Scanner: Michael Jackson “The King of Pop”; Musica sostenibile le note che fanno bene al pianeta; Gianni Di Crescenzo Do it; Yetmusic live experience di scena Stefano Spallotta &Nicoletta Evangelista - Maki Maria Matsuoka & Marina Mezzina; La scuola oggi quali riforme?; Cinema: Paolo Brunatto; Italo Scelza Futurismo; Biblioteca: Fabrizio De André & PFM; Rubriche: Note in rete: Luca Giordano - Giuseppe Righini; Dècade decàde; Paolo Scaruffi:Blues
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In copertina Michael Jackson 1958-2009 Scanner: Michael Jackson “The King of Pop”; Musica sostenibile le note che fanno bene al pianeta; Gianni Di Crescenzo Do it; Yetmusic live experience di scena Stefano Spallotta &Nicoletta Evangelista - Maki Maria Matsuoka & Marina Mezzina; La scuola oggi quali riforme?; Cinema: Paolo Brunatto; Italo Scelza Futurismo; Biblioteca: Fabrizio De André & PFM; Rubriche: Note in rete: Luca Giordano - Giuseppe Righini; Dècade decàde; Paolo Scaruffi:Blues Hanno collaborato Bernardo Donfrancesco; Stefania Del Bianco; Giuseppe Netti; Marcello Pau; Italo Scelza; Davide Rossi; Anna Rita Tomassini
Peter Pan è andato via, ha ripreso la sua strada verso l’sola che non c’è lasciandoci da soli, con gli occhi al cielo tra le stelle che brillano. Cercando la sua stella che splende lassù da qualche parte nell’olimpo dei grandi della musica. Micheal Jackson è uscito di scena pochi giorni prima del gran ritorno a Londra spezzando il cuore a milioni di fans nel mondo. Un personaggio controverso, un talento smisurato, una persona fragile, sconfinatamente sola. Alla ricerca di un’identità che è passata negli anni attraverso la trasformazione artificiale di un corpo (il suo) martoriato dalla chirurgia a conferma di un malessere interiore che lo ha portato ad isolarsi dal mondo lentamente ma inesorabilmente. Ma forse Michael non era di questo mondo. Bastava vederlo sul palco in concerto per capirlo. Era magico. Era il re. Una vita fatta di luci ed ombre, che neanche il successo mondiale, arrivato troppo presto, è riuscito a renderla solare. Una corte al seguito di parenti e giullari che sicuramente hanno badato più ai loro interessi che a quelli di Michael. Una vita mai vissuta, filtrata da ossessioni e fobie, incredibilmente simile alla vita di un altro re: Elvis Presley. Purtroppo anche nell’epilogo finale. Michael ci lascia la sua musica; l’immagine dei calzini bianchi e del guanto, icone insostituibili per i fans. Un eredità che al momento non ha pretendenti e difficilmente potrà essere raccolta. Rivederlo nei video e nei concerti che le Tv passano no-stop, nonostante l’energia e la padronanza scenica sul palco, ho sempre la sensazione di cogliere nell’uomo un senso di inadeguatezza al luogo e al momento. Non riuscire a relazionarsi con gli altri, ad accettarsi è forse il prezzo che si paga per il dono di un talento smisurato? Adesso il clamore si sposterà su vicende prettamente umane fatte di diritti, eredità, debiti, cause legali, avvocati, manager, case discografiche ma queste sono vicende, appunto, umane che si alimenteranno e si spegneranno con il tempo e che poco hanno a che fare con l’universo degli immortali, con l’aura del mito, con l’eternità. Poco hanno a che fare con “Jacko” che tutti noi speriamo finalmente abbia raggiunto la sua Neverland e continui a cantare e ballare finalmente libero. Loreto Pantano
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scanner: l’informazione dai media. Michael Jackson “The King of Pop” 1958-2009
Il testo e le foto che seguono sono state scelte e riprese dalle migliaia di pagine che hanno inondato la rete dopo la notizia della morte di Michael Jackson, un vero omaggio al re del pop da parte dei fan. Nato il 29 agosto 1958 da una famiglia non certo benestante di Gary, Indiana, Michael è assorbito dalla musica fin dall’infanzia: attrazione inevitabile, considerando che sua madre canta frequentemente e il padre suona la chitarra in una piccola r&b band, mentre i fratelli maggiori lo accompagnano suonando e cantando. Joseph Jackson, padre-padrone, forza i figli a formare il gruppo dei Jackson 5, che velocemente passa dai piccoli show locali a un contratto con la Motown. Nel 1970 esce I WANT YOU BACK, primo successo edito dalla Motown che segna la prima svolta decisiva nella carriera del cantante, allora solo undicenne. Jackson esordisce l’anno seguente come solista con il disco intitolato GOT TO BE THERE. I Jackson 5, in poco più di un lustro, realizzano tredici album che scalano le classifiche r&b fino alle prime posizioni e portano spesso la band a suonare in giro per l’America. Nel 1976 l’intera famiglia rompe con l’etichetta. Siglando un accordo con la Epic, i Jackson 5 diventano Jacksons, con Randy al posto di Jermaine (rimasto legato alla Motown), e continuano a registrare, sebbene non siano più popolari come prima. Nel 1978, Michael interpreta il ruolo dello spaventapasseri nel musical di Broadway “The Wiz”, adattamento teatrale del “Mago Di Oz”, e si trasferisce a New York per cominciare una vita indipendente. Collaborando con l’amico Quincy Jones, già noto hitmaker r&b, Michael registra nel 1979 il primo album da solista, “Off The Wall”. una combinazione di canzoni dance e ballate che 2
gli permette di battere ogni suo record personale di vendite Continua a lavorare con i fratelli per un altro album e un tour, ma nel 1982 Michael realizza il suo secondo album solista, “Thriller”. Il prodigioso successo del disco trasforma Michael in una delle pop star più famose del mondo: “Thriller” rimane in vetta alle classifiche per trentasette settimane e vende 24 milioni di copie (arriverà a quota 46 milioni, primato tuttora imbattuto) grazie a hit come “Beat It”, “Billy Jean” e il singolo omonimo, accompagnato da un innovativo video di mezz’ora diretto dal regista John Landis. Jackson diventa un’icona multimediale grazie alle sue innegabili doti artistiche, unite a un senso del marketing pazzesco: impressionanti passi di break-dance (il moonwalk, un vero fenomeno di costume), voce esile ed efebica, guanto bianco, occhiali scuri, calzini bianchi e mocassini. I teenager imitano il suo look, i fan vanno in delirio durante i suoi concerti pirotecnici e sfarzosi. Intorno a lui si condensa un entourage smisurato, composto di agenti, pr prestigiatori, curatori d’immagine, avvocati, dottori, guardie del corpo. Michael utilizza la sua fama e i suoi guadagni per numerose opere di beneficenza, specialmente legate ai bambini, e diventa testimonial della Pepsi, riportando anche gravi ustioni per un incidente durante la lavorazione di uno spot della bevanda con le bollicine. Nonostante il nuovo status di superstar, Jackson si esibisce ancora una volta con i fratelli nel 1984, evento che spinge ognuno degli altri membri della famiglia a dedicarsi ad altalenanti carriere soliste. Fortuna costante, invece, accompagna la sorella Janet, che intraprende la strada di attrice e cantante diventando anch’essa una superstar. La sorella maggiore La Toya segue lo stesso percorso. Il solitario Michael compra un enorme ranch in California, ribattezzato Neverland, attrezzandolo a 3
parco giochi, invitando i ragazzi a visitarlo e a stare da lui. I media, sempre in cerca di gossip da dare in pasto al pubblico, sottolineano la sua presunta ossessione per la chirurgia plastica, volta allo schiarimento della pelle e ad una scultura quasi cubista dei lineamenti del volto. Questo, sommato a comportamenti talvolta bizzarri (come indossare mascherine mediche in pubblico), ne fanno una facile preda dei tabloid. Bisognerebbe però tener presente la questione della vitiligine, malattia epidermica di cui Michael soffre da anni. Molti esperti dermatologi di fama mondiale, hanno confermato la cosa, aggiungendo inoltre che i primi punti dove la vitiligine si manifesta, sono proprio le mani: ecco il motivo del guanto sempre sulla mano destra. Purtroppo, la riluttanza di Jackson a concedere interviste, alimenta i pettegolezzi sulla sua vita, dando vita a storie del genere “dorme in una bara di vetro ossigenataâ€?. Si dice anche che abbia acquistato lo scheletro di Elephant Man. Nel 1985 compra la ATV Publishing, che possiede i diritti di molte canzoni dei Beatles (oltre a materiale di Elvis, Little Richard e altri), una mossa economica che rovina i suoi rapporti di amicizia con Paul McCartney. Lo stesso anno, Michael è impegnato 4
in aiuto dei bambini africani, componendo insieme a Lionel Richie il singolo “We Are The World”, poi interpretato insieme alle grandi star del momento, da Bruce Springsteen a Tina Turner, tanto per citarne un paio, l’operazione raccoglie l’iperbolica cifra di 50 milioni di dollari. Nello stesso periodo, collabora con George Lucas e Francis Ford Coppola per realizzare il film “Captain Eo”, un fantasmagorico concentrato di effetti speciali che sarà proiettato per 12 anni consecutivi sui mastodontici schermi IMAX, nei parchi Disney. Nel 1987 esce il tanto atteso “Bad”. Sebbene l’album sia ottimo, raggiunga facilmente la vetta delle classifiche internazionali e venda 8 milioni di copie, con cinque singoli che raggiungono la vetta delle classifiche, fallisce nel tentativo di eguagliare il successo di “Thriller”. Segue un altro tour mondiale: nonostante l’enorme successo delle performance, i concerti vengono criticati per l’uso parziale del playback, in seguito ammesso dal cantante stesso, perlomeno per il ‘Dangerous Tour’. Nel 1991 esce “Dangerous”, che segna la fine della collaborazione con Quincy Jones, in favore del sodalizio con Teddy Riley. È ancora un grande successo, grazie soprattutto al singolo “Black Or White” (che scatena polemiche per un video dal presunto messaggio violento), che tuttavia non raggiunge la fama dei due illustri album precedenti e segna l’inizio dell’offuscarsi della stella di Michael Jackson. L’anno fatale è proprio il 1991: con l’uscita di “Nevermind” dei Nirvana, la MTV Generation assorbe il non-verbo del grunge e il pop eccentrico di Jacko sembra archeologia musicale. Nel 1993 Jordan Chandler, un bambino tredicenne ‘amico’ di Michael, va dal padre accusando il divo di molestie. Il padre denuncia il caso, la polizia inizia le indagini, ma le prove a carico di Jackson, al di là dell’accanimento dell’opinione pubblica e del linciaggio a mezzo stampa, non sembrano del 5
tutto convincenti. Tuttavia, il fatto si risolve con un accordo tra Jackson e l’accusatore, che rifiuta di testimoniare e intasca una somma valutata tra i 18 e i 20 milioni di dollari: per molti, questo equivale d un’ammissione di colpevolezza. Il 26 maggio 1994 Jackson sposa Lisa Marie Presley. La coppia divorzia nel 1996 e un ano dopo viene il turno della seconda moglie, l’infermiera personale Debbie Rowe. I due mettono al mondo il primo figlio Prince Michael Jackson Jr. nel febbraio del 1997; nel 1998 nascerà Paris Michael Katherine Jackson. L’anno dopo ancora, Jacko e signora divorzieranno. “HIStory”, realizzato nel 1995, è accompagnato da una promozione ciclopica e da un video che ritrae enormi statue di Jackson vaganti per le strade d’Europa. Il doppio album comprende un disco di greatest hits e in uno di materiale nuovo, tra cui il singolo “Scream” (in duetto con la sorella Janet) e la canzone “They Don’t Care About Us”, che diventa oggetto di controversie per i testi antisemiti, presto modificati. L’uscita viene supportata da un’altra tournée. L’album di remix “Blood On The Dance Floor” (1997) è un flop, dopo il quale, nei quattro anni a seguire, si parla di Jackson solo per vicende extramusicali. Nel marzo del 2001, MJ viene inserito nella Rock And Roll Hall Of Fame e celebra i 30 anni di carriera con un mega concerto al Madison Square Garden di New York. Oltre ai tributi di Whitney Houston, di Britney Spears e degli *N Sync, il concerto brilla per la partecipazione dei Jacksons, insieme sul palco dopo quasi 20 anni dall’ultima esibizione in comune. In seguito all’11 settembre, Michael riunisce un manipolo di star e insieme incidono per beneficenza il brano “What More Can I Give”. A fine anno viene pubblicato “Invincible”; il singolo “You Rock My World” esce accompagnato da un clip che vanta un cameo di 6
Marlon Brando. “What More Can I Give”, invece, non viene pubblicato ed ecco l’ennesimo vespaio: quando si scopre che il produttore esecutivo Marc Schaffel lavora anche nel mondo della pornografia, la Sony blocca canzone e video. Si scatena una vera guerra mediatica e legale tra la casa discografica e Jackson, che nel 2002 arriva ad accusare il boss di Sony, Tommy Mottola, di essere un razzista e di discriminare gli artisti di colore. La versione dei fan di Michale, differisce alquanto da quella appena enunciata: il problema sarebbe da rintracciare nel fatto che la Sony Music - negli ultimi due anni - avrebbe cercato di boicottare i progetti artistici di Jackson, per renderlo meno appetibile alle altre case discografiche, evitando così di dover sborsare tutti i diritti che il catalogo ATV (metà di Michael, metà della Sony) ha maturato nel corso degli anni... Dall’esterno, Michael appare confuso nelle sue ossessioni, che lo portano anche a mettere in mostra, durante un processo in tribunale, il naso devastato da un chirurgo inetto e a esibire il terzo figlio Prince Michael II facendolo penzolare fuori dal balcone di un albergo in Germania. Nel 2003 arriva un altro brutto colpo: viene trasmesso sulla rete inglese ITV il documentario “Living With Michael Jackson” (che in Italia arriva all’inizio di marzo, in seconda serata), opera dell’intervistatore Martin Bashir. Nel montaggio, Jacko confessa di aver dormito con dei bambini (ma assicura che non c’è stato sesso) e, negando di essersi sottoposto a interventi di plastica facciale, rivela che i mutamenti del suo viso sono opera di Dio. Un autentico “suicidio mediatico”, come lo definiscono i discografici inglesi. La credibilità di Jacko, tra la gente, è a picco: piovono condanne e critiche, la Sony dichiara di volerlo fuori dal suo catalogo, anche se magari con calma, visto che l’istinto morboso che circonda la vicenda, ha spinto le vendite dei dischi di Jacko a consistenti impen7
nate. Jackson, nel giusto tentativo di difendersi, intraprende un’azione legale contro Martin Bashir, sostenendo la cattiva fede del giornalista, che avrebbe montato l’intervista mettendo insieme pezzi di conversazione tolti arbitrariamente dal loro contesto originario. Altre tegole: prima “Michael Jackson Unmasked”, un altro documentario teso a screditare la star, poi i guai giudiziari che travolgono Heal The Kids, l’associazione benefica fondata da Jackson nel 2001. Infine, arrivano le accuse e le citazioni in tribunale di alcuni ex-collaboratori. Il 20 febbraio la rete americana ABC trasmette “Michael Jackson, Take Two: The Interview They Wouldn’t Show You”, un contro-documentario che dovrebbe mostrare la malafede di Bashir e i travisamenti operati in “Living With...”. Purtroppo, questo documento non è mai stato visto in Italia, neppure a notte fonda... I problemi legali si susseguono fino al processo che ne decreta la piena assoluzione, nel 2005. Nel 2008 gli album Off the Wall e Thriller vengono inclusi nella Grammy Hall of Fame (la massima onoreficenza che possa avere un album, una traccia o un singolo). Il 5 Marzo 2009, Michael Jackson ha tenuto una conferenza stampa all’arena 02 di Londra, in cui ha dichiarato di sostenere una decina di concerti nell’arena 02 il prossimo Luglio. Sarebbe stato il grande ritorno sulle scene per Jacko, forse l’ultima occasione di vederlo dal vivo. Purtroppo il 25 giugno 2009 Micheal Jackson muore per un attacco cardiaco. Il Pop perde il suo re... 8
2008 - SonyBMG “’King Of Pop’ The Italian Fans’ Selection” 2006 - SonyBMG “Visionary – The Video Singles” 2004 - Sony Music “The Ultimate Collection” 2004 - Epic / Sony “The One DVD” 2001 - Epic “Invincible” 1997 - Sony “HIStory On Film, Vol. 2” 1997 - Sony “Ghosts” 1995 - Epic “HIStory: Past, Present And Future, Book 1” 1993 - Motown “Rockin’ Robin” 1992 - Epic “Dangerous”
1990 - Motown “Motown Legends” 1987 - Epic “Bad” 1986 - Motown “Anthology” 1986 - Motown “Ben/Got To Be There” 1986 - Motown “Looking Back To Yesterday” 1984 - Motown “Farewell My Summer Love” 1984 - Motown “Great Love Songs Of Michael Jackson” 1982 - Epic “Thriller” 1981 - Motown “Best Of Michael Jackson” 1981 - Motown “One Day In Your Life”
1980 - Motown “Motown Superstar Series, Vol. 7” 1979 - Epic “Off The Wall” 1975 - Motown “Forever, Michael” 1973 - Motown “Music & Me” 1972 - Motown “Ben” 1972 - Motown “Got To Be There”
Il ricordo del mondo dello spettacolo MCCARTNEY,IMMENSO TALENTO CON ANIMA GENTILE “Un ragazzo-uomo dall’immenso talento, con un’anima gentile”: così Paul McCartney ricorda stamane Michael Jackson. I due collaborarono per alcuni brani negli anni ‘80, ma i rapporti si raffreddarono quando Jackson compro’ gran parte del catalogo dei Beatles, ricordano i media britannici. Ma Paul, poco fa, ha avuto parole d’affetto per Michael: “E’ così triste e scioccante. Mi sento privilegiato ad aver lavorato e passato del tempo con Michael. Era un ragazzo-uomo dall’immenso talento, con un’anima gentile. La sua musica verrà ricordata per sempre, e conserverò memorie gioiose del tempo passato insieme. Invio le mie più sentite condoglianze alla madre e alla famiglie, e a i suoi fan in tutto il mondo”. LENNY KRAVITZ, RAGAZZO CON VOCE D’ANGELO “Non ci sarà mai un altro come Michael Jackson... era un ragazzo che Dio aveva benedetto con una voce da angelo”: così Lenny Kravitz ha commentato la morte di Michael Jackson, in un comunicato diffuso a Londra. “Ho lavorato con Michael su un brano che ancora non è stato pubblicato - afferma Kravitz, che è in tour in GB - ed è stato un’esperienza incredibile. Era molto divertente e abbiamo riso tutto il tempo... era un meraviglioso essere umano. Sono molto triste. E’ stato il primo artista che ho visto dal vivo, quando avevo 8 anni al Madison Square Garden. Se non fosse stato per lui, non farei questo mestiere. Lui era la musica. Punto”. “Riposa in pace, dolce Michael - conclude Kravitz - Ci hai dato tutto quel che potevi”. MARIAH CAREY, HO IL CUORE SPEZZATO “Ho il cuore spezzato. Le mie preghiere vanno alla famiglia Jackson, e il mio affetto ai suoi figli”: così Mariah Carey ha commentato la 10
morte di Michael Jackson, in un comunicato diffuso a Londra. “Ricordiamolo per il suo contributo senza uguali al mondo della musica - ha detto la cantante - E ricordiamolo per la sua generosità e il suo tentativo di migliorare il mondo, la gioia che ha dato a milioni di fan. Mi sento fortunata ad aver cantato con lui, e della nostra amicizia. Nessuno prenderà mai il suo posto. La sua stella brillerà per sempre”. LOREN, NON CE NE SARA’ MAI PIU’ UN ALTRO “Non ci sarà mai più un altro Michael Jackson... sono devastata” afferma in una nota Sophia Loren, che era amica del cantante e a Los Angelesa ha abitato nella casa accanto, aggiungendo: “Il mondo ha perso una Icona, ha dato al mondo un tesoro con le sue canzoni”. “Spero - conclude l’attrice
