Ab urbe condonata, Claudia Ferrannini

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POLITECNICO DI TORINO Dipartimento Interateneo di Scienze, Progetto e Politiche del Territorio (DIST)

Corso di Laurea Magistrale in Architettura Costruzione CittĂ

Tesi di Laurea Magistrale: Esplorare i territori italiani dell’abusivismo: prospettive per la ricerca Elaborati grafici e allegati Relatore: Prof.ssa Francesca Governa Candidato: Claudia Ferrannini, s210837

A.A. 2015/2016



A Celeste.



premessa

Premessa. 1.Visioni 2.Sezioni 3.Riferimenti

Prima parte. Superare le grandi narrazioni 1.1. 1.2. 1.3. 1.4.

Pratiche abitative autonome La sregolazione come alibi Autocostruzione e autogoverno L’abuso diffuso In mostra 1.5. Ecomostri 1.6. Città abusive 2. Politiche, Politici. 2.1 Reati edilizi 2.2. Tentativi riformisti 2.3. Controriforme 2.4. Il paese condonato “Padroni in casa propria” 2.5. PPTR in Puglia. Pratiche d’innovazione progettuale. 2.6. La Procura, il deus ex-machina.

Seconda parte. Abusivismi in-contemporaneo.

3.1. Introduzione 3.2 Quadro teorico 4. La Riserva Natura della Feniglia,Monte Argentario (Grosseto) 4.1 I maicontenti della Feniglia. 4.2 Un territorio in crisi (da villeggiatura) 4.3 Osservazioni. 5. Marsala (Trapani) 5.1 Il tessuto urbano: come prima, più di prima. 5.2 Vecchie/giovani bugie. 5.3 Osservazioni. 6. Note conclusive. 6.1. Situazioni contraddittorie. 6.2. Quello che ancora non è stato detto.


premessa

Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi. Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Il gattopardo, 1958.

Premessa


premessa

Premessa 1.Visioni La complessità della questione abusivismo deriva dalla molteplicità d’immagini che il termine stesso richiama alla nostra mente, immagini che portano ad assumere dei simboli come sintesi di una realtà più complessa.Io stessa sono stata sopraffatta da questi simboli durante un viaggio iniziato dalla mia città in Toscana sino alla punta orientale della Sicilia. L’itinerario ha toccato una buona parte della costa occidentale italiana, una linea visiva lungo la direttrice stradale che si articola su molteplici paesaggi urbani, una coralità di cornici che affacciate sull’orizzonte marino. Su questo sfondo in continuo movimento ciò che ha catturato il mio sguardo in particolare sono state delle gabbie nel paesaggio che a intermittenza compaiono e scompaiono, sorelle di una grande famiglia di urbanizzazioni moderne cui il nostro sguardo è ormai assuefatto. Partendo da queste suggestioni è nata una riflessione più generale sull’abusivismo e sulle forme materiali e immateriali che esso assume – e ha assunto – nel tempo.La prima parte della tesi tratta la molteplicità delle interpretazioni del fenomeno, che nonostante il passare degli anni, hanno mantenuto l’ago della bilancia puntato sulla condanna, o sulla giustificazione. La ricerca e gli studi degli ultimi trent’anni hanno adottato chiavi interpretative focalizzate sull’uno o l’altro aspetto del fenomeno abusivo, tendendo a prendere una parte per il tutto. Certamente l’abusivismo si è manifestato in momenti di crisi (Berdini, 2010), ma anche entro quadri geopolitici ed economici differenziati, relativi alle grandi stagioni di urbanizzazione, spalmando su tutto il territorio nazionale piccoli e grandi abusi.

Le principali narrazioni sull’abusivismo ne hanno fatto una metafora assoluta, sintesi anche di una lettura del territorio particolaristica, più incline alla conservazione che all’innovazione (Purini, 1994).


premessa


premessa

2.Sezioni Sulle pratiche abusive/trasgressive, urbanisti, sociologi e architetti si sono tendenzialmente schierati dalla parte di chi era escluso o marginalizzato, o hanno denunciato chi aveva troppo potere. Le vicende politiche della storia repubblicana italiana hanno fatto emergere – e infine istituzionalizzato (Crosta, 1985) – l’abusivismo come modalità diffusa di intervento nel territorio, che accompagna frequentemente ambienti urbani, agricoli e turistici. Pertanto il problema delle interpretazioni passate dell’abusivismo consiste nel non riconoscere il sistema di relazioni sotteso alla catena abusiva (Coppo e Cremaschi, 1994), tra cui la corresponsabilità tra le istituzioni e la popolazione. Con l’obiettivo di superare le grandi narrazioni sull’abusivismo, la prima parte di questa tesi è una retrospettiva del processo di evoluzione delle iniziative abusive. Il funzionamento di queste pratiche ha progressivamente compensato funzioni altrimenti di competenze del settore edilizio e al mercato ufficiale delle abitazioni, dal momento che spesso il presupposto comune dell’azione abusiva è la sofferenza del mercato (Secchi, 1984). Dall’immagine tradizionale dell’abusivismo di necessità, inteso come unica alternativa per accedere a un’abitazione (Berlinguer e Della Seta, 1960), emerge la speculazione edilizia, come sintomo di una trasgressione sistematica delle regole da parte delle imprese edili (Insolera,1962). D’altra parte anche le seconde case e la costituzione delle “città abusive” possono essere viste come effetti tangibili delle dinamiche economiche complesse che hanno caratterizzato la storia repubblicana italiana (Ferracuti e Marcelloni, 1982).

L’abusivismo però non è solo un fenomeno di superficie del sistema fondiario: difatti nella trasformazione del territorio influisce anche il sistema parzialmente amministrato di regolazione (Coppo e Cremaschi, 1994). Roma emerge come l’esempio emblematico di abusivismo come modo per fare città, ma nella fattispecie il fenomeno si è diffuso dappertutto: tra città grandi e piccole, sulle coste e a valle, sulle montagne. Ovvero dove e quando la città, dall’identità sfuggevole, ha concesso all’abusivismo di mescolarsi, tra le altre differenze delle realtà urbane contemporanee.


premessa


premessa

3.Riferimenti La prima parte del lavoro è una retrospettiva a partire dagli Anni Sessanta delle trasformazioni italiane e delle interpretazioni dell’abusivismo, ricostruita attraverso la bibliografia di riferimento e la cronaca nazionale del tempo. Per la parte riguardante le politiche ho fatto un’analisi delle norme urbanistiche, illustrando gli aspetti salienti della loro evoluzione. I fatti politici provengono dai quotidiani nazionali e locali, le leggi dalla Gazzetta Ufficiale, per le quali le interpretazioni dei testi sono il frutto di uno studio personale. Per il lavoro sul campo, ho adottato un metodo d’indagine,in coerenza con la prospettiva iniziale di individuazione del concorso di colpa tra abusivi e istituzioni. Di conseguenza il materiale che più si presta a tale proposito sono le sentenze e i documenti istituzionali, che nel caso della Feniglia mi sono stati forniti. Nel caso siciliano la cartografia di riferimento e dati verificati sull’abusivismo sono stati raccolti sul campo: colmare il vuoto creato dalla controbibliografia è stato possibile solo grazie al sopralluogo, all’esplorazione e all’interazione con gli abitanti di Marsala. L’approccio spaziale si è rivelato necessario sia per il caso siciliano che per quello toscano, per motivi che verranno chiariti in seguito. Le elaborazioni grafiche restituiscono una suggestione della realtà da me percepita ed esplorata nei limiti delle mie possibilità; pertanto la struttura e l’editing delle note nella ricerca tentano di colmare i vuoti descrittivi il più possibile. In entrambi i casi-studio, le interviste, i commenti e le posizioni sono riportati in maniera testuale e fedele, con tanto di nominativi dei responsabili coinvolti in processi di

abusivismo. Questa mia scelta non mira alla denuncia, ma a tentare di fare una ricostruzione quanto più veritiera possibile dei fatti. Le descrizioni tipologiche degli abusi nel caso siciliano (emerse spontaneamente durante la permanenza a Marsala) assumono un tono ironico, frutto di un’ipotesi (formulata personalmente) di comportamento degli abusivi. Nel caso toscano, invece, la posizione dell’amministrazione comunale risulta da corrispondenza telematica, le proteste e le asserzioni degli abusivi della Feniglia provengono da una piattaforma pubblica (social media), pertanto mi sono sentita autorizzata a trattare in maniera testuale il materiale entro la ricerca. Su queste evidenze, e a seguito dell’esplorazione, è stato necessario adoperare altri strumenti per analizzare le questioni emerse. Il sistema complesso di relazioni sottese alle trasformazioni abusive affonda le sue radici entro strumenti legislativi, normative e anche strutture sociali ed economiche differenziate. Sono quindi momenti di rottura di schemi precomposti, sono situazioni più o meno impreviste, talvolta accettate, ma anche condannate. Ed è proprio su queste contraddizioni che questa ricerca si concentra. Grazie alla giustapposizione dei riferimenti e delle fonti, è stato possibile costruire la struttura dei dati riguardanti ciascun caso di studio, secondo un sistema di ricerca che riuscisse a sintetizzare dati istituzionali ed elaborazioni grafiche, e un quadro più generale della dimensione territoriale degli spazi dell’indagine.


