Cinemino - speciale Albert e David Maysles

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speciale #1

LA FILOSOFIA DEL CINEMA DOCUMENTARIO di Albert Maysles

PERCHÉ Come documentarista, pongo felicemente la fiducia e il mio destino nella realtà. La realtà è la mia fucina di soggetti, temi, esperienze, tutte dotate del potere della verità e del racconto fantastico della scoperta. Più aderisco alla realtà, più oneste e autentiche saranno le mie storie. Dopotutto, la conoscenza del mondo reale è esattamente ciò di cui abbiamo bisogno per meglio capire e, possibilmente, amarci l’un l’altro. È il mio modo di rendere il mondo un posto migliore. COME —Distanziarsi da un punto di vista. —Amare i propri soggetti. —Filmare eventi, scene, sequenze. Evitare interviste, narrazione, ospiti. —Lavorare con i migliori talenti. —Filmare l’esperienza direttamente, senza controllarla, senza metterla in scena. —Esiste una connessione tra realtà e verità. Rimani fedele a entrambe. da: www.mayslesfilms.com

ALBERT e DAVID MAYSLES


SOMMARIO

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ALBERT MAYSLES Una breve biografia

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ALBERT MAYSLES: 50 anni di cinema-verità Incontro con Albert Maysles

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FILMOGRAFIA

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FILMOGRAFIA IN DVD

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ALBERT MAYSLES 50 years of reality cinema An interview with Albert Mayles

NUMERO 1 ottobre/novembre 2004, 60 pagine

NUMERO 2 primavera/estate 2005, 68 pagine

NUMERO 3 autunno 2005, 64 pagine

VENEZIA CITTÀ APERTA Diario dalla sessantunesima Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia

NEO-NEO REALISMO Il cinema torna a raccontare la realtà

CINQUANTOTTO Resoconto del Festival Internazionale del Film di Locarno 2005 Schede dettagliate su 21 film dal festival

I GENERI DEL CINEMA 01 La Blaxploitation: le eroine di Jack Hill e Pam Grier FESTACOLOR – IL CINEMA IN CASA Bubba Ho-Tep Il cinema di Brian De Palma Il Billy Wilder dimenticato Mariano Laurenti e Sergio Martino SCHEDE DETTAGLIATE SU Beyrouth Al Gharrbyya • Jour de fête • The Party • I Fratelli Dinamite (con un intervento critico di Mario Verger) • Predmestje • Milano calibro 9 • Confituur • Un mundo menos peor • Una de dos • Non si sevizia un paperino • Vera Drake • Le grand voyage • Tout un hiver sans feu • Melncholian kolme huonetta • Coffy • Foxy Brown

VIETATO FUMARE Il cinema da non perdere in sala NOTHING THAT MEETS THE EYE Patricia Highsmith e il cinema PIÙ BELLO DI COSÌ SI MUORE – Breve introduzione al cinema di genere italiano LA POLIZIA INCRIMINA, LA LEGGE ASSOLVE – Il polizziottesco: cinema reazionario o nuovo western? FESTACOLOR – IL CINEMA IN CASA My Own Private Idaho — Adua e le compagne — Reazione a catena — VIP, mio fratello superuomo — Universal Monster Legacy Collection — Ferdinando Di Leo in DVD UOMINI DI CARTA — Il cinema da leggere SCHEDE DETTAGLIATE SU The Agronomist • La blessure • The Take • Nuit et brouillard • The Corporation • Capturing the Friedmans • Mondovino • Super Size Me • Millions • A Dirty Shame • The Station Agent • Inside Deep Throat • Strangers on a Train

LA VOLPE DALLA LINGUA DI CRISTALLO Breve storia del giallo all’italiana anni ‘70: dalle origini al declino 62 – Cronaca dalla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia Brokeback Mountain • All the Inivisible Children • Corpse Bride • Elizabethtown • Tzameti • Attente • C.R.A.Z.Y. • Elio Petri, appunti su un autore • Giacomo l’idealista • Le petit lieutenant

CRONACA DI UN INCONTRO STRAORDINARIO

10 agosto 2005. Nella sezione «In Progress» del Festival Internazionale del Film di Locarno vengono presentati «Christo’s Valley Curtain» e «Running Fence», primi di una serie di documentari sul lavoro degli artisti Christo e Jeanne-Claude diretti dal regista americano Albert Maysles che verranno presentati in quei giorni. Il regista è presente in sala, ha voglia di raccontare il suo lavoro e al termine della breve introduzione ai film dà appuntamento a fine proiezione per un incontro durante il quale risponderà alle domande del pubblico. L’incontro non avrà mai luogo in quanto i festival hanno tempi serrati e la sala deve essere liberata per la proiezione seguente. Molti sono in sala perché interessati al lavoro di Christo; alcuni, e io tra loro, sono lì per Albert Maysles, il cui film «Salesman», visto anni prima di notte in televisione, mi ha colpito tanto da costituire a tutt’oggi un ricordo indelebile. Il mancato incontro lascia l’amaro in bocca, quindi decido di chiedere un appuntamento con lui per parlare della sua carriera e della sua vita straordinaria. Dopo lunghe peripezie e l’apparente impossibilità di raggiungerlo, riesco a ottenere il numero di telefono della ragazza che ha il compito di accompagnarlo nei vari impegni di quei giorni. Lei (ancora grazie!) gli è accanto nel momento della mia telefonata e il colloquio viene organizzato in pochi secondi per il pomeriggio seguente. È difficile rendere a parole l’incontro con un uomo straordinario, modesto e disponibile come spesso si narra siano tutti gli uomini davvero straordinari, che viene riconosciuto come l’inventore del cosiddetto «Reality Cinema» americano, l’autore di eccezionali ritratti dedicati al suo Paese, a uomini importanti come Truman Capote, Marnumero speciale – febbraio 2006 franchi 5.50 lon Brando, a grandi musicisti come i Rolling Stones ma anche a uomini comuni come i venditori porta a porta di bibbie, immortalati nel Responsabile 1968 in «Salesman». Roberto Rippa (roberto @thermos.org) L’intervista – ma in realtà le domande lasciano spesso spazio a Ideazione e realizzazione grafica un lungo racconto – dovrebbe durare una ventina di minuti ma si proGiorgio Chiappa (giorgio@iorio.ch) trarrà per un’ora. Albert Maysles ha le idee chiare sul cinema, sui temi sociali e storici ma mantiene nell’incontro lo stesso atteggiamento che Ideazione e realizzazione grafica sito internet rivela attraverso i suoi film: quello di un uomo che fa un passo indietro Donato Di Blasi (donato@thermos.org) lasciando che in primo piano siano le storie. Un uomo curioso di tutto, Grazie a senza preconcetti, che non segue tesi precostituite. Un uomo che, parMonica Aletti lando di suo fratello, con cui ha lavorato fino alla sua scomparsa avveDonato Di Blasi nuta nel 1987, lo cita al presente perché sa che le loro opere rimarranno. Rosanna Pedrini Susan Rossi Che quando parla dei suoi lavori, ne parla sempre al plurale, attribuendo Festival Internazionale del Film, Locarno pari dignità a ogni suo collaboratore, sempre citati nei crediti a suo pari. Albert Maysles è l’autore di una serie di film che anche tra cento anni Un grazie particolare a non avranno perso un’oncia della loro potenza nel raccontare un’era e Albert Maysles e Maysles Films l’animo umano, la politica e la vita sociale. Un uomo, classe 1926, che ha Le fotografie di questo numero sono di grande voglia di raccontare la sua opera e lo fa senza mai porsi in primo Donato Di Blasi (copertina e intervista) piano rispetto alle persone che ha raccontato nei suoi film. Kendall Messick (biografia) Insomma, un uomo straordinario. tutte le altre foto © Maysles Films Inc, New York CINEMINO è un progetto di Thèrmos Associazione Culturale Casella postale 4559, 6904 Lugano cinemino@thermos.org www.thermos.org/cinemino Tutti i testi contenuti in CINEMINO sono coperti dal diritto d’autore e ne è vietata la riproduzione, anche parziale, se non autorizzata esplicitamente.

NOTA: Parlare del cinema di Albert Maysles significa parlare di documentari proprio nel senso esatto del termine: di opere che documentano situazioni, opere, eventi senza che la minima interferenza vada ad intaccare il risultato. In questo numero speciale pubblichiamo il resoconto dell’incontro con Maysles, senza filtri e senza tagli, nella speranza di stimolare in chi lo legge il desiderio di recuperare il suo lavoro, ben diverso dal cinema documentario cui ci siamo abituati oggi. 3


ALBERT MAYSLES Una breve biografia

© Kendall Messick

Albert e David Maysles (1932-1987) sono riconosciuti come i pionieri del cinema documentario americano (il cosiddetto «non fiction cinema» o «Reality Cinema») e due tra le figure più eminenti del genere. La loro reputazione proviene dall’essere stati i primi a realizzare film in cui la vita umana si svolge davanti alla camera esattamente così com’è, senza sceneggiature, scenografie o narrazione che non siano quelle proposte dal nudo occhio della camera stessa. Nato a Boston nel 1926 da una famiglia ebrea proveniente dall’Europa dell’Est, Albert si laurea all’università di Syracuse e ottiene il master alla Boston University, dove insegna psicologia per tre anni. Nell’estate del 1955, si reca in Russia con una camera 16 mm per filmare i pazienti di diversi ospedali psichiatrici. Il risultato Psychiatry in Russia è la prima incursione di Albert nel cinema. Diversi anni dopo, intraprende con il fratello David un viaggio in moto da Monaco a Varsavia, durante il quale filmano quello che diventerà il loro primo film a quattro mani: Youth in Poland, sulla rivolta studentesca in Polonia. Nel 1960, Albert è co-regista di Primary, film sulle elezioni primarie democratiche tra Kennedy e Humphrey. L’utilizzo di una camera a mano e del suono sincronizzato permette alla storia di raccontarsi da sola, nel momento stesso in cui si svolge.