- che troverà la pace che merita dopo tante sofferenze”. Meno di un mese fa, ospite in tv allo ‘Show dei record’, la Loren aveva ricordato il giorno in cui aveva portato Jackson a cena da sua sorella: “Una pomeriggio chiamai Maria e le dissi: Guarda che ti porto Michael Jakson a cena”. E racconto che questa esclamò ‘Cosa?’ e passò poi tutto il giorno a cucinare, “Ma Michael - ha raccontato ancora Sophia, aggiungendo divertita che era un po’ pazzo - si presentò con il suo cuoco personale, e, dopo cena, ha cominciato a girare per tutta la casa e si mise anche a saltare sui letti”. JACK LANG, UN ICARO DELLA SCENA Questa notte è scomparso “un monumento”, un “genio”, una “star planetaria” che era “una sorta di Icaro della scena”, ma che è stato anche “un 11
ponte tra la cultura americana, la cultura nera e la cultura bianca”: così Jack Lang, ex ministro della Cultura francese, ha reagito alla notizia della scomparsa di Michael Jackson. La morte del cantante americano “é un immenso shock che attraverserà tutto il pianeta. Lo credevamo immortale, lui stesso voleva innalzarsi al di sopra del tempo e dello spazio” ha detto Lang intervenendo su Rtl. “Era un gigante che ha rivoluzionato l’arte della scena, della musica. Era una voce unica. Pensiamo al cantante - ha concluso - all’uomo di scena che riusciva, con un incredibile virtuosismo, a sollevarsi al di sopra dello spazio come una sorta di Icaro”. STEVEN SPIELBERG, ERA UNA LEGGENDA Il regista Steven Spielberg ha detto che Michael Jackson “era una leggenda”. “Come non ci saranno mai più altri Fred Astaire o Elvis Presley così non ci sarà mai più qualcuno paragonabile a Michael Jackson - ha detto il regista - Il suo talento, la sua meraviglia e il suo mistero ne facevano una leggenda”. LISA MARIE PRESLEY, SCONVOLTA MORTE EX-MARITO Lisa Marie Presley, che era stata sposata a Michael Jackson per due anni, ha detto di essere ‘’sconvolta’’ per la morte del cantante. ‘’Sono totalmente sconvolta a rattristata dalla morte di Michael - ha detto la figlia del leggendario Elvis Presley - il mio affetto va in questo momento ai suoi figli ed ai suoi familiari’’. Michael Jackson e Lisa Marie Presley erano rimasti sposati dal 1994 al 1996. JOHN LANDIS, UN TALENTO STRAORDINARIO Il regista John Landis, che ha diretto Michael Jackson nel celebre video ‘’Thriller’’, ha detto che l’artista ‘’aveva un talento straordinario ed era veramente una grande stella internazionale’’. ‘’Ha avuto 12
una vita difficile e complicata - ha aggiunto il regista - malgrado tutti i suoi grandi talenti la sua resta una figura tragica’’. CELINE DION, ERA UN IDOLO PER ME ‘’Sono sotto shock: Michael Jackson e’ sempre stato un idolo per me. Lo e’ stato per tutta la mia vita’’, ha detto la cantante Celine Dion commentando la morte dell’artista di Thriller. ‘’Non solo aveva un grande talento, era un genio - ha detto la Dione - La sua musica non morira’ mai. Restera’ viva per sempre’’. CHER, ERA UN GENIO BAMBINO Per l’attrice americana Cher, che con lui ebbe modo di cantare e ballare in piu’ spettacoli, Michael Jackson era un ‘’genio bambino’’. Cosi’ Cher lo ha ricordato oggi in un’intervista concessa al giornalista della CNN Larry King. ‘’Michael era un bambino dotato di un incredibile talento. Dolce come un bimbo, e innocente, e dotato di un’incredibile sensibilita’ - ha detto Cher - Un bambino ma anche un genio, dotato di un talento incredibile. Ma mi piace ricordarlo nei primi anni. Perche’ ebbi modo di rivederlo in seguito e mi fece un effetto strano. Era come sovrastato dal bisogno di sentirsi accettato, dal bisogno di essere amato. Io lo ricordero’ bambino, un bambinogenio del livello di Ray Charles, che cantava e ballava come solo un genio sa fare, con felicita’’’ QUINCY JONES, HO PERDUTO UN FRATELLO ‘’Sono assolutamente devastato da questa notizia tragica e inaspettata’’. Questa la reazione di Quincy Jones, il produttore musicale che aveva lanciato la carriera di Michael Jackson, alla notizia della morte 13
del cantante. ‘’Michael Jackson aveva tutto: talento, grazia, professionalita’ e dedizione - ha detto Quincy Jones - Ho perso un fratello: una parte della mia anima se n’e’ andata con lui’’. MADONNA, NON POSSO SMETTERE DI PIANGERE ‘’Non riesco a smettere di piangere: ho sempre ammirato Michael Jackson’’. Lo ha detto Madonna commentando la morte del cantante. ‘’Il mondo ha perso uno dei suoi grandi - ha aggiunto Madonna - la sua musica vivra’ per sempre. Il mio pensiero va ai suoi tre bambini e agli altri membri della sua famiglia. Che Dio lo benedica’’. LIZA MINELLI, MI MANCHERA’ OGNI GIORNO WASHINGTON - ‘’Mi manchera’ ogni giorno della mia vita’’. Questo il commento di Liza Minelli ala notizia della morte di Michael Jackson. ‘’Era una persona gentile, genuina meravigliosa - ha detto la protagonista di ‘Cabaret’ - Era uno dei piu’ grandi artisti mai esistiti. Lo amavo moltissimo’’. LIZ TAYLOR, SONO DEVASTATA L’attrice Liz Taylor ha fatto sapere di essere ‘’devastata’’ per la morte di Michael Jackson. La famosa interprete, che ha sempre avuto uno stretto rapporto di amicizia con il cantante, ha fatto sapere tramite il suo addetto stampa di essere ‘’troppo devastata per la morte del mio caro amico Michael Jackson per essere in grado di fare una dichiarazione’’. Liz Taylor e’ stata una frequentatrice abituale del ranch Neverland ed e’ stata vicina all’ex Re del Pop anche nei momenti piu’ difficili della sua vita. SCHWARZENEGGER, ERA UN FENOMENO Il Governatore della California, Arnold Schwarzenegger, commentato la morte di Michael Jackson
affermando che ‘’oggi il mondo ha perso una delle piu’ influenti e iconiche figure nell’industria della musica. Dalle sue performance con i Jackson 5 alla premiere di Moonwalk e Thriller, Michael e’ stato uån fenomeno del pop che non ha mai smesso di esplorare la creativita’’’ ‘’Anche se c’erano dubbi sulla sua vita personale. - ha aggiunto l’ex attore - Michael era sicuramente un grande uomo di spettacolo e la sua popolarita’ immensa. Maria e io’’, ha aggiunto ancora Schwarzenegger riferendosi alla propria consorte, ‘’ci uniamo a tutti i californiani nell’esprimere il nostro shock e la nostra tristezza per la sua morte’’. AL BANO, MI COLPI’ IL SUO CANDORE “Mi ha sempre colpito il suo candore di fondo...”. Questo il commento di Al Bano che con l’artista statunitense vinse una causa di plagio per il suo brano ‘I cigni di Balaklava’. “In realtà - spiega Al Bano - non ci fu mai una lotta tra me e lui. La mia era soltanto una difesa...Dopo la causa ci siamo messi d’accordo per fare insieme un concerto per raccogliere fondi per i bambini. Poi sono cominciati i suoi guai giudiziari e l’iniziativa non era più proponibile”. “Ho avuto sempre un grandissimo rispetto per lui come musicista. L’uomo era invece di una fragilità pazzesca. Anzi era rimasto un ragazzino. Maria Scicolone e Sophia Loren mi hanno raccontato che a casa loro la prima cosa che aveva voluto fare era quella di saltare sul letto. Proprio come un bambino...Si vede che il padre non gli aveva permesso di crescere..”. “Il suo ego - continua ancora Al Bano - si era così indirizzato verso la musica. Un artista straordinario: innovativo, forte, popolare e al tempo stesso di grande classe. E poi come ballava..!”.
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Musica sostenibile: le note che fanno bene al pianeta di Stefania Del Bianco L’attenzione all’ambiente da parte dei musicisti è un tema sempre più attuale e, diciamo la verità, anche un elemento di comunicazione ampiamente sfruttato dalle case di produzione soprattutto per promuovere i tour. Ma va bene, a patto che gli impegni presi vengano rispettati, è un pò complicato verificare se i mille alberi da piantare in Bolivia vengano poi effettivamente piantati, forse sarebbe più opportuno piantare alberi nei parchi delle nostre città o sui monti che ogni estate vengono puntualmente e “dolosamente” distrutti dagli incendi. Stefania del Bianco aveva già affrontato l’argomento e si è resa disponibile, e la ringrazio, a far pubblicare il suo articolo su Clatter. Se volete approfondire l’argomento vi consiglio di visitare il sito www. rinnovabili.it. Tour ecocompatibili, musicisti dal cuore “verde”, album eco-friendly. Ecco come il settore musicale sta cominciando a dare il suo contributo nella lotta ai cambiamenti climatici E’ possibile salvare il pianeta una canzone alla volta? Veicolo di comunicazione tra i più antichi al mondo la musica è da tempo affidatario di messaggi connessi ad un forte impegno sociale, sia per la facilità di trasmissione che per la rapidità di recepimento. Ed ora che al grido d’allarme ambientalista nei confronti di un pianeta affamato d’energia e stravolto dai cambiamenti climatici si sono unite le voci di scienziati, economisti e politici, anche l’universo musicale sembra maturo per portare il suo impegno alla sfida lanciata dal surriscaldamento globale. A fare da apripista il monumentale concerto Live Earth – The con17
devoluto l’intero incasso ad organizzazioni ambientaliste come Alliance for Climate Protection. La maratona musicale si è dimostrata, così, utile come caso studio per redigere il Live Earth’s Green Guidelines, un manuale che incoraggi al cambiamento fornendo le linee guida per la realizzazione di eventi live sostenibili. Sulla base della loro raccolta di dati e con un ampio sostegno da parte dell’U.S. Green Building Council, The Climate Group e i creatori del LEED, il Sistema di Valutazione per la Bioedilizia, il team di Live Earth ha individuato tre principali settori per un maggior controllo dell’impatto ambientale, nei quali si è peraltro intervenuti nella manifestazione stessa:
cert for a climate in crisis, che pur non essendo il primo approccio in tal senso, è da considerarsi il più grande evento della scena musicale internazionale a richiamare l’attenzione sullo stato di salute della Terra. L’iniziativa voluta dall’ex vicepresidente USA, Al Gore, ha riunito il 7 luglio 2007 ben 150 artisti, su nove palcoscenici diversi nei sette continenti e richiamato più di 2 miliardi di persone con un obiettivo preciso: sensibilizzare l’opinione pubblica al problema dell’aumento della temperatura terrestre e spingere così i governi ad agire. Dal Giants Stadium di New York all’Aussie Stadium di Sydney passando per Londra, Rio de Janeiro, Tokyo, Shanghai, artisti del calibro di Madonna, Genesis, Bon Jovi, Metallica hanno partecipato come testimonial dell’evento accompagnati da filmati, interviste e reportage per comprendere meglio l’attuale situazione ambientale. E per dimostrare un impegno in prima persona gli organizzatori hanno fatto il possibile per ridurre al minimo l’impatto ambientale degli spettacoli e
• riduzione dei consumi energetici (ad esempio acquistando energia verde, sfruttando la circolazione naturale dell’aria al fine di ridurre l’aria condizionata, richiamando agli eventi artisti della zona e quelli già in tour per ridurre i viaggi aerei, installando sistemi d’illuminazione ad alta efficienza energetica, ecc.) • impiego di materiali sostenibili (impiegando merci locali, materiali organici o in fibra di bambù, inchiostri biologici, ecc.) • differenziazione dei rifiuti (menù su misura per ridurre gli imballaggi, ampie zone di riciclaggio, ecc.) Il risultato finale per Live Earth è stato di limitare le emissioni di carbonio a 19.708 tonnellate contro le 31.500 in media associate ad un live di tale portata, mentre delle 97 tonnellate di rifiuti raccolti, l’81%, è stato sottratto alle discariche attraverso il riciclaggio. Ma quanto incidono allora i concerti sull’ambiente? Solo in Italia ogni anno gli eventi musicali sono responsabili in maniera diretta o indiretta di circa 45.000 tonnellate di CO2 (lo 0,01% delle emissioni nazionali totali di questo gas) ovvero una quantità di anidride carbonica pari a quella rilasciata da 22.500 auto che percorrono 10.000 km. Ad elaborare questi dati è il documento presentato in occasione della 18
presentazione di Edison Change The Music uno tra i primi progetti italiani per lo sviluppo di una cultura della sostenibilità e del risparmio energetico nella musica ed a cura dello stesso operatore energetico. L’obiettivo è dimostrare come sia possibile in tutti gli ambiti di attività nel settore musicale un approccio sostenibile che conduca a risultati concreti e misurabili in termini di efficienza energetica e riduzione dell’impatto ambientale. Per un evento che coinvolga fino alle 5.000 persone un approccio “eco-coscienzioso” che preveda fonti rinnovabili per gli impianti elettrici e di illuminazione, promozione della mobilità sostenibile e materiale promozionale stampato su carta riciclata, sarebbe in grado di ridurre le emissioni di CO2 di circa il 75%. Il progetto si avvale di tre iniziative: una Community per gli utenti (www.myspace. com/edisonchangethemusic), un Contest dedicato ai giovani musicisti emergenti che intendono aderire ai principi del progetto ed un Green Music Book, una guida “in divenire” di idee, comportamenti e soluzioni tecniche votate all’ecosostenibilità nella musica. Anche in questo caso i consigli vertono sull’utilizzo, dove possibile, di biocombustibili per i generatori che alimentano il concerto o sul supporto con mezzi di produzione di energia rinnovabile, sulla promozione della mobilità sostenibile e sulla creazione di incentivi per gli spettatori che utilizzano i mezzi di trasporto pubblico, sull’utilizzo apparecchiature efficienti e, ove ce ne sia la possibilità, di sistemi di illuminazione a basso consumo. Più musica, meno CO2 Ma c’è chi fornisce il proprio contributo non solo riducendo ma anche compensando tutte le emissioni di CO2 prodotte attraverso progetti di riforestazione o l’acquisto di crediti di carbonio. Fa parte di quest’ultime la formula scelta da Enel per sponsorizzare il Safari Tour Live 2008 di Jovanotti. Con il supporto tecnico di AzzeroCO2 l’azienda energetica ha realizzato un’analisi dettagliata delle emissioni di anidride carbonica associate alla realizzazione dell’evento attraverso la raccolta e l’analisi dei dati relativi ai consumi energetici, alla carta utilizzata per il materiale pubblicitario (biglietti, manifesti, volantini) e agli spostamenti del personale e del pubblico. La quantificazione della CO2 corrispondente ai consumi sopra citati e pari a circa 1.863 tonnellate è stata ottenuta attraverso fattori di conversione riconosciuti a livello internazionale ed utilizzando le metodologie sviluppate da WRI (World Resources Institute), WBCSD (World Business Council for Sustainable Development) e IPCC (International Panel on Climate Change). Il progetto contribuirà a riforestare un’area complessiva di circa 3,80 ettari, circa 2.662 alberi, in quattro aree urbane d’Italia. A tingersi di verde è anche il tour estivo di Luciano Ligabue, che aderen19
do al progetto Impatto Zero® di LifeGate, ha dato il via ad una serie di concerti ecocompatibili. In questo caso, alla quantificazione dell’impatto ambientale, ottenuta grazie alla collaborazione di Università e Partner specializzati nel Life Cycle Assessment, si associa la nascita di 218.700 mq di foreste in Costa Rica certificati da Bios, ente riconosciuto dall’Unione Europea. Non solo compensazione ma anche azioni dirette: l’evento ha difatti promosso in contemporanea l’utilizzo dei mezzi pubblici per raggiungere gli stadi ed un progetto di “car-pooling” (ovvero la condivisione di un’auto privata da parte di persone che percorrono lo stesso itinerario) dedicato ai fan e costruito su misura per gli appuntamenti concertistici di Ligabue (www. tandemobility.com). Non mancano realtà anche più curiose come i concerti “a pedali”. Il primo tentativo italiano in questo senso è stato realizzato nell’edizione 2007 di Ecomondo, dalla Regione Emilia-Romagna, per il concerto del cantautore bolognese Franz Campi in cui l’energia elettrica necessaria per l’amplificatore della chitarra è stata fornita unicamente da velocipedi collegati ad un alimentatore. L’esperimento è stato riproposto nel marzo di quest’anno in occasione della Festa dell’Aria di Modena, alimentando anche in questo caso parte dell’amplificazione di un concerto di giovanissimi presso una scuola media cittadina ed alternato alla visione di filmati dedicati al risparmio energetico e al consumo sostenibile. Un modo non solo per risparmiare energia ma anche per coinvolgere in maniera diretta il pubblico (ai pedali dei bici-generatori) allo spettacolo. Dalle sale di registrazione ai videoclip Ma la musica non è costituita solo da eventi live e si può promuovere un sistema sostenibile a 360° dal-
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l’organizzazione e promozione degli eventi, agli studi di registrazione, fino alla produzione di video e cd. Piero Pelù, testimonial della campagna WWF “Generazione Clima. Efficienti per natura” ha installato sul tetto della sua sala di registrazione dei moduli fotovoltaici e così ha fatto anche il cantautore hawaiano Jack Johnson negli uffici della Brushfire Records, etichetta indipendente da lui stesso fondata e vero e proprio modello “eco-friendly”, tanto da meritarsi il titolo di musicista più “green” al mondo dalla rivista Billboard. Oltre all’alimentazione ad energia solare, infatti, i muri dell’edificio utilizzano come isolante vecchi jeans triturati, i cd impiegano solo carta riciclata, inchiostro a base di soia e plastica biodegradabile. E se questo non fosse abbastanza Johnson è anche co-fondatore di un programma di educazione ambientale nel suo paese natio e del Kokua Festival, una manifestazione musicale “ecologica” al 100%. I video musicali non fanno eccezioni: un esempio su tutti “Drammaturgia” della band milanese Le Vibrazioni, che ha deciso in questo caso di compensare le emissioni legate alla realizzazione del videoclip stesso acquistando crediti di anidride carbonica. Il gruppo Asja ha provveduto al conteggio della CO2 prodotta durante i due giorni di lavorazione del video, comprendendo quelle generate dai consumi energetici e quelle dai trasporti di persone e strumentazioni. Le metodologie di calcolo sono state elaborate da una Commissione Tecnica della quale fanno parte il Politecnico di Torino e la Seconda Università degli Studi di Napoli mentre l’ente internazionale DNV (Det Norske Veritas) ne ha verificato i dati. A calcolo concluso il gruppo ha messo disposizione della band i suoi crediti di anidride carbonica (ottenuti dalla produzione di energia rinnovabile) equivalenti alla CO2 rilasciata nelle giornate di lavorazione. Se c’è chi impara c’è anche chi insegna. Lo ha dimostrato il programma Audioambiente realizzato da All Music in collaborazione con il Ministero dell’Ambiente e condotto da Angelo Pisani e Marco Silvestri, meglio noti come i Pali e Dispari. In quattro puntate ambientate in diverse città italiane, i “conduttori” hanno fatto visita a quattro gruppi emergenti del panorama hip hop italiano commissionando loro un brano musicale con tematiche legate all’ambiente e allo sviluppo sostenibile, accompagnando quindi i musicisti in una due giorni all’insegna della sostenibilità e controllando che le loro azioni quotidiane fossero “ecological correct”. E il pianeta ringrazia.
