Il mistero dell'isola

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Ciro Palumbo

IL MISTERO DELL’ISOLA Alberto D’Atanasio - Ugo Vuoso



Ciro Palumbo

IL MISTERO DELL’ISOLA a cura di Alberto D’Atanasio e Ugo Vuoso Lacco Ameno - Ischia (Na) Complesso museale di Villa Arbusto Perugia CERP/Centro Espositivo Rocca Paolina

con il patrocinio di:

evento organizzato da:

con la partecipazione di:


L’ARCIPELAGO DELL’ARTE

Già in passato Ciro Palumbo ha dedicato al tema dell’isola alcune opere. Ora, con questa mostra, l’esplorazione di quel mistero geografico e simbolico che è un’Isola giunge a compimento. Possiamo cosi apprezzare tutto il valore artistico e tutta la potenza evocativa di opere che, riunite per l’occasione, formano nel loro insieme un grande arcipelago. Ogni cornice differenzia una storia, un’emozione, un’isola che ci somiglia. Ed in ogni cornice ribolle una narrazione fatta di soluzioni cromatiche, di forme e di grandi miti. Come non riconoscere allora, fra i molti suggerimenti pittorici, quelle trame che raccontano di isole lontane e fatate, abitate da esseri e da cose di straordinaria presenza che ancora hanno molto da insegnarci? Con “Il mistero dell’isola”, Ischia Prospettiva Arte ripropone a Lacco Ameno un percorso artistico avviato alcuni anni fa e che si è poi articolato in numerose occasioni ed in altre città italiane. Ci è sembrato significativo presentare nell’Isola d’Ischia la mostra di uno degli artisti che operarono con I.P.A. già nel 2005. Un evento che si collega tematicamente ad uno spazio di ricerca, questa volta condiviso con il Ceic ed il Seminario internazionale di studi sulle Isole, interamente dedicato proprio all’insularità. Ciro Prota Presidente Ischia Prospettiva Arte

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LO STUDIO DELLE ISOLE

Il Seminario internazionale di studio sulle Isole coinvolge istituzioni e studiosi di molti Paesi. Al centro del loro interesse vi è l’insularità, lo specifico culturale delle isole del mondo che viene investigato attraverso le metodologie di ricerca che appartengono alla storia e all’antropologia così come alla sociologia ed all’economia senza trascurare gli apporti, spesso di fondamentale importanza, che derivano dal mondo artistico in generale. Che il Seminario sulle Isole proponga la mostra delle opere “isolane” di Ciro Palumbo non deve quindi sorprendere. La riflessione analitica appartiene anche all’introspezione ed alla rappresentazione artistico-visuale che, nel caso delle iconografie “misteriche” delle isole di Palumbo, ci indicano senz’altro nuovi e più fruttuosi percorsi di ricerca. Fra i compiti che il Seminario si assegna vi sarà anche quello di raccordare le varie attività di ricerca, condividendone periodicamente tendenze e risultanze. Una operatività che sarà riscontrata attraverso i classici strumenti informativi col proficuo apporto di qualificati approfondimenti artistici.

Istituto CEIC Seminario Internazionale di Studio sulle Isole

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COMUNE DI LACCO AMENO

La presenza del complesso museale di Villa L’Arbusto e del Museo di Santa Restituta fanno di Lacco Ameno un sito culturale di grande rilevanza, soprattutto dal punto di vista archeologico. Questa eccezionale condizione assegna al nostro comune una funzione ed una aspettativa particolarmente significativa per lo sviluppo del turismo legato alla valorizzazione dei beni culturali e artistici. Nell’immediato futuro, i flussi turistici saranno infatti determinati da offerte sempre più articolate e qualitativamente migliorate nei servizi offerti, nella qualità ambientale e nel valore delle proposte artistico-culturali. Queste ultime, infatti, dovranno manifestarsi attraverso standard di grande qualità contenutistica, operativa e comunicativa. La mostra che inaugura la stagione espositiva a Villa Gingerò, risponde ampiamente ai requisiti elencati qualificandosi come un evento dai molteplici attrattori, in grado di suggestionare e affascinare il grande pubblico internazionale. Al maestro Ciro Palumbo, ai curatori ed ai promotori dell’iniziativa va il nostro più vivo ringraziamento.

Carmine Monti Sindaco di Lacco Ameno

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IL MISTERO DELL’ISOLA Alberto D’Atanasio


di preservare dalla divulgazione le cose di cui sono stati chiamati a essere depositarie. Oppure s’intende segreto ciò che deve rimanere riservato a pochi perché la massa non possa essere turbata o cambiare opinione dalla rivelazione della causa, da tenere nascosta. Il segreto è oscuro, spesso cela intrichi a danno di qualcuno o altri. Il segreto porta verso il basso a un nascondimento torbido che porta tristezza e negatività, tant’è che il termine al femminile sottintende: cella, prigione, sotterraneo.

Per

capire o meglio per giocare con l’essenza di questa mostra è necessario imbarcarsi verso l’isola cominciando a sciogliere le vele che si reggono nel titolo, la prima è il termine mistero. Molto spesso si fa, soprattutto in occidente, una mistificazione del lemma per cui ciò che è l’etimo che regge il soffio stesso della fonia si perde in un’usualità consueta e distorta.

Il mistero nel suo etimo latino Mysterium o in quello greco Mysterion: vuol dire cosa da tacere da tener chiusa (MY-OS) o anche (MYSTES), l’iniziato nei misteri. Mistero è anche un evento arcano, di cui non si deve parlare pubblicamente, perché riservato agli iniziati. Ma il depositario del mistero non ha solo un obbligo morale di riservatezza dei concetti che reggono il mistero, egli in effetti, cambia la sua vita e il suo modo di relazionarsi con l’entità o persona che ha svelato e condiviso l’oggetto del mistero. Talvolta la comunità a cui l’iniziato appartiene riconosce in lui un ruolo e una funzione sociale del tutta originale. E credo che in questa spiegazione etimologica più che in altre risieda l’anima di questa mostra e dell’esperienza artistica che sta compiendo quest’artista: i suoi quadri sono

Il termine mistero definisce per lo più tutto ciò che non può avere spiegazioni in quanto la verità è negata o riservata a pochi eletti. Ma per capirne bene il significato più profondo e la sua radice etimologica credo sia bene distinguere questo termine da un altro che può avere delle pertinenze se non altro nell’uso corrente: il segreto. S’intende segreta una cosa da tacere perché riservata a pochi, e in questo poco si differenzia dal significato che ha il termine mistero. Tuttavia, le persone depositarie del segreto non modificano il loro status personale, se non moralmente per la responsabilità

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In questa pagina: Sileno e Dioniso bambino - Lisippo (copia 300 a.c.)


rivelazioni perché sintesi di sogno e realtà. La realtà sono i reperti, le statue, ciò che è riconoscibile dagli occhi della memoria, il sogno sono gli oggetti che si muovono nell’iperspazio, sono stelle che cadono su alberi mossi da un vento, sono notti infinite dipinte senza tenebra e senza buio. Tutto questo è nella borsa dell’iniziato al mistero, è nel bagaglio a mano del viaggiatore; tutto ciò è concetto, sono quei pensieri, che prima che diventino pittura, costituiscono il vero percorso verso la conoscenza piena del mistero. Nell’antichità classica, i misteri o religioni misteriche erano esperienze religiose di tipo esoterico e riti, non segreti, quanto piuttosto riservati a chi aveva mostrato attitudine a certe materie per lo più pertinenti allo spirituale e al soprannaturale. I riti e le celebrazioni per lo più celebravano alcune divinità naturali: i più celebri sono i misteri eleusini, che prendono il nome dall’antica città greca di Eleusi. I misteri più conosciuti, oltre a quelli eleusini legati al culto di Demetra e Persefone, erano quelli legati al culto di Dioniso, a quello di Orfeo, nei misteri orfici, a quello del dio frigio Sabazio e i misteri dei Cabiri a Samotracia, i misteri di Andania, quelli di Attis (provenienti dalla Frigia), quelli di Iside e Osiride (dall’Egitto) e i misteri di Mitra (dalla Persia). Nel sincretismo religioso tipico dell’età ellenistica e più tardi romana ebbero notevole importanza le realtà misteriche di origine orientale,i culti misterici della grande madre Cibele con Attis dall’Asia minore, quelli di Serapide, Iside ed Osiride della mitologia egizia, e quelli di Mitra dalla Persia, che permearono la facies religiosa della cultura romana imperiale, che vide

In questa pagina: Persefone di Locri (550 a.c.)

