. Libri gioco - Munari Quando si parla di libro gioco, si identifica un libro che è
anche un gioco, uno strumento con cui si può interagire, un vero e proprio giocattolo da toccare e manipolare. Si tratta di libri spesso a tre dimensioni, elaborati e ricchi di stimoli che sono in grado di coniugare il piacere della lettura con quello della vista e del tatto. Sono diversi da un vero e proprio libro, a partire dalla forma. I libri gioco possono assumere diverse forme e dimensioni. Oltre alle forme classiche, possono avere le sembianze di una casa, di un cuscino o di un animale. Anche i materiali di cui sono composti sono i più disparati: plastica,stoffa, cartone o addirittura elementi che si possono tirare o spingere. Per questo motivo è difficile definirli sotto un unico aspetto. Questa tipologia di
Nelle pagine precedenti e in quella che la segue, sono raffigurate illustrazioni di Alberto Della Valle. La prima è “Sandokan”, a seguire “Minatori” e “La Capitana dello Yucatan”. L’ultima è “Il leone Damasco”.
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A destra libri di Bruno Munari, “Nella nebbia di Milano” e “ABC”. In basso “I prelibri” di Munari.
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libri è adatta a bambini molto piccoli e ha come scopo quello di far esplorare l’oggetto per farglielo comprendere, indirizzandolo così alla lettura delle immagini prima, e alla scoperta della funzione comunicativa del libro e alla lettura delle sue parole poi, facendo in modo che il bambino acquisisca il gusto di leggere. Questo tipo di libro aiuta il bambino a sviluppare diversi ambiti del suo sapere. In primo luogo favorisce lo sviluppo percettivo, grazie all’uso di materiali diversi all’interno di esso. Anche la sua strutturazione può aiutare la scoperta e le nuove conoscenze. Ciò che soprattutto va a sviluppare il libro gioco, sono la razionalità e la fantasia. I libri gioco sono nati principalmente in Inghilterra e
America e sono arrivati in Italia solo recentemente. Hanno suscitato da subito grande interesse sia nei piccoli lettori che negli editori. Quando si pensa ai libri gioco in Italia, senza dubbio, tra i primi nomi che ci vengono in mente è quello di Bruno Munari, protagonista dell’arte, del design e della grafica del novecento. Bruno Munari, nato a Milano nel 1907, grazie allo zio ingegnere, nel 1925 inizia a lavorare come grafico. Le sue prime creazioni, pubblicate su varie riviste dell’epoca, risalgono al 1926 e sono firmate “bum”, perché in quel periodo Munari si faceva chiamare con quello pseudomino. Nel 1927 inizia a seguire i gruppi futuristi milanesi e romani. Nel 1930 inventa le “macchine inutili” che si
scomponevano e si ricomponevano continuamente. Si allontana dal futurismo e si dedica alla grafica e all’editoria. Nel 1945 progetta nuovi libri per bambini che sono ristampati e in vendita ancora oggi. «Fin da ragazzo - racconta Munari - sono stato uno sperimentatore..., curioso di vedere cosa si poteva fare con una cosa, oltre a quello che si fa normalmente». «Durante l’infanzia – scrive l’artista – siamo in quello stato che gli orientali definiscono Zen: la conoscenza della realtà che ci circonda avviene istintivamente mediante quelle attività che gli adulti chiamano gioco. Tutti i ricettori sensoriali sono aperti per ricevere dati: guardare, toccare, sentire i sapori, il caldo, il freddo, il peso e la leggerezza, il morbido e il duro, il ruvido e il liscio, i colori, le forme, le
distanze, la luce, il buio, il suono e il silenzio… tutto è nuovo, tutto è da imparare e il gioco favorisce la memorizzazione. Poi si diventa adulti, si entra nella ‘società’, uno alla volta si chiudono i ricettori sensoriali. Non impariamo quasi più niente, usiamo solo la ragione e la parola e ci domandiamo: quanto costa? A cosa serve? Quanto mi rende?» E l’artista si chiede con una certa preoccupazione come sarà “l’uomo del futuro”. Forse senza naso e senza orecchi, perché non bada più al rumore e agli odori... Così lo disegna nel suo libro “Da cosa nasce cosa” e invita i designers a progettare tenendo presenti tutti i recettori sensoriali. Inoltre continua dicendo: “non potendo cambiare gli adulti, ho scelto di lavorare sui bambini, perché ne crescano di migliori. E’ una strategia rivoluziona-