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Con il loro senso della «scena dietro la scena», i fratelli Maysles girano Meet Marlon Brando (1965) e With Love From Truman (1966), in cui lo scrittore 1 approfondisce il tema di cronaca narrato nel suo saggio In Cold Blood 2. Nel 1968 realizzano il loro film di riferimento Salesman, fedele ritratto delle vite di quattro venditori porta a porta di bibbie. Il film viene premiato dalla National Society of Film Critics ed è tuttora considerato il documentario americano per eccellenza, tanto da meritarsi, nel 1992, la citazione da parte della Libreria del Congresso come «film di rilevanza per il suo significato storico, culturale ed estetico». Seguono Gimme Shelter (1970), eccezionale documentario sulla figura di Mick Jagger e dei Rolling Stones nel loro tour americano, culminato in un omicidio nel famoso concerto di Altamont 3, e Grey Gardens, che cattura su pellicola il curioso rapporto tra una madre e una figlia che vivono recluse in una cadente casa negli Hamptons 4. Entrambi i film, come già accadde per Salesman, vennero distribuiti nelle sale cinematografiche ottenendo un buon successo di pubblico e critica. La loro casa di produzione Maysles Films Inc. ha nel tempo prodotto molte opere su artisti, compresi i frutti di una lunga collaborazione con i famosi Christo e Jeanne-Claude 5 le cui monumentali installazioni creative sono state immortalate in documentari come Christo’s Valley Curtain (1974), Running Fence (1978), Islands (1986), Christo in Paris (1990), nominati ai premi Oscar nella categoria documentari, e Umbrellas (1995), vincitore del premio del pubblico e del premio principale al Montreal Festival of Films on Art. Le incursioni dei Maysles in ambito musicale spaziano da What’s Happening! The Beatles in the USA (1964) a documentari dedicati a Leonard Bernstein, Seiji Ozawa, Vladimir Horowitz, Mstislav Rostropovich e Wynton Marsalis. Diversi tra questi film hanno ottenuto premi Emmy 6. Nel 1994, Albert ha realizzato un ritratto aggiornato di quella che viene considerata la più grande band rock’n’roll di tutti i tempi: Conversations With the Rolling Stones. Il film è stato trasmesso dalla rete VH-1. Albert ha lavorato con Susan Froemke e Deborah Dickson a Abortion: Desperate Choices (1992), che esamina uno dei temi più discussi nel mondo intero. Nel 1996 gira Letting Go: A Hospice Journey, che narra le storie di tre pazienti malati terminali. Poi collabora con Susan Froemke e Bob Eisenhardt alla reliazzazione di Concert of Wills: Making the Getty Center (1997). Girato nel corso di dodici anni, il film è una cronaca della costruzione del centro museale di Los Angeles dal concepimento alla costruzione. In anni più recenti, Albert si è riunito nuovamente con Froemke and Dickson per il progetto – commissionato dalla rete via cavo HBO – Lalee’s Kin: The Legacy of Cotton, sulla lotta di una famiglia residente sul delta del Mississipi contro la povertà e l’analfabetismo. Nel 1994, la «International Documentary Association» ha attribuito ad Albert Maysles il suo premio alla carriera, il «Career Achievement Award», seguito nel 1997 dal premio «John Grierson» della S.M.P.T.E (Society of Motion Picture and Television Engineer) e nel 1998 dal «President’s Award», assegnato per la prima volta a un documentarsita, della «National Society of Cinematographers’». Tra gli altri – numerosissimi – riconoscimenti, quello attribuito dalla Eastman Kodak, che ha definito Albert Maysles «uno dei cento migliori direttori della fotografia al mondo» 7. 5


Nel 2001, Albert ha ottenuto il «Cinematography Award for Documentaries» al Sundance Festival per Lalee’s Kin: The Legacy of Cotton che, sempre nel 2001, verrà candidato agli Oscar. Nell’estate del 2003, Albert ha ottenuto di filmare il Dalai Lama in visita a New York. Il progetto relativo è in fase di montaggio. Con Antonio Ferrera 8, Albert Maysles sta attualmente lavorando a un documentario sull’ultima opera artistica di Christo e Jeanne-Claude The Gates – A Project for New York City (1979-2005), in questo momento in fase di post produzione per essere trasmesso dalla televisione la prossima primavera. Con il montatore Matthew Prinzing, il duo ha anche completato un documentario sul film di Wes Anderson The Life Aquatic with Steve Zissou. Il documentario è compreso nella prestigiosa edizione in DVD del film edita per il mercato americano da Criterion. Albert, sempre con Ferrera, sta anche lavorando a un documentario autobiografico il cui titolo di lavorazione è Hand-Held and from the Heart 9 e, da solo, a un ritratto della ballerina e coreografa newyorchese Sally Gross. Non è tutto: Albert sta lavorando come operatore alla camera per un documentario di Aaron Brookner e Benn Shulberg sul famoso autore e sceneggiatore Budd Shulberg 10. Appassionato insegnante, Albert tiene anche corsi e master in tutto il mondo. Solo nella primavera dello scorso anno ha tenuto seminari presso la famosa Danish Film School, presso la UCLA, la NYU, il MoMA 11, nonché ai festival del cinema di Chicago e Belfast. Nel 2005, all’età di 79 anni, gli è stato attribuito un premio alla carriera al Czech Film Festival AFO. 1 Truman Capote (1924-1984), vero nome Truman Streckfus Persons, è uno tra gli scrittori americani più noti nel mondo. Dal suo racconto «Breakfast at Tiffany’s», Blake Edwards ha tratto l’omonimo film nel 1961. Suoi i dialoghi del film Stazione Termini di Vittorio De Sica (1953). Il suo libro «I cani abbaiano» («The Dogs Bark», New York, 1973), raccolgie le sue memorie a riguardo di personaggi come Cocteau, Gide, Pound, Marilyn Monroe, Marlon Brando. 2 «In Cold Blood» (in italiano «A sangue freddo», Garzanti editore, 2005) narra con stile letterario un fatto di cronaca reale: l’omicidio di una famiglia del Kansas ad opera di due ladruncoli. È considerato l’inventore di un genere: quello che applica alla cronaca lo stile del romanzo. 3 Altamont è un’autostrada nel nord della California che ospitò un festival musicale nel 1969, al quale parteciparono, tra gli altri, i Grateful Dead, i Jefferson Airplane e i Rolling Stones. Proprio questi ultimi assoldarono, come addetti alla sicurezza, alcuni membri della temibile gang degli Hell’s Angels, che seminarono terrore e uccisero uno spettatore nel corso del concerto. 4 Si tratta di Edith Bouvier Beale, prima cugina di Jacqueline Kennedy Onassis e della sua omonima figlia, detta «Little Edie». 5 Christo, pseudonimo di Hristo Yavashev, e sua moglie Jeanne-Claude sono un duo di artisti noti nel mondo per le loro performance che consistono nell’impacchettare palazzi e opere architettoniche di grandi dimensioni e di valore storico. Tra le loro opere, l’impacchettamento del Reichstag di Berlino, del Pont-Neuf di Parigi e «Running Fence», un telo dalle sembianze di un nastro lungo quasi 40 chilometri tra Sonona County e Marin County, in California. 6 Gli Emmy sono premi destinati alle produzioni televisive degli Stati Uniti, con particolare attenzione all’intrattenimento. 7 Albert Maysles, va ricordato, è operatore e quindi anche direttore della fotografia di ognuno dei suoi film. 8 Antonio Ferrera, laureato alla New York University in letteratura inglese e americana, arte e filosofia, ha prodotto e co-diretto con Albert Maysles, con cui collabora dal 1998, la serie With the Filmaker... Portraits By Albert Maysles. Prima di questa collaborazione, ha co-diretto Voices of Cabrini, che segue la ristrutturazione del progetto di abitazione popolare di Chicago, ormai un simbolo di grave degrado, e la cacciata della comunità afro-americana dalle abitazioni. Il suo Unaccompanied Children: Now I’m Nobody’s Child segue gli incredibili viaggi di Marie de la Soudiere e il suo lavoro con i «figli della guerra» ai quali applica un metodo di guarigione psico-sociale. Con Albert Maysles ha lavorato anche al documentario sulla lavorazione del film The Life Aquatic with Steve Zissou di Wes Anderson. Attualmente sta lavorando, con Albert Maysles e Stephen Apkon, a Krakauer in Krakow, sull’artista David Krakauer. 9 Letteralmente: «Portata a mano e dal cuore». È evidente il riferimento alla camera. 10 Autore, soggettista e sceneggiatore. Tra le sue sceneggiature, troviamo On the Waterfront (Fronte del porto, 1954) di Elia Kazan, di cui è autore anche del soggetto, Nuremberg di Pare Lorentz (1946) e The Harder They Fall (Il colosso d’argilla, 1956) di Mark Robson con Humphrey Bogart, tratto da un suo romanzo. Comunista deluso dalla deriva del comunismo nello stalinismo, collaborò con la Commissione per le attività anti-americane. 11 Rispettivamente: University of California, Los Angeles, New York University, Museum of Modern Art, New York.

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ALBERT MAYSLES: 50 ANNI DI CINEMA-VERITÀ Incontro con Albert Maysles Di Roberto Rippa Fotografie di Donato Di Blasi

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Lei, con suo fratello David, scomparso nel 1987, è considerato colui che ha sviluppato il cosiddetto «cinema verità». Dopo avere studiato psicologia a Boston, ha firmato il suo primo documentario Psychiatry in Russia nel 1955. Cosa le ha fatto decidere di lavorare conquesta particolare forma di cinema? Credo di essere una persona amante dell’avventura e nel 1955 superare la Cortina di ferro per andare nell’Unione Sovietica penso fosse un’avventura. Così quando decisi che, essendo uno psicologo, avrei dovuto investigare sul tema della salute mentale, ho pensato che se l’avessi fatto avrei dovuto registrare la mia esperienza per poi passarla ad altre persone. Inizialmente pensai che avrei fatto delle fotografie ma poi decisi che un film sarebbe stato meglio. Così mi feci prestare una cinepresa 16 millimetri, andai in Russia e girai il mio primo film. Come riuscì a superare la Cortina di ferro in quell’epoca, considerando il fatto che lei è americano? Era facile, malgrado la maggior parte delle persone non lo sapesse, ottenere un visto per studenti della durata di 30 giorni. Quando arrivai in Russia venni invitato a una festa dell’ambasciata rumena, dove mi era stato detto che avrei potuto incontrare alcuni capi supremi russi. Così uno tra loro, uno davvero ai vertici, mi si avvicinò con fare amichevole e mi diede il permesso. È noto che agli inizi lei inventò cineprese molto maneggevoli, capaci di limitare la sensazione di intrusione. Come sono cambiate le reazioni delle persone alla cinepresa nel tempo e come questo eventuale cambiamento condiziona il suo modo di lavorare? Ritengo che non ci si debba basare sul fatto che le persone possono modificare il loro comportamento, penso ci si debba basare sul fatto che le persone preferiscono aprirsi piuttosto che mantenere un segreto. Questo ha a che vedere con la natura umana: le persone sentono il bisogno di essere riconosciute per quello che sono e così, se le avvicini senza importi, proveranno questa sensazione di riconoscimento, che è fondamentale, e quindi coopereranno pienamente. È così che mi sono sempre garantito l’accesso alla gente. Quindi non ha mai incontrato difficoltà nell’ottenere le risposte vere, quelle sincere... Potrei averne, per esempio, con il governo. Prima della guerra in Irak, quando i soldati erano riuniti in Kuwait e nel sud dell’Arabia, ho chiesto al governo americano di poterli raggiungere per stare con due o tre di loro per uno o due giorni ma non ho ottenuto l’autorizzazione. Questo è il tipo di situazione che può fermarmi, altrimenti ho sempre avuto grande facilità nell’accedere a ciò che desidero. Lei ha girato documentari su diversi temi: tra i tanti, su musicisti (Gimme Shelter sui Rolling Stones), gente comune (Salesman), artisti (la serie di film dedicati a Christo e Jeanne-Claude). Cosa la guida nella scelta di un progetto su cui lavorare? Credo che, se guardo al passato, si sia trattato nella maggior parte dei casi, di fortuna. Quando ho girato Gimme Shelter sui Rolling Stones, fu un mio amico, che li aveva conosciuti, a dirmi che sarebbero giunti a New York il giorno seguente 8

per iniziare il loro tour americano. Quindi bussai alla loro porta e li incontrai. Io e mio fratello andammo al concerto e decidemmo di fare il film. Per quanto riguarda i Beatles, la storia è un po’ particolare: un giorno ricevetti una chiamata dalla televisione inglese Granada. Mi dissero che i Beatles sarebbero giunti a New York due ore dopo e chiesero se avremmo voluto fare un film su di loro 1. Mi voltai verso mio fratello, perché io non sapevo chi fossero i Beatles e lui invece si, parlammo insieme al telefono, chiudemmo l’accordo e ci precipitammo all’aeroporto proprio mentre il loro aereo stava atterrando e passammo tutta la settimana successiva con loro. Abbiamo fatto Grey Gardens 2, che parla di due donne solitarie e che nacque da un altro film che stavamo progettando sulla sorella di Jackie Onassis. Quando lei ce le fece conoscere, ci accorgemmo che quello era il vero film da fare, così decidemmo di girare un lungometraggio su queste due donne. Incontri casuali... Abbiamo anche girato un certo numero di film sulla musica classica e questi furono fatti grazie a un agente che lavorava per Ozawa 3 e Jessie Norman 4, per esempio. È accaduto così.