il proliferare di templi, isei e mitrei in tutto il mondo allora conosciuto. La grande diffusione dei culti misterici ebbe inoltre non poca influenza sul pensiero filosofico tardo antico, come dimostrano le caratteristiche metafisiche tipiche del neoplatonismo, del neopitagorismo e dello gnosticismo. I misteri eleusini, in particolare, erano riti religiosi misterici che si celebravano nel santuario di Demetra nell’antica città greca di Eleusi, ed erano antichissimi, si svolgevano già prima dell’invasione ellenica. Quando, nel VII secolo a.C., Eleusi diventò parte dello Stato ateniese, i riti si estesero a tutta la Grecia antica e alle sue colonie. Anche questi ebbero larga diffusione a Roma e perfino Cicerone e l’imperatore Gallieno vi presero parte. Il rito era diviso in due parti: la prima (piccoli misteri) era una specie di purificazione che si svolgeva in primavera, la seconda (grandi misteri) era un momento consacratorio e di svolgeva in autunno. La cerimonia voleva rappresentare il riposo e il risveglio perenne della vita delle campagne. I riti erano in parte dedicati anche alla figlia di Demetra, Persefone, poiché l’alternarsi delle stagioni ricordava l’alternarsi dei periodi che Persefone trascorreva sulla terra e nell’Ade. La distruzione del tempio di Demetra nel 396 d.C., ad

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individuale che la morte e resurrezione del dio simboleggia. La “resurrezione” indica una nascita nell’aldilà dalla morte a questo mondo che automaticamente non consisteva nella sopravvivenza.

opera dei Visigoti, cristiani seguaci dell’Arianesimo e condotti da Alarico, sancì la definitiva interruzione delle celebrazioni. Al di là delle molteplici accezioni menzionate, una delle caratteristiche fondamentali, condivisa dai culti misterici, consiste nel fatto che l’insieme delle credenze, delle pratiche religiose e la loro vera natura sono rivelate esclusivamente agli iniziati che hanno l’obbligo di non profanare il segreto, che deve rimanere ineffabile. Ma ciò non deve trarre in inganno poiché il termine segreto in questo caso era necessario perché solo i sacerdoti, gli accoliti o chi aveva in definitiva dimostrato di aver scelto di coniugare la sua vita con quella dello spirito, potevano amministrare il rito e il culto misterico. Questa accezione è comune a molte religioni e filosofie presenti in vari continenti.

La genesi e lo sviluppo storico delle forme religiose misteriche è avvenuto prevalentemente in ambito agricolo, nel quale il ciclo vita-morte-rinascita trova il fondamento nell’analogia del ritmo stagionale della vegetazione con la sorte dell’uomo che rinasce a nuova vita. Attraverso la rappresentazione drammatica, simbolica e spirituale dell’alternanza periodica dei fenomeni naturali, attuata nei riti di iniziazione, i proseliti raggiungono il compimento delle loro esigenze escatologiche e soteriologiche. Nella religione Cristiana il mistero è un concetto rivelato da Dio direttamente o attraverso i suoi profeti o ministri: sacerdoti o persone di fede. Il mistero è una rivelazione che porta ad una verità capace di aprire nuove conoscenze di Dio stesso e della sua natura divina. Il mistero in questo caso rivela la sua natura di riservatezza e positività rispetto al segreto. I depositari dei concetti che reggono il mistero lo rendono pubblico perché tutti ne possano avere beneficio. Questa accezione del termine porta quindi ad una elevazione di chi ne viene a conoscenza. È una sorta di ponte tra la realtà razionale, materica e quella spirituale soprannaturale. Nel Catechismo della Chiesa Cattolica, infatti, sono definiti mistero della fede le verità rivelate da Cristo, da Maria, dai santi o da

Componenti comuni dei riti misterici sono generalmente simboli sacri e cerimonie magiche, sacramenti e rituali di purificazione, che possono includere sacrifici, abluzioni, digiuni o astinenze, banchetti sacri, danze, ecc. Altra caratteristica principale dei culti di mistero è quella di avere carattere salvifico. L’azione iniziatica è destinata a realizzare una realtà liberatrice offerta al singolo in risposta ai problemi esistenziali concernenti la vita e la morte. Attraverso vari stadi di iniziazione gli adepti pervengono alla visione della divinità, che, essendo morta e rinata, garantisce loro la liberazione, ovvero il superamento dello stato umano, della limitazione

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significato corrente di argomento incomprensibile o non conoscibile, oppure di fenomeno del quale non si riesce a trovare la causa e la spiegazione. Ha invece il significato di manifestazione di Dio agli uomini, allo scopo di renderli partecipi della sua grazia e della sua vita. Come atto divino, è al disopra della ragione umana, perché nessun uomo può avere una conoscenza piena ed esaustiva di Dio; ma non è contro la ragione, la quale invece, sostenuta e illuminata dalla Rivelazione, consente all’uomo una conoscenza analogica e mediata del mistero di Dio.

veggenti; esse sono espresse nei dogmi fondamentali e nei sacramenti tra cui principalmente quello dell’eucarestia che fu istituito da Gesù Cristo stesso, il Messia, la seconda persona della Trinità. Mysterium Fidei (Mistero della fede) è una enciclica di Papa Paolo VI sull’eucarestia pubblicata nel settembre del 1965. Nella devozione cattolica, il mistero è una parte del rosario, descrive cioè come Dio si sia rivelato agli uomini. In questo caso il mistero è un vero varco che permette di scrutare nella essenza stessa del divino, quasi che per mistero si possa definire come un dio infinitamente grande possa mettersi nella vita dell’infinitamente piccolo.

In un contesto ancora diverso, il mistero è anche sentimento che si rivela tra innamorati senza bisogno del linguaggio verbale e supera ogni problema, unisce le distanze di qualsiasi tipo e annulla il tempo e i tempi.

Nel cristianesimo un mistero della fede è pertanto un concetto religioso che indica una verità rivelata costitutiva della fede cristiana. Due tra esse, e precisamente l’Unità e Trinità di Dio e l’Incarnazione di Gesù (comprese tutte le altre conseguenze), sono quelle fondamentali alle quali aderiscono tutti i cristiani di tutte le diverse denominazioni. Nel cattolicesimo con la massima ampiezza e in misura diversa anche nelle altre denominazioni cristiane, altre verità dogmatiche si aggiungono a queste, per costituire tutte insieme il complesso della dottrina, sia pur nelle sue varie accentuazioni e sfaccettature: è il caso ad esempio dei dogmi mariani, oppure dell’azione santificante dei sacramenti. In questo contesto il termine mistero non ha il

In questa pagina: Gesù e i bambini (particolare) - Carl Boch

Con l’aggettivo misterico s’indica poi, talvolta, un romanzo d’impianto esoterico come, per esempio, Le metamorfosi dello scrittore latino. Questa accezione descrive i fatti e la relazione che legano nella mitologia greca, gli umani con gli dei dell’olimpo. Il mistero in questo caso rivela come l’uomo unendosi al Dio può raggiungere il discernimento delle passioni, delle pulsioni più recondite e interiori. Il termine Mistero si avvicina più all’accezione del concetto che regge la voce “segreto” nelle espressioni mistery fiction o mystery novel, laddove indica, nella letteratura anglosassone

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a partire dal XIX secolo, un certo tipo di narrativa ascrivibile al genere del romanzo gotico o del fantasy. A partire dagli anni ‘40 del XX secolo, con la diffusione delle riviste pulp, è sinonimo di letteratura gialla. In questi casi il mistero non rivela granché, né mette colui che possiede il mistero di arrecare alcun bene a nessuno. In questa accezione il mistero è sinonimo di cosa riservata a pochi, di arcano e di pericoloso. Il mistero può essere inteso anche come fatto inspiegabile, spesso associato alla natura di accaduti riguardanti la pseudoscienza, il paranormale, o fatti non catalogabili o spiegabili con le scienze esatte.

ogni umana comprensione, quasi che il prodotto del fare arte sia un segreto invece che un mistero. L’arte è la più alta forma di democrazia e se si rilega in ambiti lontani dalla gente sviliamo il senso vero di ogni oggetto artistico. E succede spesso oggi di vedere tristi figuri, fregiarsi del titolo di “critico d’arte” che senza enfasi né passione descrivono l’artista e le opere di questi senza che la gente possa coinvolgersi. È meglio che chi ama il fare arte si tenga distante da certe persone perché sono come quegli agenti inquinanti che rendono l’aria irrespirabile, torbida l’acqua e non permettono di navigare agevolmente verso l’isola che ci aspetta.