premessa

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TESI I

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A DOCUMENTI ISTITUZIONALI

PIANI REGOLATORI

LEGGI NAZIONALI

DOCUMENTI ICONOGRAFICI

PIANI PAESAGGISTICI

LEGGI REGIONALI


premessa


prima parte

La solitudine non è mai con voi; è sempre senza di voi, e soltanto possibile con un estraneo attorno: luogo o persona che sia , che del tutto vi ignorino, che del tutto voi ignoriate, così che la vostra volontà e il vostro sentimento restino sospesi e smarriti in un’incertezza angosciosa e, cessando ogni affermazione di voi, cessi l’intimità stessa della vostra coscienza. La vera solitudine è in un luogo che vive per sé e che per voi non ha né traccia né voce, e dove dunque l’estraneo siete voi. Luigi Pirandello, Uno,nessuno, centomila, pubblicato nel 1925.

Prima Parte


superare le grandi narrazioni

1. Superare le grandi narrazioni. 1.1 Pratiche abitative autonome L’acquisizione autonoma dell’abitazione è una pratica sociale che attira l’attenzione di molti sociologi italiani, soprattutto dopo la pubblicazione dell’inchiesta sulla povertà nel 1953. Ed è proprio negli anni Sessanta che si accende il dibattito sul diritto alla casa in ragione di alcune gravi condizioni abitative del popolo italiano; in particolare Roma diventerà il teatro delle polemiche sulle condizioni abitative dei baraccati. Quasi in centomila abitano nelle baracche cresciute spontaneamente nell’Agro in situazioni di sovraffollamento e carenza di igiene. L’abitare informale è però una condizione comune ad altre città italiane: ad esempio, si scrive di Milano e le sue coree, ma si ritraggono anche i volti degli abitanti dei Sassi di Matera, così attivando l’interesse della giovane sociologia italiana. Anche il cinema, il giornalismo e la fotografia si interessano agli effetti della grande trasformazione economica del paese, osservando quello che sta accadendo nelle città. Infatti, se da una parte c’è un’Italia che vive in difficoltà, dall’altra viene trasmesso il volto di un paese benestante: la realtà delle trasformazioni dell’epoca del boom economico è fatta delle stesse immagini che il paese si trovò ad avere o cercò di darsi (Crainz, 1996, p.89). Si va consolidando un modello di sviluppo fondato su strategie di promozione sociale e su modelli acquisitivi individuali o familiari. Il mondo agricolo si rivoluziona grazie all’istituzione dell’ente di Riforma Agraria e con la Cassa del Mezzogiorno (1952). Oltre a essere incentivi di natura economica, a livello simbolico questi programmi non sono altro che la proiezione dello Stato nel territorio, che mette a disposizione

per la società rurale un futuro basato sulla proprietà privata. Un esempio è la gestione dei latifondi nell’Italia centrale e nel Mezzogiorno. Nelle città, invece, l’industrializzazione (nel Nord) e la conseguente espansione urbana provocano grandi movimenti demografici, dal Mezzogiorno al Nord e all’estero. In quegli anni tutte le maggiori città italiane (Milano, Torino, Genova, Bologna, Napoli) crescono in popolazione e si trasformano per riempire i vuoti creati dal secondo conflitto mondiale (Lanzani, 2003). La crescita esponenziale del tessuto urbano (per cui la sola regola valida era la ricostruzione) provoca contraccolpi, tra cui l’emergere dell’abusivismo per necessità.Roma in particolare diventa il fulcro del dibattito, con le sue borgate cresciute al di fuori dell’Agro: esse non sono che lo specchio di un controllo sociale voluto e tollerato dallo Stato. Le abitazioni improvvisate e malconce dei borgatari romani non di rado sono affittate dai più ricchi ai meridionali o a quegli stessi individui che la città razionale ha espulso. Con analisi sociologiche, gli urbanisti dell’epoca si scagliano contro le contraddizioni della società neourbana del dopoguerra e del boom economico. L’abusivismo spontaneo nella capitale è quindi un abusivismo di necessità, in cui la prassi autocostruttiva non è che un modo (spesso l’unico) di accedere a un’abitazione. Anche se la borgata è un’eredità di alloggiamento minimo realizzato dal regime fascista per i lavoratori romani residenti nei sobborghi,l’attenzione in questi anni si rivolge in particolare alle condizioni di vita dei “borgatari”– meridionali e romani – e alla distanza sociale che li separa dalla società neourbana.


prima parte

Fonte: Clementi e Perego, 1980.

Fonte: Clementi e Perego, 1980.

Borgate e abitazioni di lusso a Roma sono la normalità se la crescita urbana è subordinata alle attese di valorizzazione fondiaria. Il mercato edilizio in mano alle imprese private lascia scoperto il fabbisogno abitativo della quota povera di popolazione: è la logica di produzione capitalista che manifestandosi nell’urbano pone in condizione di marginalità i più poveri.


superare le grandi narrazioni

Fonte: L’Unità,1978.

Fonte: L’Unità,1978.

In particolare Berlinguer e Della Seta (1960) pongono lo Stato come potenziale riequilibratore delle asimmetrie prodotte dagli interessi privatistici e denunciano gli effetti della logica capitalistica, che accentua le distanze sociali. L’abusivismo è quindi solo un sintomo dei tanti “mali della città”. Ferrarotti (1970) criticherà questo punto di vista, sottolineando l’importanza della natura sociale complessa dei borgatari romani, ampiamente raccontata mediante indagini sul campo e questionari.


prima parte

Fonte: Le mani sulla città,Francesco Rosi, 1963,pellicola 35mm,105 min,b/n.

1.2 La sregolazione come alibi. Se da una parte c’era un’Italia che lottava per il accedere a un’abitazione, dall’altra la nascente società urbana ostentava benessere (secondo l’ISTAT, il decennio 1962-1971 è stato quello più produttivo, con circa 3.350.000 unità abitative costruite e gestite da aziende medio-grandi del settore). Le città alle porte degli Anni Settanta cominciano a perdere popolazione. Gli italiani non emigrano più all’estero, ma si muovono per tutto il Paese (almeno 10.000.000 veicoli secondo l’ISTAT). Dopo il periodo della crisi petrolifera, l’economia italiana decolla grazie alle economie distrettuali (piccole-medie imprese) il territorio è costellato di oggetti che narrano il proprio status in forme residenziali, produttive, residenziali o di promozione pubblica. Le urbanizzazioni in questi anni si diffondono in tutto il territorio, frequentemente prediligendo le coste, sulle quali sorgono numerose abitazioni secondarie e strutture turistiche. Simbolo di lusso e potere economico, l’edificazione turistica selvaggia invade le linee costiere di pregio paesistico: la Costiera Amalfitana, la costiera Sorrentina, il litorale barese e le coste liguri e adriatiche sono esempi famosi di paesaggi invasi dal cemento. Tutte le città italiane conoscono un vistoso sviluppo edilizio: urge ricostruire ciò che la guerra ha distrutto, possibilmente con qualche “aggiunta”. Il modello edilizio ha altissimi indici fondiari, con altezza tra i cinque e i dieci piani, collocato sul filo della strada o arretrato nel caso degli edifici realizzati secondo il piano Ina Casa (Lanzani, 2003). I palazzi si alzano di quattro o cinque piani in più rispetto dal progetto originario, con l’assenso (senza silenzio) delle amministrazioni.


