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ciro palumbo
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Ciro palumbo magiche sospensioni
Palazzo oddo - albenga (SV) 19 dicembre 2009 - 10 gennaio 2010
Con il patrocinio di:
Catalogo a cura di Adriano Olivieri Coordinamento Francesca Bogliolo Testi di Adriano Olivieri Chiara Manganelli Clemente Servodio Iammarrone Nicola Davide Angerame Paolo Levi Vittorio Sgarbi In collaborazione con: mostra a cura di Bottega Indaco e Falpa Promozione Arte ufficio stampa Palazzo Oddo info@palazzooddo.it - www.palazzooddo.it
www.falpa.it
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La vocazione culturale della città di Albenga offre da tempo la possibilità di confrontarsi con manifestazioni di alto livello inserite in un territorio che per la sua struttura costituisce un vero e proprio ‘museo a cielo aperto’. La mostra personale di Ciro Palumbo, realizzata in collaborazione con il Comune di Albenga e la Palazzo Oddo srl, vedrà il pittore torinese proporre una serie di interessanti opere ricche di suggestioni metafisiche, che troveranno posto nelle restaurate sale di Palazzo Oddo, struttura destinata a diventare polo culturale di spicco per la vita culturale ingauna. ‘Magiche sospensioni’ inaugura un cammino sperimentale che è anche un percorso dall’antico al moderno: percorrendo le sale, infatti, il visitatore avrà modo di confrontarsi con i reperti romani conservati al primo piano dalla mostra “Magiche Trasparenze”, di attraversare le sale della grande Biblioteca Civica nella sua nuova sede, e di ammirare le opere di un affermato artista di nuova generazione. L’incontro tra la cultura locale e un recente linguaggio dell’arte ha dato luogo ad un felice connubio che lascia intuire quanto entusiasmo si manifesti nell’atto creativo che trova un sostrato fertile.
Il Direttore Generale della Palazzo Oddo srl Umberto Airaudi
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Pag. 7 Raggiungere il “meta” - Testo critico di Adriano Olivieri Pag. 13 Opere pag.41 Opere su carta pag.47 Opere polis meta-fusichè Pag. 53 Opere W.I.P. - Work In Progress pag. 75 Gli inizi pag. 93 Biografia
indice
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9 nel vuoto, nel cielo olio su tela - cm 30x40 il cavallo dell’illusione olio su tela - cm 50x50
Nella vasta e variegata moltitudine di pittura figurativa, prodotta da un po’ di anni a questa parte, pare che un ruolo di primissimo piano, oltre certe sperimentazioni sulla materia – memori ancora dell’informale –, sia stato ricoperto essenzialmente da due tendenze: una che si avvale della fotografia, trascorrendo dalla pittura propriamente iperrealista a quella in cui l’utilizzo dell’obiettivo poggia su ragioni di mera comodità; l’altra, ispirata al surrealismo storico, si concentra sul mondo onirico. Mentre il linguaggio cubista, per esempio, metabolizzato per vie più concettuali che formali, non risulta tuttora utilizzato dai pittori per l’analisi spazio-temporale del reale, la pittura di matrice surreale ha continuato a raccogliere proseliti ai più svariati livelli qualitativi. Questo forse perché la pittura di un Magritte, un Delvaux o un Dalì, pur essendo stata rivoluzionaria nel contenuto si sviluppa in una trama pittorica leggibile, rassicurante per chi oggi aspiri a quell’ipotetico e mai raggiunto definitivo ritorno alla figurazione invocato da troppi anni. Molti pittori contemporanei si sono quindi collegati al linguaggio surreale, come a quello medesimamente attraente della metafisica di De Chirico e Savinio, come un modo per restare nella tradizione pittorica liberandosi nel contempo da lacci troppo vincolanti con la realtà da rappresentare.
RAGGIUNGERE IL “META” di adriano olivieri
Ciro Palumbo agisce nel solco di questa traduzione del linguaggio surreale, onirico e freudiano, realizzando una pittura, della quale non facciamo fatica a rintracciare i riferimenti storici, che s’impernia su un numero limitato di soggetti posti costantemente in dialogo fra loro attraverso variazioni di accostamento, distribuzione, grandezza, forma e colore. Fra questi soggetti ricorrono con frequenza: le stanze senza soffitto, i giocattoli, l’isola di bökliniana memoria, le statue classiche, il mare, la sottesa mediterraneità
10 un angelo ci porterà olio su tela - cm 80x80 soffia vento! olio su tela - cm 40x40
immersa in un costante e cromaticamente acceso tramonto. Gli oggetti della messa in scena, improbabili, certo, ma dipinti come credibili, divengono allusione a qualcosa che sta oltre la loro semplice presenza fisica e razionale utilizzo. Di essi l’oggettiva funzionalità, già messa in crisi dalla forma incompleta o abnorme – cosa ce ne faremmo di una stanza senza soffitto o di enormi giocattoli? –, è ulteriormente compromessa dalla reciproca collocazione – una barca sospesa nell’aria – che ne porta in evidenza un contenuto altro, non fisico ma trascendente. Ne risulta una pittura fiabesca, tesa al raggiungimento di un significato ulteriore, a un grado di esistenza spostato altrove, atemporale, astorico e indefinibile: in una dimensione metafisica appunto. In questo modo la pittura di Palumbo costruisce un sostrato immaginifico e trae dalla pittura metafisica il complessivo senso del mistero e del sogno. Queste opere, con criterio geometrico e salda struttura spaziale, suggeriscono una rappresentazione teatrale e visionaria anche quando non raffigurano direttamente un sipario o una tenda scostata a mostrare un paesaggio. Proprio l’ammiccante orchestrazione, l’assemblaggio di elementi contraddittori e incongrui, tipicamente surreale, ci invita a percepire il dipinto come una personale e intima visione quale potremmo averla assistendo a un nostro sogno. I viaggi chimerici di Palumbo sono favole classicistiche create su misura, sogni liberamente costruiti sulle simbologie oniriche e sulle teorie freudiane dei moti dell’inconscio. Gli interni prospettici, l’ambientazione naturale, le sculture e i frammenti archeologici vogliono fare leva su una memoria antica, su ricorrenti esperienze inconsce, rielaborate in modo da suscitare sensazioni e sentimenti non direttamente e logicamente collegati ai singoli elementi del dipinto ma immersi in un sistema di libera interpretazione della tela, in una trama di riferimenti altamente suggestiva. Fra questi suggerimenti quello al viaggio è sicuramente uno dei più ricorrenti nel percorso di Palumbo, per il quale il mare ne è indispensabile metafora. Prendere la via del mare o tornare dai marosi è il viaggio per eccellenza: infernale o paradisiaco, vero o presunto, reale o immaginario, breve o infinito, mortale o vitale. La direzione stessa è costantemente messa in dubbio, ossia non