Nei quadri Ciro Palumbo si riassume l’essenza stessa di questo iter lessicale; l’enigma, il mistero, non sono “luoghi” segreti riservati a pochi prescelti, ma mete da raggiungere attraverso un percorso di conoscenza che permette di arrivare alla fine del cammino con consapevolezza, con tutti i sensi aperti, sì da percepire aria e pensieri nuovi. In questo modo si comprende, in effetti, la composizione narrativa che ogni quadro di Palumbo propone. È necessario riscoprire il desiderio di fermare il tempo e di sentirsi capaci di stupirsi ancora nonostante tutto e nonostante tutti, altrimenti qualsiasi opera d’arte è solo una cosa astrusa, lontana da

C’è un’isola famosa nella memoria iconografica che esperti e meno avvezzi alla storia dell’arte conoscono: è l’isola dei morti che il pittore simbolista svizzero Arnold Böcklin dipinse in ben sei versioni diverse la prima nel 1880. L’opera ebbe un incredibile successo all’inizio del XX secolo, ne furono suggestionate personalità che poi sarebbero divenute note come Sigmund Freud, Lenin, Salvador Dalí,

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In questa pagina: L’Isola dei morti (terza versione) - Arnold Böcklin


d’arte non conoscendo la storia della prima versione hanno scritto che il rematore fosse Caronte e che quindi il fiume fosse lo Stige o l’Acheronte, la figura Bianca un’anima che conduce la propria salma alla sepoltura nell’isola dove si svelerà il mistero dell’aldilà. L’artista soggiornò a Firenze e abitò in uno studio che affaccia le finestre sul cimitero degli Inglesi. Questo luogo evoca molto l’isola dipinta da Böcklin e lì a Firenze vi seppellì sua figlia Maria e dipinse le prime tre versioni. In effetti, questa è solo una supposizione perché l’artista non dichiarò mai se si fosse ispirato a un luogo reale o se fosse invece una sua invenzione sintesi e congiunzione di ideale e reale. Certo è che l’isola dei morti di Arnold Böcklin è l’espressione più palese di ciò che oggi Ciro Palumbo vuol realizzare con la mostra “Il Mistero dell’Isola” perché, sia che Böcklin abbia voluto rappresentare un ricordo di un luogo esistente legato a un dolore incommensurabile come la perdita di una figlia o che abbia trovato l’ispirazione riassumendo dettagli di un luogo ideale con quelli di altri luoghi visitati nei suoi vari spostamenti, ciò che l’artista elvetico ha voluto rappresentare è che l’isola raffigura il compimento di un percorso e la rivelazione di un mistero che si realizza con l’inizio di un altro viaggio. Nell’isola troverà compimento il percorso della materia corporale e inizierà quello dell’anima. Böcklin nel 1888 dipinse un quadro intitolato Die Lebensinsel (L’isola dei vivi), e credo che lo elaborò come realtà dipinta opposta all’isola dei morti. Questo quadro mostra una piccola isola con tutti i segni della gioia e della vita. Un tritone accompagna

Gabriele D’Annunzio e Adolf Hitler che acquistò la terza versione nel 1933. Dopo queste versioni Böcklin dipinse L’isola dei vivi con scene e atmosfere decisamente meno funeree che la precedente. Tutte le sei versioni dell’isola dei morti raffigurano un’isola rocciosa da cui svettano cipressi altissimi simbolo di cimiteri e di lutto. Una piccola barca condotta da un personaggio che tiene i remi si sta avvicinando alla riva. A prua sta una figura velata interamente di bianco davanti a lei una bara ornata da festoni. Intorno ai cipressi rocce aspre sembrano proteggere la parte interna dell’isola su cui troneggiano delle costruzioni. A sinistra una costruzione in muratura intonacata di bianco e giallo mostra lunghe e scure aperture a destra degli usci sono stati aperti invece sulla roccia. Arnold Böcklin disse del quadro quando insistevano troppo nel chiedere una lettura: “un’immagine onirica: essa deve produrre un tale silenzio che il bussare alla porta dovrebbe fare paura”. E non fornì mai una spiega-

zione, lo stesso titolo glielo diede il mercante d’arte Fritz Gurlit e la prima versione fu commissionata da Alexander Günther. Molti critici

In questa pagina: L’Isola dei vivi - Arnold Böcklin

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prima. Il mistero dell’isola si rivela in chi sa accettarsi per farsi accettare così come si è, senza veli né corazze. L’isola dunque è il luogo dove il mistero si rivela e diventa visibile. L’isola è partenza e arrivo, ed è sempre inizio di una realtà nuova e quando dall’isola si riparte non si è più gli stessi. In questa mostra l’isola non è soltanto quella che è divisa dalla terra ferma dal simbolo di viaggio, di mutazione e di passaggio che è l’acqua, in questo luogo non luogo della mostra “il mistero dell’isola”, è considerata isola tutto ciò che ci porta lontano da realtà consuete. È isola un pensiero che ci “isola” da persone saccenti e scostanti, da quelle che devono provocare sentimenti contrastanti per saggiare l’interlocutore, è isola ciò che ci distanzia da quelle persone che ci guardano dall’alto al basso, è isola tutto ciò che ci “isola” da chi pretende di esser compreso, capito prima ancora di comprendere e capire. È isola un pensiero che ci porta lontano da mura strette, anonime e atone e ci fa viaggiare su memorie che superano la fisica e la ratio. È isola ciò che ci fa

una sirena che mostra la sua ittica coda nella trasparenza dell’acqua, il suo braccio cinge con eleganza i suoi fianchi, lei lo guarda spavalda e posa il suo braccio destro sule spalle di lui che con la mano destra indica l’isola. Dietro di loro una donna semi immersa nell’acqua, facendo evocare il mito di Giove e Leda, cinge con delicatezza il lungo collo di un cigno e questo la guarda come a bearsene; il cielo è luminoso, persino le nubi sembrano decorare una giornata felice e non sono presagio di pioggia, ma presenza degli dei. Sull’isola una radura tra alberi lussureggianti, alcuni in fiore, altri ospitano uccelli e poi ninfe o muse che giocano come in un ritrovato parnaso. Su un altura due figure, l’unico mistero, sono in ombra, non si sa se stiano guardando la scena distanti, forse perché umani? Oppure, forse, una coppia che si apparta per condividere effusioni? Qui non arrivano barche, l’osservatore è invitato a navigare con gli occhi del cuore e a colorare con i toni di quel cielo dipinto quello interiore dell’anima. Il coinvolgere l’osservatore con la narrazione dipinta e con giochi di rimandi simbolici è ciò che è essenza della filosofia estetica di Ciro Palumbo e ciò che è struttura di questa mostra. Nell’isola ogni mistero raggiunge il suo compimento già nel desiderio di arrivare al luogo, sia da naufraghi sia da navigatori, poi il mistero si svela nell’esplorazione dei luoghi, nel superamento delle difficoltà che si incontrano naturalmente in un territorio mai visto

sentire vivi su letti di morte, è isola il pensare che non si muoia mai, è isola tutto ciò che il tempo fa fermare e sentire che ogni cosa

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In questa pagina: L’Isola del Piacere - Ciro Palumbo


fu il testo di Sigmund Freud “l’Interpretazione dei sogni”. Dopo averlo letto arrivò alla conclusione che era inaccettabile il fatto che il sogno (e l’inconscio) avesse avuto così poco spazio nella civiltà moderna e pensò quindi di fondare un nuovo movimento artistico e letterario in cui il sogno e l’inconscio avessero un ruolo fondamentale. Nacque così il Surrealismo (ndr); così si legge nel primo manifesto surrealista datato 1924: “Il Surrealismo è Automatismo psichico puro, attraverso il quale ci si propone di esprimere, con le parole o la scrittura o in altro modo, il reale funzionamento del pensiero. Comando del pensiero in assenza di qualsiasi controllo esercitato dalla ragione, al di fuori di ogni preoccupazione estetica e morale”. Per automatismo psichico s’intende un percorso in cui l’inconscio non si rivela soltanto nei sogni ma anche da svegli e permette di associare parole, pensieri e immagini senza freni inibitori e scopi predeterminati. Ma non tutti i surrealisti seguirono questo metodo d’ispirazione che in effetti Ciro Palumbo riassume in alcune opere soprattutto nell’impianto quasi scenico degli spazi. René Magritte ad esempio, dopo aver elaborato le influenze del cubismo e del futurismo, secondo quando egli stesso scrisse, decise di scegliere la via surrealista dopo aver visto il quadro di de Chirico «Canto d’amore»,

può essere raggiungibile, nonostante tutto e tutti. Sono isole le età della vita nell’arcipelago infinito del vivere. È isola un luogo lontano dove si spera di tornare per ritrovar se stessi. È isola il gioco di bambino che si ritrova in una cassa nascosta in soffitta. È isola quel ricordo che un giocattolo ritrovato rievoca. È isola una canzone che ci commuove e che risveglia quella parte interiore mai sopita, è isola il partire senza meta solo per sentirsi vivi, è isola l’amore segreto che ci rinnova nel cuore, nella mente e nell’anima, è isola l’innamoramento che scombina la vita e rende inutili bussola e mappe, è isola il prendersi tempo per poi tornare più intrepidi e impavidi di prima. È isola il pianto fatto di nascosto, è isola la risata liberatoria che nessuno comprende e pochi tollerano. È isola il grido verso politicanti viscidi ed egoisti, è isola il gruppo che vuole distinguersi dal branco, è isola la poesia che interpreta quel gomitolo che non sappiamo definire, è isola quella canzone che sussurriamo e rende più leggero il cammino, ed è isola il dipinto in cui lo sguardo si perde per ritrovarsi. Ciro Palumbo è l’espressione palese di una maturazione concettuale e tecnica delle esperienze di due grandi movimenti che rivoluzionarono la coscienza filosofica estetica del 1900: il Surrealismo e la Metafisica. Il Surrealismo si realizzò anche come spinta che potesse confrontarsi con le idee del Dadaismo. Ciò che ispirò il poeta Andrè Breton