1 Si tratta dell’unico documentario non sceneggiato realizzato sul gruppo inglese. Recentemente è stato pubblicato in DVD con il titolo The Beatles: The First U.S. Visit (etichetta Capitol, 2004, DVD region free). 2 Grey Gardens rappresenta una deviazione di percorso rispetto al progetto iniziale. I fratelly Maysles, infatti, stavano lavorando a un film sulla sorella di Jacqueline Kennedy Lee Radziwill. Nel processo di raccolta di informazioni, entrarono in contatto con Edith e Edith (detta «Little Edie») Beale, zia e cugina di Jacqueline Kennedy, e rimasero affascinati dal loro mondo tanto da modificare il progetto e dedicarsi a raccontare la vita delle due donne. 3 Il film Ozawa, dedicato alla figura del famoso direttore d’orchestra giapponese, è stato realizzato per la televisione ed è una co-produzione che comprende anche la rete televisiva francese «Antenne 2». 4 Jessye Norman Sings Carmen (1988), sul famoso soprano americano. 5 Albert Maysles ha lavorato come direttore della fotografia per l’episodio «Montparnasse-Levallois» diretto da Jean-Luc Godard e inserito nel film corale del 1965 Paris vu par..., i cui altri episodi sono diretti da Claude Chabrol, Jean Douchet, Jean-Daniel Pollet, Eric Rohmer e Jean Rouch. Il film venne presentato nell’anno della sua uscita al Festival del Film di Berlino. Nel 2005 è stato redistribuito nelle sale francesi.

Quali sono le differenze, per lei in quanto regista, tra girare un documentario che abbia per tema la gente comune o un artista? Oh, è la stessa cosa. Tentiamo di avvicinarci quanto più possibile alla gente che filmiamo. Guardo sempre dietro le quinte per stabilire il contatto più stretto e capire la personalità, le relazioni umane così come la musica. Per esempio, non è un segreto che le pubblicità televisive siano nella maggiore parte dei casi degli insuccessi perché non sono accessibili al livello più alto della comunicazione, ossia da una persona all’altra. Nelle pubblicità per le automobili, per esempio, le vedi andare a gran velocità ma non c’è un contatto umano per lo spettatore, così la vedi e immediatamente sparisce dalla mente. Se girassi una pubblicità per la televisione per un’automobile, mi metterei dietro al volante con il guidatore per filmare ciò che costituisce davvero l’esperienza della guida, cosa significhi avere il controllo dell’automobile. Questo accade perché i pubblicitari non capiscono l’importanza del fattore umano, perché pensano addirittura che l’inserimento del fattore umano possa distogliere l’attenzione dal prodotto quando è proprio il fattore umano ciò che ci fa entrare in contatto con il prodotto. Perché allora scelgono di usare sempre lo stesso approccio al prodotto? Credo che le agenzie pubblicitarie siano più preoccupate di realizzare pubblicità che siano molto costose. Filmando secondo uno stile documentaristico arriveresti a giustificare una spesa di 50’000, 100’000 dollari ma certo non 300’000. Spendono in fotografia molto costosa ma questa fotografia non ha nessuna arte, nessuna poesia, nessuna comunicazione dietro di sé. Lei ha anche lavorato come direttore della fotografia per altri registi... Si, per Jean-Luc Godard 5, Orson Welles... Abbiamo fatto un film su di lui che parla del film che avremmo voluto fare. E poi c’è un film che 9


6 Searching for Bobby Fischer, 1993, diretto dal regista Steven Zaillian, narra di un bambino, precoce talento degli scacchi, che si rifiuta di trasformarsi in un campione preferendo vivere un’esistenza normale. Il regista ha ottenuto il premio speciale della giuria al Festival Internazionale del Film di Tokyo nel 1993. 7 Wes Anderson è il regista di The Royal Tenenbaums (I Tenenbaum, 2001) e di The Life Aquatic of Steve Zissou (Le avventure acquatiche di Steve Zissou, 2004). 8 Jane Campion ha diretto, tra gli altri, The Piano (Lezioni di piano, 1993), The Portrait of a Lady (Ritratto di signora, 1996) e Holy Smoke (1999). 9 La strada (1956) di Federico Fellini, sceneggiato da Ennio Flaiano e Tullio Pinelli. Notissimo negli Stati Uniti per avere ottenuto il premio Oscar nel 1957 come migliore film straniero.

si intitola Searching for Bobby Fisher 6. Il regista mi chiamò per girare alcune scene e diventammo buoni amici. Alla fine lui e il direttore della fotografia furono d’accordo, una volta viste le mie scene, di modificare il loro modo di girare il resto del film.

Come è stata la sua esperienza con Godard? Oh, è stata meravigliosa. Lui ha capito meglio di chiunque altro come usare la fotografia da documentario. Così ciò che faceva era fare sì che gli attori sapessero la loro parte e che tutto fosse illuminato nel giusto modo. Non c’era niente da fare per me per le scene. Non sapevo neppure cosa sarebbe successo, così entravo in scena e filmavo e basta. Era una lunga ripresa dopo l’altra. Quando fai il montaggio, anche nel migliore dei montaggi, c’è sempre una sorta di artificialità che ha a che fare con il passare da un taglio all’altro. Penso che quando la camera filma in piano sequenza senza stacchi, lo spettatore si senta di essere più in controllo di quanto sia quando il montaggio è curato da un montatore. L’approccio di Eisenstein al montaggio ha introdotto quell’artificialità che viene negata dal lavoro di ripresa di un documentarista con le sue riprese continue. Per esempio nel cinema di Hollywood filmi un primo piano poi passi a un campo più ampio, un totale, e quindi anche il montaggio è più facile ma non è questo il modo in cui la gente vede le cose normalmente e quindi risulta meno credibile.

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Lei ha anche realizzato documentari su alcuni registi. Quali sono i registi che più ama? Conosco Scorsese da molti anni. Lui è un regista che apprezza molto i documentari, ne ha girati alcuni lui stesso. Ricordo che stava girando uno dei suoi documentari e ci chiese di darci un’occhiata. Lui è tra i miei preferiti. Mi piacciono anche Wes Anderson 7 e Jane Campion 8. A dire il vero, i film che preferisco sono ancora i neo-realisti italiani come La strada 9. Sono tuttora i miei preferiti. Forse anche perché sembrano documentari.

un’ora, che permettono di evitare interruzioni nelle riprese per caricare la pellicola. Ci ho pensato molto quando sono passato dalla pellicola al digitale e mi sono venute alla mente trenta buone ragioni per passare dal 16mm alla nastro e credo che ognuna di esse giustificasse il passaggio. La qualità non è pari al 35 o al 70 mm ma ciò che è più importante nel cinema documentario non è la qualità della produzione ma il suo alto valore poetico, se vogliamo chiamarlo cos. Il valore del potere filmare la vita senza interferire con essa.

Negli ultimi 50 anni, lei ha raccontato molto del suo Paese, attraverso i suoi documentari, a volte scegliendo un approccio diretto, altre volte meno. Cos’è cambiato principalmente nel suo modo di girare film? Fondamentalmente il modo non è cambiato. Il grande cambiamento ha avuto luogo cinque anni dopo avere girato il mio documentario in Russia, quando ebbi modo di usare un equipaggiamento più sofisticato per girare. Si trattava sempre di grosse cineprese ma potevo tenerle sulle spalle, senza avere bisogno di un treppiede. La pellicola era più sensibile e quindi non avevo più bisogno di usare luci e quindi tutto ciò che era necessario avere erano due persone: una per il suono, in questo caso mio fratello, e una alla camera. Praticamente potevo filmare qualsiasi cosa. Ora fare questo, e anche di più, è addirittura più semplice perché ci sono camere dal costo di due o tremila dollari che non devi più portare sulla spalla, così gli occhi sono liberi di guardare non solo ciò che stai riprendendo ma anche cosa potresti riprendere di lì a poco. Ora, invece di usare pellicola molto costosa, si usano cassette della durata di un’ora che costano tre dollari e durano

A proposito di Salesman, credo racconti molto sulla gente delle aree provinciali degli Stati Uniti, e non parlo solo dei venditori che si vedono nel film. Se lo girasse oggi, cosa pensa che potrebbe trovare di diverso? In quel tempo, nel 1968, c’erano quattromila persone, tutti uomini, che vendevano la Bibbia in tutto il Paese. Ora quella gente non esiste più. Non credo che la Bibbia venga ancora venduta porta a porta. Sembra strano ma il metodo di vendita porta a porta si è trasferito in Giappone, dove i venditori ambulanti vendono automobili Quando ero al liceo, il venditore ambulante era esemplificato dal venditore di spazzole e scope, e io ero uno tra loro. Ho anche venduto enciclopedie porta a porta, per poter andare all’università. Credo che ora le persone siano diventate più scettiche, più impaurite da chiunque si avvicini alle loro case. Quindi è diventato più difficile per un venditore entrare in casa di qualcuno, questo sì è cambiato. Però la società americana è ancora una società consumistica e capitalistica e la gente pensa che potrebbe fare qualsiasi cosa, esercitando il proprio potere di volontà. Così il nostro concetto di individuo svantaggiato era rappre11


sentato nel 1968 dai venditori ambulanti. Noi, della classe inferiore, pensiamo ancora di appartenere alla classe media e di poter raggiungere la classe superiore se solo usiamo bene le nostre energie. Insomma, c’è ancora fiducia nel sistema capitalistico. Quella che potrebbe essere una buona domanda sarebbe: «Se volessimo rappresentare un tipo di personalità capitalista cosa mostreremmo oggi?». Non il venditore di Bibbie. Dovrei pensarci... certo, per quell’epoca Salesman ha colto probabilmente meglio di ogni altro film che cosa è l’America e sarebbe interessante pensare quale potrebbe essere questa materia al giorno d’oggi. Dovrei pensarci un poco. Nel frattempo sto ancora realizzando film sul lavoro di Christo. In un certo senso, Christo e Jeanne-Claude rappresentano qualcosa di molto americano. Non so se potrebbero realizzare il loro lavoro altrove. Uno dovrebbe