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Gianni di Crescenzo
DO IT 22
Allora iniziamo con una domanda a bruciapelo, il panorama della musica jazz in Italia come sta? Dobbiamo dire che il panorama della musica italiana in generale è una tragedia, al di là dei generi. Forse il jazz tra virgolette è il genere un pò più agevolato, però anche lì ci sono delle difficoltà. In Italia solo se sei un “nome” puoi avere qualche possibilità in più. Un minimo di mercato? Esatto un minimo di mercato ma anche lì la situazione non è rosea. Difatti anche per i grossi nomi italiani della musica jazz non è che ci siano tutte queste grosse occasioni. In Italia alla fine suonano sempre gli stessi, sono quei cinque, sei nomi su cui gli organizzatori vanno sul sicuro perché hanno quel minimo di fama che riesce ad attirare pubblico con una certa regolarità. Nessuno vuole rischiare soldi su nomi nuovi. Anche per quanto riguarda le produzioni? Certo, eppure in Italia a prescindere dai “famosi” ci sono bravissimi musicisti di jazz che però non hanno un seguito e non hanno chi li produce. La musica pop ha dei canali di comunicazione e di marketing ben rodati in grado di fare anche la differenza tra un artista e l’altro, per il panorama jazz al di là di qualche festival estivo non mi sembra si faccia molto per divulgarlo. In televisione è praticamente ignorato. In televisione? I jazzisti sono un target completamente ignorato dai palinsesti. Appuntamenti annuali tipo Siena Jazz, Umbria Jazz, sono momenti nel corso dell’anno di 20/30 giorni che puntano sull’ospite straniero per avere un certo richiamo e fare cassa. Effettivamente direi che è quantomeno originale che il nome di punta della manifestazione, la serata che diciamo farà “biglietto”, o ha poco a che fare con il Jazz, o è uno dei mostri sacri internazionali. Parlando sempre in generale, la musica in Italia è diventata un business, il discorso è semplice se sei famoso trovi sempre qualcuno disposto a puntare su un tuo progetto, viceversa se sei uno sconosciuto magari bravissimo, nessuno rischia su di te. È tutto legato al business. Così non è negli altri paesi tipo la Francia, l’Austria, la Germania, lì si organizzano manifestazioni di carattere culturale che poco hanno a 23
Gianni Di Crescenzo e Simon Phillips
che vedere con il business. Da noi si organizzano gli eventi per fare business e allora hai bisogno dei nomi che ti garantiscano il giusto ritorno. In Italia c’è una tradizione jazz propria? Come no, già a Siena che abbiamo citato prima ad esempio organizzano corsi, Umbria jazz organizza delle borse di studio legate con la Berklee College of Music di Boston in America lì fanno lezioni studenti americani con insegnan-
ti italiani. Per tornare a Siena organizzano sia corsi invernali che estivi. Umbria Jazz a Perugia lo fanno solo l’estate e sono seminari di specializzazione. Una scuola che ha un percorso didattico partendo proprio dalle basi è l’Università della Musica che si trova a Roma e poi abbiamo il CPM che si trova a Milano. Loro hanno anche un corso di musica pop, visto che come dicevi prima, sicuramente a livello d’opportunità di lavoro c’è maggiore offerta. Il CPM è anche una buona scuola dove importanti 24
musicisti, come ad esempio Zucchero o Vasco Rossi per fare nomi tra quelli importanti, attingono musicisti per le tournée. Almeno come turnisti in sala di registrazione c’è lavoro per i musicisti jazz? Dovreste avere una sensibilità musicale, diciamo, apprezzabile in sala di registrazione. C’è da essere onesti, sono situazioni diverse, non è detto che sia automatico che un musicista jazz possa avere la versatilità per in-
cidere un disco pop. Solitamente un musicista jazz ha un approccio diverso nell’esecuzione e un modo diverso di pensare musicalmente, sono proprio due situazioni diverse. Per esempio un batterista jazz poco si adatta ad un pezzo di musica pop. È difficile trovare musicisti versatili che sappiano adattarsi ai diversi stili richiesti dal jazz, dal pop e via dicendo. A te è capitato mai di suonare in situazioni diverse dal jazz? Come no io ho suonato in diversi dischi di musica pop, anche qualche tournée con artisti pop. Il jazz è un mio percorso personale, una passione che ho sempre avuto fin da ragazzo, nonostante una formazione classica, ho sempre nutrito questa passione per il jazz. Il Jazz ti dà ampi spazi di creatività, e libertà, ma questo non mi ha mai limitato nel voler esplorare altri campi.
nano bene, fanno intrattenimento di qualità neanche questo è facile se lo si vuol fare bene. Per tornare al jazz il più stupido jazzista in america potrebbe “suonarla” a molti big nostrani, sono gli stessi musicisti che fanno tour con Aretha Franklin, Dee Dee Bridgewater con Céline Dion. Come è il rapporto tra jazzisti e conservatorio? Diciamo che da un pò di anni le cose sono cambiate, e questa volta in meglio. Nei conservatori ci sono corsi di jazz, di musica moderna, di musica sperimentale. Finalmente si sono resi conto che continuare a puntare solo ed esclusivamente sulla musica classica rischiava di rinchiuderli in un circuito autoreferenziale. Addirittura fanno anche corsi di musica pop, di musica leggera, creando situazioni che hanno concesso spazi nuovi per i ragazzi. È chiaro che per accedere anche a questi corsi devi avere comunque una preparazione di base, però è un passo
Ti sei lasciato contaminare in qualche modo. Assolutamente si. Pensando ad un musicista come Sting che dal jazz ha attinto a piene mani sia a livello compositivo che di musicisti, mi viene da pensare che magari esiste un modo di fare business anche con il jazz . Certo che sì. E perché non avviene? Questo è un modo di pensare sempre tutto italiano. Mi spiego, gli americani non ragionano così, fanno di tutto e, credimi parlo per esperienza diretta. Un musicista che solitamente suona musica rock se gli capita una situazione di fusion-jazz lo fa. Io credo che nella musica devi essere preparato a qualsiasi cosa. È tipicamente italiano pensare: “io faccio solo questo” per distinguersi dall’altro. È una moda, io sono jazzista, quello che fa musica pop, sembra stia un gradino più in basso, non è vero! suonare bene musica leggera, musica pop non è facile e viceversa. Però c’è un pò questa attitudine ad avere… “la puzza sotto il naso”. Non dimenticare che qui in Italia abbiamo il fenomeno dei matrimoni dove a suonare vengono chiamati musicisti di musica classica. Suo25
Dave Carpenter
Simon Phillips
avanti importante.
copertura, insomma devi essere manager di te stesso. Devi suonare e devi venderti per farti conoscere Che rapporto esiste tra il jazz e le agenzie di pro- è un percorso comune alla stragrande maggioranza mozione? dei gruppi jazz. Diciamo che nel piccolo ci sono agenti che si occupano del panorama jazz. Purtroppo anche qui ri- All’estero funziona uguale? torniamo al discorso di prima, anche loro cercano All’estero ci sono più produzioni per cui più possidi avere e piazzare i nomi che potenzialmente stac- bilità di realizzare un tuo prodotto, e se funziona nelchino biglietti. Comunque definirli agenzie è una le vendite parte la fase promozionale dell’artista con parola grossa, le agenzie non esistono più. Ma non concerti, interviste, partecipazioni ad eventi etc, ma esistono più neanche nel campo della musica legge- non pensare sia così semplice o così diretta la cosa. ra perché adesso i contatti nella maggior parte dei casi sono diretti. Nel caso dei festival ad esempio è Parliamo del disco perché hai scelto di farlo in Ameil responsabile del comune che contatta direttamente rica? gli artisti, è normale che poi c’è la persona che rap- Diciamo che la scelta è stata un pò casuale anche se presenta l’artista all’interno della casa discografica, c’era l’ambizione di avere ospiti importanti nel mio comunque i contatti per la maggior parte oggi sono disco. Il tutto è iniziato tramite il fratello di una mia diretti. amica, che tra l’altro è di Ceprano, ma da anni vive e lavora come musicista a Los Angeles, suona rockPer cui, fammi capire, organizzare un tour risulta un blues e fusion. Ha avuto molte collaborazioni con impresa titanica se lo si fa da soli. musicisti importanti, gli ho fatto ascoltare delle cose Difficile, è molto difficile. Oggi ti devi rivolgere a e da lì è nata la proposta di registrare a Los Angeles. quelle poche organizzazioni in grado di darti un mi- Ho accettato la produzione e sono partito. nimo di garanzia a livello logistico, promozionale etc.. Devi trovare i finanziamenti per un minimo di È vero che i musicisti hanno un approccio nel lavoro 26
di sala, diverso che in Italia? Si è verissimo hanno un approccio diverso, anche mentale, nell’affrontare le cose e ti dico mi sono trovato benissimo perché è molto vicino al mio modo di pensare musicalmente. In Italia purtroppo soprattutto i musicisti di valore hanno quest’atteggiamento di superiorità e di snobismo nei confronti degli “altri”. C’è una competitività negativa che non ho trovato in america. Sono musicisti bravissimi ma si rispettano e soprattutto collaborano scambiandosi le reciproche esperienze. Se sei padrone di te stesso, delle tue capacità ma che problemi hai? Anzi dovrebbe farti piacere confrontarti con un altro musicista, e magari imparare qualcosa in più. Invece da noi manca proprio questo interscambio, bloccati per paura di trasmettere qualcosa di positivo all’altro.
Lee Thornburg, Gianni Di Crescenzo, Albert Wing
Diciamo che questo modo di pensare è un po’ il tallone d’Achille di noi italiani. Siamo un popolo creativo ma poco incline alle collaborazioni e al lavoro in team. C’è molta ipocrisia, poca sincerità nei rapporti. Io non sono così, conosco i miei percorsi musicali, so quali debbo ancora fare, in questo mestiere non si finisce mai di imparare, bisognerebbe nascere due volte per capire le possibilità di uno strumento e della musica in generale… davvero, uno dovrebbe nascere due volte. Ricordiamo il nome di qualche musicista che ha suonato nel tuo disco Ho avuto l’onore di suonare con Simon Phillips batterista dei Toto (Asia, Jeff Beck, Mick Jagger, Pete Townshend...) un batterista di fama mondiale a dire il vero quando mi hanno detto che aveva accettato di suonare, non volevo crederci, perché lo conoscevo come batterista rock e io facevo un disco jazz. Poi in studio quando abbiamo iniziato a suonare… è stato incredibile. Poi al sax tenore Albert Wing (Frank Zappa, George Benson, Diana Ross) Lee Thornburg alla tromba (Supertramp, Jaco Pastorius, Willy de Ville) Dave Carpenter al contrabasso (Buddy Rich, Herbie Hancock, Philharmonic orchestra) Brandon Fields sax tenore, sax soprano (George Benson Ear27
th Wind & Fire, Ray Charles) e ancora un batterista come Peter Erskine (Weather Report, Chick Corea, Jaco Pastorius). Una formazione da far tremare i polsi Ecco perché prima ti dicevo che sono persone straordinarie, non si fermano davanti a nulla, sempre pronti a rimettersi in gioco, dei veri professionisti. Lo studio di registrazione, dove registrano anche i toto, è di Simon Phillips che si è occupato anche dei suoni, il master del disco in pratica lo ha fatto lui. Peter (Erskine) gia lo avevo sentito ci eravamo scambiati diverse mail, gli avevo inviato dei brani in cui mi sarebbe piaciuto averlo alla batteria e, quando la cosa si è concretizzata, lui è venuto in studio con grande umiltà (suona strano eh considerando il personaggio) e ci siamo divertiti, mi hanno fatto sentire veramente a casa, davvero. È un fatto che i musicisti al di fuori dell’Italia, ad iniziare dalle band di giovanissimi, hanno una formazione ed anche una cultura musicale superiore. In Italia c’è un approccio anche sullo strumento molto far da sé sei d’accordo? È vero, un’altra cosa che ho notato è che proprio per quello che dicevi prima gli stranieri sono molto critici nei nostri confronti, ma una volta entrati nel circuito professionale acquisisci una considerazione che qui nell’ambiente ci sogniamo. Sapendo la poca credibilità di cui gode l’Italia mi sentivo, come dire, un pò sotto esame, però sapevo che avevano già ascoltato il materiale, in più godevo della stima e fiducia del mio produttore. Il ghiaccio si è sciolto nel momento in cui abbiamo iniziato a lavorare sulla musica. Io ho fatto tutti gli arrangiamenti, gli ho dato le parti e loro, il massimo della professionalità, hanno capito subito la sensibilità del brano. Hanno suonato attingendo dal loro bagaglio di esperienze. È questa la bravura, e se vogliamo la differenza tra noi e loro. Al di là del tecnicismo sullo strumento, capire subito cosa vuole l’autore, per me è stata veramente una grande emozione.
Gianni Di Crescenzo e Peter Erskine
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Quanto tempo hai impiegato a registrare il disco?
Non molto. Anche qui, grazie all’efficienza e all’organizzazione diciamo che nonostante i cambi di musicisti nei vari pezzi, lo abbiamo registrato in una decina di giorni. Nei brani che mi hai fatto ascoltare in anteprima si nota un affiatamento tipico di una band rodata che suona insieme da tempo, non si avverte la freddezza di un gruppo di turnisti. Forse perché come ti dicevo prima ci siamo divertiti a suonare insieme, una volta rotto il ghiaccio, diventi uno di loro a tutti gli effetti. Mi dicevi che hai fatto tutti gli arrangiamenti dei pezzi, compresi quelli di “Michelle” dei Beatles? Si, sai è abbastanza usuale nel jazz reinterpretare pezzi che sono dei classici della musica. Ad un primo ascolto mi sembra un disco rivolto anche a un pubblico al di fuori del jazz Ci tengo a puntualizzare dei concetti riguardo al jazz. Innanzitutto il jazz è americano, appartiene alla loro cultura, come a noi appartiene la musica popolare. In Italia abbiamo un modo di suonare il jazz molto tecnico, bisogna essere dei virtuosi dello strumento, invece in america puntano molto sul discorso emotivo, musicale, l’obiettivo è trasmettere emozioni. La bravura è data dalla tua sensibilità musicale, non dal virtuosismo tecnico fine a se stesso. Puoi anche fare una scala ma deve essere collocata al momento e al posto giusto, e
deve avere un suo valore all’interno del brano. Capisco l’euforia magari nei più giovani, quando si tende a fare e suonare di tutto e di più, ma con gli anni si deve acquisire quella maturità che ti porta a calibrare il suono. La musica è arte, e ha lo scopo di catturare l’attenzione dell’ascoltatore, se riesci a farlo bene, altrimenti qualsiasi cosa tu sappia fare non ha valore. Nel disco c’è questa mia voglia di avvicinare al prodotto anche persone non usuali al panorama jazz. Molte persone non si avvicinano al jazz, perché la ritengono una musica difficile, troppo tecnica, che non si capisce, invece no ho voluto che fosse un disco gradevole da ascoltare. È un modo secondo me di avvicinare al jazz anche fasce diverse di pubblico che, magari hanno un gusto orientato più al rock, al blues, al pop. Il Jazz non è nato come musica da ballo più o meno negli anni trenta? Come no? basta pensare alle orchestre di Count Basie, suonavano dentro le sale da ballo per far divertire la gente. Quando è nato invece il tecnicismo che ancora oggi sembra essere la vera ragione del jazz. Diciamo che dagli anni ‘60 in poi sulla scena sono nati questi musicisti estremamente tecnici, anche se, la melodia era ancora ben presente ed evidente all’interno del brano, alla fine la melodia deve essere la struttura portante e caratterizzante del brano, direi il filo conduttore del brano. Ad esempio io ho riarrangiato “Michelle” lavorandoci sopra, ma durante l’ascolto riconosci il pezzo dei Beatles. Avrei potuto farlo in maniera totalmente nuova, ma secondo me l’identità del brano va conservata. Ciò che credo abbiano più apprezzato i musicisti che hanno collaborato al disco è la maturità musicale, la qualità, la finezza degli arrangiamenti, insomma la giusta miscela che poi identifica il sound di un lavoro. Magari i puristi del jazz avranno da ridire, ma io ripeto cerco un pubblico più vasto, usiamo una brutta parola, più commerciale e poi i dischi vengono fatti per essere venduti. L’aspirazione di ogni musicista è far conoscere la propria musica ad un pubblico il più vasto possibile. Terminato il percorso di realizzazione del cd il prossimo passo? I concerti per promuoverlo. Attraverso i festival ad esempio. Riuscirai a coinvolgere nei concerti qualche musicista che ha collaborato al disco? È probabile. Certo è una questione di organizzazione, di disponibilità nelle date dei concerti, fermo restando il concetto di non limitarsi solamente all’Italia, ma cercare anche occasioni per esibirsi all’estero 29
dove tra l’altro le occasioni di festival jazz sono innumerevoli. Ma non ti nascondo che l’intenzione è di lavorare anche ad un nuovo disco magari reinterpretando dei classici della musica pop… chissà!
Il sogno nel cassetto? Spero che questo disco sia l’inizio di un periodo ricco di nuove esperienze musicali e che possa contribuire ad un percorso di crescita. Progetti in pentola ce ne sono, speriamo bene. C’è veramente tanto in un disco da parte di un musicista, sacrifici, esperienSbaglio o hai anche una attività come insegnante di ze, aspettative, delusioni. Da una parte è il punto di pianoforte. arrivo di un percorso fatto, e dall’altra è un nuovo Si insegno pianoforte, faccio dei seminari sull’im- punto di partenza. provvisazione, poi ho un corso di arrangiamenti per big band, delle collaborazioni con scuole di musi- Il nostro incontro finisce qui, ci salutiamo riprometca sempre da esterno, a me piace viverla la musica, tendoci di vederci presto magari alla presentazione per cui ho bisogno dei miei spazi, del contatto con il ufficiale del disco. pubblico attraverso i concerti per cui l’insegnamento diciamo che è una parte della mia vita di musicista. Com’è il rapporto con i ragazzi? Buono. Il segreto è quello di capire la sensibilità di ogni ragazzo e personalizzare l’approccio didattico. In realtà insegnare è molto difficile al di là del metodo che si applica. Comunque è un esperienza di cui sono soddisfatto avendo anche alcuni ragazzi particolarmente dotati che seguo da anni. Hai seguito il festival di Sanremo? Ho sentito qualcosa, qualcosa di interessante c’è stato, tra l’altro c’è questa Simona Molinari per cui ho fatto delle parti di pianoforte in uno studio di Sabaudia proprio per uno dei provini d’ingresso alla manifestazione è bravissima, era nelle nuove proposte. Che ne pensi di queste trasmissioni tipo Xfactor, Amici. Marco Carta è uscito da Amici. È vero che dietro ci sono macchine da spettacolo, ma comunque, alla fine devi avere delle qualità di tuo altrimenti non vai lontano. È chiaro che per uno che emerge ne vengono bruciati altri dieci, una selezione che tiene conto del mercato sicuramente viene operata. Ricorda che anche qui gli investimenti su un artista sono sondati attraverso le aspettative del mercato di riferimento del prodotto. Comunque ritengono siano sicuramente delle occasioni di visibilità per un giovane.
