1
COLLANA «ORANGE» Favole della Mezzanotte a cura di Stefano Pastor
Gli Autori hanno rinunciato espressamente a qualsiasi corrispettivo a titolo di diritto d’autore in quanto la pubblicazione della propria opera, all’interno di questa antologia ha, come unico obbiettivo, uno scopo benefico e sociale. Infatti, di comune accordo Autori/Editore, si è deciso di devolvere l’intero importo, così determinato, a un Ente benefico e precisamente all’iniziativa denominata: UNA STRUTTURA DI ACCOGLIENZA PER LE FAMIGLIE DEI BAMBINI RICOVERATI AL GASLINI della PARROCCHIA GENTILIZIA SAN GEROLAMO DELL'ISTITUTO GIANNINA GASLINI di Genova. www.gaslini.org
2
Favole della Mezzanotte a cura di Stefano Pastor
3
Copyright © 2011 CIESSE Edizioni Design di copertina © 2011 CIESSE Edizioni Favole della Mezzanotte a cura di Stefano Pastor Tutti i diritti sono riservati. È vietata ogni riproduzione, anche parziale. Le richieste per la pubblicazione e/o l’utilizzo della presente opera o di parte di essa, in un contesto che non sia la sola lettura privata, devono essere inviate a: CIESSE Edizioni Servizi editoriali Via Conselvana 151/E 35020 Maserà di Padova (PD) Telefono 049 78979108/8862964 | Fax 049 2108830 E-Mail redazione@ciessedizioni.it P.E.C. infocert@pec.ciessedizioni.it ISBN eBook 978-88-97277-82-8 Collana ORANGE http://www.ciessedizioni.it NOTE DELL’EDITORE La presente Antologia è opera di pura fantasia. Naturalmente ogni riferimento a nomi di persona, luoghi, avvenimenti, indirizzi e-mail, siti web, numeri telefonici, fatti storici, siano essi realmente esistiti o esistenti, è da considerarsi puramente casuale e involontario. 4
RINGRAZIAMENTI Desidero esprimere tutta la mia gratitudine a Stefano Pastor che ha curato ogni particolare di quest’opera, compreso l’editing e la selezione dei racconti, con infaticabile abilità e talento. Ringrazio gli Autori che si sono adoperati per concorrere alla realizzazione di questo straordinario volume e, non per ultimo, i nostri lettori e a tutti coloro che “sanno ancora sognare”. Proprio a questi ultimi, tra l’altro, è dedicato questo volume. Carlo Santi Direttore Editoriale
5
Dedicato a tutti coloro che sanno ancora sognare
6
INDICE
Introduzione di Stefano Pastor ................................................................................. 8 Lizzi Bizzi e la Strega Rossa di Stefano Pastor ...................................................... 11 Oltre le Pozzanghere di Stefano Vignati .............................................................. 125 Turquaz di P.M. Sirach ........................................................................................... 175 Olivia dagli Occhi Nocciola di Jenny Gecchelin.................................................. 221 Il Patto di Luigi Milani ........................................................................................... 253 Sitael, Angelo Oscuro di Sabrina Parodi .............................................................. 270 Proxima di Angela Di Bartolo ................................................................................ 323 Il Sentiero Nascosto che porta alle Stelle di Giulia Lucchesi ............................ 347 Occhi Azzurri, Capelli Blu di Patrizia Birtolo ...................................................... 387 Gemini di Antonella Vigliarolo.............................................................................. 411 Dalila La Sirena che voleva le Scarpe di Cristina Origone................................. 425 E Vissero per Sempre Felici e Contenti… di Sonia Dal Cason .......................... 454 Tre Favole (A)normali di Nicolò Di Bernardo..................................................... 481 Il Frutto del Credo di Antonio Ferrara ................................................................. 503 Il Drago Angelo di Laura Sarotto .......................................................................... 520 La Terra Salvata dagli Irtsérret di Trap ............................................................... 556 I Bambini Controvento delle Ore Senzatempo di L. Nivoul .............................. 572
