Il linguaggio del Volto

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IL LINGUAGGIO DEL VOLTO

a cura di Faustini Chiara


Il linguaggio del volto a cura di Faustini Chiara

Teoria della Percezione e Psicologia della Forma Prof.ssa Giusi Di Grandi Accademia di Belle Arti di Frosinone



Indice

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Le emozioni La comunicazione non verbale Il linguaggio delle espressioni facciali Micro e macro espressioni Universalità Le emozioni primarie La sorpresa La paura Il disgusto La rabbia La felicità La tristezza

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Elaborazione personale Sperimentazione digitale Ricerca dell’essenzialità

Conclusioni Bibliografia e sitografia

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Le emozioni siamo sempre in preda di esse. Generalmente insorgono quando percepiamo, a torto o a ragione, che sta succedendo o sta per succedere qualcosa che influirà profondamente sul nostro benessere, in meglio o in peggio. Le emozioni si sono evolute per prepararci a gestire con rapidità gli eventi più vitali per la nostra esistenza.

Le emozioni determinano la qualità della nostra vita. Possono salvare da situazioni pericolose, ma anche arrecare seri danni; possono indurci ad agire in modi che riteniamo appropriati, o di cui in seguito potremmo pentirci. Non siamo in grado di conoscere pienamente il modo in cui le emozioni ci influenzano, né siamo capaci di riconoscerne sempre i segni in noi stessi e negli altri. Un’emozione può insorgere in maniera talmente rapida che il nostro sé cosciente non solo non vi prende parte, ma non riesce nemmeno a prendere nota di cosa l’abbia innescata. Non abbiamo molto controllo sull’emozione, ma è possibile, anche se non è facile, intervenire sia su ciò che la innesca sia sul nostro modo di comportarci quando ne siamo in balìa. Ogni emozione genera uno schema specifico di sensazioni fisiche, di segnali specifici particolarmente identificabili nella voce e nell’espressione facciale che non scegliamo, avvengono e basta: prendendo più dimestichezza con essi possiamo renderci conto delle nostre reazioni in tempo per avere qualche possibilità di decidere se lasciarle esprimere o intervenire.

Quando un’emozione si innesca, s’impadronisce di noi in pochi millisecondi e pilota ciò che facciamo, diciamo o pensiamo, senza che siamo consapevoli dell’intero processo: queste reazioni hanno luogo perché, nel corso della nostra evoluzione, si è dimostrato utile che quando un individuo percepiva un pericolo gli altri lo percepissero. Dobbiamo avere dei meccanismi automatici di valutazione che scandagliano in continuazione il mondo che ci circonda, e che, se avviene qualcosa di importante per il nostro benessere o per la nostra sopravvivenza, lo individuino: tali meccanismi vengono chiamati valutatori automatici, sensibili sia a pulsanti emozionali universali, sia ad altri che scatenano emozioni diverse fra individui appartenenti alla medesima cultura.

Silvan Tomkins, psicologo e teorico della personalità del XX secolo, sosteneva che le emozioni sono la nostra ragione di vita: organizziamo la nostra esistenza in modo da esperire più emozioni positive e meno emozioni negative possibili. Per questo le emozioni sono ciò che motiva tutte le nostre scelte importanti. L’uomo vuole essere felice, o per lo più non vuole provare paura, rabbia, tristezza, disgusto o tormento. Tuttavia non potrebbe vivere senza queste emozioni. Non tutto scatena in noi delle emozioni, e non

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La comunicazione non verbale Ognuno dei gesti, delle posture, delle espressioni che accompagnano le parole non è casuale ma ha un significato ben preciso. Conoscerlo ci permette di capire le reali intenzioni degli altri, conoscere qual è lo stato d’animo e di intuire cosa l’altro pensi realmente quando interagisce con noi.

L’emozione è un processo , una forma particolare di valutazione automatica di una situazione; valutazione che è influenzata dal nostro passato sia evolutivo che personale, nella quale percepiamo che sta accadendo qualcosa di importante per il nostro benessere, e che attiva una serie di cambiamenti fisiologici e di comportamenti emozionali per gestire inizialmente la situazione. Le parole, invece, sono uno dei modi di gestire le emozioni, ed è vero che usiamo le parole quando siamo nelle emozioni, ma non possiamo ridurre le emozioni alle sole parole.

La comunicazione è il principale strumento tramite cui noi entriamo in legame con gli altri. Non è possibile scegliere se comunicare o no; anche se in silenzio, con lo sguardo fisso, significa comunicare. Si trasmette all’esterno l’idea di non voler parlare. Dato che non si può evitare di comunicare, ci rimane una sola scelta da compiere: scegliere se comunicare bene, in maniera organizzata, conoscendo il significato di gesti, posture, espressioni facciali, oppure lasciare al caso queste variabili. Ma tenendo conto che l’efficacia della nostra comunicazione è costituito per il 93% dagli effetti della comunicazione non verbale, conviene saperla leggere e utilizzare.

La comunicazione non verbale è quella parte della comunicazione che comprende tutti gli aspetti di uno scambio comunicativo che non riguardano il livello puramente semantico del messaggio, ma che riguardano il linguaggio del corpo, la comunicazione non parlata tra persone. Tale linguaggio è in parte innato, e in parte dipende dai processi di socializzazione. I meccanismi dai quali scaturisce la comunicazione non verbale sono assai simili in tutte le culture, ma ogni cultura tende a rielaborare in maniera differente i messaggi non verbali. Giocare con l’anello, pizzicarsi il naso, annodare i capelli su un dito (tipico del sesso femminile), grattarsi la nuca o aggiustarsi un polsino e numerosi altri comportamenti simili sono tutti segnali che produciamo senza sosta, in modo quasi interamente automatico e senza intenzione di trasmettere alcunché. Nelle nostre interazioni quotidiane tutto questo viene di solito ignorato o giudicato senza senso. Questo però non significa che i segnali del corpo non vengano colti e non producano effetti. Il processo avviene però, per lo più, al di fuori della nostra consapevolezza.

Esistono segnali che possiamo controllare più facilmente, e segnali più involontari. In genere, tanto più un segnale si allontana dal volto, tanto meno è controllato e consapevole. Infatti siamo abbastanza consapevoli della posizione delle spalle, della mimica facciale. La posizione delle braccia e delle gambe è invece meno consapevole e meno sotto il nostro controllo. Considerando solo la comunicazione facciale ci sono delle differenze: i muscoli più grandi solo facilmente controllabili, mentre la pigmentazione della pelle, il battito delle palpebre, le microespressioni sono molto meno controllabili.