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liuto e clavicembalo che in quel periodo era una cosa abbastanza frequente utilizzarlo come rinforzo di un basso continuo, di una viola da gamba, di un violoncello. S) Avevano anche un ruolo alternativo. Il continuo veniva fatto o con il clavicembalo o con il liuto erano comunque strumenti contemporanei. La chitarra comunque non sarebbe una sostituzione filologicamente corretta, però nel caso del repertorio di stasera, lo strumento consente una esecuzione in linea con il testo grazie anche al tipo di musica che come dicevamo prima non richiede una esecuzione rigida. Abbiamo torvato questo impasto timbrico in cui la chitarra mette il colore la dinamica che il cembalo non ha, sono strumenti che hanno un livello sonoro, come dinamica, simili, quindi abbastanza in equilibrio. Per cui la chitarra con il cembalo riesce a inserirsi e trovare un suo equilibrio non invasivo.
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Stefano Spallotta Nicoletta Evangelista
C’è comunque da parte del musicista che suona il clavicembalo una certa sensibilità nel non coprire la chitarra. N) In realtà il clavicembalo è uno strumento a sonorità fissa essendo uno strumento a corde pizzicate io non ho possibilità di fare dinamica, cioè non posso fare piano o forte posso solo giocare sul registro del cembalo per aumentare leggermente il volume sonoro o diminuirlo a seconda del registro che imposto. S) Fare il piano o il forte dipende dalla quantità di note suonate.
Allora mi spiegate questo binomio clavicembalo chitarra classica che, anche essendo un profano di musica classica, mi sembra un abbinamento abbastanza anomalo. N) In realtà durante il periodo barocco era abbastanza usuale accoppiare gli strumenti in maniera libera, il repertorio non aveva margini così stretti, la musica era scritta per organici variabili le stesse esibizioni erano abbastanza libere, svincolate dai margini che abbiamo adesso. Questo in realtà era in origine un repertorio per 32
N) La sensibilità dell’esecutore sta nel non mettere troppo per aumentare il volume sonoro. Aumentare le note da la percezione di un crescendo che in realtà non c’è. Si può giocare su questo tipo di timbrica. L’abilità sta nel trovare un equilibrio tra la massa sonora, una volta che il peltro ha pizzicato la corda non c’è possibilità di controllo. S) In questo caso è molto simile alla chitarra come modalità di produzione del suono (nb il peltro veniva realizzato con le penne di corvo. Oggi sono di materiale plastico). Probabilmente il nostro approccio per uno affezionato alla filologia, cioè dell’uso rigoroso degli strumenti originali, storcerebbe un pò il naso. Senza avere la pretesa di essere esatti nella riproduzione del repertorio abbiamo pensato che se avessero
avuto la possibilità di utilizzo di uno strumento come la chitarra con una gamma armonica maggiore i compositori l’avrebbero utilizzata. S) Le parti del liuto nel concerto di Wagner sono molto spesso parti lineari, quindi l’uso del liuto era sì contrappuntistico, ma quando veniva usato in accoppiata con strumenti orchestrali diventava lo strumento solista e in questo senso era responsabile della linea melodica. Sostituiva il flauto, piuttosto che il violino o l’oboe. Comunque nel progetto c’era la volontà di eseguire da parte nostra un repertorio che viene fatto pochissimo e di dargli la possibilità di girare nelle sale di concerto. Sono pagine quelle suonate stasera che io da molti anni non ascolto nelle sale. Anche incisioni ce ne sono pochissime… è un’operazione di riportare all’ascolto qualcosa che era rimasto nei cassetti, che subisce da sempre il marchio infamante di “repertorio minore”. C’è anche la difficoltà di trovare cembalisti disposti a impegnarsi in un ruolo molto scoperto, non si è all’interno di un organico, non è il cembalo di continuo di accompagnamento, in molte parti è un cembalo concertante. Crediamo di aver recuperato un qualcosa di particolare, dando la possibilità di conoscere quest’accoppiata cembalo chitarra, un operazione certamente riuscita dal punto di vista timbrico e sonoro. Da quanto tempo suonate insieme in questo repertorio S) Noi lavoriamo insieme da circa 15 anni. Abbiamo lavorato insieme in progetti trasversali, dalla musica classica alla musica leggera, alla musica orchestrale ci siamo cimentati in tantissime situazioni, tutto questo feeling si è riflesso poi inevitabilmente su questo progetto. N) Avevamo testato qualche anno fa un repertorio chitarra pianoforte, ma sinceramente era un progetto che non ci aveva proprio convinto, per cui ci siamo concentrati sull’attuale progetto. Identifichiamo un’attimo i periodi prima dicevamo era musica del ‘700 e primi ‘800 giuliani N) Si ‘700 e primi ‘800 giuliani. Le partiture di chitarra quindi sono arrivate successivamente? S) diciamo che già la musica dell’ottocento era scritta per una chitarra a sei corde, l’antenata diretta di quella che conosciamo oggi, mentre la musica barocca di Gottfried Heinrich Stölzel 33
e di Vivaldi è scritta per liuto quindi non ha né l’accordatura né la tessitura. Molte di quelle corde erano doppie, erano cori non corde singole, quindi uno strumento sostanzialmente diverso. Mentre il repertorio che stiamo scoprendo è quello dei compositori contemporanei diciamo del 900, ormai parliamo di un secolo fa. Ad esempio il repertorio preferito da Manuel Maria Ponce, che è stato un grande compositore spagnolo soprattutto di musica tradizionale, era la musica d’ispirazione popolare ma ha scritto tantissimo, ispirandosi al periodo barocco, ed è uno di quelli di cui abbiamo trovato materiale davvero interessante, un preludio, una sonata di una bellezza incredibile, scritti originali per chitarra e
dubitarne, perché è poco eseguito? N) Intanto mancano i clavicembalisti, è (ride) una specie in via di estinsione, perché comunque è uno strumento complesso, abbastanza delicato dal punto di vista timbrico e sonoro e... pratico. Deve essere trasportato, trattato, accordato, noi cemblasti dobbiamo fare anche i tecnici. Insomma avete tutti gli svantaggi tipici del pianoforte N) Proprio cosi e anche se ad un esame poco attento può sembrare uno strumento che limita le possibilità espressive, in realtà nei nostri conservatori si fa clavicembalo dopo 10 anni di pianoforte, e dopo esserti appagato con autori come Liz, Chopin, Beethoven, un repertorio immenso dal punto di vista pianistico. Il cembalo viene solo dopo, mentre in altri paesi c’è un corso specifico di solo cembalo. Da noi devi prendere prima un diploma o in organo o in pianoforte. S) Stiamo parlando di corsi accademici. N) Esatto per cui dicevo dopo esserti beato di autori del romanticismo del ‘900 riprendere uno strumento come il cembalo è destabilizzante: ha una decurtazione timbrica rispetto al piano, una tastiera più piccola, per cui un musicista che ha una memoria visiva della tastiera del piano si ritrova con quel millimetro due millimetri di meno a tasto e soprattutto sembra di praticare un repertorio minore. S) Però i pianisti studiano Scarlatti studiano Bach. Tutto quello che ha scritto Bach lo ha scritto sul clavicembalo per cui un pianista che esegue Bach si trova nella stessa condizione nostra che suoniamo la chitarra al posto del liuto, se parliamo di filologia rigorosa quel repertorio non potrebbe mai essere portata sul pianoforte. È chiaro che non è cosi perché quel repertorio è talmente
clavicembalo. Poi ci sono lavori di Duarte un compositore inglese morto non da molti anni, opre 72 un tema con variazioni molto bello con un linguaggio già più complicato di Ponce che invece risale alla prima metà del 900. Ponce era uno dei compositori di riferimento di Segovia parliamo quindi di un compositore che ha fatto la prima metà del secolo. Petrassi ha scritto per chitarra e clavicembalo, compositori francesi un pò trasversali ai compositori del primo novecento c’è molto materiale interessantissimo. Se è come dici così interessante, e non ho motivo di 34
meraviglioso, talmente pensato bene musicalmente che funziona se lo metti su qualunque strumento. L’idea è anche questa, quando la musica funziona, se ha un senso alto, travalica lo strumento con cui è eseguita. N) Quando c’ è una struttura musicale che funziona bene lo strumento con il quale si esegue, secondo me, è relativo.
Quando si è passati a fare concerti nelle sale con tremila persone se metti un cembalista non si sente niente e poi la dinamica, la sensibilità della dinamica, uno strumento che ti permette di gestire la dinamica dal singolo tasto ha cambiato completamente il mondo. In realtà l’idea della dinamica in Europa è arrivata a cavallo tra la prima e la seconda metà del settecento. Il concetto che fosse un singolo suono e non la quantità ad avere una sua dinamica è un concetto molto tardo, arriva alla metà del 700. Anche Vivaldi attuava una dinamica a blocchi suonavano o tutti piano o tutti forte. Il cembalista è un grande improvvisatore. In realtà era uno che leggeva le sigle, oggi un pianista moderno che suona jazz legge le sigle. Leggeva i numeri, leggeva una linea di basso che erano le note che faceva il violoncello con le numerazioni per capire che armonia c’era e suonava gli accordi. Molte cose che abbiamo suonato sono state risolte da lei sono state tirate giu da lei partendo dalle sigle, ma non esisteva.
Diventa marginale S) È un’affermazione a grandi linee, non vorremmo essere giustiziati per questo (ride). N) Per i musicisti che praticano molto il barocco è una forma di pensiero piuttosto rara perché si tende a rapportare il cembalo solo con il violino, con la viola da gamba non di certo con gli strumenti moderni. S) Bisogna dire, a onor del vero, che la scelta o la costrizione che abbiamo oggi ad usare strumenti moderni limita tantissimo le possibilità timbriche e di colore. Sentire questa musica suonata con gli strumenti antichi crea una sensazione completamente diversa. Primo per il tipo di accordatura che era più bassa, gli strumenti erano costruiti in modo tale da non avere un’accordatura così rigorosa per cui tutta la sensazione musicale è irripetibile. Quel mondo non è riproducibile oggi. Noi ci avviciniamo alla musica antica con rispetto perché non ne siamo dentro, ci siamo avvicinati da amatori di questa musica. N) La premessa non è quella della filologia, ma piuttosto l’idea è di interpretare questa musica con una sensibilità moderna. S) Stasera abbiamo tralasciato completamente il repertorio del ‘900 che ha tantissimo per cembalo e chitarra. Rimarremmo sorpresi nello scoprire come il cembalo ancora oggi è uno strumento attuale. Il cembalo non è archeologia musicale abbiamo musica che non ha neanche 50 anni.
Alla fine è un precursore del jazz N)Anche nella pratica improvvisativa il cembalista metteva del suo rispetto alla parte che era scritta. S) Considera che la prima cadenza scritta per cembalo è di Bach stiamo parlando di un ‘700
Possiamo dire che è stato il pianoforte ad uccidere il cembalo? S) diciamo che è stato un figlio un pò ingrato, che è stata una necessità, una normale evoluzione. 35
avanzato. Oggi continua a esserci spazio per il clavicembalo S) In questo repertorio ha una funzione essenziale e soprattutto ha un suo spazio all’interno dell’orchestra, al contrario della chitarra che difficilmente è inseribile in orchestra anche se ci sono delle parti di chitarra in brani orchestrali, composizioni sinfoniche anche nell’opera (ad esempio di Rossini, di Donizetti) è un utilizzo coloristico magari nell’aria del baritono o del tenore si parla di una chitarra che suona e si sente la chitarra, ha una funzione più timbrica che funzionale all’orchestra. Invece, torniamo a parlare del ‘900 come strumento solista ha avuto un discreto successo. Nell’800 Giuliani ha scritto concerti per chitarra e orchestra anche se era un altro tipo di chitarra, la
chitarra terzina, una chitarra più corta e tutta spostata una terza sopra con un’altra accordatura. Aveva un suono molto acuto in modo da uscire un pò di più dalla tessitura dell’orchestra. Ci sono grandissimi che hanno scritto concerti per chitarra Castelnuovo-Tedesco VillaLobos, oggi partiture scritte da compositori moderni ne troviamo tantissime, è uno strumento vivo che ha degli esecutori di altissima qualità. Magari non c’è un nome che spicca come è stato all’inizio del secolo con Segovia, prima con Libè, Julian Bream con John Williams sono stati il gota dei chitarristi. Oggi c’è una schiera notevole di chitarristi che suonano a livelli stratosferici. La chitarra ha avuto una spinta tecnica virtuosistica, interpretativa notevole negli ultimi 50 anni per cui è chiaro che i compositori trovandosi questi pezzi da novanta scrivano, anche perché si sentono stimolati quando si trovano con un grande musicista però ecco tra tutti questi non spicca il campione. Sono in tanti in una fetta di mercato piccola, tanto per farti un esempio un disco di chitarra che ha successo vende 5/6000 copie. E siamo di nuovo al punto, perché secondo voi la musica classica non trova spazio? N) La responsabilità è anche un pò nostra nel senso che la fruizione della musica classica si è un pò impantanata. Nel senso che quando si parla di musica
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repertorio classico. Per noi la musica è confronto con il pubblico, è didattica, è lavoro, è la quotidianità dei progetti che ti vengono in mente. Noi abbiamo vissuto e viviamo tutte le forme che ci è stato possibile esplorare di quest’arte con grande serenità. Abbiamo veramente esplorato tantissime soluzioni che appartengono a mondi diametralmente opposti: vocale, strumentale, solistica, elettrica, pop, musica d’autore, veramente ci siamo imbarcati nei progetti più vari e così siamo sopravvissuti. Il fatto di essere versatili ci ha permesso di fare i turnisti con altri artisti e di non mollare, di partecipare a progetti, di creare progetti, di fare opera, di fare la musica leggera, Non siamo puristi perché amiamo sperimentare. Oggi la gente vuole lo show, vuole il personaggio. Ci vuole il contenuto ma ci vuole anche una forma, è un suicidio non capirlo. La stagione classica con l’orchestra tradizionale deve continuare ad esistere, l’orchesta sinfonica, la musica da camera non deve sparire però se vogliamo attirare gli spettatori nelle sale bisogna far in modo che il pubblico non percepisca il musicista classico come un alieno, ma un personaggio nel quale anche riconoscersi. Ad esempio Lang Lang il famoso pianista cinese che è stato a Roma poco tempo fa, si presenta sul palco con i capelli a spazzola, giacca grigia. È un pianista grandissimo, ha suonato con tutte le più grandi orchestre ed è un ragazzino, anche nei modi, e questo fa impazzire la gente. Bisogna cimentarsi con gli spazi che non ci sono, con i problemi della fonica, del repertorio, della sua immagine con il pubblico che non è quello di trenta-cinquant’anni fa, ti devi promuovere. La verità è che oggi essere musicista è molto complicato e oltre alla capacità tecnica e talento occorre acquisire una serie di conoscenze che vanno dalle capacità di public relations, alla comunicazione, e perché no avere un minimo di capacità di programmazione e gestione finanziaria... bisogna imparare ad essere imprenditori di se stessi.
classica si pensa allo schema tipico pubblico, esecutore, pezzo, applauso, fine. Mozart non si sarebbe mai sognato di suonare pezzi di altri, lui anzi sognava di essere un grande pianista che sapeva scrivere grandi concerti. Beethoven non si sarebbe mai sognato di dirigere un orchestra suonando Mozart, la musica era scritta e consumata. L’approccio era promuovere la musica che faccio oggi. Nella Vienna di allora nessuno sarebbe andato a sentire un concerto di un autore morto 50 anni prima e secondo logica oggi ci vorrebbe la musica di oggi. Ecco oggi la musica classica ha perso lo status di musica di consumo, ma serve comunque a crearsi una sensibilità. È come guardare un quadro o un monumento, cambia il nostro modo di concepire la bellezza, di vedere le cose. Molti frammenti di brani di musica classica sono utilizzati nelle suonerie dei telefonini e nessuno lo sa, ci vorrebbe più comunicazione. Pensa alla romanza di Beethoven che negli anni 80 pubblicizzava la vecchia romagna, è diventata famosissima, se non l’avessero utilizzata in pubblicità nessuno la conoscerebbe. Non bisogna disdegnare questi canali. Forse bisognerebbe uscire un pò dai conservatori S ) No comment N) Diciamo che noi, anche proponendo il repertorio che hai ascoltato, cerchiamo vie alternative, non siamo dei puristi pur avendo grande rispetto per chi invece lavora facendo ricerca e studio sul 37
Maki Maria Matsuoka & Marina Mezzina Romanza e lirica italiana Nell’attraversare il ponte che portava la nostra nazione dall’epoca del post-romanticismo ottocentesco al secolo del progresso e del futuro la musica vocale da camera italiana fu interessata da una piccola rivoluzione che trasformò la romanza da salotto in lirica da camera. Questa prima espressione artistica, sebbene non completamente esente da esiti artistici di alto valore, si avvalse perlo più di poesie modeste e di largo consumo, così come di consumo in genere furono le musiche ad esse associate. Quando i compositori però cominciarono ad essere attratti dai grandi poeti che popolarono l’inizio del ‘900 finalmente la musica vocale da camera riuscì a creare dei veri e propri capolavori, che in un sapiente equilibrio fra suono della parola poetica e significato profondo del testo, riuscirono a liberarsi dal ristretto ambito da cui provenivano per conquistarsi un posto di prim’ordine nel panorama musicale e culturale. Si interessarono a questo genere non soltanto i compositori cosiddetti “minori”, fra cui lo stesso Tosti, principe della romanza, ma solo per essa considerato, ma i più sofisticati Sgambati, Pizzetti, Mangiagalli, Zandonai e Ghedini, 38
stregati non solo dalla letteratura coeva (Ada Negri, D’Annunzio, Fogazzaro) ma anche da straordinari recuperi della meravigliosa esperienza poetica cinquecentesca, come le toccanti liriche del Boiardo. M.M.
Programma eseguito durante la serata nell’auditorium di 451 Fahrenheit R. Zandonai Ultima Rosa – Melodia Un organetto suona per la via • F.P. Tosti Non basta piu – Melodia - Altro è parlar di morte-altro è morire!... – Stornello T. Righi Son gelosa! – Romanza • A.C. Gomes Civettuola – Canzonetta • G.F. Ghedini Canta un augello in voce sì suave… - Diletto e spavento del mare P.A. Tirindelli Notturno - Amor, amor!... G. Sgambati Visione - Te solo R. Pick Mangiagalli Ecco settembre… Romanza • A.C. Gomes Mamma dice….
