A Claudia a cui dedico la mia contemplazione Al Maestro Massimo Rao che di lei mi ha parlato
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Chiaro silente di Luna Torino, Palazzo Marenco 17 maggio/1 giugno 2012
Con il Patrocinio di:
a cura di Paolo Levi
Testi di: Paolo Levi Stefania Bison Testi antologia critica di: Paolo Levi Vittorio Sgarbi Alberto D’Atanasio Tommaso Paloscia Pier Francesco Listri Chiara Manganelli Francesca Bogliolo Adriano Olivieri Ufficio stampa:
Evento organizzato da: Sabrina Sottile
6 Allestimento mostra:
Media Partner:
Con il sostegno di:
Ciro Palumbo
Chiaro silente di Luna Paolo Levi 7
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Sommario 8
Paolo Levi Il ciclo della luna
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Paolo Levi The cycle of the moon
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Stefania Bison Geometrie incorporee
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Stefania Bison Incorporeal geometries
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Opere su tela
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Monumento per Torino
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Lunario
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Opere su carta
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Biografia
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Antologia critica
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Il ciclo della luna
di Paolo Levi
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Con questo ciclo dedicato al tema della Luna – una luna amorevole che si posa su luoghi antichi – Ciro Palumbo sembra dire addio per sempre a quel maestro scomodo (e non solo per lui) che ha nome Giorgio de Chirico, che nel suo percorso d’artista egli ha sempre avvertito come colto riferimento; e se ha certamente superato le influenze di quel padre, ha tuttavia conservato nel suo animo la cultura classica, patrimonio che Giorgio de Chirico aveva ereditato a sua volta da Arnold Böcklin e da Max Klinger. Negli anni della sua formazione, Palumbo ha interrogato il maestro della pittura Metafisica, seguendone il percorso che lo ha condotto alla Grecia antica, agli dei dell’Olimpo, ai Titani, al mare di Omero, alle vestigia di architetture solenni e ormai silenziose, e conservandone i tratti fondamentali, ovvero quei simboli indispensabili che popolano il tempio dell’Arcano inconoscibile. Ha quindi rivisitato quel mondo arcaico con rimandi forse troppo generosi alla speculazione filosofica umanistica e scientifica, e persino all’astrologia. In questo nuovo ciclo, dedicato alla Luna, il pittore di Torino dimostra di essere ben lontano da qualunque tentazione post romantica e decadente: al contrario il nostro candido satellite si cala sorridente dal cielo, materno e protettivo, in tutta la sua plasticità sferica, per un volo provvisorio e leggero tra l’archeologia della memoria.
Arnold Böcklin, L’isola dei morti olio su tela, 1886
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In composizioni come Dialoghi sotto la luna, L’uomo del futuro, Nelle notti, accade, appaiono intriganti costruzioni di poetica serenità, nell’atmosfera sospesa della ricerca metafisica, su cui sembrano aleggiare avvertimenti di qualcosa di nuovo che sta per accadere, e di altri simboli, oltre a quelli già palesi, che stanno per subentrare nello spazio e nel tempo impossibile della memoria onirica. Sono i sintomi rivelatori di un altrove misterioso e al contempo famigliare, anche presenti nella recente composizione Oltre il mistero, la luce che vorrei definire dipinto di profondità abitata, quella della nostra irrinunciabile libertà interiore, quando nel sogno si popola di immagini sfarzose, di desideri non esaudibili, che solo agli artisti talentuosi è dato di esprimere tramite il colore. Questa galleria di quadri è una narrazione che non ha un inizio, e che non offre, perché non fa parte della sua filosofia, una conclusione. Ecco quindi che si ritorna al filosofo antico che si interroga, che si concede risposte provvisorie, che cerca laicamente di misurare il mondo con il metro della sua coscienza, sicuro solo di esistere in quanto essere pensante. In questa pittura di Palumbo si legge una sorta di codice morale, espresso in composizioni virtuose, e in un’archeologia mentale che si è sedimentata nella memoria collettiva, formando un calco espressivo ineludibile,
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Ciro Palumbo, Misteriosa penna su carta acquarello, 2012
dove tutto ritorna ciclicamente, dove tutto si ricrea e nulla si distrugge. Su tutto questo una luna piena sorride complice e protettiva, testimone della nostra storia, luminosa, volatile, governante benevola dello scorrere del tempo, del mutare delle stagioni, dei codici che regolano il moto dell’universo e il divenire del destino. Comunque libera, fuori dagli schemi, ispiratrice dei poeti, dei sapienti, degli innamorati e – perché no? – anche dei funamboli visionari che abitano in un tendone da circo, ospite inatteso nel repertorio di Palumbo, e proiezione rovesciata, nella sua fatuità giocosa, della pietra antica di un teatro greco: l’effetto catartico è sempre lo stesso, e Aristotele può ben transitare sia nella cecità di Edipo, che nei palloncini dei giocolieri. Questi lavori spingono lo sguardo e la mente entro le complesse visioni di un maestro nel pieno della maturità, premuto dalla nostalgia e da interrogazioni, dove la luna, in primis, poi il cielo e il mare sono le tre dominanti che compongono la sua chiaroveggenza. Guidato da astri misteriosi, non c’è dubbio che egli sia messaggero di una verità metafisica, tuttavia enunciata in piena felicità, e con equilibrio, chiarezza, geometrica sapienza dello spazio. Ciro Palumbo attraverso le sue tele, dove la Metafisica
Ciro Palumbo, A passeggio penna su carta spolvero, 2012
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non rinuncia a prendere sotto braccio il Surrealismo, usa il colore come vibrazione dell’anima, che indaga e porta in superficie le suggestive perfettibilità dei toni e dei semitoni, delle atonalità calde che dialogano tra loro. Ricordiamo in questo contesto le sinfonie compositive dei suoi cieli alla soglia della tempesta, a cui fa spesso da contrappunto un mare tormentosamente romantico. Dei maestri del passato ha studiato i passaggi tonali, il dissolversi della luce nell’ombra, le complessità prospettiche. Quando poi immette nei suoi lavori omaggi significativi a Böcklin, o corpi geometrici volanti, o templi dell’antica Grecia, quando si accosta più ad Alberto Savinio che a Giorgio de Chirico, comunque indaga luoghi inediti, chiedendo alla Luna di proteggere i suoi sogni e le visioni metafisiche che abitano il suo inconscio. All’interno di questa complessa elaborazione della sua fisionomia espressiva, la metafisica è dunque diventata per Ciro Palumbo un metodo narrativo, che gli consente di rivelare quanto l’impossibile possa diventare possibile. Non è forse questo il desiderio utopico senza risposta che Albert Camus testimoniava nel suo Caligola? Ciro Palumbo risponde col sorriso dell’ospite che scende dal cielo a proteggere l’Enigma Sognato, e per soccorrere il poeta che disegna e colora.
