DOSSIER L'umanitĂ che soffre Il pianeta che soffre
Le vittime civili non sono “solo un effetto collaterale della guerra”
Un fenomeno in aumento, denuncia l'Arcivescovo Celestino Migliore NEW YORK, venerdì, 16 gennaio 2009 (ZENIT.org).- Le vittime civili dei conflitti armati non possono essere considerate “solo un effetto collaterale della guerra”, ha avvertito la Santa Sede all'ONU. L'Arcivescovo Celestino Migliore, Nunzio Apostolico e Osservatore Permanente della Santa Sede presso il Palazzo di vetro, ha offerto questo giovedì alcuni criteri morali intervenendo al dibattito sulla protezione dei civili nei conflitti armati, svoltosi al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Il rappresentante papale ha iniziato constatando che “il Consiglio di Sicurezza affronta la questione della difesa dei civili nei conflitti armati da più di dieci anni”. La sicurezza dei civili durante i conflitti, ha denunciato, “sta diventando sempre più critica, se non a volte drammatica, come abbiamo testimoniato nei mesi, nelle settimane e nei giorni scorsi nella Striscia di Gaza, in Iraq, nel Darfur e nella Repubblica Democratica del Congo, solo per fare qualche nome”.
Per questo motivo, ha rivolto un appello “ad assicurare la protezione dei civili attraverso un maggiore rispetto per le regole del Diritto internazionale umanitario”. A questo scopo ha presentato tre pilastri fondamentali per assicurare più protezione ai civili nei conflitti: “accesso umanitario, speciale protezione dei bambini e delle donne e il disarmo”. “Lo schiacciante maltrattamento di civili in troppe parti del mondo non sembra essere solo un effetto collaterale della guerra”, ha proseguito. “Continuiamo a vedere civili presi di mira deliberatamente come mezzi per raggiungere obiettivi politici o militari”, ha lamentato, aggiungendo che “negli ultimi giorni abbiamo testimoniato un fallimento pratico, da ogni parte, nel rispettare la distinzione tra obiettivi civili e militari”. “E' triste - ha dichiarato - che i progetti politici e militari scavalchino il rispetto per la dignità e i diritti delle persone e delle comunità, quando i metodi o gli armamenti vengono usati senza prendere tutte le misure ragionevoli per evitare i civili; quando le donne e i bambini sono usati come scudo dai combattenti; quando viene negato l'accesso umanitario nella Striscia di Gaza; quando in Darfur la gente viene sfollata e i villaggi sono distrutti; quando vediamo la violenza sessuale che devasta la vita delle donne e dei bambini nella Repubblica Democratica del Congo”. In questo contesto, il presule ha riconosciuto che “la protezione dei civili richiede non solo un rinnovato impegno nei confronti del Diritto umanitario, ma in primo luogo una volontà politica e un'azione positive”. La protezione dei civili, ha constatato, “deve essere basata su un diffuso esercizio responsabile della leadership. Ciò richiede che i leader esercitino il diritto di difendere i propri cittadini o il diritto all'autodeterminazione ricorrendo solo a mezzi legittimi”. Richiede anche, ha aggiunto, il pieno riconoscimento della loro responsabilità nei confronti della comunità internazionale e il rispetto per il diritto di altri Stati e comunità “di esistere e coesistere in pace”.
Monsignor Migliore ha affermato che “il crescente numero delle vittime di guerra e delle conseguenze per i civili deriva anche dalla produzione massiccia e dalla continua innovazione e sofisticazione degli armamenti”. “La qualità e disponibilità sempre maggiore di armi di piccolo calibro e di armi leggere, così come delle mine antiuomo e delle bombe a grappolo, rende tragicamente l'uccisione di esseri umani molto più semplice ed efficace”. Il presule ha quindi lodato la Convenzione sul bando delle bombe a grappolo e ha incoraggiato i Paesi a “ratificare questo trattato come una questione prioritaria e un segno del loro impegno per far fronte alla morte delle popolazioni civili”.
Il diritto internazionale umanitario (DIU) è l'insieme delle norme di diritto internazionale che riguarda la protezione delle cosiddette vittime di guerra o vittime dei conflitti armati.
Comprende anche il cosiddetto diritto bellico, che tratta dei doveri comportamentali dei combattenti in un conflitto e dei mezzi e metodi di guerra.
Altra definizione del DIU è quella di ius in bello, ovvero appunto le regole che, in caso di conflitto armato, devono indirizzare la condotta delle operazioni belliche.
Il diritto internazionale umanitario (o diritto umanitario) costituisce una parte molto importante del diritto internazionale pubblico e include le regole che, in tempo di conflitto armato, proteggono le persone che non prendono, o non prendono più, parte alle ostilità e pongono limiti all’impiego di mezzi e metodi di guerra.
La base fondamentale del diritto umanitario è attualmente costituita dalla I Convenzione di Ginevra del 22 agosto 1864 (data di nascita del Diritto Internazionale Umanitario) e dalle quattro Convenzioni di Ginevra del 1949 e dai successivi due Protocolli aggiuntivi dell'Aja del 1977. A questi documenti vanno aggiunti molti altri, quali la Convenzione dell'Aja per la Protezione dei beni culturali del 1954, la Convenzione di Ottawa del 1997 sull'eliminazione delle mine antipersona, le convenzioni in materia di divieto di uso di armi indiscrinanti e di modifica ambientale
Stato
Abitanti (1939)
Vittime Militari
Albania
1,100,000
Australia
7,000,000 39,366
Belgio
Vittime Civili
28,000
Vittime Totali
Vittime/1, 000 ab.
28,000
25.5
735
40,119
5.7
8,400,000 12,000
76,000
88,000
10.5
Birmania
17,500,000
60,000
60,000
3.4
Brasile
41,500,000 493
493
0.00
Bulgaria
6,300,000 22,000
22,000
3.5
Canada
11,600,000 39,300
Cecoslovacchi 15,300,000 30,000 a
340,000
39,300
3.4
370,000
24.2
Cina [1]
530,000,0 15,500,0 19,600,00 4,100,000 37.0 00 00 0
Corea [2]
23,400,00 0
378,000
378,000
16.2
Danimarca
3,800,000
4,100
4,100
1.1
Estonia
1,100,000
40,000
40,000
36.4
Etiopia
14,100,000 5,000
200,000
205,000
14.5
Filippine
16,400,000 42,000
119,000
161,000
9.8
Finlandia [3]
3,700,000 91,000
2,000
93,000
Francia [4]
41,700,000 210,000
350,000
560,000
Germania [5]
78,000,00 2,100,00 7,600,00 5,500,000 97.4 0 0 0
Giappone [6]
78,000,00 1,930,000 700,000 0
2,630,00 33.7 0
Grecia
7,200,000 20,000
280,000
300,000
India
345,000,0 36,100 00
1,500,00 1,536,100 4.5 0
Indocina
24,600,00 2,000 0
485,000
487,000
19.8
Indonesia
70,500,00 0
400,000
400,000
5.7
Iraq
3,700,000 1,000
1,000
0.3
Isole del pacifico
1,900,00
57,000
57,000
30.0
Italia [7]
43,800,00 313,000 0
130,000
443,000
10.1
Jugoslavia
15,400,000 300,000
800,000
1,100,000 71.4
Lettonia
2,000,000
220,000
220,000
13.4
41.7
110.0
Lituania
2,500,000
345,000
345,000
138.0
Lussemburgo
300,000
4,000
4,000
13.3
Malaysia
5,500,000
83,000
83,000
15.1
Malta
300,000
2,000
2,000
6.7
Mongolia
700,000
300
300
0.4
Nuova Zelanda
1,600,000
12,200
12,200
7.6
Norvegia
2,900,000 3,000
7,000
10,000
3.4
Paesi Bassi
8,700,000 12,000
200,000
212,000
24.4
Polonia
34,800,00 123,000 0
5,500,00 5,623,00 161.6 0 0
Regno unito
47,800,00 272,000 0
93,500
365,500
7.6
Romania
19,900,000 317,000
450,000
767,000
38.5
Singapore
700,000
200,000
200,000
285.7
Spagna
25,500,00 4,000 0
4,000
0.2
Sudafrica
10,300,000 6,841
6.841
0.7
Thailandia
15,300,000 5,647
310
5,957
0.4
Ungheria
9,200,000 300,000
280,000
580,000
63.0
Unione Sovietica [8]
168,500,00 10,400,00 12,600,0 23,000,0 164 0 0 00 00
USA
132,000,00 405,000 0
Totale
1,899,500, 22,563,24 48,524,6 71,087,91 35.9 000 7 63 0
8,000
413,000
3.1
1. ^ Cina: i morti della Seconda guerra sino-giapponese sono stimati da
2.
3.
4.
5.
John Dower a 10 milioni di cui 3,200,000 militari del Kuomintang. Questa stima non include i morti dovuti a conflitti interni, carestia e allagamento. I morti totali sono difficili da calcolare perchÊ non ci sono stati censimenti prima della guerra. R. j. Rummel ha stimato i morti tra 10,600,000 e 37,000,000 e ha detto che il numero piÚ attendibile è 19,605,000 (di cui 3,400,000 militari morti di esercito nazionalista e guerriglieri comunisti, 432,000 militari collaborazionisti morti, 3,252,000 civili morti per operazioni militari, 56,000, 3,949,000 civili uccisi dai giapponesi, 5,097,000 vittime del Kuomintang (di cui 3,081,000 militari coscritti), 250,000 vittime dei comunisti, 110,000 vittime dei signori della guerra e 2,250,000 morti per le carestie). ^ Corea: John W. Dower ha stimato che 70,000 coreani coscritti morirono in Giappone inclusi 10,000-15,000 nelle bombe di Hiroshima e Nagasaki. I morti corani nell'esercito giapponese sono inclusi nei morti giapponesi. V. Erlikman, uno storico russo, ha stimato tali morti a 10,000, su un totale di 100,000 coreani che prestarono servizio militare nell'esercito giapponese. ^ Finlandia: i morti includono i morti nelle guerre del 1939-1940 e 1941-1944 contro l'Unione Sovietica e della guerra del 1944 contro la Germania. I morti furono rispettivamente 26,000, 67,000 e 1,000. Nel 1939-1940 il corpo di svedesi volontari ebbe 28 morti. Le vittime ebree furono 11. ^ Francia: i morti militari includono 150,000 membri dell'esercito (92,000 nella campagna di Francia nel 1940 e 58,000 nelle battaglie sul fronte est, 1940-1945), 20,000 partigiani francesi e 40,000 prigionieri di guerra. I morti francesi nell'esercito tedesco (30,000-40,0000) non sono inclusi. I morti civili includono 120,000 morti e per azioni militari e 230,000 per le rappresaglie e massacri nazisti. V. Erikman, uno storico russo, ha stimato che 22,000 africani nell'esercito francese morirono. I morti del popolo Rom furono 15,000 e quelli ebrei 83,000. ^ Germania: un nuovo studio del Dr. Rßdiger Overmans dell'Ufficio della Storia Militare Tedesca di Potsdam basato sui rapporti
dell'alto comando tedesco ha alzato la cifra dei morti tedeschi da 4,600,000 a 5,318,531. Infatti prima non si erano calcolate le forze paramilitari combattenti con l'esercito (230,000 morti) e i quelli creduti civili che in realtà hanno combattuto nell'Europa dell'est. Morti per teatro di operazioni: Africa: 16,066; Balcani: 103,693; nord: 30,165 ; ovest: (fino al 31 dicembre 1944): 339,957; Italia: 150,660; fronte est (fino al 31 dicembre 1944): 2,742,909; guerra finale (est e ovest) 1945: 1,230,045; altro (inclusa la guerra aerea e navale): 245,561; prigionieri morti: 459,475. Il totale è 5,318,531. Questa cifra include i dispersi (2,200,000 circa) i quali ormai si danno per morti. I morti civili includono 400,000 morti in attacchi aerei, 600,000 uccisi dai nazisti (di cui 300,000 per motivi politici) e 1,100,000 morti nell'est Europa in seguito alla campagna del 1945 e all'espulsione dopo la seconda guerra mondiale. 6. ^ Giappone: i morti militari includono 186,000 in Cina dal 1937 al 1941 e 1,555,000 dal 1941 al 1945, piÚ 300,000 dispersi. I morti civili includono 393,000 morti dovuti ai bombardamenti degli Stati Uniti tra cui 210,000 morti per le bombe di Hiroshima e Nagasaki. 150,000 civili vennero uccisi a Okinawa e 10,000 a saipan durante i combattimenti. Il Yasukuni Shrine in Giappone elenca i nomi di 2,315,128 militari morti dal 1937 al 1945 inclusi i cinesi e i coreani nell'esercito giapponese. I morti dopo la guerra per le radiazioni sono stimati a 110,000. 7. ^ Italia: il rapporto Morti e dispersi per cause belliche negli anni 1940-45, il conto ufficiale delle perdite fatto da Roma: Istituto Centrale Statistica nel 1957 riferisce il numero esatto di morti. I morti militari sono stati 291,376, di cui 204,346 prima dell'armistizio (66,686 morti in battaglia o per ferite, 111,579 dispersi certificati morti e 26,081 morti per cause non belliche) e 87,030 dopo l'armistizio (42,916 morti in battaglia o per ferite, 19,840 dispersi certificati morti e 24,274 morti per cause non belliche). I morti per branco di servizio: esercito: 201,405, marina: 22,043, aviazione: 9,096, forze coloniali: 354, cappellani: 91, milizia fascista: 10,066, forze paramilitari: 3,252, non indicati: 45,078. Morti per teatro di operazioni: Italia: 74,725 (di cui 37,573 dopo l'armistizio), Francia: 2,060 (1,039 dopo l'armistizio), Germania: 25,430 (24,020 dopo l'armistizio), Grecia, Albania e Jugoslavia:
49,459 (10,090 dopo l'armistizio), Unione Sovietica: 82,079 (3,522 dopo l'armistizio), Africa: 22,431 (1,565 dopo 'armistizio), mare: 28,438 (5,526 dopo l'armistizio), altro: 6,844 (3,695 dopo l'armistizio). I prigionieri morti sono inclusi nella lista sopra. I morti civili sono stati 153,147 (123,119 dopo l'armistizio) inclusi 61,432 in attacchi aerei (42,613 dopo l'armistizio). Per ulteriori approfondimento si veda qui. Nella perdite vanno aggiunti 15,000 soldati africani coscritti. Sono incluse le 64,000 vittime delle repressioni e genocidi nazisti (tra cui 30,000 prigionieri). I morti militari dopo l'armistizio includono 5,927 schierati con gli alleati, 17,166 partigiani e 13,000 della Repubblica Sociale Italiana. 1,000 persone del popolo rom e 8,562 ebrei morirono. 8. ^ Unione Sovietica: il numero ufficiale di militari morti è 8,668,400 (di cui 6,330,000 morti in azione o per ferite, 556,000 morti per cause non belliche, 500,000 dispersi e 1,283,000 morti in prigionia su un totale di 4,059,000 prigionieri). Le stime occidentali dei prigionieri sovietici sono invece di 5,700,000 prigionieri di cui 3,300,000 morti. Richard Overy ha detto che nel 1941 e 1942 i morti, feriti, dispersi e anche coscritti erano difficilmente calcolabili. Secondo molti storici agli 8,668,400 morti vanno aggiunti 1,500,000 coscritti di riserva morti o dispersi (soprattutto nel 1941) prima di essere messi nelle forze attive, 150,000 miliziani e 250,000 partigiani. Così i morti arrivano a 10,600,000. Durante la guerra in URSS morirono 13 milioni di uomini tra 17 e 39 anni. Se è vero che morirono 3,300,000 prigionieri anziché 1,283,000 le cifra è di 12,600,000. Dopo la fine della guerra la popolazione era 26,600,000 di meno che prima della guerra (questa cifra include 3,300,000 civili morti nelle aree annesse nel 1939-1940). Lo storico Vadim Erlikman ha stimato che i morti nella guerra siano stati 26,500,000 più 1,700,000 per le repressioni di Stalin. Secondo lui i morti militari sono stati 10,600,000 di cui 7,600,000 morti e dispersi, 2,600,000 morti in prigionia (di 5,200,000 prigionieri) e 400,000 morti delle forze paramilitari e partigiane. I civili morti sarebbero 15,900,000 di 1,500,000 per azioni militari, 7,100,000 per le rappresaglie e i genocidi nazisti, 1,800,000 nei campi di lavoro nazisti e 5,500,000 per le carestie.