superare le grandi narrazioni

La cosa più importante non solo per i costruttori è costruire (più velocemente possibile e quanto più possibile) alloggi che forniscano comfort e standard abitativi per il ceto medio-borghese. Di conseguenza cambia la forma delle città, che escono dalle mura impiantando oggetti dal carattere estraneo: la logica capitalista sta prendendo il sopravvento manipolando il tessuto urbano. La città che si piega alle esigenze di espansione e privilegia l’interesse privatistico non risolve il problema dei baraccamenti, ma si limita a delocalizzarli laddove l’espansione urbana ancora non è arrivata (Insolera, 1962). La speculazione edilizia e immobiliare è ancora una pratica ben radicata nel nostro paese, e oggi come allora il processo speculativo non è che l’esito del rapporto colluso tra imprese costruttive e pubblica amministrazione. E’ noto come il processo speculativo sia l’esito di un accordo tra organi amministrativi e i promotori edilizi che sfruttano la rendita fondiaria di un terreno.Per i disegni progressisti degli urbanisti dell’epoca lasciare la crescita urbana in mano agli speculatori immobiliari è inaccettabile. Le trasformazioni fisiche in atto nelle città sono lo specchio della trasgressione delle regole in ragione d’interessi privatistici e non collettivi. Di fatto, il protrarsi nel tempo delle pratiche costruttive ha spostato i confini della normalità: ciò rende relativo il carattere di trasgressione delle pratiche stesse poiché esse vengono a dipendere dalle relazioni con il sistema politico, il sistema edilizio e l’impianto normativo (Coppo e Cremaschi, 1994).

La città subordinata al capitale è una città che premia i ricchi costruttori che costruiscono ove per loro è più conveniente, dove i costi di edificazione sono più bassi, perché un giorno varranno una fortuna. L’atteggiamento di condanna da parte degli urbanisti è piuttosto sintomo del fallimento delle loro aspettative di progresso (Ferracuti e Marcelloni, 1982) nonché di una mancata occasione per affrontare la questione con rinnovata attenzione. Il vistoso processo speculativo degli Anni Sessanta e Settanta induce gli urbanisti ad esprimersi in termini di denuncia, piuttosto che interrogarsi sull’effettiva validità dei propri modelli concettuali e operativi (Secchi, 1984). Nasce un vero e proprio gergo relativo ai processi speculativi, utilizzato dagli urbanisti dell’epoca per denunciare la figura dello speculatore e del lottizzatore abusivo, il quale “può impunemente deturpare la città, distruggere le coste, manomettere il paesaggio [...] senza pagare di persona e senza rispondere dei pubblici poteri” (De Lucia, 1989).


prima parte

©Eva Lewitus,1963, scanned film.

1.3 Autocostruzione L’immagine dell’autocostruzione come patologia sociale non risulta più concreta e attendibile: nel senso inteso da Turner e Fichter (1979), la prassi autocostruttiva è simbolo di potenziale autogoverno nella società, connessa perciò alla sfera dell’autonomia. L’autoproduzione del bene immobile si attua nel momento in cui non vi sono alternative offerte dallo Stato per domande provenienti da precisi settori. Forme sociali ed economiche tradizionali risultano determinanti al mantenimento del processo economico. Questo riguarda tutto ciò che è sommerso: autocostruzione e doppio lavoro assumono una funzione di contenimento dei costi (risparmio) e di costruzione di valore d’uso. L’approccio funzionalista interpreta l’abusivismo come pratica sociale, che sistematicamente mantiene i rapporti sociali esistenti. Lo studio dell’architetto inglese John Charlewood Turner del 1963 e il successivo, condotto nel 1972 con Robert Fichter, rappresentano delle pietre miliari nel campo della ricerca sull’architettura spontanea e sugli insediamenti informali. La posizione teorica di Turner lamenta l’inadeguatezza della fornitura degli alloggi data dal governo peruviano, criticando l’approccio ufficiale applicato a tali realtà, considerate un male da estirpare. Turner rivaluta le “barriadas” autocostruite e ne riconosce il carattere creativo e di potenziale autogoverno. Turner ritiene che il Nord del mondo abbia molto da imparare dalle esperienze dei paesi in via di sviluppo e che lo Stato dovrebbe promuovere e coordinare l’autocostruzione (Turner, 1980).


Sul filone di Turner, emergono in Italia alcune ricerche sulla pratica autocostruttiva, in particolare nel Mezzogiorno. Il riferimento è alla ricerca di Giuseppe Fera e Nella Ginatempo (1985), secondo la quale si definisce l’autocostruzione illegale e spontanea come un fenomeno che si verifica laddove il mercato edilizio legale è assente o non è in grado di rispondere alla domanda sociale a causa di spinte inflazionistiche interne. Gli autori osservano che in Sicilia la struttura produttiva dell’edilizia sommersa agisce come camera di compensazione, includendo sia l’abusivismo d’impresa legato al mercato immobiliare sia le forme di autopromozione edilizia e di autocostruzione. Sulla base delle loro indagini, Fera e Ginatempo operano una distinzione tra chi possiede un terreno e edifica direttamente in base ai bisogni e senza autorizzazione indipendentemente dall’edificabilità e chi, invece, deve cercarsi un terreno per autocostruire o occupa abusivamente un suolo pubblico o si rivolge al sottomercato dei terreni (ad esempio quelli destinati a verde agricolo o a parco territoriale o a servizi, i quali vengono venduti a un prezzo intermedio tra quello delle aree edificabili e quello dei terreni agricoli. Queste pratiche sarebbero quindi una dimensione del processo di riproduzione complessivo dell’abusivismo, visto come espressione dei rapporti sociali di una data formazione economica e territoriale. Dalla prospettiva delle trasformazioni territoriali, le stesse pratiche rappresentano invece le molteplici modalità attraverso cui l’abusivismo ha avuto modo di riprodursi ed estendersi.

©Eva Lewitus,1963, scanned film.

superare le grandi narrazioni


prima parte

La prassi autocostruttiva in queste analisi è definita come specifica forma di abusivismo di necessità: gli autori ritengono che presenti in modo più forte e pressante l’aspetto del bisogno sociale collegato alla netta prevalenza del valore d’uso rispetto al valore di scambio perché implica la partecipazione diretta dell’utente nella realizzazione della casa. Fera e Ginatempo affermano che il motivo per cui queste pratiche fanno dell’abusivismo la sua condizione di sopravvivenza risieda innanzitutto nell’incapacità degli enti locali di applicare le norme del quadro legislativo dato che il tipo d’impresa economica, ente locale e struttura socioeconomica ipotizzati dai contenuti di legge non corrispondono alla realtà. Tuttavia, le ragioni dell’abusivismo (e dell’autocostruzione) non possono essere ricondotte solo alla formulazione inappropriata delle leggi di regolamentazione dei suoli o allo scarsità degli strumenti di governo del territorio, per altro in quegli anni ancora allo stato embrionale nel Mezzogiorno. L’autocostruzione secondo il mito del potenziale autogoverno nelle società (Turner e Fichter, 1979) non dovrebbe essere una soluzione efficiente per i bisogni di una popolazione (quella meridionale in questo caso) per due ragioni. Innanzitutto perché, nel caso del territorio meridionale il modello di rapporti sotteso dall’esperienza autocostruttiva è regressivo in quanto espressione di “tensioni di riflusso nel privato, individualismo, di disgregazione sociale, di assenza della dimensione collettiva” (Ginatempo, 1982, p.133).