7
Introduzione di Stefano Pastor Mezzanotte. A mezzanotte i bambini sono già tutti a letto, immersi nei loro sogni. Perché allora scegliere proprio questa strana ora per raccontare una favola? E raccontarla a chi? Quelle che ho voluto raccogliere in questo libro sono favole, storie fantastiche, per ragazzi più grandi e adulti. Quelli che a mezzanotte sono ancora alzati, e possono riunirsi davanti a un camino, oppure in campeggio sotto alle stelle, e raccontarsi storie. Storie che per una volta tanto non sono solo racconti di paura. Storie tristi o felici, storie della loro vita e della loro città, oppure perse in mondi lontani, ma che abbiano in sé una speranza, un significato, persino un insegnamento da dare. Favole. Sono proprio le favole il fulcro stesso dalla narrativa, l'anima del fantastico. Esse sono radicate nell'animo dell'uomo da tempo immemore, e sono il fondamento di ogni genere letterario. Sono la base, le origini, della fantasia stessa. In questa raccolta è proprio la fantasia a essere la protagonista. In assoluta libertà gli autori che vi compaiono hanno messo nero su bianco il loro concetto di fantasia. Senza confini, senza imposizioni, perché nel 8
mondo della fantasia tutto è concesso. Il risultato è stato quanto mai eterogeneo, e questo è senz'altro un bene. Leggendo queste pagine sarà possibile trovare tutto ciò che compone l'immaginario della razza umana, in forme e modi sempre nuovi e originali. La prima novella, Lizzi Bizzi e la Strega Rossa, che io stesso ho scritto, racconta la storia di un uomo che, arrivato alla fine della sua vita, viene soccorso da due strane bambine che forse appartengono ai ricordi della sua infanzia, e che lo condurranno in un viaggio incredibile alla scoperta di ciò che ha perduto. In Oltre le Pozzanghere, del giovane Stefano Vignati, una bambina abbandonata trova la strada per raggiungere un bizzarro luogo dove riuscirà finalmente a capire ciò che realmente conta. Turquaz, di P.M. Sirach, è la storia di un uomo che si ritrova in un'altra realtà cupa e malevola, e qui gli verrà offerta un'occasione unica: sacrificare se stesso per un bene superiore. Olivia dagli Occhi Nocciola, di Jenny Gecchelin, è la storia di una strana vagabonda e del suo amore impossibile. Ne Il Patto di Luigi Milani, un vecchio realizzerà il suo sogno di volare. Sitael, l'Angelo Oscuro di Sabrina Parodi, sarà disposto a rinunciare a ogni cosa per la donna che ama. In Proxima, di Angela Di Bartolo, l'ultimo sopravvissuto di una razza perduta racconterà la sua amara storia. Il Sentiero Nascosto che porta alle Stelle, di Giulia Lucchesi, Occhi Azzurri, Capelli Blu, di Patrizia Birtolo, e Gemini, di Antonella Vigliarolo, hanno in comune un tenero e delicato rapporto con chi non c'è più, ovvero con un fantasma, e ciascu9
na delle tre autrici ne fornisce una visuale completamente diversa e assai originale. Dalila, di Cristina Origone, presenta una sirena quanto mai attuale. E Vissero per Sempre Felici e Contenti…, di Sonia Dal Cason, racconta finalmente cosa succede nelle fiabe dopo questa fatidica frase. Le Tre Favole (A)normali del giovanissimo Nicolò Di Bernardo si rifanno con molto brio alle favole classiche di Esopo. Ne Il Frutto del Credo, di Antonio Ferrara, conosceremo una versione molto particolare di Babbo Natale. Il Drago Angelo, di Laura Sarotto, insieme commovente e divertente, ci presenta un angelo custode molto pasticcione. La Terra Salvata dagli Irtsérret, di Trap, ci dimostra come i bambini siano in grado di compiere qualunque prodigio. Conclude il volume la più classica delle favole: I Bambini Controvento delle Ore Senzatempo, di L. Nivoul, che ci trasporta in mondi magici e incantati. Un viaggio nella fantasia più sfrenata, quindi, che mi auguro appagherà i vostri desideri. A questo punto non mi resta che augurare: «Buona lettura a tutti!»