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ria.” Partendo da questi principi egli iniziò a studiare tutti quegli strumenti che sotto forma di gioco aiutano l’uomo a liberarsi da convenzioni. Munari pensò, così di progettare un insieme di oggetti che sembrano dei libri, ma che in realtà si tratta di veicoli di informazione visiva, tattile, sonora, termica. Il bambino deve essere attirato verso questi oggetti e deve capire che al loro interno ci sono curiosità sempre nuove e diverse da scoprire. Egli progetta la “prima Tavola Tattile” che risale al 1931, a questa ne seguiranno altre nel 1943 e nel 1993. Realizzate su tavole di legno, presentano vari materiali come carte vetrate di varia finezza, sughero, corde, metallo, pelle e pelliccia così da offrire diverse sensazioni visive
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e tattili. Sulla tavola del 1943 l’artista indica i tempi di “lettura” (lento, forte, veloce, velocissimo), come fosse una partitura musicale. Nel 1949 sono nati così i famosi “libri illeggibili”, i “pre-libri” e tanti altri libri per bambini che hanno il compito di avvicinare i più piccoli alla lettura, a questi oggetti curiosi che sono i libri di Munari, senza obblighi di nessun tipo. “Lo zoo” e “l’ABC” sono ottimi esempi dei libri di Munari che comunicavano ai bambini immagini semplici dei soggetti come elementi completi piuttosto che scenari concettuali. Uno dei volumi suoi più creativi realizzati è il libro per bambini “Nella nebbia di Milano” in cui stimola una progressione visiva attraverso pagine di carta semitrasparente
dove si alternano diversi cerchi realizzati attraverso ritagli circolari. Con un’attenzione meticolosa erano state progettate tutte le pagine, da entrambi i lati in modo da dare immagini diverse tra loro ma con una forma in comune. Questo permetteva al buco, realizzato nella pagina, di comportarsi come un sole in una pagina o come la palla di un Clown nella successiva. Prima di questo libro Munari aveva sperimentato con la carta creando alcuni pre-libri per bambini. Si tratta di dodici piccoli, minuscoli libri perché facili da maneggiare per le manine di un bambino e che hanno la caratteristica di avere un senso logico indipendentemente dal “verso” in cui si tengono in mano: non c’è un storia fissa,
sempre uguale a se stessa ma a seconda di come il bambino utilizza il libro crea una sequenza di immagini differenti, una narrazione diversa e quindi è stimolato in un pensiero nuovo. In questo modo il bambino si abitua a pensare, immaginare, a fantasticare, in una parola ad essere creativo. In questi libri sono stati utilizzati vari materiali: carta, cartoncino, cartone, legno, panno spugna, friselina, plastica trasparente, ognuno rilegato in modo diverso.
In basso “Lo zoo” di Bruno Munari.
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3.2 Case editrici
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egli anni ‘70 in Italia nasce una generazione di autori, editori, librai, bibliotecari, critici e lettori, che si riconoscono in una comunità, diversi tra di loro ma con un progetto comune: dare ai bambini un libro di qualità, pensato per loro, un albo illustrato. In quegli anni nasce a Bologna la Fiera Internazionale del Libro per l’Infanzia e la Gioventù, che si caratterizza subito come spazio di condivisione e scambio di idee, contribuendo a far incontrare e a formare nuove generazioni di operatori del settore. In Fiera
il 1967 sarà l’anno della prima Mostra degli Illustratori, voluta anche da Paola Pallottino, autrice di una preziosa Storia dell’illustrazione italiana. Tra le piccole ma prestigiose case editrici che trattano i libri per bambini ricordiamo: Bohem Press, Coccinella, Edizioni El, TopiPittori, Emme edizioni. In questo clima una giovane Rosellina Archinto, al ritorno da un viaggio in America, fonda nel 1966 la sua Emme Edizioni. Siamo nella Milano, patria del design, e lei ha un grafico di fiducia, Salvatore Gregorietti.
In alto una foto della fiera italiana “Bologna Children’s book fair”.