chiedersi: «Come possono due persone raggiungere obiettivi così alti quando i poteri tradizionalisti della società sono contro di loro anziché al loro fianco?». Per realizzare ognuno dei loro progetti devono lottare contro il governo, il sistema e i politici. In questo senso sembrano impersonare il venditore porta a porta che è solo come lo sono certamente loro. Quando io e mio fratello giriamo un film (Albert Maysles parla sempre di suo fratello al presente. Ndr) siamo soli. È molto importante per noi poter mantenere la nostra indipendenza nel girare i nostri film, nel girarli esattamente come li vogliamo senza doverci conformare alle formule che i network televisivi ritengono giusti per i loro spettatori. In America è certamente molto difficile mantenere questo tipo di indipendenza e ottenere il sostegno dei network televisivi. Loro capiscono solo il loro modo di concepire il personaggio e così si perde la propria indipendenza, ossia il potere più importante che abbiamo. Siamo stati in grado di mantenere la nostra indipendenza lavorando con una particolare rete televisiva: la Home Box Office (HBO). Abbiamo realizzato tre film per loro e stiamo realizzando il quarto: The Gates. Ma le reti commerciali, ABC, CBS, NBC e CNN non sono nemmeno interessate a lavorare con indipendenza e quindi non c’è nulla che possa fare con loro, nemmeno in collaborazione con loro. Nulla su cui potrebbero essere d’accordo. Ritengo che i suoi documentari abbiano una forte valenza politica, anche se scelgono di non essere politici in maniera esplicita. Oggi però i documentari sono sempre più espliciti nella loro visione politica delle cose... Non è una buona cosa. Ritengo che l’opera d’arte più potente sia quella che non si occupa di un tema, di un problema. Guarda un ritratto di Rembrandt... dove sta il problema? O Shakespeare... dov’è il problema? Questi sono artisti e scrittori che non sottomettono il loro lavoro a un punto di vista. Purtroppo gli autori di documentari stanno sempre più spesso sottomettendosi a un punto di vista specifico, così la forma del documentario offre loro la possibiltà di fare propaganda più che diventare un lavoro di scoperta. E la propaganda perde in capacità di raccontare la verità. Quando vedi un film come Salesman, sia il modo di girare che il montaggio sono fatti con la mente aperta. Non tenta di mostrare nessuno migliore, peggiore o diverso da ciò che è. Questo è ciò che rende il film valido anche a lunga distanza. Ora, a quarant’anni di distanza, è tanto vero quanto lo era quando è stato girato. E la stessa cosa si potrebbe dire su Gimme Shelter e Grey Gardens. Questo è ciò che preferisco: girare senza una tesi precostituita. Però posso capire l’utilità di girare film che possano persuadere le persone. Avrei trovato piacevole girare un film che avesse convinto le persone a sostenere il partito democratico contro questo Bush e ancora oggi, se saltasse fuori qualcosa che aiutasse a gettare luce sull’amministrazione, ne farei un documentario. Ora sto girando un film, un film che parte da una tesi, sull’antisemitisimo. Da ottocento anni circola la diffusa e falsa convinzione che gli ebrei uccidevano i bambini cristiani per usarne il sangue nelle loro celebrazioni. Ci fu un processo nel 1913 a Kiev su questo e sto girando un documentario proprio sull’argomento, che arriva fino al momento attuale di antisemitismo, che trae origine da questa calunnia sul sangue. La hezbollah, per esempio, non ci sono basi reali per questa accusa, e penso che il film possa rispondere a queste accuse dicendo la verità sul tema. Questo è un film cui mi sto dedicando molto.

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C’è una chiesa in Polonia, una chiesa cattolica, e al suo interno c’è un grande dipinto rinascimentale che è impossibile, entrando in chiesa, non notare. Mostra una mezza dozzina circa di ebrei, uomini duri con nasi lunghi e barbe bianche, che circondano un gruppo di uomini e un bambino che vengono torturati e perdono tutto il loro sangue, il quale viene raccolto da uno di loro. Ci sono molte implicazioni non solo con la chiesa ma con il Vaticano sotto il signor Ratzinger ma non è stato fatto nulla a proposito del quadro, che infatti è ancora lì. Sono stato alla chiesa di St. Mary 10 per filmare il quadro e il prete che era lì mi spiegò tutto sul quadro senza menzionare che gli ebrei non hanno mai fatto ciò che viene rappresentato e non c’è alcun modo di capire dal quadro che si tratta di un’immagine falsa. Quel prete ora è il Papa. Questo è un esempio di cattiva condotta. L’altro esempio riguarda l’omosessualità. Ho appena finito un film su una suora cattolica, che è una cattolica devota e che ha lavorato con gli omosessuali. La chiesa però, nella persona di Ratzinger, le ha imposto il silenzio. Quando lei si è recata in Vaticano, e io sono andato con lei, ha bussato alla sua porta ma lui non le ha aperto, non le ha parlato. C’è una considerazione importante da fare: lei lavora prevalentemente negli Stati Uniti ma i suoi film hanno un signficato ovunque. Questo significa che le situazioni non sono tanto diverse quanto siamo soliti pensare? È così. Sebbene Salesman parli dell’America, chiunque vi si può identificare grazie al suo speciale approccio documentaristico. La cosa meravigliosa che accade è che non importa chi sei nel momento in cui guardi Salesman: guardi quelle persone sullo schermo e sei quelle persone, ti trovi nella loro situazione, senti cosa si provi ad assere nei panni di una casalinga assediata da un venditore. Senti cosa significhi essere un venditore, persone che giorno dopo giorno sono confrontate con il fallimento. E ti senti triste per loro, ti commuovi. Non si tratta di quel tipo di intrattenimento dove ti senti coinvolto solo fino a un certo punto e poi dimentichi tutto. Ti senti coinvolto in un modo che ti legherà per sempre al film. Non ti dimenticherai mai di quelle persone. A film finito, ci fu una presentazione speciale per un centinaio di persone. A fine proiezione, il pubblico venne a congratularsi con me e mio fratello. Io avevo notato che in sala era rimasta una persona, una ragazza. Quando si alzò e ci venne incontro, notai che aveva pianto. Notai anche quanto fosse bella. Mi voltai verso mio fratello e gli dissi: «Questa è la donna per me». È mia moglie. Davvero? È stato davvero un film fortunato per lei... Sotto diversi punti di vista! Vedi, c’è un vantaggio aggiunto nel girare documentari... A proposito dei suoi documentari su Christo e Jeanne-Claude che sta accompagnando a Locarno in questi giorni, cosa ha risvegliato all’inizio il suo interesse in loro? In un certo senso, rappresentiamo un’unione perfetta perché le fotografie sulle loro opere potranno finire nelle case della gente o nei musei ma il loro lavoro non consiste nelle fotografie bensì sono eventi che hanno luogo nel mondo reale e, come in ogni documentario, non sappiamo mai cosa accadrà più tardi, cosa che rappresenta la qualità primaria della realtà. Quindi filmare le opere di Christo offre l’opportunità di filmare l’arte nel mondo reale. Questo ci rende compa14

gni ideali e siamo stati in grado di produrre ottimi film perché la loro arte comprende anche temi politici e sociali. Ciò che accade è che talvolta, dopo molti anni di lavoro, quattro o cinque milioni di persone si avvicinano alle opere, ci si lasciano coinvolgere e questo coinvolgimento è la materia perfetta per il film. Il progetto The Gates 11 coinvolge quattro o cinque milioni di persone provenienti da tutto il mondo che si sono recate al Central Park in un periodo dell’anno in cui nessuno si reca al parco perché è febbraio e fa freddo.

10 La chiesa si trova a Sandomierz, in Polonia. 11 The Gates, di Albert Maysles e Alberto Ferrera, documenta la famosa installazione di Christo e Jeanne-Claude al Central Park di New York. Il documentario parte dai primi contatti degli artisti con i rappresentanti della città nel 1979, ben 26 anni prima del compimento dell’opera.

Si tratta solo di un momento, di un’immagine di cui tutti possono godere. Appare sufficientemente a lungo perché tutti ne possano godere. E sufficientemente a lungo perché noi possiamo fare i nostri film. E poi il film diventa la rappresentazione permanente dell’opera così che le persone che l’opera l’hanno vista sul posto e coloro che non hanno avuto la possibilità di recarsi al parco potranno godere dell’esperienza piena. E poi si tratta di una delle poche arti che non puoi possedere... Giusto.

Quali pensa siano le ragioni del successo che i documentari più recenti ottengono al botteghino in questo momento? Ci sono molte ragioni. Buone a cattive. È interessante riflettere su quanto la cosiddetta televisione realtà possa costituire un bene o un male per il futuro del documentario. Per quanto mi riguarda, penso che la parola realtà sia male utilizzata quando si tratta di programmi televisivi. Effettivamente i media non sono stati molto onesti nel raccontarci queste storie. Agli inizi, quando questi programmi fecero la loro apparizione, la parola realtà era riportata tra virgolette ma ora le virgolette sono sparite, come per riconoscere a queste opere uno speciale rispetto che in realtà non è dovuto loro. D’altra parte penso sia inevitabile, proprio come per la letteratura: le abitudini di lettura si sono spostate in modo significativo dalla narrativa ai saggi. Credo sia inevitabile che i documentari assorbiranno una parte sempre più importante delle visioni del pubblico. Ci saranno film molto buoni ma, secondo me, troppi documentari oggi sono dedicati a temi specifici senza che si tenti di andare a scavare in questi stessi temi. Questo credo sia un problema. Dietro molti tra questi, c’è un regista che parte da un particolare punto di vista o pregiudizio ed è accecato da questa visione ristretta del tema. Quindi la verità, che ritengo essere essenziale per poter chiamare un film documentario, è e deve essere la negazione della finzione. Credo che il problema sia degenerato al punto che alcuni tra i migliori documentaristi pensano di non potere nemmeno più raccontare la verità. È una tendenza pericolosa. Provo rispetto per un documentarista che dice: «Sono unicamente interessato a raccontare la verità e credo di poterlo fare». È difficile dire come... posso affermare che tre o quattro registi testimoni della stessa scena realizzeranno tre o quattro film diversi e questo non significa che nessuno di loro stia raccontando la realtà. Nessuno sta raccontando l’intera verità ma uno può raccontare in maniera sincera e corretta dal punto di vista dei fatti una storia, se ne è capace. 15


Secondo lei la gente di tutto il mondo, condizionata dal linguaggio televisivo, che è fondamentalmente lo stesso ovunque, è ancora in grado di riconoscere la verità quando la vede sullo schermo? Penso di si. Recentemente ho ricevuto una telefonata da un uomo sui cinquant’anni che mi ha raccontato di essere cresciuto senza genitori e che la sua vita è stata dedicata interamente all’infruttuosa ricerca di suo padre. Al momento in cui mi ha contattato però era appena entrato in contatto con un uomo che avrebbe potuto raccontargli molto su suo padre ed era in procinto di incontrarlo. Quindi sono andato con lui all’appuntamento e ho iniziato a filmare quando lui stava busando alla porta dell’uomo e poi ho continuato a filmare per due o tre ore. La persona, che ha novant’anni, sapeva tutto del padre e gli ha mostrato delle fotografie e quando l’uomo che accompagnavo ha visto le foto, era sorpreso nel notare quanto fossero simili. Ha scoperto che suo padre aveva vissuto fino all’età di novantacinque anni ed era morto appena tre anni prima. Quindi, malgrado la possibilità di incontrarlo fosse svanita per sempre, quella conversazione, quell’incontro, era il più importante di tutta la sua vita. Devi non avere nulla di umano per vedere questo filmato e non esserne coinvolto. Devi non essere umano per non sentire un forte legame tra loro due e tra loro e coloro che guardano la scena. Sarebbe stato così vent’anni fa e sarà così tra vent’anni. O cent’anni fa o tra cent’anni. Questo tipo di evento ha a che fare con l’essere nel posto giusto nel momento giusto. Posso dire che è stato molto commovente quando la suora di cui parlavo prima, rifiutata dal signor Ratzinger, allontanandosi dal palazzo si voltò verso di noi e disse: «La chiesa vuole che tutti seguiamo le sue regole ma io seguo la mia coscienza».