10
Lizzi Bizzi e la Strega Rossa di Stefano Pastor Stefano Pastor è nato a Ventimiglia nel 1958. Dopo vent’anni passati nel commercio di musica e film, da un paio d’anni ha deciso di dedicarsi alla scrittura. Un primo successo l’ho ottenuto vincendo il Premio Letterario Città di Ventimiglia con il romanzo Holiday, pubblicato in seguito dalla Editrice Zona con il titolo di Ritorno a Ventimiglia (2010). Con il thriller L’Intervista ho vinto il Premio Le Fenici 2010, indetto dalle Edizioni Montag, che l’hanno poi pubblicato in volume. Con CIESSE Edizioni ho pubblicato Creature, una raccolta di quattro novelle horror, e La Correzione, entrambi nel dicembre 2010, e il thriller Morte, nel febbraio 2011. A marzo 2011 è uscito il romanzo horror La Prigione per la Zerounoundici Edizioni. Le sue storie sono dei generi più disparati, thriller, fantascienza, fantasy, horror, avventura, drammatico, ma ha una predilezione per il fantastico puro, senza una precisa inquadratura. «È la prima volta, vero? Si vede.» Per lei non lo era. Si poteva capire dal foulard che le avvolgeva la testa. Il signor Orazio non avrebbe sapu11
to dire quanti anni avesse, ma lui di queste cose non se ne intendeva. A dire il vero non c’era nulla in cui eccellesse. Forse quella donna era sulla quarantina, forse ne aveva pure dieci in meno, almeno prima che fosse aggredita dalla malattia. «Stavo per andare in pensione», disse lui, come se questa fosse una risposta. «Ho già sessantacinque anni.» Lei comprese, invece. Proprio non ci voleva la malattia, quella malattia, a un passo dalla pensione. Era troppo presto. Lei che aveva molti anni di meno, ebbe ugualmente pietà di quell’ometto così piccolo e fragile, dal volto di luna piena, come quello di un bambino. «È venuto da solo?» «Sono solo», confermò il signor Orazio. «Non mi sono mai sposato.» «Non è facile affrontare tutto questo da soli», disse la donna. «Non lascio nessuno. Nessuno piangerà per me.» Non sembrava triste, il signor Orazio. Spaventato ma non triste, come se il fatto che nessuno avrebbe pianto per lui in qualche modo lo rincuorasse. La donna posò una mano sopra le sue e le strinse. «Ce la faremo, vedrà. Riusciremo a vincere.» «È doloroso?» chiese l’ometto, timidamente. La donna scosse la testa. «Non adesso.» Il signor Orazio comprese le sue parole solo alcune ore dopo, mentre stava tornando a casa, in autobus. Si sentì la gola secca, un gelo nei polmoni, lo stomaco in 12
disordine come se avesse ingerito una pietra. Sentì il bisogno di vomitare, prepotente più che mai. Anche se quel giorno, ligio agli ordini del medico, non aveva ingerito niente. È la chemio, si disse, e aveva perfettamente ragione. Non c’erano speranze, lui lo sapeva già. Il medico era stato più ottimista, aveva detto che le speranze erano scarse, però bisognava tentare lo stesso. E lui ci stava provando. Non aveva realmente paura, non era spaventato all’idea dell’annientamento totale, piuttosto lo preoccupava il percorso che avrebbe dovuto condurlo a ciò. Aveva paura del dolore, insomma. Sentiva di meritarselo, perché la sua vita era vuota. Non aveva fatto nulla, in tutta la sua esistenza, che meritasse di essere tramandato. I suoi ricordi erano un’immensa sequela di azioni preordinate: alzarsi, lavarsi, fare colazione, andare al lavoro, pranzare, lavorare ancora, poi la cena e un po’ di televisione, prima di andare a dormire. Non c’era mai stato nulla che interrompesse quella ruotine, nulla che lo strappasse a quella sfilza di libri contabili che erano tutta la sua esistenza. Finora, almeno. Pregò di riuscire ad arrivare a casa, di non sentirsi male proprio lì, in mezzo a tutti quegli estranei. In fondo ne aveva paura, non era mai riuscito a interagire con nessuno. Era un solitario. In parte ci riuscì. 13