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Più un segnale è involontario, meno è mediato dalla coscienza. Più un segnale è inconsapevole, quindi, più esso sarà rivelatore delle reali intenzioni altrui.

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Il linguaggio delle espressioni facciali temperamento e carattere.

La stragrande maggioranza delle informazioni sono comunicate tramite l’espressione facciale.

I movimenti rapidi del volto inviano anche messaggi emblematici. Gli emblemi mimici sono come i movimenti della mano per salutare o i cenni del capo per dire «sì» o «no». Si tratta sempre di un movimento specifico e facile da distinguere fra gli altri. Il significato è compreso da tutti all’interno di una cultura o subcultura data. Ci sono anche altri emblemi che si potrebbero chiamare emblemi emotivi, perché il messaggio che trasmettono riguarda un’emozione. Questi emblemi emotivi somigliano alla mimica dell’emozione, ma ne differiscono abbastanza perché la persona che li vede capisca che chi li produce non prova al momento quell’emozione, ma la sta semplicemente nominando.

Il volto presenta tre tipi di segnali: statici, a variazione lenta e rapidi. Fra i segnali statici rientrano gli aspetti più o meno permanenti della faccia, come la pigmentazione della pelle, la forma del viso, la struttura ossea, le cartilagini, i depositi di grasso, la grandezza, la forma e la posizione dei lineamenti. I segnali lenti sono i cambiamenti d’aspetto che si producono gradualmente nel corso del tempo, come ad esempio la formazione delle rughe, le alterazioni del tono muscolare, della grana e della pigmentazione della pelle, specialmente in tarda età. I segnali rapidi sono prodotti dai movimenti dei muscoli facciali, che producono variazioni passeggere nell’aspetto del viso. Da questi segnali rapidi è possibile giudicare esattamente le emozioni, e di recente è stato scoperto che ci sono dei segnali mimici particolari, i modelli, che distinguono ciascuna delle emozioni primarie e le loro mescolanze.

I segnali rapidi del viso, oltre a trasmettere messaggi emblematici ed emotivi, sono usati anche come punteggiatura nella conversazione. Sono i segni mimici di interpunzione, che introducono nel discorso verbale accenti, virgole e punti fermi.

È importante sottolineare che i messaggi emotivi non sono trasmessi dai segnali statici o lenti presenti sul viso di una persona; tuttavia questi possono influire sulle implicazioni di un messaggio emotivo. Ad esempio, se i segnali rapidi ci dicono che una persona è arrabbiata, la nostra impressione sul perché è arrabbiata e su quello che può fare dipende in parte da quello che ci dicono gli altri segnali circa la sua età, razza, sesso, personalità, 8


Micro e macro espressioni ne che supera i limiti convenzionali. Guardare fissa una persona è una mossa intima. Spesso, invece, evitiamo di guardare in faccia una persona per evitare di farci carico di quello che scopriamo e non essere obbligati a fare qualcosa per lei: se non guardiamo possiamo non sapere o fingere di non sapere. A meno che non li esprima a parole, non siamo socialmente obbligati a preoccuparci dei suoi sentimenti.

I problemi nella comprensione delle espressioni facciali nascono perché le persone per lo più non si guardano in faccia. Dal momento che l’espressione delle emozioni è breve, può succedere spesso di perdere un messaggio importante. Alcune mimiche poi sono estremamente rapide, della durata di una frazione di secondo: sono le microespressioni. Spesso le mimiche molto prolungate non sono espressioni autentiche di un’emozione, ma espressioni simulate, in cui la persona recita manifestando l’emozione in maniera esagerata. A volte, però, non si tratta di una recita, ma la mimica esagerata serve a manifestare un’emozione vera senza assumersene la responsabilità. Ma anche le macroespressioni, che durano due o tre secondi, sfuggono spesso perché in genere non si guardano in faccia le persone. In un certo senso ciò è paradossale perché la faccia richiama un bel po’ di attenzione. In quanto sede dei principali ingressi sensoriali (vista, udito, olfatto e gusto) e della fondamentale uscita comunicativa (il linguaggio) ha grande importanza nella vita sociale. Inoltre, la maggioranza delle persone identifica se stessa, almeno in parte, col proprio volto.

Oltre a queste ragioni piuttosto comuni per non guardare in faccia, alcuni hanno imparato a loro spese nel corso dell’infanzia a non guardare l’espressione del viso di certe persone. Un bambino per esempio impara che è pericoloso guardare il padre quando è arrabbiato e che è sempre meglio distogliere lo sguardo dalle facce incollerite. Questo tipo di apprendimento può essere talmente precoce che da adulti si eviterà, senza rendersene conto, di vedere certe emozioni, in generale o in certi tipi di persone. Come abbiamo già accennato, i messaggi emotivi possono essere trasmessi anche dalla voce, dalla postura, dai movimenti del braccio e della mano, della gamba e del piede. Ma il messaggio non è chiaro come quello trasmesso dalla mimica facciale. Per questo la faccia è il sistema primario, chiaro e preciso, di segnalazione delle varie emozioni.

Nella conversazione è raro che guardiamo di continuo in faccia l’interlocutore. Probabilmente è più il tempo che passiamo guardando altrove. Questo, in parte, accade perché siamo stati educati a non fissare le persone, se non si vuole passare per maleducati o invadenti, cercando di capire cose che non sappiamo se l’altro intende rivelare. Non vogliamo mettere in imbarazzo l’interlocutore o noi stessi: se vuole farci sapere quello che prova, può dirlo a parole; altrimenti la nostra è un’intrusio-

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Universalità Più di un secolo fa Charles Darwin, nel suo libro “L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali”, scriveva che l’espressione delle emozioni è universale, non acquisita diversamente da ciascuna cultura: è biologicamente determinata, un prodotto dell’evoluzione della specie. Da allora, molti autori hanno espresso un dissenso radicale, ma di recente la ricerca scientifica ha risolto il problema una volta per tutte, dimostrando che la mimica di almeno alcune emozioni (le cosiddette emozioni primarie quali gioia, tristezza, paura, sorpresa, rabbia e disgusto) è effettivamente universale, anche se ci sono differenze culturali quanto alle occasioni in cui tali espressioni si manifestano. In un esperimento condotto da Paul Ekman e Wallace V. Friesen*, si sono mostrate fotografie di volti che esprimono le diverse emozioni a osservatori di vari paesi. Ai soggetti i chiedeva di scegliere una delle sei emozioni primarie per ogni volto. I risultati testimoniano che le varie fotografie erano giudicate espressione delle stesse emozioni in tutti i paesi presi in esame, indipendentemente dalla lingua e dalla cultura. Restava tuttavia una lacuna da colmare. Tutti i soggetti esaminati avevano esperienze visive in comune, non direttamente, ma attraverso i mass media. C’era la possibilità che l’espressione delle emozioni in realtà fosse diversa da una cultura all’altra, ma che attraverso il cinema, la televisione e le riviste illustrate le persone avessero imparato a riconoscere le varie mimiche, oppure che la mimica stessa fosse identica in tutte le culture proprio perché tutti avevano imparato a manifestare le proprie emozioni imitando gli stessi attori visti al cinema o in televisione.