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sappiamo se essi siano viaggi di andata o di ritorno. Spesso i suoi giocattoli eletti ad autentici protagonisti in luogo dei personaggi umani intraprendono una strada che li porta all’interno del dipinto verso un punto focale rappresentato alternativamente dall’isola, dal tempio o dal teatro, e ne escono trasformati, rigenerati e pronti per una nuova meta. Queste costruzioni, infatti, il tempio in particolare, sono scatole magiche che vogliono figurare il sapere, la memoria e la speranza. Il viaggio quale condizione indispensabile dell’esistere è rappresentato attraverso il fluttuare di onde che lambiscono spiagge o che sciabordano su palchetti di stanze che si affacciano inverosimilmente sul mare. Le linee di fuga dei dipinti conducono quindi a ipotetici luoghi di approdo, delle Itaca o Citera alle quali giungere ma dalle quali ripartire. Queste isole spesso ridotte a scogli ad anfiteatro, rocce sulle quali mettono radici affusolati cipressi, si rifanno alla celebre “Isola dei morti” dipinta da Arnold Böcklin, modello del quale perdono la grave e onirica meditazione sulla morte che aveva affascinato Freud traducendosi viceversa, con il gusto della citazione, in un atollo di vita, di mutazione, di memoria, di riposo addirittura, sul quale si incagliano sfere e parallelepipedi colorati. La letteratura e l’arte è densa di riferimenti a isole reali o immaginarie; da quella che non c’è di Peter Pan, fantasiosa e infantile, alla mitica Atlantide affondata in un oceano che forse coincide con il nostro subconscio. In Palumbo tuttavia l’isola rappresenta la muta custode della memoria di un mitico passato, ricetto di un’immagine mai estinta di classicità che si manifesta esplicitamene nei ricorrenti riferimenti alla Grecia, a Roma e a Canova. Fra i contemporanei Igor Mitoraj è uno dei maestri d’elezione di Palumbo il quale cita lo scultore polacco nelle ciclopiche figure di pietra che campeggiano su alcune tele; figure bendate o strette da lacci che paiono animarsi, prendendo colorito e inoltrandosi in una terra di mezzo, ibrida fra la fissità della roccia e l’animazione dell’essere vivente. Gli stessi giocattoli e le navi dipinte con gusto grafico nell’impaginato e con colori saturi, formano delle nature morte metaforicamente e letteralmente sospese in un mondo fiabesco non lontano dal realismo magico e da molta pittura figurativa contemporanea russa. La diffusa sensazione ai limiti dell’allarmante è suscitata in particolare dai giocattoli i quali, nel momento
12 isola dei giochi olio su tela - cm 40x50
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in cui perdono la loro dimensione ridotta – adatta a facilitare la manipolazione, il controllo mentale e lo sviluppo dell’esperienza infantile –, cedono la dimensione ludica lasciando il posto a un’impressione inquietante che supera la soglia di attenzione, come fossimo prossimi a un pericolo. Sfere e scatole da circo, colorate con strisce e stelle, escono dal nostro controllo divenendo indipendenti e funambolici personaggi di un mondo altrimenti disabitato. Ma ancora una volta Ciro Palumbo si attiene a un universo nell’insieme pacifico, a tratti ironico, dove anche questa sensazione di allarme viene contenuta in situazioni trasognate grazie alla costante presenza di caldi cieli serali, stellati o dominati da grandi lune. La recente produzione pittorica di Palumbo si estende al di là della ricerca fin qui descritta attraverso un tema comparso progressivamente a partire dal 2004: le sospensioni. In sintonia con la mostra permanete di Palazzo Oddo, intitolata “Magiche trasparenze” e dedicata ai reperti archeologici portati alla luce nella zona di Albenga, Palumbo intitola a sua volta “Magiche sospensioni” la propria mostra. Isole, navi, statue, case e giocattoli, danzano sospesi nell’aria in una dolce levitazione, come bloccati nell’istante prossimo a un accadimento. Sensazione di enigma e di mistero aumentata dall’aspetto delle statue sempre in bilico fra il mondo dei vivi e quello dell’eterna fissità. La pittura di Ciro Palumbo insiste quindi su un percorso che in questi anni ha prodotto tanta pittura figurativa partendo, nel suo caso specifico, da alcuni maestri storici per poi deragliare progressivamente in percorsi alternativi che si sono avvalsi anche del materismo – sulla falsariga informale – del collage, dell’inserzione di parole scritte e di mirati riferimenti alla fotografia e al cinema.
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partenze olio su tela - cm 80x80
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16 l’opera del gioco perduto olio su tela - cm 80x90
17 le porte del sogno olio su tela - cm 60x70 teatro volante olio su tela - cm 40x40
18 sospesi nella tempesta olio su tela - cm 50x50 il gioco della guerra olio su tela - cm 80x80
19 il tempio del gioco olio su tela - cm 80x80
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prigioniero del tuo specchio olio su tela - cm 60x60
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22 uno sguardo nel cielo olio su tela - cm 30x40
23 lasciamo l’anima volare olio su tela - cm 50x50
24 e cosĂŹ perse il viaggio olio su tela - cm 50x60
25 desiderio di altrove olio su tela - cm 40x50 sogni allo specchio olio su tela - cm 60x60
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mi apparve un sole blu - sogno dell’angelo da un’ala spezzata olio su tela - cm 97,5x137
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28 piccolo mistero olio su tela - cm 70x100 l’isola delle vergini olio su tela - cm 40x50
29 conquistatore olio su tela - cm 60x70
30 lontano dai luoghi e dai sensi olio su tela - cm 60x70
31 l’uomo delle stelle olio su tela - cm 100x130
32 la musa dei pensieri olio su tela - cm 60x60
33 un mondo nuovo? olio su tela - cm 35x70 magie olio su tela - cm 30x60 il viaggiatore bambino indaco olio su tela - cm 100x120
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sospensioni olio su tela - cm 30x40
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36 il grande volo olio su tela - cm 80x90 la fuga dei sogni olio su tela - cm 50x60
37 il cavallo dei misteri olio su tela - cm 100x100
38 al centro, la magia olio su tela - cm 80x80
39 l’isola del viaggiatore olio su tela - cm 100x100 in scena, il volo olio su tela - cm 60x70
40 il vento deciderĂ i nostri percorsi... olio su carta Fabriano artistica - cm 90x116 giĂš dalla rupe olio su tela - cm 30x30
41 il vento portò via ciò che rimase di noi olio su tela - cm 80x90
42 in volo olio su carta - cm 50x70
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opere su Carta
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si va in scena! olio su carta - cm 50x70 attraverseremo lune olio su carta - cm 50x70 isola nel cielo olio su carta - cm 50x70
45 nuvole di pensieri collage e olio su carta - cm 50x70
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il cavallino rosso olio su carta - cm 50x70
47 caravelle per nuovi viaggi metafisici olio su carta - cm 50x70 l’arrivo di francesco olio su carta - cm 60x80 il cielo è territorio protetto olio su carta - cm 50x70
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POLIS META-FuSICHè
50 in sospensione olio su tela - cm 50x60
51 attraverso le vie olio su tela - cm 50x60 i sogni volano via al mattino? olio su tela - cm 30x35
“I sogni non vogliono farvi dormire, al contrario, vogliono svegliare.” (R. Magritte) Un luogo etereo, silente, affastellato di simboli magici e onirici, dove ogni cosa non si limita a essere unicamente ciò che sembra, ma racchiude sempre una doppia anima, una lettura “altra”, una sfumatura nascosta che si svela solo se si è capaci di superare i consueti canoni interpretativi per abbracciare strade nuove e sorprendenti. In questo luogo ciò che appare rimanda altrove, a substrati dimensionali e temporali seppelliti tra le stropicciature ammiccanti e sonnecchianti di un “Io” segreto e arcaico, evanescente ma potente, teatro di stratificazioni emotive, spirituali e “filogenetiche” millenarie, magnificamente feconde e visionarie. Un mondo che serba nella propria essenza significati arcani e trascendenti, che trovano senso e intelligibilità solo compiendo un salto quantico all’interno di noi stessi. E’ la “Polis Meta-fusichè”, il nuovo progetto artistico di Ciro Palumbo, che richiama capolavori della letteratura e del pensiero filosofico come la “Res Pubblica” di Platone, “Utopia” di Thomas More, “La Città del Sole” di Tommaso Campanella e le “Città Invisibili” di Italo Calvino.