In secondo luogo, dal momento che il settore edilizio è frammentato e arretrato nei sistemi costruttivi, il cantiere si esaurisce nella villetta abusiva in insediamenti che vogliono essere urbani, ma di fatto si presentano come tessuti incompleti, mancanti di strade, servizi, spazi collettivi, che abusano non solo del suolo ma anche delle risorse naturali cui si aggrappano per sopravvivere (Zanfi, 2008). Queste ricerche hanno comunque il pregio di tenere unite le dimensioni delle pratiche sociali e delle economie edilizie, con particolare attenzione a tutto ciò che è sommerso e ai legami che intercorrono tra gli attori che prendono parte ai processi di trasformazione abusiva. Ritorna in tema di autocostruzione il processo di legittimazione tramite l’acquisizione autonoma dell’abitazione, determinata dalla partecipazione diretta dell’utente nella realizzazione. In particolare, negli anni Settanta si presterà attenzione alle caratteristiche strutturali dei processi di autocostruzione abusiva, sulla scia delle innovazioni portate dalla ricerca di Turner e Fichter (1972). Gli studiosi difendono la prassi autocostruttiva in quanto simbolo di capacità di autogoverno, di partecipazione estesa a un più corretto utilizzo delle risorse, e di garanzia di ambiente e spazio più adeguati alle esigenze degli utenti: “Quando gli utenti controllano le decisioni principali e sono liberi di dare il loro contributo alla progettazione, costruzione e gestione del loro alloggio, sia il processo che l’ambiente prodotto stimolano il benessere individuale e sociale (Turner e Fichter, 1979, p.329).


superare le grandi narrazioni

Tanto la difesa quanto la condanna dell’autocostruzione soffrono di un’eccessiva ideologizzazione della pratica. Il giudizio positivo della posizione di Turner non tiene conto del contesto in cui nasce l’autocostruzione: essa è il risultato di una serie complessa di trasformazioni che riguardano processi economici e sociali, i fatti urbani e le politiche per la casa, movimenti culturali e idee (Fera e Ginatempo, 1985, p.141-142). Il significato dell’autocostruzione è da valutare all’interno di un quadro territoriale, economico e sociale, come sono da valutare i meccanismi e le procedure attraverso le quali si attua. Nel caso italiano della ricerca di Fera e Ginatempo (1985), le aree abusive del Mezzogiorno autocostruite non sono affatto caratterizzate da strutture leggere o tecnologie reversibili e sostenibili cui faceva riferimento Turner: l’abusivismo autocostruito ha devastato interi paesaggi costieri e periurbani con colate di cemento, differenziandosi di poco dall’edilizia proposta dalle imprese. Una legislazione ad hoc per gli autopromotori-autocostruttori non può essere una soluzione efficace per arginare il fenomeno dell’abusivismo; rimarrebbe un esercizio di stile ben illustrato in manuali fai-da-te. L’autocostruzione oggi (come negli anni Settanta) è una pratica prevalentemente simbolica e autoreferenziale, come dimostrato dal fatto che in numerose università italiane studenti realizzino strutture negli spazi comuni: sono momenti ludici durante i quali ci si riunisce per realizzare strutture leggere, in legno o in bambù, da destinare a spazi didattici, le quali il più delle volte sembrano monumenti o sculture artistiche. Nella pratica l’autocostruzione rappresenta una soluzione po-

tenzialmente innovativa ma applicabile solo puntualmente; come politica di governo dell’abusivismo edilizio è piuttosto ininfluente perché trascura le complesse questioni socio-economiche dell’abusivismo in un dato territorio.


prima parte

LA METROPOLI SPONTANEA. IL CASO DI ROMA

a cura di: Alberto Clementi e Francesco Perego

Il dibattito sull’abusivismo dei primi anni Ottanta vede consolidarsi le posizioni teoriche basate sul necessità/speculazione ma vede nascere una nuova immagine che descrive il processo spontaneo di crescita urbana. Il riferimento è alla mostra del 1983 curata da Alberto Clementi e Francesco Perego ‘La metropoli spontanea’: gli autori descrivono le periferie abusive romane attraverso immagini, descrizioni e analisi dei processi generativi del fenomeno. Al FDVR URPDQR VRQR DI‫ۋ‬DQFDWL XQGLFL FDVL VWXGLR LQternazionali, dal Maghreb all’America Latina, sulla città informale. Seguì il convegno ‘Abitazione e Politiche urbane nei paesi in via di sviluppo. Esperienze nell’area mediterranea e nell’America Latina’ (in Clementi e Ramirez, 1985). Le analogie con gli altri paesi in via di sviluppo proposte dagli autori lasciano trasparire una continuità ideologica con i lavori di Turner del decennio precedente ma non appaio-

no completamente convincenti. Secondo Clementi e Perego, l’insorgere delle pratiche trasgressive e la diffusione dell’abusivismo hanno a che fare con lo VSHFL‫ۋ‬FR UXROR UHGLVWULEXWLYR VYROWR GDO VHWWRUH HGLlizio-fondiario nel processo di sviluppo economico, attraverso la crescita urbana e la manipolazione della domanda (ibid., p.77). In questo senso il piano urbanistico rappresenta la proiezione concreta dell’offerta su una dimensione territoriale: se è noto ciò che vuole la classe dominante, si conosce ciò che vuole la classe dominata.


Fonte: Clementi e Perego, 1980.

Fonte: Clementi e Perego, 1980.

superare le grandi narrazioni


prima parte

C. Merlini, 1999.

1.4 L’abuso spontaneo Con gli anni Ottanta si assiste a una moltiplicazione delle forme di urbanizzazione in territori meno edificati e abitati. Nascono le urbanizzazioni diffuse come esito di nuovi processi socio-economici: alle economie distrettuali si affiancano motori di crescita legati al settore turistico-residenziale e al terziario-commerciale. Dagli anni Ottanta in poi, la città esplode nel paesaggio: consumo di massa, nuovi modi di abitare, di divertirsi, di lavorare si manifestano laddove è possibile e conveniente. Si tratta di una metamorfosi che investe gli spazi dell’abitare (la villetta bifamiliare, a schiera, ma anche il villone o il rustico, l’appartamento in condominio, il duplex, e così via). Inoltre, proliferano nel paesaggio i grandi non-luoghi del commercio (supermercati, outlet, megastore) e i luoghi del divertimento (discoteche, parchi acquatici, parchi a tema, ecc.). Il quadro dell’Italia degli anni Ottanta è un mosaico di spazi, ciascuno dei quali esprime il proprio carattere postmoderno.Questa strategia di mobilitazione individualistica nell’economia e nella società italiana accompagna un periodo di fai-da-te diffuso: chi dispone di una qualche sorta di capitale punta a trovare un modo di partecipare ai benefici che il sistema può distribuire (Secchi, 1994). L’organizzazione spaziale che prende forma in questi anni è esito di un concorso di fattori diversi ai quali è associato il concetto della città diffusa (Indovina, 2002). In ambito produttivo le principali tendenze consistono in un generale abbandono dell’attività agricola in aree da destinarsi a usi alternativi, con sostanziali modifiche nei processi produttivi.


superare le grandi narrazioni

accedere al mercato immobiliare (Tosi, 1982, introd.)Lo sviluppo economico degli anni precedenti rappresenta quindi la premessa dell’ondata di urbanizzazione che coinvolge molti territori periurbani e costieri italiani.

bestversilia.com,2012.

A questa dinamica è associato un generale incremento di disponibilità economiche, che implica mutamenti sia negli stili di vita (delle cento città e delle cento campagne), che nei modelli di abitare tradizionali(Indovina, 2009, p.22). Da una parte le maggiori città italiane (Torino, Milano, Genova, Roma, Napoli) avviano attività di riuso di spazi industriali e di micro-sostituzione del tessuto edilizio della città “storica”: per esempio a Milano e Roma si rinnovano le aree centrali, mentre a Genova e Napoli si realizzano nuove zone (Lanzani, 2003). La città consolidata mantiene il “suo ruolo di centro propulsore della cultura, dell’economia e dell’amministrazione” (Indovina, p.27) e attiva trasformazioni materiali e immateriali come l’innalzamento dei costi – di vita, delle aree, delle abitazioni e degli affitti. Sono i meccanismi di rendita fondiaria urbana a spingere tanti italiani, imprenditori e non, a localizzare altrove nuovi spazi (di produzione, abitazione, intrattenimento e tempo libero). Il più delle volte ciò accade in vaste aree agricole (latifondi) o aree vuote, che il piano regolatore aveva destinato a standard urbanistici di qualche piano di fabbricazione (Bianchetti, 2003, p.28). Di conseguenza il mercato edilizio decolla: secondo l’Istat, tra il 1981 e il 1991 sono realizzate 3.681.000 nuove abitazioni, di cui 1.088.000 unifamiliari. A questa espansione si accompagna un incremento della proprietà privata: l’accesso al mercato privato per l’acquisto di un bene immobile è diventato possibile per una fascia sempre più ristretta della domanda, mentre la proprietà di una casa è uno dei requisiti più importanti per l’acquisto perché la sua vendita diventa consente di


