Sia fatta la mia volontà

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Pamphlet, documenti, storie REVERSE


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© Chiarelettere editore srl Soci: Gruppo Editoriale Mauri Spagnol S.p.A. Lorenzo Fazio (direttore editoriale) Sandro Parenzo Guido Roberto Vitale (con Paolonia Immobiliare S.p.A.) Sede: Via Guerrazzi, 9 - Milano isbn 978-88-6190-240-4 Prima edizione: gennaio 2014 Il titolo di questo libro è tratto dal documentario Sia fatta la mia volontà, realizzato nel 2010 dalla compagnia teatrale Schegge di cotone sui temi del rito del commiato e del testamento biologico. Fotocomposizione: Compos 90 S.r.l. - Milano www.chiarelettere.it blog / interviste / libri in uscita


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Marina Sozzi

Sia fatta la mia volontĂ

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Marina Sozzi è nata a Pavia nel 1960, si è laureata in Filosofia a Torino, e ha studiato a Parigi e alla Scuola Normale di Pisa. Ha lavorato come traduttrice e redattrice in varie case editrici, poi come insegnante, e infine, per molti anni, ha diretto la Fondazione Fabretti, dedicata allo studio dei temi della morte e del morire nella società contemporanea. Ha insegnato per cinque anni Tanatologia storica all’Università degli Studi di Torino. Dal 2012, dopo aver lasciato la Fondazione, ha messo le sue competenze (di organizzazione, di raccolta fondi, di relazioni istituzionali e formazione) al servizio di varie organizzazioni non profit, come consulente, senza mai smettere di formarsi (Master in europrogettazione, Master in fundraising, Scuola di alti studi in Project Manager per il non profit). Scrive due blog, uno intitolato Si può dire morte (www. sipuodiremorte.it), e l’altro su «il Fatto Quotidiano», sul tema del Terzo settore. I suoi scritti più rilevanti riguardano la filosofia materialista francese e lo studio interdisciplinare della morte: Virtuoso e felice. Il cittadino repubblicano di Helvétius (ETS, 2000) e Reinventare la morte. Introduzione alla tanatologia (Laterza, 2009).


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Sommario

s ia fat ta l a mi a vo lon t  Questo libro

I doni della morte 5 – Vita da tanatologa 6 – Felice e mortale 8

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Inventare un rito funebre

13

Guerra alla morte?

49

Cure palliative: lo stato dell’arte in Italia

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Un percorso a ritroso 13 – Ingredienti 14 – Civili? 20 – Passato e presente 24 – Cerimonieri 32 – Addii altri 35 – Crocifissi lignei su sedie rosse 42 Diversi modi di concepire la morte 49 – Non dire morte 50 – Tabù, rimozione, diniego? 61 – Immortali e struzzi 66 – Guardare da morire 68 – Morte amica e cure palliative 72 – Purché sia dolce 78 – Dottore, sono nelle sue mani… 85 L’assenza di un dibattito pubblico 87 – Obiettivo buona morte 88 – Verità e bugie 93 – C’è un tempo per morire 97 – Costi e tagli 103

Etica e fine della vita: sondaggi sull’eutanasia e altre assurdità

La riflessione etica 109 – Che cosa significa eutanasia 113 – Lasciatemi morire 115 – Bottiglie d’acqua 120 – Salvarmi

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la vita? Nein danke 123 – Storie ed emozioni 128 – Sulle questioni ultime, sempre penultimi 133 – Piccole scelte, grande eticità 139

Un tempo per far cordoglio e un tempo per ballare

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Dove collocheremo la memoria dei nostri morti?

183

Parola d’ordine: non invecchiare

223

Lutti e non 145 – «Non sono obbligata a sorridere»: i gruppi Ama 146 – Dottori e dolori 152 – Soli e male accompagnati? 159 – Liberi e tristi 161 – Depressioni e resilienze 164 – Dolenti sospesi 170 – Lutti legittimi e lutti negati 172 – Nonni in cielo e mamme in viaggio 176 – Lasciar andare 179 Vivi e morti: fusione orientale… 183 – Simbiosi e separazione in Occidente 185 – Tombe di famiglia, loculi, prati 191 – Incontrare i nostri morti 199 – Cimiteri mentali, virtuali, reali 203 – Scelte: cremazione, tumulazione, inumazione 210 – Restituire il significato 218 Il corpo come opera d’arte 223 – Vecchi saggi e vecchie zavorre 224 – Anziani giovanili e poveri vecchi 227 – Business antiaging 230 – L’avventura di invecchiare 233 – «Confezionati per morire» 236 – La dipendenza, male assoluto 242 – Decrepiti e dementi 246 – Eredità d’affetti 250

Bibliografia 255 Ringraziamenti 263


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A mia figlia Barbara che si affaccia alla vita adulta e che amo sopra ogni cosa


