copertina hitch disumano 7:hitch
7-10-2010
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Andrea Antolini
Andrea Antolini
HITCHCOCK umanodisumano
Andrea Antolini, laureato in Scienze della comunicazione, vive e lavora a Jesi. È critico, scrittore, giornalista, regista e web designer.
HITCHCOCK umanodisumano
HITCHCOCK umanodisumano
“Un libro imprevedibile e prezioso, che affronta in chiave modernissima il lavoro di un cineasta sempre enigmatico, che rivela ad ogni visione nuovi e affascinanti “lati oscuri”. Hitchcock è un interprete originale della società occidentale, analista della coppia - il suo asse portante - rifugio talvolta poco tranquillizzante e oggetto privilegiato di attacchi e di demonizzazioni. “Umano disumano” è la costante di una filmografia tra le più coraggiose e disturbanti della storia del cinema, uno spazio dell’inquietudine che il lavoro di Andrea Antolini ripercorre con passione e attenzione critica. Soprattutto per i molteplici “segni” che Hitchcock traccia con il suo linguaggio limpido e complesso, insieme “facile” e “sperimentale”, comunque sempre unico””.
Andrea Antolini
ISBN 978-88-89782-28-6
€ 16,00
EDIZIONI EDIZIONI FALSOPIANO
FALSOPIANO
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FALSOPIANO
CINEMA
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EDIZIONI
FALSOPIANO
Andrea Antolini
HITCHCOCK umanodisumano
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Š Edizioni Falsopiano - 2010 via Bobbio, 14/b 15100 - ALESSANDRIA http://www.falsopiano.com Per le immagini, copyright dei relativi detentori Progetto grafico e impaginazione: Daniele Allegri - Roberto Dagostini Stampa: LaserGroup s.r.l. - Peschiera Borromeo Prima edizione - Ottobre 2010
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INDICE Appunti su una tuttologia hitchcockiana di Anton Giulio Mancino
p. 9
I diversi livelli d’interesse del cinema hitchcockiano
p. 11
Oltre l’estetica: le storie, gli intrecci, i protagonisti
p. 15
Capitolo primo Gli uomini e le donne nell’universo hitchcockiano
p. 19
I personaggi maschili
p. 21
I personaggi femminili
p. 36
La coppia come castrazione dell’individuo
p. 50
Capitolo secondo Il pensiero hitchcockiano in due film
p. 65
Vinci per me
p. 71
La finestra sul cortile
p. 99
Capitolo terzo Riflessioni conclusive
p. 131
Filmografia
p. 149
Bibliografia
p. 157
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Appunti su una tuttologia hitchcockiana di Anton Giulio Mancino Un merito - di sicuro non l’unico - di questo libro, che torna e nel contempo conferma la necessità di tornare sul luogo del delitto o della messa in scena e in quadro del delitto come forma e valore assoluti della messa in scena e in quadro hitchcockiani, consiste nel confermare che non esistono capolavori nella filmografia hitchcockiana, di cui si scelgono alfine due analisi congiunte e concomitanti. Di The Ring e Rear Window. Almeno se per “capolavori” intendiamo comunemente capi d’opera, film di spicco, titoli che prevalgono nella memoria su altri. Tutti, altrimenti non si spiegherebbe il perché di The Ring e Rear Window in particolare, senza distinzioni di sorta, possono infatti assurgere al rango di capolavori, purché dentro una logica serrata, precisa. Una logica condivisibile se accettiamo contestualmente l’idea che l’opera hitchockiana in sé costituisce un oggetto multiforme, unico, compatto, che non può nemmeno dirsi eccellente perché non può eccellere rispetto a qualcosa che - per l’appunto - non possiede, non autorizza, non esige termini di confronto. Non si può preferire un film di Hitchcock ad un altro, né un film di Hitchcock ad uno di un altro autore che possa paragonarsi ad Hitchcock, poiché già questa risulterebbe una premessa fuorviante e penalizzante per qualsiasi autore. Quello hitchcockiano è un mondo, un inesauribile territorio di studio, in cui invenire connessioni, modalità espressive, idee che diventano esse stesse la base per una teoria e una prassi del cinema. Al di là del cinema. Non è un caso che dagli anni della importante riscoperta compiuta dagli ex critici e successivi (inevitabilmente) cineasti della Nouvelle Vague ad oggi Hitchcock abbia costituito - per usare la dinamica kleiniana individuata da Christian Metz in Le significant imaginaire nello spiegare l’amore inclusivo, totalizzante, finanche agguerritamente partigiano verso il cinema, tutto - un oggetto perennemente “buono” di indagine, progressivamente smarrendo ogni residua contrapposizione verso qualsiasi altro oggetto “cattivo” interno ed esterno: sia esso stato un oggetto hitchockiano, o un presunto oggetto parahitchcockiano o non (abbastanza) hitchcockiano. Da tempo Hitchcock si studia, lo si comprende (anche nel senso di una operazione di recupero e di accoglienza di ogni titolo sottratto all’infausta categoria dei cosiddetti film “minori”, categoria in 9
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estinzione o definitivamente estinta che impone di conseguenza un ragionamento, un approccio di ricerca globale e sistematico). Lo si fa, incessantemente, al fine di rendere o continuare a far sì che Hitchcock fornisca questo o quel testo o la somma coordinata e coerente di testi in grado di generare una riflessione seria sui meccanismi dell’inconscio occidentale contemporaneo, sulla suspence non più tradizionalmente intesa come congegno narrativo ma come struttura stessa, sistema operativo del divenire nella realtà o nella percezione approssimativa e velleitaria della realtà. E dunque sulla condizione non già umana ma disumana, post-umana, relativamente umana dell’essere, del relazionarsi, del corrispondere mediante blocchi simbolici - interi film, sequenze di film, frammenti di film come quelli scelti da Raymond Bellour nel suo paradigmatico L’analisi del film - ad una visione delle relazioni, dei fantasmi, delle dipendenze dalle mete verso cui si indirizza la struttura psichica e configura in forme sempre diverse, cangianti, indecifrabili il potere o la volontà di potenza dentro cui l’uomo, invenzione recente cui Hitchcock assegna un posto assai marginale nei suoi tracciati, si sforza di esistere. Che sono poi tracciati esemplari - lo ripetiamo, tutti, e questo libro ne offre una prova ulteriore - di crescita, conoscenza, scoperta dissimulati necessariamente dallo schema della detection tradizionale, possibile, impossibile, simulata, voluta, enunciata sotto varie e non sempre ortodosse o rigide connotazioni di genere. Da costruzioni ad hoc e deliberatamente non realistiche, non trasparenti, bensì artificiose fino al parossismo, di situazioni estreme, di tensione, di attesa, di sbilanciamento/assestamento pulsionale. Tali tuttavia da poter corrispondere alle aspettative del pubblico. O forse per andare oltre la componente spettatoriale del testo, cui tuttavia Hitchcock consapevolmente dentro le regole dell’industria, volle ogni volta dare l’impressione di gratificare. Offrendo gli strumenti necessari e i codici per un pensiero, una filosofia non soltanto del cinema ma al più del cinema in quanto filosofia. Studiare/recuperare/riproporre/decodificare Hitchcock vuol dire - e questo libro lo dimostra con chiara cognizione di causa - saper fare i conti con una sfida degna di essere almeno accettata e rilanciato a tempo indeterminato.