Vomitò nell’ingresso del suo palazzo, cercò di farlo nel vaso di un vecchio ficus striminzito che avrebbe dovuto abbellire quella desolazione, ma sbagliò mira e allagò il pavimento. Poi riuscì a trascinarsi fino all’ascensore, ringraziando il cielo che il palazzo ne fosse provvisto. Avrebbe dovuto pulire ma proprio non se la sentiva, del resto nessuno avrebbe potuto capire che era stato lui. Aveva sbagliato, doveva venire subito a casa, dopo la chemio, non andare a lavorare. Ora stava pagando questa imprudenza, si sentiva privo di forze e gli girava la testa. Arrancò fino al suo appartamento e faticò non poco ad aprire la porta. La mano gli tremava troppo per riuscire a infilare la chiave. Fece appena in tempo a entrare prima che le forze lo abbandonassero del tutto, e lì stramazzò a terra. Non era facile essere solo, ora se ne rendeva conto. Steso a terra, senza la forza di alzarsi, perduto. Sarebbe potuto morire lì. Prima o poi sarebbe successo, se ne rendeva conto. Senza che nessuno se ne accorgesse, che lo venisse a cercare. Era orribile. Cercava un punto di appoggio per riuscire a sollevarsi, ma non c’era alcun mobile nelle immediate vicinanze. Strisciare come un verme, non c’era altra soluzione. Che gli stava succedendo? La chemio non avrebbe dovuto avere una reazione così forte, o forse sì? L’avevano avvertito che sarebbe stata una terapia d’urto, a dosi massicce. Il suo ventre era in fiamme, e 14
continuava a tremare. «Dai, alzati. Ti do una mano io.» C’era proprio una mano tesa verso di lui, una mano molto piccola, la mano di una bambina. Restò a bocca aperta, a guardarla. Era quanto di più assurdo avesse mai visto. I suoi capelli erano colore del grano, divisi da una riga in mezzo e raccolti in due lunghe trecce che le arrivavano fino alla vita. Aveva labbra rosse e occhi di un azzurro purissimo, non dimostrava più di otto o nove anni. Anche il vestito che indossava era assurdo, con sbuffi sulle spalle e una gonna a palloncino. Lunghi calzettoni in tinta fantasia le coprivano le gambe e a completare il suo abbigliamento strambo c’erano un paio di scarpette rosse con una fibbia dorata. Non aveva idea di chi fosse, non l’aveva mai incontrata prima. Non abitava nel palazzo, ne era sicuro. Forse avrebbe dovuto chiederle cosa facesse lì, nel suo appartamento, ma non era il momento adatto. Aveva troppo bisogno del suo aiuto. «Non ce la puoi fare», le disse. «Sei troppo piccola.» Lei sbuffò in modo rumoroso, quasi fosse una pernacchia. «Ti degni di darmi una mano o devo fare tutto io?» Non si stava rivolgendo a lui. Il signor Orazio cercò di guardarsi intorno e scorse una seconda bambina. Questa era più alta, e indossava una mantellina che la faceva assomigliare a Cappuccetto Rosso. Il suo aspetto non era meno strano di quello della prima bambina. Stava appollaiata sul bracciolo della poltrona, quasi 15
fosse un avvoltoio, i suoi capelli rosso fiamma andavano sparati in ogni direzione e pareva non avessero mai conosciuto un pettine. Il volto era coperto di lentiggini e persino i suoi occhi sembravano avere una sfumatura rossastra. «Lei non parla», gli spiegò la prima bambina, e alzò la voce per farsi sentire dall’amica. «Però ci sente benissimo.» Gli fece una confidenza, ridacchiando. «Mette tutti a disagio, dicono che sia una strega.» Il signor Orazio era più confuso che mai. In quel momento proprio non gli interessava chi fossero quelle bambine, ringraziò solo il cielo che fossero lì. «Aiutatemi, non mi sento bene.» La strega rossa saltò giù dalla poltrona e venne verso di loro con un’andatura ciondolante. Non indossava calze e aveva gambe nodose, come quelle di un maschiaccio. Ai piedi un paio di sandali aperti. Era certo che non sarebbero riuscite nell’impresa, ma fu subito smentito. Non solo l’alzarono, ma riuscirono pure a sostenerlo. Il signor Orazio non si era mai sentito così debole. «Devi andare a letto», disse la biondina con le trecce. Persino parlare era uno sforzo eccessivo, fece solo un cenno del capo. Se e come arrivò nel suo letto, per il signor Orazio rimase un mistero. Quando riaprì gli occhi erano passate molte ore e il buio aveva invaso la stanza. «Ti ho preparato un brodino, è meglio che non 16