Maki Maria Matsuoka, nata in Giappone, ha iniziato la sua formazione musicale in pianoforte e canto, nel suo Paese d’origine sotto la guida di Shigeo Harada, Masako Saida, Keiko Asada. Si è laureata in Canto specializzandosi nel repertorio lideristico tedesco con il massimo dei voti sotto la guida di Michiaki Masuda e Kazuko Nakahata presso l’Università Kunitachi College of Music di Tokyo. Si è esibita nei concerti patrocinati dalla stessa Università in qualità di migliore allieva e laureata dei corsi di Canto lirico, con programmi comprendenti i Lieder di Schubert, Schumann, Strauss e Wolf. Ha cantato per l’associazione Glockenspiel (Giappone), aderendo al progetto di esecuzione integrale dei Lieder di F. Schubert. Ha cantato inoltre nell’ambito degli spettacoli del Nishino Ballet alla presenza di oltre 2500 persone presso i più prestigiosi teatri di Tokyo ed Osaka. Trasferitasi nel 1998 in Italia per arricchire la sua formazione vocale ed interpretativa con Gabriella Tucci, si è in seguito diplomata in Canto presso il Conservatorio “L. Perosi” di Campobasso sotto la guida di Barbara Lazotti. Ha seguito il corso internazionale di interpretazione musicale tenuto da Nicoletta Panni, il laboratorio “John Cage” tenuto da Giancarlo Simonacci presso il Conservatorio “L. Refice” di Frosinone. Attualmente frequenta il Biennio specialistico di Canto presso il Conservatorio “L. Refice” di Frosinone per il conseguimento della Laurea di secondo livello sotto la guida di Barbara Lazotti. Svolge intensa attività concertistica come solista in Italia ed all’estero in diverse formazioni cameristiche. Si è esibita in tutta Italia raccogliendo consensi di pubblico come la solista della Camerata Barocca di Latina, uno dei primi gruppi dedicati allo studio e diffusione della musica barocca, nato negli anni ’80 sotto l’impulso di Vladimiro Galiano. Collabora con numerose altre formazioni cameristiche, orchestrali e corali con ampio repertorio che spazia dalla musica antica alla contemporanea. Si è esibita nei New Year Concerts in Japan 2009 del Johann Strauss Ensemble (Der Wiener Symphoniker) come solista con il direttore Johannes Wildner, nel Festival Lirico di Casamari con il direttore Leonardo Quadrini, nel Teatro Olimpico di Roma con il direttore Marco Boido. Si dedica anche a trascrizioni ed arrangiamenti per le formazioni cameristiche ed orchestrali. Marina Mezzina, si è brillantemente diplomata in pianoforte sotto la guida di Elio Maestosi. Nel 2004 si è diplomata con il massimo dei voti e la lode in “Repertori vocali da camera dell’800”, triennio di specializzazione tenuto da Barbara Lazotti, Piero Niro e Luigi Pecchia presso il Conservatorio di Campobasso, presso il quale ha anche conseguito il IV anno in Composizione. Ha conseguito il master di secondo livello con il massimo dei voti in “Musica vocale da camera” nella classe di Erik Battaglia presso il Conservatorio “G. Verdi” di Torino. Costantemente rivolta al camerismo, la sua formazione si è avvalsa dell’incontro con musicisti quali Erika Kilcher, Angelo e Francesco Pepicelli e il Trio diTrieste, di cui è stata allieva effettiva all’Accademia Chigiana ed alla “Scuola Superiore Internazionale” a Duino. Decisivo, per lo sviluppo attuale della sua attività, è stato l’interesse per la musica vocale da camera nell’ambito della quale svolge un’intensa attività concertistica. Si segnalano concerti e recitals a Roma (Palazzo Venezia, Sala Baldini, Istituto Cervantes, Fontanonestate, Accademia delle belle Arti, Sala Paolina di Castel Sant’Angelo), Caserta (Reggia di Caserta), Napoli (Sala Scarlatti), Salerno (Aula Magna dell’Università), Torino (I Mercoledì del Conservatorio, Palazzo Barolo, Palazzo Granari della Rocca), Bardonecchia (Piemonte in Musica), Milano (Teatro delle Erbe), Festival di Mezzaestate di Tagliacozzo (Teatro Talìa), L’Aquila (Palazzetto dei Nobili, Sala Celestiniana), Palermo (Sala Scarlatti), Trieste, Salisburgo, Croazia. Ha partecipato ai corsi ”Il Lied tedesco“ ad Acquasparta (Terni) e “Lied, opera, oratorio“ alla “Sommerakademie Mozarteum” di Salisburgo, tenuti da Elio ed Erik Battaglia, nei quali è stata selezionata per le Masterclasses tenute da Christa Ludwig e Thomas Hampson. Al suo attivo ha, ancora, le Masterclasses di Elisabeth Norberg-Schulz, Ulf Bästlein (Lied tedesco) e Margaret Baker (Melodie francese). Ha avuto riconoscimenti in numerosi concorsi di musica da camera e musica vocale da camera: il primo premio al Concorso “Città di Valentino” a Castellaneta e al concorso “Hyperion” di Ciampino, il secondo premio al Concorso Internazionale “Rovere d’oro, Città di S. Bartolomeo al Mare”, secondo premio e premio per la migliore interpretazione di un brano del ‘900 al “Giulio Rospigliosi”, secondo premio al “Pietro Argento” di Gioia del Colle, il terzo premio al concorso “Atena” di Termoli e il terzo premio all’ “O. Caiazzo” a Napoli. Ha tenuto Masterclasses per il Conservatorio di Palermo (Il Lied tedesco – La romanza italiana di fine ‘800) e per il Conservatorio di Latina in qualità di Maestro collaboratore al pianoforte (La Zarzuela – L’operetta – Il Musical). Ha pubblicato studi musicali per eOs dl (La forma dell’ideale – I quintetti per pianoforte e fiati di Beethoven e Mozart) e UNI-Service (Die Schöne Müllerin, in cammino verso l’inverno), quest’ultima recentemente richiesta e acquisita dalla Biblioteca Nazionale Tedesca. Collabora con l’Ateneo della Lirica di Sulmona e con i cantanti Margaret Baker, Claudie Verhaeghe, Elisabetta Fiorillo, Danilo Serraiocco, Barbara Lazotti, e in formazioni da camera con elementi del teatro dell’Opera di Roma, quali il violoncellista Nino Testa e il violinista Ludovico Tramma.
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Fatti e opinioni: l’attualità ripensata
Gli insegnanti L’azione didattica non può prescindere dall’indispensabile proficuo e armonico rapporto personale tra insegnanti ed allievi. Una scuola seria e operosa è una comunità viva in cui i giovani vivono e lavorano accanto ai loro maestri, una palestra di educazione e di vita (un po’ come erano, nella Grecia antica, le scuole di Platone e Aristotele), un luogo dove si conciliano libertà e ordine, disciplina e fantasia. Nella ricerca di questa armonia, di per sé ardua, molto dipende dalla classe docente. È allora necessario che gli insegnanti siano messi in grado di recuperare autorevolezza, slancio e passione professionale, anche attraverso la valorizzazione economica della loro funzione. L’organico del corpo insegnante oggi è numericamente pletorico, mal pagato e anche per questo poco motivato. Ma è possibile invertire la rotta, soprattutto se si trovano i modi e i mezzi per premiare i migliori, immettere nella scuola forze nuove, selezionate con adeguate procedure, e abbandonare la difesa corporativa e la forte resistenza al cambiamento provenienti dalla categoria. È stato proposto, in nome dell’autonomia, di affidare alle stesse scuole il compito di reclutare direttamente i docenti e così stimolarle ad elevare il loro livello educativo… è un’ipotesi suggestiva, ma si sa cosa potrebbe accadere in un’Italia dove sono ancora potenti le amicizie e i clan… Un’altra auspicabile innovazione potrebbe consistere nella valutazione periodica dei docenti, così da permettere di differenziare il trattamento economico o la progressione di carriera. Se ne parla da decenni, ma le varie proposte sono sempre rimaste buone intenzioni, per cui finora lo stipendio è lo stesso per tutti, bravi e meno bravi. Non andrebbe esclusa, inoltre, una forma periodica di accertamento psicofisico e attitudinale dei docenti in servizio. Le buone condizioni di salute, purtroppo, non sono eterne!
Questa è la seconda parte dell’articolo sulla scuola del Prof. Bernardo Don Francesco. Un’ analisi attenta e dettagliata sui vari aspetti che interagiscono su più livelli nel complesso campo dell’educazione scolastica. Quella che segue è la seconda parte.
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“Una scuola seria e operosa è una comunità viva in cui i giovani vivono e lavorano accanto ai loro maestri, una palestra di educazione e di vita”
o di un’altra città. Ha fatto scalpore la scorsa estate leggere sui giornali che agli esami di maturità i “100 e lode” in Calabria sono stati 434 (percentuale 2,4), in Lombardia 266 (percentuale 0,5)! Di fatto mancano criteri standard di valutazione omogenei e rigorosi e a volte si valutano competenze e conoscenze del tutto diverse. Ogni scuola o ogni docente fa ricorso a regole o pseudo regole studiate per gestire essenzialmente la mediocrità. Tutti sono preoccupati di non scontentare nessuno e anzi di assicurare a tutti un risultato lusinghiero o almeno accettabile (anche per evitare contestazioni o ricorsi). Agli esami di Stato (o di maturità) poi i docenti si sentono spesso investiti della poco nobile funzione di sostenere a tutti i costi i loro studenti, a volte facendo ricorso a liti e contrasti che il povero presidente di commissione non è sempre in grado di sedare. Andrebbe allora adottato un sistema di correzione centralizzato degli elaborati della maturità, come succede da anni in Gran Bretagna, oppure bisognerebbe ricorrere a oggettivi questionari da somministrare in via multimediale, con tutti i rischi e gli inconvenienti che ne potrebbero derivare. Altrettanto difficile è valutare la scuola e le singole scuole nelle loro varie componenti, come da anni gli organi ministeriali tentano di fare. È invero un’operazione molto difficile per la molteplicità e la complessità dei parametri da considerare. E, infatti, in un libro bianco del settembre 2007 il Ministero dell’Istruzione ha preso atto del “prolungato insuccesso nell’avviamento di un sistema nazionale di valutazione sugli apprendimenti” e ha riproposto la creazione di un simile organismo, sempre centrato sull’Invalsi.
La valutazione degli studenti La valutazione dello studente e la conseguente attribuzione di merito costituiscono un altro punctum dolens dell’attuale sistema scolastico italiano. Si può tranquillamente affermare che manca un sistema serio di valutazione. È stato giustamente osservato, ad esempio, che negli esami di maturità a un 80 o un 100 ottenuto in una commissione non corrisponde affatto l’80 o il 100 di un’altra commissione
Gli esami di maturità e il merito Esami di Stato, diploma di maturità, ingresso all’università… Ecco l’altro grosso problema della scuola italiana. Si è già detto della disomogenea e poco attendibile valutazione meritocratica di questi esami, che ogni anno, verso la metà di luglio, suscitano numerosi e possenti gridi di allarme e …di dolore. È sufficiente considerare, al riguardo, quanto hanno affermato lo scorso anno alcuni coraggiosi professori 41
fiorentini (chiamati il “Gruppo di Firenze”), appoggiati da scrittori e intellettuali di diverso orientamento politico come Giovanni Sartori e Sebastiano Vassalli, Ernesto Galli della Loggia e Mario Pirani: “Basta con i diplomifici, basta con la corsa degli asini, basta con il falso egualitarismo, basta con la scuola – azienda, sì al merito”. Gli stessi hanno poi aggiunto: “Per salvare la scuola italiana ci vuole un Partito trasversale del merito e della responsabilità… Dopo decenni di lassismo ci vuole una scuola rigorosa, più esigente sul piano dei risultati e del comportamento, in grado restituire anche ai docenti, oggi spesso demotivati e resi scettici da troppe frustrazioni, il prestigio e l’autorevolezza del loro ruolo”. È ovvio che, dinanzi a risultati così poco attendibili e a giudizi così netti, le università, nelle selezioni di ammissione a
talune facoltà a numero chiuso, hanno deciso di non tenere più conto del punteggio conseguito agli esami di maturità (e infatti nello scorso luglio qualche giornale titolava: “Il 100 alla maturità? In Italia è inutile!”). Va prestata attenzione al merito, dunque. Da riconoscere e far valere prima nel contesto della scuola e poi nella vita. Ma la nostra scuola – si è già capito - non riesce a selezionare i più capaci e meritevoli, ha abdicato a tale compito e lo ha affidato ad altri. Demagogicamente si è sostenuto – e si sostiene – che sarà poi la poi la vita a selezionare i meritevoli. Il che non è (sempre) vero perché coloro che hanno un vantaggio di partenza (privilegi di censo o professione, appartenenza politica o altro), una volta conseguito il titolo di studio, sono in grado di andare avanti, trovare un lavoro e 42
occupare magari le posizioni migliori. Una scuola seria, che seleziona in modo serio, è invece la migliore garanzia di democrazia e di giustizia sociale. Una scuola facile per tutti non sarà mai in grado di sradicare l’atavico male dei “favoritismi” e della “raccomandazione”. E allora “la scuola torni a premiare chi merita”, ha scritto Francesco Paolo Casavola, ex presidente della Corte Costituzionale. Mi piace citare ancora quanto sullo stesso argomento del merito ha sostenuto Giovanni Sabbatucci, professore dell’Università La Sapienza, su Il Messaggero del 27 marzo 2008: “Lo sforzo, in sé lodevole, di eliminare ogni privilegio legato alla diversità delle condizioni sociali, ha finito – attraverso il quarantennale accumulo di pratiche lassiste e permissive – col cancellare il principio stesso della selezione per merito e col trasformare la scuola (ma anche l’università) in una specie di gigantesco asilo d’infanzia dove parcheggiare a tempo indefinito le generazioni più giovani”. Occorre perciò riqualificare la scuola ripristinando il criterio del merito, evitando il reclutamento di docenti senza preparazione e senza vocazione e impegnando i giovani in uno studio serio e severo (il termine serio corrisponde al latino severus), al di là di retoriche formule in burocratese scolastico,
“Il 100 alla maturità? In Italia è inutile”
come quelle di acquisire crediti e saldare debiti. Ciò avrebbe un carattere strategico più generale e produrrebbe effetti positivi di lungo periodo sul sistema educativo del nostro Paese, soprattutto perché potrebbe meglio preparare i giovani ad affrontare quella corsa ad ostacoli che è la vita. L’università C’è infine da considerare che non è solo con la riforma della scuola primaria e secondaria che si riuscirà a far fronte alla sempre più impellente esigenza di assicurare una maggiore e migliore formazione dei giovani e rispondere efficacemente alle sfide imposte dall’odierna società della conoscenza. L’università – lo si è già accennato – non va meglio della scuola secondaria. “L’opinione pubblica si è massicciamente convinta che l’università così com’è non può assolutamente andare
avanti”, ha scritto Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera del 3 dicembre scorso. È noto peraltro che i giovani che conseguono la maturità e si iscrivono all’università spesso non hanno le basi culturali e metodologiche per seguire proficuamente i nuovi e più impegnativi studi e vedono spesso frustrati i loro sogni e aspirazioni. A volte non evidenziano né motivazione né capacità di gestione di sé e dei propri problemi. E questo – si deve ammetterlo - è dovuto anche alla inadeguata opera educativa della scuola secondaria. Si è pure riscontrato che spesso i neodiplomati sono privi delle fondamentali competenze linguistiche (dell’italiano!) indispensabili per seguire i vari insegnamenti e documentarsi sulla pagina scritta, tant’è vero che in varie università sono stati istituiti corsi di italiano per gli iscritti alle più diverse facoltà. E le carenze
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restano anche dopo la laurea. Si è ultimamente letto delle bocciature in un concorso per aspiranti magistrati che nelle prove scritte hanno infilato non solo errori gravi nella gestione sintattica del loro periodare, ma anche svarioni di grammatica e persino di ortografia. Ma c’è di più! Analogo allarme è stato dato anche per il mondo accademico: un recente studio di Dora de Maio ha fatto sapere che ci sono docenti universitari che “usano male l’italiano, ignorano la sintassi e sono maestri dell’anacoluto”! Conseguenza forse della proliferazione degli atenei (56 sedi), delle sedi distaccate (quasi 250), dei 5734 corsi di laurea? Bernardo Donfrancesco
cinema e dintorni.
Paolo Brunatto
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Che differenza c’è tra il linguaggio di narrazione del documentario e quello cinematografico. Come si arriva al progetto di un documentario? Nei film come sai si scrive prima un soggetto, poi un trattamento ovvero un soggetto più largo, in seguito la sceneggiatura, poi devi fare quello che in gergo si chiama decoupage indicare cioè come vuoi girare le scene inserendo tutte le indicazioni tecniche per i tipi di ripresa. Un documentario potrebbe partire anche “senza niente”. Io sono appena tornato dalla Costarica, avevo in mente di fare qualcosa lì, diciamo che c’era solo l’idea di far descrivere questo paese da alcuni italiani che vivono lì, alcuni di loro vivono da 10/15 anni in questo paese, sentiamo cosa hanno da dirci. Questo è un esempio di come si può progettare un documentario. Certamente si può partire con un progetto scritto magari in maniera esaustiva, però il documentario, secondo me, in realtà viene scritto in fase di montaggio. Ti faccio un esempio: volendo documentare il vostro lavoro, cosa faccio, mi guardo intorno cerco di capire, faccio delle riprese poi nella fase di montaggio scrivo. L’altra cosa che si può dire del documentario è che la potenzialità stilistica dei linguaggi che si possono usare è molto vasta, anche più del cinema. Di solito in un film devi raccontare una storia, anche se ci sono delle eccezioni, ma in genere devi raccontare una storia, c’è un racconto, una narrazione, in qualche modo hai dei vincoli. Nei documentari puoi anche non raccontare “niente”, nel senso che può avere una sua identità, può essere poetico, allusivo, scientifico, può essere naturalistico, narrativo ecc. Sicuramente il genere del documentario, che è vastissimo, offre più possibilità del genere cinematografico. Certamente offre maggiore libertà ai registi, perché anche il denaro che si investe in un documentario è molto meno di quello investito nel cinema, dunque hai meno pressioni, in un certo senso si è più liberi. Oggi il documentario è inquinato, e ci tengo a dirlo, dal giornalismo. Io faccio televisione e qualche volta mi comporto come un giornalista, faccio delle interviste, scrivo dei testi dei commenti ecc. Però penso che il giornalismo moderno ha, letteralmente, inquinato il documentario d’autore, nel linguaggio e anche nello stile. In questi giorni è morta Eluana Englaro (quando abbiamo fatto l’intervista eravamo nel pieno della “bufera mediatica” ndr), non voglio entrare nei dettagli della vicenda, però quello che è scandaloso è l’uso che si è fatto di questa notizia, stanno parlando di tutto stanno documentando di tutto, persino il percorso della bara dalla clinica al cimitero. Insomma il giornalismo è diventato invasivo, sta penetrando nelle nostre coscienze in maniera secondo me illecita e, per tornare al discorso, sta condizionando la sorte del documentario. Oggi il documentario è prodotto e distribuito fondamentalmente dai network televisivi che tendono sempre più a fare un documentarismo tematico in cui il giornalismo fa la parte del leone.