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I diversi livelli d’interesse del cinema hitchcockiano «Due fatti sono ovvi: tutti conoscono Alfred Hitchcock e nessuno lo conosce» 1. Uno degli aspetti più interessanti delle opere di Alfred Hitchcock è sicuramente il suo «gusto per la costruzione del racconto, per i colpi di scena, per l’attenzione ai problemi morali» 2. Il «suspense», altro elemento costitutivo del mondo hitchcockiano, è un’emozione che lascia un particolare appagamento nel momento in cui viene risolto. Prendere in esame Hitchcock non significa solo studiare il mondo di un autore, ma, per estensione, affrontare nel modo più ampio ed articolato tutti i problemi costitutivi del linguaggio cinematografico e del cinema in senso lato 3. Ma è riduttivo parlare di Hitchcock solo da un punto di vista tecnico; ovvero, nei racconti del regista inglese c’è un mondo intero, uno spaccato di società e, soprattutto, un’indagine psicologica sull’animo umano, sui rapporti interpersonali fino ad arrivare a riflessioni sull’umanità stessa. Il fascino dell’aspetto psicologico dei film di Hitch deriva dal fatto che […] è introspettivo, poiché mette a fuoco non tanto il rapporto tra l’opera d’arte e il mondo nel suo complesso quanto le connessioni tra l’opera d’arte e l’artista, e tra essi e il fruitore. Gli effetti psicologici di un’opera d’arte sono noti fin dai tempi della teoria aristotelica della catarsi. Al’inizio del XX secolo, nell’età d’oro della psicoanalisi, molte indagini psicologiche si sono basate sui rapporti tra l’artista e la sua opera. L’opera era vista come rivelatrice della situazione psichica del suo autore, una specie di test di Rorschach approfondito ed elaborato. Più recentemente, invece, l’attenzione dello psicologo si è spostata sul rapporto tra l’opera e il suo consumatore/fruitore 4. Inoltre: il cinema va studiato in tutte le sue manifestazioni e a tutti i livelli, con il ricorso, se possibile, al massimo di strumenti di indagine, di volta in volta utilizzati nel modo più pertinente. La possibi11
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lità di interferenza di varie discipline nello studio del cinema in particolare, si giustifica, fin troppo chiaramente, per la complessità delle sue strutture e per la possibilità di inserire i diversi momenti operativi in contesti culturali assolutamente diversi 5. Viene naturale fare, a questo riguardo, un raffronto con i film italiani degli ultimi anni. Nel cinema di casa nostra, le storie, gli intrecci, sono quasi sempre costruiti con una particolare cura degli aspetti psicologici dei personaggi ed un’altrettanta attenzione ai rapporti umani ed alle dinamiche affettive che si sviluppano nell’arco della durata del film. Per contro, quest’attenzione rivolta, a volte ossessivamente, alla caratterizzazione dei personaggi, non è compensata da altrettanta attenzione ad altri aspetti, più propri della settima arte, come la fotografia, la regia, il montaggio, cioè quelli che riguardano la vera essenza del cinema. Se si parla poi di sceneggiatura, ci si accorge che nel cinema italiano recente, ci si perde volentieri in minuziosi aspetti psicologici dei protagonisti, lavoro senz’altro apprezzabile, ma che spesso comporta una spesa eccessiva di energie che poi vengono meno nel momento in cui si deve pensare al motore della storia, ad aspetti ed accadimenti che possano dare un naturale svolgimento dei fatti narrati. È pur vero che, dalla sua, nel nostro cinema si respira, in alcuni tratti, una certa artigianalità che, al contrario, nel cinema d’oltre oceano, si sta progressivamente perdendo. Si fa riferimento ad una costruzione dell’immagine, dell’inquadratura, del bilanciamento del peso delle parti che costituiscono il quadro, messa a punto con una sensibilità, una cura che, in quella che è diventata una vera e propria industria, non si trova più se non in autori non ancora corrotti dalle nuove metodologie di lavoro degli “studios”. Autori come David Lynch, David Cronenberg, Terry Gilliam o Tim Burton. Il paragone potrà sembrare arduo ma, come i sopracitati, «Hitchcock, Ford, Hawks, von Sternberg e alcuni altri sono coloro che nell’età d’oro di Hollywood riuscirono a conservare uno stile più personale da un film all’altro» 6. Viene in mente, al riguardo, la fotografia del film Piano solo (2007) del regista italiano Riccardo Milani, durante il quale l’occhio dello spettatore è deliziato da una luce sempre puntuale, da scenografie delicate e da movimenti di macchina essenziali e, proprio per questo, efficaci; la regia di Paolo Sorrentino in Le conseguenze dell’amore (2004), o quella di Andrea Molaioli nella sua opera prima La ragazza del lago (2007). James Monaco scrive, proprio parlando di Alfred Hitchcock, che la drammaticità e l’attrattiva del cinema non stanno tanto in ciò 12
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che è filmato (cioè la drammaticità del soggetto) ma nel modo in cui esso è filmato e presentato: e migliaia di studiosi hanno dimostrato che Hitchcock è stato il maestro per eccellenza in queste due imprese cruciali. Il dramma del fare cinema consiste in gran parte nella combinazione cerebrale di questa serie di scelte strettamente collegate fra loro. Gli spettatori più accorti apprezzano a livello cosciente la superba intelligenza cinematografica di Hitchcock, quelli meno preparati la apprezzano inconsciamente, ma l’intelligenza ha comunque il suo effetto 7. Tenendo presente, dunque, queste considerazioni, l’analisi di un autore come Hitchcock deve assecondare due fattori, due percorsi. L’autore inglese ha iniziato la sua carriera nel periodo del muto ed ha attraversato più della metà dell’intera storia del cinema, «[…] e si presenta oggi come uno dei “corpus” cinematografici più unitari e compatti che esistano, caratterizzato da motivi tematici e stilistici di continuo riproposti ed approfonditi e decifrati fino al significato ultimo» 8. Contestualizzando i suoi lavori ai diversi periodi storici che ha attraversato, ci si rende conto del fatto che la sua tecnica è sempre stata in anticipo rispetto a quelle che erano le tendenze che, nel corso della storia del cinema, si sono succedute, affermandosi, e facendo la fortuna di autori con meno talento di chi, come Hitchcock, era fautore di tali stili e tendenze. Della generazione precedente a quella di Bergman e Fellini, Alfred Hitchcock resta l’unico regista che sia riuscito a fare film decisamente personali pur lavorando sempre all’interno degli schemi industriali dei generi cinematografici. In un certo senso, egli non ha avuto una, ma quattro carriere (nel cinema muto, nel cinema sonoro inglese, nel cinema hollywoodiano in bianco nero degli anni Quaranta e in quello a colori dal 1952 in poi) e ognuno di esse basterebbe ad assicurargli un posto nella storia del cinema. Si può affermare che i suoi film più significativi (e molti dei suoi migliori) appartengano agli anni Cinquanta, epoca in cui Hitchcock consolidò la propria fama e divenne l’unico regista conosciuto da tutti gli spettatori cinematografici e televisivi d’America. La finestra sul cortile, La donna che visse due volte e North by Northwest (Intrigo internazionale, 1959), sono tre capolavori di angoscia rispettivamente percettiva, psicosessuale e psicopolitica 9. 13
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La finalità di migliorie tecniche e di vere e proprie sperimentazioni visive non somigliava allora alla spettacolarità dell’immagine a discapito di sceneggiature per niente curate e scontate, come quelle che ci vengono somministrate oggi. La finalità era puramente estetica, era essenzialmente una ricerca di nuove soluzioni, volute per esigenze artistiche e stilistiche della costruzione dell’immagine, che dovevano avere il loro ruolo, il loro peso, il loro significato ulteriore all’interno di un’opera d’arte. Il bilanciamento delle varie componenti del film viene sempre visto come essenziale nelle pellicole di Hitchcock. La genialità dei suoi lavori, infatti, sta sia nella regia che nel racconto vero e proprio, nelle sceneggiature, per le quali, tra l’altro, si è sempre avvalso dell’aiuto di scrittori a lui congeniali e spesso scelti ad hoc per lo sviluppo di soggetti consoni ad Hitchcock. Lo stesso regista dichiara a Truffaut di trovarsi in difficoltà nel dover affrontare la regia di un testo scritto da terzi e sul quale lui stesso non abbia messo mano e di non essere «[…] mai riuscito a lavorare bene quando ho collaborato con uno scrittore specializzato come me nel mistero, nel thriller o nel suspence»10.