Alberto Savinio, La Siesta olio su tela, 1928
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The cycle of the moon
by Paolo Levi
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With this cycle dedicated to the theme of the moon – a loving moon that rests on ancient places - Ciro Palumbo seems to say goodbye forever to that inconvenient master (and not just for him), whose name is Giorgio de Chirico, who in his artistic career he has always felt as cultured reference; and if he has certainly exceeded the influence of that father, however, he has kept in his mind the classical culture, heritage that Giorgio de Chirico had inherited in turn by Arnold Böcklin and Max Klinger. In his formation years, Palumbo has questioned the master of Metaphysical painting, following the route that has conducted him to ancient Greece, to the gods of Olympus, to the Titans, to the Homer’s sea, to the vestiges of solemn buildings now silent, and retaining the essential features, namely those essential symbols that populate the temple of the unknowable Arkanum. He has then revisited that ancient world, perhaps with too generous references to scientific and humanistic philosophical speculation, and even to astrology. In this new series, dedicated to the Moon, the painter of Turin proves to be far away from any post romantic and decadent temptation: conversely our candid satellit descends smiling from motherly and protective heaven, in all its spherical plasticity, for a provisional and light flight into the archeology of memory. In compositions such as “Dialogues under the moon”, “The man of the future”, “In the nights it happens”, appear intriguing constructions of poetic serenity, in the suspended atmosphere of metaphysical research, on which seem to hover warnings of something new is going to happen, and other symbols, in addition to those already obvious, that are about to take over in space and impossible time of the oneiric memory. They are
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the telltale signs of a mysterious and yet familiar elsewhere, even present in the recent composition “Beyond the mystery, the light� that I would describe as painting of depth inhabited, one of our essential internal freedom when in the dream is populated by gorgeous images, by not feasible desires, which are given only to the talented artists to express through color. This picture gallery is a narration that has no a beginning, and that it does not offer, because it isn’t part of his philosophy, a conclusion. So here we return to the ancient philosopher who questions, who allows provisional answers, who tries to measure the world secularly with the measure of his coscience, sure only to exist as a thinking being. In this painting of Palumbo we read a kind of moral code, expressed in virtuous compositions, and in a mental archeology that has settled in the collective memory, forming an inviolable expressive mold, where everything comes back cyclically, where everything is recreated and nothing is destroyed. On this a full moon smiles protective and accomplice, witness of our history, ephemeral, benevolent ruler of the passing of time, the changing of seasons, the codes that govern the motion of the universe and the becoming of destiny. However free, unconventional, inspiration of poets, sages, and lovers and - why not? - even of the visionary acrobats who live in a circus tent, unexpected guest in the repertoire of Palumbo, and inverted projection, in his playful fatuity, of the ancient stone of a greek theater: the cathartic effect is always the same, and Aristotle may well transit both in the blindness of Oedipus, both in the balloons of jugglers.
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These works push the eye and the mind within the complex visions of a master in his full maturity, pressed by nostalgia and questions, where the moon on the first, then the sky and the sea are the three dominant that compose his clairvoyance. Driven by mysterious planets, there is no doubt that he is the messenger of a metaphysical truth, however, stated in full happiness, and with balance, clarity, geometric wisdom of space. Ciro Palumbo through his paintings, where the Metaphysics does not give up taking under its arm the Surrealist movement, he uses color as a vibration of the soul, which investigates and brings to the surface the suggestive perfectibilities of tones and semitones, of hot atonalities thst communicate on each other. We recall in this context, the compositive symphonies of his skies at the threshold of the storm, to which is often counterpointed a painfully romantic sea. By the masters of the past he studied the tonal passages, the dissolution of the light in the darkness, the perspective complexities. When he puts in his work significant gifts to Böcklin, or geometric flying bodies, or temples of ancient Greece, when he approaches more to Alberto Savinio than to Giorgio de Chirico, however, explores new places, asking the moon to protect his dreams and the metaphysical views that inhabit his unconscious. Inside this complex development of his expressive physiognomy, metaphysic has thus become a narrative method for Ciro Palumbo, allowing him to reveal how the impossible can become possible. Isn’t this the utopian and unanswered desire that Albert Camus testified in his “Caligula”? Ciro Palumbo responds with the smile of the host that comes down from heaven to protect the Dreamed Enigma, and to rescue the poet who draws and paints.