L’unico modo per risolvere la questione era studiare persone isolate, prive di contatti con i mezzi di comunicazione di massa e con scarsissimi contatti col mondo esterno. Ekman e Friesen hanno allora condotto una serie di esperimenti negli altipiani sudorientali della Nuova Guinea, dove hanno trovato un a popolazione che corrispondeva a tali criteri. Dato che queste persone non erano assolutamente abituate ai test psicologici o agli esperimenti di laboratorio, e dato che i ricercatori non conoscevano la loro lingua, sono stati costretti a modificare la procedura. Al soggetto si presentavano tre fotografie contemporaneamente e si raccontava una storia a contenuto emotivo, chiedendogli di indicare quale delle tre facce corrispondesse a quella storia. Il risultato è stato che anche in quel contesto culturale le risposte coincidevano con quelle ottenute dagli esperimenti, con un’unica eccezione: i soggetti della Nuova Guinea non distinguevano le mimiche di paura e di sorpresa, probabilmente perché queste due emozioni erano così spesso interconnesse nell’esperienza di queste persone da non essere separabili, come invece accade nelle culture alfabetizzate. In conclusione Darwin era nel giusto quando sosteneva l’universalità dell’espressione delle emozioni. Benchè l’aspetto del viso per ciascuna emozione primaria sia universale, le culture differiscono sotto almeno due aspetti: in ciò che suscita una certa emozione e nelle convenzioni che dettano il controllo della mimica in situazioni sociali date. A seguito dei risultati riscontrati nella ricerca, Ekman

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e Friesen hanno costruito una sorta atlante del viso, il “Facial Action Coding System”, il quale comprende fotografie e filmati, per imparare a valutare e misurare il comportamento facciale.

* Paul Ekman è professore di Psicologia presso il Dipartimento di Psichiatria dell’Università della California a San Francisco. Esperto di espressione facciale, fisiologia delle emozioni e menzogna, ha ricevuto numerosi riconoscimenti, in particolare il premio per meriti scientifici dall’American Psychological Association. Wallace V. Friesen è stato ricercatore e docente di Psicologia all’Università della California (San Francisco), dove ha collaborato per molti anni alle ricerche di Paul Ekman. Attualmente è all’Università del Kentucky dove conduce ricerche in particolare sulle emozioni negli anziani.

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Le emozioni primarie Come abbiamo precedentemente accennato, le emozioni primarie sono quelle emozioni innate e universali, riscontrabili in qualsiasi popolazione. Queste emozioni sono la gioia, la tristezza, la paura, la rabbia, il disgusto e la sorpresa.

La sorpresa La sorpresa è l’emozione più breve. Scatta all’improvviso. Quando siamo sorpresi non abbiamo molto tempo per azioni deliberate, volte a gestire il nostro comportamento. Se abbiamo tempo di pensare a quello che succede e considerare se ci sorprende o no, allora non siamo sorpresi. La sorpresa è suscitata da un evento inaspettato o da un evento che contraddice le attese. Qualunque cosa può suscitare sorpresa se capita all’improvviso o se ci si aspetta qualcos’altro. Una volta valutato un evento inatteso, dalla sorpresa si passa a un’emozione diversa, negativa o positiva a seconda dell’esito della nostra valutazione dell’evento. Poiché l’esperienza della sorpresa è breve, seguita quasi subito da un’altra emozione, spesso il volto mostra una miscela delle due emozioni. Analogamente, se quando sopravviene la sorpresa era già in atto un’emozione diversa, sul viso si osserverà un’espressione mista. Ciò che distingue la sorpresa dalle altre emozioni è che essa ha una tempistica fissa. Non può durare più di qualche secondo al massimo, cosa che non

vale per nessun’altra emozione, che, pure essendo molto breve, può anche permanere più a lungo.

Mimica Durante la reazione di sorpresa, le sopracciglia sono sollevate, gli occhi sono spalancati e la mascella inferiore ricade, dischiudendo le labbra. Le sopracciglia appaiono incurvate e rialzate, producendo delle lunghe rughe orizzontali nella fronte. Queste non compaiono in tutti: in particolare i bambini, anche quando sollevano le sopracciglia, non ne presentano, ma neppure alcuni adulti. Di solito la fronte sorpresa è accompagnata da occhi sgranati e mascella abbassata, ma a volte compare anche in un volto per il resto neutro. In questi casi l’espressione facciale non indica un’emozione ma ha altri significati, alcuni dei quali affini alla sorpresa (dubbio, incredulità, esclamazione, scetticismo). Durante la reazione delle paura gli occhi sono spalancati, con la palpebra inferiore rilassata e quella superiore sollevata. Nella sorpresa si scopre il bianco dell’occhio (la sclerotica) sopra l’iride. Può scoprirsi anche al di sotto dell’iride, ma ciò dipende da quanto sono infossati gli occhi e dal fatto che la bocca si sia aperta tanto da tendere la pelle sotto l’occhio. L’occhio sorpreso può presentarsi anche in un volto per il resto neutro, ma acquisisce per lo più significati diversi, come una manifestazione momentanea d’interesse, come segno d’interpunzione oppure 12


accompagnare o sostituire un’interiezione, come a esempio «Wow!».

succede: allora la paura è virtualmente simultanea al danno.

La mascella ricade durante la sorpresa, causando la separazione delle labbra e dei denti. La bocca aperta della sorpresa è rilassata, non tesa. La mascella può ricadere senza alcun altro movimento nel resto del viso: il significato di questa mimica è “stupore”.

L’evoluzione favorisce due reazioni alla paura molto diverse: nascondersi e fuggire. Nel momento della paura il sangue affluisce ai muscoli larghi delle gambe, predisponendoci a correre. Ciò non significa che correremo, ma solo che l’evoluzione ci ha preparati a fare ciò che, nell’adattamento della specie, si è rivelato più favorevole alla nostra preservazione. La terza reazione sarebbe quella di arrabbiarci con ciò che ci minaccia. Non è raro provare paura e rabbia in rapida successione: possiamo alternare paura e rabbia così rapidamente che le sensazioni si mescolano.

La paura Sono state fatte più ricerche sulla paura che su qualsiasi altra emozione, probabilmente perché è facile suscitarla in quasi tutti gli animali.