12 Antonio Ferrera collabora con Albert Maysles dal 1998. Nel 2001 ha , anno di produzione della serie per la televisione «With the Filmaker... Portraits By Albert Maysles». Prima di lavorare con Albert Maysles, Ferrera è stato co-regista di Voices of Cabrini. Girato tra il 1994 e il 1997, Voices of Cabrini narra la ristutturazione del progetto di abitazione popolare Cabrini Green, nata tra il 1942 e il 1962, e divenuta simbolo di degrado. Antonio Ferrera si è laureato alla New York University’s College of Arts and Science, dove ha studiato inglese, letteratura americana, arte e filosofia. 13 Criterion Collection è una casa produttrice americana di DVD nota per l’alta qualità del suo catalogo e per l’estrema accuratezza delle sue edizioni.

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I suoi film riescono sempre a trovare la loro strada verso il pubblico? Abbiamo fatto un accordo per mostrare alcuni tra i nostri film in DVD. C’è un film di mezz’ora, un bellissimo film, che abbiamo realizzato con Marlon Brando a metà degli anni ’60 quando era all’apice della sua gloria. C’è un film che abbiamo girato per la televisione su Truman Capote che non è mai più stato mostrato da allora e che verrà pubblicato in DVD. Un altro su Muhammad Ali al tempo in cui si allenava per il suo ultimo combattimento... È curioso: qui a Locarno vengono mostrati più film di Orson Welles di quanti potessi immaginare. Io e mio fratello abbiamo fatto un film su Orson Welles e purtroppo non sapevamo della retrospettiva, altrimenti lo avremmo portato. È un film della durata di dieci minuti realizzato come conseguenza di un incontro casuale avvenuto a Cannes nel 1963. Aveva già sentito parlare di noi e ci invitò a seguirlo a Madrid, dove restammo per una settimana andando alla corrida, eccetera. Mentre eravamo lì iniziammo a parlare del fatto che avremmo dovuto fare un film insieme. Il nostro film consiste in questa conversazione. Nel film si vede chiaramente come la gente lavora con un documentarista. A proposito di DVD: lei possiede i diritti per I suoi documentari. Pensa di pubblicare i suoi film in modo indipendente, attraverso la sua compagnia di produzione, o pensa di lavorare ancora con Criterion, che ha già pubblicato Salesman, Gimme Shelter e Grey Gardens? Alcuni film usciranno per Criterion 13. Per quanto riguarda The Gates non abbiamo ancora deciso come distribuirlo ma credo che uscirà anche nelle sale.

A proposito di suo fratello, avete lavorato insieme sin dal suo secondo documentario Youth in Poland del 1957 fino al 1987, quando è scomparso. Com’era lavorare a così stretto contatto? Beh, nel nostro caso il fatto di essere fratelli costituiva un vantaggio. Per molti fratelli non è così, non possono lavorare insieme. Ma noi veniamo da una famiglia dove c’era molto amore. I nostri genitori avevano un ottimo rapporto tra loro e con i bambini. Ecco perché lavoravamo bene insieme. Credo che ciò che ci ha aiutati ulteriormente sia stato il fatto che ci siamo assunti ruoli differenti: io stavo alla camera e mio fratello si occupava del suono. Ma la nostra collaborazione non riguardava solo l’aspetto tecnico: entrambi ci mettevamo in relazione con le persone che stavamo filmando, entrambi eravamo coinvolti nella ricerca di finanziamenti e nella scelta dei soggetti. Poi mio fratello si assunse il ruolo di supervisore al montaggio, cosa che è stata molto positiva. Ecco perché la nostra collaborazione era buona. Molto, molto buona. Ora lavoro con un ragazzo italiano di nome Ferrera 12 ed è come lavorare con mio fratello. Mi è stato raccontato che suo padre è morto quando lui aveva tre anni e quindi lui è sempre stato alla ricerca di un padre e io, a causa della scomparsa di mio fratello, sono sempre alla ricerca di un fratello. Così per me lui è mio fratello e io per lui sono suo padre.

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FILMOGRAFIA

Maysles Films è una delle realtà trainanti del cinema documentario sin dagli anni ’60. Albert e David Maysles sono stati tra i primi a catturare con una camera la realtà così come si svolge, senza tracce di sceneggiatura, senza set costruiti e senza narrazione preparata. Antonio Ferrera ha iniziato a lavorare con Albert Maysles nel 2002, diventando subito un elemento essenziale per la casa di produzione. Maysles Films ha realizzato più di tre dozzine di opere la cui ispirazione principale deriva sempre dal dramma dell’esperienza umana attraverso la concessione alle persone di essere semplicemnte sé stesse. È molto difficile stilare una filmografia completa di tutti i progetti in quanto tanti sono quelli in lavorazione oppure solo in via embrionale pronti per essere realizzati.

David Maysles, Truman Capote, Albert Maysles

PSYCHIATRY IN RUSSIA ©1955, 15 minuti. Un film di Albert Maysles La cura delle malattie mentali in tre grandi città dell’Unione Sovietica. Trasmesso nel David Garroway Show sulla rete NBC e dalla televisione pubblica WGBH. YOUTH IN POLAND ©1957, 30 minuti. Un film di Albert e David Maysles Due anni dopo Psychiatry in Russia Albert e David Maysles muniti di una camera e di un registratore, partono da Monaco alla volta di Varsavia per filmare la rivolta studentesca del 1956. Si tratta questa della prima opera che vede lavorare insieme i due fratelli Maysles, che formeranno un sodalizio che durerà per 30 anni. Trasmesso dalla rete NBC con il commento di Chet Huntley. SHOWMAN ©1963, 53 minuti Un film di David e Albert Maysles Un magnate in via di definizione: il produttore Joseph E. Levine 1 nel corso del chiassoso lancio pubblicitario americano de La ciociara di Vittorio De Sica, che porterà l’Oscar alla sua protagonista Sophia Loren. Presentato ai festival di Edinburgo e Torino. WHAT’S HAPPENING! THE BEATLES IN THE USA ©1964, 55 minuti. Un film di David e Albert Maysles Uno tra i momenti più celebrati nella storia dello spettacolo: la prima visita dei Beatles negli Stati Uniti. Trasmesso dalla CBS. MEET MARLON BRANDO ©1965, 28 minuti. Un film di David e Albert Maysles Un confronto confidenziale tra Marlon Brando e alcuni giornalisti. Presentato in anteprima al New York Film Festival.

1 Joseph E. Levine (1905-1987) è uno tra i più famosi produttori dell’era d’oro di Hollywood. tra i film di cui è stato produttore esecutivo, The Graduate (Il laureato, 1967, di Mike Nichols), The Producers (Per favore non toccate le vecchiette, 1968, di Mel Brooks), Carnal Knowledge (Conoscenza carnale, 1971, di Mike Nichols). È stato produttore di Lo chiamavano Trinità (1970) di E. B. Clucher, alias Enzo Barboni.

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WITH LOVE FROM TRUMAN ©1966, 29 minuti. Un film di David e Albert Maysles con Charlotte Zwerin Approfondimento del libro «In Cold Blood» da parte dell’autore stesso, che parla anche del suo rapporto con i due giovani omicidi raccontati nel libro. Film commissionato e trasmesso dalla rete National Educational Television Network. «In Cold Blood» è citato come il primo esempio di giornalismo raccontato con il linguaggio della letteratura e racconta di due giovani aspiranti ladri trasformatisi in assassini, che nel 1959 trucidarono una famiglia nel Kansas. In italia il libro, dal titolo “A sangue freddo”, è pubblicato da Garzanti. SALESMAN ©1968, 90 minuti. Un film di David e Albert Maysles con Charlotte Zwerin Il classico tra i documentari americani: quattro venditori di bibbie porta a porta ci accompagnano in un viaggio fatto di disperazione, attravero il cuore, l’anima e i salotti dell’america degli anni ’60. Da Webster, Massachusetts a Opa-Locka, Florida: il sudore del sogno americano. Parzialmente sostenuto finanziariamente dalla fondazione Guggenheim, unitamente alla Maysles Films. Anteprima mondiale alla 68th Street Playhouse di New York. Distribuito nei cinema in tutto il mondo, e in home video. Trasmesso dalla rete PBS nel 1990, nel 1992 è stato incluso dalla Libreria del Congresso nell’elenco dei 25 film americani più significativi dal punto di vista storico, culturale ed estetico. JOURNEY TO JERUSALEM ©1968, 26 minuti. Un film di David e Albert Maysles Il direttore d’orchestra Leonard Berstein e il violinista Isaac Stern si esibiscono per arabi e israeliani due settimane dopo la «guerra dei sette giorni». Riprese dell’esibizione montate con immagini di rifugiati feriti. Co-prodotto con Filmways, Inc. distribuito nelle sale degli Stati Uniti, trasmesso da televisioni in Europa e in Israele.

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GIMME SHELTER ©1970, 90 minuti. Un film di David e Albert Maysles con Charlotte Zwerin Il più grande film sulla più grande band rock’n’roll di tutti i tempi: i Rolling Stones in America. Nel 1969 tutto poteva accadere e, una sera ad Altamont, Minnesota, purtroppo accadde di tutto. Presentato in anteprima al Plaza Theater di New York e quindi distribuito nei cinema e diffuso dalle televisioni in tutto il mondo. Reperibile in DVD.

CHRISTO’S VALLEY CURTAIN ©1974, 28 minuti. Un film di David e Albert Maysles con Ellen Hovde Operai metallurgici appendono un tendone arancione lungo un quarto di miglio in una vallata del Colorado e scoprono una nuova forma d’arte. Nominato all’Oscar come migliore documentario. Presentato alI’American Film & Video Festival e trasmesso da diverse reti televisive in tutto il mondo. THE BURKS OF GEORGIA ©1976, 53 minuti. Un film di David e Albert Maysles, Ellen Hovde, Muffie Meyer Tre generazioni di una famiglia nella Georgia rurale: le difficoltà con cui sono confrontate e il pensiero della tragica morte di un figlio che continua a perseguitarle. Commissionato dalla rete Westinghouse Broadcasting e trasmesso dalla rete PBS nella serie «Six American Families». MUHAMMAD AND LARRY ©1980, 26 minuti. Un film di David e Albert Maysles Muhammad Ali e Larry Holmes colti separatamente nella preparazione di un campionato mondiale di boxe in cui si confronteranno. Co-prodotto con Deerlake Company. Trasmesso in Inghilterra alla vigilia dell’atteso incontro. VLADIMIR HOROWITZ: THE LAST ROMANTIC ©1985, 88 minuti. Un film di David e Albert Maysles, Susan Froemke, Deborah Dickson, Pat Jaffe Il pianista di fama mondiale e sua moglie: un concerto privato nella loro casa di New York e molte chiacchiere. Anteprima alla Carnegie Hall, vincitore di due Emmy, presentato ai festival del cinema di Berlino, Rotterdam e Sydney.