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Geometrie incorporee
di Stefania Bison
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Torino. Largo Orbassano. Opera per Torino. L’ho vista mille volte, le ho spesso buttato un’occhiata distratta, come capita quando ci si trova in pieno traffico cittadino. Incontro Ciro Palumbo e mi parla di questo monumento realizzato dal finlandese Per Kirkeby, in occasione del rinnovamento urbano della Spina2. Il mio cervello ci mette un attimo a visualizzarlo. Certo, è proprio lui. Torno a vederlo da sola, con calma, una domenica mattina, e poi con Palumbo, ma con meno calma in un pomeriggio caotico. Ciro Palumbo mi racconta la sensazione di silenzio ovattato che si prova entrando tra le due file di mattoni che lo compongono. Entro anch’io. È vero. I rumori del traffico sono attutiti. Si prova un senso di straniamento, come se si entrasse in una dimensione altra. E mi vengono in mente le parole di Giorgio de Chirico, a commento della sua opera Enigma in un pomeriggio d’autunno del 1910 «… in un limpido pomeriggio autunnale ero seduto su una panca al centro di Piazza Santa Croce a Firenze. Naturalmente non era la prima volta che vedevo quella piazza: ero uscito da una lunga malattia ed ero quasi in uno stato di morbida sensibilità. Tutto il mondo che mi circondava, finanche il marmo degli edifici e delle fontane mi sembrava convalescente. […] Allora ebbi la strana impressione di guardare quelle cose per la prima volta, e la composizione del dipinto si rivelò all’occhio della mia mente». Sensibilità, questo è il
Giorgio de Chirico, L’enigma di un pomeriggio d’autunno olio su tela, 1910
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termine che, più di ogni altro, appartiene all’artista. Sono certa che Palumbo abbia guardato l’Opera certamente con gli occhi, ma anche e soprattutto attraverso la sua sensibilità visiva. Non l’ha semplicemente osservata, ma ne ha colto l’essenza metafisica. Del resto è diversissimo il modo di guardare e percepire ciò che ci circonda abitualmente, e i commenti di chi passa di qui lo confermano: sembra un modulo Ikea, dicono i più fantasiosi, sono soldi pubblici sprecati, affermano i più indignati. L’Opera per Torino non è bella, né brutta, non è utile e neppure inutile. Ma a un artista come Palumbo non interessa esprimere giudizi di merito: per lui è un luogo di riflessione, in cui perdersi e ritrovarsi, in cui immergersi. Giochi di luci e di ombre, accompagnano i nostri passi. Palumbo, come un secolo fa de Chirico, ha colto l’anima di questo luogo e, ne sono certa, nel momento stesso in cui l’ha visto, ha capito che sarebbe entrato nei suoi quadri; è stata una rivelazione, molto al di là del dato reale di una struttura di mattoni, e di quella visione ho ritrovato la traccia nelle sue tele più recenti. Si erge imponente nei suoi quadri, ma non si trova più a Torino, e in nessun altro posto riconoscibile. È diventato il luogo, o forse sarebbe meglio dire il non-luogo, del sogno, immerso in un tempo segnato solo dal variare della luce, che fa mutare il colori e le ombre dei colonnati e dei mattoni: netti e stagliati a mezzogiorni, caldi al tramonto, freddi sotto le luci notturne.
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Ciro Palumbo, Struttura metafisica con luna penna su carta spolvero, 2012
Poi, nei quadri di Palumbo, ci sono i cipressi sullo sfondo, il mare e le nubi minacciose che lo sovrastano, a fornirci coordinate spaziali ed elementi familiari a cui fare riferimento. Se poi si rinuncia a cercare una riconoscibilità, ci si trova immersi in un’atmosfera silente, abitata da barche di carta, palloni colorati, balocchi, antiche statue greche che portano via isole tolte da chissà quale mare, lune scomodate dagli uomini e incatenate al terreno. Nelle opere di Ciro Palumbo, gli oggetti non si limitano a essere solo ciò che sembrano, ma suggeriscono molti possibili significati: ognuno può fornire la propria lettura, e scorgervi memorie archetipiche o reminiscenze strettamente personali. Palumbo si muove con sapiente leggerezza in bilico tra il cielo e la terra, tra il mondo onirico e la realtà tangibile. L’equilibrio compositivo e cromatico, il calcolato gioco di luci e ombre, la pennellata che non cede al descrittivismo, ma che narra con precisione ogni dettaglio, fanno delle opere di Ciro Palumbo dei microcosmi perfetti e compiuti. In una delle ultime opere, realizzate in occasione di questa mostra, l’ombra di una mano che si riflette in una colonna del monumento, sembra volerci indicare qualcosa: forse la luna, che dall’alto dialoga con gli uomini e ne raccoglie i pensieri, o forse il sentiero che da anni Palumbo sta percorrendo instancabile. Un cammino che conduce al sogno o, forse, semplicemente alla sua interiorità.
Ciro Palumbo, Struttura metafisica con barca penna su carta spolvero, 2012
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Incorporeal geometries
by Stefania Bison
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Turin. Largo Orbassano. “Opera for Turin”. I’ve seen it a thousand times, I have often thrown it a distracted look, as happens when you are in the full urban traffic. I met Ciro Palumbo and he spoke about this monument built by the Finnish Per Kirkeby, during the urban renewal of Spina2. My brain took a moment to visualize it. Sure, it was it. I came back to see it alone, quietly, on a Sunday morning, and then with Palumbo, but with less calm in a chaotic afternoon. Ciro Palumbo told me the feeling of muffled silence you feel entering between the two rows of bricks that compose it. I entered too. It’s true. Traffic noises were softened. You could feel a sense of alienation, as if you went into another dimension. And came to my mind the words of Giorgio de Chirico, in the commentary of his opera “Enigma in an autumn afternoon” of the 1910 “... in a clear autumn afternoon I was sitting on a bench in the center of Piazza Santa Croce in Florence. Of course it was not the first time I saw that square: I have just gotten out from a long illness and I was almost in a state of soft feeling. All the world around me, even the marble of the buildings and fountains seemed convalescent. [...] Then I had the strange impression to look at those things for the first time, and the composition of the painting was revealed to the eye of my mind”. Sensibility, it is the term, more than any other, that belongs to the artist. I am sure that Palumbo has certainly looked at the Opera with eyes, but also above all through its visual sensitibility. He has not simply observed it, but it has caught the metaphysical essence. Moreover is very different the way to look and feel everything around us habitually, and comments of those who passes through here confirm this: it seems a module of Ikea, say the most imaginative, they have wasted public money, say the most outraged. The “Opera
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for Turin� is not beautiful, nor ugly, is not useful or even useless. But an artist like Palumbo does not care to express value judgments: for him it is a place of reflection, where losing and finding himself, where immersing himself. Games of light and shadow, accompanied our steps. Palumbo, as de Chirico a century ago, has caught the soul of this place and I am sure, the same time he saw it, he realized that it would enter into his paintings; was a revelation, very far beyond the real fact of a bricks structure, and I have found mention of this vision in his most recent paintings. Rises prominently in his paintings, but it isn’t located in Turin anymore, and even in any other recognizable place. It became the place, or perhaps I should say the not-place, of the dream, immersed in a time marked only by the variation of light, which changes the colors and the shadows of the colonnades and bricks: defined and clear at midday, hot at sunset, cold under the lights of the night. Then, in the paintings of Palumbo, there are cypress trees in the background, the sea and the storm clouds above it, to provide us spatial coordinates and familiar elements to which we can refer. If we give up looking for a recognizability, we are immersed in a silent atmosphere, inhabited by paper boats, colorful balloons, toys, ancient Greek statues that take away islands removed from some seas, disturbed moons by the men and chained to ground. In the works of Ciro Palumbo, objects are not limited to be just what they seem, but suggest several possible meanings: everyone can provide his own reading, and perceive archetypal memories or strictly personal reminiscence. Palumbo moves with wise lightly poised between heaven and earth, between the dream world and the tangible reality. The chromatic and compositional balance, the calculated game of light and shadow, the brush stroke that doesn’t
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yield to descriptivism, but that tells exactly every detail, make the works of Ciro Palumbo completed and perfect microcosms. In one of the last works, created on the occasion of this exhibition, the shadow of a hand that is reflected in a column of the monument, seems to want to point out us something: perhaps the moon, which from the top dialogues with men and gathers their thoughts, or perhaps the trail that Palumbo is travelling for years tireless. A path that leads to the dream, or perhaps just to his inside.