IL LUOGO DEL NON LUOGO LA CITTà ALTROVE OLTRE LA REALTà FISICA: POLIS META-FuSICHè DI CIRO PALUMBO di chiara manganelli
I riferimenti concettuali a questi testi sono più o meno evidenti e palesi, ma in Palumbo non c’è, ovviamente, una volontà di teorizzare un sistema politico ottimale da applicare a un qualche sistema sociale. L’analisi del pittore torinese va ben oltre e si articola su un altro piano di realtà: egli parla per simboli figurativi senza voler stabilire aprioristicamente dei canoni e dei parametri universali. E’ colui che guarda che deve decodificare i messaggi presenti sulle tele di Palumbo, e percepirli, elaborarli, farli propri, grazie a un processo maieutico che parte dall’evocazione di una miscellanea di sensazioni ed emozioni – magnifica prerogativa esclusiva dell’arte - per arrivare a una consapevolezza profonda di Sè e di ciò che ci circonda. Dunque, come nelle “Città Invisibili” le città esistono solo nella mente del viaggiatore (Marco Polo), così, nella polis metafisica, è lo spettatore che crea la sua città nel momento in cui la contempla, rendendola viva, pulsante, reale e tangibile. E Palumbo, come Calvino, diviene l’affabulatore che inventa e plasma i mondi che dipinge, trasformando la pittura in “metapittura”, attraverso un processo “metanarrativo” per immagini.
52 La città metafisica è dunque un’utopia. Ma il termine deve essere inteso secondo l’accezione originale, dal greco antico (“ou-topos” = non-luogo), e non secondo l’accezione che ha assunto nell’attuale vocabolario comune, che l’ha snaturato, trasformandolo in sinonimo di qualcosa di irrealizzabile e impossibile. Il “non-luogo” è un luogo che, al contrario di quanto potrebbe apparire, non nega altri ipotetici luoghi attraverso una determinazione precisa e categorica di attributi e valenze, bensì è il luogo che, proprio perchè non si caratterizza in modo preciso e incontrovertibile, può essere tutti i luoghi possibili. Qui la negazione non è un limite o un vincolo, ma una risorsa, una chiave che apre infinite serrature. La città, normalmente, ci fa pensare a qualcosa di soffocante, a un gorgo ingarbugliato di cemento liquido e caos. Ma la città metafisica è cosa assai differente. E’ un “non-luogo”, appunto, e come tale, in virtù di un sillogismo quasi naturale, è il luogo del Sogno. La polis di Palumbo ammicca, seduce, ma bandisce dalle proprie vie e piazze l’occhio raziocinante, il Sè cerebrare che tutto controlla (o si illude di controllare!) e tutto ghermisce con ottundimento e arroganza, secondo inappellabili e ferree regole “algebriche”. Questa “città del sogno” si snoda tra i dedali affascinanti e ambivaleti dell’inconscio, e lì si nutre di linfa e di luce. Tra i palcoscenici suggestivi delle opere di Palumbo, popolati da angeli e palazzi irriverenti e indisciplinati, appare un’isola fantasmagorica, sospesa tra mare e terra; essa rappresenta il tempio consacrato all’universo onirico. E qui c’è un chiaro riferimento alla “Città del Sole” di Campanella. L’isola è il territorio di partenza e di approdo; è al contempo una porta che si spalanca su viaggi rocamboleschi e una sorta di Itaca metafisica, che fluttua oltre il tempo, nutrendosi dei sogni latenti dell’anima. “Se nel sonno la coscienza si addormenta, nel sogno l’esistenza si sveglia.” (M. Foucault)
Partenze olio su tela - cm 60x80 amori sotto la luna olio su tela - cm 40x50 viaggi metafisici olio su tela - cm 50x75
53 fuga nella notte olio su tela - cm 50x60
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w.i.p.
work in progress
56 il sogno è come un’isola che ci appare olio su tela - cm 60x70
57 un salto nel cielo olio su tela - cm 30x90
La sensibilità artistica di un pittore si svela non solo attraverso i soggetti delle sue opere, ma soprattutto attraverso la sua espressività cromatica che dà corpo e sostanza alla composizione. Il colore, con i suoi infiniti riverberi, rappresenta pertanto l’elemento essenziale e fondamentale del linguaggio pittorico e consente di definire le peculiarità della personalità espressiva dell’artista. Di volta in volta sarà il colore del tempo, il colore della memoria, il colore dell’anima o il colore del sogno, ovvero, come nel caso di Ciro Palumbo, il colore che, permeandosi di un senso “metafisico”, consente all’artista di travalicare l’imminente per ascendere le vette più alte dell’iperuranio ed in questo percorso si impregna di elementi simbolici. La mostra di Ciro Palumbo si connota appunto per la peculiare sensibilità cromatica dell’artista che, nei quaranta dipinti di cui essa si compone, svolge una tematica densa di emozioni e di figurazioni immaginifiche, definita “La metafisica dei colori”, quasi come se l’autore volesse con i colori, per mezzo dei colori ed attraverso i colori scandagliare le complesse e profonde assonanze sensibili che l’inconscio nasconde, le percezioni di identità psichiche in esso celate come archetipi sondabili solo attraverso le infinite sfumature del colore che la sua sensibilità pittorica rende percepibili. Spiccano sulla tela elementi reali e contingenti, delineati con contorni netti ed espliciti da cui sembra prendere avvio l’ispirazione e l’intuizione dell’artista, ma essi vengono immersi in un’atmosfera eterea ed indefinita, in un’aura vaga e sfuggente che ha le caratteristiche del sogno, con la simbologia magica e le fantasie oniriche di un mondo vivo solo nella profonda interiorità dell’inconscio, con i suoi archetipi e la forza primigenia che essi sono in grado di sprigionare. I colori di Palumbo vivono di una vita allo stesso tempo arcaica e cosmica, si animano di suggestioni a volte sfumate, a volte nitide, a volte degradanti in infinite tonalità che si estrinsecano in una miriade di evanescenze, ma che tuttavia rimangono sempre contenute in un arco diadico oscillante tra “il rosso” ed “il blu”.……
“La metafisica dei colori“ o “i colori della metafisica” del prof. clemente servodio iammarrone