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Secondo lei dunque si sta andando verso una sorta di omologazione di stili perdendo, da parte dei registi, la ricerca introspettiva del lavoro? Certo. Grandi registi come Antonioni, Bernardo Bertolucci hanno realizzato dei documentari memorabili. Ad esempio “Gente del Po” di Antonioni (1947) è un documentario di una bellezza straordinaria. Recentemente Ermanno Olmi ha dichiarato che farà d’ora in avanti solo documentari abbandonando il cinema, ecco questa è una risposta forte alla cattiva qualità dei documentari di oggi, alla standardizzazione. Se tu guardi i documentari fatti dai giornalisti la struttura è sequenziale fatta da interviste, musica con qualche parola di commento, poi di nuovo un intervista. L’intervista è un passaggio obbligato del documentarismo televisivo contemporaneo, che è quello che va per la maggiore. Le interviste sono un altro grande bluff, nel senso che la gente che viene intervistata davanti la telecamera cerca di dare il meglio di se stessa, dunque non c’è niente di reale in un intervista. È finta quanto un film. I giornalisti spesso fanno domande che contengono già la risposta, cercano di ottenere delle risposte ben precise. Fortunatamente non è sempre così, ci sono anche i grandi esempi di giornalisti televisivi di grande spessore come Zavoli, Biagi. Ecco questo fatto qui lo trovo molto negativo. Siccome faccio molta televisione, avrò fatto più di 500 documentari, film sperimentali, altre esperienze, trovo ci sia stato un grande deterioramento, un grande inquinamento, un incasellamento tematico per cui se tu lavori per un programma come “geo & geo” (Rai3), si aspettano che tu faccia certe cose, i famosi contenitori stanno condizionando pesantemente e negativamente gli autori.
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I canali satellitari hanno avuto un ruolo importante, in questo condizionamento? Direi di sì, nel senso che tutti questi canali, dalla nascita della televisione commerciale, compresi quindi i canali satellitari, vivono di pubblicità e dunque, salvo rare eccezioni, hanno bisogno di fare audience. Un esempio è il caso di questi giorni delle dimissioni di Mentana, visto che invece di fargli fare la trasmissione sulla morte della Englaro, che era il caso del giorno, gli è stato preferito il “grande fratello”, semplicemente perché fa audience per cui raccoglie pubblicità. Questa logica della vendita degli spazi pubblicitari sta diventando molto condizionante, condizionando autori e programmatori a fare un certo tipo di televisione. Una prova evidente a ciò è il canale satellitare Cult distribuito da Sky. Io ho fatto una quarantina di cose per la vecchia gestione di Cult, a un certo punto è arrivata la Fox, che ha acquistato il canale, ha mandato via tutti a iniziare dal direttore -io ero un libero professionista per cui la cosa non mi toccava- e ha imposto una programmazione, per la verità neanche male, di serie televisive preconfezionate negli Stati Uniti molto ben fatte ma, praticamente, ha snaturato questo spazio di televisione prima dedicato alla cultura. Anche sperimentale. Nel senso che dava ampio spazio a programmi sperimentali. Assolutamente, un esempio era la serie “schegge di utopia” che avevamo fatto, però questa è la condizione in cui viviamo. Detto tutto questo, io penso che un artista, un autore, un regista che crede nel proprio lavoro trova il modo, come dire, di venire a patto con questa nuova realtà. Stesso discorso vale per il cinema. Nel cinema che ha bisogno di entrate dal boxoffice alte perché se investi 10 milioni di euro per fare un film bisogna che rientrino, la logica farebbe supporre che si facciano solo film da cassetta. Non è così. Grandi autori e parlo degli italiani come Bertolucci, Gianni Amelio, oppure gli americani come Coppola, sono riusciti a fare dei film di grande qualità con un riscontro anche al botteghino. Da tempo si parla, soprattutto riguardo alle grandi multinazionali dei farmaci, di una manipolazione sociale del documentario. Ovvero di come alcuni documentari, vengano fatti ad hoc per convalidare teorie, risultati scientifici, delle aziende magari sull’impatto dei prodotti da loro fabbricati e venduti. Sono leggende metropolitane? Penso che qualcosa del genere esista, come esiste nelle grandi agenzie giornalistiche che tendono a far passare certe notizie a scapito di altre. Noi sappiamo tutto di quello che sta succedendo negli Stati Uniti, quello che fa Obama, ma non sappiamo nulla di quello che sta succedendo in Indonesia, Singapore, non
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parliamo poi dei paesi africani, per cui si può immaginare che grandi industrie, grandi holding influenzino la programmazione, le scelte ecc. Debbo dire a onor del vero che nella mia carriera di documentarista, anche di ricerche, non ho avuto mai pressioni di questo tipo direttamente, può darsi che indirettamente le abbia subite e non me ne sia accorto. Che esperienze si raccolgono da un viaggio? Il turista sicuramente ha una visione diversa del paese visitato da un documentarista che ne raccoglie esperienze dirette. Esperienze che in qualche modo andranno ad interagire con il suo vissuto, con le proprie prospettive di vita. Sicuramente i documentari di viaggio che vengono fatti in paesi lontani, che magari è la prima volta che visiti, hanno un potere terapeutico e creativo formidabile. Intanto tu scopri che il tuo paese, il posto in cui vivi, non è il centro del mondo e questa è sicuramente una cosa che può aiutare a capire meglio le altre realtà. Scopri che la scala dei valori: sociali, politici, culturali, spirituali è vastissima. Ci sono così tante culture. Secondo me andare in giro per il mondo documentando certe realtà è una grande scuola di vita, può sembrare una banalità, un luogo comune, ma è una grande scuola che serve a capire gli altri e anche se stessi. Comporta un’influenza di tipo più profonda, spirituale nel senso che una serie di certezze che uno ha nel suo mondo, nella sua città, con i suoi amici, vengono a mancare, tutto è rovesciato. Tu arrivi in Colombia e scopri che i bambini a dodici anni nelle favelas per vivere fanno i killer, ma non uno, due, tantissimi e uccidono per poche centinaia di dollari. Ho girato un documentario per RAI3 intitolato “Angeli e Killers”. Vedendo questi bambini assassini, ma anche innocenti, vittime del narcotraffico in un paese dove valori e certezze crollano, tutto questo ti obbliga a ripensare il tuo modo di vedere il mondo. Vai in un altro paese, ad esempio il Tibet e scopri che mentre noi ci dedicavamo a sviluppare tecnologia, eravamo presi dalla ricerca scientifica, loro invece si sono dedicati per secoli alla vita interiore, alla meditazione, alla ricerca spirituale. E lì allora ti chiedi dove sta la verità? in questi eremiti tibetani che vivono ancora nelle grotte? hanno ragione loro o abbiamo ragione noi? E questo ti fa pensare, ti fa riflettere. Debbo dire che grazie ad alcuni viaggi, soprattutto in oriente, la mia vita è cambiata. Il viaggio contiene in sé una potenzialità al cambiamento direi inevitabile. I documentari di viaggio ti fanno in qualche modo lavorare anche sul piano stilistico in modo diverso. Ecco proprio questo come ci si approccia nel raccontare una realtà, una civiltà che tutto sommato neanche si conosce. Quando si arriva in un nuovo paese con usi e costumi radicalmente diversi, nonostante
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uno possa essersi preparato, documentato, credo che un minimo di inadeguatezza lo si avverta. Ci sono due tipi di approcci quando si lavora su realtà sconosciute come ad esempio la cultura tibetana. Una è in un approccio sincero, spontaneo, a volte fa capire molte più cose di una ricerca approfondita. L’altro, ed è la tentazione di alcuni registi, l’approccio da antropologo, conoscitori di realtà che non conoscono. Sono due approcci assolutamente incompatibili. Comunque è molto difficile, si va un pò a naso, è una questione d’intuito e di esperienza. C’è una grande verità, se si rispetta l’altro, il diverso, le culture lontane da noi, se non si hanno preconcetti, le si capiscono meglio. Un consiglio che darei a un documentarista che va in giro per il mondo è di non avere idee preconcette. Situazioni che oggi stanno esplodendo con il fenomeno dell’immigrazione in tutta Europa non solo in Italia. Spesso c’è una mancanza di conoscenza di queste persone, poiché non vivono come noi, non abbiamo grande stima di loro. Non è così, e ne prendi coscienza quando vai in un piccolo villaggio del centro dell’Africa e vedi gli straordinari valori dettati da una società contadina. Oppure gli aborigeni dell’Australia che vivendo a stretto contatto con la terra hanno una sensibilità ecologica che noi ci sogniamo. Per cui direi che l’approccio migliore è il rispetto, cercare di capire la realtà che hai di fronte prima di anteporre il tuo punto di vista.
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I nuovi media e parlo di internet, dei canali satellitari, hanno creato una nuova leva di documentaristi far da sé, più che turisti per caso direi documentaristi per caso. La prova è che ci sono dei programmi come “Alle falde del Kilimangiaro” che utilizzano questo tipo di documentarismo turistico, oggi ci sono delle tecnologie che ti permettono di girare e inviare via satellite quanto avviene. Però penso che la tecnologia, queste cose straordinarie, il montaggio elettronico che possiamo fare anche sui nostri computer, non toccano l’apporto artistico. Credo che se uno è un’artista, e io uso la parola artista perché credo in un documentario d’arte, credo che il documentario in sé sia un’opera d’arte, le tecnologie semplicemente le utilizza per quello che sono: strumenti. Poi questo documentarismo di viaggio, tutti sono documentaristi, usati dai grossi network. Magari l’idea in sé non è male, raccontare l’esperienze in giro per il mondo. Forse occorrerebbe una maggiore attenzione, una selezione, insomma basta vedere canali come current, o comunque il fenomeno delle web tv, la gran parte dei filmati in onda sono pittosto banali. Questo è un grande problema soprattutto delle nuove generazioni. Nonostante tutta questa tecnologia a disposizione, che noi non avevamo quando eravamo giovani, i lavori realizzati in verità sono molto scadenti. Fanno, o meglio tentano di fare, il verso alla televisione ufficiale. È questa la cosa più preoccupante, perché se avessero una impostazione amatoriale, magari anche naif come certo cinema in otto millimetri che facevano le federazioni dei cineamatori, avrebbero avuto un certo fascino, un valore culturale, invece questi scimmiottano la televisione ufficiale fatta male. Comunque nel fenomeno c’è anche un aspetto interessante, come una spinta dalla base, soprattutto dalle nuove generazioni attraverso internet, a dire la loro opinione, a manifestare le loro idee, il loro stile di vita e questo è un fatto positivo. Noi siamo abituati ad una televisione che viene dall’alto: RAI, Mediaste, SKY, che uno consuma quasi passivamente. Questa interazione che c’è da parte delle nuove generazioni vuol dire che dalla base, dalla gente, c’è voglia di partecipare in prima persona. Io non credo che ci sia pericolo per la professione. Nel senso che è naturale che l’innovazione delle tecnologie del settore porti ad una diffusione ed a un utilizzo di massa delle tecnologie, ma di contro è pur vero che se non hai nulla da dire sotto il profilo artistico, professionale lì ti fermi. Per quanto riguarda il documentario sociale, pensa che abbia il potere di incidere per cambiare le cose? Ce l’ha questa forza dirompente per incidere nelle coscienze? Questa è una domanda molto giusta ma alla quale, in un certo senso, fa male rispondere perché la rispo-
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sta dal mio punto di vista è che ha un impatto molto molto relativo. Quando ogni giorno ci si abitua a vedere bombardamenti, uccisioni, magari mentre sei lì seduto a cena con la famiglia scatta un meccanismo di assuefazione che fa sì che la denuncia perda forza. Poi c’è la manipolazione da parte delle agenzie di stampa internazionali, nel selezionare e diffondere le notizie. Per un certo periodo della mia vita ho fatto documentari sociali e debbo dire che l’impatto sulla gente di questi documentari di denuncia, di sensibilizzazione dell’opinione pubblica sui grandi temi sociali è molto relativo. Però al tempo stesso non si può esimersi dalla denuncia. Arriva molto poco questa è la verità. Il documentarismo sociale non è che cambi il mondo, il mondo continua per la sua strada. Io sono molto deluso, difatti sono tornato ad occuparmi di un documentario più intimista, più personale, più privato, se vuoi più poetico facendo molta attenzione ad usare questa parola. Quando sento parlare di poesia, diffido, i veri poeti non dicono mai di essere poeti. Comunque sia almeno lo spirito di avventura persiste, nel senso che il documentarista deve essere un avventuriero nell’eccezione positiva del termine chiaramente. Assolutamente e l’avventura è di due tipi: c’è un’avventura estrema più reale, più tangibile e un’avventura più profonda più spirituale. Io, sarà l’età, mi sto orientando sempre più verso un’avventura interiore… però sei un avventuriero su questo non c’è dubbio. Io tra l’altro ho delle difficoltà ad accettare la definizione di documentarista, sai a volte le cose che fai sono documentari, delle volte è altro. Dipende dai momenti, dagli stati d’animo. Pensa che la scuola ricopra ancora un valore assoluto nella formazione dei giovani, visto che se ne occupa anche in questo momento con i ragazzi dell’istituto d’arte di Frosinone di cui sta seguendo un
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progetto sperimentale. Credo di sì anche se, ad esempio, nel mio caso io ho studiato architettura e non cinema. Bernardo Bertolucci non ha studiato un bel nulla, Antonioni era un architetto, Fellini era un autodidatta etc., Rossellini invece veniva dal centro sperimentale. Un vero artista alla fine non ha bisogno di scuola però… penso che la scuola possa servire molto. Intanto sul piano della formazione tecnologica, se non sai utilizzare gli strumenti avrai bisogno che qualcuno te li insegni. Riguardo la mia esperienza a Frosinone forse è più quello che imparo dai ragazzi che quello che insegno. Per le scuole di cinema credo sia molto importante che siano molto pragmatiche, credo poco nella teoria e molto di più nella pratica. Vale più un buon maestro di una scuola? Si penso di sì. Ripensando alla scuola di cinema quando insegnavano grandi maestri sono venuti fuori degli ottimi discepoli, quando sono entrati i funzionari del cinema, i politci… Oggi nelle università nelle accademie si assiste al fenomeno dei giovani docenti che hanno molto da dire, che sono molto pragmatici. Insisto credo poco alla forma-
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zione teorica, la teoria la puoi studiare, ci sono una infinità di libri, ma alla fine è la pratica che ti forma e ti porta a scegliere un percorso professionale. Il documentario che avrebbe voluto girare, c’è un vertice della piramide che avrebbe voluto raggiungere? Mi è molto difficile rispondere a questa domanda perché in realtà nel mio piccolo e lo dico con molta umiltà io ho sempre fatto quello che volevo fare, sempre! Faccio un esempio, ho finito una serie di otto radiodrammi per la RAI sulla vita di San Francesco. Io sono un laico ma mi affascinava questa figura straordinaria della cultura e della spiritualità, era un progetto a cui pensavo da tempo e l’ho realizzato. Ecco io sono sempre riuscito, adattandomi anche a situazioni diverse, a fare quello che volevo, ho realizzato i miei “sogni”. Ovviamente c’è bisogno di possedere diciamo un autocensura, nel senso che bisogna rapportarsi poi alle fattibilità dei progetti. Ci sono delle condizioni di carattere economiche, organizzative, temporali che bisogna considerare, bisogna lavorare sulle condizioni. La risposta alla tua domanda, e spero non sia interpretata come presuntuosa, è che io non ho sogni da realizzare perché nel corso della mia vita professionale ho realizzato quello che volevo fare. Come siete arrivati in Ciociaria. Insomma avete viaggiato in giro per il mondo vivendo in America, in oriente India, Nepal avete avuto un periodo diciamo da nomadi e poi siete approdati in Ciociaria. Si soprattutto negli anni 70/80 eravamo sempre in viaggio, ma in verità abbiamo sempre vissuto in campagna con gli animali, il camino acceso otto mesi l’anno. La campagna ha sempre avuto un suo fascino siamo stati per circa vent’anni a Roma sull’Appia in una casa immersa nei boschi, poi essendo nata l’esigenza di traslocare, abbiamo scelto la Ciociaria un po’ per la bellezza dei Monti Lepini e un po’ per la gente di Morolo che è veramente straordinaria, conserva quella convivialità antica. Dopo pochi giorni si conosceva già tutti. Ma a dire il vero io mi sono sempre sentito un cittadino europeo. Sono nato in Francia, ho studiato in Svizzera e poi sono arrivato in Italia. La mia professione mi ha portato a girare il mondo a conoscere nuove culture e questo è stato, la vera ricchezza della mia vita. I giovani oggi dovrebbero cogliere l’opportunità offerta dall’Europa per arricchire il proprio bagaglio culturale e personale e aprirsi a nuove culture. Si è fatto veramente tardi, sarà anche un luogo comune ma il tempo è volato. Ci salutiamo. Oramai è buio e il silenzio della campagna mi accoglie, l’aria è fredda e pulita, dopo tanto girovagare credo che la scelta di fermarsi in ciociaria sia stata una scelta saggia e chissà se non ci scappa un documentario. L.P.
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arte: incontri, mostre, recensioni e quant’altro
Secondo voi potevamo lasciar correre un evento come il centenario del futurismo senza coinvolgere in quattro chiacchiere il maestro Italo Scelza? No che non potevamo. Quello che segue è l’incontro nel suo studio in un pomerigio pumbleo.
Italo
Scelza Quattro chiacchiere nello studio di Supino del maestro che ci racconta la storia dell’arte... questa volta parlando del Futurismo!