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Oltre l’estetica: le storie, gli intrecci, i protagonisti La forza delle opere di Hitchcock, oltre che nell’estetica, sta nella costruzione delle storie, degli intrecci, nonché dei personaggi e delle loro vicende, insomma in una «[…] puntigliosa descrizione dei conflitti di classe, con la contrapposizione degli ambienti» 11. C’è un’attenzione ad aspetti puramente psicologici nella caratterizzazione dei personaggi, derivante anche da un interesse del regista per la psicanalisi «[…] mutuata dall’incontro con le opere di Freud» 12, che, in alcuni episodi fortunati del nostro cinema attuale, ritroviamo ed apprezziamo particolarmente. Parlare di psicanalisi legata ad Hitchcock fa immediatamente venire in mente film come Marnie (Marnie, 1964) e Spellbound (Io ti salverò, 1945) nei quali la si trova come elemento risolutore e dichiaratamente protagonista delle vicende. In realtà, quest’interesse a tale disciplina, la si ritrova in ogni sua opera. Naturalmente a volte rimane di sottofondo e, forse, addirittura inconscia, ma è probabile che le letture che fa il regista dei suoi personaggi e delle vicende che narra e che catturano la sua attenzione, hanno una derivazione da un interesse alla sfera puramente psicologica dei suoi “characters”. Il suo lavoro di osservazione della realtà ristampato sulla pellicola è anche un lavoro sociologico, è un vero e proprio studio di fenomeni delle diverse tipologie di società che si sono succedute nei diversi decenni del secolo scorso, nel susseguirsi dei vari sconvolgenti eventi storici che lo hanno caratterizzato. Utilizza anche queste sue osservazioni ma, probabilmente, come sfondo a caratteri dell’umanità più propri dell’individuo e che mantengono delle costanti, spesso spregevoli, agl’occhi di Hitchcock che «[…] vedeva l’ansia come una sorta di stilizzata paranoia della vita quotidiana»13. Qui subentra la sua educazione cattolica, che influenza pesantemente la sua visione del mondo, soprattutto considerando il fatto che è cresciuto in una nazione dove i cattolici rappresentano una minoranza. Nei suoi film troviamo vari livelli di analisi della società. Quello più evidente al pubblico, e più funzionale alla fortuna ed al successo del suo lavoro, viene utilizzato in funzione della costruzione dell’intreccio ed a volte, basti pensare a Psycho (Psyco, 1960) ed ancora una volta a Marnie, le malattie mentali, quella dei personaggi interpretati rispettivamente da Anthony Perkins e da Tippi Hedren, sono i veri protagonisti delle due pellicole. L’altro racconto che sottintende tutti i film di Hitchcock, è quello dell’umanità, dei suoi peccati, delle sue debolezze, del suo essere abominevole. Quella che si può definire una critica all’essere umano in genere, ossia 15
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l’intera opera di Hitchcock, ha come oggetto preferito, per attacchi e demonizzazioni, la coppia, spesso borghese, come fenomeno di castrazione e come rifugio dei peggiori comportamenti e delle peggiori perversioni dell’uomo. Un soggetto di desiderio è definito da un concatenamento sistematico determinato da una serie di regole, insieme mobili e rigide, che puntano a produrre un certo effetto a partire dalla messa in finzione della coppia diegetica 14. Essenziale è innanzitutto la connessione tra il sistema narrativo nel cinema (si potrebbe dire nella cultura) occidentale e l’Edipo. Nella maggior parte dei film occidentali si ritrova una configurazione che implica, a partire dal modello univoco dell’Edipo e della castrazione, l’ordinamento del conflitto e della differenza dei sessi nella scena angusta della famiglia nucleare. Ma, insieme, fondamentale è la nozione di «soggetto di desiderio» che tende a ridefinire le traiettorie diegetiche dei film e a porre la questione dell’identità del soggetto, come identità sessuata e desiderante inscritta in un meccanismo diegetico e visivo complesso, attraversato sistematicamente da energie, da flussi e da fantasmi 15. Per Bellour si tratta di riflettere su […] come il desiderio del soggetto occidentale si è trovato preso, regolato, dalla doppia insistenza del racconto e dell’immagine, del racconto per immagini, secondo un processo di espansione propriamente infinita del medesimo 16. Non si vuol dire che Hitchcock fa una critica deontologica al fatto che l’umanità sia arrivata a produrre schemi sociali perversi; né, tanto meno, che voglia condannare la famiglia come istituzione o addirittura come concezione dell’esistenza dell’umanità stessa. Hitchcock per primo vive un matrimonio con quella che definisce come «la persona che mi ha dato più affetto, segni di apprezzamento, incoraggiamento e costante collaborazione» 17, sua moglie. Se poi si considera, di nuovo, la sua educazione cattolica, viene da pensare che il suo perpetuo raccontare, nel corso di tutta la sua carriera, di sprege16
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voli comportamenti dell’uomo, soprattutto all’interno delle mura domestiche, all’interno della propria famiglia, derivi dalla combinazione del suo credo religioso, del suo spiccato senso di osservazione e della palese condanna di ciò che è fuori dai suoi schemi educativi. Probabilmente questa ripetizione di situazioni, ha senso se si sospetta una certa fascinazione per tutto ciò che è fuori dagli schemi e che può indurre un uomo come Hitchcock a voler provare, anche se solo da dietro una macchina da presa, l’ebbrezza di violare regole e dettami religiosi.
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Alfred Hitchcock con Tippi Hedren
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Capitolo primo GlI uomINI E lE DoNNE NEll’uNIvERso hItChCoCkIaNo Quest’analisi si divide in diverse fasi. In primo luogo vengono messe a confronto le figure maschili e femminili cercando di cogliere quelle che sono le costanti delle caratteristiche comportamentali dei protagonisti dei film dell’autore inglese. In una panoramica di protagonisti e figure secondarie, si è cercato di andare a scovare indizi, osservando comportamenti, dinamiche di socializzazione, dialoghi, sguardi, espressioni e tutti quei piccoli segni che potessero essere significativi. Una ricerca delle costanti che si ritrovano in tutti i suoi lavori che ne hanno fatto, come detto, un «corpus» ben definito, complesso e completo. Hitch mette in scena personaggi molto diversi dal punto di vista dello status sociale, eppure quella che emerge è una descrizione delle peculiarità dell’animo umano, così come lo vede l’autore, a prescindere dalle situazioni, dall’educazione, dalla posizione lungo la piramide sociale occupata dagli uomini descritti. In un secondo momento verrà osservato come le dinamiche di coppia vengono influenzate, nelle vicende narrate, dalle conclusioni che si potevano trarre dai due sottocapitoli precedenti. Ciò che emerge è la descrizione di un mondo che non è propriamente fatto per le coppie. In ogni suo film queste si formano e si dissolvono, cambiano, mutano in qualcosa di diverso da quella che è la situazione iniziale e, spesso, la fine del film non dà, volutamente, una risoluzione delle situazioni descritte ma, piuttosto, lascia presagire a cambiamenti futuri che avranno il loro naturale corso solo nella vita reale delle coppie osservate e prese da riferimento dal regista. Qui si parla palesemente di castrazione all’interno della coppia, di rinunce, di sottomissioni inconsce e dolorose. La castrazione dell’individuo all’interno della coppia è funzionale e necessaria alla sopravvivenza della stessa ed è violenta, depressiva, e, come in un circolo vizioso, motivo della fine o della crisi del rapporto. Ci si accorge di questo osservando i protagonisti de La finestra sul cortile dove l’uomo ha una visione palesata del matrimonio come di un qualcosa che lo imprigioni e discute sinceramente di questa sua paura con la sua donna. La loro differenza di classe, il loro diverso modo di affrontare la quotidianità, il lavoro e lo stile di vita dell’uomo per niente consoni a 19
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quelli della donna, sono mostrati come discriminanti per il proseguo della loro storia d’amore. Un altro esempio: The Man Who Knew Too Much (L’uomo che sapeva troppo, 1956) è un medico con una brillantissima carriera in quel di Indianapolis, città dove sua moglie, cantante di talento e di successo, non può coltivare la sua professione, la sua passione per il canto. La castrazione della donna è protagonista, se vogliamo, dell’intero intreccio del film. Non a caso la risoluzione della vicenda avviene quando la donna userà le sue doti canore per poter ritrovare il figlio rapito. È il suo riscatto da una vita matrimoniale depressiva e castrante.