mangi altro.» La biondina era lì, quasi fosse in attesa del suo risveglio. Salì sul letto e si inginocchiò al suo fianco, reggendo il piatto fumante. Prima che potesse dire una sola parola iniziò a imboccarlo col cucchiaio, quasi fosse un bambino. Era alquanto imbarazzante, per il signor Orazio, ma appena il liquido caldo venne in contatto con la sua gola riarsa si sentì rivivere. Nell’assoluto stupore lasciò che lei continuasse. Il piatto era quasi vuoto quando riuscì a dire le prime parole. Furono talmente ovvie che lo fecero sentire ancor più stupido. «Chi sei?» Lo sguardo di quella bambina era penetrante, quasi fosse una persona adulta. «Davvero non ti ricordi di me?» Frugò nella memoria, si sforzò in ogni modo, ma fu inutile. «Qual è il tuo nome?» Parve soppesare se fosse il caso di dirglielo. Sembrava davvero delusa di non essere stata riconosciuta. «Lizzi.» «Lizzi», ripeté il signor Orazio. Doveva essere di certo un diminutivo. Di Letizia, probabilmente. Lui non aveva mai conosciuto nessuna Letizia. La strega rossa era appollaiata sulla sua poltrona preferita, stavolta, ai piedi del letto. «E lei?» Lizzi sbuffò di nuovo in modo esagerato. «Non parla, te l’ho detto. E se non parla come può fare a dirmi il suo nome?» Alzò le spalle. «Chiamala strega, come fanno tutti.» E aggiunse, con uno strano sorrisetto: «Una volta lo facevi anche tu.» 17
Non le aveva mai conosciute, ne era più che certo, non erano tipi che si sarebbero potuti dimenticare. «Abitate qui vicino?» Lizzi saltò giù dal letto e andò verso l’amica. Forse si scambiarono pure uno sguardo, ma il signor Orazio non poteva esserne certo. «Stai morendo», disse Lizzi, senza voltarsi. Nessuno sapeva della sua malattia, del resto non c’era nessuno da informare. Di certo non lo potevano sapere loro. «Io credo che il signor Agenore saprebbe cosa fare.» Non era certo di aver capito. «Come?» Lizzi si girò scuotendo il capo, con aria triste. «Se ti rifiuti di ricordare non possiamo aiutarti.» La confusione era assoluta, il signor Orazio non sapeva cosa dire. Lizzi sembrava decisa. «Se siamo qui vuol dire che non vuoi morire. Sforzati!» Il signor Orazio avrebbe voluto, ma non ne aveva la forza. La strega rossa fece uno strano cenno, passandosi un dito davanti alle labbra. «Sì», disse Lizzi. «Sei troppo stanco, devi riposare. Parleremo ancora, più avanti.» Le ultime forze sembravano averlo abbandonato, il signor Orazio non riusciva più a tenere gli occhi aperti. Li chiuse. La mattina dopo, al risveglio, il signor Orazio scoprì di stare bene. L’illusione durò finché non si sedette a 18
fare colazione, e allora si ricordò che da lì a poche ore sarebbe dovuto tornare a fare la chemio. L’apparizione di Lizzi e della strega rossa fino a quel momento era rimasta relegata in un angolino del cervello. Neppure per un istante le aveva considerate reali, ma solo allucinazioni dovute alla confusione della sera prima. Non esistevano, questo era ovvio. Le aveva create la sua mente. Perché così? Perché loro? Dovevano essere legate in qualche modo a un episodio del suo passato. Considerando quanto fossero bizzarre, di certo doveva trattarsi dei personaggi di un libro, oppure di un film. Qualcosa risalente alla sua infanzia, che la sua mente conscia aveva scordato. Era tutto così semplice e ovvio, non ne ebbe neppure paura. Dopotutto era già finito. Quella notte fu un incubo. Dopo la chemio stavolta era tornato subito a casa. Il suo corpo pareva averla recepita meglio. Aveva avuto gli stimoli del vomito, ma si erano subito attenuati. La spossatezza non l’aveva paralizzato. Aveva fatto una cena molto leggera ed era andato a letto presto. Non era riuscito a dormire. Le cose erano andate via via peggiorando. Quando la pendola aveva suonato l’una di notte, il signor Orazio si sentiva come se un pachiderma di due quintali si fosse seduto sul suo petto. Non riusciva a respirare, non riusciva a muoversi. Era arrivata la fine, stava morendo, ne era certo. La 19