In questa pagina: Canto d’amore - Giorgio de Chirico

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un quadro tutto surrealista del maestro della Metafisica. Il quadro mostra un lato di un edificio, dove sono accostati la testa enorme dell’Apollo del Belvedere e un gigantesco guanto di lattice. Questo quadro che ispirò un giovane René Magritte si presenta come un enigma, un mistero la cui rivelazione si trova attraverso la lettura dei particolari, così com’è necessario che lo sguardo si perda nei particolari dei non sensi dipinti da Magritte, oppure negli universi incanti di Savinio e di Palumbo. Ciò che si evidenzia è la sproporzione tra la testa dell’Apollo e il guanto in lattice da medico, un tipo di guanto da poco in commercio; e poi incuriosisce il titolo “Canto d’amore”. Il quadro, pur in linea con la produzione dechirichiana, è, come ho detto, il quadro più surrealista da lui prodotto.

che non ha nessun nesso con l’architettura ad arcate, ma nel non senso delle sproporzioni tutto sembra funzionare e l’occhio della psiche prima che quello della ragione assimila tutto come possibile. In Palumbo e in Magritte come in Savinio le proporzioni invece saranno molto rispettate perché il senso dello spazio sia come una sorta di continuum tra quello reale e quello illusorio del dipinto. La testa dell’Apollo del Belvedere ha l’aura del reperto greco, emana classicità. Poi una sfera verde in primo piano. E un treno a vapore, sullo sfondo, a sinistra, che sbuffa producendo una nuvola corposa ed evidente di là da un muro di cinta che divide primo e secondo piano dallo sfondo. Il bell’Apollo però è gigantesco e il guanto accanto ad esso appare enorme come pure la fera. Tutto, nella composizione è così spropositato che ogni significato e significante sembrano sfuggire, ogni ipotesi perde credibilità, ogni senso che si vorrebbe attribuire al guanto di gomma (un senso qualsiasi, pur di uscire dall’impasse) sembra smarrirsi, ingoiato dall’oscurità delle arcate sulla destra. Canto d’Amore, fu esposta per la prima volta nel 1922 nella galleria parigina di Paul Guillaume, la testa mozzata del classicissimo Apollo romano si ritrova accanto all’enorme guanto in plastica, da poco introdotto sul mercato, come fosse la cosa più naturale del mondo. Gli oggetti così accostati (un pezzo unico e un pezzo fatto in serie) perdono ogni razionalità, ogni attinenza col reale, e vanno quindi a formare delle “visioni”, come non a caso sono state definite le scene di de Chirico.

C’è chi racconta che Magritte sia scoppiato a piangere lacrime di commozione, che abbia confidato di aver “visto” per la prima volta il pensiero e che abbia deciso il suo destino di surrealista. E alcuni degli oggetti raffigurati in Canto d’Amore da de Chirico saranno ripresi da Magritte e riprodotti in successive tele, come “la memoria”, dipinto nel 1948. Il guanto rosso di plastica è inchiodato ad un muro che appare come una sorta di quinta

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In questa pagina: La memoria - René Magritte


mondiale che lo vedrà ferito e poi Ferrara, Parigi, un continuo spostarsi e un’esigenza di aver connotati certi che gli dessero radici e stabilità. Ecco dunque che i suoi dipinti possono avere, come in quelli di Palumbo, una lettura diversa e gli oggetti un significato che ha una logica emotiva negli ambiti dell’esistenza dell’artista. Canto D’Amore è un dipinto creato per rievocare i ricordi di un bimbo, il guanto è dell’ostetrica che lo fece nascere e che gli fece da nutrice, l’Apollo del belvedere ci indica che l’autore è nato in Grecia, (la celebre scultura scoperta ad

Se l’arte di Giorgio de Chirico induce a meditare e a perdersi in piazze vuote illuminate da un sole che non compare mai e che non si lascia presupporre nemmeno dalle ombre, in Magritte la mediazione si realizza nel non senso di oggetti reali che scombinano la normale visione delle cose e della natura, come nel celebre quadro “l’impero delle luci”. In Palumbo gli oggetti rappresentati non sono come attori messi lì a recitar se stessi senza copione, e non rendono ogni cosa visibile inaspettatamente pesante e oscura come nelle opere di de Chirico, ma non si può dire nemmeno che giochi con le figure in un non senso filologico come in Magritte. Ciro Palumbo vuole piuttosto richiamare l’immaginazione dell’osservatore, evocare i ricordi perché con i connotati della figurazione s’inneschi un moto interiore che dà un significato al presente con i reperti del passato che sono nella memoria del cuore di ognuno. Eppure de Chirico, a mio parere, non scelse mai il percorso metafisico che si sviluppò integralmente in un riprodurre la realtà, restituita dall’artista letteralmente “al di là” di come essa si presenta, non per tentare di spiegarla, ma per ribadirne, infine, il suo essere priva di senso. Nei suoi quadri, prima che si rifugiasse in un ritorno all’ordine con un convenzionalismo quasi accademico di ricerca della bella forma, lui ricercò ciò che oggi si evidenzia nella pittura di Ciro Palumbo. In effetti, Giorgio de Chirico ebbe una vita priva di radici, nato in Grecia poi trasferitosi a Firenze, poi Monaco, la prima guerra

In questa pagina: La battaglia delle Argonne - René Magritte

Anzio è in effetti una copia romana di un originale in bronzo scolpito tra il 350 e il 325 dallo scultore Leocares), la locomotiva in basso a sinistra ci “racconta” che suo padre, Evaristo de Chirico, era un ingegnere ferroviario che progettò la stazione di Volos in Tessaglia e morì prematuramente ad Atene nel 1905 quando il figlio Giorgio ne aveva appena 17. La sfera è, in effetti, una palla, un giocattolo con cui Giorgio de Chirico evoca i giochi dell’infanzia in Grecia. È un modo diverso di leggere l’opera di questo grande della cultura artistica italiana.

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In Palumbo gli oggetti che si muovono nell’aria sono connotati della memoria, sono ganci sui quali appendere le emozioni perché ci trascinino via dall’inedia di quest’epoca appesantita da granitici politicanti e furbeschi banchieri. L’uomo che salpa nelle barche di Ciro Palumbo o la statua che ci guarda muta, sono presenze reali che ci inducono a seguire la scia verso un’isola che non c’è se non nell’irrealtà dell’universo interiore. Se in Magritte l’immagine dipinta ha lo stesso identico aspetto della realtà che rappresenta - tanto che in più di un’opera costruisce l’immagine con un cavalletto su cui è posta una tela davanti a una finestra il cui panorama si fonde con l’immagine che riproduce la tela stessa e in uno stesso quadro combina cieli diurni e parti di città notturne - in Ciro Palumbo la realtà si scombina perché c’è il paradosso e la provocazione più che il non senso magrittiano. Sia Magritte che Palumbo hanno uno sguardo molto lucido e sveglio sulla realtà che li circonda, dove non trovano spazio né il sogno né le pulsioni inconsce. L’unico desiderio che la pittura di questi due maestri manifesta è quello di “sentire il silenzio del mondo”, come Magritte scrisse. Ogni quadro è una sorta d’isola quindi, dove il mistero rivelandosi induce a ricominciare un nuovo percorso per un’altra isola e un altro mistero da svelare.