E il colore diventa espressione delle emozioni dell’artista, diviene il suo linguaggio immediato ed istintivo, la sua modalità comunicativa con la quale trasferisce sulla tela la ricchezza della sua capacità creativa ed interpretativa di una realtà che, nonostante sia evocata in una complessa e variegata gamma di modulazioni cromatiche, fluttua con sperimentata sapienza tra due colori: “il rosso” ed “il blu”, la realtà ed il sogno, il conscio e l’inconscio, il concreto e l’astratto, l’immanente ed il trascendente, il caos primordiale e l’ordine dell’armonia divina. In questo eterno dualismo l’uomo pencola sospeso, tra l’istinto e la ragione, la realtà e il sogno, il fisico ed il metafisico; in questo dualismo, che il pittore Ciro Palumbo esprime con “il rosso” ed “il blu”, si svolge il senso e si strutturano i contenuti della sua poetica che egli condensa sulla tela rendendoli tangibili attraverso le innumerevoli gradazioni dei due colori. Espressione di questo dualismo sono le isole sospese come aquiloni tra cielo e terra o tra cielo e mare, le figure mitologiche che attraversano la tela malcelando una velata espressione di turbamento, quasi contese da due mondi solo apparentemente separati: il naturale e il soprannaturale, l’effimero e l’eterno, “il rosso” ed “il blu”. Così, a mio parere, compiutamente questo concetto si concretizza nell’opera “Un salto nel cielo” che, in qualche modo e per taluni aspetti, evoca il mito di Icaro da cui astrae solo l’antico anelito dell’uomo ad elevarsi verso il cielo, senza la estrema conseguenza di una disperata ricaduta che è totalmente
58 estranea al discorso pittorico di Palumbo. L’artista ritrae questa figura umana nelle sembianze di una creatura mitica che, lasciandosi alle spalle “il rosso”, simbolo della forza primigenia del caos, da cui quasi sembra non riuscire a distaccarsi, tende verso l’empireo, l’armonia cosmica, l’ideale supremo di ordine universale, tende cioè al “blu” del cielo, al firmamento metafisico, configurando un percorso che delinea una scia circolare, una traiettoria ogivale simile ad un’orbita planetaria, di cui l’uomo stesso è parte. Il sembiante di questo uomo mitico lascia trasparire l’intimo ed irrisolto dissidio degli uomini tormentati dal dualismo originario e la loro ansia spesso inconfessata di spiritualità; creature combattute tra i vincoli del contingente e lo slancio verso l’etereo, dilaniate da questo eterno dualismo che il pittore tende a dissolvere e a risolvere attraverso “La metafisica dei colori”. Ogni tela risulta infatti come divisa in due spazi in apparenza disgiunti e differenziati, concordanti e discordanti nello stesso tempo come “il rosso” ed “il blu”, ma in realtà confluenti, senza soluzione di continuità ed attraverso le mille sfumature dei due colori, in una coerenza discorsiva univoca. “La stanza blu” e “la stanza rossa” rappresentano quasi il paradigma di questo dualismo risolto dal pittore in una equivalenza di immagini speculari, quasi un intimo connubio di sinonimi e di contrari, di analogie e di contrasti che finiscono per amalgamarsi in una mirabile sintesi di colori e di immagini simboliche; sintesi che straordinariamente contiene e comprende tutti gli opposti, dispersi ed unificati in un aura metafisica che può definirsi “La metafisica dei colori”, ma anche “I colori della metafisica”.
isole dell’abbandono olio su tela - cm 50x60 partenza nel giallo olio su tela - cm 40x50
59 fuoco e sangue - amore ed inferno - passione e vita olio su tela - cm 70x80
60 la torre del piacere olio su tela - diam. cm 60
61 l’esploratore olio su tela - cm 70x80 l’arrivo di un sogno olio su tela - cm 70x80 sospensioni tecnica mista e olio su tela - cm 30x35
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rimase ad osservare la partenza... olio su tela - cm 100x100 equilibri e sospensioni olio su tela - cm 30x30 blu olio su tela - cm 30x30
63 passioni olio su tela - cm 80x90
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nel freddo gelido accendo l’amore tuo tecnica mista e olio su carta - cm70x100
65 mi dissolvo tecnica mista e olio su tela - cm 100x190
Una bellezza efebica scivola in mezzo a languide lagune e sinuosi arabeschi attorcigliati tra le spirali di un’anima inquieta. Bellezza acerba e perfetta che smussa ogni spigolo ed entra in ogni spiraglio della carne, per insinuarsi, come un tarlo, tra le forme stropicciate e frastagliate del cuore. Un ultimo disperato baluardo, una dolce isola su cui approdare per confondere e depistare la morte, per esautorare la tirannia del tempo che adultera il corpo e la mente. Sembra apparire, finalmente, il bandolo della ricerca incessante ed estenuante di una vita intera, l’incarnazione dell’armonia assoluta ed eterna. Ma quella rilucente bellezza si può solo guardare, accarezzare e sfiorare con gli occhi, accoccolandosi nel proprio delirante deliquio. Essa è come il canto delle sirene, che ammalia e inganna, e più la si insegue, più sfugge, tra i labirinti arcani e magici di una Venezia seducente e torbida. L’amore diventa sensuale ambiguità, struggente sofferenza, squisita tortura e patetica farsa. Gocce di onirico, ossessivo e folle splendore tengono accesa un’ombra cupa, che assiste impotente alla propria disfatta, sospesa tra i frantumi di un tempo perduto. Il mare e la sabbia divengono palcoscenico di un inesorabile epilogo, di una beffarda e silenziosa dissoluzione, che risucchia, nel suo spietato gorgo, ogni labile illusione. E l’amore può trasformarsi, oltre che in dilaniante e logorante inafferrabilità, anche in vizio, violenza, incesto, tradimento. Amore, dunque, come sentimento sdrucciolevole e ambivalente che avviluppa ogni cosa, che nutre e distrugge, che contiene in sé sia la vita, sia la morte. E in questa ineluttabile dicotomia tra Eros e Thanatos si muove un individuo tormentato e tumultuoso, corroso da una solitudine ontologica e profonda che lo spinge ad agire in modo distruttivo verso se stesso e gli altri.
LA TRILOGIA TEDESCA DI LUCHINO VISCONTI NELLA PITTURA METAFISICA DI CIRO PALUMBO di chiara manganelli
Dalle tempeste turbolente dell’anima nasce un Edipo dissoluto, demoniaco e rabbioso, che ama e odia la propria madre, e ne violenta il corpo e lo spirito. L’inesorabile disgregazione di un universo familiare ha il sapore di una terribile nemesi, di una condanna atavica e ancestrale, dove il sangue si lava con il sangue, ma, come nel “Macbeth” di Shakespeare, la catena dell’efferatezza e della sopraffazione pare tragicamente inarrestabile, e le macchie di sangue, come marchi a fuoco, restano impresse per sempre sulle mani e nel DNA. La sete di potere che imperversa nel microcosmo individuale rispecchia il declino morale e culturale di un’intera società, la crisi politica di una Germania asservita al Nazismo, dove la violenza è una prassi consueta, un modus vivendi quasi scontato e normale. In quest’ottica di decadenza e pessimismo esistenziale, l’Arte e l’Amore divengono una possibile àncora di salvezza, ideali perfetti e magnifici ma irraggiungibili, che l’essere umano, intriso di imperfezione e caducità, non potrà mai conquistare fino in fondo. L’artista non è l’Arte. Egli persegue qualcosa che non riuscirà mai ad afferrare completamente. E la tensione spasmodica verso l’assoluto ha il sapore amaro di una smaccata mistificazione che porta allo sfacelo e al degrado fisico e psicologico, alla follia, al suicidio e all’omicidio.