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I personaggi maschili Hitchcock ha un atteggiamento variabile nei confronti dei suoi personaggi ed anche quando, in maniera più esplicita, manifesta simpatia nei loro confronti, non li libera completamente caricandoli di connotati positivi. L’eroe di Hitchcock raramente va in cerca di guai per professione, più spesso è implicato nella vicenda suo malgrado. Una volta che è coinvolto nella vicenda deve seguirla fino in fondo, impegnandosi in una lotta senza esclusione di colpi. È importante osservare che più delle leggi del racconto poliziesco, Hitchcock sembra influenzato dalle leggi elementari della lotta per la sopravvivenza. L’individuo è agito dalle circostanze fino ad un punto di rottura in cui reagisce a sua volta per salvare se stesso; spesso la reazione che lo mette in salvo più che da un calcolo razionale è dettata da un naturale, animalesco, spirito di conservazione 18. Basti pensare alla forza con cui Bruno colpisce con la scarpa le mani di Guy, appeso al palo della giostra che gira all’impazzata ed alla resistenza di Guy che non molla la presa in Strangers on a Train (Delitto per delitto, 1951). Mancando, nella maggior parte dei casi, delle doti superiori della «virtus», il personaggio è aiutato dalla fortuna, dal suo senso pratico, dalla sua costante capacità di reagire e di non lasciarsi travolgere dalla situazione; all’occorrenza ogni mezzo è buono per capovolgere a suo favore anche le circostanze più disperate. Si può trovare un altro piccolo esempio, sempre nel film suddetto, in un episodio così raccontato da Truffaut, mentre dibatte con Hitchcock sulle regole del suspense: in Delitto per delitto Guy ha promesso a Bruno che ucciderà suo padre, ma non pensa di farlo, vuole invece mettere in guardia il padre di Bruno. Dunque, Guy si introduce di notte nella casa e deve salire al primo piano nella stanza del padre di Bruno. Se salisse tranquillamente le scale, il pubblico cercherebbe di anticipare e forse indovinare che Guy sta per trovare lassù non il padre di Bruno ma Bruno stesso. Ora, è impossibile indovinarlo o anche cercare di indovinarlo, perché lei crea un piccolo suspence con un grosso cane che sta in mezzo alla scala e, per 21
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un momento, il problema è il cane: il cane lascerà passare Guy senza morderlo, oppure no? 19. La situazione anche in questo caso si risolve fortuitamente con il cane che lecca la mano di Guy. Il cosmo di Hitchcock è regolato da leggi a valore costante: i suoi personaggi sono campioni di un’umanità che sembra partecipare dei medesimi problemi. Se possono, senza una precisa ragione, essere sbalzati da un continente all’altro, venire incidentalmente coinvolti in vicende in cui non riescono a sottrarsi, se cioè sembrano forti dal punto di vista fisico, capaci di emergere dalla situazione più intricata, in effetti sono sempre manovrati da forze che stanno sopra di loro e loro stessi si rivelano molto fragili sul piano psicologico e su quello sentimentale 20. Non deve sfuggire il rapporto emblematico stabilito fra la facile deteriorabilità dei sentimenti e la precarietà dell’esistenza. Su questo motivo, più che su ogni altro, il discorso ambisce a superare i limiti ristretti del genere ed a porsi come visione del mondo che è alla base di tutta l’opera di Hitchcock. Tutti i suoi personaggi vivono alla giornata, sicuri solo, per quanto concerne i propri sentimenti, dell’hic et nunc in cui la manifestano. Per il resto tutto è relativo, anche i valori stessi che si vogliono fissare. Se è vero che tutte le storie di Hitchcock sono riconducibili, in ultima istanza, ai grandi temi del racconto (Amore-Odio, Vita-Morte) questi temi sono di difficile definizione ed il regista mostra di interessarsene unicamente per vedere il trionfo delle forze del bene su quelle del male, non per il loro porsi in termini dilemmatici, per il loro peso ossessivo, notturno sulla vita dei personaggi. Anche l’idea di «suspense» che ha un valore strutturale nella narrazione, sembra rispondere ad una serie di motivazioni profonde, legate alla concezione del mondo del regista, più che ad un semplice meccanismo esteriore, utilizzato per suscitare emozioni controllate. La dilatazione temporale estrema e la frammentazione dell’esperienza visiva, trascrivono la tensione interna del personaggio, la diversità della sua percezione del mondo, rispetto alle sue condizioni normali di esistenza. È proprio rispetto alla «normalità» che reagisce il discorso cinematografico di Hitchcock; «per lui non sembra esistere normalità nella esistenza umana» 21. L’individuo è sempre un essere imprevedibile. La conoscenza progressiva di questo indivi22
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duo, o, mediante questo, del mondo che lo circonda, non significa che con la parola fine noi abbiamo esaurito la nostra esperienza nei suoi confronti. I film di Hitchcock hanno tutti, più o meno, dei finali ambigui, sospesi, in fondo tragici. Il racconto di finzione ha le sue leggi che prevedono determinate rivelazioni, ma non per questo si sottrae al riconoscimento che la vita sta oltre il racconto. Ed è proprio questa separazione tra realtà che sta oltre e finzione e fabula che ne costituisce quasi uno specchio, che caratterizza e differenzia l’opera di Hitchcock dal resto del cinema. In un momento in cui, grazie ai grandi maestri sovietici, tedeschi e americani, il cinema si mostrava proiettato alla scoperta ed alla denuncia dei grandi problemi della società, Hitchcock sembra preso dal dubbio di poter dare delle risposte sul mondo che non siano di ordine puramente cinematografico. Le storie di Hitchcock sembrano sospese in uno spazio «pneumatico», quasi a denotare la programmatica volontà di costruire la storia per fini che si esauriscano in se stessi. Assente qualsiasi enfasi e qualsiasi sottolineatura, che non rivesta un carattere di necessità agli effetti drammatici, il film è caratterizzato da un costante gusto dell’understatement, usato come mezzo di difesa per mascherare una visione del mondo orientata in senso negativo 22. Dal momento che il mondo delle avventure dei personaggi di Hitchcock è un mondo «sospeso», tutti i rapporti diventano incerti ed è impossibile garantire l’autenticità dei sentimenti: l’amore, l’amicizia, la fedeltà non sono rispettati, non tanto in omaggio alle leggi di un destino superiore, quanto per motivi più meschini che sottolineano, in opposizione con le rosee ed ottimistiche soluzioni convenzionali a scopo consolatorio, i reali possibili esiti per le sue storie. Esemplare, in questo senso, il racconto di Topaz (Topaz, 1969) in cui Hitchcock, pur adattando il romanzo di Leon Uris, ha modo di riannodare, ancora una volta, i fili della propria visione del mondo. In Topaz ci sono dei meccanismi polizieschi forse abbastanza consueti, ma il discorso critico sui personaggi raggiunge una complessità ed una articolazione da coinvolgere, per estensione, la condizione dell’uomo contemporaneo. Non a caso la complessa ambientazione geografica (Russia, Danimarca, Cuba, Stati Uniti, Francia) «serve a far rilevare tratti costanti dell’uomo al di là delle ideologie e degli stati di appartenenza» 23. 23