Cinquanta miliardi per le vittime di Hitler dal nostro inviato NICOLA LOMBARDOZZI LONDRA - La maledizione del tesoro di Hitler continua. Politici e banchieri di 41 paesi stanno litigando, da ieri mattina, sui resti dell'immensa fortuna razziata dalle armate naziste prima e dopo la guerra. Convocata forse con un po' troppo ottimismo, definita da alcuni entusiasti del governo Blair "storica" e addirittura "moralmente miracolosa", la grande assemblea sembra invece subito inciampata sull'ostacolo più antico e più macabro. Cinque tonnellate e mezzo di lingotti d'oro (qualcosa come cento milioni di dollari, 170 miliardi di lire) prodotti nelle fonderie del Reich con bottino di ogni genere: altri lingotti provenienti da banche di paesi occupati, ma anche bracciali, orologi, collane, gioielli vari rubati durante i rastrellamenti nelle case dei civili e degli ebrei in particolare. Perfino denti e otturazioni d'oro, meticolosamente estratti a tutti i detenuti dei campi di concentramento. Tanto orrore, alla conferenza dei banchieri si riduce però a una questione cinicamente semplice: si tratta di scegliere tra due possibilità. La prima è classificare questo oro come "monetario" e dunque restituirlo direttamente alle banche centrali dei paesi occupati. Così si è fatto fino ad ora con altro oro recuperato dalle forze Alleate e ritornato nelle banche di molti paesi europei, Italia compresa. L'altra possibilità è di cercare in qualche modo di indennizzare più direttamente i legittimi proprietari o meglio i loro eredi, versando l'oro rimasto al Congresso ebraico mondiale. Sono 50 anni che si dibatte. E 50 anni che non ci si mette d'accordo. Deve esserci rimasto male il ministro degli Esteri britannico Robin Cook che ieri ha fatto gli onori di casa nella Lancaster House, cupo edificio edoardiano a cento metri da Buckingham Palace annunciando un'iniziativa che avrebbe
dovuto sbloccare la situazione. Per cercare di trascinare banche e governi più duri a convincersi, Londra e Washington hanno costituito un fondo per le vittime dell'Olocausto e per iniziative che servono "a mantenere acceso il fuoco della memoria in tutto il mondo". Gli Usa vi verseranno, nel giro di cinque anni, 25 milioni di dollari: Londra ci mette subito un milione di sterline, tre miliardi di lire. E gli altri? Silenzio. Si discute a porte chiuse e attraverso indiscrezioni lasciate filtrare ad arte dalle varie commissioni. Quella inglese fa sapere che il tentativo è appunto di versare nel Fondo anche il famoso oro dei lingotti nazisti. Per fare questo occorre però il consenso della Francia che, insieme a Stati Uniti e Gran Bretagna, fa parte della speciale commissione incaricata nel '46 della spartizione dell'oro nazista. E un impeccabile commissario francese si presenta subito in sala stampa per far sapere che Parigi non ci pensa nemmeno. E' probabile, questo sì, che farà una donazione per il fondo di Londra ma intende riassegnare l'oro dei nazisti con i criteri seguiti fino ad ora. Cioè ai governi. In particolare anzi, a quello francese visto che rivendica la proprietà di quasi la metà dell'oro rimanente. Ma non basta. Un'altra vicenda infinita che appare sempre più complicata è quella dei conti degli ebrei, lo scandalo che ha travolto le banche svizzere e che ha svelato la credulità al limite della complicità degli istituti di credito elvetici che per anni hanno accettato versamenti di beni confiscati dalle Ss agli ebrei. Arrivati a Londra con l'inevitabile marchio degli imputati, gli svizzeri si sono presentati con un'agguerrita delegazione, la più numerosa, di avvocati, storici e banchieri grintosi; decisi a non recitare da soli la parte dei cattivi gli svizzeri hanno risposto duramente alle richieste del Congresso mondiale di altri miliardi di dollari di indennizzo. Thomas Borer, presidente della speciale task force del governo di Berna che ha indagato sulle omissioni svizzere negli
Anni Quaranta ha fatto da protagonista in una dura conferenza stampa: "Noi non abbiamo alcuna responsabilitĂ nell'Olocausto. Sia chiaro. E non dobbiamo dunque alcun indennizzo. Noi, a differenza di altri, abbiamo indagato sui nostri errori". Polemiche e frecciate che hanno offuscato il clima di ottimismo iniziale quando con un po' d'inevitabile retorica, Robin Cook aveva cercato di spostare il discorso dalle cifre dell'Olocausto visto dai banchieri al ricordo di una tragica realtĂ . Dopo aver letto una brevissima poesia di un ragazzo ucciso nel ghetto di Varsavia, Cook aveva concluso senza molta convinzione: "PerchĂŠ sono le persone le vere vittime della guerra. Non certo le banche centrali".
(3 dicembre 1997)
DOMANDE E RISPOSTE SULLA GUERRA Qual è il fine della guerra di Bush? “Non è un segreto che l'amministrazione Bush sta portando un attacco contro la gente e le future generazioni nell'interesse di ristretti settori ricchi e potenti che serve con una lealtà che va persino oltre il normale. In queste circostanze è sicuramente opportuno sviare l'attenzione dalla sanità, dalla sicurezza sociale, dai debiti, dalla distruzione dell'ambiente”, ha affermato Noam Chomsky. E’ stata inutile la mobilitazione per la pace? Cortei e bandiere della pace sono state l’espressione di un’opinione pubblica che si è schierata per i tre quarti contro la guerra togliendo legittimità ad ogni intervento dell’Italia nel conflitto. Le mobilitazioni non avevamo come nemico Bush o Saddam, ma l’indifferenza, che è stata sconfitta. Bush va alla guerra privo del consenso internazionale e sorretto unicamente della forza bruta. Grazie alla pressione dell’opinione pubblica Bush è rimasto politicamente in minoranza nell’Onu. Quindi possiamo dire che grazie al dipiegamento della mobilitazione popolare i governi si sono spostati verso posizioni pacifiste e ora possiamo dire che questa guerra priva di autorizzazione esplicita del Consiglio di Sicurezza dell’Onu è illegittima. Anche il governo italiano ha dovuto barcamenarsi: si è impegnato, ma in maniera marginale. A questo dobbiamo aggiungere lo schieramento esplicito e severo del Papa e di molte Chiese contro la guerra. I media, un tempo schierati alla grande su posizioni filointerventiste, hanno espresso giudizi critici. Il “no alla guerra” ha attraversato tutti i settori dell’opinione pubblica, andando dall’80% della sinistra al 45% del centro-destra. Il movimento pacifista ha saputo opporsi alla guerra senza venir meno alla risoluta opposizione a Saddam Hussein e a tutte le dittature. I partiti politici hanno dovuto rivedere vecchie posizioni sulla “guerra giusta” e anche dentro la maggioranza governativa non c’è stata uniformità di vedute, data l’esplicita presa di posizione del Papa e dell’opinione pubblica. Infine lo sviluppo dell’apparato produttivo non dà segni positivi e la guerra incombe come un’incognita, come ha sottolineato il governatore della Banca d’Italia Fazio; al di là dei movimenti di borsa (fino a pochi giorni fa in ribasso e oggi in rialzo per ragioni speculative) non vi sono rosee previsioni per l’economia reale. In
questo quadro l’opposizione alla guerra ha raggiunto un obiettivo importantissimo: opporre alla forza militare di Bush un imponente schieramento di opinione pubblica mondiale che in democrazia tutti i governi devono tenere presente.
Qual è l’orientamento dell’opinione pubblica italiana circa la guerra? I favorevoli all’attacco senza il consenso dell’ONU risultano essere il 26% il 20 marzo 2003, giorno in cui è iniziata la guerra. Qual è la posizione delle Chiese? Il S.A.E. (Segretariato Attività Ecumeniche), parlando delle prossime vittime della guerra, ha specificato: “Le sue vittime, insomma, non sarebbero solo le tante - troppe che segnaleranno i bollettini, o che saranno coperte da un calcolato silenzio. Ad essere drammaticamente compromesse, infatti, sarebbero anche le possibilità di convivenza su questo fragile pianeta. Ad essere strozzati sarebbero tutti quei laboratori di dialogo che, in tante parti del globo, cercano di elaborare ipotesi di pace, al di là dei conflitti. Come associazione che proprio nel dialogo - tra le chiese, tra le religioni, tra le culture - ha il centro del suo impegno, vogliamo dunque unire anche le nostre parole al grido di pace. Vogliamo riaffermare che questa guerra è inaccettabile, nelle sue motivazioni - quelle ideali dichiarate e quelle reali, assai meno nobili - come nelle modalità e nelle conseguenze che si prospettano. Vogliamo dire - e dirlo insieme, come credenti di diverse appartenenze - che essa è del tutto incompatibile con la fede in un Dio della pace, al cui cospetto è impossibile dichiararla giusta”.