In quel periodo non esisteva in Italia una produzione editoriale rivolta alla primissima infanzia e la letteratura per bambini era di “serie B”, poiché qualsiasi testo o disegno andava bene; c’erano ancora le cartoline con le bambine con le guanciotte rosse, le ciglia lunghe e l’Archinto voleva fare una letteratura per bambini di “serie A” e la sua avventura durerà vent’anni e si chiuderà con un catalogo particolarmente ricco che si rivolge per la prima volta direttamente ai più piccoli e insieme agli adulti che si occupano di libri e bambini. Il suo è un libro “oggetto” o meglio un libro “progetto” al quale partecipano in molti: editori, scrittori, illustratori, grafici, fotografi, libri non a caso chiamati nell’ambiente
“i libri per i figli degli architetti”. Il suo obiettivo è di fare libri rivolti alla prima infanzia, ai bambini che non sanno ancora leggere; libri scelti, tradotti e pubblicati “pubblicati con la stessa cura e ricerca di eccellenza dedicata alla letteratura tout court” come dice la Terrusi. Un progetto di rinnovamento e riscrittura anticipato in Italia già nei primi anni Quaranta da Bruno Munari, con i suoi preziosi libri nati dall’incontro con due grandi editori, Einaudi e Mondadori. Per la Emme Edizioni l’artista pubblicherà nel 1968 “Nella nebbia di Milano”, libro omaggio alla sua città. Una città che Munari ama per “il suo impasto di pragmatismo e di creatività, di serietà e di comunicativa sempre aperta all’ironia. Una
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città ideale per chi ha qualche progetto in testa”. Per la casa editrice Emme le illustrazioni giocano un ruolo importante, vengono presentate proposte editoriali che esprimono la poetica dell’editore che si rivolgono agli insegnanti, ai genitori, ai librai… Approda in Italia “Piccolo blu e piccolo giallo” di Leo Lionni. Autore, pittore, scultore, grafico, designer e teorico della percezione visiva, Lionni ama raccontare di aver creato il suo primo libro per bambini “Little Blue and Little Yellow”, pubblicato in America nel 1959, durante un viaggio in treno, per intrattenere i suoi due nipotini, Pippo e Ann, ai quali il libro è dedicato. L’artista usa pezzettini di carta strappata e muove nello spazio i due protagonisti, o meglio i due
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In alto illustrazione di Maurice Sendak del libro “Nel paese dei mostri selvaggi”. A sinistra “Piccolo bu e piccolo giallo” di Leo Lionni.
colori. “Questo è piccolo blu. Eccolo a casa con mamma blu e papà blu. Piccolo blu ha molti amici, ma il suo miglior amico è piccolo giallo”. Nato dall’esperienza di Lionni — uno dei padri della “grafica attiva” americana — è un capolavoro assoluto, con il quale sono definite le caratteristiche del picturebook, il nostro “albo illustrato”: poche pagine, copertina cartonata, testo breve, un ritmo serrato che favorisce la sorpresa e l’emozione. Bruno Bettelheim dice: “Soltanto un artista che sappia pensare essenzialmente per immagini riesce a creare un vero libro illustrato. Leo Lionni ha capito l’importanza del linguaggio visivo”. Ma Piccolo blu e piccolo giallo è soprattutto un libro sull’amicizia che ci aiuta a definire la nostra identità. Tema ri-
corrente quello dell’identità che ritroveremo in tutti gli albi del nostro autore: dal “Topo dalla coda verde”, storia del topolino “Mascherato da se stesso”, a “La casa più grande del mondo”, dove la lumaca costruisce per sé la casa più grande ma anche più pesante del mondo, tanto da finirne schiacciata. E arriviamo a “Guizzino”, il pesciolino nero in un branco di pesciolini rossi, metafora dell’artista che ha la capacità di vedere e guidare in salvo la propria comunità. Infatti per Lionni “l’arte è soprattutto celebrare. Celebrare l’uomo, la sua umanità, la sua storia, la sua cultura”. Sempre in arrivo dall’America, considerato da molti il manifesto della rivoluzione grafica e culturale del libro per l’infanzia, “Nel paese dei mostri selvaggi”
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A destra parti del “Gioco delle favole” di Enzo Mari In basso “Il palloncino rosso” di Iela Mari.