sua mente urlava, anche se le sue labbra restavano sigillate. L’orrore lo travolse, un orrore cieco, irragionevole. «Non puoi andare avanti così, bisogna fare qualcosa.» Lizzi era accanto al suo letto, che scuoteva il capo. «Aiutami, su, bisogna sollevarlo, io da sola non ce la faccio.» Anche la strega rossa era presente, all’altro lato del letto. Fu orribile, il signor Orazio quella notte vomitò persino l’anima. Lizzi non faceva altro che andare avanti e indietro con le bacinelle piene del suo vomito, mentre la strega rossa lo sosteneva. Il signor Orazio non riusciva a parlare, ogni volta che tentava di farlo tornavano i conati di vomito. «Ti stai distruggendo!» lo accusò Lizzi. «Quelle cure ti stanno rovinando, devi smetterla!» Il signor Orazio scuoteva solo il capo, non riusciva a parlare. Loro non potevano capire quale fosse la sua situazione. «Non ti basta ancora? Non hai già pagato abbastanza?» Quelle bambine erano troppo strane, quasi terrificanti. Eppure non poteva che essere grato della loro presenza, di non essere solo. Molto tempo dopo lo fecero di nuovo coricare. «Chi sei?» mormorò il signor Orazio. «Parlami di te, della tua amica. Aiutami a ricordare.» Di nuovo Lizzi valutò se fosse il caso di farlo, e si 20
sedette sulla sponda del letto. «Lei si è trasferita da poco. Giochiamo insieme. Non so molto di più, non parla mai. Non so neppure se ne sia capace.» «Perché la chiami strega?» «Non gliel’ho dato io, quel nome. Sono gli altri bambini che la chiamano così. A causa dei capelli, credo. Lei li picchia sempre.» «Assomiglia a Cappuccetto Rosso.» Lo sguardo che gli rivolse Lizzi lo mise subito a disagio. «Che ho detto di sbagliato?» «Non ti è mai piaciuta quella favola, la odiavi.» Il signor Orazio stava iniziando a capire. «Voi appartenete al mio passato, vero? Di quando ero un bambino.» «Devi tornare a casa, è indispensabile. Se non vuoi morire devi tornare a casa.» Inarcò appena un sopracciglio. Il suo passato, la sua casa. «Che significa?» Lizzi sembrava proprio depressa. «Noi non possiamo fare altro, sta a te decidere.» «Così non basta! Devi dirmi di più!» Lei scivolò giù dal letto, allontanandosi. «Ti abbiamo già detto tutto quello che c’è da sapere! Ti abbiamo detto chi siamo noi, non ti basta?» «E chi siete?» Un sorriso sbarazzino. «Ma lo sai! Lizzi Bizzi e la Strega Rossa!» «Avrei una richiesta un po’ bizzarra da farle. So che non sarà facile. Sto cercando un libro un po’ particolare.» 21
Aveva scelto quella donna perché gli era sembrata la più adatta. Sulla sessantina, un aspetto materno, sempre sorridente. L’altra bibliotecaria del reparto ragazzi l’aveva subito messo a disagio, secca e rigida come un tronco d’albero. «Dica pure, cercheremo di aiutarla.» «Sto cercando un libro che ho letto molti anni fa. Quand’ero solo un bambino, probabilmente. Non ricordo il titolo, però le protagoniste erano due bambine. Lizzi Bizzi e la Strega Rossa.» La donna fece una ricerca al computer e scosse il capo. «Mi dispiace, non abbiamo alcun libro con quel titolo.» «Non credo che fosse il titolo, erano solo i personaggi.» «Ti ricorda qualcosa?» chiese la donna alla collega. Lei fu sbrigativa. «Cercalo su Internet.» «Si può fare?» domandò il signor Orazio, e loro lo guardarono come se fosse un marziano. Il risultato finale lo lasciò perplesso. «Non esiste.» «Forse mi sbaglio, allora, forse non era un libro. Magari…» «No, non mi ha capito. Non esiste proprio. Non ci sono quei nomi, qualunque cosa fossero. Forse non li ricorda bene.» Il signor Orazio era sempre più perplesso. «Lì c’è tutto?» La bibliotecaria sorrise comprensiva. «Tutto forse no, ma quasi. Tutto ciò di cui si è parlato, e che sia appena conosciuto. Sì, si potrebbe dire che c’è tutto, 22