Ciro Palumbo utilizza lo stesso percorso, ma con una vitalità che prende la memoria e la epura come fosse una spinta per nuove isole da esplorare migliori di quelle già viste. In Ciro Palumbo c’è la vena metafisica per gli scenari che non hanno una dimensione temporale precisa e in una costruzione dello spazio come se si guardasse il quadro dal palco centrale di un teatro. Nelle opere di quest’artista c’è lo stesso silenzio che si percepisce nelle piazze di de Chirico e nei cieli senza tempo di Magritte. Tutto è sospeso come se il mistero si stesse rivelando nello stesso attimo in cui s’inizia il percorso. Magritte gioca invece con gli spostamenti del senso, utilizzando sia accostamenti insoliti che le deformazioni irreali che condivise con Salvador Dalì. Per lui però non conta l’automatismo psichico, l’universo interiore e la scelta della rielaborazione onirica in stato di veglia non lo attraggono più di tanto. Lui non vuole far emergere i connotati dell’inconscio; ciò che definisce il suo obiettivo è lo svelare i lati misteriosi dell’universo, per questo la sua filosofia estetica ha molte affinità con la ricerca metafisica e con l’esperienza contemporanea di Ciro Palumbo. La ricerca di Magritte si realizza in costanti filologiche e sulla distanza che c’è tra la rappresentazione e la realtà, quasi cercasse di confondere e stupire l’osservatore, è il caso ad esempio, del quadro Ceci n’est pas une pipe, o della “battaglia delle Argonne” dove un masso granitico ha la stessa dignità di una nuvola che lo spinge fuori dal quadro sopra una città distrutta. La nuvola è l’esercito anglo americano che spinge fuori dalla Francia quello tedesco granitico e pesante.

Ciro Palumbo nasce come grafico e quindi conosce gli aspetti iconologici che regolano la comunicazione e fors’anche per questo le sue immagini hanno il pregio di creare una sorta di continuum tra lo spazio virtuale del quadro

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e quello dell’osservatore, quasi che l’immagine dipinta non sia altro che un’estensione di uno spazio mentale che sfugge alla ratio e si legge solo con i parametri della fantasia. Se con la Metafisica de Chirico e Savinio vollero esprimere ciò che esiste oltre l’apparenza sensibile della realtà empirica: “una piazza storica diviene scenario dove recitano gli oggetti che sono connotati di un tempo vissuto”, come se nell’enigma da svelare e nel mistero da apprendere si riveli tutta l’esistenza del vivere, nella Pittura di Palumbo i connotati reali diventano mezzo perché si realizzi, in maniera simultanea con l’osservare, il meccanismo che regola la nascita delle sensazioni, dei sentimenti e delle emozioni. Lo scenario metafisico è solo un espediente perché i colori, le forme e le figure abbiano una dialettica visiva reale. Così una statua non è solo un reperto archeologico, nella filosofia estetica di Palumbo diviene il documento della memoria, è il ricordare perché non si abbia a dimenticare il passato affinché sia quantomeno migliore il futuro. In Savinio in uno spazio reale presero figura l’inconscio, il sogno e il surreale, in Palumbo in uno spazio naturale prendono invece vita “dinamica” gli oggetti che appartengono alla istoria che nel talento pittorico di quest’artista diviene monito e simbolo. Così, pure le sue barche che si muovono nell’aria come nel mare, e nella terra, sono un espediente che supera la filosofia surrealista; non è il fascino misterioso dell’inconscio che Palumbo rielabora, lui prende le ansie, i desideri, le rabbie, le speranze, il desiderio di libertà, l’amore come la morte, comprime tutto nel cosmo dell’animo dell’uomo moderno

e poi lo fa esplodere sulla tela. E nello spazio magico del quadro il bimbo si risveglia, dà la mano al giovane uomo che allevia le fatiche del vecchio. Ecco la magia che quest’artista compie con le sue opere: rimette in scena tutti gli aneliti dell’uomo moderno, riscoprendone il tempo e trovando nuovi tempi. Come se la farfalla di Psiche ricordasse quanto fu prezioso e necessario l’essere bruco e poi crisalide. Non c’è il tutto e subito nell’opera di Ciro Palumbo, c’è il riprendere i tempi dell’esistenza perché sia migliore il tempo a venire. Ciro Palumbo, all’afonia di politicanti che sono sempre più avulsi dai veri bisogni della gente e alla crisi dei valori, oppone una figurazione che riprende la memoria, non per manie conservatrici, quanto per radicare nella verità storica ciò che sarà il futuro. Magritte, de Chirico e Savinio avevano una coscienza maturata su due guerre, sulla follia razzista e disumana dei totalitarismi spagnoli, italiani e tedeschi, avevano da rispondere alla dissacrazione creativa e comunque geniale dei dadaisti con a capo Duchamp e Ray. Magritte, de Chirico, Savinio e quanti come Dalì seguirono le loro orme avevano la speranza di una ricostruzione su basi democratiche delle macerie post belliche. Ciro Palumbo e gli artisti di questo primo decennio del secondo millennio hanno innanzi l’afonia e l’atonia di una politica screanzata e disumana che ha impoverito il pianeta ecologicamente ed economicamente, la democrazia è deturpata da politici corrotti e da poteri occulti che spazzano via vite innocenti per strategie politiche.

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fantasia. Ecco perché la canoscenza cristiana che è presente nella cultura di quest’artista fa in modo che talvolta un vecchio uomo sia dipinto ai remi su una barca che è su una rupe o sospesa in aria. Questo vecchio non è l’anziano che pesa sul bilancio di quei governi che considerano la memoria, la cultura e l’istruzione come pesi economici da tagliare nelle spese mentre non sa risparmiare, né tagliare le spese esose che comporta la macchina politica che dal dopoguerra si è

Tempo fa scrissi di Ciro Palumbo in merito a un romanzo di Saramago del 1982 “Il racconto dell’isola sconosciuta” edito da Einaudi nel 1993. In questo breve scritto si legge di un uomo che spinto dal suo desiderio di raggiungere un’ ”utopica” isola, chiede una barca al suo re. In breve, quest’uomo trova l’amore e trova anche l’isola che nessuno sapeva dove fosse e che esistesse davvero perché l’isola è la barca stessa in cui essi trovano l’amore, amore che permette loro di superare le reciproche paure. Il romanzo termina con lui e lei che come rinati a nuova vita, nel prendersi cura della loro barca, si mettono a dipingere, prima di ricominciare un altro viaggio. È la metafora del viaggio che non si conclude con l’esplorazione di una terra nuova, ma col rinnovare l’anima e ritornare, come scrisse Proust, con occhi nuovi. Ciro Palumbo con la sua pittura compie lo stesso prodigio degli artisti rinascimentali che dipinsero i misteri della cristianità; un fatto miracoloso in cui si evidenzia la presenza di un Dio che si fece bambino per amore dell’uomo diviene figura immagine, è il senso antico della catarsi. La fede ha bisogno della figurazione perché la istoria diventi memoriale e si espanda nel futuro. L’uomo del XVI secolo guardava l’affresco e capiva che la vita era solo un percorso per giungere a un’isola migliore di quella immaginata, superiore a ogni

messa in moto. Il vecchio di Ciro Palumbo ha la stessa aura del Vecchio seduto a destra nella cena di Emmaus di Caravaggio, quella custodita alla National Gallery di Londra, è un vecchio questo che simboleggia la saggezza, l’esperienza di chi ha navigato e visitato tante isole inospitali, aspre e ora si trova davanti a quella che a tavola svela il suo mistero. Il vecchio non si ferma e Caravaggio lo fa capire, sul suo gilet c’è posta, a mo’ di spilla, una conchiglia, un pecten. E’ la conchiglia dei pellegrini di chi sa che il viaggio è già un

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In questa pagina: Cena in Emmaus - Caravaggio


obiettivo e quando si arriverà si otterranno forze nuove, energie infinite e occhi finalmente capaci di guardare col cuore. Il vecchio dipinto in questa cena in Emmaus da Caravaggio spalanca le braccia, la destra, quella della razionalità verso il Cristo, la sinistra quella della passione, verso noi che guardiamo, quasi a dirci: “avvicinati ed entra, non ragionare con i parametri di questo mondo ragiona con il pathos, con la voluttà che è figlia di Eros-Amore e di Psiche-Anima, incamminati prima che il tempo finisca, prima che il nulla tutti ci divori. Le immagini di Ciro Palumbo propongono lo stesso tipo di analisi che Caravaggio prescrive e questa, questa mostra, non è solo un’esposizione di opere a tema, quanto un vero e proprio percorso strutturato perché l’osservatore colga da ogni quadro un messaggio il più distinto possibile e chiaro possibile, perché è di chiarezza che oggi si necessita.