P. Portoghesi, 1982.

prima parte

Su questo sfondo, maturano nuove forme di abusivismo, sfociando spesso in vere e proprie urbanizzazioni. L’abusivismo si ufficializza come modalità di trasformazione del territorio,per parti di esso diventa la modalità prevalente di intervento, in particolare nel Mezzogiorno. Un esempio di pratica anomala di urbanizzazione è lo studio del sociologo Enzo Nocifora del 1994 La città inesistente. Seconda abitazione e abusivismo edilizio in Sicilia. L’autore riflette sul caso delle abitazioni rurali siciliane di metà anni Settanta soffermandosi su un tipo di anomalia abitativa che prevede soluzioni organizzate su due case e su due tipi di residenza,ricostruendo una serie di punti rilevanti su questo tema: (a) i legami con la famiglia e il paese di origine possono dar luogo a una varietà di relazioni tra le due residenze che mettono in discussione le relazioni tradizionali tra prima e seconda casa; (b) le abitazioni secondarie rurali in Sicilia di metà anni Settanta sono costruzioni in maggioranza abusive e autocostruite, hanno sempre grandi dimensioni, molto al di sopra delle effettive esigenze familiari. L’autore analizza le ragioni per questo paradosso: esigenza di affrancamento dall’”insicurezza storica” delle famiglie siciliane da una parte e di compattamento del nucleo familiare dall’altra. Perciò il carattere di “impresa familiare” che ha la costruzione in questi contesti rivela che l’abitazione secondaria non si definisce esclusivamente sulla base di una funzione ricreativa: se “quello che conta non è la quantità di tempo ma dove la famiglia ha le sue radici, dove hanno sede i processi di interazione sociale maggiormente significativi per la sua sopravvivenza e riproduzione” (Nocifora, 1994), allora altre funzioni devono essere esplicitate.


superare le grandi narrazioni

1.5 Ecomostri La struttura insediativa italiana muta nuovamente nel corso degli anni Novanta: l’Italia delle cento città e delle cento campagne – di cui tanto si è parlato nel decennio precedente – ha lasciato spazio all’Italia delle cento stanze. L’emergere di nuove culture dell’abitare, del lavoro, del turismo, del consumo sono fattori che trasformano le realtà urbane, rendendole sempre più incerte e frammentate (Clementi et al., 1996; Lanzani, 2003). La stessa incertezza viene percepita nei territori dell’abusivismo caratterizzati da un rapporto ambiguo con la vicina città (Bianchetti, 2003). Si tratta di edificazioni risalenti al decennio precedente, perlopiù composte da abitazioni mono- o plurifamiliari, rifugio turistico d’estate (nelle città di mare) o quartieri urbani d’inverno. I fattori alla base di queste situazioni sono ormai noti: laddove c’è la possibilità di accedere al benessere, in barba alle istituzioni (se ci sono) e agli standard urbanistici, l’abusivismo si qualifica come modalità prevalente di insediamento. Due le ragioni.Dal momento che la vicina città ha già deciso dove metterà i propri servizi, l’edificazione abusiva è legittimata. Non si tratta però di solo individualismo, ma di un’azione collettiva implicita che porta a conquistare il diritto alla seconda casa abusiva, ponendo in secondo piano la perennemente irrisolta questione del diritto alla casa. Secondo, alla costruzione di questo stereotipo hanno partecipato in larga parte anche i quotidiani e i media, diffondendo statistiche nazionali, regionali o locali (a seconda della politica editoriale). I dati e le informazioni infatti si diffondono sistematicamente in concomitanza con l’emanazione di condoni o a seguito di una catastrofe ambientale.

In questo quadro, chi ha saputo fare di tutte queste denunce il proprio cavallo di battaglia sono state soprattutto le associazioni ambientaliste. Negli anni Novanta, infatti, Legambiente conia l’immagine stereotipica dell’ecomostro, riferita a costruzioni che danneggiano le bellezze naturali e paesistiche (case sui litorali ma anche residence di lusso, megastore, ecc.) e sono simbolo di illegalità diffusa e abuso del suolo. Inoltre, l’ecomostro porta con sé anche elementi di rischio antropico quali il dissesto idrogeologico o la scarsa qualità dell’edificato, che fanno il paio con le infiltrazioni mafiose nel ciclo del cemento. Lo stereotipo mediatico dell’ecomostro si fa così specchio di una realtà illegale, fatta del vecchio abusivismo che ha devastato le coste (Legambiente, 2014) e di ecomafie che gestiscono nel territorio il ciclo del cemento sfruttando lavoratori in nero in cantieri in cui il livello di sicurezza è praticamente nullo (ibid., p.9). Secondo questa linea interpretativa il deterrente del nuovo abusivismo è il ripristino della legalità nel territorio, possibile solo attraverso l’abbattimento degli edifici illegali. Sono questi i temi forti di Legambiente Italia – attiva nella maggior parte delle città italiane – nella campagna di sensibilizzazione (MareMonstrum, Abbatti l’abuso) che diffonde dati dell’istituto CRESME sull’abusivismo. La questione del nuovo abusivismo legato al dilagare delle seconde case arriva alla ribalta mediatica con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica alla salvaguardia dell’ambiente e al ripristino della legalità nel territorio e con l’invito ai cittadini ad agire partecipando alle denunce.


Blasting work. youtube.com, 17 Febbraio 2016.

prima parte


superare le grandi narrazioni

In altre parole, non tutto l’abusivismo deriva dalla violazione di regole e procedure: spesso le contraddizioni sono il frutto di una mancata chiarezza descrittiva delle procedure di condono e sanatoria (Zanfi, 2015). Inoltre, Legambiente ritiene che l’abusivismo di necessità sia l’alibi dietro cui i proprietari delle seconde case si nascondono per evitare lo sgombero, oltre che la tassazione (Legambiente 2007, 2008, 2014).

fancityacireale.it, 15 Aprile 2015.

Il primo problema interpretativo di questa posizione consiste nel credere che il cuore del problema dell’abusivismo consista nella presenza di questa o quella villa abusiva sulle coste, per la quale l’unica soluzione è la demolizione. In questo senso, l’ecomostro fa da schermo ad una realtà che è molto più pervasiva e che continua a crescere e occupare quote sempre maggiori del mercato edilizio nazionale. Inoltre l’ecomostro viene abbattuto solo dopo lunghe battaglie politiche tra le amministrazioni locali, le associazioni ambientaliste e i privati coinvolti, che non sempre si concludono con risultati positivi. Un elemento di ulteriore confusione è dato dall’assunto che l’abusivismo sia un fattore di rischio antropico laddove mette a repentaglio non solo l’incolumità delle persone (dissesto idrogeologico e sismico) ma anche l’integrità identitaria dei luoghi (Ippolito, 2003). L’abusivismo in territori fragili dal punto di vista geologico è un’aggravante, ma non l’unica: anche la pressione insediativa, turistica e infrastrutturale, sono fattori di rischio per tutti i territori, dai più ai meno fragili. Per ciascuno di questi ambiti sono ora disponibili strumenti di valutazione d’impatto ambientale, utili per quanto imprecisi. Inoltre, spesso sottesi a queste dinamiche sono interessi economici o politici che vanno al di là delle competenze o del poteri delle amministrazioni locali. Su questo fronte si battono le associazioni attiviste, che si impegnano a diffondere una coscienza civica nei confronti delle grandi trasformazioni in atto nel nostro Paese, spesso vendute come trasformazioni necessarie al progresso.


pizzosellartvillage/facebook.com, 2014.

prima parte

Sono molte le situazioni abusive frutto di assenza di alternative abitative, come nel caso del litorale Domitio e delle città dell’entroterra campano (alcuni esempi: la città di Castel Volturno in cui si stanno concentrando quote crescenti di popolazioni provenienti dall’Africa Centrale; o gli abusivi di Casal di Principe, che vivono in condizioni più che ai limiti della legalità ai limiti dell’umano). Questi esempi sono riportati per far emergere le latenti potenzialità dell’eredità abusiva, dal punto di vista dell’uso degli spazi. L’eredità fisica dell’abusivismo non include solo la tipologia degli ecomostri, che il più delle volte sono edifici vuoti o abbandonati, oppure confiscati e sequestrati.Ed è proprio qui che avvengono nuove pratiche di colonizzazione, non solo frutto di una necessità abitativa, ma anche di riappropriazione di altro genere. Questo esempio, come altri, visti più da vicino, fanno parte della complessa realtà abusiva italiana, percui un edificio o un complesso residenziale assumono tutto un altro valore se si guarda a ciò che vi accade dentro. Inoltre spesso le demolizioni tardano ad arrivare, proprio perchè all’interno di questi spazi, per quanto degradati e pericolanti, scorre della vita, delle relazioni, delle idee, e delle speranze. In definitiva, un approccio prettamente legalistico e l’idea che un pacchetto di regole e vincoli uguali per tutti siano la soluzione definitiva all’abusivismo rischiano di appiattire una questione complessa alla sola sfera giuridico-amministrativa. La demolizione dei fabbricati abusivi ha un grande valore simbolico prontamente spettacolarizzato dai media, ma se le dinamiche che stanno alla base del processo di riproduzione, sociale, politico e edilizio, del fenomeno non mostrano una qualche inversione di marcia, l’abbattimento rimane una “vox clamantis in deserto”.


superare le grandi narrazioni

1.6 Città abusive L’Autore fa un’interessante ricostruzione della proliferazione di sei tessuti abusivi secondo (Sei processi collaterali. Tarmatura, Infiltrazione, Erosione, Densificazione, Saturazione), utilizzando una terminologia che evoca una generale sensazione di degrado, alimentata dallo sguardo fisso sulla dimensione del non-finito.

