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Ready To Drink

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I cocktail pronti da bere alla lente di un blind taste: promossi o bocciati?

di Nicola Rugiero

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Aseguito dei periodi di lockdown susseguitisi nei vari Paesi del mondo si è intensificata la domanda dei cocktail “ready to drink” (drink pronti da bere o RTD secondo l’acronimo commerciale).

A fronte dell’aumento della richiesta, diversi sono stati i brand che hanno proposto al grande pubblico questi cocktail, nei formati più trendy e fantasiosi, presentati in bottiglia o bottiglietta, barattolo o sacchetto. Fra le svariate offerte, il denominatore comune è solo uno: riempire un bicchiere di ghiaccio, versare, bere. NIO, una delle più importanti etichette in questo settore, ha sintetizzato questo concetto nell’acronimo del suo brand: “Needs Ice Only”.

Ciò che sembra una nuova trovata di marketing è in realtà il vertice del lavoro, già avviato da tempo, da parte di grosse società. Da diversi anni, infatti, le multinazionali del settore hanno cominciato a fornire al consumatore casalingo un prodotto pronto da bere ma dalla qualità discutibile. Con molta facilità è sempre stato possibile trovare un Negroni, un Mojito o una Pina Colada in bottiglia oppure un long drink in bottiglia o lattina. Il nuovo trend, però, ha ridotto le quantità ad una monodose e, circostanza non poco rilevante, ha aumentato sensibilmente la qualità. Cosa è cambiato in questi anni?

Nei primi anni novanta, furono i colossi Bacardi e Campari a sdoganare il concetto di drink pronti da bere, con i rispettivi Bacardi Breezer e Campari Mix. Rispetto a quelle prime esperienze, oggi le aziende hanno iniziato a collaborare con bartender professionisti che hanno apportato le loro conoscenze e know-how, dal mondo della miscelazione a quello della grande distribuzione. Il risultato è stato un prodotto di apprezzabile qualità, che punta a soddisfare i palati più raffinati, superando i predecessori di scarsa qualità, caratterizzati dalla facile beva e ma senza troppe pretese. Al bar come a casa.

Di sicuro, negli anni, anche il bartender ha raggiunto levelli più alti e ricercati di professionalità: oggi, il vecchio “barman” viaggia, studia e si informa, azioni che gli permettono di sperimentare e apprendere tecniche innovative e conoscere prodotti che mai si sarebbe immaginato potessero raggiungere il banco bar. Un semplice esempio, senza scendere troppo nei tecnicismi: non è insolito che il bartender utilizzi (in aggiun-

ta o in sostituzione degli ingredienti base) prodotti come acido citrico, malico o dolcificanti diversi dallo zucchero per bilanciare al meglio un cocktail. Tutte queste conoscenze l’hanno reso in grado di offrire consulenze qualificate e professionali alle grandi compagnie, circostanze che hanno giovato sia alle società che al mondo della miscelazione.

Ascoltando la voce di produttori e consumatori abbiamo elaborato sintesi che ci hanno un po’ sorpreso. Secondo i produttori, quella dei RTD è solo una moda e le vendite testimoniano che il mercato casalingo è concentrato su un modo diverso di bere. Per il consumo casalingo si opta più per l’acquisto di kit composti, come ad esempio il “G&T” (bottiglia di gin, bottigliette di tonica), per improvvisarsi bartender provetti e vivere un’esperienza di condivisione diversa. Il consumatore, invece, ci racconta di un approccio inizialmente scettico nei confronti dei Ready To Drink, ma che lo spinge a sperimentare e riscoprire interessanti alternative a quello che può essere un drink bevuto al bar.

Abbiamo scelto, però, di immolarci per la causa e abbiamo provato, in modalità blind taste, diversi drink, provando in ordine misto drink RDT e prodotti appena realizzati.

Con sorpresa di tutti, anche i palati più esperti hanno apprezzato e confuso un boulevardier Ready To Drink con uno appena preparato, a riprova dell’alta qualità raggiunta da questi prodotti. Di contro, meno soddisfacenti sono risultati i drink a base di succhi, laddove l’utilizzo di acidi, rispetto all’impieego di un succo di lime o limone fresco, rende il drink più astringente e meno apprezzabile, tendendo quasi a nascondere le note aromatiche dei distillati, come nel caso del Daiquiri.

In definitiva, non nascondiamo di essere rimasti sorpresi e soddisfatti del tasting.

E’ opportuno, però, condividere alcune considerazioni da professionista del settore. Innanzitutto posso asserire di essere entusiasta del movimento che si sta creando e della qualità raggiunta da questi prodotti. All’aspetto gustativo, la maggior parte di essi, non ha nulla da invidiare rispetto ad un cocktail preparato al banco, seppure deficitano di una serie di elementi, come il ghiaccio giusto, la coreografia, il tocco aromatico finale, che non possono essere replicati in un prodotto già pronto (salvo che il consumatore non abbia un minimo di infarinatura di mixology, ma questa è un’altra storia). Tuttavia il prodotto piace al pubblico e può vantare di aver infranto un limite fra cocktail bar e ambiente domestico.

Tutto è talmente perfetto da avere persino una contropartita. I Ready To Drink hanno raggiunto una tale qualità da ingenerare nostalgia del cocktail al banco e della presenza fisica nel locale, ora come non mai. Perchè dietro un drink c’è l’atmosfera, la musica, le chiacchiere con gli amici e tutta la professionalità di un bartender attento e preparato.

中国杂志

Disponibile in: INGLESE ITALIANO CINESE

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