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di Maurice Sendak approda nel catalogo Emme nel 1969 e Rosellina Archinto ne affida la traduzione al poeta Antonio Porta. Nato a Brooklyn da genitori ebrei di origine polacca, Sendak è un illustratore affermato ma viene subito criticato, non ultimo da Bruno Bettelheim, per i suoi contenuti “sovversivi”. È la storia di Max che, mandato a letto senza cena per castigo, parte per il paese dei mostri selvaggi e ne diventa il re. “Attraverso la fantasia — dice l’autore — i bambini raggiungono la catarsi. Essa è il loro migliore strumento per dominare le Cose Selvagge”. E dal Giappone, portatore di una cultura assai personale ma che sa confrontarsi con l’Occidente senza perdere il suo fascino, lo straor-
dinario Mitsumasa Anno, con un prezioso libro senza parole, “Il viaggio incantato” del 1978, che narra il viaggio dell’uomo nel mondo mentre il tempo della vita scorre. La Emme di Rosellina Archinto non solo porta in Italia il meglio della produzione internazionale, ma pubblica anche all’estero gli artisti italiani, come Iela e Enzo Mari. Iela Mari ha pubblicato libri che sono diventati nel corso del tempo dei classici della letteratura per ragazzi. il suo primo libro “Il palloncino rosso” rappresenta una piccola rivoluzione: pagine bianche, tratto nero, macchia rossa. Una bolla di chewing-gum si trasforma man mano in un pallone, mela, farfalla, fiore e infine, in un ombrello nelle mani del bam-
bino che aveva fatto la bolla con il chewing-gum. Il marito Enzo Mari, come designer, ricerca nuove forme e valori del prodotto industriale e applica il disegno industriale nel gioco del bambino, progettando “Il gioco delle favole”. E’ un libro gioco che stimola la creatività del bambino, non è un libro da leggere, né da sfogliare ma da comporre, scomporre, costruire. Sono tavole da incastro, con quarantasei esemplari di animali rappresentati su entrambi i fronti di ciascuna delle sei tavole offerte. A carte sciolte, incise sopra e sotto, fessurate per essere incastrate l’una all’altra, per ricostruire ambienti che riproducono la realtà come documentari e dove è possibile inventare una favola mesco-
lando gli elementi. Accanto al soggetto principale, rappresentato da un leone o un cavallo, un puma o una gallina, che si trova sulla tessera centrale si affacciano altri soggetti, come il sole e la luna, uno scarpone e una gabbia, che si integrano per inventare una storia. La storia delle Edizioni EL inizia a Trieste nel 1849 con l’apertura della Sezione letterario-artistica della compagnia di assicurazione Lloyd Austriaco. Fin da allora, tra raffinati libri d’arte e colte guide turistiche, una parte dell’attività tipografica è dedicata ai libri per ragazzi. La sua attività viene interrotta durante la seconda guerra mondiale. Nel 1974 rinasce dalle ceneri della storica Editoriale Libraria, e dal 1976 la dirige Orietta
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Fatucci. La EL pubblica i primi libri in formato tascabile, progettati per le diverse competenze linguistiche, e propone preziose riedizioni e coedizioni di albi illustrati innovativi, con gli inglesi, con i tedeschi e con i francesi. Con uno sguardo particolare al prezioso catalogo di François Ruy-Vidal che sostiene che i libri non devono scendere sul gradino più basso per comunicare ai bambini rinunciando alla qualità artistica, ma devono portarli al livello degli adulti andando incontro al naturale senso artistico dei bambini. Infine la Coccinella, la casa editrice italiana fondata nel 1977 da Domenico Caputo, Giuliana Crespi, Loredana Farina e Giorgio Vanetti. Il primo titolo pubblicato è “Brucoverde”,
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un libro gioco con i buchi, un prodotto editoriale che cambia la concezione stessa del libro per bambini: non più solo da leggere ma anche, e soprattutto, da toccare, esplorare e manipolare. Questi libri con i buchi, con pagine spesse di cartone e fustellati, rilegati con spirale metallica, contengono storie brevi spesso in rima, per bambini piccoli. Grazie a quest’idea la Coccinella ha costruito in oltre trent’anni il suo catalogo: invitando i piccoli lettori a interagire con il libro, a giocarci utilizzando tutti i sensi. Tra le collane di maggior successo, oltre ai “libri con i buchi” ci sono “Apri le finestrine” e “Prime scoperte”.
Caratteristiche dei libri: Le fasce d’età I libri personalizzati possono essere personalizzati in base alle fasce d’età dei bambini. Nei libri adatti a bambini fino ad 1 anno e mezzo (6-18 mesi) i testi sono semplici parole, oggetti di uso quotidiano, accompagnati sempre dal nome del piccolo protagonista. In questi libri vi sono immagini essenziali, ben curate ed individuabili immediatamente. La prima chiave di lettura del bambino a questa età, infatti, è l’immagine, la più semplice possibile. L’ adulto dicendo per esempio “questo è il gatto” (o il cane, la pecora, ecc.), senza accorgersene insegnerà al bambino che esiste una cosa, un oggetto, un animale e la sua riproduzione.
A sinistra “Brucoverde” della casa edistrice Coccinella.
Nei libri per bambini da 1 a 2 anni sono utilizzate brevissime storie elementari nelle quali sono presenti simpatiche filastrocche. Le immagini sono di facile interpretazione e leggermente più ricche di particolari in modo che il bambino, sfogliando il libro, ne sia attratto continuamente durante la lettura. Nei libri per bambini da 2 a 3 anni il piccolo protagonista diventa ancora più attivo nella storia in quanto sono inseriti dei facili indovinelli che saranno risolti velocemente di volta in volta sfogliando le pagine. Inoltre le figure, in alcuni casi, sono inserite a rovescio proprio perché questo stratagemma, in questa fase della crescita, atti-
In basso illustrazione di Maria Carluccio, “Kitty condo”. Nella pagina successiva un’illustrazione di Maurice Sendak del libro “Nel mondo dei mostri selvaggi”.