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Operesu tela
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Uno sguardo
olio su tela, 70x60 cm 2012
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Oltre il mistero, la luce
olio su tela, 60x70 cm 2012
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Nelle notti, accade
olio su tela, 60x50 cm 2011
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Accompagnaci verso luoghi sconosciuti
olio su tela, 100x120 cm 2012
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Un canto
olio su tela, 70x70 cm 2012
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Portami con te
olio su tela, 110x130 cm 2012
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Dialoghi sotto la luna
olio su tela, 80x80 cm 2011
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Sotto la luna
olio su tela, 50x60 cm 2011
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L’uomo del futuro
olio su tela, 80x80 cm 2011
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Paesaggio lunare
olio su tela, 40x40 cm 2011
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Passeggiata
olio su tela, 40x50 cm 2012
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Un viaggio da sogno
olio su tela, 50x60 cm 2011
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Passaggi
olio su tela, 60x70 cm 2012
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Verso l’ignoto
olio su tela, 60x50 cm 2011
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La casa della luna
olio su tela, 80x80 cm 2012
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Interno
olio su tela, 90x100 cm 2012
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La luna è un racconto
olio su tela, 35x30 cm 2012
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Dedica
olio su tela, 70x30 cm 2012
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Buonanotte
olio su tela, 70x30 cm 2012
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In sospensione
olio su tela, 70x30 cm 2012
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Monumento per Torino
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Prigioniera dei pensieri
olio su tela, 70x70 cm 2012
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Indicami la strada
olio su tela, 50x50 cm 2012
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Uno sguardo oltre
olio su tela, 60x70 cm 2012
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Mare dentro
olio su tela, 40x50 cm 2012
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In viaggio tra cielo e mare
olio su tela, 80x90 cm 2012
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Oltre
olio su tela, 50x60 cm 2012
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Lunario
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Pensieri alla luna 1
olio su tela, 20x30 cm 2012
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Pensieri alla luna 2
olio su tela, 20x20 cm 2012
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Pensieri alla luna 3
olio su tavola, 20x30 cm 2012
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Bendata Pensieri alla luna 4
olio su tavola, 20x30 cm 2012
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Pensieri alla luna 5
olio su tela, 20x30 cm 2012
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Operesu carta
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Torna a prendermi
olio su carta, 40x40 cm 2012
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A passeggio
olio su carta, 30x45 cm 2012
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Luna
olio su carta, 70x50 cm 2012
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Biografia
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Ciro Palumbo nasce a Zurigo nel 1965. Dopo un percorso lavorativo nel mondo della pubblicità, prima come grafico e poi come Art Director comincia, nel 1994, a dedicarsi alla sua vera grande passione: la pittura. Si forma in una moderna Bottega d’Arte, prima come allievo e poi come assistente. Attualmente lavora a Torino, presso il suo atelier “Bottega Indaco”. Il suo percorso artistico è ricco e poliedrico, e la sua poetica ricalca le orme della Scuola Metafisica di Giorgio de Chirico e Alberto Savinio, per reinventarne i fondamenti secondo un’interpretazione personalissima e originale. Le sue opere sono un tripudio di simboli onirici e palcoscenici fantasmagorici. Nessuna realtà è più vera e autentica del Sogno, questo sembra volerci comunicare, con i suoi dipinti, Ciro Palumbo.
Ciro Palumbo was born in Zurich in 1965. After a career in advertising, first as graphic designer and later as Art Director, in 1994 he began to pursue his true great passion: painting. He shaped himself in a modern Art Workshop, first as a student, then as an assistant. In 2006, he fulfilled his desire to give three-dimensional shape to the content of his works, by trying his hand at sculpting; his project is made of suggestions that draw from his painting in continuous evolution. He currently works in Turin, at his studio “Bottega Indaco” (“Indigo Workshop”). His artistic career is rich, intense and multifaceted, and his poetics follows the footsteps of the “Scuola Metafisica” by Giorgio de Chirico and Alberto Savinio to reinvent its basics with a very peculiar and unusual interpretation. His works are a jubilation of oneiric symbols and phantasmagorical stages. No reality is more real and authentic than Dream itself: this seems what Ciro Palumbo wants to tell us, with his paintings.