© Claudio Sabatino, 2010.

Recentemente la tematica dell’abusivismo è stata affrontata da nuovi punti di vista, più inclini all’esplorazione degli orizzonti possibili di trasformazione dell’eredità fisica accumulata in trent’anni di urbanizzazioni e condoni edilizi. I testi citati appartengono alla cultura pianificatoria (nel caso di Zanfi) e architettonica (nel caso di Licata) e rispondono a un impulso di ricerca maturato dopo una stagione di “silenzio disciplinare” da parte di sociologi, architetti, pianificatori e urbanisti. Il lavoro di Zanfi esplora gli orizzonti di azione pianificatoria possibili in ambito di abusivismo con una dettagliata analisi di processi di urbanizzazione abusiva in varie città italiane. La città abusiva quindi è l’espressione tangibile del fallimento delle politiche che dovevano risolvere l’abusivismo, ma anche dell’eredità delle stagioni di urbanizzazione di massa che hanno caratterizzato il nostro paese. In sintesi, essa è il versante grigio della città contemporanea che merita di essere preso di nuovo in considerazione innanzitutto perché coinvolge in prima persona gli specialisti della progettazione, i quali hanno precise responsabilità vista la loro posizione professionale. Essi infatti sono direttamente coinvolti quando nei loro uffici e tra le loro mani passano cartografie, rilievi, progetti (Zanfi, 2008, p.52). In questo senso, per Zanfi non occuparsi della città abusiva equivale a non assumersi le responsabilità di una posizione generalmente contraria ai condoni edilizi.Uno dei modi per poter riscattare la propria posizione professionale risiede nell’esercizio dei propri strumenti tecnici e di conoscenza riguardo gli aspetti più patologici della città abusiva.


© Claudio Sabatino, 2010.

prima parte

Pur fornendo ampi e interessanti spunti di riflessione sugli interventi possibili, questa posizione vede progetto e azione come urgenti per i luoghi abusivi: per renderli finalmente città, per “migliorarne la performance ecologica, la mobilità, la trama degli spazi collettivi”, e, quando necessario, per farla scomparire (Zanfi,2008, p.165).Sulle possibilità progettuali che offre la demolizione si concentra anche Licata in ‘Maifinito’ (2014) ma a una scala diversa, legata più all’abitazione che all’urbanistica. Posto che il progetto della demolizione è assai delicato, difficile almeno quanto la costruzione stessa; viceversa il mai-finito offre diverse possibilità progettuali. Le questioni su cui si concentra la ricerca fotografica condotta da Licata riguardano quindi il non-finito come spazio di possibilità, su una dimensione paesaggistica antropizzata a partire da regole di realizzazione legate al territorio.Entrambe le posizioni – di Zanfi e Licata – offrono un ventaglio progettuale, vasto e accattivante, per territori così complicati. Entrambe tuttavia si scontrano con realtà meno poetiche.Il mai-finito siciliano è affascinante perché l’osservatore rimane colpito dalla sua incompiutezza abbandonata in paesaggi ameni: romanticismo minimale che si esaurisce in una fotografia. Considerando la prospettiva pianificatoria di Zanfi invece, emerge un’ipotesi di linearità dei processi espansivi nei territori abusivi: per questo motivo le operazioni progettuali proposte rischiano di essere troppo tecniche o troppo sicure sul futuro di questi territori. Ma è anche vero che la riqualificazione e il recupero di aree disastrate sono necessario anche per tutte quelle realtà che abusive non sono o non sono più.


superare le grandi narrazioni

99 DOM-INO Y Ăšde Zq KhY[][YnaYj

In 1914, Le Corbusier published his design for Maison Dom-ino, a slab-and-column frame intended WR UHGH‍ۋ‏QH GRPHVWLF DUFKLWHFWXUH E\ HPEUDFLQJ WKH YHUVDWLOH DQG DIIRUGDEOH QHZ WHFKQRORJ\ RI UHLQIRUFHG concrete in the service of modernism. Maison Dom-iQR HI‍ۋ‏FLHQWO\ GHSOR\V WKH SULQFLSOHV RI PRGHUQ DUchitecture while embracing the unanticipated, and as VXFK LW UHSUHVHQWV D PRPHQW RI V\QWKHVLV DQG DSHUWXUH E\ DEVROYLQJ WKH YHUWLFDO SODQHV RI WKH EXLOGLQJ IURP WKHLU FXVWRPDU\ ORDG EHDULQJ GXWLHV LW HIIHFWLYHO\ UHOLQTXLVKHV FRQWURO RI WKH EXLOGLQJ¡V H[WHULRU PDQWOH PDNLQJ DQ\ QXPEHU RI DHVWKHWLF VROXWLRQV DQG ODQJXDJHV YLDEOH ,QVSLUHG LQ SDUW E\ WKH YHUQDcular Ottoman architecture he observed during his WUDYHOV LQ 7XUNH\ LQ 0DLVRQ 'RP LQR FRXOG EH read as a manifesto for openness in architecture—a K\SRWKHWLFDO SURSRVDO IRU D QHZ V\PELRVLV EHWZHHQ WKH KDQG RI WKH DUFKLWHFW DQG WKH LQGLYLGXDOLW\ RI WKH RFFXSDQW 2QH FHQWXU\ DIWHU WKH SURMHFW¡V SXEOLFDWLRQ WKDQNV WR WKH YLUWXHV RI HFRQRP\ DQG YHUVDWLOLW\ WKDW LQVSLUHG /H &RUEXVLHU WR HPSOR\ UHLQIRUFHG FRQcrete, the same slab and frame has established itself in southern Europe and in much of the rest of the world as the default formula for urban and non-urEDQ FRQVWUXFWLRQ D WHFKQRORJLFDO VW\OLVWLFDOO\ DJQR-

stic vernacular that articulates modernism’s impulse to colonise the landscape. 99 Dom-ino takes the centennial of Le Corbusier’s GHVLJQ DV WKH WULJJHU IRU D VXUYH\ RI ,WDOLDQ GRPHVWLFLW\ DQG WKH UHODWLRQVKLS ZLWK WKH ODQGVFDSH RYHU WKH ODVW \HDUV 7KURXJKRXW KLVWRU\ IHZ LQYHQWLRQV KDYH EHHQ DV WUDQVIRUPDWLYH RI ,WDO\ DV WKH FRQFUHWH frame, to the point that it could be described as an REMHFW RI FROOHFWLYH VHOI LGHQWL‍ۋ‏FDWLRQ LQ ZKLFK SULGH DQG FKDJULQ RYHUODS 2Q WKH RQH KDQG LW LV WKH V\PERO RI WKH ZHDOWK JHQHUDWHG E\ D EXLOGLQJ LQGXVWU\ WKDW UHEXLOW ,WDO\ IURP WKH UXEEOH RI WKH 6HFRQG :RUOG :DU as depicted in the opening scenes of De Sica’s 1956 ‍ۋ‏OP ,O 7HWWR RQ WKH RWKHU LW LV WKH SULPDU\ LQVWUXment of “abusivismoâ€?, or unregulated construction’s assault on the landscape. As such, it is the ultimate V\PERO RI WKH DUFKLWHFW¡V H[WUDRUGLQDU\ SRZHUÂłDQG enduring helplessness. 99 Dom-ino was presented in June 2014 in the Corderie of the Arsenale as part of Monditalia during Fundamentals, the 14th International Architecture ([KLELWLRQ DW /D %LHQQDOH GL 9HQH]LD 7KH GHVLJQHU $OLFLD 2QJD\ 3HUH] ZDV FRPPLVVLRQHG WR FUHDWH D VHULHV RI FRQFUHWH PRGXOL LQVSLUHG E\ WKH 0DLVRQ 'RP LQR WR DFFRPSDQ\ WKH ‍ۋ‏OPV