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verà ancor di più la sua attenzione. Nei libri per bambini da 3 a 4 anni il piccolo protagonista diventa parte sempre più attiva della trama e delle immagini. Egli diviene attore consapevole dei sentimenti e delle emozioni provate durante il viaggio fantastico che compie. La trama in questo tipo di edizione nonostante sia semplice e fluida è alquanto avventurosa e divertente. Immagini divertenti e particolarmente interessanti accompagnano la storia. Nei libri per bambini da 4 anni in su la trama diventa più complessa, articolata e ricca di colpi di scena. Il bambino altrimenti rischierebbe di annoiarsi. In questi libri vi sono immagini abbastanza veritiere, realistiche e ricche di particolari che de-
stano curiosità ed attenzione stimolando nel modo giusto la fantasia del piccolo. Ad ogni modo deve essere l’adulto, con la sua voce, a cominciare ad illustrare gli elementi delle immagini e della “storia. Solo più tardi il bambino potrà riviverlo anche da solo attraverso le immagini nelle quali si ritroverà il protagonista. Tutte le fiabe per questa fascia d’età sono comunque scritte in modo chiaro e lineare in modo da permettere una lettura di facile e diretta comprensione per il bambino. Mentre l’adulto legge a voce alta, il bambino in età prescolare seguirà le vicende interpretando e “leggendo” le illustrazioni che assumeranno quindi un’importanza fondamentale.
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Le illusioni ottiche A sinistra le linee orizzontali e verticali che delimitano i quadrati di questa scacchiera appaiono non parallele.
L
’illusione ottica è una qualsiasi illusione che inganna l’apparato visivo, facendoci percepire qualcosa che non è presente o facendoci percepire in modo scorretto ciò che nella realtà si presenta diversamente. Gli occhi osservano e il cervello rielabora le immagini. Ma la realtà non è come ci appare, è l’arte dell’illusione ottica a farla apparire reale. Il fascino delle illusioni è la loro capacità di aprirci una porta su mondi concepibili e assurdi e nello stesso tempo ci ricorda che non tutto quello che possiamo immagi-
nare o che ci sembra reale lo è necessariamente. La vista è il nostro principale sistema sensoriale. L’apertura da cui entra la luce nei nostri occhi si chiama pupilla. Le sue dimensioni vengono regolate dall’iride che controlla la quantità di luce che entra nell’occhio. La luce poi passa dal cristallino che è una lente, che serve a mettere a fuoco l’immagine, che infine viene proiettata sulla retina. L’immagine che viene proiettata sulla retina è capovolta rispetto a ciò che sta davanti ai nostri occhi. Dopo che la luce giunge alla re-
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In questo esempio di illusione geometrica i quadrati rossi appaiono distorti, come se fossero dei rombi.
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tina di ogni occhio, questa informazione viene trasportata ai due emisferi del nostro cervello. Qui prendono vita le immagini: si capovolgono, si colorano, assumono le tre dimensioni della realtà e sono unite in una sola immagine dal cervello. Se però il risultato è incompleto o confuso, ci pensa il cervello a trasformarlo in un’immagine tridimensionale completa. Di solito il nostro cervello ricostruisce velocemente le scene basandosi su meccanismi innati ed esperienze personali, che creano nella memoria particolari “modelli”, come immagini a tre dimensioni, figure geometriche o facce. Elementi da combinare insieme. Se i modelli sono in contrasto con la realtà, o vediamo un’immagine diversa
in ogni occhio, ecco sorgere le illusioni. La più comune illusione ottica è quella prospettica, in base alla quale è possibile ricavare da una figura in due dimensioni il senso della profondità. Tale illusione si basa sul fatto che nella realtà gli oggetti più distanti appaiono rimpiccioliti e che quindi un oggetto rimpicciolito in opportune condizioni provoca la sensazione della lontananza. In molti casi il realizzarsi di particolari circostanze altera i normali processi di percezione dando origine al fenomeno della illusione ottica. A seconda dell’illusione ottica che guardiamo, l’immagine suggerisce al cervello un tipo di movimento diverso, creando una distorsione della stessa.