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L’artista piemontese annovera al proprio attivo un centinaio di mostre personali già a partire dal 1994 ma le principali esposizioni negli ultimi anni, oltre alla partecipazione a fiere d’arte internazionali, sono:
.L’Atelier degli angeli presso Atelier Borghini - Pistoia - 2004 .Rassegna d’arte contemporanea presso Villa La Colombaia - Ischia - 2004 e 2005 .Il pittore delle isole presso Palazzo Marchini - Giaveno (To) - 2005 .33 Artisti i giudizi di Sgarbi presso Arteincontri - Torino - 2005 .Le Roccaforti del sogno presso Torre della Filanda - Rivoli (To) - 2006 .Omaggio a Luchino Visconti presso Palazzo di Parte Guelfa e Galleria del Palazzo Coveri Firenze - 2006 .La Metafisica dei colori mostra personale presso La Galleria del Palazzo Coveri - Firenze - 2007 .La nave dei folli a cura di Domenico Montaldo presso Museo della Basilica di Clusone (Bg) - 2007 .Bellissima mostra in omaggio a Luchino Visconti a cura di Ciro Prota - presso Maschio Angioino (Na) - 2008 .Il volto, incarnazione del sogno presso Ex Chiesa Anglicana - Alassio (Sv) - 2008 .Entriamo nel sogno presso Galleria Arte è Kaos - Alassio (Sv) - 2008 .Cambiamento universale nello spazio presso Spazio Tadini - Milano - 2008
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.ArteIndaco presso Centro Energea - Milano - 2008 .Last Work a cura di Chiara Giustini presso Hotel Bernini Palace (organizzata da Galleria del Palazzo Coveri) - Firenze - 2008 .FiabePitture presso Struttura Comunale Ex macello - Aversa (Ce) - 2008 .Menomale presso Teatro Vittoria - Torino - 2009 .Mare di parole presso San Gregorio Art Gallery - Venezia - 2009 .I Viaggi di Colombo presso Villa Cambiaso - Savona - 2009 .Paestum Arte 2009 presso Tuttarte Esposizioni d’Arte - Paestum (Sa) - 2009 .Microcosmi dagli Orizzonti Infiniti presso Galleria d’Arte Il Novecento - Salerno - 2009 .Open Cavalli d’Autore a cura di Caterina Bellati presso Assisi Endurance - con Galleria Artisse - Assisi - 2009 .Contemporanea 2009 Fiera d’Arte di Forlì con Galleria d’Arte Ess&rre di Ostia (Roma) - Forlì - 2009 .Immagina 2009 Fiera d’Arte di Reggio Emilia con Galleria d’Arte Ess&rre di Ostia (Roma) - Reggio Emilia - 2009 .Personale Palumbo presso Galleria d’Arte Frida - Bari - 2009 .Personale Palumbo presso Galleria Barbato Arte - Scafati (Sa) - 2009 .Magiche Sospensioni mostra personale a cura di Francesca Bogliolo presso Palazzo Oddo - Albenga (Sv) - 2009 .Solchi presso Teatro Vittoria di Torino (in collaborazione con Telefono Rosa Piemonte) - Torino - 2010
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.Vincitore Terzo Premio al Premio Roma 2010 con Acca in Arte Edizioni - Roma - 2010 .Il vuoto e le forme – Metropoli/Antimetropoli a cura di Caterina Bellati presso Palazzo Pretorio - Chiavenna (So) - 2010 .Il viaggio del giovane vecchio all’interno del Festival dei 2 mondi a cura di Alberto D’Atanasio - Spoleto (Pg) - 2010 .Gli Universi di Bottega Indaco mostra collettiva presso Palazzo Oddo - Albenga (Sv) - 2010 .Dall’Arcaico all’Arcaismo a cura di Paolo Levi presso Museo Etruscopolis - Tarquinia (Vt) - 2010 .Venezia Misteriosa mostra collettiva a cura di Alberto D’Atanasio presso Cà Zanardi - Venezia - 2010 .Art Basel Miami partecipazione con Art Events - Miami, Florida, Usa - 2010 .Genesis – Un percorso spirituale mostra collettiva a cura di Paolo Levi presso Chiesa di S.Maria in Castello - Tarquinia (Vt) - 2010 .Il viaggio del giovane vecchio mostra personale a cura di Alberto D’Atanasio presso Magazzini del sale, R.S.C. Canottieri Bucintoro - Venezia - 2011 .Torino arte 150 mostra collettiva a cura di Sabrina Sottile presso Palazzo Barolo - Torino - 2011 .Il cerchio e il circo a cura di Alberto D’Atanasio mostra con Claudia Giraudo presso Chiostro di S.Caterina, Finalborgo - Finale Ligure (Sv) - 2011
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.54 Biennale di Venezia Esposizione Internazionale d’Arte - Padiglione Italia a cura di Vittorio Sgarbi presso Museo Regionale di Scienze Naturali - Torino - 2011 .Premio Internazionale Spoleto Festival Art 2011 presso Galleria POLId’ARTE, Spoleto (Pg) - 2011 .Spoleto Festival Art Expo presso Chiostro di San Nicolò, Spoleto (Pg) - 2011 .Al di là della realtà del nostro tempo mostra personale presso Centrum Sete Sóis Sete Luas, Ponte de Sor, Portogallo - 2011 .Foulard d’Arte mostra collettiva presso Galleria del Palazzo-Coveri - Firenze - 2011 .Pt BOOK 2012 presso Museo dell’Automobile di Torino - Torino - 2011 .54 Biennale di Venezia Esposizione Internazionale d’Arte - Padiglione Italia a cura di Vittorio Sgarbi presso Palazzo delle esposizioni - Sala Nervi - Torino - 2011 .In chartis mevaniae mostra collettiva a cura di Alberto D’Atanasio presso Museo Civico di Bevagna, Bevagna (Pg) - 2011 .La fine del mondo tra Apocalisse e Apocatàstasi, gli artisti? I nuovi profeti mostra collettiva a cura di Alberto D’Atanasio presso Magazzini del sale, R.S.C. Canottieri Bucintoro - Venezia - 2012 .Il miracolo della maternità, l’origine del mondo presso Hotel Capital - Salerno - 2012 .Chiaro silente di luna mostra personale a cura di Paolo Levi presso Palazzo Marenco - Torino - 2012
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Antologiacritica
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Paolo Levi
estratto dal testo: L’inquietudine del sogno
Ciro Palumbo è un artista che ama la provocazione, ma non tanto nel senso di una sfida, quanto come intento di sedurre. Egli proviene, o per meglio dire, si è immesso da tempo nella tradizione metafisica: gli interni abitati solo da oggetti inanimati e da sculture classiche, i paesaggi marini con un’isola, sono evidenti richiami a Giorgio de Chirico e ad Arnold Böcklin. Ma nel suo modo di concepire l’arte pittorica – lavorio continuo e meditato, fatto di applicazione, di studio del colore e degli spazi, di preciso calcolo delle alternanze fra pieni e vuoti, di calibratura dei toni, dell’ombra e della luce – egli lascia anche trapelare la sua devozione ai maestri del museo della storia dell’arte italiana, e più in particolare alla tradizione rinascimentale, quando la creazione artistica rispondeva a leggi prospettiche e compositive ineludibili. Le sue espressioni figurali riferiscono quindi di una cultura profondamente assimilata e di un percorso meditato e coerente alla ricerca dei sottili legami che collegano l’arte classica alla modernità. Da un punto vista strettamente stilistico, egli non sembra appartenere al nostro presente – del resto la sua eleganza è felicemente lontana da certe esibizioni che ci sottopongono gli artisti di oggi – e tuttavia va sottolineata la qualità concettuale della sua ricerca tematica e visiva, che si svolge in un contesto impregnato di emotività e di sensibilità tutta contemporanea. Quando affronta la tela non lascia nulla al caso: i suoi pigmenti variegati e aggreganti completano un’intensa trama segnica, perfettamente preordinata. Le isole, il mare, gli oggetti nelle stanze vuote, le statue di memoria ellenistica, si compongono in strutture rigorosamente equilibrate, sia dal punto di vista spaziale, sia della coerenza contenutistica, dove le immagini traducono i simboli onirici in allegorie dell’assenza e del silenzio. Le finestre che si aprono verso il mare, le costruzioni circondate dagli alberi, i cieli spesso ombrosi di nuvole, segnano un universo di linee, di masse, di colori forti, di stesure tutt’altro che semplici. Ma questo non è sufficiente per continuare a ripetere la sua adesione agli stilemi della metafisica, in quanto i suoi fondi contrastano con le masse cromatiche uniformi e asettiche, che caratterizzano gli oggetti in primo piano, seguendo una linea tonale diversa e mossa da sovrapposizioni di colori ben leggibili. A livello esclusivamente visivo, se si accolgono otticamente queste campiture, ci si accorge come Palumbo abbia anche seguito la lezione tecnica dell’Informale. [...]