ma non quei nomi.» «Forse è un film», mormorò il signor Orazio. «Libro o film non cambia. Non c’è, non esiste. Non sono mai esistiti.» Stava perdendo la pazienza, ma il signor Orazio non riusciva a darsi per vinto. «C’era un altro personaggio, Agenore. Può cercare anche quello?» L’aria materna era scomparsa dal volto della donna. «Quale parte del non esistono non è riuscito a capire?» Fece la chemio, anche se loro gli avevano detto di no, e poi stette male, tanto male, ma Lizzi Bizzi e la Strega Rossa non si fecero vedere. Non osò coricarsi nel letto e si mise seduto su una poltrona, coprendosi con una coperta. Il telefono era lì accanto, in caso di emergenza. Si preparò a un’altra notte insonne. Non esistevano, non erano reali, che importanza potevano avere i loro nomi o quale fosse la fonte delle sue allucinazioni? Eppure qualcuno l’aveva sollevato da terra, l’aveva imboccato, aveva pulito il suo vomito, possibile che si fosse sognato pure quello? Smettere la chemio? Il cancro aveva invaso il suo corpo, ormai era ovunque. Stava attaccando il fegato, non c’erano più speranze. Smettere equivaleva ad arrendersi. Loro, però, non la pensavano così. Ma loro non esistevano! Erano il parto della sua fantasia! 23
Il signor Orazio stava sempre peggio, e non sapeva cosa fare. «Ricordi ancora la tua casa?» Era apparsa di nuovo, chissà da quanto era lì. Nel dormiveglia il signor Orazio non si era accorto di niente. C’era anche la strega rossa, ma lontana da loro, in fondo al divano. «E la tua, di casa? Dove abiti? Da dove arrivi?» Lizzi alzò le spalle. «Vivo con mamma e papà, che altro? Papà è un medico, e mamma è sempre occupata, con le sue amiche del club. Cucina per le feste parrocchiali. Io la faccio impazzire. Ci divertiamo a far loro dispetti, e lei si arrabbia sempre.» «Tu e la tua amica?» Annuì. «E cosa fate?» Si mise a ridacchiare, come una vera bambina. «Be’, una volta abbiamo messo un topo morto dentro la torta che mamma aveva fatto per il parroco. Oppure quella volta che abbiamo dipinto lo steccato a strisce gialle e blu. O quando abbiamo incollato tutte le pagine del libro della maestra. E…» Il signor Orazio la interruppe. «Ci conoscevamo? Eravamo amici?» Lizzi restò in silenzio a lungo. «Amici non direi. No, decisamente no.» Il più delle volte le sue parole contrastavano con l’età che dimostrava. Talvolta, invece, sembrava proprio una bambina. Il mistero era sempre più comples24
so. «Lizzi Bizzi è il tuo vero nome?» «Ma no, stupido! Non lo vedi che è finto? Chi vuoi che si chiami così!» «Come ti chiami, allora?» «Letizia, no? Ma io lo odio. Non ti parlo più se mi chiami con quel nome!» «Letizia e poi?» «Letizia Bizzarri.» «Non l’ho mai sentito.» «Certo che non l’hai sentito! Non se lo ricorda nessuno che mi chiamo così.» «Da dove arrivi?» Stavolta ottenne una risposta. «Da casa tua.» Cercò di dare un senso a quelle parole. «È lì che ci siamo conosciuti? Eri una vicina? Giocavamo insieme?» Dall’espressione di Lizzi comprese di aver di nuovo sbagliato. «Cosa ricordi della tua casa?» chiese ancora lei. Il signor Orazio sforzò di nuovo la memoria, anche se i ricordi tendevano a sfuggirgli. «Da piccolo abitavo al Silvestri, un quartiere quasi in periferia. Era un casermone, ricordo, e il nostro appartamento era molto piccolo. Papà faceva l’operaio, non era mai a casa. La mamma…» S’interruppe, e Lizzi lo spronò con pazienza. «Vai avanti.» Il signor Orazio scosse la testa. «Ero sempre solo, non avevo amici. Gli altri bambini mi evitavano.» «Perché?» «Non lo so. Forse ero grasso. Comunque a me an25