Quando siamo effettivamente in grado di fronteggiare una minaccia immediata e grave, può succedere che le sensazioni e i pensieri sgradevoli che caratterizzano la paura non vengano esperiti, e che al contrario la coscienza si focalizzi sull’obiettivo immediato, tenendo testa alla minaccia. Se possiamo fare qualcosa per affrontare il pericolo, può essere che non si provi paura; altrimenti, se non c’è nulla da fare tranne aspettare e vedere se si sopravvive, è probabile che s provi terrore. È quando non possiamo fare nulla che abbiamo maggiori probabilità di venire travolti dalla paura, non quando siamo impegnati a gestire la minaccia immediata.

La paura scaturisce nelle persone che temono di subire un danno, fisico o psicologico. Quando siamo spaventati, possiamo fare praticamente tutto, oppure nulla, a seconda di ciò che in passato abbiamo appreso essere una protezione nella situazione in cui ci troviamo. La sopravvivenza dipende dall’imparare a evitare o fuggire le situazioni che possono causare grave dolore e lesioni fisiche. Impariamo molto presto a prevedere i pericoli. Valutiamo quello che sta succedendo, pronti a cogliere il rischio dei danni. Molto spesso proviamo paura in anticipo, e temiamo pericoli sia reali che immaginari. La paura di un pericolo, persino la previsione di un dolore fisico, può spesso risultare più sgradevole del dolore in sé. Spesso, naturalmente, il timore del pericolo mobilita gli sforzi per evitare o ridurre il danno imminente. La paura è avvertita così spesso in anticipo rispetto al danno che può succedere di dimenticare che possiamo essere colti alla sprovvista. Talvolta siamo colpiti senza preavviso: in questi casi si prova paura senza avere il tempo di pensare cosa

La paura si distingue dalla sorpresa per tre differenze importanti. La paura è un’esperienza terribile, la sorpresa no. Mentre la sorpresa non è necessariamente piacevole o spiacevole, anche un lieve timore è sgradevole. Quanto alla paura intensa, il terrore, è probabilmente la più traumatica e tossica fra tutte le emozioni. È accompagnata da molte alterazioni corporee: la pelle impallidisce, scorre il sudore, il respiro accelera, il cuore palpita, il polso batte forte; può esserci nausea, perdita delle urine e feci, tremito delle mani; ci si ritrae davanti alla minaccia, e se si resta 13


paralizzati si assume una postura rannicchiata. È impossibile rimanere in questo stato per lunghi periodi, perché il terrore svuota e rende esausti. La seconda differenza dalla sorpresa è che si può aver paura di qualcosa di molto familiare, che si sa fin troppo bene che sta per succedere. Si può provare paura la seconda, la decima, la ventesima volta che ci si accinge ad affrontare una particolare situazione. Quando invece la paura è improvvisa e colpisce simultaneamente al danno, l’esperienza si colora di sorpresa. Così, in molti casi di paura improvvisa si proverà una mescolanza di sorpresa e timore. Una terza differenza riguarda la durata. La sorpresa è la più breve delle emozioni, la paura purtroppo no. La sorpresa dura sempre poco, e anche la paura imprevista o quella che sopravviene insieme al danno, può avere breve durata, ma in altri casi può svilupparsi gradualmente. La paura può durare molto più a lungo: sappiamo benissimo ciò che ci spaventa, ma questo non fa cessare la paura. Anche passato il pericolo, le sensazioni di paura possono perdurare. Se poi il pericolo passa in un lampo, possiamo provare paura a scoppio ritardato.

Mimica Nella mimica della paura le sopracciglia sono sollevate e dritte. Sono sollevate, come nella sorpresa, ma sono anche ravvicinate, cosicché i loro angoli interni risultano più vicini che nella sorpresa, mentre gli angoli esterni assumono un aspetto meno incurvato. Nella paura compaiono di solito rughe orizzontali sulla fronte, ma di norma non attraversano tutta la fronte, come avviene invece nella sorpresa. Talvolta le sopracciglia della paura compaiono su di un viso per il resto neutro: in questo caso l’es-

pressione comunica preoccupazione o lieve apprensione, oppure una paura controllata. Gli occhi sono ben aperti e tesi, con la palpebra superiore sollevata e quella inferiore contratta. Sia nella paura che nella sorpresa la palpebra superiore è sollevata, scoprendo il bianco dell’occhio al di sopra dell’iride. Mentre questo movimento della palpebra superiore è comune alle due emozioni, esse differiscono per quanto riguarda la palpebra inferiore, che è tesa nella paura e rilassata nella sorpresa. La tensione della palpebra inferiore può sollevarla quel tanto che basta a coprire parte dell’iride. Questo tipo di mimica degli occhi può comparire anche da sola su un viso neutro: in tal caso avremo una breve espressione in cui gli occhi assumono per un momento un’aria impaurita. Di solito si tratta di una paura autentica, ma lieve o controllata. La bocca nella paura si apre come nella sorpresa, ma le labbra qui sono tese e non rilassate e spesso stirate all’indietro o con gli angoli piegati in basso. Può presentarsi anche da sola e comunica preoccupazione o apprensione, o il momento iniziale di un’esperienza di paura.

Il disgusto Il disgusto è un sentimento di repulsione, nel quale entrano di solito risposte che mirano a sbarazzarsi dell’oggetto repellente o ad allontanarsene: in un modo o nell’altro a mettere una distanza fra sé e la cosa incriminata. Nell’esperienza primitiva, incontrollata, di estremo disgusto si può avere nausea o vomito. Oltre ad elementi puramente sensoriali, può disgustare anche un’ideologia, un comportamento umano, un modo di trattare il prossimo che ci 14


appare degradante.

allontanarcene.

I fattori che suscitano disgusto possono variare da una cultura all’altra, da un individuo all’altro. Tuttavia, lo psicologo Paul Rozin ha dimostrato che i pulsanti più potenti, universali, sono i prodotti del corpo: feci, vomito, urina, muco e sangue. Una volta che il prodotto lascia il nostro corpo, diventa per noi disgustoso.

Si può immaginare che la ripugnanza per i segni fisici della sofferenza, della malattia, possa essere servita a ridurre i contagi, ma ciò avviene al prezzo di una diminuzione della nostra capacità di empatia e compassione, cosa che invece può essere molto utile nella costruzione di una comunità. Il disprezzo è parente stretto dl disgusto, ma ne differisce per alcuni aspetti. Proviamo disprezzo solo verso le persone e le loro azioni, non verso sapori, odori, o sensazioni tattili. Nel disprezzo c’è sempre un elemento di degnazione: ci sentiamo superiori alle persone le cui azioni non ci piacciono.