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Vittorio Sgarbi
estratto dal testo: La classicità metafisica da: I giudizi di Sgarbi, Editoriale Giorgio Mondadori
[...] Ogni quadro rievoca la classicità in un assemblaggio apparentemente incongruo di elementi compositivi plasticamente forti. È un impianto che poggia su elementi figurali tipici della metafisica dechirichiana, interni geometrici, sfondi naturali, sculture marmoree, ruderi e colonne squadrate, ma anche sul giocoso accostamento a balocchi colorati, barchette, palloni, e tasselli da costruzione. Lo spazio che circonda questo mondo colorato è però ampio e in gran parte abitato dal vuoto, che allude ad assenze senza ritorno. Sono architetture senza tempo, dove la qualità pittorica si rivela in una delineazione estremamente precisa, senza sbavature. Pittore di tradizione, che si rifà evidentemente alla lezione psicanalitica sulle simbologie oniriche, egli non insiste tanto sull’immaginario archetipico, quanto sull’esplicitazione freudiana dell’inconscio, sull’esplorazione del rimosso. I suoi sogni sono costruiti a tavolino, come la narrazione di una irrealtà ormai acquisita alla consapevolezza. Sono fiabe colte che si avvalgono dei reperti della Grecia antica, quella dei viaggi e degli assedi omerici, ritrovati in tutto il loro sapore fiabesco, quindi provocatoriamente estranei a una seriosa lettura critica o filologica. Infatti, e in modo persino ossessivo, egli ripete in molte composizioni il tema dell’isola, già caro a Böcklin, ma non più tanto nel significato intimista, privato e nevrotico di un sogno da cui non si riesce a uscire, quanto piuttosto col gusto di una citazione, di un omaggio ai maestri e ai poeti che hanno ripreso quel tema, trasformandolo in una sorta di metafora dell’esplorazione e del tentativo di appropriazione dello spazio. O forse questa inquietante presenza in mezzo al mare non è neppure una citazione culturale, quanto piuttosto il senso di una meta utopica, fortunatamente irraggiungibile, di un viaggio nella conoscenza di sé, dove conta molto di più il percorso dell’arrivo. In questo consiste anche il senso del fare arte, che si fonda proprio sull’inesauribilità della ricerca, sulla natura incompiuta della creazione umana. La classicità metafisica di Palumbo ci fa dunque riflettere sulle ragioni stesse della nostra cultura così radicata nel Mediterraneo, nel rapporto fra il cielo il mare e la terra, fra il passato e il presente, fra la delusione e l’illusione, fra la follia e la ragione.
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Alberto D’Atanasio
estratto dal testo: Il viaggio del giovane vecchio - Il racconto
[…] Basta una foto, una penna, un gioco logoro e rotto, una cartolina, un quaderno con scarabocchi che in un tempo lontano avevano lo stesso sapore degli arabeschi. Cose che non rievocano miti, né vogliono denunciare società malsane o un potere iniquo, semplicemente ci vogliono dire che noi siamo in quanto capaci di provare ancora emozioni nonostante tutto e tutti. Così sono i giocattoli e gli oggetti che Ciro Palumbo dipinge nei suoi quadri. Spuntano come nature morte da una barca o da una valigia, cadono da una nube o emergono dalla chioma di un albero da cui piovono stelle. A mio parere la pittura di Ciro Palumbo non è Metafisica né tantomeno Surrealismo, se vogliamo storicizzare l’analisi del suo fare arte è altro su cui si deve riflettere. Quest’uomo ha mantenuto un cuore da ragazzo e ogni tanto si ferma a respirare e riposare sotto un albero, mentre è lì riflette, si slaccia le cinte che tengono spada e pugnale, toglie lo scudo e pianta la lancia in terra. Scopre che il mondo su cui vive è alieno e lui lo è per il mondo, e piuttosto che fuggire o continuare ad alienarsi inventa la sua realtà perché ci si possa perdere per poi ritrovarsi. […]
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[…] La genialità della pittura di Ciro Palumbo si spiega nel percorso di quest’artista che nasce come grafico pubblicitario ed è approdato alla pittura riscoprendo le tecniche antiche di raffigurazione e facendo in modo che il dipingere tornasse a condurre l’osservatore alla meraviglia e all’introspezione. Un’altra curiosità dell’opera di quest’artista è quella di unire in maniera armonica, l’idea concettuale con quella del simbolo che rievoca il ricordo e di conseguenza suscita un sentimento, una emozione. È quella storia che comincia quando l’uomo incontra se stesso attraverso i sentimenti che forma l’essenza della filosofia estetica di questo artista. Ciro stende i colori con la sapienza che fu di Tiziano Vecellio e di Velazquez. E se la metafisica che le sue immagini fanno ricordare è sicuramente di Savinio da cui prende la poeticità e l’allegria e rifugge piuttosto dalla silente mestizia, misterica di De Chirico. Con la sua rappresentazione di oggetti e scenari dal sapore ancestrale e con gli elementi dell’arte classica, Ciro Palumbo è piuttosto una sorta di nuovo romantico il quale non potendo cantare la sua canzone a un pubblico divenuto sordo e afono, costruisce il suo mondo nella tela e in questa mostra egli mette tutta la poesia, la malinconia e la speranza di chi per il viaggio parte. [...]