Tipi di illusioni ottiche Le illusioni possono essere prevalentemente di tre tipi ovvero: Ottiche: quando non dipendono dalla fisiologia umana ad esempio l’illusione ottica naturale della luna che è più piccola quando si trova sopra la nostra testa ed è più grande quando situata vicino all’orizzonte o il miraggio; Percettive: quando dipendono dalla fisiologia umana come per esempio immagini che si vedono dopo aver fissato un’immagine molto contrastata e luminosa; infine illusioni Cognitive12, quando esse sono dovute all’interpretazione che vi dà il cervello come per i paradossi prospettici. Ciò può essere provocato dai colori, ad esempio una zona di una tonalità più chiara può essere
percepita come più grande rispetto a un’altra di un colore più scuro. In conclusione possiamo dire che il modo in cui le cose si presentano nella realtà non è sempre quello a cui pensiamo noi; sebbene si pensi che ciò che noi vediamo sia un riflesso immediato ed esatto sul nostro cervello, in verità la nostra realtà ha bisogno di essere sintetizzata, trasformata e interpretata dal cervello che ci dà modo di adattarci al mondo che ci circonda e magari di renderlo anche più eccitante. Un tipo famoso e molto apprezzato di illusione ottica è l’anamorfismo. L’anamorfismo è una proiezione distorta su un piano, che genera un effetto di illusione ottica tale che il soggetto ori-
Nota 12: Ad esempio, linee rette che vengono percepite come curve, dimensioni uguali percepite come diverse. In basso un esempio di illusione ottica: la barra orizzontale è tutta dello stesso colore.
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Nota 13: La parola anamorfismo deriva dal greco ana- e mórfosis= forma ricostruita.
A destra un esempio di Anamorfismo di oggi.
ginale sia riconoscibile soltanto guardando l’immagine da una posizione precisa. Affinchè l’immagine venga ricostruita correttamente dal cervello, l’osservatore deve occupare una posizione specifica. L’anamorfismo oggi L’anamorfismo13 è un effetto di illusione ottica per cui un’immagine viene proiettata sul piano in modo distorto, rendendo il soggetto originale riconoscibile solamente guardando l’immagine da una posizione precisa. E’ usato in affreschi o in dipinti in cui si stagliano figure apparentemente illeggibili, che però, se osservate spostandosi lateralmente dal punto di vista frontale o attraverso la superficie convessa di uno specchio,
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riacquistano le proprie forme normali, offrendosi al pubblico nella tipica prospettiva naturale. Questo virtuosismo prospettico, che nasce e si sviluppa a partire dalla prima metà del cinquecento nei paesi del nord Europa, ma che fu praticato anche dai nostri artisti del Rinascimento, si fonda sulle rigorose regole della prospettiva lineare, per poi discostarsene in modo assolutamente evidente. Le documentazioni più antiche in Italia, riguardanti l’utilizzo dell’espediente figurativo in questione, risalgono a due schizzi del 1515, attribuiti a Leonardo Da Vinci e contenuti nel celeberrimo “Codice Atlantico”, che ritraggono, l’uno un occhio e, l’altro, il volto di un bimbo: se visti frontal-
mente, essi risultano del tutto indecifrabili, ma se li si guarda soltanto con un occhio, sarà sorprendente verificare il ritorno delle immagini alle proprie proporzioni naturali. Le ricerche incentrate sull’anamorfosi furono dovute, principalmente, all’incessante lavoro di alcuni religiosi, seguaci dei frati Gesuiti e dei cosiddetti “Minimi”, due ordini religiosi affascinati dal simbolismo e dal significato arcano che si celava dietro le immagini deformate. Di qui la necessità per gli artisti rinascimentali di dar prova della loro “Valentia” e del loro virtuosismo. Leonardo da Vinci, che è da molte parti celebrato anche come un genio dell’ anamorfosi, fu maestro di cerimonie e di spettacoli presso gli Sforza di
Milano. G. P. Lomazzo citò due composizioni anamorfiche di Leonardo da Vinci, “La battaglia tra un drago e un leone” (dipinta da Leonardo a Firenze prima del 1480) e “I cavalli”, creati per il re di Francia Francesco I (1494-1547), nell’ultimo periodo della sua vita. L’Anamorfosi è dunque da considerarsi anche come un’ “arte segreta”, volta a stupire il colto e nobile pubblico delle Corti Rinascimentali italiane ed europee. A partire dal Rinascimento diversi pittori hanno fatto uso dell’anamorfismo per nascondere significati alternativi in un’opera. Leonardo da Vinci ha tracciato in alcuni suoi appunti diversi esempi di figure anamorfiche. Nella parte inferiore del dipinto “Gli ambasciatori di Hans Holbein
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“Ambasciatori” di Hans Holbein il Giovane, nella parte inferiore del dipinto è visibile una strana figura.