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Questo libro

I doni della morte Ci sono vari doni che la morte fa a chi non fugge lontano da lei e la guarda negli occhi. Il primo è una certa resilienza, ossia la capacità di affrontare le avversità della vita, e nello specifico la morte propria o di una persona amata, con maggiore calma. Anche se non siamo mai veramente «pronti» per la morte, siamo più saggi, e sappiamo che nel grande ordine del cosmo è scritta per noi tutti la parola fine. Questa sapienza non elimina il dolore, ma frena il precipitare nella disperazione. Di fronte alla fine ineluttabile, i piccoli mali si ridimensionano, assumono la giusta misura nell’ordine delle cose. Noi stessi non siamo al centro del mondo. Ma invece di essere uno sgradevole memento, questa verità può diventare fonte di pace e accettazione degli eventi. Il secondo regalo della morte è proprio la consapevolezza che non siamo eterni. Perché dunque affannarsi oltre ogni ragionevole limite ad accumulare riconoscimenti e denaro, dimenticando di godere del qui e ora, di fermare un po’ la corsa e permanere qualche attimo nel presente? Perché non dedicare una quantità maggiore di tempo a coloro che amiamo e al nutrimento della nostra mente? Perché non provare a essere felici? Perché non lasciar andare pregiudizi


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Sia fatta la mia volontà

e meschinità, perché non lasciare briglia sciolta alla nostra creatività? Non abbiamo nulla da perdere. Il terzo omaggio del dialogo con la morte è di carattere etico, e riguarda il senso del limite e della responsabilità. Se gli uomini fossero immortali, le azioni di ciascuno avrebbero conseguenze trascurabili rispetto alla totalità dei tempi. Viceversa, la nostra mortalità, limite per eccellenza, ci rende responsabili per ogni gesto che compiamo nei confronti nostri e degli altri. Se offendiamo, se feriamo, se siamo aggressivi, modifichiamo la nostra vita e quella altrui, come ben sanno gli orientali quando parlano di karma. Le azioni hanno conseguenze sulle nostre fragili vite. La morale laica non può che fondarsi su questa consapevolezza reciproca della vulnerabilità che tutti, in quanto umani, abbiamo di fronte alla sofferenza e alla morte: la nostra mortalità ci obbliga ad agire con il rispetto dovuto alla debolezza che è propria di tutti gli esseri. Un’idea, quest’ultima, più efficace di un generico appello all’amore per l’umanità. Solo se ci sentiamo mortali possiamo essere sensibili al destino umano. Vita da tanatologa Ho scelto di studiare cosa accade a chi si ammala di malattie inguaribili o degenerative, a chi si avvicina alla propria morte, a chi desidera morire, a chi non vuole morire, a chi assiste un parente che muore, a chi soffre per un lutto, a chi ha bisogno di accomiatarsi da chi muore e non sa come fare. Ho diretto per molti anni un centro laico di ricerca e documentazione sulla morte; e oggi scrivo un blog sul tema del morire e del lutto, dal titolo Si può dire


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morte. Si può e si dovrebbe, infatti. Pronunciare la parola, riflettere – soli e insieme ad altri – sulla fine della propria vita, è benefico. Vent’anni fa, l’idea che parlare della morte fosse disdicevole era molto radicata in tutti gli ambienti. La situazione, però, è notevolmente migliorata. Soprattutto in ambito sanitario, c’è più consapevolezza. I medici mi guardano, assentono con gravità. Sono gli infermieri, però – che con la morte dei pazienti hanno quotidianamente e direttamente a che fare –, a frequentare corsi di formazione che permettono di riflettere sulla loro esperienza, e a non volerne più sapere di fare gli struzzi. E la gente comune? Come reagisce quando menziono la mia esperienza di tanatologa? In genere spiego che la parola tanatologia deriva da thanatos, che in greco vuol dire morte, e logos, discorso: discorso sulla morte. Ormai so che dopo i primi minuti di conversazione tutti, senza eccezioni, fanno domande a raffica, s’informano in dettaglio, ammettono quasi con pudore di averci pensato molte volte, e dichiarano di essere interessati, di voler approfondire. Tutti, poi, mi chiedono quali siano le ragioni per cui mi occupo di questo tema a tempo pieno. E in fondo si tratta di una domanda legittima. C’è una parte di casualità che mi ha condotto a studiare la morte. Il presidente della Società per la cremazione, nel 1995, mi chiese, per un convegno che stava organizzando, una relazione sull’idea di trasformazione della materia nel XVIII secolo. Scoprii che la cremazione aveva una storia settecentesca, legata al pensiero materialistico. A giugno di quell’anno diedi inizio alla mia collaborazione con la Socrem, parlando delle molecole immortali, dotate di una forza vitale intrinseca, ipotizzate da Diderot e dai medici vitalisti.



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