Il disgusto si manifesta come un’emozione a sé stante solo dai quattro-otto anni di età: fino ad allora vi è il rifiuto di ciò che per esempio ha un cattivo sapore, non il disgusto. I bambini e gli adolescenti hanno un’attrazione particolare per questa sensazione.

Spesso il disgusto è accompagnato dalla rabbia, oppure viene usato per mascherarla perché in certi strati della nostra società l’espressione dalla rabbia è tabù.

William Miller, docente di diritto, fa notare che non solo i bambini ne sono così affascinati. Infatti il disgusto ha un’attrattiva che si palesa quando facciamo fatica a distogliere lo sguardo dall’oggetto interessato. «Quant’è comune dare un’occhiata al fazzoletto di carta o di stoffa dopo essersi soffiati il naso…». Miller fa notare che nell’intimità abbassiamo la soglia di ciò che consideriamo disgustoso. Ne è un esempio primario il genitore che cambia il pannolino al proprio figlio: superare il disgusto delle sostanze contaminanti è l’emblema dell’amore incondizionato delle cure parentali. La stessa sospensione ha luogo nell’intimità sessuale. Questa osservazione suggerisce una celata funzione sociale del disgusto: la sospensione del disgusto stabilisce un’intimità che è segno di impegno personale.

Questa emozione come le altre implica una serie di sensazioni fisiche: la gola inizia a chiudersi leggermente e la sensibilità del labbro superiore e delle narici aumenta.

Mimica I segnali più importanti di disgusto si manifestano nella bocca e nel naso, meno che nelle palpebre e nelle sopracciglia. Il labbro inferiore si solleva, alterando l’aspetto della punta del naso. Al movimento del labbro superiore può accompagnarsi l’arricciamento del naso, lungo i lati e il ponte. Quanto il disgusto è più accentuato, tanto più spesso compare il naso arricciato. Il labbro inferiore, spinto leggermente in avanti, può essere sollevato oppure abbassato.

Un’altra funzione molto importante del disgusto è di allontanarci da ciò che è repellente. Sembra, tuttavia, che la natura ci abbia progettati per trovare repellente la vista delle interiora del corpo altrui, specialmente in presenza di sangue, ma che questa reazione sia sospesa quando a sanguinare non è un estraneo ma un nostro caro: siamo allora motivati a ridurne la sofferenza, 15


Le guance sono sollevate e ciò produce un cambiamento a livello della palpebra inferiore, restringendo l’occhio e creando numerose pieghe nella zona immediatamente sottostante. Il sopracciglio nella tipica espressione di disgusto è abbassato, ma questo è un elemento secondario. Si può assumere un’espressione di disgusto anche quando non si prova realmente questa emozione. Ci sono due indizi che rivelano trattarsi di un emblema emotivo e non dell’espressione di un disgusto provato al momento. Nell’espressione reale la mimica non è totale e compare per un attimo invece di durare qualche secondo. Un’espressione simulata di disgusto, invece, impiegherà l’intera mimica facciale ma indugerà per un tempo eccessivo. Nel disgusto estremo può comparire una profonda piega naso-labiale e in casi estremi la lingua può spingersi davanti e mostrarsi tra le labbra o addirittura protrudere al di fuori della bocca. Il disprezzo, invece, si manifesta come una variazione della bocca disgustata a labbra serrate: si legge negli angoli della bocca contratti e appena sollevati, con le labbra serrate.

La Rabbia La rabbia è l’emozione più pericolosa di tutte, in quanto in presenza di essa corriamo più facilmente il rischio di fare volontariamente del male a qualcuno. È provato che picchiare, mordere e tirare calci sono gesti perlopiù presenti sin dalla prima infanzia, ma cominciano a venire controllati verso i due anni di età, continuando poi a declinare di anno in anno. L’impulso a fare del male è, teoricamente per tutti

noi, una parte centrale della reazione della rabbia; ma ci sono delle differenze fra un individuo e l’altro nel grado di violenza di questi impulsi. Tutti o quasi abbiamo la facoltà di scegliere di non fare del male, di non essere violenti nelle parole o nelle azioni; qualcuno per paura, qualcuno per estrema fedeltà ai valori della non violenza. La rabbia può essere suscitata in modi diversi. Uno è la frustrazione causata da interferenze che ci bloccano in un’attività o ci impediscono di realizzare i nostri scopi. Per questo la rabbia piega l’altro al mio controllo, punisce, mi vendica; e una delle caratteristiche più pericolose è che genera altra rabbia, e il circolo vizioso diventa spesso un’escalation. Spesso è preceduta e seguita dalla paura: paura del male che può venire inflitto dall’oggetto della nostra rabbia o paura della nostra stessa rabbia. Un’altra causa importante dei rabbia è una minaccia fisica, nei nostri confronti o nei confronti di chi amiamo. Oppure può essere causata da un’azione o una frase che ci ferisce psicologicamente, anziché fisicamente. Tuttavia la questa emozione può anche essere costruttiva: può motivarci a fermare o cambiare ciò che la causa oppure, se è rivolta verso un’ingiustizia, ci motiva ad agire per cambiare le cose. La rabbia ci dice che qualcosa va cambiato e, se vogliamo mettere in pratica questo cambiamento il più efficacemente possibile, occorre ciò che la scatena. Sebbene rabbia e paura spesso si manifestano nelle medesime situazioni e in relazione alle stesse minacce, la rabbia può servire a diminuire la paura e a fornire le energie per affrontare la minaccia. Inoltre informa gli altri che c’è un problema, è dotata di un suo segnale, sia nel volto che nella voce. La rabbia spesso implica una serie di sensazioni fisiche: la pressione sanguigna aumenta, il viso si 16


Ci sono due tipi base di bocca nell’espressione della rabbia: labbra serrate o bocca aperta e squadrata. La prima versione compare in due tipi diversi di rabbia: quando la persona passa all’azione aggredendo fisicamente l’altro, e quando si sforza di controllare l’espressione vocale della rabbia e stringe le labbra per impedirsi di gridare o dire qualcosa di ostile. L’altra invece si osserva mentre grida o esprime la rabbia a parole. Queste mimiche possono presentarsi anche da sole, ma il messaggio in quel caso è ambiguo. La bocca serrata da sola può indicare una lieve irritazione, rabbia controllata, concentrazione o sforzo fisico; quella aperta può apparire quando si grida non per rabbia o si emettono certi suoni.

arrossa, si gonfiano le vene della fronte e del collo, il respiro si altera, i muscoli si tendono, la postura diventa più eretta e accenna un moto in avanti. Nella rabbia più intensa, quando si è davvero infuriati, può diventare impossibile trattenersi e l’impulso di colpire può essere molto forte.