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il Giovane” è visibile una strana figura. Osservando il quadro da destra tenendo la testa vicina al piano, si può chiaramente vedere che la figura anamorfizzata è un teschio. La tecnica dell’anamorfismo è usata anche nel cinema, nel teatro e nel settore pubblicitario. Nella tecnica cinematografica CinemaScope, l’anamorfismo è utilizzato per riprendere un formato di schermo con rapporto base/altezza differente da quello della pellicola. Speciali lenti anamorfiche comprimono l’immagine lateralmente al momento della ripresa e la riespandono durante la proiezione. Un utilizzo pratico dell’effetto anamorfico è quello praticato nell’esecuzione di scritte per segnalazioni sul manto stradale, i cui caratte-
ri sono deformati e allungati in modo tale che, visti da una certa distanza, appaiano normali e leggibili. Altri esempi di anamorfismo sono le scritte pubblicitarie disegnate sui campi da gioco di varie discipline sportive. Tali insegne sono disegnate distorte sul suolo, in modo da apparire perfettamente dritte dal punto di vista delle telecamere che riprendono l’evento sportivo. Alcuni artisti contemporanei, tra cui l’inglese Julian Beever, si sono specializzati nel dipingere su pareti di edifici o marciapiedi opere anamorfiche tali che i passanti percepiscano cavità o oggetti tridimensionali che in realtà non esistono. Altri artisti, tra cui l’italiano Alessandro Diddi e l’olandese Ramon Bruin, realizzano su carta i loro
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A destra un motivo moiré, formato da due fasci di rette parallele, incidenti ad un angolo di 5°. In basso un libro realizzato con l’effetto Moirè “New York in Pajamarama”.
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disegni anamorfici in modo da far credere al osservatore che essi escano dal foglio e vadano ad interagire con oggetti ed elementi reali che li circondano. Tuttavia, gli esempi più spettacolari di arte anamorfica prospettica moderna sono realizzati da artisti “su strada”, che realizzano le loro opere all’aperto, disegnando anamorfismi prospettici su piazze, strade e muri delle città. Le dimensioni di queste opere sono imponenti, fino a diverse centinaia di metri quadri, e l’effetto prospettico è dirompente. Un’originale forma di arte anamorfica moderna realizzata senza disegni e pitture è il “giardino effimero” progettato da François Abélanet e realizzato nella piazza prospiciente l’Hôtel de
Ville, sede del municipio di Parigi, dove è stato esposto dal 24 giugno al 17 luglio 2011. All’apparenza si tratta di un normale giardino di forma oblunga che si estende per millecinquecento metri quadri, con un terreno ondulato e impreziosito da alberi e sentieri. Se osservato dal punto di vista prospettico, posto oltre due metri sopra il livello della piazza, il giardino si trasforma e si ricompone sorprendentemente in un mappamondo verde solcato da sottili righe verticali e orizzontali a mo’ di meridiani e paralleli. Effetto Moirè In fisica, l’effetto Moiré si riferisce ad una figura di interferenza creata, per esempio, quando due griglie uguali vengono so-
vrapposte secondo un certo angolo, o quando le griglie hanno maglie di grandezza leggermente diversa. Il termine ha origine dal termine francese moiré, un tipo di tessuto, tradizionalmente di seta ma ora anche in cotone o fibra sintetica, con un effetto che ricorda le onde o l’acqua. Esso è usato anche in tipografia, ed indica l’effetto che si ha quando le separazioni in quadricromia non vengono stampate a registro e può capitare che le retinature diano la percezione visiva di un effetto moiré, detto anche “non a registro”. Si tratta in realtà di una illusione ottica creata dalla ripetitività o dalla posizione degli elementi di una rappresentazione grafica che interferiscono con i recettori sensoriali della rétina del
nostro occhio: osservando tali elementi proviamo una sensazione di disturbo o addirittura di movimento delle linee. La storia della parola moiré è complicata. L’origine riconosciuta come più antica è attribuita al termine arabo mukhayyar, che in arabo significa scelta, ed è un panno ottenuto dalla lana della capra d’Angora. Si è anche supposto che la parola araba è derivata dal latino marmoreus, che significa “come il marmo”. A partire dal 1570, la parola è entrata in uso nella lingua inglese come mohair, termine poi adottato in francese come mouaire, e dal 1660 (negli scritti di Samuel Pepys) era stata adottata di nuovo in inglese come moire o moyre. Nel frattempo, il mouaire francese era
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In basso un esempio di effetto Moirè realizzato per delle cartoline del io albo “Komorebi”. A sinistra esempio di effetto moirè.
mutato nel verbo moirer, che significa “produrre un tessuto innaffiato mediante tessitura o pressatura”, che dal 1823 aveva generato l’aggettivo moiré. Moire (pronunciato “mwar”) e l’effetto moiré (pronunciato “mwar-ay”) sono ora utilizzati in modo intercambiabile in
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inglese, anche se moire è più spesso utilizzato per la stoffa e moiré per l’effetto. L’effetto Moiré può essere osservato in diversi ambiti: stampa di immagini a colori, schermi televisivi e fotografie, navigazione marina, misurazioni di deformazione, elaborazione di immagini.