Fonte: 99 Dom-ino, 2015, space caviar

prima parte


politiche, politici

2. Politiche, politici Introduzione La sezione precedente è una panoramica delle grandi narrazioni sull’abusivismo, con la bibliografia di riferimento che ne ha osservato, descritto e interpretato le pratiche nel tempo. In questa parte della tesi, invece, l’analisi si concentra sulle politiche che hanno concorso alla riproduzione sistematica del fenomeno nel tempo. La storia politica del nostro paese si è accompagnata con un’evoluzione normativa che ha mantenuto un regime fortemente tendente al controllo e alla repressione del fenomeno. Ho scelto perciò un taglio più politico che normativo per evitare di compilare una carrellata di nozioni meramente legislative, benché esse siano un riferimento molto importante. Di conseguenza, anche le interpretazioni dei testi di legge sono svolte con sguardo critico, entro un più ampio quadro politico. In partenza vi è la descrizione dei rapporti che si sono venuti a creare tra il sistema politico e il regime dei suoli in materia di abusivismo, e di come si è progressivamente passati alla responsabilizzazione delle Regioni in primis, poi delle amministrazioni locali. A partire dagli anni Ottanta si ha un’istituzionalizzazione dell’abusivismo (Crosta, 1985) nel senso di modalità prevalente di trasformazione in alcuni contesti (a Roma, nel Mezzogiorno), che, nella prospettiva del concorso di colpa, è venuta a dipendere dal ruolo del sistema politico, in relazione alle identità sociali e alla struttura del mercato.


prima parte

2.1 Reati edilizi

URBANESIMO INCONTROLLATO

CRESCITA DELLA RENDITA FONDIARIA URBANA

LEGGE URBANISTICA

L’istituto del reato edilizio risale alla Legge Urbanistica del 19421 , nata con lo scopo di “favorire il deurbanamento e di frenare la tendenza all’urbanesimo”2 ; essa prevede un sistema gerarchico di piani urbanistici, la cui approvazione fa capo al Ministero dei Lavori Pubblici 3. In materia di sanzioni, l’istituto della licenza edilizia (obbligatoria per qualsiasi nuova edificazione e modificazione dell’edificato preesistente) diventa la prima misura di controllo dell’attività edilizia. A livello contenutistico la legge urbanistica rimarrà pressoché invariata sino alla successiva Legge Ponte del 1967. Analizzando meglio il contenuto della legge, essa già nell’art.1 si esprime chiaramente riguardo all’“assetto e l’incremento edilizio dei centri abitati” per la “totalità del territorio comunale”, che in Italia coincide spesso con aree di paesaggio. Così la legge urbanistica definiva le regole edilizie per una città-territorio depurata della sua dimensione paesaggistica (Settis, 2010, p.197). Per il paesaggio (tutelato dalla Pubblica Istruzione), l’unico strumento legislativo era la precedente Legge Bottai del 19394 ; la regolazione urbana era affidata al Ministero dei Lavori Pubblici con il Ministero degli Interni e quello delle Finanze. In altre parole, i contributi normativi sul paesaggio sono stati ignorati perché si riteneva più urgente affrontare il “peso tecnico” della rendita fondiaria5 nelle aree urbane. Con l’incombere della guerra, la legge urbanistica non è mai stata attuata, ma rimane uno strumento calibrato a tutelare l’interesse privato (De Lucia, 2006).


politiche, politici

2.2 Tentativi riformisti Dopo la guerra e a seguito di un impetuoso sviluppo industriale e abitativo, il settore dell’edilizia fa da traino allo sviluppo del paese. Negli anni del boom rimane in vigore (sulla carta) la legge urbanistica del 1942, la quale tuttavia era stata concepita in un momento storico, politico ed economico assai diverso. Gli anni Sessanta però videro anche i tentativi6 di “riforma urbanistica”, per i quali vale la pena di fare un flashback: “una storia in cui la sconfitta dei riformatori diventa la disfatta” (Crainz, 1996, p.85). Nel 1962 sotto il IV Governo Fanfani (Democrazia Cristiana), l’on. Fiorentino Sullo, allora Ministro dei Lavori Pubblici, laureato in giurisprudenza e lettere, propone una riforma urbanistica che gli costerà la sconfessione dal suo partito. La proposta, redatta con un team composto da architetti (Astengo, Piccinato e Samonà dell’INU) e sociologi (Ardigò e Campagna) affrontava gli effetti paradossali prodotti dai meccanismi di rendita fondiaria urbana7. La proposta di Sullo prevedeva il ricorso all’esproprio generalizzato a prezzo agricolo di: aree non-edificate (e non-demaniali), aree in fase di edificazione (qualora il loro utilizzo fosse sensibilmente difforme alle prescrizioni del piano particolareggiato). Una volta acquisite le aree, il Comune avrebbe provveduto alle opere di urbanizzazione primaria e ceduto, tramite asta pubblica, il diritto di superficie sulle aree destinate ad edilizia residenziale, che restavano di proprietà del Comune. Con questo dispositivo, i terreni oggetto di cessione rimanevano pubblici, mentre i privati acquistavano solo il diritto di costruire ad un prezzo maggiorato delle spese sostenute dal Comune.

1.Esproprio generalizzato delle aree non edificate a prezzo agricolo

2.Opere di urbanizzazione primaria

3.Vendita delle aree tramite asta pubblica a prezzo maggiorato degli oneri

4.Edificazione dell’area a carico dell’impresa privata

pubblico

privato


prima parte

La legge avrebbe risolto in un batter d’occhio i problemi legati alla rendita fondiaria, ma il governo democristiano si dissociò dal disegno di legge, consapevole del fatto che la nazionalizzazione del suolo pubblico avrebbe minacciato gli interessi delle ‘lobbies’ italiane dei costruttori (De Lucia, 2007). Le denunce sulle riviste non tardarono ad arrivare (su Il giornale dei costruttori, Il Borghese, Il Corriere della Sera, Il Tempo) e per il ministro Sullo cominciò il declino della carriera politica. Al disegno di legge di Sullo (la cui esperienza culmina con l’emanazione della Legge 167), seguono i tentativi del ministro Giovanni Pieraccini (1964, I Governo Moro), di Giacomo Mancini (1966, II Governo Moro): leggi parziali, dovute a “un progressivo arretrare [del governo] di fronte alle pressioni politiche di grandi costruttori e proprietari” (Settis, 2010, p.203). Anche il disegno di legge Bucalossi8 può essere considerato un tentativo di formulazione di uno strumento che frenasse le spinte speculative: nel testo del disegno del 1976 era stata operata una distinzione tra diritto a edificare e diritto di proprietà, un aspetto che diventerà illeggibile nel testo di legge finale.Nella pratica, la gerarchia tra pubblico interesse e proprietà privata rimane ambigua, nonostante che la questione fosse stata posta in altre sentenze della Corte Costituzionale9. Di fatto il governo della Democrazia Cristiana, messo di fronte a decisioni importanti sulle politiche urbane, si qualifica come un cacciatore di voti e di sostegno, da parte di chi dispone di maggior potere economico.

Inoltre, con la diffusione di nuovi livelli di benessere e di spinte all’industrializzazione, i valori delle aree edificabili crescono vertiginosamente, per cui si radicalizza un approccio di legittima difesa al diritto di proprietà, impedendo ogni intervento pubblico sul controllo dei prezzi delle aree. D’altra parte, gli interessi economici trovavano protezione grazie alla presenza, nei partiti e nei governi, di figure alleate. Nel frattempo, si assisteva a una forte segmentazione dei poteri pubblici. Questa diviene ufficiale con la nascita delle Regioni nel 1971, quando la materia urbanistica passa definitivamente alle Regioni (che da questo momento acquisteranno sempre maggiore autonomia decisionale), con poteri di controllo e sanzione delle irregolarità edilizie. Iniziava così il duello istituzionale tra Stato e Regioni, i quali esercitavano due meccanismi di controllo diversi sull’urbanistica e sul paesaggio, facendo dei due una cosa unica. Per la prima, essendo gli stessi Comuni a rilasciare concessioni e autorizzazioni, e visto il crollo di Agrigento (1967), molte decisioni sono state prese da figure professionali non qualificate, non sempre competenti in ambito di tutela, amministrazione, giurisprudenza, ma anche (e soprattutto) cultura tecnica.