E’ vero che un possibile uso (mai smentito dalla Casa Bianca) delle armi nucleari penetranti “di precisione” colpirebbe i bunker di Saddam Hussein causando una limitata dispersione radioattiva? No. L' Internazionale Medici per la Prevenzione della Guerra Nucleare (IPPNW) ammonisce che l'uso di bruciatori nucleari di bunker ("bunker busters") causerebbe migliaia di vittime da radiazioni. L'uso a Baghdad di armi nucleari penetranti il terreno (EPW), anche note come Bruciatori di
Bunker (Bunker Busters), disperderebbe inevitabilmente detriti e polveri radioattive su diversi chilometri quadrati e produrrebbe dosi fatali di radiazioni su decine di migliaia di vittime.
Chi ha fornito a Saddam Hussein le armi di distruzione di massa? Ha scritto Noam Chomsky: “I reaganiani e Bush I hanno continuato ad accogliere il mostro come un alleato e l'hanno ritenuto un partner commerciale proprio mentre si macchiava delle peggiori atrocità e anche oltre. Bush ha autorizzato l'avallo di prestiti e la vendita di alta tecnologia con le sue evidenti applicazioni per la fabbricazione di ordigni di distruzione di massa (WMD) fino al giorno dell'invasione del Kuwait, talvolta ignorando gli sforzi del Congresso di impedire quello che stava facendo. La Gran Bretagna ha autorizzato l'esportazione di equipaggiamento militare e di materiali radioattivi anche pochi giorni dopo l'invasione. Quando l'allora corrispondente dell'ABC, oggi commentatore di Znet, Charles Glass scoprì (per mezzo dei satelliti commerciali e la testimonianza dei disertori) gli impianti per la fabbricazione di ordigni biologici, le sue rivelazioni furono immediatamente smentite dal Pentagono e sulla storia cadde il sipario. Quando nel dicembre del 1989 Bush I annunciò nuovi regali al suo amico (che peraltro erano regali anche per l'agrobusiness e l'industria USA), la cosa fu ritenuta troppo poco significativa persino per darne notizia, benché si possa leggere di questo su "Z magazine" dell'epoca e, forse, non altrove. Pochi mesi dopo, poco prima che invadesse il Kuwait, una delegazione di altissimo livello del senato, condotta da quello che sarebbe stato più tardi il candidato alla Presidenza, Bob Dole, ha fatto visita a Saddam, trasmettendogli i saluti del Presidente e assicurando il brutale assassino di massa che non avrebbe dovuto preoccuparsi delle critiche da parte dei giornalisti alternativi di qui di cui aveva avuto notizia.” E’ vero che l’Irak stava acquistando uranio dal Niger? No, la documentazione fornita da Washington e Londra sui legami IraqNiger era falsa. Ciò fa seguito allo scandalo del rapporto Blair sulle “armi proibite” di Baghdad copiato da una tesi di laurea, tesi scritta nei primi anni Novanta e copiata con tutti gli errori ortografici dell’autore. Manuel-Eugeniu
Emarginazione Emarginazione (astratto di emarginare, in origine termine burocratico col significato di "annotare sui margini", e poi, in generale, è uno status o condizione, individuale o collettivo, di esclusione dai rapporti sociali, e può giungere fino alla negazione dei diritti civili.
Nozione sociologica e psicologica • L' emarginazione sociale è una situazione di disagio materiale e sociale della formazione sociale, che rientra nel concetto legale di esclusione sociale, ed è molto relazionata alle situazioni di povertà ed alla discriminazione. • L' emarginazione individuale è una situazione di disagio psichico e sociale dell'individuo caratterizzata da un non volontario isolamento individuale, ed è molto relazionata all'elemento del carattere psichico che è la introversione, ed alla discriminazione.
Cause della emarginazione individuale Tra le cause altre della emarginazione indivisuale: • Conflitto personale, conflitto familiare, conflitto sociale. • Pregiudizi personali, culturali, di gruppo. • Ignoranza delle situazioni o delle conseguenze di tali situazioni. Anche quando l' emarginazione ha come causa principale fattori di tipo economico, la responsabilità dei singoli e/o dei gruppi sociali e delle loro azioni o inazioni è da considerarsi un fattore attivo di produzione dell' emarginazione stessa.l emarginazione può essere grave o semigrave
Casi di auto-emarginazione Esistono casi, dove l' emarginazione è originata da problematiche personali ed esistenziali, almeno come concausa importante. Tipici di questi casi sono i fenomeni dei barboni, dei clochard(s), del nomadismo o randagismo, per i casi dove la scelta personale ha motivazioni profonde.Anche in questi casi - però - l'analisi dei fatti, delle motivazioni e delle mancate alternative ci porta a considerare che le vere cause sono da ricercarsi in situazioni e accadimenti che sono successivamente metabolizzati con
motivazioni giustificative. Alcune delle cause che producono emarginazione e auto-emarginazione: • • • • • •
Separazioni familiari, Perdita del lavoro, Perdita dell'alloggio, Indigenza economica, Disturbi psichici, Violenze subite,
Si può affermare che nei casi di auto-emarginazione risieda un forte rifiuto della società come tale, com'è, che, originandosi dalla impossibilità di risolvere le proprie problematiche esistenziali (economiche, familiari, personali), sfocia in una giustificazione del proprio status che viene elaborata a supporto della possibilità di sopravvivenza (mentale).
Forme gravi di emarginazione Esistono forme di emarginazione che sono ancora più gravi perché sono prodotte dal pregiudizio, dall'ignoranza, dall'azione attiva di gruppi e persone verso altri gruppi e altre persone. Esse sono: • Il pregiudizio sull'origine delle persone (o razzismo), • Il rifiuto verso gli aderenti a religioni o confessioni diverse dalla propria, • La discriminazione verso l'appartenenza ad un sesso o verso scelte di relazione affettiva (principalmente verso gli omosessuali), • Il disconoscimento verso le persone diversamente abili, • Il timore che produce distanza verso gli ammalati, • Il disprezzo verso altri gruppi sociali, quali ad esempio: • i nomadi • i nativi. Compito della società deve essere il rimuovere tutte le emarginazioni perché producono disagio, sofferenza, squilibrio, tensioni, spreco di risorse (personali e intellettuali).
Forme criminali La diffusione di una "cultura" dell' emarginazione verso individui o verso gruppi sociali può sfociare in comportamenti criminali anche estremamente gravi.Le persone, i gruppi o - addirittura - le autorità statali che commettono certi crimini si basano, per
le loro azioni, nella convizione di un supposto consenso sociale.Così è avvenuto anche per (elenco non esaustivo riportato a solo titolo esemplificativo): • La persecuzione contro gli ebrei e altri gruppi, portata avanti dal nazismo; • Le persecuzioni razziali nei confronti delle etnie non caucasiche in Sud Africa, negli Stati Uniti e in altre aree; • La pulizia etnica nella guerra dell'ex Jugoslavia e durante la guerra civile in Ruanda; • Gli omicidi e i ferimenti contro omosessuali.
Discriminazione La discriminazione è il trattamento non paritario attuato nei confronti di un individuo o un gruppo di individui in virtù della loro appartenenza ad una particolare categoria. Alcuni esempi di discriminazione possono essere il razzismo, il sessismo e l'omofobia.Due caratteristiche principali necessarie a definire discriminazione un atteggiamento nei confronti di un individuo o un gruppo di individui sono: • un trattamento particolare, diverso rispetto agli altri individui o gruppi di individui; • un'assenza di giustificazione per questo differente trattamento.
Con questa definizione è chiaro che trattamenti particolari come i congedi di
maternità non siano discriminatori perché giustificati dalla situazione.Tuttavia il consenso sociale è un indicatore piuttosto inaffidabile per determinare ciò che sia definibile discriminazione e ciò che non lo è. Ciò che ora è considerato normale e non discriminatorio, infatti, in un altro tempo o in un altro luogo può essere considerato discriminazione. Un esempio di come uno stesso criterio di valutazione può essere discriminatorio o meno è l'età: a volte usato in modo consensuale (per esempio nell'età minima per partecipare alla vita pubblica), a volte in modo discriminatorio (ad esempio quando diventa ragione di rifiuto da parte dei datori di lavoro).La discriminazione ha origini molto antiche, e nella sua storia l'uomo è riuscito a ridurre o eliminare buona parte di queste discriminazioni. Alcuni esempi e grandi rappresentanti di questa tendenza sono Martin Luther King, attivista nonviolento per i diritti civili fondamentali per le persone di colore, e Nelson Mandela, che ebbe un ruolo fondamentale nella fine del periodo fortemente discriminatorio dell'apartheid. Un grave caso di discriminazione tuttora presente in moltissime società è la discriminazione della donna.A livello internazionale la legislazione in materia di discriminazione è determinata dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, redatto dalle Nazioni Unite e firmato a Parigi il 10 dicembre 1948, in cui si sanciva il rispetto nei confronti di ogni individuo indipendente dalla sua appartenenza ad una particolare religione, etnia, sesso, lingua. Quest'ultima carta nacque in risposta alle atrocità commesse dal regime nazista, frutto proprio di discriminazioni razziali (verso ebrei, slavi, zingari, ecc.), per le preferenze sessuali (omofobia) e per le opinioni politiche. La Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea all'articolo 21 afferma che: 1. È vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l'origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l'appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, gli handicap, l'età o le tendenze sessuali. 2. Nell'ambito d'applicazione del trattato che istituisce la Comunità europea e del trattato sull'Unione europea è vietata qualsiasi discriminazione fondata sulla cittadinanza, fatte salve le disposizioni particolari contenute nei trattati stessi.
Politiche per eliminare la discriminazione Per limitare gli effetti della discriminazione si adottano politiche di discriminazione positiva: si privilegiano, cioè, quelle categorie che sono state o si ritengono discriminate, ad esempio riservando agli appartenenti a questi gruppi di persone posti di lavoro in enti pubblici o università.Un esempio di questo tipo di "discriminazione" è l'introduzione delle "quote rosa", proposta all'interno di alcuni partiti politici. Attualmente, infatti, nel Parlamento italiano c'è un forte squilibrio tra i due sessi: • Al Senato su 333 senatori 45 sono donne (13.51%); • Alla Camera su 630 deputati ci sono 108 donne (17.14%). In Italia esiste un dipartimento preposto ad eliminare eventuali discriminazioni chiamato "Dipartimento per le pari opportunità."Il 2007, per un'iniziativa promossa dal consiglio e dal parlamento europeo, è stato definito l'"anno europeo delle pari opportunità per tutti", il cui obiettivo è rendere tutti i cittadini più consapevoli del proprio diritto di godere di uguali trattamenti e vivere una vita libera da qualsiasi discriminazione.
Le guerre dimenticate Il mondo, ossessionato da tutto quello che accade nel bacino del Mediterraneo e dintorni e dalle guerre che vedono in qualche modo toccati gli interessi occidentali, ignora le guerre più sanguinose. Eppure molte volte questi conflitti sono il risultato delle scelte compiute dai colonizzatori occidentali, da inglesi, olandesi, portoghesi, americani, che impongono ad altri paesi condizioni di vita innaturali e situazioni politico-economiche impossibili da gestire. La lista è lunga: guerre e guerriglie di stampo etnico sono in corso nel sud della Thailandia, nel nord-est e nel sud-ovest dell’India, nelle Isole Moruc, nell’antica Birmania dove l’esercito dei generali al potere non utilizza armi, ma attraverso la fame e il lavoro forzato distrugge la minoranza Caren.Sudan, Eritrea, Congo, Costa D’Avorio.., l’Africa è il continente delle guerre dimenticate. Le guerre di nessuno, che malgrado milioni di morti vengono il più delle volte ignorate o sottovalutate dalla Comunità internazionale. Conflitti etnici o religiosi, guerre per il controllo delle risorse energetiche e minerarie, scontri sanguinosi che scaturiscono da una totale mancanza di prospettive economiche. Le guerre dimenticate è un libro di inchiesta giornalistica scritto da Giancarlo Giojelli, caporedattore e inviato di Rai Due, pubblicato da Piemme nel 2005.Si tratta di una indagine sui 250 conflitti in corso nel mondo di i media occidentali non si occupano. Il volume riporta i numeri delle vittime, divise per continenti e paesi, le cause dichiarate e nascoste dei conflitti, le ragioni economiche, le motivazioni razziali e religiose.Il libro è utilizzato come testo nel master di Educazione alla Pace dell'Università degli
Studi Roma Tre e nella promozione degli uffici di sostegno alla Pace costituiti in vari comuni della Provincia di Roma sulla base di una convenzione con l'Università. Contiene una serie di link a siti di Ong che si occupano di sostegno alle iniziative di dialogo nel mondo, di cooperazione internazionale e di adozioni a distanza.