Mimica Benché ogni singola area del viso presenti alterazioni caratteristiche nella rabbia, se esse non compaiono in tutte e tre non è chiaro se la persona è davvero arrabbiata. Le sopracciglia sono abbassate e ravvicinate. Possono apparire inclinate verso il basso o abbassarsi restando orizzontali. Il ravvicinamento degli angoli interni produce di solito rughe verticali fra le sopracciglia. Nella fronte non compaiono rughe orizzontali ed eventuali tracce sono da considerarsi rughe permanenti.

In breve, i segnali mimici della rabbia sono ambigui se non estesi a tutte le zone del volto, differenziando così questa emozione da tutte le altre. Una conseguenza è che in quelle espressioni composite in cui l’altra emozione occupa parte della faccia il messaggio di rabbia viene ad essere sopraffatto; inoltre in questo modo la rabbia è più facile da camuffare rispetto alle altre emozioni: basta controllare o coprire anche una sola area facciale.

A volte il sopracciglio aggrottato si mostra su un viso per il resto neutro. In questi casi non necessariamente indica rabbia. Potrebbe voler dire che il soggetto è arrabbiato ma cerca di controllarlo o di nasconderlo, oppure può significare che è lievemente infastidito, che è in uno stato d’animo serio, che si sta concentrando o è intento a qualcosa.

Ci sono due eccezioni in cui la rabbia rimane evidente. Anzitutto nella miscela rabbia-disgusto, che in genere è la più frequente. La seconda è che la mescolanza si può realizzare in un altro modo, non distribuendo le due emozioni in zone facciali diverse, ma fondendo i relativi segnali nell’intero viso.

Nella mimica della rabbia le palpebre sono tese e gli occhi sembrano fissare in maniera dura o penetrante. Le sopracciglia aggrottate causano il rimpicciolimento della parte alta dell’occhio, spingendo in basso la palpebra superiore. La tensione e il sollevamento della palpebra inferiore invece possono presentarsi anche da soli producendo l’impressione di sguardo fisso, ma in quel caso il significato è ambiguo (lieve irritazione, rabbia mascherata, difficoltà di mettere a fuoco lo sguardo).

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La felicità Ancora non si sa molto riguardo la maggior parte delle emozioni piacevoli, perché quasi tutte le ricerche sulle emozioni si sono concentrate piuttosto su quelle spiacevoli. La felicità è l’emozione più desiderata, indiscutibilmente positiva. Per capirla meglio, però, bisogna distinguerla da due stati molto affini che l’accompagnano spesso: il piacere e l’eccitazione. Il piacere è l’opposto del dolore fisico e l’eccitazione è l’opposto della noia. Eccitazione e piacere sono esperienze diverse, che spesso ma non sempre comportano sentimenti felici, e possono quindi essere considerate due possibili vie alla felicità. L’esperienza che ne risulta, però, ha una coloritura diversa e possiamo parlare di felicità da piacere e di felicità da eccitazione. La terza via alla felicità è il sollievo. La felicità del sollievo è un po’ diversa da quella ottenuta attraverso il piacere fisico o l’eccitazione, come anche dalla felicità cui si arriva attraverso la quarta via. Il quarto tipo di felicità chiama in causa il concetto di sé. Succede qualcosa che migliora l’immagine di noi stessi, qualcosa che afferma o perfeziona un concetto favorevole di noi stessi. Non è il tipo di felicità in cui si scoppia a ridere, ma una felicità sorridente, soddisfatta. Possono esserci altre cause, ma queste sono quelle più comuni e descrivendole si chiarisce cosa si intende per esperienza soggettiva della felicità. Le emozioni piacevoli motivano la nostra vita: ci inducono a fare cose che in generale ci fanno bene e a cimentarci in attività necessarie per la sopravvivenza della specie, come le relazioni sessuali e tutto ciò che ci aiuta a crescere la prole. La ricerca del piacere è una fondamentale ragione di vita.

I temi universali per le emozioni piacevoli possono essere le relazioni sessuali, il ricongiungersi a qualcuno a cui si è molto affezionati, la nascita di un figlio, stare con una persona amata. Sebbene questi possono essere i temi universali, essi vengono poi elaborati dalla nostra esperienza; inoltre nel corso della vita apprendiamo moltissime variazioni su questi temi, le quali divengono fonti importanti delle differenti emozioni piacevoli. La manifestazione della felicità può essere silenziosa o rumorosa, ma la presenza del riso non indica l’intensità dell’emozione. Il riso, più o meno forte, compare in certi tipi particolari di esperienza, per esempio nel gioco. Il sorriso, che è parte integrante della mimica di felicità, può presentarsi anche in sua assenza: sorridiamo per mascherare altre emozioni, o per modificarne l’espressione, per commentare un’altra emozione, per comunicare l’accettazione di qualcosa di spiacevole o come risposta di sottomissione per evitare o bloccare un attacco. Il sorriso serve anche per allentare la tensione. Quindi per capire sul serio cosa stia provando una persona, per fare una vera distinzione fra le varie emozioni positive, ci serviamo della voce, non del volto. I sorrisi, come abbiamo visto, possono confondere; mentre attraverso le varie sfumature della voce possiamo realmente decifrare le emozioni positive.

Mimica In questo caso ci occuperemo solo dell’aspetto del viso nell’espressione della felicità in assenza di riso, perché quando compare anche questo il riconoscimento dell’emozione non comporta problemi. C’è un aspetto caratteristico delle palpebre e della parte inferiore del viso, mentre l’area della fronte e

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impallidisce; i muscoli sono flaccidi e le palpebre si abbassano; la testa pende sul petto contratto; le labbra, le guance e la mascella inferiore sono portate in basso dal loro stesso peso».

e delle sopracciglia non necessariamente interviene. Gli angoli della bocca sono tirati in dietro e leggermente sollevati; le labbra possono restare unite nel sorriso, dischiudersi scoprendo i denti, oppure discostarsi decisamente insieme ai denti in un largo sorriso a bocca aperta. Le pieghe rino-labiali si accentuano in parte per l’effetto dello stiramento verso l’alto degli angoli delle labbra, in parte per il sollevamento delle guance quando il sorriso è più pronunciato.

Nella tristezza si soffre, ma non è la sofferenza del dolore fisico. La fonte più frequente e immediata di dolore è il male fisico, ma anche una perdita causa dolore. Nel dolore (o tormento) si soffre, ma non in silenzio: c’è attività, non passività. Nel tormento vi è ribellione, nella tristezza vi è più rassegnazione e senso di impotenza. Il tormento tenta di affrontare attivamente la forte perdita, la tristezza si lascia andare al nulla.