GREY GARDENS ©1976, 94 minuti. Un film di David e Albert Maysles, Ellen Hovde, Muffie Meyer, Susan Froemke Discusso film di culto su due irresistibili, eccentriche donne prigioniere di un morboso rapporto madre-figlia e di una appariscente quanto cadente casa negli Hamptons. Anteprima al New York Film Festival. Distribuito nei cinema di tutto il mondo. Reperibile in DVD. Presentato ai festival del cinema di Cannes e Edimburgo. Imprenscindibile per capire il modo di lavorare di Albert e David Maysles. Chi altri sarebbe riuscito a penetrare la sfera intima di due donne in evidente difficoltà essendone testimoni presenti ma non al punto di creare interferenze? Il film non esprime giudizi, non emette sentenze: crea semplicemente un ritratto di un momento nella vita di due persone, dicendo con le immagini molto più di quanto potrebbe qualsiasi parola. Un capolavoro. RUNNING FENCE ©1978, 58 minuti. Un film di David e Albert Maysles con Charlotte Zwerin Una celebrazione delle visioni artistiche di Christo. Il film ha inizio con una battaglia di quattro anni con le autorità locali, che ne avversano la realizzazione, e termina con 24 miglia e mezza di tessuto in nylon a formare una vela che attraversa la California. Presentato all’ American Film & Video Festival di San Francisco. 20

OZAWA ©1985, 57 minuti. Un film di David e Albert Maysles, Susan Froemke, Deborah Dickson Il direttore della Boston Symphony Orchestra, Seiji Ozawa, e i dilemmi dell’est contro l’ovest. Anteprima allo US Film Festival e trasmesso da diverse reti televisive in tutto il mondo. ISLANDS ©1986, 57 minuti . Un film di Albert e David Maysles con Charlotte Zwerin Christo al lavoro con tre progetti e tre culture diverse. Anterpima al Gusman Theater di Miami, presentato ai festival del cinema di Monaco, Rotterdam, e allo US Film Festivals. Trasmesso da varie reti televisive in tutto il mondo. HOROWITZ PLAYS MOZART ©1987, 50 minuti. Un film di Albert Maysles, Susan Froemke, Charlotte Zwerin Horowitz esplora la sua passione più recente, Mozart, colto nella sua prima sessione in studio di registrazione dopo 35 anni. Arguzia, saggezza e una performance da maestro. Presentato in anteprima al New York Film Festival, nominato ai premi Emmy. SPORTS ILLUSTRATED: 25TH ANNIVERSARY SWIMSUIT ISSUE ©1989, 49 minuti. Un film di Susan Froemke, Albert Maysles Uno sguardo al dietro le quinte della preparazione della copertina del numero speciale annuale del mitico giornale, famoso per le copertine dei numeri dedicati ai costumi da bagno. Commissionato dalla rete via cavo HBO, è stato uno dei suoi programmi originali più seguiti nonché vendutissimo in home video. 21


JESSYE NORMAN SINGS CARMEN ©1989, 57 minuti. Un film di Susan Froemke e Albert Maysles Uno sguardo inedito su un grande talento: Jessye Norman colta mentre registra la «Carmen» a Parigi sotto la direzione di Seiji Ozawa. Prove, esibizione e pause con gli amici. Trasmesso in tutto il mondo.

SPORTS ILLUSTRATED: 1992 SWIMSUIT VIDEO ©1992, 57 minuti. Un film di Susan Froemke e Albert Maysles Preparazione del numero di Sports Illustrated del 1992 dedicato ai costumi da bagno in Spagna con le top model Naomi Campbell, Kathy Ireland, Paulina Porizkova e Vendela. Commissionato dalla rete HBO e pubblicato in home video.

THE MET IN JAPAN ©1989, 21 minuti. Un film di Susan Froemke e Albert Maysles Una storica visita dell’opera del Metropolitan di New York in Giappone. Kathleen Battle e Placido Domingo cantano Mozart, Offenbach e Verdi, diretti dai maestri Levine e Rudel. Trasmesso in tutto il mondo.

BAROQUE DUET ©1992, 78 minuti. Un film di Susan Froemke, Peter Gelb, Albert Maysles, Pat Jaffe La stella dell’opera Kathleen Battle si lancia con il trombettista jazz Wynton Marsalis in un’esplorazione della musica barocca del XVII secolo. Presentato in anteprima da PBS Great Performances.

CHRISTO IN PARIS ©1990, 58 minuti. Un film di David e Albert Maysles, Deborah Dickson, Susan Froemke Il primo lavoro urbano in grande scala di Christo, impegnato a impacchettare il più antico ponte di Parigi, quello dove anni prima corteggiava Jeanne-Claude, che sarebbe poi diventata sua moglie. Uno studio biografico su un artista al lavoro. Premio Joris Ivens al Festival del cinema documentario di Amsterdam, premio per la fotografia al Sundance Film Festival e candidatura al gran premio della giuria sempre al Sundance. THE BEATLES! THE FIRST U.S. VISIT ©1991, 52/82 minuti. Un film di Susan Froemke, Albert e David Maysles, Kathy Dougherty Un nuovo sguardo al film del 1964 What’s Happening! The Beatles in the USA, comprensivo della partecipazione del gruppo all’Ed Sullivan Show e del primo concerto americano. Commissionato da Apple. SOLDIERS OF MUSIC: ROSTROPOVICH RETURNS TO RUSSIA ©1991, 88 minuti. Un film di Susan Froemke, Peter Gelb, Albert Maysles, Bob Eisenhardt La straordinaria testimonianza del ritorno a casa di un genio della musica cui la cittadinanza era stata tolta e che ora torna da invitato. Un film che parla di coraggio, arte e coscienza. Premiato con un Emmy e dalla giuria a Montreal. Trasmesso in tutto il mondo. ABORTION: DESPERATE CHOICES ©1992, 67 minuti Un film di Susan Froemke, Deborah Dickson, Albert Maysles Un’esplorazione intensa di un tema esplosivo. Punti di vista in prima persona da entrambe le parti, dall’era della pre-legalizzazione a oggi. Tra i numerosi, premio Emmy al produttore esecutivo Susan Froemke.

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SPORTS ILLUSTRATED: 1993 SWIMSUIT VIDEO ©1993, 60 minuti. Un film di Susan Froemke e Albert Maysles Preparazione del numero dedicato ai costumi da bagno di Sports Illustrated del 1993, con dieci top model in cinque differenti ambientazioni americane. Commissionato dalla rete HBO e pubblicato in home video. ACCENT ON THE OFFBEAT ©1994, 56 minuti. Un film di Susan Froemke, Deborah Dickson, Albert Maysles Una nuova unione tra danza e musica per il New York City Ballet. Coreografie originali di Peter Martins su musiche originali di Wynton Marsalis. CONVERSATIONS WITH THE ROLLING STONES ©1994, 24 minuti. Un film di Susan Froemke, Kathy Dougherty, Albert Maysles Momenti personali di Mick, Keith, Charlie e Ron, mentre si preparano per il loro Voodoo Lounge Tour del 1994 a Toronto. Trasmesso dalla rete VH-1. Candidato ai Cable ACE Award. UMBRELLAS ©1995, 81 minuti. Un film di Henry Corra, Grahame Weinbren, Albert Maysles L’epica storia del monumentale progetto artistico omonimo di Christo per Stati Uniti e Giappone. Flagellato dall’inizio alla fine dalle devastazioni di madre natura, migliaia di ombrelli gialli e blu abbeliscono due paesaggi. Co-prodotto da Maysles Films e dalla rete televisiva ARTE. Premiato al Festival of Films on Art di Montreal. LETTING GO: A HOSPICE JOURNEY ©1996, 90 minuti. Un film di Susan Froemke, Deborah Dickson, Albert Maysles Esplorazione del tema tabu della morte attraverso le storie di tre malati terminali, raccontate dai malati stessi, dai loro famigliari e da coloro che si occupano delle loro cure. Filmato nel corso degli ultimi due mesi delle loro vite, i malati condividono con lo spettatore il loro viaggio in luoghi inesplorati. Cable ACE Award.

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RECORDING THE PRODUCERS: A MUSICAL ROMP WITH MEL BROOKS ©2001, 84:36 minuti. Un film di Susan Froemke Uno schietto sguardo dietro le quinte della registrazione dell’album per l’adattamento teatrale di Mel Brooks del suo successo cinematografico omonimo (in italiano Per favore, non toccate le vecchiette). Froemke trascorre 20 ore in studio con le forze creative di quello che sarà un enorme successo di Broadway. Comprende momenti con le stelle dello spettacolo, Nathan Lane e Matthew Broderick, e con Mel Brooks, prodigo di aneddoti sullo sviluppo del progetto. Vincitore di un Grammy nel 2001 come migliore video musicale in formato lungo. Commissionato da Sony Classical. FEAR NO MORE: STOP VIOLENCE AGAINST WOMEN © 2002, 45 minuti. Un film di Susan Froemke Storie di sopravvivenza da cinque donne vittime di violenza domestica. Comprende un commento personale di Eve Einsler. Commissionato da Lifetime Television. IN TRANSIT TRAIN Titolo di lavorazione, Albert Maysles Il treno come metafora della vita: storie e incontri filmati nel momento in cui accadono, in tutto il mondo, sopra o fuori da un treno.

CONCERT OF WILLS: MAKING THE GETTY CENTER ©1997, 100 minuti. Un film di Susan Froemke, Bob Eisenhardt, Albert Maysles Cronaca della creazione del Getty Center di Los Angeles (1984–1997) dai piani dell’architetto Richard Meier, che qui firma il suo capolavoro, all’inagurazione. Commissionato dal Getty Trust.

THE JEW ON TRIAL Titolo di lavorazione, Albert Maysles Il caso di Mendel Beilis, accusato impropriamente per la leggendaria calunnia sul sangue (vedi intervista). Famoso ai suoi tempi (Kiev, 1913) si tratta di uno dei più importanti processi del secolo scorso, dal tema per nulla sorpassato. Basta chiedersi cosa significhi essere ebrei.

JAMES BALDWIN: THE PRICE OF THE TICKET ©1998, 87 minuti. Un film di Karen Thorsen, Albert Maysles Un ritratto dello scomparso scrittore e attivista per i diritti civili degli afro-americani. Un’odissea letteraria e una critica sociale. Un film di Karen Torsen realizzato in collaborazione con Maysles Films e la rete televisiva PBS. Distribuito nelle sale di sei Paesi.

THE GATES Titolo in lavorazione, Antonio Ferrera e Albert Maysles L’ultimo progetto realizzato da Christo nel febbraio del 2005: 7500 «portoni» sui sentieri del Central Park di New York. Sedici giorni di festa e bellezza, ventisei anni di preparazione.

100 YEARS OF WOMEN ©1999. Un film di Susan Froemke Conversazioni con donne americane le cui vite hanno abbracciato l’intero XX secolo. Quanto e come i cambiamenti storici degli ultimi 100 anni hanno influito sul modo di vivere dell donne? Commissionato da Lifetime Television. LALEE’S KIN: THE LEGACY OF COTTON ©2000, 88 minuti. Un film di Susan Froemke, Deborah Dickson con Albert Maysles Nel profondo del delta del Mississipi, una bisnonna lotta per tenere insieme la sua famiglia contro la miseria più nera, mentre il sovrintendente di un sistema scolastico circondato da nemici si immola nella sfida di istruire i figli di famiglie non istruite. Commissionato da HBO. Premio per la migliore fotografia ad Albert Maysles al Sundance Festival nel 2001, candidatura all’Oscar come migliore documentario nel 2002.