Le guerre dimenticate Nel corso del recente - concluso/inconcluso - conflitto di Gaza, i giornali e gli altri media hanno dato informazioni quotidiane circa il numero dei morti e dei feriti, distinguendo tra miliziani o militari e civili, e tra questi ultimi, i bambini.I numeri, a consuntivo, sembrano essere risultati un mezzo propagandistico, moltiplicati ad arte. Inoltre - sempre secondo alcune fonti di solito considerate indipendenti - i civili ed i bambini sono morti per essere stati usati come scudi umani a proteggere depositi di armi, rifugi dei capi del terrorismo, vie clandestine di rifornimento di armi.Difficile stabilire la verità. Però una cosa sembra di poter affermare con triste certezza: è semplicemente ipocrita e sicuramente propagandistico distinguere tra esseri umani che vestano qualche divisa ed i "civili", tra adulti e bambini. Le guerre non hanno mai fatto differenze, che del resto non ci sono: anche quelli in divisa sono figli, fratelli, nipoti e padri, sono esseri umani; e molto pochi hanno potuto arruolarsi per libera scelta. I bambini sono stati intervistati dalle Tv come scavatori delle gallerie" di rifornimento; hanno detto "così guadagniamo molti soldi, e poi per un anno non facciamo niente". I morti sono tutti uguali, tutti ingiusti ed assurdi. Ma ha colpito la contabilità quotidiana ed insistita, gli appelli allucinanti: "Cosa fa l'Europa? Cosa fa il mondo?" È sempre mancata la domanda fondamentale: "Cosa si può fare, realisticamente?" E poi - e qui veniamo al senso di questa riflessione - perché tutto il mondo dovrebbe intervenire per Gaza (che indubbiamente merita rispetto, aiuto e pietà)? Attualmente, la situazione dei conflitti nel mondo è quella che pubblichiamo in questa cartina (foto a destra)Trentadue situazioni di guerra, con milioni di morti. E non si parla del conflitto con i Baschi in Spagna, del terrorismo un po' ovunque. Solo di guerre in corso in un certo senso "ufficialmente". Cosa fa il mondo per loro? Cosa ne fanno i giornali? Non ne danno alcuna notizia, a meno che non sia possibile usare gli avvenimenti per incolpare l'avversario politico di turno. Un giochi di scacchi con sangue vero.
La guerra ovunque Per osservare i volti dei profughi di Kibati bisogna alzarsi prima del sole, quando il fumo pesante dei falò morenti avvolge la folla di disperati che ogni notte si accuccia intorno al bagliore di mille fuochi. Le prime vittime di una guerra mai spenta si incontrano qui: duecentocinquantamila anime con gli occhi sbarrati che lottano contro colera e fame ogni giorno. La pista di terra rossa, che partendo da Goma attraversa il
campo dei rifugiati e prosegue verso gli inferni delle miniere d’oro e di coltan del nord, si allarga in corrispondenza dei resti di un check point abbandonato nella notte dall’esercito congolese in fuga. Il territorio controllato dalle milizie C.N.D.P. del generale rinnegato Laurent Nkunda inizia qui, ai piedi di un grande albero della gomma chinato verso il tramonto, e comprende le foreste del Massisi e la regione del Nord Kivu fino a Rutshuru, primo villaggio colonizzato dai belgi all’epoca di Leopoldo II e ora residenza dello stato maggiore del Congresso Nazionale per la difesa del popolo. Tra le baracche di questa cittadina della Repubblica Democratica del Congo, vuota di tutto quel che la guerra s’è portata via, si scrive l’ennesima pagina di un conflitto che odio etnico e interessi economici hanno trasformato nella più grande tragedia della storia dalla fine della seconda guerra mondiale.“Un albero può morire. E restare in piedi. Può marcire. E restare in piedi. Ma anche un popolo può morire, e marcire, e restare in piedi, quando perde la propria sensibilità. La propria energia. Sono qui per informarvi, signori, che il popolo congolese è morto. Voi, siete morti. E state già marcendo.”Nella sala dell'Istituto Superiore Pedagogico della cittadina di Rutshuru, Nord Kivu, Repubblica Democratica del Congo, il silenzio è spettrale. Il generale rinnegato Laurent Nkunda, leader del movimento ribelle tutsi C.N.D.P., psicologo, pastore della chiesa avventista del settimo giorno, percorre la sala a grandi passi, evoca il passato, cita Ezechiele, infine sentenzia: gli hutu colpevoli di genocidio fino alla settima generazione. Molti dei presenti iniziano a contare con le dita quanti nonni sono trascorsi dal 1994. Troppo pochi.Sono oltre duecento i cittadini di etnia hutu “invitati” alla prevista seduta di rieducazione ideologica. Ammassati, silenziosi, plaudenti al segnale convenuto. Chi non partecipa, sparisce insieme alla famiglia. Stupri, saccheggi, esecuzioni, mutilazioni: le testimonianze dei pochi sopravvissuti a queste barbarie sono irripetibili. “Il popolo Tutsi, come il popolo di Israele, ha il dovere di combattere per la propria sopravvivenza: con l’aiuto di Dio schiacceremo i nostri nemici, coloro che hanno alzato le mani sui nostri padri così come i politici corrotti di Kinshasa che vendono il nostro futuro ai comunisti cinesi”, conclude il generale. Sulla mimetica, una spilla: rebel for christ.Dicono poco, i numeri. Raccontano di un contingente di diciassettemila caschi blu che non sanno, o non vogliono, fare il loro dovere. Impantanati nel fango di una guerra combattuta da eserciti medioevali e gruppi ribelli armati di lance e machete, i blindati della Monuc- missione Onu Congo- sono un monumento all’incapacità occidentale di fermare questa strage. Cinque milioni e quattrocentomila morti testimoniano, una volta ancora, l’assoluta inadeguatezza di una istituzione che faticosamente sopravvive ai massacri che dovrebbe arrestare. Ma forse la verità è un’altra. All’indomani delle elezioni farsa del luglio 2006, finanziate da Europa e Stati uniti, che hanno visto il sanguinario presidente Kabila riconfermato alla guida di uno dei paesi più corrotti, e ricchi, del pianeta, gli accordi per lo sfruttamento delle miniere d’oro, diamanti e coltan del nord kivu sono stati rinegoziati in favore di un nuovo partner: la Cina. Contratti per dieci miliardi di dollari.Secondo un deputato congolese, che vuole restare anonimo, “l’Occidente finanzia il signore della guerra Nkunda per ricattare il governo congolese, colpevole di non aver tutelato gli interessi delle multinazionali occidentali nel settore minerario”. I fatti sembrano
confermarlo. Il comandante della Monuc nel nord Kivu, colonnello Chand Saroha, è stato rimosso nel luglio scorso, accusato di aver fornito vettovaglie, informazioni e munizioni ai miliziani del Generale Nkunda. Il Ruanda, paese alleato dell’Occidente, fornisce uomini e armi al C.N.D.P, ed è diventato uno dei principali esportatori di
coltan del mondo. Eppure non ne possiede un grammo. L’Uganda, che fornisce armi e mezzi alle truppe di Nkunda, è diventato uno dei principali esportatori d’oro del mondo. Eppure, non ne possiede un grammo. Decine di multinazionali procedono, in un assordante silenzio mediatico, al saccheggio sistematico del paese più ricco del mondo in termini di risorse minerarie ed energetiche, all’ombra di un conflitto di cui nessuno vuole nemmeno sentire parlare.Il kalashnikov che Sebastien mi porge ha il calcio di legno rosso. In cambio, vuole il mio telefonino. Mi chiede se è possibile chiamare casa, a Bukavu, dalla foresta. Vorrebbe salutare sua mamma. Sebastien compirà tredici anni ad aprile. Presidia questo avamposto da molti mesi, non sa dire quanti. Il C.N.D.P. recluta giovani hutu, per inviarli in zone indifendibili. In caso di diserzione, la sua famiglia verrà sterminata. La foresta pluviale l’ha accolto insieme a una decina di ragazzi e ragazze. Una aspetta un bambino. Nascerà qui, dice, in questa capanna di rami intrecciati che fa ombra a una padella, due lanciarazzi a spalla e una scarpa da ginnastica sfondata. Non si riesce a capire chi sia al comando dell’accampamento: nessuno porta i gradi. E’ la ribellione. Oltre la collina, Kanyabaionga, Kayna, Kirumba, cittadine controllate da milizie xenofobe Mai Mai, Interawhe, Fardl.Partiamo con tre fuoristrada, uno di scorta : le scritte international press e tv incollate sui finestrini, sull’agenda il nome di un portavoce dei Mai Mai che forse è vivo e forse no, da tirar fuori come un coniglio dal cappello se le cose si mettono male davvero. Scimmie e ippopotami si dividono le sponde di un corso d’acqua limacciosa che taglia la terra di nessuno: poi la pista si arrotola su se stessa, come un boa, e comincia a salire. Ai tonfi sordi dei
mortai, migliaia di uccelli si alzano in volo, corrono verso il cielo in fiamme. Mai Mai e FARDC, fino a pochi giorni fa alleati contro le forze del C.N.D.P, combattono da quando, ieri, il sole si è tuffato nella giungla. Una ventina di Mai Mai gravemente feriti riposano all’ospedale di Kayna: dividono le brande con i malati terminali di colera, e la stessa cura : un po’ di zucchero, sciolto nel thé, e qualche benda di fortuna. Dietro la collina, silhouette di profughi in fuga e alberi della gomma si mescolano nel controluce della sera. Una donna ci corre incontro. Si copre i seni, nudi sotto i brandelli insanguinati di quel che resta di una camicia. Sul dorso, un bambino addormentato di pochi mesi: chiede cibo, acqua. Muni sai die. Aiuta mio figlio.Kayna è deserta. Le case spoglie, bruciate. Sul lato della strada, due cadaveri di cui non rimangono che resti fumanti. Paul ha gli occhi neri di cenere, il copertone di una bicicletta in mano e un berretto rosso da sci. Non gli resta altro. Fino alla notte scorsa, possedeva una baracca di assi, due letti, delle pentole e un frigorifero. Vendeva chapati di manioca e latte cagliato. “Ieri notte i militari del governo sono arrivati su un camion. Erano le dieci. Eravamo a letto. Hanno ucciso mio padre. Hanno preso tutte le nostre cose. Non mi rimane più niente.” Gli chiedo che ha intenzione di fare. Dalle tasche della giacca a vento spunta un pezzo di carta, ingiallito dal tempo. Sopra, scritto a matita, un numero a quattordici cifre, un nome, un indirizzo. “Porta questo a mio fratello, Muzungu. Vive in Italia, forse ancora a Mestre. Digli che la nostra casa, ora, è la foresta”.All’indomani della spaccatura del C.N.D.P, e del presunto arresto del Generale Nkunda, avvenuto poche settimane fa, il nuovo flagello del Congo porta il nome di uno dei gruppi ribelli ugandesi più spietati della storia africana.Attacchi indiscriminati contro la popolazione nella regione del Haut Huélé, stupri, esecuzioni di interi villaggi. MSF denuncia l’indifferenza della Monuc: immobile, nonostante la risoluzione del consiglio di sicurezza ONU 1856 del 22 dicembre scorso imponga ai caschi blu di intervenire per proteggere la popolazione da quello che ormai è diventato un massacro sistematico. Migliaia di ombrelli dai colori dell’arcobaleno si incrociano ai bordi delle piste di terra rossa. Vanno in ogni direzione, da nord a sud e viceversa. Non chiedono informazioni, non vogliono sapere più nulla. Maurice e la sua famiglia si sono seduti ai bordi della pista. Hanno deciso di non continuare a camminare. Succhiano qualche canna da zucchero, bevono l’acqua che ogni sera, alle 5 in punto, regala loro la pioggia. Fuggono da troppo tempo per illudersi ancora che esista un luogo in cui ricominciare a vivere in pace.