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In altri termini, nella sua insicurezza, nella sua sfiducia in ogni tipo di rapporto, nella sua immaturità affettiva, Topaz è un racconto anacronistico, nel senso che la caratterizzazione esterna dei diversi personaggi e le motivazioni ideali che superficialmente possono dar l’impressione della superiorità del sistema politico occidentale a quello dei paesi socialisti, rientrano in quel tipo particolare di ideologia di Hitchcock che si colloca, come avviene anche per Ford, fuori da una visione globale ed avanzata delle caratteristiche effettive dei vari sistemi politici per individuare, al di là delle ragioni politiche contingenti, dei conflitti e dei valori morali 24. Truffaut, riflettendo sui temi degli ultimi lavori di Hitch e sul suo rapporto con il contesto esterno, riferisce un episodio legato a Topaz che forse dimostra l’accrescersi nel tempo di una distanza tra il regista e il suo pubblico. Sul piano della illustrazione di una condizione umana, Topaz è comunque un racconto di una immediatezza sconcertante. Si noti che tutti i tradimenti a cui assistiamo, da quello del funzionario sovietico, a quello del segretario di Rico Parra, a quello di Juanita, a quello di Deveraux, a quello della moglie Nicole e di Jacques Granville, nascono tutti come bisogno di fuga dal proprio «habitat» e che le motivazioni ideologiche di questi tradimenti si intrecciano in modo assai stretto con motivazioni esistenziali. I personaggi di Topaz fuggono da se stessi, da un’immagine ripetuta falsa e strumentale della propria vita; rifiutano di continuare a giocare una parte. Ognuno è attirato da qualcosa che sta altrove, sia da una ideologia differente che da una donna ed evade dal suo mondo per un rifiuto deciso e consapevole delle fattezze sicure, ma alienanti del sistema in cui passa una tranquilla, ma in fondo inutile esistenza 25. Hitchcock aveva sempre evitato di parlare di politica nei suoi film; ora Topaz era volutamente anticomunista e c’erano molte scene piene di sarcasmo sui collaboratori di Fidel Castro. Si vedevano anche dei poliziotti cubani torturare della gente del popolo che si opponeva al regime 26. Dal punto di vista ideologico, come si è detto, il film può sembrare datato e reazionario, ma la sua varietà e ricchezza consiste proprio nella quan24
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tità di significati secondi sfuggenti che produce, nello sforzo di ristabilire un equilibrio che sia il prodotto della instabilità totale di tutti i personaggi. «Topaz in questo senso è uno dei film più distaccati e freddi di Hitchcock»27. Idealmente Topaz si potrebbe accostare a The Manxman (L’isola del peccato, 1929) che raccoglie e compendia la più completa casistica di situazioni affettive distrutte, senza peraltro implicare motivi d’ordine politico ed ideologico. Nel film, definito da Rohmer e Chabrol «ambizioso e senza nessuna concessione, (…) con un découpage semplice e preciso» 28, i toni melodrammatici di tutta la situazione finale e l’impianto narrativo non impediscono di trovarsi di fronte ad un pessimismo che non salva nulla, né sul piano degli affetti privati (Pete gioisce per la nascita del figlio non suo, mentre Philip, che è il vero padre e che assiste alla sua gioia deve contenersi), né su quello delle pubbliche istituzioni. Philip è appena diventato giudice ed il primo caso che deve giudicare è quello di Kate che, dopo essere fuggita da Pete, per andare a vivere con lui, ha tentato il suicidio buttandosi in acqua. «L’interferenza del pubblico ufficiale con il privato cittadino rivela la sfiducia che Hitchcock dimostra verso ogni istituzione che si erga a giudizio dell’uomo, verso ogni forma di autorità costituita» 29. La situazione de L’isola del peccato è sublime perché inestricabile e non tollera l’artificio. Inestricabile, in quanto non si sostiene sul carattere malvagio dei personaggi, né sull’accanimento del destino. La colpa è la colpa del genere umano. La morale comune si rivela importante a risolvere i loro problemi 30. La legge è sbagliata ed imperfetta, sia perché fondata su concezioni assolute, sbagliate o insufficienti, sia perché c’è sempre, in chi incarna l’autorità, una componente più o meno evidente di sadismo, di malafede che destituisce il concetto di autorità e di giustizia dalla sua possibilità di applicazione imparziale ed obiettiva. Non esiste valore, né morale, né religioso, né ideologico, né affettivo, che resista ai colpi delle circostanze. Dall’amicizia profonda in L’isola del peccato e dal rispetto puramente formale della parola data («Phil, siamo liberi!» è la prima ed imprevedibile reazione di Kate alla notizia della morte del fidanzato Pete), alla facilità con cui sono violati i vincoli matrimoniali come vediamo in Vinci per me!, Rich and Strange (Ricco e strano, 1932), o in Topaz, alla violazione dei luoghi di culto (la chiesa che serve da rifugio alle spie in L’uomo che sapeva troppo), è tutto un mancare a certi presupposti da 25
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parte dei personaggi, «proprio per cercare, forse, di raggiungere una espressione autentica dei propri sentimenti» 31. L’assoluta e programmatica fedeltà a se stessi ed alle proprie convinzioni, come nel caso di padre Logan in I Confess (Io confesso, 1953) è esaltata solo fino ad un certo punto e costituisce un «unicum» nell’opera complessiva di Hitchcock. Ciascuno è costretto ad assumersi le proprie responsabilità, a forgiarsi un’etica. Hitchcock ci annuncia il significato morale della sua opera con un epigrafe: “Perde l’anima l’uomo che vuol scendere a patti con se stesso” 32. D’altra parte volendo esaminare le caratteristiche dei protagonisti in rapporto all’avventura che vivono, si può riconoscere in loro la sopravvivenza dei caratteri dei cavalieri medioevali, che vivono le loro avventure per il gusto dell’azione in sé, come Richard di Thirty-Nine Steps (Il club dei trentanove, 1935) che, senza una motivazione logica, si butta nell’intrigo spionistico andando fino in fondo, o anche Thornhill di Intrigo internazionale, senza che vi sia una vera e propria ragione ideale a sostegno della loro azione. In genere sono «eroi» per necessità, a loro non è data una vera possibilità di scelta e non possono sottrarsi alla prova: in comune con gli eroi medioevali hanno solo un fatto, quello che la loro azione è completamente disinteressata 33. La parentesi avventurosa è per loro una sorta di evasione fantastica in un mondo in cui tutto può accadere, ma che, al suo termine, ha una conclusione prevedibile e banale con un ritorno alla realtà ed ai suoi problemi quotidiani che spezza il cerchio magico dell’avventura. È quanto capita, in modo assai significativo, alla coppia di Ricco e strano dopo l’avventurosa crociera, che ha avuto, per un breve periodo, la funzione di portare alla luce i rispettivi caratteri, l’insicurezza del rapporto legato solo a convenzioni ed a motivi di abitudine. Hitchcock racconta a Truffaut che nel film c’erano molte idee. È la storia di una giovane coppia che ha vinto una grossa somma di denaro e decide di fare un viaggio 26
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intorno al mondo. […] Dopo aver attraversato tutto l’Oriente la coppia si ritrova su una nave che affonda. Sono tratti in salvo da una giunca cinese; sono riusciti a salvare della crema di menta e il gatto nero della nave. Si stringono l’uno contro l’altro nella prua della giunca e dopo un po’ i cinesi portano loro da mangiare. È un pasto delizioso, il migliore che abbiano mai fatto. Con le bacchette. Finiscono di mangiare e si voltano verso la parte posteriore dell’imbarcazione e qui vedono la pelle del gatto nero inchiodata alla parete a seccare. Nauseati si precipitano sul parapetto 34. […] Infine fanno ritorno a casa, felici nell’inferno della banalità quotidiana 35. Da tutta l’opera di Hitchcock sembra emergere una convinzione di grande utilità per capire la realtà: «solo in situazioni d’emergenza, in circostanze straordinarie, l’uomo diventa interessante e riesce a saldare ciò che è dentro con ciò che è fuori di lui. In queste condizioni la dialettica individuo-coppia come prodotto di una serie di situazioni condivise, consentirà lo stabilirsi autentico di un legame affettivo» 36. Inoltre Hitchcock è convinto che le circostanze eccezionali da cui l’avventura prende l’avvio possano sorgere all’improvviso in qualsiasi realtà, anche la più innocua e serena. Si prenda il caso dell’arrivo dello zio Carlo in Shadow of a Doubt (L’ombra del dubbio, 1943) che viene ad assecondare certamente i desideri della nipote portando qualcosa di nuovo nella loro tranquilla vita di provincia, ma questo qualcosa di nuovo va ben oltre ogni possibilità di previsione da parte della ragazza Ciò viene anticipato simbolicamente nel film già dall’arrivo dello zio nella stazione in cui, come fa notare Truffaut «c’è un fumo nero molto denso che esce dal camino della locomotiva e che, quando il treno si avvicina, oscura tutto il marciapiede» 37. La vita, in un certo senso, offre delle occasioni, molto poche, di alternativa alla esistenza abitudinaria: si tratta di buttarvisi dentro senza riflettere alle eventuali conseguenze perché poi, la fine dell’avventura farà dell’eroe e della sua compagna una delle tante coppie banali di innamorati alle prese con i soliti problemi che li faranno ricadere nell’anonimato 38. Nulla di più convenzionale dei finali, nei quali, tuttavia, non manca solitamente un ultimo più o meno ironico ammiccamento che, in qualche modo, 27