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Per aggiornamenti e informazioni: www.mayslesfilms.com 25


FILMOGRAFIA IN DVD EDIZIONI EUROPEE Salesman (Le vendeur de bibles) / Grey Gardens (Edie et Mrs Beale) Doppio DVD comprendente le versioni pubblicate negli Stati Uniti dall’etichetta Criterion. Regione 2 Editore Arte Video, Columbia Tri-Star Lingue inglese Sottotitoli francese Extra – commento audio per «Salesman» di Albert Maysles e Charlotte Zwerin. EDIZIONI U.S.A. 5 Films About Christo and Jeanne-Claude – A Maysles Films Production Cofanetto comprendente i seguenti film in 3 DVD: Running Fence; Umbrellas; Christo in Paris; Christo’s Valley Curtain; Islands Regione 0 Editore Plexifilm Lingue inglese Extra – intervista realizzata nel 2004 con Albert Maysles, Christo e Jeanne-Claude; – audio commento per tutti e cinque i film con Albert Maysles, Christo e Jeanne-Claude. The Beatles: The First U.S. Visit Regione 0 Editore Capitol Lingue Inglese Sottotitoli inglese, francese, spagnolo 26

ALBERT MAYSLES: 50 YEARS OF REALITY CINEMA An interview with Albert Maysles by Roberto Rippa

Extra – audio commento di Albert Maysles; – documentario sulla lavorazione (51 minuti) con estratti dal film. Gimme Shelter Regione 0 Editore Criterion Lingue inglese Sottotitoli inglese Extra – commento audio di Albert Maysles, Charlotte Zwerin e Stanley Goldstein; – riprese inedite del tour del 1969 dei Rolling Stones, comprendenti le esecuzioni di «Oh Carol» e «Prodigal Son» dietro le quinte; – galleria fotografica di Altamont, con fotografie di Bill Owens e Beth Sunflower; – estratti dalla trasmissione della stazione radio KSAN del 1969 con una nuova introduzione dell’allora DJ Stefan Ponek; – libretto di 44 pagine. Grey Gardens Regione 1 Editore Criterion Collection Lingue inglese Sottotitoli inglese Extra – commento audio di Albert Maysles, Ellen Hovde, Muffie Meyer e della produttrice Susan Froemke; – estratti dalla registrazione dell’intervista realizzata nel 1976 da Kathryn G. Graham per Interview con Little Edie Beale; – intervista filmata con gli stilisti Todd Oldham e John Bartlett sulla perdurante influenza di Grey Gardens; – centinaia di fotografie da dietro le quinte.

Salesman Regione 1 Editore Criterion Lingue inglese Sottotitoli inglese Extra – audio commento di Albert Maysles e Charlotte Zwerin; – intervista televisiva del 1968 su Salesman con Albert e David Maysles intervistati da Jack Kroll; – fotografie da dietro le quinte. Primary In questo film Albert Maysles ha lavorato come operatore e fotografo. Regione 1 Editore New Video Group Lingue inglese Extra – audio commento di Robert Drew e Richard Leacock; – «The Originators»: Robert Drew, Richard Leacock, D.A. Pennebaker e Albert Maysles ricordano la lavorazione del film; – «30/15»: 30 anni di cinema di Robert Drew; – dichiarazioni e filmografia del regista. The Life Aquatic With Steve Zissou Il doppio DVD prodotto dall’etichetta Criterion contiene This Is An Adventure, documentario di Antonio Ferrera, Albert Maysles e Matthew Prinzing sulla lavorazione del film. Regione 1 Editore Criterion Lingue inglese Sottotitoli inglese, francese, spagnolo

You, along with your brother David, are considered the developers of the socalled “reality cinema”. You studied psychology in Boston and then filmed your first documentary Psychiatry in Russia in 1955. What made you decide to work on this form of cinema in the first place? I think I’m an adventurer and at that time, in 1955, I think it was an adventure to go behind the Iron Curtain, in the Soviet Union, and so when I developed plans to do that at home, because I’m a psychologist, I thought I should investigate mental health and then I thought: “If I’m gonna do that then I should record this to pass it on to other people.” So I thought I would take photographs but then I thought it would be better to make a motion picture and so I borrowed a 16 mm movie camera, got to Russia and made my first film. How did you succeed in going behind the Iron Curtain at that time, considering you are an American citizen? Well, it was easy, although most people didn’t notice, to get a thirty-day tourist visa. That was easy. But once I was in Russia I crashed a party, a Romanian embassy party, where I was told I could possibly meet top Soviet leaders, so one of them, at the very very top, became very friendly and he gave me permission. It is known that you invented highly portable cameras to work with minimal intrusion. How have people’s reactions to the camera changed since your first works and how does this affect your way of working? I think that we mustn’t rely on people changing their behaviour, I think that we rely on the fact that people would rather disclose than to keep a secret. This is something in human nature. People need to be recognized for what they are and so if you approach them in a kindly fashion without imposing yourself then they’ll feel this kind of recognition, which is so fundamental, and they cooperate fully. This is how I gained access to people.

So you never have difficulties in obtaining the real answer, the sincere answers . . . I might have difficulties, for example, with the government. Just before the Iraq war, when the soldiers were gathered in Kuwait and South Arabia I asked the American government if I could go there and be with two or three soldiers one or two days but I couldn’t get permission. That sort of thing is what might stop me, otherwise I’ve had a very easy time getting access. You filmed documentaries about many different subjects: musicians (the Rolling Stones, The Beatles), workers (Salesman), social issues (Abortion: Difficult Choices), writers (Truman Capote), directors (Martin Scorsese, Wes Anderson, Jane Campion . . .) and so on. What guides you when choosing to work on a project? I think, if I look back, that most of the time it’s been luck. When I made Gimme Shelter about the Rolling Stones, it was a friend of mine who had met the Rolling Stones who told me that the Rolling Stones were coming to New York the next day to begin their tour. So I knocked on their door and met them. We attended the concert and I, along with my brother, decided “We should make this film!” As for the Beatles it was a little bit strange: I had a call one day from Grenada Television in England. They said that the Beatles were arriving in NY in 2 hours “Would you like to make a film with them?” So I turned to my brother, because I didn’t know who they were, he knew but I didn’t. We both got on the phone and made the deal and rushed out to the airport exactly when their plane was coming down and we spent the next week with them. We made “Grey Gardens” about those two reclusive women. It came about through a film we were making about on Jackie Onassis’ assistant and when she introduced us to these two women we saw that the real film was with them and so we decided to make a long film on these two women. Just chance encounters . . . We made a number of films on classi-

cal music and those films were made possible by somebody who was an agent for Arrowed and Ozawa and Jessye Norman, for example. And this is how it happened. What’s the difference between filming a documentary or a concert? How is it different for you as a director? Oh, it’s the same. We try to get as close as you can to the people that you are filming. I’m always looking behind the scenes to establish a greater contact, to understand the personality, the human relationships as well as the music. It’s not a secret that television commercials are mostly unsuccessful because they aren’t accessible at the top of communication, one person to another. In television commercials for automobiles, for example, they race around and there’s no human contact for the viewer, so you see it and then it disappears from your memory. If I were making a television commercial on an automobile I’d get behind the wheel with the driver and film what the experience of driving is really like, what it’s like to feel in control. That’s because they don’t understand the importance of the human factor and also they think that incorporating the human factor is getting away from the product. But the human factor is what makes us come in contact with the product. Why do they choose to use the same approach to the products? I think that the advertising companies are most concerned in making commercials that are very expensive, so if you film in a documentary fashion, you could justify $50,000 or $100,000 but not $300,000. They spend it in very, very expensive cinematography but this cinematography has no art, no poetry, no communication behind it. You also worked as a cinematographer for other directors . . . Yes. For Jean-Luc Godard, Orson Welles. We made a film about him talking about the film we were making. We never actually made the film. Also there’s a film called Searching for Bobby Fisher and that director 27


David Maysles

Antonio Ferrera, Albert Maysles

called me to film some scenes and we became good friends and in fact both he and the cinematographer for the film agreed that, having seen my footage, they would modify their way of shooting the rest of the film. About your experience with Godard, how was it? Oh, it was wonderful because he, more than anybody, understood how to make use of documentary cinematography. So what he did was to arrange so that the actors knew their lines, everything was properly lit, there was nothing for me to do about the scene, in fact I didn’t even know what was about to take place and so I walked into the scene and just filmed it. And so it was one long take after another and always when you edit a film, even with the best editing, there’s an artificiality involved in cutting from one cut to another. I think that when the camera films as such, the scene continues without a cut, the viewer feels more in control of the viewing than when editing is controlled by an editor. The Eisenstein approach to montage introduced the kind of artificiality that I think is negated by the documentarian’s camera work when the shot is continuous. So, for example, normally in Hollywood filming you film a close-up, you film a wider shot, you film an establishing shot and also the editing is easier but this is not how normally people see things and so it is less credible. You filmed some documentaries about directors. Yes. 28

What directors do you like the most? I’ve known Scorsese for many years and he’s somebody that appreciates documentaries; he just made some himself. I remember when he made one of his documentaries he asked us to take a look at it, and making a film about him was quite special. Duvall was very good too. Those are my favorite from my experience of filmmaking, those four documentarists . . . also Wes Anderson and Jane Campion. Actually my favorite films are still the old Italian neo-realist films like La Strada. Those films are my favorite even now, maybe because they resemble documentaries.

moment later, to include in the shot. Instead of very expensive film now a tape costs only three dollars, it runs for an hour so you don’t have to stop filming to reload. Actually I thought a great deal about it when I made the transition from film to tape and I came up with thirty reasons to move from 16 mm to tape and I think almost anyone of those was enough to make that transition. And the quality is not 35 mm or 70 mm but what’s more important to the documentary is not the high production value but the high, whatever you call it, poetic value: the value of filming real life without interfering with the people.