Formidabile e raro è poi il talento di quest’artista la sua tecnica è quella antica dell’olio su un supporto che è stato preparato a imprimitura. Ogni tela riceve un trattamento lungo fatto di terre d’ombra stese con pennellate larghe che sono preludio per un disegno che è minuzioso e a se stante così come era per Guercino o per Guido Reni. Notevole è l’armonia dei toni già nella stesura degli strati preparatori. L’immagine risulta astratta nel vero etimo che compone il termine, poi lui disegna le figure che conducono a immagini note, e comincia a definirsi il concetto, la poetica. È così che la stella dà dignità a un cielo che sembra senza tempo alba e tramonto insieme, è così che la barca diviene viaggio comunque, anche se vola o se si trova su di una rupe, è così che l’isola ha un senso reale, anche se vola, è così che nel gioco di colori e forme, la metafisica e il surrealismo si fondono in un silenzio che ognuno sa ascoltare se ha coraggio e animo per partire. I colori di Ciro Palumbo e le sue metafore risentono della cultura Partenopea di cui lui è figlio. Le sue isole talvolta si muovono su cieli rossi che sfumano su toni bruni e poi il bianco che premette l’orizzontalità della terra come del mare. Le strutture dei suoi dipinti si reggono come una sorta di composizione musicale, ogni zona cromatica e ogni figura

L’obiettivo è che ogni immagine diventi il porto da dove partire per approdare a quelle emozioni che derivano dalla consapevolezza di viaggiare sempre anche dentro una stanza, anche senza mare, col cielo scuro e senza stelle. Ogni opera di Palumbo è allo stesso tempo stazione, strada, mare o cielo, oppure il porto di un’isola, dove finalmente si è arrivati dopo un lungo viaggio.

In questa pagina: Attraverso - Ciro Palumbo

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nel momento stesso che ci si emoziona al sol pensiero di partire. Ma nessuno creda che si parta per paura di restare, tremi chi resta piuttosto. Abbia dubbi chi ci ha fatto fuggire perché sull’isola dove andremo si svelerà ogni mistero e da quell’isola torneremo più forti, luminosi e non ci riconoscerete perché non avete gli occhi del cuore, né la ragione dei sentimenti e non avete avuto coraggio di imbarcarvi. Avete reso il nostro tempo pesante, le nostre acque torbide, avete ucciso i valori, gli ideali e ci avete tolto le figure cui credere, non ci sono più eroi nelle vostre terre ferme. È in questo tipo di partenza, di principio, il senso di questa mostra, il mistero dell’isola è ringiovanire la curiosità di ognuno, è una sorta di sfida che vuole misurare la capacità di provare sentimenti, sensazioni ed emozioni fino ad arrivare alla commozione. È vedere fino a quanto resistono le nostre convinzioni di adulti, le arie da persone mature, già navigate e quindi avulse da ogni novità e senza alcuna curiosità. Perché in fondo ci vuole più coraggio a scoprirsi ancora capaci di cambiamenti che a vivere come se il Viaggio fosse già finito.

giustifica e premette la successiva. Lo stesso spazio illusorio è inventato perché ci sia l’idea di un’atmosfera magica e silenziosa che vuole competere con il chiasso della realtà, col frastuono di chi è al di là del quadro. Una vera composizione quella su cui costruisce ogni dipinto, una composizione che fa pensare a un crescendo rossiniano o a Richard Wagner. Un silenzio carico di energia come se tutto fosse in divenire. È come se l’astratto avesse ritrovato la sua radice cioè astrarre da ciò che si conosce e quindi la materia si sfalda per rinnovarsi in figure che sono proiezioni dell’animum, veri e propri archetipi junghiani. C’è una sorta di brezza in ogni quadro di questa mostra, è quel vento che non giunge da quadranti noti, è l’aria vibrante di chi non smette di sperare nonostante tutto e tutti, è il vento di chi non si rassegna alla barbarie dei politicanti di questo secolo. Quest’artista col suo fare arte propone, quello che fu l’ideale per Fëdor Michajlovič Dostoevskij, entrambi credono che sarà la bellezza a salvare il mondo. Palumbo è una sorta di nuovo romantico che non vuole piegarsi all’inedia e all’afonia di questi tempi e invece di usare rabbie e urla prova a sorriderci con il suo sguardo da sognatore. Con la sua pittura viene a ricordare di ricordarci che al di là di tutto e di tutti c’è una barca che ci attende. Non importa se non vediamo l’acqua perché per giungere alla nostra isola non serve il mare, né il lago, e nemmeno il fiume. Perché il mistero che nell’isola si svela, inizia

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In questa pagina: Fëdor Michajlovič Dostoevskij


LE ISOLE D’INVERNO

Prolusione all’insulomania

Ugo Vuoso


un mondo tutto suo. Un’isola, se è appena un po’ troppo grande, non è meglio di un continente. Bisogna che sia proprio molto piccola, prima che dia la sensazione dell’isola.” Questa consistenza sembra appartenere ad una concezione condivisa soprattutto in ambito continentale, dove le isole sono porzioni di territori circondati dal mare. Sono anche territori lontani, isolati appunto. Periferie che hanno ragion d’essere per una loro naturale e ancestrale condizione. Immaginifica prima che geomorfologica. L’inquieto cercatore di Lawrence vuole la “sua” isola, vero riflesso di un mai dismesso mito del “paradiso perduto”, per tentare di farne un piccolo mondo a propria immagine e somiglianza. Un paradiso fondato sulla lontananza e la desolazione che già J.-J. Rousseau aveva immaginato quale luogo della coincidenza con il sé, in netta contrapposizione con l’inquietudine continentale. L’ansia tutta europea diventa invece conquista, acquisizione di terre, profitto, economia in “Robinson Crusoe” (1719) di Defoe. Una lontana desolazione che in questo caso diventa un altro paradiso, decisamente più secolare e coincidente con una modernità in cui contano le imprese e le iniziative fattuali. Robinson spinge così l’isola deserta nell’ Aldiquà realistico del colonialismo

“Per diversi giorni, a causa delle condi-

zioni del mare, non gli fu possibile avvicinarsi all’isola. Poi, nella lieve foschia del mare sbarcò e la vide, bassa e indistinta, distendersi apparentemente per un lungo tratto. Ma era un’illusione. Camminò sull’erba elastica e bagnata, e le pecore grigio scure si scostavano da lui, spettrali, belando rauche. Giunse alla pozza scura, con il falasco. E proseguì nell’umidità, sino al mare grigio che gorgogliava irato tra gli scogli. Questa era veramente un’isola.” In realtà poteva essere proprio quello il luogo dal quale il nostro viaggiatore era partito alla ricerca dell’ isola nata da un suo personale, intimo desiderio di isolanità. Scrive D.H. Lawrence nell’esordio del racconto “L’uomo che amava le isole” (The man who loved islands), che l’uomo “Era nato su un’isola, ma di questa non era soddisfatto, dato che su di essa, oltre a lui, c’era troppa altra gente. Voleva un’isola tutta per sé: non necessariamente per starvi da solo, ma per farne

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In questa pagina: In una notte - Ciro Palumbo


una roccia. Dunque, per raggiungere l’isola beata si attraversano le isole infernali le cui immagini, a lungo tramandate da tradizioni medievali, si fondono con l’isola del Purgatorio di Dante, dove va a schiantarsi Ulisse alla fine del suo “folle volo” fuori dai confini della terra nota, che gli antichi immaginavano come una immensa isola circondata da un fiume-mare. Ulisse abbandona l’isola-mondo e straborda oltre i confini, com’era accaduto ad Icaro, precipitato nel mare intorno a Creta, archetipo dell’isola-labirinto. Negli isolarii e nelle antiche carte nautiche alle isole vengono riconosciuti i ruoli e i caratteri che le antiche culture di navigatori hanno da sempre assegnato a queste terre marine, spesso pensate come mobili, ancor più spesso pensate come luoghi di prodigi, di meravigliose magie, di terribili e misteriche presenze. Vi sono le isole delle femmine, quelle degli antropofagi, le isole dell’oro, quelle dell’acqua dell’eterna giovinezza, le isole delle beatitudini, quelle mobili e volubili, le isole volanti, delle voci e delle lingue diverse, le isole di cristallo, degli animali parlanti, del fuoco e dei vènti, le isole di sale o le isole di ferro. L’estetica rinascimentale accredita alle isole una loro valorizzazione mineralogica. L’Elba, ad esempio, diventa l’isola in cui il ferro estratto dalle miniere si rigenera, a vantaggio

e del capitalismo. Un ambito in cui l’isola si assesta con qualche difficoltà, data la sua antica frequentazione con i territori astorici dell’Aldilà. Oltre le Colonne d’Ercole, le Isole Fortunate degli antichi erano le isole dei morti. Anche i viaggiatori arabi vedono le isole immerse “nel Mar delle Tenebre”, dove “c’è il trono del Maligno, la cui prigione è un’isola” (Arioli:169).