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riapre la storia come avviene in Champagne (Tabarin di lusso, 1928), in Delitto per delitto o in To Catch a Thief (Caccia al ladro, 1955). Ciò che caratterizza in modo netto i personaggi maschili è però la capacità di adattarsi, con estrema disinvoltura, a qualsiasi ruolo, di accettare di compiere qualsiasi missione; è la rapidità con cui prendono certe decisioni e l’ironia ed il distacco che mantengono anche nei momenti più drammatici; mi riferisco in particolare a tutta la galleria di eroi maschili impersonati da Cary Grant, con l’unica eccezione di Suspicion (Il sospetto, 1941), da Notorius, l’amante perduta, Caccia al ladro a Intrigo internazionale. Hitchcock non ha alcun bisogno di costruire il suo personaggio portandoci a conoscenza del suo passato, facendoci conoscere le sue concezioni di vita o facendo di continuo il punto sui suoi sentimenti. L’uomo ha caratteristiche comuni, almeno in tutto un certo tipo di film: di lui conosciamo tutto ciò che è utile a definire il suo «stato»: la sua vita passata è importante solo se gioca un ruolo primario sul suo comportamento presente (di qui il ruolo del passato in film che propongono casi particolari di nevrosi come Io ti salverò, La donna che visse due volte, Psyco), altrimenti è del tutto trascurata. In Io ti salverò «descrivere le ossessioni del malato non è stato per Hitchcock soltanto un pretesto per comporre qualche immagine terrificante. Ad Hitch interessa il principio stesso della psicanalisi. Vi vede l’equivalente medico di quella “confessione” che costituirà il tema di Under Capricorn (Il peccato di Lady Considine, 1949)» 39. Naturalmente in certi casi, come in Caccia al ladro, la conoscenza degli antecedenti della vita di John Robie detto «il gatto» è fondamentale agli effetti dell’intreccio drammatico, in quanto crea un conflitto tra un passato, che il personaggio credeva di aver completamente separato da sé, e la sua attuale vita serena nella villa in collina. A Hitchcock importa seguire il personaggio e conoscerlo al presente attraverso le sue reazioni alle situazioni in cui viene a trovarsi. La vicenda in cui viene implicato è destinata, come si è detto, ad avere un valore parentetico nella sua esistenza e gli è sempre estranea. Alla disponibilità sul piano affettivo fa riscontro una refrattarietà ed una resistenza totale agli eventi: nulla lo stupisce e nulla lo altera. Egli non lotta in nome di ideali, ma una volta entrato nell’azione la asseconda quasi per il gusto fine a se stesso di viverla fino in fondo e reagisce alle situazioni contrarie cercando di salvare la propria unità 40.
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Fanno eccezione due film a tesi come Io Confesso e The Wrong Man (Il ladro, 1956) in cui o il protagonista agisce a suo danno per una consapevole difesa delle proprie convinzioni, o si lascia travolgere dagli eventi denunciando la propria impotenza. In ogni caso il guadagno ottenuto alla fine della storia è sempre inadeguato ai rischi: ciò che gli resta è il gusto dell’avventura o il ricordo di un incubo vissuto ad occhi aperti. Hitchcock racconta a Truffaut la sua scelta del soggetto in Il ladro 41. Pensavo che da questa storia si sarebbe potuto trarre un film molto interessante, mostrando sempre gli avvenimenti dal punto di vista di quest’uomo, innocente, che deve soffrire rischiando la sua testa per un altro. Dato che tutti erano così gentili, quando grida: “Sono innocente”, la gente risponde: “Ma si, ma si, è così, sicuro”. Veramente spaventoso 42. Da quanto detto finora risulta abbastanza evidente che se i personaggi positivi sono trattati in modo da non consentire una vera e propria identificazione da parte dello spettatore, il limite che li separa da quelli negativi è quasi impercettibile. Ci sono diversi film in cui il protagonista è un neuropatico e le sue azioni costituiscono un pericolo per tutti, ma l’anomalia del suo comportamento è rilevata solo dalla sua vittima, mentre per tutti gli altri egli è un essere normale. Che sia impossibile stabilire il limite tra normalità e anormalità lo si può rilevare considerando la figura di Bruno e quella di Guy in Delitto per delitto e quella dello zio Carlo e della nipote Carla in L’ombra del dubbio. L’esibizionismo di Bruno (le scarpe colorate, la cravatta vistosa con la spilla con il suo nome, il suo spirito aggressivo) maschera la sua impotenza, i complessi irrisolti. Bruno conosce perfettamente la vita di Guy e lo ammira («Deve essere eccitante essere così importante, io non ho mai fatto niente d’importante»), si specchia in lui 43. L’insicurezza di Bruno, di carattere psicologico-sessuale, si riflette nell’insicurezza di Guy, sentimentale e sociale. Guy è sospeso tra due donne, una moglie che non vuole concedergli il divorzio e la figlia di un senatore ed è sospeso tra l’attività sportiva (è un campione di tennis) e quella politica che 29
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gli sarebbe garantita dall’appoggio del futuro suocero. «Dei fili sotterranei legano i due personaggi in apparenza così differenti: il delitto che Bruno commette materialmente, Guy vorrebbe commetterlo» 44. Così lo zio Carlo che uccide le ricche vedove, come Bruno, è convinto che la soppressione di una vita o due sia un fatto inavvertibile, e la nipote, che pure ha rischiato di essere uccisa da lui, alla fine «non ha parole di condanna nei suoi confronti, ma solo lo sente diverso, sente che viveva in un altro mondo inaccessibile all’uomo comune, un mondo comunque che continua ad affascinarla» 45. Lo zio Charlie amava molto la nipote, tuttavia mai quanto lei. Eppure lei è stata costretta a distruggerlo; non dimentichiamo mai che Oscar Wilde ha detto: “Si uccide ciò che si ama” 46. Una diretta corrispondenza di caratteri si può riscontrare anche tra Norman Bates e Marion Crane in Psyco. […] non si può negare che nel film si ritrovino alcune costanti tematiche proprie del regista, che contrassegnano tutta la sua produzione cinematografica: l’interesse per la psiche umana, analizzata nei suoi recessi più intimi e tenebrosi, il tema del “doppio” - qui presente come dissociazione della personalità -, quello della sessualità rimossa o pervertita o vissuta come peccato, il rapporto fra colpevolezza e innocenza, l’ambiguità e la difficoltà nei rapporti umani, in particolare fra uomini e donne 47. In particolare analizziamo un segmento: l’improvvisa sparizione di Marion non provoca uno shock totale nello spettatore in quanto il suo personaggio è praticamente continuato da quello del giovane. Ciò che importa a Hitchcock in effetti è farci sentire questo passaggio dall’apparentemente normale all’anormale non in modo da rilevarne una differenza troppo netta. E il preciso legame che lega la ragazza a Norman è stabilito quando lui le parla della trappola in cui ci troviamo tutti. È da notare che alle spalle di Norman vi sono dei corpi di uccelli di rapina imbalsamati che gravano minacciosamente e ci sono quadri con figure di caccia 48.