In the last 50 years you told a lot about the USA with your documentaries, sometimes less directly, sometimes more. What has changed mainly in creating a documentary for you? Basically it hasn’t changed. The big change took place 5 years after I made my documentary in Russia when I had in my hands much more sophisticated equipment where I could shoot scenes. Big camera but a camera I could hold on my shoulder without needing a tripod. The film was more sensitive so I didn’t have to use lights and all that was required was these two people: a sound person, in that case my brother, and myself with the camera. I could film almost anything. Now it’s even easier to do this and you can do even more because with a little camera that costs two or three thousand dollars you don’t have to hold the camera on your shoulder, your eyes are free to see not only what you’re shooting but what you might want to shoot a

About Salesman, I think it tells a lot about the USA, and I’m not talking just about the workers you filmed. If you filmed it today, what do you think you would find different in that peculiar situation? In those days, in 1968, there were 4’000 men—all men—selling the bible around the country. Those people don’t exist anymore. I don’t think the Bible is being sold door-to-door. It’s strange but door-to-door selling somehow has moved to Japan, where door-to-door salesmen are selling automobiles door-to-door. When I was in high school, the salesman was typified by the brush salesman and I was one of them and I also sold encyclopedias door-to-door to be able to go to college. I think that people have become more skeptical, more afraid of somebody coming into their house so that it is more difficult for a salesman to get into peoples’ homes. That has changed. However, the society is still

a consumer’s society in America and it’s still a capitalistic one and people have the notion that they could do almost anything and exercise their own will power. So the idea of the rugged individualist of those days, in 1968, was represented by the door-to-door salesman. It still prevails. In the lower class we still think that we’re middle-class people and that we can easily get to that class if we only use our energies . So there’s still that faith in the capitalist system. What might be a good question is “to represent this kind of capitalist personality what would one show today?” It’s not the Bible salesman. I have to think about that. Certainly, for that time, Salesman caught probably better than any other film what America is all about and it would be interesting to think about what would be the subject matter for today. I’d have to give it some more thought. In the meantime I’m still making films about Christo’s work. In a sense Christo and Jeanne-Claude represent something very American. I don’t know if they could do their work elsewhere. One would have to ask: “How could two people achieve so much when the traditional forces of society are against them rather than for them?” For every project they have to fight the government, the politics and the system, so in a way they typify the salesman who is out on his own and they certainly are on their own. When my brother and I make a film we are on our own. It’s important for us to maintain our independence in making the films, to make them exactly the way we want them and we don’t have to trade it to the formula that the television network write for their viewers. In America it certainly is very difficult to maintain that kind of independence and to get the support of a television network. They understand their own kind of character on each film so you loose your independence, which is the most valuable power that you have. We’ve been able to maintain our independence by working with one particular channel called Home Box Office (HBO). We made three films for them and we’re making the fourth, The Gates for them. And the commer-

cial networks, the biggest ones (ABC, CBS, NBC and CNN), are not even interested in working with independence so there’s nothing that I could make, even cooperating with them, that they would agree on. About documentary today: I think your documentaries are political even choosing not to use the explicit way. But nowadays they are getting more and more explicit about political issues . . . It’s not so good. I think that the most powerful work of art is one which doesn’t deal with an issue. You look at a portrait of Rembrandt . . . what’s the issue? Shakespeare . . . what’s the issue? These are writers and artists who don’t submit their work to a point of view. Unfortunately documentary filmmakers more and more submit themselves to a point of view. So that documentary offers them an opportunity for propaganda more than a work of discovery, and in the process of becoming propaganda, they lose the ability to tell truthful stories. When you see a film like Salesman, the filming and the editing is totally open-minded, not trying to make anyone look any better, any worse, any worse any different from who they are.That’s the kind of work that makes the film of much longer lasting values. Now it’s been forty years. This film is as strongly truthful today as it was when we made it. And that could be said about Gimme Shelter, Grey Gardens. So that’s my preference: to film non-issue. But I can see the usefulness of making some films that persuade people, about the environment. I would have welcomed the idea of making a film that would have supported the Democratic party against this Bush and even now if something came up that would help to throw light on the administration, a documentary, I would do it. I am making a film, exactly an issue film, about antiSemitism. For eight hundred years now there has been the false notion that the Jews killed Christian children to take their blood to celebrate Passover. There was a trial in 1913 in Kiev that I’m making a documentary about

and about all this era that even goes up to this very moment of anti-Semitism brought about by this blood-libel accusation. The Hezbollah, for example, has come out with a film that would make anybody think that Jews actually did that and there’s no basis for that claim whatsoever so I feel it may answer these charges by telling the truth about them. So that’s a film I’m very devoted to. There’s a church in Poland, a Catholic church and there’s a large Renaissance painting. Anybody walking into the church would immediately see this enormous painting. It depicts a half dozen or so Jews, very tough guys with white beards and long noses. They are surrounding a barrel with males and an infant being tortured and losing all their blood, being collected by one of these guys. There are many implications connected not only to the church, but also to the Vatican under Mr. Ratzinger and nothing has been done about it and at this very moment that picture is still there. And I went to St. Mary’s to film it and to film the priest who was there. He told me all about the picture not mentioning that the Jews actually didn’t do that and there’s no way from seeing the painting to know that it’s a false image. That guy is now the Pope. That’s one example of bad doing; the other one is homosexuality. There’s this film that I’ve been making and that is now finished about a Catholic nun who’s been working with homosexuals and she’s a very devoted Catholic but the church, that is Ratzinger, put a silence on her. When she went to the Vatican, and I went with her, she knocked at the door, but he wouldn’t see her, wouldn’t talk to her. This is interesting: you work in the USA mostly but your films have a meaning everywhere. Does that mean that situations are not as different as we usually think? Yes, that’s right. And even though Salesman is so much about America, anyone can identify because of this special documentary approach. The wonderful thing that happens is that no matter who you are at the time you’re watching Salesman and 29


you’re watching those people on the screen you are those people at that time, you’re in their souls, you feel what it is to be a housewife besieged by a salesperson. You feel how it is to be a salesman who is, day after day, meeting failure. And you feel sad for that person, you are moved. It’s not the kind of entertainment where you are just entertained for that moment and then you forget about the thing, but you’re entertained in such a fashion you’re engaged forever with that film. You’ll never forget them. When we finished making the film we had a special screening for a hundred people and at the end of the screening people in the theatre congratulated my brother and myself. I noticed that there was one person left, a girl, who got up to leave and crossing in our direction I saw she’d been crying and as she got closer I saw how attractive she was. I turned to my brother and said: “She’s for me.” She’s my wife.

the project and that engagement is the perfect matter for the film. The Gates project involved four or five million people from all over who came to Central Park, at a time of the year when nobody goes to the park because it’s February, it’s cold and what’s the point?

Oh yes? There’s an added benefit, you see, in making documentaries . . .

What do you think are the reasons for the success that documentaries receive at the box office in these times? Oh, the most recent ones? There are lots of reasons. Good and bad. It’s interesting to speculate maybe on whether the so-called reality television programs are good or bad for the future of documentary. In my own case I find that the word reality actually is misused when it comes to television programs. In fact the media have not been very honest about telling us these stories. At first, when it was first reported about these programs, the word was used with quotation marks around it but now the quotation marks have been dropped. As if to give a special kind of respect that is not really due to that kind of moviemaking. But on the other hand I think it was inevitable just like in literature: people’s reading habits have moved from fiction to non-fiction in a very significant way. I think it’s inevitable that documentary will take up a larger portion of people’s viewing and there will be some very good films and for my taste too much of documentary filming is devoted to particular issues rather than going beyond

It was a very lucky work for you! In so many ways. About your documentaries on Christo’s and Jeanne-Claude’s works that you are showing in Locarno these days, what sparked your interest in them in the first place? In a way we are a natural fit for each other because the drawings may end up in people’s homes or in museums but the project itself is not just the drawings but events that take place in the real world and as in any documentary, we don’t know what is going to take place later which is the primary quality of reality. So filming Christo’s works always offers the opportunity to film art in the real world. So we are a natural companion for these two people and we’ve been able to make very good films because their art works are connected with the politics, social issues. One of the things that happens is that sometimes after many years four or five million people come to the project, engage themselves with 30

And then it’s just the moment, an image free for all to enjoy. It’s long enough so that many people can see it, right? And long enough so that we can make our films. And than the film becomes the permanent representation of it so that the people who saw it and want to see the film, and people who could never have the opportunity to go to the park at that time, can get a really full experience of what it was like. This is also the one art that you can’t own . . . That’s right.

that and that, I think, is a problem. In too many of them there’s a documentary filmmaker who starts out with a particular point of view or prejudice and is blinded by that narrow point of view. So the truth telling, which I feel to be essential to calling a film a documentary, is non-fiction and it’s got to be non-fiction and I think that is violated to such a point where some of the best documentary filmmakers don’t even believe they can tell the truth. That’s a dangerous tendency. I respect a documentary filmmaker who says “I’m only interested in telling the truth and I believe I can” . . . not that . . . it’s difficult to describe just exactly how. I can claim that I want to tell the truth because three or four filmmakers witnessing the same scene are going to come up with different films but that doesn’t mean that each one is not telling the truth. Nobody is telling the whole truth but one can tell quite truthfully and factually correct a story if they’re capable of doing it. Are people affected by television language all over the world, which is basically the same everywhere, still able to recognize the truth when they see it on the screen? Well, I think so. Recently I got a telephone call from a man in his fifties who said that he was brought up as an orphan and his life has been dedicated to trying to find his father. He wasn’t successful in any way at all except that just at that time when he was calling me he had landed somebody who might tell a great deal about his father and he was about to visit this person and would I came along? So I went with him and even when he was knocking at his door I began filming and then I continued to film two or three hours because that person, who was ninety-one years old, knew everything about his father and showed him photographs and when he looked at the photographs he was just amazed how much he looked like his father. He found out that his father lived to the age of ninety-five and had only died three years before so he still was unable to meet him but that conversation, that meeting, was the most im-

portant moment in his life. Totally fulfilling. You have to be non-human in watching that footage and not to connect with it: a very strong engagement between the two of them, and between them and anybody viewing that scene. It would be that way twenty years ago and would be that way twenty years from now or a hundred years backwards or a hundred years forward. This kind of event is just a matter of being in the right place in the right time. I can tell you it was quite moving when that nun got turned down by Mr. Ratzinger and just as she left the building she turned to us and she said: “Well, the church wants everybody to go by its rules; I go by my conscience”. About your brother: you worked together since your second documentary (Youth in Poland, 1957) up until 1987, when he passed away. How did you work together? Well, in our case we had the advantage of being brothers. For many brothers it’s not that way, they can’t work together. But we came from a family where there was a great deal of love. My parents had a very good relationship with each other and with all the children. So, we were good at working together. I also think that what helped further is that we took on different roles: I was with the camera and my brother was with the sound. It wasn’t just that technical thing that we did together, we both connected with the people that we were filming, we were both involved in raising the money and selecting the subjects. Then my brother took on the task of supervising the editing which was very positive; so, we were very good together. Now I work with an Italian boy by the name of Ferrera and it’s like working with my brother. Even though I’ve been told that his father died when he was 3 years old so he’s always been in search of a father and then, because of the loss of my brother, I’m always in search of a brother so for me he’s my brother and for him I’m his father.

Do your documentaries find their way to the public or is it difficult? There are several films that we made that ended up no place but we are now committed to showing them on DVD. There’s a half-hour film, a wonderful film, that we made of Marlon Brando in the mid-sixties, when he was in his prime There’s a film that we made for television on Truman Capote that hasn’t been shown since then and we’re going to show that on DVD. And a film that has never been shown, a half hour film on Muhammad Ali when he was training for his last fight. You know, it’s interesting, here in Locarno there are more Orson Welles’ films than I could ever imagine that are being shown. Well, my brother and I made an Orson Welles’ film. And unfortunately we didn’t know they were going to be shown, we would have given ours. It’s a ten-minute film that we made as a result of having met Orson Welles by chance in Cannes in 1963 and almost immediately meeting him he had heard of us and he invited us to Madrid and so we spent a week

in Madrid going to bullfights and so on. But as we were there with him he began to talk about how we should make a film together and this little film is that conversation. And so you see clearly in the film how people work with a documentary filmmaker. About DVDs: you own the rights for your documentaries. Are you planning to publish your films independently, through your production company, or are you planning to work with Criterion, who has published Salesman, Green Gardens and Gimme Shelter? Some of these films will be on DVD through Criterion. About The Gates we haven’t decided yet how we’re going to distribute it. But also I think that The Gates will be in cinemas as well. Locarno, August 12, 2005 NOTA: questa è la trascrizione integrale, senza tagli né correzioni, della registrazione dell’intervista.

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