Il futurismo viene fuori i primi del novecento con l’evento della macchina, l’esaltazione della velocità. Inizialmente a noi giovani studenti ci dicevano che il futurismo era un movimento marginale, fatto da persone legate ideologicamente al fascismo, in effetti avevano questa esaltazione, questa tendenza all’ordine, alla gerarchia, alle regole. Era l’esaltazione al movimento che voleva rompere soprattutto con la tradizione ottocentesca in questo caso, era chiaro, con l’impressionismo. Nascevano le avanguardie storiche che poi si sono susseguite in neoavanguardie, che a loro volta si sono evolute in neo-neoavanguardie, ancora oggi si guarda Duchamp. Il futurismo in verità è l’unica corrente italiana che di diritto si inserisce insieme al cubismo picassiano, insieme al 54
costruttivismo sovietico, non dimentichiamo che dall’altra parte c’è la rivoluzione. La repubblica sovietica voleva che venisse fuori il realismo sovietico, nascondendo le avanguardie. Il modernismo, la contemporaneità faceva paura, c’era una pittura di “regime” ovvero il realismo socialista sovietico, questa esaltazione del modello rivoluzionario dei contadini che lavorano la terra. Erano quelle icone classiche dell’immagine socialista dell’Unione Sovietica e dei paesi del blocco comunista. Esatto. Detto questo del futurismo dobbiamo dire che è stato un evento predominante dall’uscita del manifesto di fondazione del movimento futurista pubblicato dal poeta ed editore Filippo Tommaso Marinetti il 5 febbraio 1909 nelle Cronache letterarie del quotidiano bolognese La gazzetta dell’Emilia, anche se oggi la data ricordate è la pubblicazione due settimane dopo, il 20 febbraio 1909, sul parigino Le Figaro, che gli diede una ribalta internazionale. Il Futurismo è stato un movimento che ha raccolto la letteratura, la pittura, la musica, la fotografia, l’architettura. Famose sono le torri di Antonio Sant’Elia, anche se non sono mai state realizzate. L’utopia futurista è una città in perenne mutamento, agile e mobile in ogni sua parte, un continuo cantiere in costruzione, e la casa futurista allo stesso modo è impregnata di dinamicità. In realtà le uniche cose realizzate e che restano oggi a testimonianza del movimento futurista è la pit-
tura. Basti pensare al grande Umberto Boccioni o a Giacomo Balla, Fortunato De Pero. De Pero è stato capace di disegnare e costruire i mobili, è stato uno dei primi designer a dedicarsi all’oggettistica, per non dimenticare i cartelli pubblicitari realizzati già nel 1920. È vero che all’inizio è stato un movimento un po’ come dire bistrattato? Si inizialmente era un movimento “bistrattato” tant’è che come ti dicevo prima a noi giovani ci dicevano che era un movimento fatto da esaltati. Gli stessi critici dell’epoca ne avevano poca considerazione trovando pochi pregi nel movimento. Pensa che a noi lo stesso De Chirico ci veniva presentato in maniera piuttosto critica. Non era a la page con che cosa? Con gli inizi degli anni sessanta con la figurazione che il partito allora voleva, il partito significa il PC, mentre invece si sono resi conto che l’unica corrente che potesse stare alla pari se vuoi con il dadaismo, con il cubismo con il costruttivismo era proprio il futurismo. C’è poco da dire, basta scorrere i libri di storia dell’arte il futurismo è presente da Boccioni a Carlà a Russolo. Io credo che ancora oggi molti giovani guardano al movimento futurista con interesse. Oggi più che mai il tema del futurismo è attuale, c’è stata un’ulteriore accelerazione del tempo, se pensi che prima per andare a Milano ci volevano sei ore oggi con i treni ad alta velocità ce ne vogliono tre. Oppure pensa al computer, l’impatto che ha avuto nel lavoro e nella società. Per tornare alla pittura, il volo degli uccelli di Giacomo Balla a cui ho fatto anche un omaggio, in una mostra dedicata al novecento fatta in Canada, come si fa a non rendere omaggio a Giacomo Balla? Poi c’è la fotografia. Per la fotografia abbiamo un rappresentante del movimento futurista ciociaro doc La Ciociaria è rappresentata degnamente con Anton Giulio Bragaglia, fu il primo a capire che la fotografia poteva dare un contributo importante al movimento. Assieme ai fratelli Arturo e Carlo Ludovico si dedica alla sperimentazione di tecniche innovative fotografiche e cinefotografiche, concentrandosi soprattutto sulla fotodinamica. Nel 1911 pubblica 55
il saggio “Fotodinamismo”. Anton Giulio Bragaglia fu un protagonista futurista della vita teatrale italiana del nostro secolo, mettendo in risalto la scenotecnica, arte nella quale eccelse veramente, riuscendo ad armonizzare l’uso di dispositivi tecnici che il progresso offriva ma ancora non si confacevano all’arte del teatro. Anton Giulio, delle sperimentazioni fotografiche, ricorrendo principalmente a lunghe esposizioni. Anton Giulio colloca i risultati sorprendenti delle immagini nel neonato movimento futurista fondato da Marinetti un anno prima. (le fotografie realizzate a soggetti in movimento come Salutando, Il fale-
Filippo Tommaso Marinetti
Balla - Velocità astratta
Balla - Dinamismo di un cane al guinzaglio
Boccioni - Forme uniche della continuità nello spazio
gname che sega, Lo schiaffo, L’inchino, Le due note maestre e L’uomo che cammina ndr). Nasce così il Fotodinamismo futurista. L’annuncio ufficiale viene dato sulle pagine della rivista fiorentina Lacerba, ma sarà la pubblicazione del libro scritto da Anton Giulio Bragaglia, intitolato proprio Fotodinamismo futurista e corredato da sedici immagini, a scatenare una vera e propria bufera in seno al movimento. Furono proprio i pittori a osteggiare il fotodinamismo soprattutto Boccioni, ma non Balla e ancor meno Marinetti che essendo un letterato risentiva meno della concorrenza della fotografia. È palese l’importanza del movimento futurista visto che per celebrarne i 100 anni un po’ in tutta Italia si programmano mostre, convegni, tavole rotonde.
argomento che avrebbe bisogno di un’analisi a 360°, coinvolgendo la poesia, la musica, bisognerebbe assemblare le varie “correnti” che hanno aderito e contribuito al movimento forse davvero uno dei pochi ad avere una interrelazione così forte tra le arti.
Ci sono voluti 100 anni per avere un riconoscimento ufficiale? Ma non è che ci son voluti cent’anni, diciamo che in questi cent’anni in Italia c’è stato poco, ci siamo mossi poco rispetto ad altri paesi. Il Futurismo è stato comunque un movimento che ha avuto ed ha il suo peso. C’è stato Enrico Crispotti che un po’ di anni fa fece una mostra alla galleria di arte Moderna sul Futurismo. In qualche modo c’è stata sempre attenzione per il futurismo nel bene e nel male criticamente e non. Certo cent’anni sono importanti, per qualsiasi movimento, non può non esserci l’attenzione da parte dei media, oggi ne stiamo parlando per la tua rivista, perché? Per il semplice motivo che è una ricorrenza importante a cui va dato il giusto risalto. Noi adesso stiamo parlando essenzialmente di pittura, che è materia di mia competenza, ma è un
Qui interrompiamo per una tazza di tè e scivoliamo sulle nostre solite considerazione dei tempi moderni (a proposito di futurismo) e di come per assurdo oggi la comunicazione interpersonale è sempre più difficile anche e soprattutto nel linguaggio, nonostante viviamo sommersi da strumenti tecnologici pensati per la comunicazione. Vero ci sono le mail, Messenger, Myspace, Facebook… “ma se consideriamo che il 70% della comunicazione nella nostra specie è paraverbale ossia fatta di gesti, posture, intonazione, sguardi ecc. ecc. Oggi non ci si guarda più negli occhi, non si sorride più, si ha paura uno dell’altro. C’è una diffidenza, un arroganza, un ignoranza”.
È stato uno dei primi movimenti a raccogliere non dico adesioni, ma sicuramente interesse tra le diverse discipline? Sì. Si usciva da un momento di stasi, c’è stato un momento in cui la pittura, le arti, la società erano ferme. Poi improvvisamente irrompe sulla scena la locomotiva, il treno, la macchina, il movimento, la velocità è un momento di esaltazione, c’è un cambiamento forte di percezione della società e del tempo.
Torniamo a parlare del futurismo e leggiamo da uno dei volumi d’arte che Italo tiene in “apparente” di56
Boccioni - La città che sale
Balla e Gino Severini incontrarono Marinetti nel 1910. Questi artisti rappresentarono la prima fase del futurismo.” Il pittore e scultore Umberto Boccioni (1882-1916) scrisse Il manifesto dei pittori futuristi 11 febbraio del 1910, nel quale proclamò: « Noi vogliamo combattere accanitamente la religione fanatica, incosciente e snobbistica del passato, alimentata dall’esistenza nefasta dei musei. Ci ribelliamo alla suprema ammirazione delle vecchie tele, delle vecchie statue, degli oggetti vecchi e dell’entusiasmo per tutto ciò che è tarlato, sudicio, corroso dal tempo, e giudichiamo ingiusto, delittuoso, l’abituale disdegno per tutto ciò che è giovane, nuovo e palpitante di vita. »” Il Futurismo fu debitore del Cubismo che storicamente lo precede. Mentre c’era il Dadaismo, il Costruttivismo venuto fuori con la rivoluzione di ottobre nell’ex Unione Sovietica ma parliamoci chiaro il fondatore del novecento chi è? è Pablo Picasso! È lui il perno su cui gira tutto il Cubismo con l’abbandono della prospettiva rinascimentale e la scomposizione della forma.
sordine sugli innumerevoli scaffali del suo studio “...tra le avanguardie artistiche del primo novecento il futurismo fu il più eclatante, ma più che mai nel campo della pittura. Marinetti e gli altri sposarono l’amore per la velocità, la tecnologia e la violenza. L’automobile, l’aereo, la città industriale avevano tutte un carattere mitico per i futuristi, perché rappresentavano il trionfo tecnologico dell’uomo sulla natura. La vis polemica appassionata di Marinetti attrasse immediatamente alcuni giovani pittori dell’ambiente milanese - Umberto Boccioni, Carlo Carrà, e Luigi Russolo - che vollero estendere le idee di Marinetti alle arti visuali (Russolo fu anche un compositore, e introdusse le idee futuriste nelle sue composizioni). I pittori Giacomo
Quale pensi sia il quadro che rappresenta di più il movimento? La città che sale di Boccioni è secondo me uno dei quadri più grandi. Credo comunque che la pittura abbia lasciato più tracce del Futurismo rispetto alla musica, alla letteratura, alla fotografia.
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La musica futurista
nasce per opera di artisti stanchi degli insegnamenti accademici dei conservatori. Francesco Pratella è il primo musicista che tenta di rinnovare radicalmente il linguaggio musicale tradizionale. Le sue concezioni musicali appaiono in due manifesti: il “Manifesto dei Musicisti futuristi” datato l’ 11 Gennaio 1911 e “La musica futurista-Manifesto tecnico” che risale invece al 29 Marzo 1911. Insieme al rifiuto del passatismo e al desiderio di assoluta liberta`(“Disertate i conservatori, i licei e le accademie, e determinatene la chiusura; si vorrà certamente provvedere alle necessità dell’esperienza, col dare agli studi musicali un carattere di liberta` assoluta”) Pratella propone nei suoi componimenti frequenti riferimenti a motivi musicali popolari italiani; nonostante le opere di Pratella, rimangano ancora legate al linguaggio musicale tradizionale, le loro prime esecuzioni scatenarono lo stesso risse tra pubblico e futuristi, sedate alla fine dall’intervento della polizia. Altro musicista futurista è il pittore Luigi Russolo, che nell’11 Marzo 1913 pubblica “L’arte dei Rumori”; secondo Russolo la musica deve essere fatta prevalentemente di rumori, non di suoni armonici. Si tratta di rumori della vita quotidiana, mescolati assieme disordinatamente, come in un’ improvvisazione (vengono simulati ululati, rombi, stropiccii, gorgoglii, sibili e ronzii). Per riprodurre questo genere di rumori, Russolo inventa vari strumenti: nel 1913 l’”intonarumori”, apparecchio che simula ululati, rombi, stropiccii, gorgoglii, sibili e ronzii, nel 1922 il “rumorarmonio”, il mezzo necessario ad amplifiacare gli effetti musicali creati dall’intonarumori. Tutti questi strumenti vennero piu` volte utilizzati in spettacoli dal vivo, seguiti puntualmente da reazioni violente del pubblico, secondo il clima tipico delle serate futuriste. Eccone alcuni esempi: Poema sinfonico “Inno alla vita”, eseguito il 9 Marzo 1913 a Roma, musiche di Pratella 58
“Risveglio di una città”, musiche di Russolo, 1914. “Balli plastici”, marionette geometriche create da Depero che si animano seguendo il ritmo delle musiche di Casella, Malipiero e Lord Berners. “L’aviatore Dro”, musica di Pratella, prodotta da una motocicletta e da una sirena che emettono assordanti rumori. Sia Pratella che Russolo suscitarono l’interesse di musicisti d’avanguardia come Stravinsky. Marinetti fu un instancabile propagandista e sostenitore della musica futurista. Successivamente s’interessò di radiofonia e propose d’inserire nelle trasmissioni suoni captati dal mondo circostante (sgocciolii, fruscii, ecc.) Russolo sarà l’unico che si trasferirà a Parigi e continuerà ad aggiornare e a sviluppare la musica futurista, continuando la sua attività di inventore. Dai compositori stranieri contemporanei venne considerato l’unico grande musicista futurista, ma la sua opera non avrà successori immediati. Tuttavia la musica concreta degli anni 60, (John Cage) deve molto alla sperimentazione futurista e ai “rumori trovati” degli spettacoli radiofonici di Marinetti. Il movimento futurista è una celebrazione della tecnologia e di tutto quello che viene con la tecnologia. In questo, la musica futurista non è differente. Celebra il disturbo. I disturbi con i quali noi siamo familiari: le macchine, le folle, i sottopassaggi, e anche il tuono. Ci sono due manifesti che ha spiegato la musica del Futurismo, uno di Luigi Russolo, l’altro di Balilla Pratella.
Luigi Rusollo era un pittore, non un musicista. Ma in L’arte del disturbo è uno fra i primi a scrivere i suoi pensieri. L’arte del disturbo è, in verità, una richiesta di aiuto al suo amico, il compositore Balilla Pratella. Nel manifesto parla dell’avvenimento tecnologico (i disturbi) e la natura (il silenzio). La musica antica andava bene prima della tecnologia, perché in quel periodo c’era un mondo di silenzio e natura. Ma poi, poiché il nostro udito già è abituato alla vita moderna, siamo pronti per i disturbi. Tuttavia, pensa che la musica sia limitata dal tempo,dalle regole della musica e dagli strumenti comuni. Poi Luigi Rusollo ha creato sei categorie di disturbi: la prima include i ruggiti, le esplosioni, gli arresti, la crescita. La seconda contiene i fischi e i sibili. La terza include i bisbigli e i gorgoglii. Gli striduli, i ronzii, le raschiature sono nella quarta categoria. La quinta utilizza le percussioni su metallo, su legno, su pelle, sulla pietra, sulla terracotta, eccetera. L’ultima è per la voce degli animali e degli uomini, eccetto il canto. In più ha inventato quattro strumenti di disturbi per il Futurismo. Balilla Pratella, un famoso compositore futurista, ha scritto il suo manifesto, Il Manifesto dei musicisti futuristi, nel 1912. Il manifesto ha undici punti. Qui sono alcuni dei più importanti. Il primo: Convincere i compositori giovani a lasciare le scuole... e considerare lo studio libero come il solo metodo di rigenerazione. Il quinto vuole la liberazione della musica dall’imitazione e dall’influenza del passato--l’ispirazione viene dalla natura. E l’undicesimo punto consiglia di sostenere tutto quello che nella musica è originale e rivoluzionario. Questo significa in parte i disturbi. Pratella sente che l’Italia era indietro nella musica. Insieme i due futuristi hanno voluto una rivoluzione musicale. Doveva esserci una rivoluzione nel nostro periodo tecnologico e doveva usare i disturbi originali. (wikipedia)
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biblioteca: libri, recensioni e quant’altro
Guido Harari e Franz Di Cioccio - Fabrizio De André & PFM Evaporati in una nuvola Rock Edizioni chiarelettere Nel 1978 avevo 18 anni ed ero al liceo, la musica che ascoltavo in quel periodo era un pò lontana dal panorama musicale italiano. King Crimson, Genesis, Yes, Led Zeppelin, Doors, insomma per le band italiane non riservavo molto spazio anche se, collaborando in una radio libera (radio Cassandra) di musica se ne sentiva tanta, ma una band faceva eccezione la PFM. Ricordo la prima volta che vennero nella nostra provincia, insieme ad altri amici pur di vederli ci facemmo 8 Km a piedi visto che nessuno di noi aveva il motorino e zero possibilità che un genitore si prendesse la briga di venirci ad accompagnare. Ma era la PFM che suonava, la band più forte, l’unica band che poteva competere con i gruppi prog inglesi. Così quando fu annunciato il tour con De André la curiosità fu tanta, come le accese e infinite discussioni tenute 60
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«Vi dico la verità, è da parecchio che penso che non ci siano idee buone o idee cattive, o fatti umani buoni e fatti umani cattivi.» Fabrizio De André
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«Che bello il caso quando governa cose che neanche i più abili strateghi riescono a pianificare così bene. E che bello il caso di un tour e di un disco da inventare, che fanno incontrare di nuovo artisti con percorsi completamente differenti senza che la distanza abbia minato in alcun modo l’ammirazione reciproca. Che bello scoprire che l’intuizione è il vero motore di scelte che stanno nel cuore prima che nelle carte, nei contratti e nel business. » Franz Di Cioccio
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sullo scassatissimo divano della radio sull’opportunità di unire il sacro (De André) con il profano (PFM). Il libro, bellissimo, mi ha riportato in un attimo indietro nel tempo come una di quelle macchine dei film di fantascienza degli anni 50. Sfogli le pagine e guardi le immagini di Guido Harari -altro mito per me, ma questa è un’altra storia- e ritrovi nei volti dei ragazzi fotografati nei palatenda tutte le inquietudini giovanili di quegli anni. Così come sembrano lontano anni luci il rapporto dei musicisti con il pubblico, con i tecnici che seguivano il tour. I camerini (oggi non ci meterebbe piede neanche l’ultimo idiota dei reality) il pulmino con cui giravano insieme di città in città. Archeologia o, se volete, storie di altri tempi o semplicemente amore per 7 meravigliose, maledette note che hanno fatto sognare diverse generazioni. È qualcosa di più di un libro fotografico su un tour è la testimonianza più vera dell’Italia e del panorama musicale di quegli anni, raccontato attraverso le immagini e la testimonianza di chi li ha vissuti. Sono passati tanti anni e di gruppi, concerti, eventi ne abbiamo visti tanti eppure quel tour del ‘78 conserva un’aura magica, ha tracciato un confine. È stato un momento unico e irripetibile e noi (la mia generazione) c’eravamo e questo volume ci aiuta a ricordarlo, anche se sfogliando le pagine a volte l’emozione sale forte, inevitabile su un passato che ci appartiene e non vogliamo che passi.
Un grazie sincero a Guido Harari che ci ha concesso il permesso di pubblicare le immagini di queste pagine.
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Note in rete: segnalati o scovati nella rete
Luca
Giordano
Con Luca ci siamo incrociati su Myspace, territorio di caccia, libero dalle influenze delle major, luogo ideale per trovare novità musicali. Gli ho chiesto, incuriosito dal brano online, se mi inviava qualche informazione in più sul disco. Ricevo per posta una busta gialla con il disco e un biglietto con il numero di telefono. Dovrei chiamarlo e invece gli scrivo giustificandomi per non avere il tempo. Intanto il disco lo metto in macchina nel lettore cd. Si rivela subito per quello che è: un autentico disco sperimentale, che disorienta al primo ascolto non potendolo classificare in un genere preciso.
“Creato” da Luca Giordana che si avvale della collaborazione vecchi e nuovi amici. In Elan suonano Fabrizio “Bicio” Giordana (fratello di Luca), Luca Bergia (Marlene Kuntz), Fabrizio Barale (Ivano Fossati, Luvi De Andrè, YoYo Mundi), Dubbemo, Motoko Ishii, Stefano Risso, Davide “Dado” Osenda, Alessandro Massa, Dubbemo, Roberta Gerardo, Nicolo Dho e altri. La produzione artistica è di Marco Umana e le registrazioni sono in parte home-made e in parte realizzate presso il Modulo Studio di Cuneo da Riccardo Parravicini (ndr già fonico in studio e dal vivo per Marlene Kuntz, Afterhours, La Crus, e altri). Elan letteralmente è quella tensione che aleggia prima della battaglia, la stessa che avverti in attesa del pezzo successivo non sapendo che cosa ti aspetta. Nel disco è possibile ascoltare un gran numero di sonorità: dal suono di batteria alle percussioni, dal fender rhodes al violino, dal contrabbasso al basso, dai campionamenti di Luca Giordana alle chitarre. C’è un pò di tutto, dai suoni classicheggianti, ad arrangiamenti moderni e distorti, ai remix elettronici. Non è un disco facile sicuramente richiede più di un ascolto per coglierne le sfumature. Luca ha il coraggio e la sfrontatezza di passare da arrangiamenti elettronici 65
martellanti a tracce vocali. I testi, in italiano, francese e inglese, in qualche caso recitati, a volte pennellati all’interno della traccia, oppure assenti. Elan è un prodotto atipico che sembra scandagliare i confini della musica a 360° senza timori, mescolando generi, sperimentando innovazioni come un pittore che gioca mescolando i colori sulla tela. Alla fine la sensazione è che la ricerca targata lgprogetto sia appena iniziata e che questo non sia che il primo capitolo e come ogni opera prima è istintiva, un pò ruvida ma certamente vera.