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Ciro Palumbo, attraverso i suoi dipinti, riesce a mettere in risalto il carattere decadente e ambiguo di un amore astratto ma al contempo carnale, divino e dannato, sottolineando, con simbologie cromatiche e oniriche, la dualità tra Amore e Morte che permea tutta la “trilogia tedesca” di Visconti. Il Sogno è l’elemento centrale della rappresentazione di una realtà che trascende se stessa e si trasforma attraverso il sublime e incessante “gioco” della creazione artistica, e i tormenti dell’anima acquistano una dimensione emblematica e surreale. Le opere di Palumbo rappresentano una sapiente e suggestiva sintesi tra la metafisica classica di De Chirico, l’espressionismo che domina l’estetica dell’immagine di Visconti, e il romanticismo di Friedrich e Bocklin. Il risultato è un sorprendente e armonioso connubio dove il mondo intelligibile e la fantasia visionaria si fondono, si intrecciano e si completano, e dove l’uomo, con le sue ombre, la sua fragilità e la sua controversa bellezza, ne è il protagonista indiscusso.
complici tecnica mista e olio su carta - cm70x100 sogno impossibile tecnica mista e olio su carta - cm70x100 in caduta libera tecnica mista e olio su carta - cm70x100 viaggio dell’anima tecnica mista e olio su carta - cm70x100 fuga nella notte di stelle tecnica mista e olio su carta - cm70x100 in caduta libera tecnica mista e olio su carta - cm70x100
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lo sguardo si impose... e fu l’assoluto tecnica mista e olio su tela - cm 100x150
68 lass첫 una stella a osservar olio su tela - cm 100x100
69 cosa ho nella testa? olio su tela - cm 70x140
La pittura di Ciro Palumbo si abbevera alla fonte di una lunga tradizione che intende l’arte come lo strumento d’indagine privilegiato delle profondità dell’animo umano, delle zone oscure dell’essere e di quella sfera irrazionale del pensiero dove albergano i simboli, una genia di “cose” capaci di assumere su di sé la valenza di un intero discorso, di un’evocazione senza parole che traghetta sensi plurimi interagendo con le interpretazioni che ad essi si offrono nei differenti momenti storici e nelle divergenti letture dei singoli fruitori. Ciro Palumbo segue le orme tracciate da A. Böcklin, M. Klinger, C.D. Friedrich e J.H. Füssli, la loro passione pittorica per il sogno che si distingue dalla passione analitica di S. Freud, il quale tentò di tradurre i simboli onirici nel linguaggio razionale di un inconscio al quale la sua “interpretazione dei sogni” ha scoperto i nervi, denudando il gioco criptico delle resistenze e delle pulsioni e portandone a galla i contenuti nevrotici. Quella dei pittori è, al contrario, una “passione sintetica” che cerca di rappresentare i contenuti dell’Io profondo all’interno del quadro dipinto e quindi di uno schema altamente logico perfezionato grazie alla visione prospettica inventata dal Rinascimento come pilastro di un illuminismo ante litteram che rischiarava le oscurità presunte del Medioevo. In questo luogo della mente specifico che è il quadro, Ciro Palumbo segue più da vicino le tracce di un linguaggio moderno del sogno messo a punto da Magritte, De Chirico, Dalì e Savinio. La leggerezza, le atmosfere sospese, la continua tentazione d’infrangere la regola aurea del mondo reale quale è la forza di gravità, fanno della pittura di Palumbo l’ennesima conturbante proposta di un’evasione controllata, di una scampagnata lungo i bordi di una dimensione alla quale è possibile soltanto alludere attraverso l’uso dei simboli, poiché ogni tentativo di possederne la verità con l’uso dell’immagine è destinato a naufragare.
il sogno ritratto di nicola davide angerame
Su questa “impossibilità”, che potrebbe parere una deficienza della pittura si gioca al contrario tutta la capacità attrattiva dell’arte, poiché come ha dimostrato De Chirico con i suoi manichini e le sue piazze, un simbolo o un’atmosfera sono tanto più forti quanto più attinti dal vissuto personale dell’artista. Soltanto in questo modo, soltanto attingendo alla fonte più autentica della propria natura (e quindi anche del proprio silenzioso inconscio), si possono reperire in sé quelle immagini che sanno diventare universali perché in qualche modo le ritroviamo nel nucleo duro di ognuno di noi, così in profondità da non avvertirsi se non grazie a quel dipinto che ce lo rammenta, rivelando una parte im-portante di noi. Da qui, anche una certa peculiare utilità dell’arte all’interno di quel percorso, che deve impegnare tutta la vita secondo Socrate, che consiste nella massima “conosci te stesso”. Nel caso di Palumbo le isole e tutto il mondo di simboli che vi gravita attorno, sono divenute un elemento, un luogo, una dimensione ricorrente a tal punto da rappresentare nella produzione pittorica il topos utopico, il luogo inesistente dove la mente si perde in quel sogno ad occhi aperti che è la pittura... Ma non è solo questo. Non si tratta qui del lavoro di una soggettività arbitraria quanto banale, ma di una oggettività soggettiva della pittura che occorre sondare inevitabilmente attraverso l’uso di un linguaggio di carattere esoterico, che la tradizione e la pratica del simbolismo hanno affermato come linguaggio precipuo di una realtà che sta oltre quella percepita quotidianamente e avvertita interiormente come fascio di sentimenti, epidermici seppure trainanti. Nel caso di Palumbo le sue isole ricorrono come luoghi, dice lui, “da raggiungere e abbandonare in un cammino verso l’esistenza”, che non può essere soltanto il regno del razionale, del programmato, dell’atteso, ma deve essere anche il luogo delle aspirazioni romantiche verso una totalità soltanto intravista e sentita dietro la molteplicità dell’essere e la caoticità dell’esistere. Questa Grande Ragione, questo Dio laico, questo Principio Assoluto, sono alcuni modi possibili per indicare a parole e concetti un qualcosa che non ha parola né concetti. La pittura simbolista si apre quindi verso la ricerca di un
70 modo possibile di raffigurare questo “pozzo” che sale verso il cielo stellato almeno tanto quanto scende verso gli inferi più bui del nostro essere. L’oggettività soggettiva di una pittura simbolista efficace, in grado cioè di offrire a chi guarda un indistinto ma concreto di ponte verso questi luoghi di dannazione e di salvezza, si raggiunge quando il simbolo fa sistema ovvero quando il simbolo non è lasciato a se stesso (come ad esempio nelle raffigurazioni antiche di personaggi storici ritratti con pochi simboli dediti a descrivere il carattere, lo status o la vicenda personale del soggetto), ma si integra dentro un sistema di simboli tale da ribaltare il reale. Per Palumbo questo sistema è costituito dalla sua torre del piacere, la camera dell’artista e quella dell’oracolo, la città, gli alberi frondosi e le rovine di un’architettura classica, i solidi geometrici, il volo, i bambini come “pescatori di sogni” e le navi volanti. La sua pittura è letteraria, poetica. Possiede una narratività liberata, fantastica, metaforico-allegorica. L’escamotage retorico viene utilizzato, come si fa in poesia, affinché la logica irrazionale, ma non per questo incoerente, del sogno possa offrirsi come una sacca di energia vitale alla quale attingere per contrastare la durezza, a volte disperante, della realtà quando questa diviene eccessiva. Da qui, anche la rappresentazione del volto assume le fattezze di elemento di un sistema che non s’accontenta di rappresentare l’individuo ritratto, la sua psicologica essenza, ma ne offre la maschera portatrice di segni ad una interpretazione che legge nel volto sognante un invito al sogno. Il ritratto dell’uomo che sogna non è una descrizione ma un’effige iconica che vuole aprire la via a chi guarda, portandolo dalla parte del dipinto, inglobandolo dentro la sua realtà. Le prospettive impossibili elaborate da Palumbo servono a questo, come trappole percettive tese all’occhio troppo analitico dello spettatore moderno.