DANIELE DAL POZZOLO-LUCA RIZZATO
LE VITTIME DELLA GUERRA «La mia storia è soltanto una tra le migliaia di storie che ancora non avete mai sentito». Grace Akallo, ex bambina-soldato originaria dell’Uganda, è a Roma per il convegno internazionale “Bambini e giovani colpiti dai conflitti armati: ascoltare, capire, agire”, tenutosi ieri (23 giugno 2009) nella sala della Protomoteca del Campidoglio e promosso dal ministero degli Esteri e dal Comune in collaborazione con Onu, Unicef e Save the Children. Immagini di vite spezzate ma piene di speranza di tanti bambini-soldato sono state immortalate nella mostra fotografica “Bambini di guerra: infanzia spezzata”, inaugurata in piazza del Campidoglio prima dell’inizio del convegno ed aperta al pubblico fino al 29 giugno. Secondo le stime fornite da Onu e Save the Children, sono 250mila i bambini coinvolti in conflitti in tutto il mondo. Impiegati come combattenti, messaggeri, spie, facchini e cuochi vengono proiettati nel mondo adulto della violenza, delle armi, del sangue, delle minacce e della morte. Privati dell’amore e della protezione delle proprie famiglie combattono una guerra che non hanno mai voluto e che difficilmente comprendono. Le bambine e le ragazze, costrette a diventare “donne” troppo precocemente, sono le vittime preferite del branco per stupri e violenze. Oltre un miliardo di bambini, ovvero un sesto della popolazione mondiale, vive nei 42 paesi colpiti , dal 2002 ad oggi, da guerre e guerriglie. Sono 14,2 milioni i piccoli sfollati e rifugiati a causa dei conflitti su un totale di 24,5 milioni di sfollati nel mondo. Il 41% delle vittime, inoltre, ha meno di 18 anni. Almeno un dato positivo sembra esserci: sono oltre 100mila i bambini-soldato smobilitati dal 1998 e reintegrati nel tessuto sociale dei rispettivi Paesi. Ma «ci sono decine e decine di gruppi armati - denuncia Grace - che continuano a distruggere la vita dei bambini in molte zone del mondo». Come è successo a lei, in prima persona. Il 9 ottobre 1996 Grace viene catturata dalla Lord’s Resistance Army e prelevata dal college nel nord dell’Uganda in cui i suoi genitori l’hanno mandata, dopo la scuola elementare, per garantirle un futuro migliore e proseguire gli studi. Delle 138 ragazzine rapite insieme a Grace, 109 si salvano quasi subito. Grace, invece, subisce stupri e violenze. «Prima d’allora - continua la ragazza - non avevo mai conosciuto un uomo». Ma poi riesce a salvarsi. Il dolore, una ferita troppo grande da rimarginare e il ricordo di quella orribile esperienza spingono Grace e Kon Kelei, ex bambino-soldato del Sudan, a fondare, lo scorso novembre, Nypaw - Network of Young people affected by war. Appoggiato dall’Italia e presentato all’Onu insieme all’Unicef e alle ong impegnate nel settore, il network di ex bimbi soldato nasce per aiutare chi cade nella trappola degli adulti senza pietà. «Nypaw è qui oggi - spiega Grace - per testimoniare e raccontarvi la sofferenza di
questi bambini. Nessun bambino merita questo strazio». Kon, al suo fianco, aggiunge: «Non abbiamo fondato questa rete per autocelebrarci ma per comunicare al mondo intero che c’è ancora speranza e che i bambini traumatizzati dalla guerra possono essere recuperati e diventare importanti cittadini del mondo». Il sindaco Gianni Alemanno ha ricordato che «la definizione di bambino-soldato racchiude in sé un odioso paradosso, perché rinunciare al valore dell’infanzia è il simbolo ultimo della rinuncia al futuro. Affrontare il problema a livello mondiale ha dei riflessi anche sul nostro tessuto sociale». Ognuno di questi piccoli sfruttati dalla guerra merita di poter vivere una seconda vita. Ed è per questa ragione che «l’Italia riferisce il ministro degli Esteri Franco Frattini - da anni persegue l’opera instancabile di protezione e di assistenza delle piccole vittime dei conflitti armati attraverso tre azioni mirate: la prevenzione, il recupero delle vittime e la reintegrazione nel tessuto sociale grazie ai finanziamenti della Cooperazione italiana». L’augurio è che il gioco di squadra delle forze in campo, istituzionali e non, possa concretamente aiutare le piccole vittime e proteggerle dalla spirale della sofferenza, della violenza e della guerra.
L'infanzia spezzata dei bambini soldato Grace, dall'Uganda, e Kon, reclutato dai militari in Sudan, raccontano la propria terribile esperienza in un convegno in Campidoglio. Oltre 250mila minori coinvolti nei conflitti nel mondo di G. G.
«La mia storia è soltanto una tra le migliaia di storie che ancora non avete mai sentito». Grace Akallo, ex bambina-soldato originaria dell’Uganda, è a Roma per il convegno internazionale “Bambini e giovani colpiti dai conflitti armati: ascoltare, capire, agire”, tenutosi ieri (23 giugno 2009) nella sala della Protomoteca del Campidoglio e promosso dal ministero degli Esteri e dal Comune in collaborazione con Onu, Unicef e Save the Children. Immagini di vite spezzate ma piene di speranza di tanti bambinisoldato sono state immortalate nella mostra fotografica “Bambini di guerra: infanzia spezzata”, inaugurata in piazza del Campidoglio prima dell’inizio del convegno ed aperta al pubblico fino al 29 giugno. Secondo le stime fornite da Onu e Save the Children, sono 250mila i bambini coinvolti in conflitti in tutto il mondo. Impiegati come combattenti, messaggeri, spie, facchini e cuochi vengono proiettati nel mondo adulto della violenza, delle armi, del sangue, delle minacce e della morte. Privati dell’amore e della protezione delle proprie famiglie combattono una guerra che non hanno mai voluto e che difficilmente comprendono. Le bambine e le ragazze, costrette a diventare “donne” troppo precocemente, sono le vittime preferite del branco per stupri e violenze. Oltre un miliardo di bambini, ovvero un sesto della popolazione mondiale, vive nei 42 paesi colpiti , dal 2002 ad oggi, da guerre e guerriglie. Sono 14,2 milioni i piccoli sfollati e rifugiati a causa dei conflitti su un totale di 24,5 milioni di sfollati nel mondo. Il 41% delle vittime, inoltre, ha meno di 18 anni. Almeno un dato positivo sembra esserci: sono oltre 100mila i bambini-soldato smobilitati dal 1998 e reintegrati nel tessuto sociale dei rispettivi Paesi. Ma «ci sono decine e decine di gruppi armati - denuncia Grace - che continuano a distruggere la vita dei bambini in molte zone del mondo». Come è successo a lei, in prima persona. Il 9 ottobre 1996 Grace viene catturata dalla Lord’s Resistance Army e prelevata dal college nel nord dell’Uganda in cui i suoi genitori l’hanno mandata, dopo la scuola elementare, per garantirle un futuro migliore e proseguire gli studi. Delle 138 ragazzine rapite insieme a Grace, 109 si salvano quasi subito. Grace, invece, subisce stupri e violenze. «Prima d’allora - continua la ragazza - non avevo mai conosciuto un uomo». Ma poi riesce a salvarsi. Il dolore, una ferita troppo grande da rimarginare e il ricordo di quella orribile esperienza spingono Grace e Kon Kelei, ex bambino-soldato del Sudan, a fondare, lo scorso novembre, Nypaw - Network of Young people affected by war. Appoggiato dall’Italia e presentato all’Onu insieme all’Unicef e alle ong impegnate nel settore, il network di ex bimbi soldato nasce per aiutare chi cade nella trappola degli adulti senza pietà. «Nypaw è qui oggi - spiega Grace - per testimoniare e raccontarvi la sofferenza di
Lavoro infantile!
La geografia del fenomeno: le aree interessate nel mondo!
Le aree principalmente interessate dal lavoro minorile sono Asia, Oceania, Africa e America Latina (soprattutto Colombia e Brasile). Non sono però esclusi dal fenomeno Stati Uniti ed Europa, o grandi città come Bogotá (Colombia) e Sialkot (Pakistan). Pur essendo presente in tutto il mondo, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo si presentano determinate condizioni che favoriscono questo fenomeno. Il lavoro infantile si presenta dunque anche in regioni ricche di risorse e con un’economia florida, in cui però il reddito pro capite è molto basso e vi è un numero consistente di persone in stato di povertà, paesi dove, ad esempio nel settore dell'agricoltura, poche persone controllano buona parte dei terreni coltivabili. I numeri nel mondo! 1.
In Africa, Asia e America Latina all’inizio degli anni Ottanta i piccoli lavoratori erano stimati in oltre 50 milioni. Ora sono oltre 100 milioni e secondo alcune stime anche 150.In Italia oltre 145 mila ragazzi e ragazze sotto i 15 anni sono impegnati in attività lavorative e di questi circa 35 mila rientrano nella categoria di "sfruttati". Altre ricerche parlano di oltre 350 mila minori lavoratori dei quali circa 80 mila sfruttati. Se poi guardiamo gli altri paesi europei la situazione non è più confortante; il Portogallo, la Spagna e la Grecia riportano dati simili all'Italia; nel Regno Unito il fenomeno assume dimensioni generalizzate fino ad arrivare ai paesi dell'Est Europa dove accanto alle tradizionali forme di lavoro minorile si affianca la piaga della prostituzione che colpisce soprattutto le bambine prostituite.
Lavoro!! 2. I lavori riservati ai bambini si possono dividere in due categorie: settore produttivo (agricoltura, industria, pesca) e settore urbano. In agricoltura i piccoli
lavoratori sono utilizzati in ambito familiare, attività generalmente destinata all’autoconsumo, o nelle grandi piantagioni come braccianti, ad esempio per la produzione di canna da zucchero. Sono più numerose invece le attività nel settore secondario. Qui i bambini sono destinati a miniere nel sottosuolo, cave, fornaci, fabbriche di carbonella, attività edili, vetrerie, concerie, seterie, laboratori tessili, fabbriche d’abbigliamento, laboratori di giocattoli, fabbriche di tappeti, fabbriche di articoli sportivi, laboratori di fiammiferi, sigarette e fuochi d’artificio. Talvolta i bambini sono costretti a rimanere in fabbrica vari mesi prima di poter rivedere i propri genitori, infatti in quelle "fabbriche-carceri" dormono e mangiano. Svolgono anche attività di pesca in cui vengono fatti immergere lungo i fondali per far confluire i pesci verso le reti. Nel settore terziario i bambini sono impiegati nel piccolo commercio, mercati, lavori domestici, selezione dei rifiuti, attività di lavavetri, raccolta dei rifiuti, trasporto di merci o pietre.
Le cause del lavoro minorile!! 3. La responsabilità del lavoro minorile va attribuita in primo luogo alla povertà: nella maggior parte dei casi i bambini devono lavorare per contribuire al reddito familiare. Il lavoro minorile puo essere causa, e non solo conseguenza, di povertà sociale e individuale. In alcuni casi svolgendo attività lavorative, un bambino non avrà la possibilità di frequentare in modo completo neppure la scuola elementare, rimanendo in una condizione di analfabetismo, a causa della quale non potrà difendere i propri diritti, anche di lavoratore adulto. Tuttavia in molti paesi si è osservata una coincidenza tra lavoro e scuola: i bambini lavorano per poter pagare i costi connessi alla frequenza scolastica (iscrizione, libri, uniformi etc). Nella maggior parte dei paesi in via di sviluppo la mancanza di un mercato del lavoro qualificato favorisce l'esperienza accumulata rispetto all'istruzione. Per questo motivo diventa una decisione razionale anticipare l'entrata nel mondo del lavoro invece che continuare gli studi, specie in eta' adolescenziale. Lo sfruttamento infantile sul lavoro è alimentato anche dalla politica economica delle multinazionali, che spostano la loro produzione nelle aree più convenienti, dove i lavoratori sono meno esigenti e i governi più deboli e accondiscendenti. Inoltre la scarsità dei mezzi, l’enorme numero di attività produttive non regolamentate e la corruzione ostacolano i controlli da parte degli organi competenti. I genitori non hanno la possibilità di lavorare o il loro reddito è insufficiente per il mantenimento dell’intera famiglia oppure contraggono debiti che non verranno più estinti.
Un fenomeno mondiale!! • Nel mondo ci sono almeno 250 milioni di bambini tra i 5 e i 14 anni che lavorano. Quasi la metà è occupata a tempo pieno. A questi vanno aggiunti i bambini soggetti a sfruttamento sessuale. • Dalle statistiche dell'Unicef risulta che il 61% del lavoro minorile è concentrato in Asia, il 32% in Africa, il 7% in America latina. • Nel Sud-est asiatico, dove l'industrializzazione è stata velocissima negli ultimi 30 anni, i bambini vengono impiegati ovunque, non solo nelle zone più povere. • Inoltre, poiché le multinazionali occidentali sempre più spesso trasferiscono le loro filiali nel Terzo mondo, dove con un costo della manodopera molto basso si possono produrre manufatti a basso contenuto tecnologico, i bambini qui trovano facilmente occupazione nei settori dell'export.
Bortolami Mattia
• Malattie e morte!!
INFANZIA NEGATA
Come vivono i milioni di bambini abbandonati e orfani nel mondo? O, meglio: come non vivono? I numeri, di per sé, sono terrificanti. Ma dietro ogni singola unità che compone quei numeri enormi c'è una vita umana, una piccola vita che viene sistematicamente negata, maltrattata, torturata, sfruttata, umiliata.