Tommaso Paloscia
estratto dal testo: Le magie pittoriche di Ciro Palumbo
Dalle Piazze d’Italia all’Isola che non c’è
[...] E’ chiaro che la metafisica dechirichiana sia stata la protagonista del primo incontro nel quale Palumbo ha raccolto il messaggio divenuto rapidamente più carico di idee e di sensazioni da ritrasmettere col proprio segno e i propri colori. E di qui l’esercizio pittorico è avanzato fra sogni e interpretazioni dell’irreale in genere, più che del reale, senza ostacoli che procurassero remore alla sua inventiva. O meglio alla capacità di manipolare a piacimento quelle suggestioni ispiratrici. Dominate dal mito, sulla scia dei suggerimenti insiti nelle creazioni dell’inventore della Metafisica. Rifletto ogni tanto su alcune riproduzioni di quadri dipinti da Palumbo solo qualche anno fa. E mi vengono a mente le sue vivacissime trasfigurazioni di pensiero ricavate da qualche “piazza d’Italia”, disegnata da architetture nelle quali le reminiscenze classiche del greco De Chirico sono state trasfigurate in paratie semplici eppure cariche di intenzioni altre. Con, al centro della raffigurazione spaziale, una scatola rettangolare ampia e carica di oggetti coloratissimi a sostituire, e a rappresentare forse, quella scultura sdraiata, classicheggiante, che il Maestro di Volos proponeva come punto centrale dell’attrazione suscitata nell’osservatore dai punti di fuga e dall’incantesimo di quell’enigma donde è scaturita la “piazza d’Italia”. E quello scatolone e i giocattoli mi è parso di reincontrarli spesso anche quando la Metafisica ha cominciato a modificarsi in questa pittura e a mostrare, non so quanto consapevolmente, una simpatia vieppiù intensa nella varietà dei sogni che invadono la mente del pittore. L’utopia dell’isola che non c’è di cui Tommaso Moro espresse in un famoso libro, anche attraverso preziosi dettagli, le sue teorie di filosofia politica, ha coinvolto intere popolazioni tentate di smentire il valore di irrealizzabilità attribuito a quell’utopia. E in alcuni casi, in conseguenza di importanti movimenti rivoluzionari nel sociale, ne sono state fatte applicazioni concrete nella realtà, ma con esiti tutt’altro che felici, come la storia recente ampiamente dimostra. Altri ne sopravvivono con l’esercizio di costrizioni che limitano gravemente le libertà fondamentali dell’uomo. Per cui l’isola della felicità sociale continua a disertare la realtà di questo mondo. [...]
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Pier Francesco Listri
estratto dal testo: Le nutrienti e liete favole metafisiche di Ciro Palumbo
[...] Nei dipinti di Palumbo v’è anche un influsso dell’ultima e più moderna forma d’arte: il cinema. Si rivela soprattutto nei tagli della composizione, negli assemblaggi di altissima qualità scenografica, nella capacità di determinare con pochi elementi un ambiente insieme inedito e sorprendente, e infine nella visione del punto prospettico che in Palumbo ha talora impercettibili ma decisivi spostamenti. Quanto detto finora fa parte di un puro, sebbene decisivo, trovarobato del mestiere, che tuttavia non è da deplorare o ignorare, ma che non dice né spiega il salto radicale e decisivo fra l’impegno del comunicare emozioni con fini secondi e invece il libero dono della creazione dell’arte, qual’è la pittura migliore dello stesso Palumbo. Conviene dunque soffermarsi sulla più radicale delle derivazioni: quella visiva e percettiva che viene dai grandi antecedenti artistici osservati come nutriente sostanza, ma mai imitati dal nostro artista. Qui cade per forza, e ogni critico di Palumbo lo sostiene, la lunga meditazione sulla pittura storicamente definita metafisica. Essa nacque, ben si sa, verso il secondo decennio del Novecento ed ebbe nome e sostanza soprattutto dal geniale talento di Giorgio de Chirico salvo poi per un non lungo periodo – ma con persistenze tuttora vive – esser condivisa da artisti come Alberto Savinio, Giorgio Moranti, Carlo Carrà, Filippo De Pisis. Genialmente de Chirico intuì che esisteva un territorio esplorabile dall’artista che non coincide con quello della comune esperienza, non è contenibile nei confini della realtà fenomenologia ma si sostanzia di una vitalità magica, si carica di enigmi, si colloca in una dimensione in cui il sogno è suggeritore di inedite ed inquietanti simbologie. Caratteri che più tardi saranno sviluppati dalle correnti surrealiste. Caratteri anche che ponendosi in polemica con la normale percezione del visivo condivisa dagli artisti precedenti, possiedono una carica di ironia, e forse di scetticismo che peraltro nulla tolgono alla sua straordinaria capacità evocativa. Eccoci dunque all’odierna pittura di Palumbo, la quale non manca anche nella molteplicità delle sue suggestioni, di una forte intenzione ludica, cioè di creare, con la sua vertiginosa capacità combinatoria, anche un’atmosfera di gioco e di allegra e ilare vacanza (e insieme impegno) da parte della mente di chi contempla. [...]