URL MySpace: http://www.myspace.com/lgprogetto Titolo Cd: élan Prodotto:Marco Umana
Giuseppe Righini “Notevole esordio” Io Donna (Corriere della Sera) 5 stelle, massima votazione, sul mensile XL (La Repubblica). Selezionato per il Premio Tenco 2008 Scritto ed interpretato da Giuseppe Righini, “Spettri Sospetti” è un album di cantautorato noir sghembo ed onirico, dalle forti suggestioni teatrali e narrative. Atmosfere retrò, elettronica minimale, rare ma incisive impennate elettriche, schegge di Sud America ed echi di Vecchia Europa ci confidano amori e desideri, storie urbane di cemento ed asfalti bagnati, ninne nanne senza tempo per imprecisate veglie e filastrocche solo apparentemente innocue. Più in basso, lontana, la voce del faro e l’odore della salsedine. Ed una sottile, sotterranea ironia, naturale contr’altare d’ogni sofferta e sincera liricità. Con “Spettri Sospetti” Righini continua il suo percorso ultradecennale di sperimentazione musicale e teatrale per arrivare a vestire, oggi, gli abiti di un atipico crooner che gioca con le sue nuove, antiche maschere. Il fantasma del museo, il sicario Santo, Santa Clara ed il lupo di Ninna Landa sono solo alcuni dei personaggi presenti in questa manciata di canzoni ricche di doppi fondi, polvere sotto i tappeti, botole e porticine segrete. Le storie che Righini ci racconta sono sottese dalle trame musicali di Andrea Alessi, Marco Mantovani, Massimo Marches e Diego Sapignoli. “Spettri Sospetti” si avvale di un numeroso e prestigioso cast di ospiti, tra cui Andy (Bluvertigo), Elena Bucci, Andrea Chimenti, Xabier Iriondo (Afterhours) e Vincenzo Vasi (Vinicio Capossela). 11 brani di originale cantautorato contemporaneo e un libretto con i testi delle canzoni e un breve racconto inedito. 66
Ph.Fabiana Rossi
BIOGRAFIA GIUSEPPE RIGHINI
Cantante, autore ed attore nato a Rimini il 2 aprile 1973, Giuseppe Righini esordisce nei Rami Spezzati e, successivamente, milita a lungo nei Sin-é, band cold wave che mescola atmosfere britanniche e lingua italiana. Una solida attività live porta i Sin-é ad esibirsi con Bluvertigo, Tiromancino e Soerba, mentre la vittoria del Faenza Rock Festival consente al gruppo di dividere il palco con Placebo, Queens of the Stone Age e Incubus al Jamming Festival di Imola. A fine 2001 Righini lascia la band e nell’estate 2002 realizza insieme ad Alessandro Bartolucci – già produttore di Enfance Rouge, Madrigali Magri e Bachi da Pietra - l’album Vetro Verde, opera sperimentale in cui s’intrecciano canto, recitazione e una trama sonora acustica, desertica e spigolosa. Nel 2003 Righini si unisce a The Hype, band di rock retrò con cui realizza due ep’s - Toys e Real Echo – un album Zimmer Frei - e apre i concerti italiani per The Others, The Dirty Pretty Things e The Dears. Dal 2003 al 2007 The Hype scrivono e realizzano la trilogia Melò, Velò e Falò insieme al pittore e designer Roberto Ballestracci e all’attrice Simona Matteini.Parallelamente, dal 2006, Righini sviluppa un progetto solista in italiano di cantautorato sghembo e onirico con forti influenze teatrali e narrative. L’esordio è dello stesso anno nell’ambito di Addiction, evento che, oltre a Righini, vede la presenza di Andrea Chimenti, Mariangela Gualtieri e Isabella Bordoni. Sempre nel 2006, esclusivamente per la seconda edizione del festival di musica e letteratura Assalti al Cuore, è la volta di Ninna Landa, spettacolo scritto e interpretato con Elena Bucci, Marco Mantovani e Mauro Ermanno Giovanardi. Dopo queste esperienze nasce Spettri Sospetti –selezione Premio Tenco 2008- primo lavoro discografico come solista, prodotto da Marco Mantovani, registrato e mixato da Paolo Zavaglia al teatro dimora L’Arboreto di Mondaino e masterizzato da Bob Katz ai Digital Domain Studios di Orlando, Florida. Con Righini, nell’album, lo stesso Mantovani, Andrea Alessi, Massimo Marches, Diego Sapignoli e la partecipazione del Bluvertigo Andy, Elena Bucci, Andrea Chimenti, Reverend Dave Monkey, Enrico Farnedi, Gianni Giudici, Xabier Iriondo e Vincenzo Vasi. Il disco, uscito nel gennaio 2008, è stato presentato a Rimini il 29 dicembre 2007 in un recital spettacolo inedito scritto da Righini che ha visto come ospiti Elena Bucci e Ivano Marescotti. Nelle vesti di attore, Giuseppe Righini recita da tempo nella compagnia L’Attoscuro Teatro. Tra le opere scritte e portate in scena con L’Attoscuro Meine Liebe Monteskudo, La Vida
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Giuseppe Righini Spettri Sospetti Collana Interno 4 Records 1 CD Audio 11 canzoni + Libretto 12 pagine Prezzo 10 euro (+IVA 20%) EAN 8013252280122
es mi Prisòn, Il Sale in Bocca e il recital Dreamland - Pro Loco, con Daniele Maggioli e Remo Remoti all’interno di Assalti al Cuore 2007. Per il festival Bookside 2008 Righini interpreta Sguardi con Marco Mantovani e Zbigniew Zamachowski, già protagonista delle pellicole di Krzystof Kieslowski “Decalogo 10” e “Film Bianco”. Sguardi è una rilettura trasversale dell’opera dello stesso Kieslowski, del compositore Zbigniew Preisner e del poeta Tadeusz Rozewicz. In occasione del festival Percuotere la Mente 2008 Righini realizza e porta in scena con Chico de Luigi, Dany Greggio, Touane, Atto Alessi, Marco Mantovani e Vincenzo Vasi lo spettacolo About Half Between Ancona and Venice, omaggio alla pellicola “La Prima notte di Quiete” di Valerio Zurlini. Righini inoltre è autore e interprete del brano La Ruota incluso nell’album “Culto Cartoon” dei Lilli Burlero. Infine Quinto Quarto, reading musical culinario scritto e interpretato insieme a Musica da Cucina. www.myspace.com/giusepperighini www.giusepperighini.com www.assaltialcuore.it www.interno4records.com
Dècade,
decàde di Davide Rossi
Sono nato proprio alla fine di quegli anni, appena in tempo per dire che io sono uno degli anni ‘60. Ma io allora non lo sapevo che erano gli anni ‘60. I mitici anni ‘60. Ero troppo impegnato a bere latte da giovane madre. Foto mi ritraggono prevalentemente nudo, fare il bagnetto in bagnarola azzurra, in un piccolo paese di provincia. Intorno a me non scorgo rivoluzioni in atto, ma tanta gente a voler bene al biondo ed allora unigenito figlio. Mi accontento e passo in breve agli anni ‘70. Mi basta un anno appena. Sono stato sempre un tipo veloce e risoluto. Sono stato bambino negli anni ‘70, ma io allora non lo sapevo che erano gli anni ‘70. I mitici anni ‘70. Quelli che se adesso ci fai un film sopra ti viene quasi sempre bene. Pure se lo facessi io mi verrebbe bene. Vuoi mettere i mitici anni ‘70. Ma io allora non lo sapevo. Ero troppo impegnato ad andare all’asilo e poi a scuola. Ero pure bravo. Che bravo bambino degli anni ‘70. Foto mi ritraggono con cappottino in altro paese di provincia, più grande del primo. Intorno a me tanta gente per le strade, il Corso pieno. Giovani distribuiscono volantini, molti hanno occhialini rotondi, capelli tanti e barba, spesso sandali. Stanno a tratti in mezzo alla gente a dare i volantini di cui sopra, ma perlopiù li attribuisco appartenenti (in quanto lì stazionanti) ad una zona ben definita della piazza del paese, sotto la palma più vicina alla Chiesa. Di carta non c’è solo di volantini, perché nella stessa strada a coprire i selci scuri prevale il marrone della carta della pizza, tranquillamente gettata da molti, ma non da mio padre e mia madre, che mi fanno notare lo schifo della cosa già nei mitici anni ’70 e anche per questo da subito li apprezzo, non gli anni ’70, ma mio padre e mia madre.. In piazza, la stessa dei giovani con gli occhiali tondi, sandali e barba, giovani ancora giocano a pallone con vigore e poca attenzione dei non giovani e dei troppo giovani. Ricordo mio padre discutere di quest’inopportunità con un giovane con occhiali, barba e sandali, ed 68
intorno a te non succede niente. Ero uno studente bravo degli anni ’80. Un bravo ragazzo degli anni ’80. Andavo allo stadio ed ero un deficiente come tanti da stadio. Non violento, ma deficiente si. Però negli anno ’80 iniziavo ad andare in montagna, e pure per questo mi sono salvato. Dagli anni ’80, dallo stadio, e dalla deficienza. Mentre me ne andavo per montagne arrivarono gli anni ’90. I mitici anni ’90. Studiavo all’Università negli anni ’90. Ma io non lo sapevo che erano i mitici anni ’90. Forse non sapevo nemmeno di studiare all’Università. Scelsi quella più vicino a casa. Un po’ come accadde per le scuole superiori, che non mi andava di prendere l’autobus e quindi sono diventato ragioniere. Per lo stesso motivo mi sono laureato in economia, cioè per non fare troppa strada e non spendere soldi di mamma a Roma come altri miei pari. Ovviamente anche degli anni ’90 non sapevo che fossero mitici. In compenso nessuno fa un film sugli anni ’90, perché sono passati da poco e ancora se ne avverte l’odore insipido nell’aria, tipo qualcosa che è passata inutilmente senza lasciare traccia. E poi gli anni ’90 dovevano passare in fretta, perché bisognava azzerare tutti insieme il flipper del millennio. Tre zeri e via! E’ arrivato il duemila. Tipo una cosa che ti emozioni per una mezz’oretta e poi ti passa. E’ passata e sono arrivati questi anni qui, che nessuno lo dice ma sono gli anni ’00. Suonano male gli anni ‘00. Nemmeno li puoi nominare. Nessuno dirà mai che sono stati mitici e già questo mi piace.
essere affrontato come un vile borghese reazionario. Anche per questo da subito mio padre io apprezzo e meno gli anni ‘70. Se capiti negli anni 70 te ne accorgi subito che sono gli anni ’70, perché ovunque in bella vista ci sono manifesti dei film porno con le stelline minuscole sui punti delicati delle donne. Ci passi vicino con i genitori e loro fanno finta che non c’è niente da vedere, come se lì ci fosse che so, un platano e non quelle svariate femmine nude attorno ad un maschio pronto. Poi all’improvviso, non so come e quando, gli anni ‘70 i mitici anni ’70 che io non sapevo esserlo, finirono nel sedere degli anni ’80. I mitici anni ’80. Iniziarono che scoppiò una bomba a Bologna e poco dopo morì mio padre. Non per la bomba, ma in ogni caso iniziavamo male. Sono stato studente negli anni ’80. Ma io allora non lo sapevo che erano gli anni ‘80. Soprattutto non sapevo che erano mitici, in quanto non lo erano affatto. Se fai un film sugli anni ’80 ti viene sempre male. Pure se lo faccio io viene male. Mi ricordo la scuola. Non c’è niente di più triste che essere studente nei mitici anni ’80, perché 69
Piero Scaruffi, nato a Trivero nel 1955, e` laureato in Matematica con indirizzo di Fisica Teorica. Dal 1983 risiede in California. Conduce carriere parallele di ricerca scientifica, software, poesia, viaggi, musica, letteratura e cinema.
Piero Scaruffi approda sulle pagine di Clatter grazie ad un amico comune: Amedeo Di Salvatore. Avremo un appuntamento con lui per più di qualche numero per pubblicare delle schede sintetiche sui generi musicali, diciamo una specie di Bignami della musica. Per saperne di più (e ne vale la pena) www.scaruffi. com
Si occupa di Storia della Musica da circa trent’anni. Non solo ha contribuito con articoli a decine di riviste, sia in Italia (principalmente Rockerilla) sia negli USA (da Option a Billboard), sia di musica classica (Giornale della Musica) sia di musica d’avanguardia (E/I), ma ha anche pubblicato nove libri in materia, il piu` recente dei quali è “A History of Rock Music 1951-2000”, pubblicato nel 2003 negli USA. Il suo sito, www.scaruffi.com, che e` l’evoluzione del suo database musicale su Internet creato negli anni ‘80, fu uno dei primi siti di musica della world-wide web (prima ancora che nascessero i motori di ricerca) ed è tuttora uno dei piu` seguiti a livello mondiale. Ha anche pubblicato due libri sulla musica d’avanguardia. La carriera principale di Piero è stata comunque nel mondo della scienza e della tecnologia. Laureato in Matematica con indirizzo di Fisica Teorica, si trasferi` in California nel 1983, dove divenne responsabile del Centro di Intelligenza Artificiale dell’Olivetti. Fu in seguito visiting scholar all’Universita` di Stanford nel 1995-96, dove ha compiuto ricerca di Scienza Cognitiva. Il suo sito www.thymos.com, evoluzione del suo sito allo Stanford Knowledge Systems Laboratory, contiene i risultati delle sue ricerche, che sono anche oggetto del suo piu` recente libro scientifico, “Thinking About Thought” (2003). In Italiano sono disponibili due suoi libri di carattere scientifico (“L’Intelligenza Artificiale”, edito da Muzzio, e “La Mente Artificiale”, edito da La Stampa). Insegna “Teorie della Mente” e “Storia della Conoscenza” all’Universita` di Berkeley, e ha tenuto centinaia di seminari in tre continenti. Negli anni ‘80 e` stato segnalato a sette premi nazionali di Poesia in Italia. Alcune delle sue liriche sono state pubblicate in due libri: “L’Ultimo” del 1991 e “Dialogo degli Amanti” del 1998 (entrambi vincitori di premi nazionali). E’ stato membro di Modern Poetry. Ha anche scritto di letteratura e cinema. E` uno dei direttori della rivista d’arte “Leonardo” (MIT Press), una delle piu` prestigiose in USA nel campo della fusione fra Arte (e in particolare Musica) e Tecnologia; e ha organizzato alcune manifestazioni di cinema a San Francisco. E` vissuto in quattro paesi (USA, Italia, Germania, Singapore) e ama viaggiare nei paesi in via di sviluppo (ha visitato piu` di 80 paesi). I resoconti di alcuni suoi viaggi di esplorazione in Sudamerica, Estremo Oriente, Asia Centrale, Medioriente e Africa, sono stati riportati da alcune guide turistiche Britanniche e (in Italia) sono stati oggetto di articoli sul settimanale “Tuttodove” de La Stampa (anni ‘80) e sulla rivista “Nuova Era” (anni ‘90). Svolge attivita` di consulenza software nel campo dell’Internet e dell’Intelligenza Artificiale. La sua rubrica “Qui Silicon Valley” viene pubblicata in Italia su “ZeroUno”. Un suo libro sull’America, “Il Terzo Secolo” (Feltrinelli, 1996), entro` nella classifica dei best-seller de La Stampa. Piero e` stato uno dei pionieri del giornalismo su Internet. Nel 1985 diede vita alla sua prima rivista elettronica, distribuita per e-mail su Internet. Fra il 1986 e il 1990 creo` il database, accessibile via ftp, che nel 1995 (con l’avvento della world-wide web) si trasformo` nel suo sito. Da alcuni anni il suo sito ospita anche una rubrica di analisi politica che ha avuto riscontri positivi di pubblico e critica negli USA. E` stato membro di diverse organizzazioni umanitarie, fra cui Amnesty International, Oxfam e Care. Nel 2008 ha pubblicato “Una storia del Jazz” e nel 2009 “A history of Rock and Dance music”. 70
BLUES Uno dei filoni piu` rilevanti della cultura musicale del Ventesimo Secolo ebbe inizio nelle piantagioni degli stati meridionali degli USA, in particolare nel Delta del Mississippi. Gli inni religiosi degli schiavi Afro-Americani convertiti al Cristianesimo (le “spiritual song”), che accoppiavano melodia di stampo Europeo e ritmica sincopata di stampo Africano, e i canti di lavoro (i “work song”), sincronizzati con il ritmo del lavoro, evolsero lentamente in una forma musicale sui generis, la musica folk di un nuovo popolo, al tempo stesso diversa e simile alle tradizioni folk degli immigrati Europei. I testi esprimevano l’angoscia di questo popolo trapiantato in un altro continente. Lo stile di canto era influenzato dal linguaggio musicale Africano, molto piu` “libero” di quello Europeo (tanto da essere quasi sempre improvvisato), e il canto era inteso come un fenomeno collettivo, non individuale, che si esprimeva attraverso la struttura del “callandresponse” (una voce guida a cui le altre “rispondono”). I ghetti “neri” delle grandi citta` favorirono la diffusione capillare di questa musica, l’adozione del-
la strumentazione Europea (in particolare la chitarra e l’armonica), l’incontro con altre culture musicali, e l’ampliamento dei temi a tutta la sfera del quotidiano urbano. Il “blues” (termine inventato dalle case discografiche), musica al tempo stesso realista, esistenziale e sociale, non poteva far leva su grandi tecniche musicali: il suo scopo era soprattutto quello di evocare uno stato d’animo. Tanto la “blue note” che usavano i cantanti neri quanto lo schema metrico “AB AB CD”, quanto il ritmo di dodici battute, avevano il pregio di creare un’atmosfera malinconica. All’inizio i “bluesmen” erano semplicemente disoccupati vagabondi (e spesso ciechi e mutilati), che cantavano perche’ non potevano lavorare. Nelle grandi citta` il bluesman si trasformo` in un intrattenitore, e il suo stile si trasformo` di conseguenza. I temi divennero piu` urbani (il treno, il carcere, la violenza, l’alcoolismo, il sesso), la strumentazione si amplio` ad accogliere il pianoforte (lo strumento principe dei saloon e dei bordelli), la batteria e poi anche gli strumenti a fiato, e la parte melodica divenne sempre piu` spiccata. Le donne (Ma Rainey, Bessie Smith, Alberta Hunter) si affiancarono agli uomini (Charlie Patton, Robert Johnson, Blind Lemon Jefferson, Leadbelly) e quasi sempre li superarono in termini di successo. Il blues ebbe l’importante effetto di dimostrare alle case discografiche (al grande capitale) che la musica degli Afro-Americani (poco elegantemente ribattezzata “race music”) era una potenziale fonte di profitti. Le case discografiche investirono nei talenti Afro-Americani e favorirono l’evoluzione del genere. Nel giro di pochi decenni, il blues figlio` il jazz, il boogie, il gospel, il soul. Negli anni ‘50 il blues si arricchi` della drammaticita` del cantante gospel, dell’istrionismo del varieta`, di un pesante tempo “jump” e dei serrati riffs di ance/ottoni delle orchestre swing; si elettrifico` (in particolare a Chicago per opera di Muddy Waters, Elmore James, Howling Wolf, e a Detroit con John Lee Hooker), diventando “rhythm’n’blues”, e si divise in diverse scuole geografiche: Kansas City (Joe Turner), Memphis (Ike Turner, B.B. King), Los Angeles (TBone Walker) New Orleans (Fats Domino). E, alla fine, si trasformo` in un altro genere musicale, il rock’n’roll, che altro non era se non rhythm’n’blues per il pubblico bianco.
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