pensieri olio su tela - cm 50x50 l’angelo liberato olio su tela - cm 70x100 diversi mondi paralleli olio su tela - cm 50x50
71 la smarrita tecnica mista e olio su tela - cm 110x110
72 tracce di un viaggio collage e olio su tela - cm 60x70
73 viaggio 17 collage e olio su tela - cm 30x50
Un mare. Mare che si muove articolando sussurri e si intreccia alle sferzate del vento di libeccio. Mare che nella notte inghiotte e intrappola tra reti di fioche lampare i sogni sospesi nel cielo, e li rigurgita all’alba sull’orlo iridescente della battigia, accoccolati tra le insenature eburnee delle conchiglie. Sulla sua superficie irrequieta si increspano e incespicano orde di desideri che si accartocciano e si avviluppano tra loro, precipitano affondando tra gli abissi, per poi risalire coperti di salsedine e fradici di azzurro. Le voci mute dei pesci guardano i pionieri temerari che si avventurano nell’imprevedibile languore del suo mistero come fossero schivi schiavi di romitaggi paradossali senza fine. Le parole sono come sassi piatti che spezzano la quiete immobile, disegnando anelli concentrici dentro i quali si insinuano gli sguardi obliqui e audaci di segreti che sgranano tra le pupille lapilli di bellezza suadente e silente. Una mano raccoglie le conchiglie sparse sulla sabbia, le ausculta, le strofina ripulendole dai detriti, le nutre di sole e le ripone dentro uno scrigno sommerso. Lì il tempo le consuma, ne divora l’involucro calcareo, fino a lasciarne intravvedere la loro anima nascosta. Quando la mano apre lo scrigno si sprigionano spirali di colori cangianti e fiumi di parole incandescenti. Fiumi che portano al mare. Spirali che si arrampicano fino al cielo.
mare di parole, oceani di colori di chiara manganelli
“Mare di parole” è l’ultimo progetto artistico di Ciro Palumbo. Un progetto che mescola risonanze letterarie e metafisica pittorica, creando interessanti e suggestive commistioni concettuali, stilistiche e tecniche. Le parole, nelle opere di Palumbo, diventano supporto su cui distendere e dipanare la fantasia. Un mare placido e accogliente di segni impalpabili, ricolmi di significati e ammiccamenti. Palumbo prende le parole e le ri-racconta, le ri-combina, rifacendosi a una lunga tradizione artistica che vede nel Novecento il secolo della “poesia visiva”, in cui le parole diventano anche immagini, slittando verso nuovi orizzonti semantici, e vengono arricchite e impreziosite attraverso la pittura, la cinematografia e le arti visive. Una tradizione che vede il proprio geniale antesignano in Arthur Rimbaud, nella sua poesia veggente, struggente e ruggente, nelle sue vocali che acquistano valenze emozionali e cromatiche. Perchè la letteratura non interessa solo il senso della vista, ma solletica e risveglia anche gli altri sensi. Il legame tra immagine e parola è atavico e affonda le proprie radici nella culla della civiltà: i geroglifici egizi sono un esempio di come, in molte società antiche, immagine e scrittura fossero intrinsecamente connesse. Il nostro alfabeto occidentale moderno, invece, contiene grafismi che non hanno nessun nesso con le immagini mentali, e il segno è una pura convenzione concettuale e autoreferenziale, che non rimanda a nessun codice visivo noto. Un astrattismo estremo, dunque, che ha creato, nella nostra cultura, un divario enorme tra linguaggio e rappresentazione. Palumbo prosegue un cammino intrapreso dai futuristi e ricalcato poi dai surrealisti, dai dadaisti e dalla pop art. Riprende l’affascinante tradizione del calligramma, un genere di poesia che risale all’antichità classica (il tecnopegnio di Simmia di Rodi, IV sec. a.C), che si sviluppa nei secoli XV e XVI, con la poesia figurativa umanista, fino ad essere ripreso dalle avanguardie artistiche del novecento, e che trova in G. Apollinaire uno dei suoi più celebri esponenti.
74 Questo genere letterario coniuga esigenze dialogiche e risonanze figurative, assemblando i significanti in modo da creare architetture grafiche bizzare e bizzose, dando vita a un “versilibrisme” affascinante e paradossale. Nelle tele di Palumbo non ci sono cannoni che sputano lettere, come in G. Severini, nè vortici di parole, come in F. Depero; la sua poetica si differenzia dal movimento futurista, sia dal punto di vista concettuale, sia dal punto di vista formale, perlustrando diverse sfaccettature del binomio pittura-letteratura. Nelle opere dell’artista torinese la letteratura si veste di un senso mistico e onirico, è un ordito che intesse ancestrali memorie, miti e leggende, è una chiave per aprire le porte socchiuse dell’inconscio e del Sogno. La parola non è esplosione fragorosa, gioco dinamico e concitato, ma diventa simbolo lieve che si affaccia sulla realtà interiore piuttosto che sulla realtà esteriore, è forza centripeta anziché centrifuga, e rappresenta universi metafisici e surreali, che affondano le proprie radici nell’intimità dell’individuo, nel suo mondo segreto e nascosto, in bilico tra inconscio soggettivo e inconscio collettivo. Letteratura e pittura si intersecano e attingono l’una dall’altra, giocano a rincorrersi, a specchiarsi reciprocamente, a scambiarsi stilemi e paradigmi, e l’intreccio che ne sortisce è un’alchimia suggestiva, evanescente, delicata. La parola possiede anche una sua estetica visiva e formale, così come l’immagine racchiude in sé sprazzi di poesia e lirismo. Il connubio crea equilibrismi arditi, logiche dialogiche, contaminazioni che fondando un linguaggio nuovo, che non è solo sintesi degli elementi, ma qualcosa di più. Il potenziale espressivo non aumenta solo in termini quantitativi, ma anche, e soprattutto, sotto un profilo qualitativo. L’impiego di collage di pagine di libri sulla tela crea un effetto visivo di stratificazione e sovrapposizione di pensieri, sogni, storie e immagini, che, concettualmente, rimanda a una radice originaria che restituisce senso al presente. E’ un modo di raccontare, attraverso il potere evocativo della pittura, ciò che a volte sfugge all’affabulazione pura, di ampliarne l’effetto catartico e proiettivo e di incrementarne la forza narrativa. Un mare di parole dipinte dove fluttuano i sogni, zattere salvifiche che dispensano riparo dalle tempeste; un mare dove si recupera il filo rosso dell’esistenza, dove lo spettatore può voltarsi e guardare da dove viene e al contempo, proprio in virtù di ciò, può immergersi negli abissi del proprio essere, nel proprio tumultuoso e magmatico oceano, intraprendendo un viaggio infinito e incessante, un’odissea epica, misteriosa e incalzante. E se si riesce a oltrepassare Scilla e Cariddi significa che l’isola è vicina, che il tempo può essere ingannato, che il canto delle sirene non ha mistificato i desideri e offuscato la rotta.