Anche la pelle sotto la palpebra inferiore è spinta verso l’alto, formando rughe sotto l’occhio e le “zampe di gallina” negli angoli esterni degli occhi. Quanto più il sorriso è accentuato, tanto più saranno pronunciate le pieghe rino-labiali, le zampe di gallina e le rughe sotto gli occhi.

La tristezza e il tormento, pur essendo emozioni negative, possono aiutare a guarire la ferita della perdita, e senza questi sentimenti la sofferenza da essa derivante potrebbe durare di più. Un’altra loro funzione è farci esperire appieno ciò che la perdita significhi per noi, o permetterci di ricostituire le nostre risorse e conservare la nostra energia. Inoltre un altro scopo di questa espressione è quello di chiedere aiuto, imporre la propria sofferenza agli occhi degli altri, in modo che qualcuno venga a soccorrerci. E aiutare un altro fa sentire bene: dargli conforto, diminuire la sua disperazione, dà a chi aiuta una sensazione positiva.

Nel sorriso a bocca aperta il sollevamento delle guance può essere tale da restringere gli occhi, i quali generalmente presentano un luccichio speciale.

La tristezza Nella tristezza la sofferenza è in sordina. Non si piange ma si soffre in silenzio.

Mimica

Qualunque cosa può rattristare, ma più di tutto le perdite. Raramente è un sentimento breve, in quanto tende a durare almeno qualche minuto e più spesso si prolunga per ore o per giorni interi.

Nella sua forma estrema può non presentare alcun indizio visibile a livello dl viso, salvo la perdita di tono dei muscoli facciali. Nella tristezza meno profonda e al passaggio dal dolore acuto alla tristezza, invece, compaiono segni caratteristici.

È un sentimento passivo, di rassegnazione. Charles Darwin descrive così le persone tristi: «Il bisogno di attività scompare e la persona rimane immobile e passiva, oppure di tanto in tanto di dondola avanti e in dietro. La circolazione diventa debole; la faccia

Gli angoli interni delle sopracciglia solo sollevati e possono essere ravvicinati, mentre nella paura sono le sopracciglia intere a sollevarsi e ravvicinarsi. La

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forma della pelle scoperta sotto di esse, nella mimica della tristezza, è triangolare, cosa che non avviene nella paura. È impossibile mostrare tristezza solo col movimento della fronte e delle sopracciglia senza coinvolgere anche la palpebra superiore, dato che i muscoli che agiscono sulle sopracciglia sollevano anche l’angolo interno delle palpebre superiori. Di solito questa espressione delle sopracciglia è accompagnata da una corrispondente alterazione della parte bassa del viso, ma non necessariamente. Quando compare da sola può indicare tristezza lieve, oppure il tentativo di controllare un sentimento più intenso. Spesso nella tristezza lo sguardo è abbassato anziché dritto negli occhi, specialmente se alla tristezza si mescola vergogna o senso di colpa. La bocca assume due diversi atteggiamenti. Gli angoli della bocca sono piegati in giù oppure le labbra sono allentate come quando si trema co quando si sta per piangere o si cerca di trattenere le lacrime. Quando la tristezza si manifesta solo nella bocca l’espressione è ambigua: potrebbe esprimere il broncio, un atteggiamento di sfida o lieve sofferenza.

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Elaborazione personale Come abbiamo già accennato, il mondo delle emozioni è vastissimo e nonostante siano stati condotti numerosi studi a riguardo, molte cose sono ancora poco chiare.

cosa passa loro per la testa, cosa potrebbe preoccuparli o renderli felici in quel momento. Mi diverto ad immaginare le loro vite e le cose che faranno una volta usciti dal mio campo visivo.

Ritengo che per quanto l’uomo possa condurre ricerche scientifiche di ogni tipo, non riuscirà mai a comprendere fino infondo i misteri della mente umana e i meccanismi che in essa si innescano quando viene a contatto con tutto ciò che ne è al di fuori. Alcune cose sono e rimarranno imperscrutabili e si potrà solo ipotizzare a riguardo; ma il bello sta proprio in questo, nell’infinita ed incomprensibile complessità dell’uomo. D’altronde se tutte le incognite che riguardano la nostra specie venissero rivelate, tutto questo fascino verrebbe meno. Ma al contempo è proprio grazie a questo fascino che l’individuo tende ad indagare questi sentieri ancora bui: si sente spinto alla continua ricerca e sperimentazione, non solo scientifica, ma di qualsiasi genere. E più le incognite aumentano, più il tutto diventa stimolante.

Questa mia curiosità mi ha spinto ad osservare anche me stessa. Sicuramente esistono altre persone che, come me, si divertono ad osservare: come appaio io agli occhi di questi individui? Cosa percepiscono osservando, i miei movimenti, le mie espressioni? Che tipo di storie immaginano sulla mia vita? Non potendo osservare me stessa in terza persona nella quotidianità, ho deciso di immortalarmi in delle fotografie. Seguendo gli studi di Paul Ekman, ho pensato fosse più idoneo concentrare la mia attenzione sulle sei emozioni primarie, per rendermi conto di come la mia espressione si trasformi in presenza di tali emozioni e per testare sulla mia stessa pelle delle ricerche di Ekman che portano all’affermare che le espressioni che corrispondo a queste sei emozioni sono universali.

Sono sempre stata incuriosita dalla comunicazione fra individui, in particolare quella non verbale: quando mi trovo in mezzo alla gente, per strada, in un bar, sul treno, ovunque, mi ritrovo spesso ad osservare silenziosamente chi mi circonda, cercando di non farmi scoprire. Come abbiamo visto nei primi capitoli, fissare uno sconosciuto non è considerato il massimo della cortesia: molti si imbarazzano se si sentono osservati, o addirittura si innervosiscono. Quindi cerco sempre di essere discrete; ma mi piace studiare i loro movimenti, le loro espressioni, cercando di capire

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Sperimentazioni digitali Per iniziare la mia ricerca mi sono fatta scattare delle foto mentre cercavo di esprimere ognuna delle varie emozioni primarie.

Alcune sono state semplici da esprimere; per altre, come la tristezza o la rabbia, ho avuto bisogno di molto piÚ tempo nell’elaborarle.

Disgusto

FelicitĂ

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Paura

Rabbia

Sorpresa

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Tristezza

Ma per cercare di cogliere anche le microespressioni che il mio volto avrebbe assunto, le foto sarebbero dovute essere scattate in sequenza, mentre cercavo dentro di me il pulsante emotivo che mi avrebbe permesso di esprimere ognuna di queste.