Spesso si crede che il problema riguardi esclusivamente o quasi l'Africa. Niente di più sbagliato. In Africa, certamente, la condizione dell'infanzia è la più tragica del pianeta. Ma l'infanzia è negata a milioni e milioni di bambini in ogni parte del mondo, dall'Asia all'America Latina, dall'Europa dell'Est all'Europa occidentale fino agli stessi, ricchissimi Stati Uniti, in cui un terzo della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà e moltissimi bambini sono del tutto abbandonati a se stessi, senza casa, senza istruzione, senza assistenza sanitaria, spesso senza una famiglia.
Piccole vite spezzate di un'infanzia negata Testimonianza: Vitha è stata venduta a undici anni ai mercanti del sesso. Manuel si è sfamato frugando tra i rifiuti di una discarica. Iqbal a quattro anni tesseva tappeti per più di dodici ore al giorno. L'hanno ucciso qualche anno dopo, perché aveva osato ribellarsi. Piccole vite barattate a basso prezzo sui bordi di una strada. In qualche parte di mondo distante da noi. Vite spezzate, sudate per qualche spicciolo, scambiate in cerca di un miraggio, semplicemente di un futuro. Spaccati di storie vere che diventano racconti di un'infanzia negata, quella dei bambini che vivono in Pakistan, Eritrea, Cambogia, Bolivia, Angola. Pagine colorate di disegni da leggere ad altri bambini, più fortunati, perché imparino a conoscere e a riflettere sulle vergogne del mondo. Con consapevolezza ma anche fiducia, sapendo che, a volte, anche la cruda realtà può trasformarsi in una favola a lieto fine, grazie ai cuori gentili in prima linea contro il male. Nasce così «Il mondo dei contrari», un libro educativo e al tempo stesso divertente e piacevole, presentato il mese scorso alla Fiera del libro di Torino. «La realtà non è sempre fatta di cose belle e con questa realtà prima o poi il bambino si dovrà confrontare», spiega Rita Salci, presidente dell'associazione «Trenta ore per la vita», che ha promosso l'iniziativa in collaborazione con il segretariato sociale Rai. «Scoprirà
che molti suoi coetanei muoiono di fame, passano l'infanzia lavorando come schiavi o uccidono e si fanno uccidere in guerre che non hanno voluto. Senza ricorrere all'inutile tentativo di nascondere certe brutture, abbiamo pensato che, attraverso il linguaggio di fantasia, potesse essere più semplice far capire ai nostri figli il significato di quelle immagini spesso violente viste in tv». Sono 130 milioni i bambini che non sono mai entrati in un'aula scolastica, 100 milioni quelli che vivono in strada, 700 mila i contagiati dall'Aids soltanto nel 2003, 1 milione i piccoli introdotti ogni anno nel commercio sessuale, 300 mila i bambini soldato, 250 milioni quelli che lavorano, tra 8 mila e 13 mila le vittime delle mine antiuomo, oltre un milione i minori oggetto di traffico per scopi illeciti. Numeri impressionanti per piaghe inaccettabili, troppo violente per essere spiegate. Ecco, allora, l'idea di tratteggiare fenomeni così complessi con la leggerezza di un racconto. «E' un modo», prosegue la Salci, «per affacciarsi tutti, bambini, genitori, insegnanti, alle tante facce della realtà, anche a quelle più tristi, e rifletterci insieme. Il libro ha lo scopo di facilitare il dialogo tra genitori e figli su problematiche così difficili da affrontare e far comprendere».
Aouiss Mohamed
Violenza contro le donne Mentre l’affermazione dei diritti all’eguaglianza e il divieto di discriminazione sono parte integrante del sistema dei diritti umani sin dagli inizi, il tema della violenza contro le donne entra nel dibattito internazionale su questi temi solo molto tardi - sostanzialmente negli ultimi dieci anni - e ancora oggi incontra resistenze e conflittualità . La violenza domestica, che venga commessa dai cittadini o dallo Stato, costituisce una violazione dei diritti dell'uomo. Gli Stati hanno il dovere di fare in modo che coloro che ne sono responsabili non rimangano impuniti. Spesso, in seguito alla politica degli Stati o alla mancanza di azione da parte loro, la violenza in ambito domestico viene di fatto condonata. In base alla normativa internazionale dei diritti dell'uomo, gli Stati hanno un duplice dovere: non solo devono astenersi dal commettere violazioni dei diritti dell'uomo, ma hanno anche l'obbligo di prevenirle e dare una risposta efficace alle violenze.
La violenza sessuale* contro le donne Anche se le percentuali sono sotto-stimate, sembra che alcuni paesi attribuiscano effettivamente una priorità all’elaborazione di statistiche sula violenza sessuale. La quinta ricerca dell’ONU sulle tendenze in materia di criminalità e sulle operazioni dei sistemi di giustizia penale, condotta nel 1993, ha scoperto che la percentuale di paesi che fornivano statistiche sulle condanne per stupro era più alta rispetto ad altri crimini; il 60 per cento dei paesi indagati disponeva di statistiche relative alle condanne per stupro, in confronto al 56 per cento per le condanne per furto Le domande sulle aggressioni sessuali, compresi lo stupro, il tentato stupro e gli atti di libidine violenta e le molestie sessuali, sono state incluse all’interno della terza ricerca internazionale sulle vittime della criminalità, intrapresa nel 1996-1997. La ricerca è stata portata avanti prevalentemente nelle aree urbane di 11 paesi sviluppati, 14 paesi in via di sviluppo e 20 paesi in via di transizione. I risultati indicano che le donne che avevano subito una violenza sessuale andavano dall’1 all’8 per cento nelle sei città analizzate dell’America Latina, dall’1 al 5 per cento nelle sei città africane, e da meno dell’1 per cento al 3 per cento in sei città dell’Asia. Nel rapporto della ricerca, l’Istituto di Ricerca Inter-regionale sul Crimine e la Giustizia delle Nazioni Unite (UNICRI) ha avvertito che questi risultati aiutano a svelare la portata "ampia", piuttosto che quella "reale", della vittimizzazione delle donne. L’UNICRI ha anche indicato che, in media, nei paesi in questione, un quarto dei tentativi di stupro ed un terzo degli stupri veniva denunciato alla polizia.
Mutilazioni dei genitali femminili* Sulla base di una quantità limitata di dati disponibili si è stimato che, a livello mondiale, tra i 100 e i 132 milioni di ragazze e donne abbiano subito mutilazioni genitali. Ogni anno, si calcola che circa altri 2 milioni di ragazze subiranno una qualche forma di mutilazione dei genitali. In base alle conoscenze attuali, le mutilazioni dei genitali femminili vengono praticate in 28 paesi africani, in alcuni paesi dell'Asia occidentale e in alcune comunità minoritarie di altri paesi asiatici. Sono stati inoltre riscontrati casi di MGF all'interno di alcune comunità di immigrati in Europa, nord America, Australia e Nuova Zelanda. Gli esperti hanno classificato quattro livelli diversi di mutilazioni dei genitali femminili. Le
mutilazioni di tipo I e II costituiscono circa l'80 per cento del totale dei casi, mentre l'infibulazione (tipo III), ovvero la mutilazione più grave, costituisce il 15 per cento dei casi. La procedura viene di solito eseguita con strumenti rudimentali ed in condizioni pericolose per la salute, ad opera delle donne più anziane o delle ostetriche tradizionali del villaggio. Nelle aree urbane, le famiglie più agiate ricorrono all'aiuto di personale medico, nonostante l'Organizzazione mondiale della sanità e altre organizzazioni internazionali abbiano ripetutamente condannato l'esecuzione di tali pratiche da parte dei medici. Secondo recenti Ricerche demografiche e di salute (DHS), in Egitto e in Sudan i medici professionisti eseguono un numero crescente di queste operazioni. Nonostante i rischi per la salute, nonché i gravi e accertati danni psicologici e fisici, queste pratiche continuano ad essere diffuse e molte donne incoraggiano le proprie figlie a subirle. La motivazione addotta con maggiore frequenza è la volontà di salvaguardare l'accettazione sociale da parte della comunità e di proteggere la reputazione delle ragazze. In alcune comunità, solo le donne che hanno subito l'infibulazione vengono considerate vergini. Dove le percentuali sono alte, come in Egitto, Mali e Sudan, le ricerche DHS hanno scoperto che il 70 per cento delle donne affermava di sostenere la pratica delle mutilazioni dei genitali femminili. L'opinione delle donne più giovani tende a conformarsi a quella delle donne più anziane. L'opposizione alle mutilazioni dei genitali femminili è relativamente forte solo nella Repubblica Centrale Africana ed in Eritrea: nei due paesi, rispettivamente il 56 ed il 39 per cento delle donne è favorevole a porre fine a tali pratiche. In generale, l'opposizione a queste pratiche tende ad essere più forte tra le donne con un livello d'istruzione più alto e tra le residenti nelle aree urbane. Le ricerche DHS rivelano tuttavia come, persino le donne che si oppongono a queste pratiche, scelgano di farle subire alle proprie figlie, in seguito alle forti pressioni della comunità o all'influenza dei membri più anziani della famiglia.
Un omicidio che non fa notizia Spesso saltiamo sulla sedia leggendo di omicidi che vengono da un raptus, un attimo di follia in cui un uomo violenta e poi uccide, una donna colpisce senza motivo suo figlio, una ragazza sgozza per gioco la sua amica dell’università. Sono i delitti che più infiammano i processi e il pubblico. Ma ci sono altri omicidi, nascosti nelle pieghe della cronaca. Omicidi molto più atroci, perché lunghi quanto una vita intera. Sono omicidi impuniti. Tu puoi picchiare tua moglie fino a farle saltare tutti i denti dalla bocca. Puoi farlo per anni, e nessuno ti disturberà. Puoi farlo fino a mandarla in coma e non farla risvegliare mai più. Alla fine, i giudici ci penseranno su perbene e ti daranno 5 anni e 10 mesi. Ciò significa che tra circa 3 anni potrai tornare a girare per la tua città, farti un pisolino se hai sonno, poi andare al bar a parlare con gli amici dell’ultima partita del Palermo.
VOCI DI DONNE PICCHIATE LE LORO TESTEMONIANZE: 1. Andreina on 21 Giugno, 2007 at 16:56 ho bisogno urgentemente di aiuto per mia cognata extracomunitaria (brasiliana) e non sposata, con due bambini piccoli. Pur essendo io un avvocato non riesco ad intervenire perchè mio fratello (avvocato) è riuscito, con la complicità delle forze dell’ordine, a denunciarla per aggressione quando lei si è ribellata. oggi per l’ennesima volta l’ha messa fuori di casa accusandola di essere aggressiva nei suoi confronti, A chi rivolgermi per proteggerla ed evitare che i bambini debbano subire ulteriori umiliazioni nel vedere la madre in quelle condizioni? P.S. oggi lei non vuole più che io intervenga perchè non si rompano i rapporti con mio fratello ed io possa tenere i bambini se necessario.