Al limite estremo del mondo vi sono isole meravigliose e terribili, appaganti e frustranti. Sono territori che si situano oltre i confini del mondo umano, nei luoghi del sovrannaturale, dove la magia amalgama il meraviglioso al mostruoso. Per sette anni san Brandano vaga, angosciato e afflitto dalla fatica dello spaesamento, in un viaggio che lo porta di isola in isola, secondo i canoni della tradizione monastica irlandese delle “immrama”. Dalla “Navigatio” (X sec.) apprendiamo che nell’ Ixola Delicioxa san Brandano incontra il demonio, poi osserva Giuda rinfrescarsi su

In questa pagina: Mete irraggiungibili - Ciro Palumbo

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esse stesse fatte di suoni e di silenzi. Il linguaggio diventa disvelamento della natura ambivalente dell’Isola, liminalmente posta fra il noto e l’ignoto, fra il mondo conosciuto e l’altrove, fra l’arcano e il contemporaneo, fra il prodigioso e la sofferenza, fra lo storico e il metaforico. Uno dei suoi archetipi è il suo essere porto di arrivo della nostra navigazione esistenziale e, nel contempo, di contenere e promuovere ogni sensualità. Con le scoperte geografiche e le esplorazioni, le isole diventano paradisi sessuali. Dai resoconti di Bouganville sappiamo che è Tahiti l’isola di Citera nella quale, secondo Diderot (1772), “il tahitiano si situa all’origine del mondo”. Nelle isole del Pacifico, scoperte nel XIX secolo, si ambientano desideri e proiezioni di un Occidente sempre più centrifugo, che trova nelle trattazioni sull’ammutinamento del

degli uomini, nelle sue viscere più profonde. Ma dall’Umanesimo fino a tutto l’Illuminismo il portato simbolico dell’isola diventa capitale d’uso per i nuovi intellettualismi che allocano in esse, divenute uno dei Luoghi per eccellenza, la materializzazione di molte idealità. Nell’ “Utopia” (1516) di Tommaso Moro, in quell’isola costruita a tavolino si coltivano i piaceri dell’intelletto e diffuso è il dibattito di idee. L’isola come luogo per l’allegoria filosofico-sociale e scientifica diventa nel Cinquecento un topos. “La città del sole” (1623) di Tommaso Campanella non può che erigersi in un’isola in cui il principe si chiama Sole e che“di tutte le scienze ha da sapere, matematiche, fisiche, astrologiche”. Gli abitanti della Città intendono la lingua del nocchiere genovese di Colombo e sono tutti poliglotti. Imparano lingue e alfabeti a tre anni. Anche gli utopiani di Moro parlano una lingua pura, della quale viene fornito perfino l’alfabeto, pubblicato in appendice. Insomma, sulle isole i segni e le lingue hanno radici profonde e diramate: nella “Tempesta” di Shakespeare l’isola dell’accadimento è “piena di voci” e molta importanza vi hanno le lingue, come dimostra Prospero nello svolgimento della vicenda. Se Erasmo pensava che la pazzia avesse origine dalle isole, J.-J. Rousseau era convinto che dalle isole fossero nate le molte lingue degli uomini: “E’ più che possibile che con i loro primi tentativi di navigazione gli isolani abbiano diffuso tra noi l’uso della parola; ed è perlomeno assai verosimile che la società e le lingue abbiano avuto origine nelle isole”. I suoni, le voci, le parole nascono nelle isole in quanto connaturate ad esse, in quanto

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In questa pagina: Piovono stelle - Ciro Palumbo


Bounty o nell’esperienza di Paul Gauguin esemplari modelli di riferimento.

l’esperienza di distacco, di allontanamento e isolamento, di isolanizzazione che appartiene propriamente a quanti sbarcano su isole realmente distanti dal continente. Ma i meccanismi dell’esperienza turistica non consentono l’approfondimento dell’isolanità o insularità, che restano differenze marcate per chi ha nel cuore e nella mente un’isola. Sono state proposte distinzioni fra gli isolani (insulaires) e gli “insulati” (insulés). “Questi ultimi – annota Matvejevic -, appartengono anima e corpo alla loro isola, ne gioiscono e ne soffrono più degli altri: ne conoscono le grandi e le piccole passioni, le loro cause e i loro effetti.” Vi è stata persino una rara e misconosciuta sofferenza nota come “islomania” o “insulomania”. Precisa Lawrence Durrell: “ci sono uomini che ritengono in qualche modo le isole irresistibili: la conoscenza che riescono ad ottenere di qualcuna di esse, di questo piccolo mondo chiuso e circondato dal mare, li colma di un’indescrivibile ebbrezza. Questi insulomani–nati sarebbero diretti discendenti degli abitanti di Atlantide (Atlanteants) e il loro subconscio aspirerebbe ardentemente alla vita insulare.” L’ambivalenza che le segna indossolubilmente le rende oltremodo affascinanti e nei loro confini coesistono inferni e paradisi, luoghi

Alle suggestioni delle isole cedono perfino gli antropologi che, nei primi decenni del Novecento, dedicano le loro ricerche sul campo a culture “isolate”. E’ il caso – per citarne alcuni fra i più noti -, di B. Malinowski che proprio alle Trobriand e non senza implicazioni personali, fonderà la moderna antropologia culturale e, soprattutto, di Alfred Metraux che ad Haiti, nel corso delle sue ricerche sul voodoo haitiano, si coinvolgerà pienamente con le sue informatrici. Le isole diventano paradisi di libertà naturali, regni dell’amore dove governa la licenziosità. Questo marcato processo di sessualizzazione ha enfatizzato le ragioni mitiche che facevano nascere Venere dal mare, assumendo che l’isola delle donne sia quella del piacere. Una fenomenologia che, ispirata da tale mitopoiesi, si orienta ad una erotizzazione dell’Isola perfettamente funzionale ai modelli propagandistici sottesi alla macchina semiotica del turismo. Nelle assolate isole mediterranee, in quelle esotiche e in quelle di un sempre più improbabile sud, si realizzano i desideri di coloro che vengono dai paesi che producono turismo. Il viaggio turistico non vorrebbe cancellare

In questa pagina: Sogno di una notte di mezza estate - Ciro Palumbo

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di confino e di vacanza, trame utopiche e orditure di metafore. La “nissologia”, la scienza delle isole fondata da Abraham Moles, si è insinuata fra gli “insulomani” che da circa vent’anni assistono al progressivo incremento di interesse mediatico, culturale e turistico nei confronti delle isole, ridotte a luoghi del loisir e ad ambientazioni di videofiction. Luoghi dai quali gli isolani sono in genere assenti e ancor più lo sono le loro isole. “Nulla rivela il destino del Mediterraneo meglio delle sue isole. Esse ci sono generalmente più vicine d’estate. D’inverno molti di noi ne prendono le distanze. Tuttavia ve ne sono molte che non si lasciano dimenticare in nessuna stagione. Alcune restano sempre dove sono ; altre paiono dissimularsi o scomparire per poi emergere di nuovo nello stesso posto, o fare la loro apparizione altrove. Isole d’ogni sorta popolano il nostro spirito: belle, seducenti e di facile accesso, oppure pervase di mistero o d’orrore e difficilmente accessibili ; isole vere e riconosciute, che noi stessi abbiamo scoperto o abitato, e isole che hann ispirato i nostri sogni o i nostri fantasmi; quelle che generano gioia e invitano al viaggio e quelle che suscitano angoscia e producono incubi.” (Matvejevic:35).

Bibliografia Arioli, A. “Le isole mirabili.Periplo arabo medievale”, Einaudi, Torino 1989. Durrell, L. “Riflessi su una venere marina”, Giunti, Firenze 1993. Eco, U. “L’isola del giorno prima”, Bompiani, Milano 1994. Lawrence, D.H. “L’uomo che amava le isole”, Lindau, Torino 1991. Matvejevic, P. “Il Mediterraneo e l’Europa”, Garzanti, Milano 1998. Moreau, F. (ed), “L’Ile, territoire mythique”, Aux Amateurs de Livres, Paris 1989 Rousseau J.-J., “Discorso sull’origine dell’inuguaglianza”, Editori Riuniti, Vuoso, U. “In assenza di gravità. Paesaggi erotici in un’isola del sud” in Orioli G.M. “Le avventure di un libraio. Cap. XIX”, Officina ischitana delle arti grafiche, Ischia 2004 pp. 65-85.