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Conclusioni Quando ero piccola mi piaceva guardare le illustrazioni di un testo, dare voce ai personaggi, dare loro un nome, legare con un filo invisibile, in successione, le pagine illustrate mentre le sfogliavo incantata e mi piaceva poi disegnarle a modo mio. Oggi a distanza di tanti anni rivedo nell’album dei mie ricordi le pagine più belle e rivivo la gioia che provavo nello scoprire mondi sempre nuovi che mi hanno aiutato a crescere. Da qui nasce la mia gratitudine nei confronti degli albi illustrati con la convinzione che anche i bambini di oggi debbano essere “nutriti” e accesi di entusiasmo come lo sono stata io. Questo è stato l’argomento principale del mio elaborato, che verte sugli albi illustrati per l’infanzia, per la loro capacità di penetrare la nostra mente, il cuore e l’anima, per parlarci del mondo e per aiutarci a capirlo. Gli albi illustrati sono “segni” che ci aiutano a iniziare in modo consapevole il viaggio della nostra vita. Le illustrazioni prendono vita con semplici tratti di matita, sul foglio bianco e per magia l’immagine appare…e i bambini di ieri, come quelli di oggi continuano a esserne incantati. Intanto il tempo scorre e l’incanto continua, si anima e cresce nell’uomo del domani la voglia di leggere. Chi legge è come un viaggiatore incantato che mentre viaggia esplora e impara, arricchisce l’anima e la mente, conoscendo nuovi mondi.
Bibliografia: L’illustrazione Art Nouveau, Giovanni Fanelli, Ezio Godoli, 1989, Laterza. Guardare le figure, Antonio Faeti, 1972, Donzelli editore. Fantasia, Munari, 1998, Laterza. Leggere, guardare, nominare il mondo nei libri per l’infanzia, Marcella Terrusi, 2012, Carrocci editore. Storia dell’illustrazione italiana, P.Pallottino, 2010, La Casa Usher. Infanzia e racconto – il libro, le figure, la voce, lo sguardo, Emy beseghi, 2008, Bononia University Press. Di fronte alle figure, Silvia Blezza Picherle in Il Pepeverde, n. 11-12. Leggere ad alta voce, Rita Valentino Merletti, 2000, Mondadori. Sitografia: http://dspace.unive.it/bitstream/handle/10579/2337/804970-85530.pdf?sequence=2 http://www.ilpepeverde.it/005%20Argo%201.2%20Vetrina%20Int%20Legg.html http://lnx.psicologovavassorimilano.it/?p=975 http://www.raccontareancora.org/wp-content/uploads/2015/05/AlboImmaginiSignificatiSensi.pdf http://www.raccontareancora.org/wp-content/uploads/2015/05/AlbiLibriIllustrati.pdf http://www.raccontareancora.org/wp-content/uploads/2015/05/FascinoNarrativaColori. pdf http://www.sed.beniculturali.it/index.php?it/185/per-immaginare-la-mente-ha-bisogno-di-immagini http://sdz.aiap.it/notizie/8174 http://www.edufrog.it/bruno-munari.html http://www.zuppagrafica.com/graphic-design/quando-in-italia-c%E2%80%99era-rodari-e-c%E2%80%99era-anche-munari%E2%80%A6/ https://it.wikipedia.org/wiki/Fiaba http://docplayer.it/9987477-Il-libro-d-artista-per-bambini-nella-produzione-degli-editori-italiani-e-turchi-una-proposta-progettuale.html http://www.cultorweb.com/Books/StoriadellaStampa.html
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Germana Della Rocca Prof. Stefano Mosena A.A. 2015/16 Dipartimento di Progettazione di arti applicate Scuola di Progettazione Artistica per l’Impresa Corso di Diploma Accademico di I° livello in Grafica Editoriale Finito di stampare nel mese di luglio 2016 presso Naturalmente Stampa - Cava de’ Tirreni (SA), carta utilizzata Modigliani.