1. Elena on 4 Giugno, 2009 at 17:45 io subisco violenze psicologiche , fisiche ed economiche da parte di mio marito da piu di dieci anni. Vorrei separarmi, il pensiero è diventato ormai costante da anni, non riesco a pensare ad altro e mi sento sempre piu a disagio perché non riesco a prendere una decisione
Denisse on 30 Novembre, 2009 at 20:35 mio marito dopo un tradimento durato 6 anni con una figlia di 4 anni avuta dall,altra.io lo scoperto solo l,anno scorso e lo ho perdonato anche perche abbiamo 2 figli 3 e 5 anni.ma è diventato un, inferno perchè qualunque discusione mi mette le mani sempre addosso.e mi dispiace per i miei figli che vedono tutto,da un amore puro che provavo per lui durato 14 anni penso che stia diventando odio.non so cosa fare
Khetta Larbi
L'immigrazione L'immigrazione in Italia è un fenomeno migratorio relativamente recente, che ha cominciato a raggiungere dimensioni significative all'incirca nei primi anni settanta, per poi diventare un fenomeno caratterizzante della demografia italiana nei primi anni del XXI secolo.Stranieri residenti in Italia nel 2009 per paese di provenienza
Storia
L'Italia, per gran parte della sua storia recente è stato un paese di emigrazione; si stima che tra il 1876 e il 1976 partirono oltre 24 milioni di persone(con una punta massima nel 1913 di oltre 870.000 partenze), al punto che oggi si parla di grande emigrazione o diaspora italiana. Per tutto questo periodo, il fenomeno dell'immigrazione era stato invece pressochĂŠ inesistente, ove si eccettuino le migrazioni dovute alle conseguenze della seconda guerra mondiale, come l'esodo istriano o il rientro degli italiani dalle ex-colonie d'Africa. Tali fenomeni tuttavia avevano un carattere episodico e non presentavano sostanziali problemi d'integrazione dal punto di vista sociale o culturale. L'Italia rimase tendenzialmente un paese dal saldo migratorio negativo; il fenomeno dell'emigrazione cominciò ad affievolirsi decisamente solo a partire dagli anni sessanta, dopo gli anni del miracolo economico In particolare, nel 1973, l'Italia ebbe per la prima volta un leggerissimo saldo migratorio positivo (101 ingressi ogni 100 espatri), caratteristica che sarebbe diventata costante, amplificandosi negli anni a venire. Ăˆ da notare tuttavia che in tale periodo gli ingressi erano ancora in gran parte costituiti da emigranti italiani che rientravano nel Paese, piuttosto che da
stranieri. Il flusso di stranieri cominciò a prendere consistenza solo verso la fine degli anni settanta, sia per la "politica delle porte aperte" praticata dall'Italia, sia per politiche più restrittive adottate da altri paesi. Nel 1981, il primo censimento Istat degli stranieri in Italia calcolava la presenza di 321.000 stranieri, di cui circa un terzo "stabili" e il rimanente "temporanei". Un anno dopo, nel 1982 veniva proposto un primo programma di regolarizzazione degli immigrati privi di documenti, mentre nel 1986 fu varata la prima legge in materia (L. 943 del 30.12.1986) con cui ci si poneva l'obiettivo di garantire ai lavoratori extracomunitari gli stessi diritti dei lavoratori italiani. Nel 1991 il numero di stranieri residenti era di fatto raddoppiato, passando a 625.000 unità. Negli anni novanta il saldo migratorio ha continuato a crescere e, dal 1993 (anno in cui per la prima volta il saldo naturale è diventato negativo), è diventato il solo responsabile della crescita della popolazione italiana. Nel 1990 veniva emanata la cosiddetta legge Martelli, che cercava per la prima volta di introdurre una programmazione dei flussi d'ingresso, oltre a costituire una sanatoria per quelli che si trovavano già nel territorio italiano: allo scadere dei sei mesi previsti vennero regolarizzati circa 200.000 stranieri, provenienti principalmente dal Nordafrica. Nel 1991 l'Italia dovette anche confrontarsi con la prima "immigrazione di massa", dall'Albania (originata dal crollo del blocco comunista), risolta con accordi bilaterali. Negli anni seguenti ulteriori accordi bilaterali verranno stipulati con altri Paesi, principalmente dell'area mediterranea. Secondo dati stimati dalla Caritas, nel 1996 erano presenti in Italia 924.500 stranieri. È del 1998 la legge Turco-Napolitano, che cercava di regolamentare ulteriormente i flussi in ingresso, cercando tra l'altro di scoraggiare l'immigrazione clandestina e istituendo, per la prima volta in Italia, i centri di permanenza temporanea per quegli stranieri "sottoposti a provvedimenti di espulsione". La materia sarà tuttavia regolamentata nuovamente nel 2002, con la cosiddetta legge Bossi-Fini, che prevede, tra l'altro, anche la possibilità dell'espulsione immediata dei clandestini da parte della forza pubblica. Alla data del censimento della popolazione del 2001 risultavano presenti in
Italia 1.334.889 stranieri, mentre le comunità maggiormente rappresentate erano quella marocchina (180.103 persone) e albanese (173.064).
Caratteristiche Secondo i dati Istat più recenti, relativi al 1° gennaio 2009, sono presenti in Italia 3.891.295 stranieri, pari al 6,5% della popolazione totale, con un incremento, rispetto all'anno precedente, del 13,4% (458.644 persone, valore inferiore solo a quello dell'anno precedente, pari a 493.000 unità). In questo valore non sono comprese le naturalizzazioni (53.696, fenomeno ancora relativamente limitato, seppure in crescita costante negli ultimi anni), né ovviamente gli irregolari Principali comunità (dati ISTAT)
straniere
residenti
in
Italia
2004
2009
+%
Romania
177.812
796.477
347,9
Albania
270.383
441.396
63,2
Marocco
253.362
403.592
59,3
Cina
86.738
170.265
96,2
Ucraina
57.971
153.998
165,6
Filippine
72.372
113.686
57,0
Tunisia
68.630
100.112
45,8
Polonia
40.314
99.389
146,5
India
44.791
91.855
105,0
Moldavia
24.645
89.424
262,8
Macedonia
51.208
89.066
73,9
Ecuador
33.506
80.070
138,9
Perù
43.009
77.629
80,5
Egitto
40.583
74.599
83,8
Sri Lanka
39.231
68.738
75,2
Senegal
46.478
67.510
45,2
Nota: le comunità sovraelencate costituivano il 75% degli stranieri residenti in Italia nel 2009.
Tale popolazione presenta un'età media decisamente più bassa di quella italiana; i minorenni sono 862 mila (tra un quarto e un quinto del totale) mentre gli stranieri nati in Italia (le cosiddette seconde generazioni) sono ormai 519 mila, cioè il 13,3% del totale degli stranieri. Analizzando le zone di provenienza, si nota come negli ultimi anni ci sia stato un deciso incremento dei flussi provenienti dall'Europa orientale, che hanno superato quelli relativi ai paesi del Nordafrica, molto forti fino agli
anni novanta. Ciò è dovuto in particolare al rapido incremento della comunità
rumena che, in particolare nel 2007, è all'incirca raddoppiata, passando da 342.000 a 625.000 persone e rappresentando quindi la principale comunità straniera in Italia. Ciò è dipeso, verosimilmente, dall'ingresso della Romania nell'Unione Europea che ha facilitato i flussi. Accanto a questi le principali comunità straniere presenti in Italia sono quella albanese, marocchina, cinese ed ucraina. Secondo l'ultimo dossier statistico presentato da Caritas e Fondazione Migrantes nel novembre 2008, al 31/12/2007 i cristiani sono la prima comunità straniera d'Italia: 2.099.564 persone (in massima parte ortodossi), seguite da 1.253.704 musulmani, che costituiscono il secondo gruppo . Anche la distribuzione sul territorio italiano è fortemente disomogenea: nel Nord-ovest risiede il 35,2% degli stranieri, nel Nord-est il 27%, nel Centro il 25,1% e nel Mezzogiorno e isole il 12,8%. All'interno di tale distribuzione si nota inoltre una forte disparità tra i capoluoghi di provincia (con maggiori presenze) e le zone rurali. Tra le provincie italiane, quella con la comunità straniera più grande è Milano (371.670), seguita da quella di Roma (366.360), quindi Torino (185.073) e Brescia (149.753). Nonostante ciò, le province che hanno avuto gli incrementi percentuali maggiori sono proprio quelle centro-meridionali e insulari (Latina: +30,2%; Caltanissetta: +24,7%; Nuoro: +24,4%; Enna: +23,1%).
Ennazi Youssef
AMBIENTE CHE SOFFRE nquinanti primari, ovvero delle specie chimiche direttamente emesse in atmosfera dalle sorgenti. Fra i processi di formazione di inquinanti secondari, particolare importanza è assunta dalla serie di reazioni che avvengono fra gli ossidi di azoto e gli idrocarburi in presenza di luce solare e centinaia di altre specie chimiche minori. L’insieme dei prodotti di queste reazioni viene definito come smog fotochimico, che rappresenta una delle forme di inquinamento più dannose per l’ecosistema. L’uso del termine smog è dovuto alla forte riduzione della visibilità che si determina nel corso degli episodi di inquinamento fotochimico, dovuta alla formazione di un grande numero di particelle di notevoli dimensioni.
LA RADIOATTIVITÀ Per radiazione si intende un fenomeno per cui un elemento, emette entità fisiche che possono essere corpuscolari (particelle) o elettromagnetiche (particelle senza massa). Si ha emissione di radiazioni quando in un nucleo atomico il rapporto tra i suoi principali costituenti, protoni (a carica positiva) e neutroni (senza carica) è lontano dal valore ottimale dell'elemento; le radiazioni sono il risultato dell'assestamento o decadimento del nucleo verso la sua condizione di stabilità, in un tempo che è caratteristico per ogni elemento o suo isotopo. Tale evenienza esiste in natura oppure può essere indotta "bombardando" un elemento stabile con particelle (ad esempio con neutroni); in tal caso può avvenire che il nucleo si spezzi (fissione nucleare) liberando due nuovi nuclei e 2 o 3 neutroni, questi ultimi incontrando altri nuclei possono propagare una reazione a catena liberando elevate quantità di energia. Il termine radioattività, attività del radio, è stato coniato dai coniugi Curie che, nel 1898, isolarono un nuovo elemento, fortemente instabile, che emetteva radiazioni. Oggi, il termine radioattività viene utilizzato per indicare la proprietà di alcuni elementi di emettere radiazioni che possono essere radiazioni di tipo alfa "a", beta "b" e gamma "g"; le prime due sono particelle di materia, mentre le radiazioni gamma sono onde elettromagnetiche ad alta frequenza. Le radiazioni, di qualunque tipo, incontrando la materia perdono energia. Quando una radiazione ha energia sufficiente può ionizzare il mezzo attraversato, ossia produrre cariche positive e negative. In relazione alla quantità di energia ceduta viene prodotta una eccitazione (che inerisce i legami tra le molecole) o una ionizzazione (perdita di un elettrone). A livello biologico tale cessione di energia, in particolare la ionizzazione, producono effetti patologici e mortali, anche repentini. La radioattività può essere di origine naturale, ad es. nel terreno, nelle rocce, oppure di origine cosmica, ma può essere prodotta anche artificialmente (centrali nucleari, armi atomiche). Effetti della radioattivita Alte concentrazioni di questo gas costituiscono un sicuro fattore di rischio per l’insorgenza di tumori polmonari. Il radon giunge nel nostro corpo per ingestione di acqua contaminata, ma soprattutto per inalazione. La sua pericolosità è legata ai suoi radionuclidi figli, polonio e bismuto, che legandosi alle particelle di polvere derivanti per es. dal fumo di sigarette, si depositano nei polmoni dove irradiano direttamente i tessuti organici danneggiando.
Un caso di radioattivita sugli esseri viventi
Quindi rispettiamo l'ambiente... Achel e Nicolo
Inquinamento L'inquinamento è un'alterazione dell'ambiente, di origine antropica o naturale, che produce disagi o danni permanenti per la vita di una zona e che non è in equilibrio con i cicli naturali esistenti.
definizione Non esiste una sostanza di per sé inquinante, ma è l'uso di qualsiasi sostanza o un evento che possono essere inquinanti: è inquinamento tutto ciò che è nocivo per la vita o altera in maniera significativa le caratteristiche fisico-chimiche dell'acqua, del suolo o dell'aria, tale da cambiare la struttura e l'abbondanza delle associazioni dei viventi o dei flussi di energia e soprattutto ciò che non viene compensato da una reazione naturale o antropica adeguata che ne annulli gli effetti negativi totali. Benché possano esistere cause naturali che possono provocare alterazioni ambientali sfavorevoli alla vita, il termine "inquinamento" si riferisce in genere alle attività antropiche. Generalmente si parla di inquinamento quando l'alterazione ambientale compromette l'ecosistema danneggiando una o più forme di vita. Allo stesso modo si considerano atti di inquinamento quelli commessi dall'uomo ma non quelli naturali (emissioni gassose naturali, ceneri vulcaniche, aumento della salinità).
Tipologia Esistono molti tipi di inquinamento, suddivisi a seconda dalla forma di inquinamento: • • • • • • • • • •
inquinamento atmosferico, inquinamento dell'aria Inquinamento idrico Inquinamento del suolo Inquinamento fotochimico Inquinamento acustico Elettrosmog elettromagnetico Inquinamento luminoso Inquinamento termico genetico Inquinamento radioattivo nucleare
Quando si parla di sostanze inquinanti solitamente ci si riferisce a prodotti della lavorazione industriale (o dell'agricoltura industriale), ma è bene ricordare che anche sostanze apparentemente innocue possono compromettere seriamente un ecosistema: per esempio del latte o del sale versati in uno stagno. Inoltre gli inquinanti possono essere sostanze presenti in natura e non frutto dell'azione umana. Infine ciò che è velenoso per una specie può essere vitale per un'altra: le prime forme di vita immisero nell'atmosfera grandi quantità di ossigeno come prodotto di scarto per esse velenoso.
Una forte presa di coscienza sui problemi causati dall'inquinamento industriale (ed in particolare dai cancerogeni) è avvenuta nel mondo occidentale a partire dagli anni settanta. Già negli anni precedenti tuttavia si erano manifestati i pericoli per la salute legati allo sviluppo industriale.