... essa è nostalgia... tecnica mista e olio su tela - cm 100x120 la luce della luna collage e olio su tela - cm 30x35 se mi vedete qui a volare tecnica mista e olio su tela - cm 30x40
75 attraverso collage e olio su tela - diam. cm 60
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gli inizi
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Ciro Palumbo è un artista che ama la provocazione, ma non tanto nel senso di una sfida, quanto come intento di sedurre. Egli proviene, o per meglio dire, si è immesso da tempo nella tradizione metafisica: gli interni abitati solo da oggetti inanimati e da sculture classiche, i paesaggi marini con un’isola, sono evidenti richiami a Giorgio de Chirico e ad Arnold Böcklin. Ma nel suo modo di concepire l’arte pittorica – lavorio continuo e meditato, fatto di applicazione, di studio del colore e degli spazi, di preciso calcolo delle alternanze fra pieni e vuoti, di calibratura dei toni, dell’ombra e della luce – egli lascia anche trapelare la sua devozione ai maestri del museo della storia dell’arte italiana, e più in particolare alla tradizione rinascimentale, quando la creazione artistica rispondeva a leggi prospettiche e compositive ineludibili. Le sue espressioni figurali riferiscono quindi di una cultura profondamente assimilata e di un percorso meditato e coerente alla ricerca dei sottili legami che collegano l’arte classica alla modernità. Da un punto vista strettamente stilistico, egli non sembra appartenere al nostro presente – del resto la sua eleganza è felicemente lontana da certe esibizioni che ci sottopongono gli artisti di oggi – e tuttavia va sottolineata la qualità concettuale della sua ricerca tematica e visiva, che si svolge in un contesto impregnato di emotività e di sensibilità tutta contemporanea.
l’inquietudine del sogno di paolo levi
Quando affronta la tela non lascia nulla al caso: i suoi pigmenti variegati e aggreganti completano un’intensa trama segnica, perfettamente preordinata. Le isole, il mare, gli oggetti nelle stanze vuote, le statue di memoria ellenistica, si compongono in strutture rigorosamente equilibrate, sia dal punto di vista spaziale, sia della coerenza contenutistica, dove le immagini traducono i simboli onirici in allegorie dell’assenza e del silenzio. Le finestre che si aprono verso il mare, le costruzioni circondate dagli alberi, i cieli spesso ombrosi di nuvole, segnano un universo di linee, di masse, di colori forti, di stesure tutt’altro che semplici. Ma questo non è sufficiente per continuare a ripetere la sua adesione agli stilemi della metafisica, in quanto i suoi fondi contrastano con le masse cromatiche uniformi e asettiche, che caratterizzano gli oggetti in primo piano, seguendo una linea tonale diversa e mossa da sovrapposizioni di colori ben leggibili. A livello esclusivamente visivo, se si accolgono otticamente queste campiture, ci si accorge come Palumbo abbia anche seguito la lezione tecnica dell’Informale. Ciro Palumbo non è solo un pittore, ma di fatto un poeta che riflette, agisce e compone per coniugare metafore sull’inafferrabilità del tempo e l’incommensurabilità dello spazio, mostrando quindi la sua capacità di approfondire l’osservazione non tanto della natura, quanto delle impressioni immaginifiche che provengono dalla memoria di un tramonto o di un’alba sul mare. Emblematica a questo proposito l’assenza totale dell’uomo: solo effigi statuarie evocano i sentimenti congelati di amori inesprimibili. Il vuoto e l’assenza però si aprono talvolta al gioco, insinuando la malizia di un teatrino, di una barchetta, di un Pinocchio, di una palla, di un cappello da illusionista. In tutto questo c’è forse una rievocazione dell’infanzia, come momento magico di verità. A questo si aggiunge il sospetto che anche le citazioni classicistiche vogliano rimandare a un mondo arcaico più sapiente e più semplice da capire, a una sorta di infanzia dell’umanità, popolata da demoni e divinità protettive. Un mondo legato ai cicli della natura di cui rimangono solo le immagini archetipiche dei nostri sogni.
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“ (...) Il Sogno qui viene assurto quasi ad archetipo universale, ed è un mezzo per accedere sia al proprio inconscio individuale, sia a quella dimensione psichica, comune a tutti gli esseri umani, che G.Jung chiamò inconscio collettivo. (...) “ Chiara Manganelli
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Ciro Palumbo è un affabulatore di momenti astorici e atemporali. Ci troviamo qui di fronte a una pittura dove l’ispirazione metafisica si esplica in un insieme immaginifico e surreale, in una messa in scena di elementi figurali che non riconducono a significati precisi. L’artista mette in atto un gioco plastico e visionario di presenze, che rivela esplicitamente una consonanza con Giorgio de Chirico e con Alberto Savinio. Dal primo, Palumbo ha ereditato la bella stesura pittorica, il senso geometrico della struttura spaziale, e da Alberto Savinio il modo curioso di ammiccare con le immagini, in un gioco voluto e ben calcolato di contraddizioni. La caratura concettuale di queste composizioni è decisamente intensa, ma questo non basterebbe a reggere una disamina critica, se non si basasse su un intingolo pittorico che privilegia i toni intensi e senza sfumature, applicati con maestria sulla struttura narrativa del disegno preparatorio. Meditativo nel procedere, questo artista usa i colori acrilici ma, come spiega egli stesso, il primo abbozzo nasce dal colore ad olio. Capace di esaurire tutte le potenzialità della tavolozza, le sue velature controllano ed esaltano la stesura cromatica, che gioca sempre di contrappunto fra tono e tono. Ogni quadro rievoca la classicità in un assemblaggio apparentemente incongruo di elementi compositivi plasticamente forti. È un impianto che poggia su elementi figurali tipici della metafisica dechirichiana, interni geometrici, sfondi naturali, sculture marmoree, ruderi e colonne squadrate, ma anche sul giocoso accostamento a balocchi colorati, barchette, palloni, e tasselli da costruzione. Lo spazio che circonda questo mondo colorato è però ampio e in gran parte abitato dal vuoto, che allude ad assenze senza ritorno. Sono architetture senza tempo, dove la qualità pittorica si rivela in una delineazione estremamente precisa, senza sbavature.