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Chiara Manganelli
estratto dal testo: Il luogo del non luogo
La città altrove Oltre la realtà fisica: Polis meta-fisichè di Ciro Palumbo [...] La città metafisica è dunque un’utopia. Ma il termine deve essere inteso secondo l’accezione originale, dal greco antico (“ou-topos” = non-luogo), e non secondo l’accezione che ha assunto nell’attuale vocabolario comune, che l’ha snaturato, trasformandolo in sinonimo di qualcosa di irrealizzabile e impossibile. Il “non-luogo” è un luogo che, al contrario di quanto potrebbe apparire, non nega altri ipotetici luoghi attraverso una determinazione precisa e categorica di attributi e valenze, bensì è il luogo che, proprio perchè non si caratterizza in modo preciso e incontrovertibile, può essere tutti i luoghi possibili. Qui la negazione non è un limite o un vincolo, ma una risorsa, una chiave che apre infinite serrature. La città, normalmente, ci fa pensare a qualcosa di soffocante, a un gorgo ingarbugliato di cemento liquido e caos. Ma la città metafisica è cosa assai differente. E’ un “non-luogo”, appunto, e come tale, in virtù di un sillogismo quasi naturale, è il luogo del Sogno. La polis di Palumbo ammicca, seduce, ma bandisce dalle proprie vie e piazze l’occhio raziocinante, il Sè cerebrare che tutto controlla (o si illude di controllare!) e tutto ghermisce con ottundimento e arroganza, secondo inappellabili e ferree regole “algebriche”. Questa “città del sogno” si snoda tra i dedali affascinanti e ambivaleti dell’inconscio, e lì si nutre di linfa e di luce. Tra i palcoscenici suggestivi delle opere di Palumbo, popolati da angeli e palazzi irriverenti e indisciplinati, appare un’isola fantasmagorica, sospesa tra mare e terra; essa rappresenta il tempio consacrato all’universo onirico. E qui c’è un chiaro riferimento alla “Città del Sole” di Campanella. L’isola è il territorio di partenza e di approdo; è al contempo una porta che si spalanca su viaggi rocamboleschi e una sorta di Itaca metafisica, che fluttua oltre il tempo, nutrendosi dei sogni latenti dell’anima.
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Francesca Bogliolo
estratto dal testo: La realtà dell’irreale
Memorie inconsce e silenzi sospesi nelle atmosfere di Ciro Palumbo [...] Nelle tele di Palumbo l’atmosfera lascia trasparire l’anima delle cose, gli ambienti delineati spingono a porsi domande inquiete: ci si chiede se il pittore sia in procinto di partire oppure di arrivare, se l’apparenza inganni o sveli una realtà del tutto nuova, se i simboli aspettino eternamente o siano in procinto di scomparire come in una visione onirica. In un approdo secolare come quello in cui si svolge la mostra, l’artista giunge con il suo bagaglio colmo di simboli, veicoli di significati e interrogativi. I simboli ricorrenti dell’artista, che appaiono adeguati per rappresentare il sovrapporsi dei significati della realtà, dilatano il tempo e lo spazio della vicenda narrata nello spazio di una tela, rivelano l’uomo nelle sue infinite potenzialità. Ciò che normalmente appare quotidiano, vira con Palumbo verso una nuova concezione di significato: ciò che esiste ed è tangibile diviene d’un tratto, rivendica la propria necessità di esistenza all’interno del fare artistico, emerge da una tradizione pittorica reinterpretata, da un’esistenza antica e nuova, lontana e vicina, si smarrisce all’interno di un labirinto, simile ad una valigia che ne contenga, come una scatola cinese, mille altre. L’allegoria del viaggio, pretesto esistenziale per un’infinita ricerca, fissa gli istanti in una quiete immobile ed eterna, in cui il viaggiatore tenti di ritrovare il senso della precarietà del suo passato, presente e futuro: in un’eterna attesa le pulsioni della coscienza si esprimono e il sogno acquista la stessa valenza della veglia. Gli istanti, dilatati nel tempo, evanescenti, sospesi, restano a immutabile memoria nascosti tra le pieghe di un’eternità. L’uomo si identifica nei simboli, ritrova la sua umanità tra i meandri di una coscienza nascosta, di un’atmosfera immutata, di una città eterna. Un ‘mondo senza nome, che il giorno deforma nei suoi specchi’ lo accoglierà come un oracolo al risveglio, per rivelargli i segreti di un’esistenza inquieta, racchiusa tra mura, parole, silenzi, attese. Su di una barca volante egli potrà allora, finalmente, approdare al proprio destino.
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Adriano Olivieri Raggiungere il “meta”
[...] Gli oggetti della messa in scena, improbabili, certo, ma dipinti come credibili, divengono allusione a qualcosa che sta oltre la loro semplice presenza fisica e razionale utilizzo. Di essi l’oggettiva funzionalità, già messa in crisi dalla forma incompleta o abnorme – cosa ce ne faremmo di una stanza senza soffitto o di enormi giocattoli? –, è ulteriormente compromessa dalla reciproca collocazione – una barca sospesa nell’aria – che ne porta in evidenza un contenuto altro, non fisico ma trascendente. Ne risulta una pittura fiabesca, tesa al raggiungimento di un significato ulteriore, a un grado di esistenza spostato altrove, atemporale, astorico e indefinibile: in una dimensione metafisica appunto. In questo modo la pittura di Palumbo costruisce un sostrato immaginifico e trae dalla pittura metafisica il complessivo senso del mistero e del sogno. Queste opere, con criterio geometrico e salda struttura spaziale, suggeriscono una rappresentazione teatrale e visionaria anche quando non raffigurano direttamente un sipario o una tenda scostata a mostrare un paesaggio. Proprio l’ammiccante orchestrazione, l’assemblaggio di elementi contraddittori e incongrui, tipicamente surreale, ci invita a percepire il dipinto come una personale e intima visione quale potremmo averla assistendo a un nostro sogno. I viaggi chimerici di Palumbo sono favole classicistiche create su misura, sogni liberamente costruiti sulle simbologie oniriche e sulle teorie freudiane dei moti dell’inconscio. Gli interni prospettici, l’ambientazione naturale, le sculture e i frammenti archeologici vogliono fare leva su una memoria antica, su ricorrenti esperienze inconsce, rielaborate in modo da suscitare sensazioni e sentimenti non direttamente e logicamente collegati ai singoli elementi del dipinto ma immersi in un sistema di libera interpretazione della tela, in una trama di riferimenti altamente suggestiva. Fra questi suggerimenti quello al viaggio è sicuramente uno dei più ricorrenti nel percorso di Palumbo, per il quale il mare ne è indispensabile metafora. Prendere la via del mare o tornare dai marosi è il viaggio per eccellenza: infernale o paradisiaco, vero o presunto, reale o immaginario, breve o infinito, mortale o vitale. [...]
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Direzione artistica: Markab Inside - Creatività ad Arte, Torino. Graphic Design: Laura Giai Baudissard, Torino. Riproduzione dipinti: Valter Fiorio, Torino. © dipinti: Studio d’Arte Palumbo, Torino.
122 finito di stampare nel mese di maggio 2012 presso: Tecnograff, San Paolo D’Argon (Bg)
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