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Lo stato di nevrosi e di incubo della condizione esistenziale viene quindi comunicato attraverso una serie di elementi correlati tra loro che servono a trasferire ed a rendere visibile, il mondo interno della ragazza. Si faccia attenzione al valore che ha questa battuta di Norman: «Noi tutti siamo un po’ matti alle volte, non crede?». Senza conoscerla, finora il giovane che ha davanti ha dato a Marion una serie di risposte ad interrogativi della propria vita. Questa frase le consente di mettere a fuoco in modo definitivo la sua condizione attuale e di rispondere già prendendo la decisione di riportare la refurtiva il giorno dopo: «Qualche volta, anche una volta sola può essere sufficiente. Grazie». «La risposta tende a riportare Marion alla normalità: per questo la sua figura non ha più interesse per noi, mentre la nostra attenzione si sposta sulla figura di Norman» 49. Il disprezzo per la vita umana espresso da più personaggi non ha solo origine da turbe psichiche, ma si può far derivare da influenze esterne di pensiero e combinarsi con i motivi psicoanalitici. È il caso di Rope (Nodo alla gola, 1948) il film in cui le ragioni dei personaggi sono portate nel modo più completo a livello di discorsi. Brandon e Philip i due giovani che hanno ucciso David, il loro compagno, e poi invitato amici e parenti della vittima nonché un loro ex professore di filosofia, hanno compiuto una sorta di atto gratuito per mostrare l’applicabilità delle teorie enunciate un tempo dal loro professore. La schermaglia con il professore ed alcune battute, in sé espressioni di un gusto decadente ed estetizzante, acquistano una tragica risonanza alla luce di ciò che essi hanno compiuto e che riescono a giustificare. Se ne possono scegliere alcune in progressione: «Voi scegliete spesso delle parole per il loro suono piuttosto che per il loro significato»; «Io ho sempre desiderato avere un talento artistico. Uccidere potrebbe essere anche un’arte»; «L’assassinio è un crimine per la maggior parte degli uomini, ma un privilegio per pochi». Queste affermazioni, un tempo sentite in bocca anche al loro professore, vengono dai due giovani applicate alla lettera. Ciò che per uno era solo un gioco intellettuale, per gli altri diventa una necessità di verifica. Il tipo di rapporto o di ammirazione omosessuale che si nasconde dietro all’ammirazione dei due giovani per il loro maestro, non salva quest’ultimo dall’accusa di megalomania e dal collocarsi, nei loro confronti, nello stesso modo in cui Guy si colloca verso Bruno. La sua superiorità è di tipo solamente culturale, ma i due giovani non sono che lo specchio concreto delle sue idee 50. 31
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Se consideriamo che tutto Nodo alla gola è girato in uno stesso ambiente e con un ininterrotto piano sequenza, vediamo che, «in base a quella tendenza di Hitchcock dell’understatement, egli tende a creare delle situazioni inadeguate all’importanza dei motivi che le determinano» 51, ma è proprio nella dimensione familiare e quotidiana del delitto o dell’atto spionistico (il fascino del tranquillo e riposante motel fuori mano in Psyco) che Hitchcock ha modo di sottolineare il suo interesse per i personaggi, per le loro reazioni, i loro comportamenti, che l’occhio della macchina da presa tende sempre ad accentuare. Il film ha contribuito non poco a liberare il cineasta della ossessione della pittura per fare di lui, quel che era all’epoca di Griffith e dei pionieri, un architetto. Ha rivalutato la scenografia. Inoltre ha restituito il divo all’interpretazione, al gioco dell’attore 52. Se, ad un certo momento, sono perse di vista le cause iniziali per cui i personaggi vivono la loro avventura, resta in piedi l’azione, che nel caso di Number Seventeen (Numero diciassette, 1932), ad esempio, raggiunge il parossismo nella seconda parte, consentendo al regista un gioco di invenzioni assolutamente libero, («un gioco con le luci e le ombre: ininterrotto, esagerato» 53) e resta in piedi l’uomo che lotta per salvare se stesso e, non di rado, l’occasionale compagna. «Hitchcock, al pari di molti suoi eroi, odia la violenza, tradisce una autentica aspirazione alla vita sedentaria e tranquilla, ma capta e constata la violenza nella realtà più quotidiana»54. Qualsiasi storia, anche quelle che rappresentano scontri decisivi tra i servizi controspionistici delle grandi potenze, e che, in qualche misura, sono destinate ad influire sul corso degli eventi successivi come quella di The Secret Agent (L’agente segreto o Amore e mistero, 1936), si svolge nei più normali ambienti della vita di tutti i giorni. Dietro alla cara Miss Froy, vecchietta dall’aspetto innocente di The Lady Vanishes (La signora scompare, 1938), si può nascondere una pedina chiave del controspionaggio inglese, e un qualsiasi viaggio di piacere, come qualsiasi soggiorno in una località turistica, può diventare teatro di uno scontro decisivo tra potenze nemiche. «Al di là del lieto fine e sotto la superficie fresca e brillante, La signora scompare lancia moniti drammatici e tradisce sinistri presagi»55. «Negli anni Trenta Hitchcock assume, con i suoi film, un atteggiamento di precisa condanna ideologica del nazismo» 56, condanna che culminerà nel discorso americano di Lifeboat (I prigionieri dell’oceano, 1943) «dure 32
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appaiono le critiche che Hitch rivolge ai connazionali: indifferenza, incoscienza, cinismo, stolta fiducia nella validità universale di principi che ormai solo in pochi paesi sono rispettati» 57. Già in film come Sabotage (Sabotaggio, 1936) o La signora scompare, in cui l’intento propagandistico è più immediato, la tesi ideologica che sottintende il film non condiziona la storia, nel senso che egli la pone come un dato acquisito, subordinato all’interesse per il racconto e la sua costruzione. «La sua particolare distanza rispetto alla storia lo porta a confrontare le ragioni in campo e, se è scontata la sua scelta ideologica, egli rifugge dal luogo comune del nemico identificato “tout court” con il male» 58. Un maggiore schematismo ideologico nella rappresentazione dei nemici si rileva nei film più recenti, come in Torn Courtain (Il sipario strappato, 1966), ma qui, oltre al fatto che l’ideologia è svalutata da uno sguardo ironico costante, si nota la concezione della specularità dei mondi ideologicamente contrapposti. Spesso i nemici, le spie, sono persone che, pur esercitando con freddezza burocratica i loro compiti, si rivelano in apparenza corrette e distinte tanto da indurre i protagonisti a clamorosi errori (l’omicidio, per errore di Caypor, in L’agente segreto e la scoperta della vera identità della spia nella persona di Marvin, mostrato per tutto il film sotto un profilo di simpatico ed innocuo corteggiatore di Elsa). Al di sopra delle ragioni ideologiche ci sono quasi sempre le ragioni affettive, e queste sono vissute senza bisogno di professione di fede. Anche nei film di più diretto impegno propagandistico (L’agente segreto, Sabotaggio, etc.) non c’è enfasi a favore o contro la guerra, non c’è esaltazione dell’eroismo dei protagonisti, «semmai c’è il sentimento contrario di una maturazione progressiva di una sorta di repulsione per ciò che si è costretti a compiere»59. In questo senso le parole finali di L’agente segreto, scritte in calce alla cartolina di saluti al capo del controspionaggio inglese («Mai più»), denotano una perfetta identificazione dell’ideologia del regista con quella dei personaggi. E che le circostanze eccezionali di un’avventura possano essere l’occasione per il rivelarsi di un autentico sentimento che distrugge di colpo tutta la vita passata di un personaggio, può essere dimostrato dal finale di La signora scompare con Iris che segue Gilbert all’arrivo a Londra evitando di farsi vedere dal fidanzato che l’aspetta. Nello stesso tempo non va dimenticato il particolare atteggiamento di «pietas» che rivelano le morti finali di alcune spie nemiche o anche quelle di criminali veri e propri, tradito da un maggior indugio della macchina da presa in progressivo avvicinamento al volto del morente: a Abbott in L’uomo che sapeva troppo, al finto batterista 33