la classicità metafisica di vittorio sgarbi
Pittore di tradizione, che si rifà evidentemente alla lezione psicanalitica sulle simbologie oniriche, egli non insiste tanto sull’immaginario archetipico, quanto sull’esplicitazione freudiana dell’inconscio, sull’esplorazione del rimosso. I suoi sogni sono costruiti a tavolino, come la narrazione di una irrealtà ormai acquisita alla consapevolezza. Sono fiabe colte che si avvalgono dei reperti della Grecia antica, quella dei viaggi e degli assedi omerici, ritrovati in tutto il loro sapore fiabesco, quindi provocatoriamente estranei a una seriosa lettura critica o filologica. Infatti, e in modo persino ossessivo, egli ripete in molte composizioni il tema dell’isola, già caro a Böcklin, ma non più tanto nel significato intimista, privato e nevrotico di un sogno da cui non si riesce a uscire, quanto piuttosto col gusto di una citazione, di un omaggio ai maestri e ai poeti che hanno ripreso quel tema, trasformandolo in una sorta di metafora dell’esplorazione e del tentativo di appropriazione dello spazio. O forse questa inquietante presenza in mezzo al mare non è neppure una citazione culturale, quanto piuttosto il senso di una meta utopica, fortunatamente irraggiungibile, di un viaggio nella conoscenza di sé, dove conta molto di più il percorso dell’arrivo. In questo consiste anche il senso del fare arte, che si fonda proprio sull’inesauribilità della ricerca, sulla natura incompiuta della creazione umana. La classicità metafisica di Palumbo ci fa dunque riflettere sulle ragioni stesse della nostra cultura così radicata nel Mediterraneo, nel rapporto fra il cielo il mare e la terra, fra il passato e il presente, fra la delusione e l’illusione, fra la follia e la ragione.
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“ (...) Non si tratta di una sosta statica, immobile in un tempo sospeso: per Ciro Palumbo l’attesa è ricerca, e ricerca è un viaggio per cui si parte sapendo che la meta altro non è se non il viaggio stesso. (...) “ Francesca Bogliolo
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“ (...) dove albergano i simboli, una genia di “cose“ capaci di assumere su di sè la valenza di un intero discorso, di un’evocazione senza parole (...) “ Nicola Davide Angerame
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“ Luoghi dove è ancora possibile sognare“
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Ciro Palumbo nasce a Zurigo nel 1965, e in Italia, la sua terra, si innamora del mare. Egli cresce e impara a creare immagini, a costruirle e dirigerle, ma comincia a sentire, profondo, un altro richiamo, canto di sirene, che lentamente lo riconduce a quell’immensa distesa d’acqua. Così lo dipinge, il mare, e diviene il pittore delle isole; e sebbene ancora non sia chiaro verso quale scoglio lo guidi il suo vento, le sue isole respirano sulle tele e le sue navi partono alla ricerca di nuove sfumature, indagando tra forma e colore, e trasportano l’immagine di un uomo, coraggioso, che vive sognando, anche per gli altri.
biografia Le prime mostre collettive e personali risalgono al 1994, ma le principali esposizioni negli ultimi anni, oltre alla partecipazione a fiere d’arte internazionali, sono: L’Atelier degli angeli presso Atelier Borghini - Pistoia – 2004 Rassegna d’arte contemporanea presso Villa La Colombaia - Ischia - 2004 e 2005 Il pittore delle isole presso Palazzo Marchini - Giaveno (To) - 2005 33 Artisti i giudizi di Sgarbi presso Arteincontri - Torino 2005 Le Roccaforti del sogno presso Torre della Filanda - Rivoli (To) - 2006 Omaggio a Luchino Visconti presso Palazzo di Parte Guelfa e Galleria del Palazzo Coveri - Firenze – 2006 La Metafisica dei colori mostra personale presso La Galleria del Palazzo Coveri - Firenze – 2007 La nave dei folli presso Museo della Basilica di Clusone (Bg) – 2007 Bellissima mostra in omaggio a Luchino Visconti - Maschio Angioino (Na) – 2008 Il volto, incarnazione del sogno presso Ex Chiesa Anglicana - Alassio (Sv) – 2008 Entriamo nel sogno presso Galleria Arte è Kaos – Alassio (Sv) – 2008 Cambiamento universale nello spazio presso Spazio Tadini – Milano – 2008 ArteIndaco presso Centro Energea - Milano – 2008 Last Work presso Hotel Bernini Palace (organizzata da Galleria del Palazzo Coveri) - Firenze – 2008 FiabePitture presso Struttura Comunale Ex macello – Aversa (Ce) – 2008 Expo Arte 2008 (Fiera del Levante) presso Galleria Migheli Arte – Bari – 2008 Promuoviamo il piacere dell’arte presso Galleria Ursi – Bari – 2008 Mostra collettiva Galleria Migheli presso Vittoria Park Hotel – Bari – 2008 I Maestri Alfio Presotto, Ciro Palumbo presso Galleria Art Immagine – Bari – 2009 Contemporanea mostra di pittura presso Galleria Art Immagine – Bari – 2009 Mostra collettiva presso Studio 4 Art Gallery – Molfetta (Ba) – 2009 Menomale presso Teatro Vittoria – Torino – 2009 Mare di parole presso San Gregorio Art Gallery – Venezia – 2009 I Viaggi di Colombo presso Villa Cambiaso – Savona – 2009 Paestum Arte 2009 presso Tuttarte Esposizioni d’Arte – Paestum (SA) – 2009 Microcosmi dagli orizzonti infiniti presso Galleria d’Arte il Novecento – Salerno – 2009 open cavalli d’autore presso Assisi Endurance (organizzata dalla Galleria Artisse di Bari) – Assisi – 2009 Contemporanea 2009 (Fiera d’Arte di Forlì) presso Galleria Ess&rre di Ostia – Forlì – 2009 Immagina2009 (Fiera d’Arte di Reggio Emilia) presso Galleria Ess&rre di Ostia – Reggio Emilia – 2009 Mostra personale presso Galleria Frida Arte – Bari – 2009 Mostra personale presso Galleria Arte Barbato – Scafati (Sa) – 2009 Magiche sospensioni presso Palazzo Oddo – Albenga (Sv) – 2009
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direzione artistica Markab Inside - Creatività ad Arte - Torino graphic design Laura Giai Baudissard Servizio fotografico e riproduzione dipinti Valter Fiorio immagini Studio d’Arte Palumbo - www.palumbociro.it c
realizzazione editoriale Falpa Promozione Arte - Seriate (Bg) finito di stampare nel mese di dicembre 2009 presso Tecnograff - S.Paolo D’Argon (Bg)