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OPERE



IL LUOGO DELL’ENIGMA olio su tela - 150x180 cm - 2012


ISOLA olio su tela - 50x50 cm - 2012

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IL PROMETEO INCATENATO olio su tela - 70x70 cm - 2012

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L’ISOLA DI FUOCO olio su tela - 35x30 cm - 2012

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MAGICA SOSPENSIONE olio su tela - 80x80 cm - 2012

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IL MISTERO DELL’ISOLA, LA SOLA VERITA’ olio su tela - 150x180 cm - 2012


LO SCRIGNO olio su tela - 30x30 cm - 2012

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IL RIFUGIO olio su tela - 60x60 cm - 2012

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ALLA FONTE olio su tela - 90x90 cm - 2012

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VIAGGI INESPRESSI olio su tela - 50x50 cm - 2012

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LA NOTTE DENTRO L’ISOLA olio su tela - 80x70 cm - 2012



MICROCOSMO olio su tela - 50x60 cm - 2012

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SGUARDI olio su tela - 35x30 cm - 2012

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LA TORRE E IL SUO ENIGMA olio su tela - 100x70 cm - 2012

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LUOGHI INFINITI olio su tela - 100x100 cm - 2012

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ABBANDONI

. L’ISOLA DELL’AMORE, DELL’ATTUALE . L’ISOLA DELLA LIBERTA’ E DELLA GIOIA

olio su tela - trittico (80x50 cm - 80x80 cm - 80x50 cm) - 2012


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ABBANDONI olio su tela - 60x50 cm - 2012

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ARRIVI olio su tela - 40x60 cm - 2012

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VOLI DI PASSIONE olio su tela - 70x70 cm - 2012



UNA NOTTE, DENTRO olio su tela - 50x40 cm - 2012

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VEDETTE olio su tela - 40x50 cm - 2012

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LA CASA DEL PITTORE olio su tela - 30x35 cm - 2012

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MAGIA olio su tela - 30x35 cm - 2012

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BIOGRAFIA

Ciro Palumbo nasce a Zurigo nel 1965. Dopo un percorso lavorativo nel mondo della pubblicità, prima come grafico e poi come Art Director comincia, nel 1994, a dedicarsi alla sua vera grande passione: la pittura. Si forma in una moderna Bottega d’Arte, prima come allievo e poi come assistente. Nel 2006 realizza anche il desiderio di dare forma tridimensionale ai soggetti delle sue opere iniziando a cimentarsi con la scultura; il progetto è fatto di suggestioni che attingono dalla sua pittura in un continuo divenire. Attualmente lavora a Torino, presso il suo atelier “Bottega Indaco”. Il suo percorso artistico è ricco e poliedrico, e la sua poetica ricalca le orme della Scuola Metafisica di G. de Chirico e A. Savinio, per reinventarne i fondamenti secondo un’interpretazione personalissima e originale. Le opere sono un tripudio di simboli onirici e palcoscenici fantasmagorici. Nessuna realtà è più vera e autentica del Sogno, questo sembra volerci comunicare, con i suoi dipinti, Ciro Palumbo.



MOSTRE

.L’atelier degli Angeli

.I Viaggi di Colombo

presso Atelier Borghini - Pistoia - 2004

presso Villa Cambiaso - Savona - 2009

.Rassegna d’arte contemporanea

.Paestum Arte 2009

presso Villa La Colombaia - Ischia - 2004 e 2005

presso Tuttarte Esposizioni d’Arte - Paestum (Sa) - 2009

.Il pittore delle isole

.Microcosmi dagli Orizzonti Infiniti

presso Palazzo Marchini - Giaveno (To) - 2005

presso Galleria d’Arte Il Novecento (Sa) - 2009

.33 Artisti i giudizi di Sgarbi

.Open Cavalli d’Autore

presso Arteincontri - Torino 2005

a cura di Caterina Bellati presso Assisi Endurance - Galleria Artisse - 2009

.Le Roccaforti del sogno

.Contemporanea 2009 - Fiera d’Arte di Forlì

presso Torre della Filanda - Rivoli (To) - 2006

con Galleria d’Arte Ess&rre di Ostia (Roma) - Forlì - 2009

.Omaggio a Luchino Visconti

.Immagina 2009 - Fiera d’Arte di Reggio Emilia

presso Palazzo di Parte Guelfa e Galleria del Palazzo Coveri - Firenze - 2006

con Galleria d’Arte Ess&rre di Ostia (Roma) - Reggio Emilia - 2009

.La Metafisica dei colori - mostra personale

.Personale Palumbo

presso La Galleria del Palazzo Coveri - Firenze - 2007

presso Galleria d’Arte Frida - Bari - 2009

.La nave dei folli a cura di Domenico Montaldo presso Museo della Basilica di Clusone (Bg) - 2007

.Personale Palumbo

.Bellissima - mostra in omaggio a Luchino Visconti

.Magiche Sospensioni - mostra personale

a cura di Ciro Prota presso Maschio Angioino (Na) - 2008

a cura di Francesca Bogliolo presso Palazzo Oddo - Albenga (Sv) - 2009

.Il volto, incarnazione del sogno

.Solchi (in collaborazione con Telefono Rosa Piemonte)

presso Ex Chiesa Anglicana - Alassio (Sv) - 2008

presso Teatro Vittoria di Torino - Torino - 2010

.Entriamo nel sogno

.Vincitore Terzo Premio al Premio Roma 2010

presso Galleria Arte è Kaos - Alassio (Sv) - 2008

con Acca in Arte Edizioni - Roma - 2010

.Cambiamento universale nello spazio

.Il vuoto e le forme - Metropoli/Antimetropoli

presso Spazio Tadini - Milano - 2008

a cura di Caterina Bellati presso Palazzo Pretorio - Chiavenna (So) - 2010

presso Galleria Barbato Arte - Scafati (Sa) – 2009

.ArteIndaco presso Centro Energea - Milano - 2008

.Il viaggio del giovane vecchio - all’interno del Festival dei 2 mondi

.Last Work

a cura di Alberto D’Atanasio Spoleto (Pg) - 2010

a cura di Chiara Giustini (organizzata da Galleria del Palazzo Coveri) presso Hotel Bernini Palace - Firenze - 2008

.Gli Universi di Bottega Indaco - mostra collettiva presso Palazzo Oddo - Albenga (Sv) - 2010

.FiabePitture presso Struttura Comunale Ex macello - Aversa (Ce) - 2008

.Dall’Arcaico all’Arcaismo

.Menomale

a cura di Paolo Levi presso Museo Etruscopolis - Tarquinia (Vt) - 2010

presso Teatro Vittoria - Torino - 2009

.Venezia Misteriosa - mostra collettiva

.Mare di parole

a cura di Alberto D’Atanasio presso Cà Zanardi - Venezia - 2010

presso San Gregorio Art Gallery - Venezia - 2009

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.Art Basel Miami

.Il miracolo della maternità, l’origine del mondo

partecipazione con Art Events - Miami, Florida, Usa - 2010

presso Hotel Capital - Salerno - 2012

.Genesis - Un percorso spirituale - mostra collettiva

.Chiaro silente di luna - mostra personale

a cura di Paolo Levi presso Chiesa di S.Maria in Castello - Tarquinia (Vt) - 2010

a cura di Paolo Levi presso Palazzo Marenco - Torino - 2012

.Il viaggio del giovane vecchio - mostra personale

.Il mistero dell’isola - mostra personale

a cura di Alberto D’Atanasio presso Magazzini del sale, Bucintoro - Venezia - 2011

a cura di Alberto D’Atanasio e Ugo Vuoso presso Complesso museale di Villa Arbusto - Ischia (Na) - 2012

.Torino Arte 150 - mostra collettiva a cura di Sabrina Sottile presso Palazzo Barolo - Torino - 2011

.Il Cerchio e il Circo a cura di Alberto D’Atanasio presso Chiostro di S.Caterina, Finalborgo - Finale Ligure (Sv) - 2011

.54 Biennale di Venezia Esposizione Internazionale d’Arte - Padiglione Italia a cura di Vittorio Sgarbi presso Museo Regionale di Scienze Naturali - Torino - 2011

.PREMIO internazionale Spoleto Festival Art 2011 presso Galleria POLId’ARTE, Spoleto (Pg) - 2011

.Spoleto Festival Art Expo presso Chiostro di San Nicolò, Spoleto (Pg) – 2011

.Al di là della realtà del nostro tempo - mostra personale presso Centrum Sete Sóis Sete Luas, Ponte de Sor, Portogallo – 2011

.Foulard d’Arte - mostra collettiva presso Galleria del Palazzo-Coveri - Firenze – 2011

.PT book 2012 presso Museo dell’Automobile di Torino - Torino - 2011

.54 Biennale di Venezia Esposizione Internazionale d’Arte - Padiglione Italia a cura di Vittorio Sgarbi presso Palazzo delle esposizioni - Sala Nervi - Torino - 2011

.In chartis mevaniae - mostra collettiva a cura di Alberto D’Atanasio presso Museo civico di Bevagna, Bevagna (Pg) - 2011

.La fine del mondo tra Apocalisse e Apocatàstasi, gli artisti? I nuovi profeti mostra collettiva a cura di Alberto D’Atanasio presso Magazzini del sale, R.S.C. Canottieri Bucintoro - Venezia - 2012

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