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negro in Young and Innocent (Giovane e innocente, 1937), a mister Memory in Il club dei trentanove. La caratterizzazione dei personaggi, anche di quelli secondari, è sempre molto marcata: costante, per esempio, è la rappresentazione dei direttori d’albergo mediante il plurilinguismo e una certa «pruderie», che si può rilevare in L’uomo che sapeva troppo in L’agente segreto, in La signora scompare e in Il club dei trentanove. L’attenzione particolare o il tipo di sguardo del regista verso tutti i suoi personaggi, in modo che non ci siano dispersioni, ottiene l’effetto di rendere fortemente espressivi anche i personaggi che fanno brevi apparizioni 60. Regista analitico in modo esasperato, Hitchcock è capace di caratterizzare un personaggio con un solo sguardo o con il minimo di elementi (la madre di Sebastian in Notorious, l’amante perduta, o quella di Bruno in Delitto per delitto) per poi soffermarvisi e cercare di portare alla luce tutto ciò che si può nascondere dietro alle apparenze. Come di un iceberg noi percepiamo di una persona solo una minima parte del suo comportamento, dei suoi discorsi, e se, alla fine, è mantenuto quel margine di ambiguità e di incertezza che proietta un’ombra inquietante sul suo futuro, c’è sempre un momento in cui lo sguardo del regista cerca di ridurre la distanza che lo separa dai suoi personaggi, cerca di rompere quel «sipario» che protegge il mondo interiore del protagonista. Il movimento di macchina del finale di Giovane e innocente non solo assolve alla funzione di isolare l’assassino nella folla, scoprendone la vera identità, celata dietro alla maschera di finto negro, ma «vuole anche spingersi fino all’orlo di un mondo nevrotico appena intravisto, ma tutto da scoprire» 61. La carrellata continua con il primo piano del batterista, anch’egli nero, fino a quando i suoi occhi riempiono completamente lo schermo e, a questo punto, gli occhi si chiudono: è il famoso tic nervoso. Tutto ciò in una sola inquadratura 62. Una volta che la macchina da presa l’ha individuato sembra accanirsi, con una serie successiva di primi piani, alternati ai piani dei personaggi convenuti nel locale, a coglierne il crescendo emotivo fino alla crisi cardiaca che lo uccide. Hitchcock ci spinge fino al limite di una personalità di cui in precedenza non sapevamo nulla, ma i cui tic visibili suggeriscono la presenza di 34
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una nevrosi, pronta a manifestarsi alla minima rottura dell’equilibrio instabile conservato fino a quel momento. La presenza del motivo psicoanalitico è sempre più controllata e corretta rispetto a tutti quei motivi storici, ideologici e sociali che, come abbiamo visto, sono in genere deformati e rivissuti in modo fantastico, senza eccessive preoccupazioni realistiche. Nell’immagine di Hitchcock la vera selezione di messaggi e di significati primari è attuata in direzione psicologico-affettiva, piuttosto che in quella politica o sociale, in quanto, come egli afferma programmaticamente «il rettangolo dello schermo deve essere caricato di emozioni» 63: con questo egli non intende evitare i problemi del mondo contemporaneo, ma intende crearne il contatto mediante degli shock emotivi sullo spettatore che, soltanto in un secondo momento ed oltre l’opera osservata, possono essere condotti a livello di coscienza e confrontati con i loro riferimenti reali 64.
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I personaggi femminili Caccia al ladro: finiscono i titoli di testa che scorrono su di una vetrina di un’agenzia di viaggi; stacco; urlo di donna. Fermiamoci un attimo qui. Nonostante il titolo, che dovrebbe far subito pensare all’operato di un ladro, uno spettatore che dovesse vedere questa prima inquadratura non potrebbe far altro che aspettarsi, sapendo che si tratta di un film di Alfred Hitchcock, la scoperta di un cadavere. D’altronde già in altri film il regista inglese inizia la storia proprio da un omicidio (Nodo alla gola). In questo caso, invece, non sarà così. Nel prosieguo del capitolo si parlerà soprattutto di donne bellissime, bionde ed algide, spesso protagoniste dei film dell’artista. Si vuole iniziare però con questa donna, oggettivamente brutta nella sua deformazione dovuta alla terribile espressione di spavento e disperazione. Dalle inquadrature immediatamente successive veniamo a sapere che questa tremenda reazione è legata ad un furto, un furto di gioielli, subita da un’evidentemente ricca signora che soggiorna in un lussuoso albergo.
To Catch a Thief 1
To Catch a Thief 2
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To Catch a Thief 3
To Catch a Thief 4
Come al solito, e come si dimostrerà più approfonditamente nel capitolo finale, Hitchcock, con queste primissime inquadrature ci dice già molte cose. In alcuni casi anticipa quelle che saranno le vicende del film ed i caratteri dei personaggi che saranno i protagonisti delle storie (Vinci per me!), in altri (La finestra sul cortile) rimanda quella che è la sua visione della società, del mondo. Ed è questo, il secondo, il caso da prendere in considerazione per l’inizio di Caccia al ladro. Evidentemente Hitchcock vuole attaccare, con la solita ironia, una tipologia di donna, quel genere di donna che reagisce ad un furto di gioielli come se avesse assistito al più atroce dei delitti. La critica è all’attaccamento alle cose materiali, se vogliamo, e sceglie di farlo attraverso le sembianze di una donna che rimanda un’immagine insana, perché grassa, perché oscena nella sua bruttezza, perché, evidentemente, legata ai suoi gioielli vissuti come unico rimedio a questa sua condizione estetica. Gioielli come maschera e status di un certo tipo di ceto sociale, come prolungamento del proprio corpo, necessario ad un’accettazione completa del proprio vivere. È una critica ironica ma allo stesso tempo terribile. Spesso Hitchcock utilizza la bruttezza di alcuni suoi attori per identificarli con il male, con i “cattivi” della storia, o con tipologie di persone che semplicemente non piacciono all’autore. Pensiamo agli agenti russi che vediamo all’inizio di Topaz, o all’aiutante del sacerdote che rapisce il figlio de L’uomo che sapeva troppo, al poliziotto che Paul Newman uccide in Il sipario strappato, a l’assassino de La finestra sul cortile, come a quello di Frenzy (Frenzy, 1972). Va da sé un rimando alle ben note teorie di Lombroso. Ma Hitchcock è soprattutto affascinato dalla bellezza, in particolare delle sue attrici, che spesso utilizza, nei suoi primi piani, come soggetti per veri e propri ritratti, per vere e proprie opere d’arte. E di arte Hitchcock si intende e ne è un cultore. 37
copertina hitch disumano 7:hitch
7-10-2010
8:25
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Andrea Antolini
Andrea Antolini
HITCHCOCK umanodisumano
Andrea Antolini, laureato in Scienze della comunicazione, vive e lavora a Jesi. È critico, scrittore, giornalista, regista e web designer.
HITCHCOCK umanodisumano
HITCHCOCK umanodisumano
“Un libro imprevedibile e prezioso, che affronta in chiave modernissima il lavoro di un cineasta sempre enigmatico, che rivela ad ogni visione nuovi e affascinanti “lati oscuri”. Hitchcock è un interprete originale della società occidentale, analista della coppia - il suo asse portante - rifugio talvolta poco tranquillizzante e oggetto privilegiato di attacchi e di demonizzazioni. “Umano disumano” è la costante di una filmografia tra le più coraggiose e disturbanti della storia del cinema, uno spazio dell’inquietudine che il lavoro di Andrea Antolini ripercorre con passione e attenzione critica. Soprattutto per i molteplici “segni” che Hitchcock traccia con il suo linguaggio limpido e complesso, insieme “facile” e “sperimentale”, comunque sempre unico””.
Andrea Antolini
ISBN 978-88-89782-28-6
€ 16,00
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