La definizione di inquinamento in base al contesto La definizione di inquinamento dipende dal contesto, ovvero dal sistema naturale preso in considerazione e dal tipo di alterazioni introdotte; ecco alcuni esempi: • Lo sviluppo massiccio di alghe e la conseguente eutrofizzazione di laghi e zone costiere è considerata inquinamento quando è alimentata da sostanze nutrienti provenienti da scarichi industriali, agricoli o residenziali. • Sebbene l'ossido d'azoto prodotto dall'industria non sia di per sé dannoso, esso è spesso considerato inquinante, in quanto in quanto in seguito all'azione dell'energia solare viene trasformato in smog.
• Le emissioni di biossido di carbonio sono talvolta considerate inquinamento sulla base del fatto che hanno portato a un cambiamento climatico globale, determinato dal fenomeno dell'effetto serra. In ambienti politici di alcuni paesi occidentali (come gli Stati Uniti), si preferisce invece riferirsi al biossido di ca0rbonio con il termine di emissioni.
Inquinamento locale e globale
Si può definire l'inquinamento atmosferico come la presenza nell'atmosfera di sostanze che causano un effetto misurabile sull'essere umano, sugli animali, sulla vegetazione o sui diversi materiali; queste sostanze di solito non sono presenti nella normale composizione dell'aria, oppure lo sono ad un livello di concentrazione inferiore.
Sostanze tossiche inquinanti
Lamine di piombo di una batteria abbandonata in un parco fluviale In tutti i casi di inquinamento possiamo individuare delle sorgenti (i produttori) e dei recettori. Gli effetti sui recettori sono differenti a seconda dei tempi di esposizione, brevi (secondi-minuti), medi (ore-giorni) o lunghi (mesi-anni). Per quanto riguarda la tossicità sull'uomo, uno dei parametri più utilizzati è la cosiddetta DL50, ovvero la dose che uccide il 50% di individui sottoposti a tale dose. Le unità di misura dei DL50 sono milligrammi di sostanza per chilogrammo di peso dell'individuo: si tratta di una misura della tossicità acuta.
In base a questo parametro le sostanze si dividono in: • • • •
scarsamente tossiche (ad esempio l'alcool etilico): DL50 = 10000 mg/kg; moderatamente tossiche (ad esempio il sale da cucina): DL50 = 4000 mg/kg; molto tossiche (ad esempio DDT): DL50 = 100 mg/kg; super tossiche (ad esempio tossina del botulino): DL50 = 0,00001 mg/kg.
Tra gli elementi ed i composti chimici i più tossici (per ingestione) ci sono: • selenio: dose letale media 5 mg/kg; • cianuro: dose letale media 10 mg/kg;
• mercurio: dose letale media 23 mg/kg; • arsenico: dose letale media 45 mg/kg; • bario: dose letale media 250 mg/kg. Dal punto di vista della tossicità cronica, le sostanze possono essere suddivise in: • sostanze cancerogene: in grado di provocare il cancro; sono poche le sostanze scientificamente dimostrate essere cancerogene, tra esse ricordiamo fibre di amianto, composti del cromo esavalente, cloruro di vinile, benzo(a)pirene (un tipo di diossina), catrame nel fumo di sigarette, raggi X e raggi UV; • sostanze teratogene: in grado di provocare malformazione sui feti; tra queste: mercurio metile, composti del piombo, alcool etilico, dietilstilbestrol (DES), talidomide, raggi X; • sostanze mutagene: in grado di innescare delle mutazioni che possono portare al cancro; tra queste: composti di piombo e mercurio, benzo(a)pirene, gas nervino, raggi X e UV. Le principali sostanze tossiche che si possono avere nell'atmosfera sono: arsenico, amianto, benzene, cadmio, tetracloruro di carbonio, cromo, diossano, dibromuro e dicloruro di etilene, piombo inorganico nichel, nitrosoammine, percloroetilene, idrocarburi policiclici aromatici (IPA), cloruro di vinile, clorofluorocarburi (CFC). Inoltre uno dei maggiori agenti inquinanti presenti nell'aria è il particolato prodotto dalle combustioni, che viene classificato in base al diametro medio delle particelle solide (in micron).
Rischi per la salute Si è stabilito che gli inquinanti anno un ruolo in molte patologie. Per quello che riguarda l'inquinamento atmosferico le più studiate sono quelle a carico dell'apparato polmonare, cardiocircolatorio e del sistema immunitario, seguite dai tumori: • • • • •
cancro lupus disturbi del sistema immunitario allergie asma.
Legislazione Internazionale L'agenzia intergovernativa IARC (acronimo di International Agency for Research on Cancer), è l'organismo internazionale, che tra i vari compiti svolti, detta le linee guida sulla classificazione del rischio relativo ai tumori di agenti chimici e fisici. Con sede a Lione, la IARC è parte dell'Organizzazione mondiale della sanità (OMS), o World Health Organization (WHO) delle Nazioni Unite. La IARC conserva una serie di monografie sui rischi cancerogeni di svariati agenti.
Italia In Italia le Agenzie Regionali per la Protezione Ambientale si occupano della protezione dell'ambiente. La legislazione è di norma conforme alle direttive europee.
Stati Uniti L'EPA è l'Agenzia per la protezione ambientale degli Stati Uniti che dovrebbe stabilire dei livelli di esposizione accettabile ai contaminanti. Una delle indicazioni date è quella sulla cancerogenicità cioè sulla possibilità che una sostanza ha di causare il cancro. I livelli sono: • non cancerogeno • probabile cancerogeno • cancerogeno riconosciuto
Protocollo di Kyoto sui cambiamenti climatici Il protocollo di Kyoto è lo strumento più importante per combattere i cambiamenti climatici. Esso contiene l'impegno di gran parte dei paesi industrializzati a ridurre mediamente del 5% le emissioni di alcuni gas ad effetto serra, responsabili del riscaldamento del pianeta. SINTESI Il 4 febbraio 1991 il Consiglio ha autorizzato la Commissione a partecipare, a nome della Comunità europea, ai negoziati della convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, adottata a New York il 9 maggio 1992. La convenzione quadro è stata ratificata dalla Comunità europea con decisione 94/96/CE del 15 dicembre 1993 ed è entrata in vigore il 21 marzo 1994.
La convenzione quadro può essere considerata come un successo, tra l'altro perché permette una maggiore sensibilizzazione dei cittadini di tutto il mondo ai problemi collegati con i cambiamenti climatici. L'Unione europea ha rispettato l'impegno assunto nel quadro della Convenzione di riportare nel 2000 le sue emissioni ai livelli del 1990. Tuttavia, un numero importante di paesi industrializzati, compresi gli Stati Uniti, non ha raggiunto l'obiettivo di stabilizzare le concentrazioni dei gas a effetto serra a questi livelli. Nella quarta conferenza delle parti, svoltasi a Berlino nel marzo 1995, le parti contraenti della convenzione hanno allora deciso di negoziare un protocollo contenente misure atte a ridurre le emissioni nei paesi industrializzati per il periodo successivo all'anno 2000. Dopo lunghi lavori preparatori, l'11 dicembre 1997 è stato adottato a Kyoto il Protocollo di Kyoto. La Comunità europea ha firmato il protocollo il 29 aprile 1998. Nel dicembre 2001, il Consiglio europeo di Laeken ha confermato che era volontà dell'Unione che il Protocollo di Kyoto entrasse in vigore prima del vertice mondiale sullo sviluppo sostenibile di Johannesburg (26 agosto - 4 settembre 2002). Per raggiungere questo obiettivo, la decisione approva il protocollo a nome della Comunità. Gli Stati membri si sono impegnati a depositare i loro strumenti di ratifica contemporaneamente alla Comunità e, per quanto possibile, prima del 1° giugno 2002. L'allegato II della decisione riporta gli impegni di limitazione e riduzione delle emissioni convenuti dalla Comunità e dai suoi Stati membri per il primo periodo di impegno (2008 - 2012). Il contenuto del protocollo Il protocollo di Kyoto concerne le emissioni di sei gas ad effetto serra: • • • • •
biossido di carbonio (CO2); metano (CH4); protossido di azoto (N2O); idrofluorocarburi (HFC); perfluorocarburi (PFC);
Bertin Alberto
L'inquinamento del suolo:è un fenomeno di alterazione della composizione chimica naturale del suolo causato dall'attività umana.
Effetti sulla salute umana I maggiori effetti sulla salute sono legati al contatto diretto delle persone con zone di terra contaminata e particolarmente frequentata. Di rilievo tossicologico sono l'assunzione di acqua contaminata, l'ingresso di sostanze tossiche nella catena alimentare (ad esempio tramite gli animali che hanno pascolato su un terreno inquinato o il consumo di ortaggi) e l'inalazione di composti vaporizzati. Esiste un'ampia gamma
di effetti sulla salute, acuti e soprattutto cronici, che possono manifestarsi a livello clinico; l'entità del danno biologico è legata a diverse variabili, tra le quali: natura chimica del contaminante, modalità di esposizione, quantità di contaminante presente, durata dell'esposizione, fattori genetici individuali. Il cromo e diversi prodotti fitosanitari sono cancerogeni. Il piombo è particolarmente pericoloso per i bambini piccoli, nei quali c'è un alto rischio di sviluppare danni cerebrali e al sistema nervoso, mentre più in generale il rischio è legato a danni renali. Anche mercurio e ciclodieni sono noti per indurre una maggiore incidenza di danno renale, talvolta irreversibile. Le diossine sono noti cancerogeni nonché composti molto tossici che tendono anche a
concentrarsi lungo l'avanzare della catena alimentare. L'esposizione cronica al benzene a concentrazioni sufficienti è notoriamente associata a una maggiore incidenza di leucemia. I policlorobifenili e i ciclodieni sono collegati a tossicità epatica. Gli organofosfati e i carbammati, presenti in molti prodotti fitosanitari, possono indurre una catena di effetti legati all'inattivazione dell'acetilcolinesterasi e che portano al blocco neuromuscolare. Molti solventi clorurati provocano danni epatici, renali e depressione del sistema nervoso centrale. Esiste un intero spettro di ulteriori effetti sulla salute come mal di testa, nausea, affaticamento, irritazione oculare e rash cutanei, legati alle sostanze già citate e ad altre.
Effetti sull'ecosistema
L'inquinamento del suolo può avere significative conseguenze deleterie per gli ecosistemi. Possono avvenire cambiamenti radicali della chimica del suolo che possono
scaturire da molte sostanze chimiche pericolose persino a basse concentrazioni delle specie inquinanti. Questi cambiamenti possono manifestarsi nell'alterazione del metabolismo dei microrganismi e artropodi che vivono in un dato ambiente terreno. Il risultato può essere l'eventuale eradicazione di una parte della catena alimentare primaria, che a sua volta ripercuote le conseguenze maggiori sui predatori o sulle specie dei consumatori. Anche se gli effetti delle sostanze chimiche sulle forme di vita inferiori possono essere di lieve entità, si può avere normalmente un bioaccumulo che tende a concentrare la quantità stessa di sostanze lungo l'avanzamento della catena alimentare. Molti di questi effetti sono ben noti, come l'accumulo di DDT in consumatori aviari che conduce all'indebolimento dei gusci d'uovo, con il conseguente incremento della mortalità dei pulcini e il rischio potenziale dell'estinzione delle specie. Gli effetti si manifestano anche sui terreni adibiti all'agricoltura e che risentono di un dato livello di inquinamento. Gli inquinanti tipicamente alterano il metabolismo delle piante, il cui risultato più comune è la diminuzione della produzione di raccolto. Questo rappresenta un effetto secondario sulla conservazione del suolo, dato che la diminuzione dei raccolti favorisce i fenomeni di erosione. Alcuni dei contaminanti chimici possiedono lunga persistenza, mentre in altri casi si formano dei composti chimici derivati in seguito a reazioni secondarie che avvengono nel suolo stesso. Rimedi Il rimedio principale all'inquinamento del suolo consiste nell'attuazione di corrette politiche di gestione dei rifiuti sensibili ai risvolti ambientali, nonché nell'emanazione e rispetto di specifiche normative volte alla sostenibilità ambientale e alla tutela dell'ambiente naturale. Il riciclaggio, recupero e reimpiego di materiali quali carta, vetro, plastica, metalli, svolge un ruolo importante nella prevenzione e riduzione a monte del pericolo di inquinamento. Molti prodotti chimici possono essere anch'essi recuperati e riciclati, ovvero smaltiti opportunamente dopo essere stati posti a trattamenti che ne annullano o riducono la pericolosità. L'inquinamento del suolo può essere contrastato col rimboschimento dei territori forestali o mediante procedimenti di bonifica. La porzione di terreno inquinata può essere rimossa tramite escavazione e posta in zona di confinamento in modo che non si abbiano rischi per gli esseri umani o ecosistemi sensibili. Importante è l'affermarsi dei cosiddetti biorimedi, metodiche che sfruttano la digestione microbica di particolari sostanze organiche.
PELLEGRIN VALENTINO