Di seguito, quindi, ho aggiunto alcune delle sequenze estrapolate dalle centinaia di foto scattate.

Disgusto

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FelicitĂ

Paura

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Rabbia

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Sorpresa

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Tristezza

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Ricerca dell’essenzialità L’idea del trucco bianco mi venne in mente pensando al mimo. Questa figura calzava palesemente a pennello con il mio lavoro, perché è appunto colui che per esprimersi si serve solamente della gestualità e dell’espressione del volto, anziché delle parole.

Seppure a questo punto del lavoro ero a conoscenza di quello che gli altri vedevano sul mio volto nel momento in cui provavo una determinata emozione, avevo ancora voglia di sperimentare altro. Decisi allora di scattare le stesse foto, stavolta però con il volto dipinto di bianco e lasciando in risalto solamente gli elementi più espressivi come gli occhi, le sopracciglia e la bocca.

Inizialmente ho provato a realizzare delle foto singole per ogni emozione.

Disgusto

Sorpresa

Paura

Felicità

Tristezza

Rabbia

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C’erano, però, degli elementi di disturbo che andavano eleminati. Volevo cercare il più possibile di isolare l’espressività dell’emozione, renderla il più astratta possibile. Per far si che il mio volto perdesse di personalità e che l’emozione si manifestasse al di fuori di tutto, ho ritenuto opportuno eliminare quanti più elementi possibili: ho raccolto i capelli, li ho avvolti in un telo bianco come lo sfondo, ho dipinto di bianco anche

le mie spalle e ho cercato di ridurre il trucco degli occhi e della bocca all’essenziale. Quindi ho realizzato le sequenze di foto per le varie emozioni. Dopo varie prove di scatto e post produzione, sono riuscita ad ottenere un risultato quasi soddisfacente, cercando di uniformare tutto quello che non fossero rughe espressive e organi principali (bocca, occhi, sopracciglia) allo sfondo.

Disgusto

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Paura

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Rabbia

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Sorpresa

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Tristezza

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FelicitĂ

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convinceva fino in fondo.

Una volta ottenute le sequenze non ho potuto accontentarmi delle sole foto, così ho provato a montarle in dei video utilizzando la tecnica di animazione conosciuta come “stop motion”. Ho quindi montato in successione cronologica le varie foto di ogni sequenza, impostando il tutto ad una velocità elevata per simulare il movimento organico del volto e l’evoluzione dell’espressione nel tempo (vedi CD allegato).

Grazie agli accorgimenti citati nei paragrafi precedenti, ero riuscita a diminuire notevolmente i fattori di disturbo presenti nelle varie foto, ma non avevo ancora raggiunto il livello di astrazione desiderato. Cosi ho deciso di concentrarmi di più sulla post-produzione delle foto, eliminando letteralmente tutto ciò che non veniva animato dall’emozione come il contorno del volto e le ombre del turbante. In questo modo avrei ottenuto l’espressione dell’emozione nella sua essenzialità: ed il risultato è stato tale.

Osservando attentamente questi video, però, ho notato che determinate microespressioni erano andate perse. Per coglierle appieno avrei dovuto girare un vero e proprio video che mi permettesse di catturare anche la minima contrazione di un muscolo. Quindi ho deciso di sperimentare anche la tecnica chiamata “slow motion”, prendendo anche spunto dal lavoro dell’artista statunitense Bill Viola, il quale nel suo percorso indaga anche sulla complessità delle emozioni umane. Non avrei potuto applicare questa tecnica sulle sequenze fotografiche in quanto, rallentando esponenzialmente la successione delle stesse, il risultato sarebbe stato frammentario e poco fluido, quindi insoddisfacente. Utilizzando i video, invece, il tutto è diventato più armonioso (vedi CD allegato). Da questo tipo di sperimentazione ne derivano, quindi, dei filmati di durata relativamente lunga (dai 5 ai 7 minuti circa), nei quali i muscoli del mio volto si muovono impercettibilmente ogni secondo. Se si osserva ogni video in sequenza, in alcuni momenti sembra quasi che l’immagine non cambi, che il mio volto rimanga sempre uguale; ma se si salta da un frame all’altro del filmato si nota la netta differenza che c’è tra i vari stadi di un’espressione, dallo stato neutrale a quello di massima intensità. A questo punto per quanto riguardava gli elaborati video ero più che soddisfatta del risultato. Ma ero determinata a portare a compimento anche il lavoro fotografico, il quale ancora non mi 38


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Conclusioni nostro campo vitale.

Il lato emotivo dell’essere umano e il suo potere espressivo sono argomenti talmente vasti e sconfinati che si potrebbe continuare all’infinito come migliaia di sperimentazioni artistiche e grafiche.

Un poeta una volta scrisse che «Ogni viso è un abisso, e se lo guardi fissamente, proverai vertigine»; come si può, dunque, rinunciare al frizzante piacere della vertigine?

Il lavoro da me svolto ed illustrato in questo mini-libro è solo un punto di partenza: un input che spinge me, e spero anche il lettore, a non smettere di sondare le miriadi di sfaccettature dell’universo emotivo/espressivo. La comunicazione è tutto: nessun tipo di società sarebbe possibile senza di essa. E tra tutti i tipi di comunicazione, quella non verbale oltre ad essere la più primitiva è anche la più affascinante. Tuttavia nella società in cui viviamo oggi diventa sempre più difficile prestare attenzione ai messaggi che il corpo silenziosamente invia. Siamo tutti frastornati dall’incessante brusio del mondo moderno e ultratecnologico, il quale spesso invece di creare un contatto fra gli individui tende ad innalzare sempre più barriere. Il dialogo faccia a faccia diventa sempre più raro nella quotidianità; di conseguenza si è sempre più distratte e non si riescono a cogliere le meravigliose sfumature che l’espressione di un volto può assumere, nel momento in cui lo si ha di fronte. Nell’era del progresso irrefrenabile bisognerebbe soffermarsi ogni tanto a riflettere su cosa sia veramente essenziale; riscoprire tutto ciò che nel profondo ci accomuna gli uni gli altri può permetterci, con una spiazzante semplicità, di ristabilire un contatto reale con ogni individuo che attraversa il

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Bibliografia e sitografia Ekman P., Friesen W.V., GiÚ la maschera. Come riconoscere le emozioni dall’espressione del viso, Prato, Giunti Industrie Grafiche S.p.A., 2007 Ekman P., Te lo leggo in faccia. Riconoscere le emozioni anche quando sono nascoste, Torino, Edizioni Amrita s.r.l., 2010 https://it.wikipedia.org/wiki http://www.igorvitale.org http://www.linguaggiodelcorpo.it

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