politiche, politici

2.3 Controriforme Dopo il tumulto di edificazioni abusive realizzate negli anni Settanta e Ottanta, le misure contro l’edilizia illegale si definiscono in due direzioni: da una parte si ha un inasprimento degli strumenti di controllo e sanzione, dall’altra un irrigidimento del regime vincolistico. Sulla prima linea agisce la prima legge sul condono edilizio10 emanata dal Governo Craxi (uno degli ultimi governi del centrosinistra). Essendo il condono una legge straordinaria, si disse che sarebbe stato l’ultimo (Berdini, 2010). Già nel 1980, invece, a livello locale nascono le prime forme di condono edilizio per le Regioni Lazio e Sicilia , rivelatesi poi inefficaci perché limitate all’ambito amministrativo11. Sulla linea della tutela, nello stesso anno, l’8 agosto è emanato il decreto Galasso12 (noto anche come legge quadro in materia urbanistico-edilizia) con lo scopo di irrobustire la struttura vincolistica nel territorio italiano 13. Le innovazioni sono innanzitutto tecniche: con il provvedimento del condono, ogni costruzione realizzata sino al 1983 può essere sanata, indipendentemente da dove si trova. Sul fronte del controllo e repressione dell’abusivismo, la legge conferisce maggiori poteri alla sfera pubblica comunale: i sindaci possono demolire e confiscare gli immobili abusivi, annullare gli atti di compravendita avvenuti in assenza di concessione edilizia e nei casi di lottizzazione abusiva. Inoltre, nel caso in cui siano sorte abusivamente zone non sottoposte a vincoli, esse possono essere legalizzate attraverso la Variante di Piano: grazie allo strumento urbanistico preesistente a queste condizioni un’area abusiva è riconosciuta all’interno del Piano.

Bettino Craxi

Partito Socialista Italiano

Presidente del Consiglio (1983-1986)

Legge 47/1985

Giuseppe Galasso

Ministero dei beni Culturali e Ambientali

Sottosegretario (1983-1987)

Legge 431/1985


prima parte

condono edilizio 2.4 Il Paese condonato piano di recupero

variante PRG

piano paesaggistico

tutela ambientale

Le maggiori responsabilità passano quindi nelle mani dei Comuni, i quali devono occuparsi di redigere Varianti di Piano e Piani di Recupero coerenti con le linee guida contenute nel Piano stesso. Dal punto di vista legale, il condono edilizio è uno strumento fiscale: versando un’oblazione (multa) corrispondente all’abuso commesso (funzione dell’entità dell’abuso stesso), gli abusivi legalizzano lo status del proprio immobile. La sommatoria dei versamenti serve ai Comuni per coprire le spese delle opere di urbanizzazione post-edificazione qualora i richiedenti ottengano la concessione in sanatoria, quindi la possibilità di regolarizzarsi. Se il bene immobile – il cui biglietto da visita per accedere al condono è una documentazione chiara e completa – è dichiarato insanabile perché incompatibile con l’ambiente circostante, si avvia la procedura di demolizione. A questa impronta legalista della legge se ne aggiunge una più “morbida” riguardo alle pratiche edilizie abusive considerate minori, per le quali i passaggi di sanatoria sono più veloci: ad esempio, per le opere realizzate senza concessione ma in conformità con gli strumenti urbanistici generali; per le variazioni essenziali (illecite del progetto approvato in sede di concessione edilizia) o per modifiche interne, impercettibili dall’esterno e per le quali non è avvenuta una trasformazione delle strutture .I limiti pratici della procedura sono noti: una miriade di domande di sanatoria giace negli archivi comunali, o ancora più spesso gli abusivi non sono disposti a pagare nell’immediato la cifra corrispondente all’abuso e si appoggiano a sistemi di pagamento rateizzati.


politiche, politici

Al fallimento fiscale della misura si aggiungono i problemi legati alla riqualificazione del territorio e all’infrastrutturazione primaria. Sembrerebbe perciò che nella formulazione dell’intervento sia stata data più importanza all’aspetto fiscale della procedura che all’adeguamento urbanistico, ovvero al progetto a posteriori (Zanfi, 2008, 2015). In altre parole, gli strumenti previsti da questa legge sono più inclini a regolarizzare l’abusivismo dal punto di vista amministrativo, benché negli obiettivi iniziali della legge vi fossero l’adeguamento e il recupero urbanistico. Per questo ambito è prevista la demolizione degli edifici, per i quali spesso sono emesse le ordinanze, ma possono passare anche anni prima che vengano effettivamente demoliti. Numerose sono le ipotesi (ovvero le giustificazioni) dei casi di inerzia comunale: dalla paura di ritorsioni, all’occupazione abusiva, fino al difficile esercizio delle operazioni per cause “logistiche”. Si tratta spesso di situazioni paradossali, appannaggio delle relazioni torbide tra enti locali e cittadini abusivi. Sul fronte politico, con questa e la successiva Galasso, alle Regioni viene conferita maggiore autonomia legislativa, fattore potenzialmente positivo, ma che accentua il processo di frammentazione dei poteri decisionali. Molte complicazioni pratiche e teoriche emergono dalla legge sul condono, nato come strumento straordinario e strutturato per porre rimedio a situazioni urbanisticamente e paesisticamente critiche: non si tratta solo della conservazione del paesaggio ma anche del riconoscimento del valore del territorio come bene collettivo.


prima parte

“Padroni in casa propria” Nell’estate del 2008, il nuovo governo Berlusconi lancia il ‘Piano nazionale di edilizia abitativa’, chiamato per semplicità ‘Piano Casa’. Esso nasce in concomitanza con la manovra d’estate, ovvero il decreto per lo sviluppo economico, la semplificazione e la competitività. Le linee guida del Piano perseguono il nobile intento – stabilito dall’art. 3 della Costituzione – di garantire il “pieno sviluppo della persona umana”. L’incremento del patrimonio abitativo sarebbe stato realizzato con capitali pubblici e privati, destinando la casa ai più svantaggiati (nuovi nuclei familiari, anziani, immigrati a basso reddito). La struttura finanziaria del piano, secondo la bozza del decreto attuativo, prevede un sistema integrato di fondi immobiliari (150 milioni di euro) e di finanziamento pubblico (fino al 30% del costo) per realizzare o recuperare alloggi da offrire al canone d’affitto concordato: si tratta quindi di un piano di “social housing” con capitali pubblici e privati (che richiama alla memoria il piano Fanfani del 1949). Ma già nel 2007 l’uscente governo Prodi aveva approvato il ‘Programma straordinario di edilizia residenziale pubblica’ con il decreto collegato alla legge finanziaria 2008, seguito dal decreto (applicativo interministeriale) firmato dai Ministri Antonio Di Pietro (Infrastrutture) e Paolo Ferrero (Solidarietà Sociale) che dava una definizione di ‘alloggio sociale’: quello, cioè, volto a ridurre il disagio abitativo di individui e nuclei familiari svantaggiati e a soddisfare le esigenze primarie. Per questo programma il governo Prodi aveva stanziato 550 milioni di euro, bloccati poi da Berlusconi e rimessi in circolo dal suo governo solo successivamente (e solo in parte).


politiche, politici

Nella bozza del Piano presentato a Palazzo Chigi il 20 marzo del 2009, però, il contenuto è molto diverso da quello presentato al consiglio dei ministri il 13 marzo: non ci sono né capitali pubblici né social housing, la norma è fatta per chi la casa già la possiede o ha soldi per ampliarla. L’idea di fondo di questo Piano è stimolare l’avvio immediato dei cantieri semplificando temporaneamente le regole necessarie per i permessi di costruzione. Essa consente di ampliare del 20% tutti gli edifici ultimati entro il 2008; si può inoltre acquistare dai vicini la possibilità di espandersi. Queste protesi edilizie sono consentite (secondo la bozza) “in deroga alle disposizioni legislative, agli strumenti urbanistici vigenti o adottati e ai regolamenti edilizi” (art. 2c, 1); può essere modificata anche l’altezza delle costruzioni (fino a quattro metri oltre l’altezza massima prevista dagli strumenti urbanistici vigenti). Per tutti questi interventi basta una d.i.a. (denuncia inizio attività); nel caso di edifici storici è sufficiente far richiesta alla Soprintendenza: dopo 30 giorni scatta il silenzio-assenso, anche se in tema di Beni Culturali il silenzio dell’Amministrazione non ha valore di assenso! Ecco perché questo Piano in realtà somiglia molto a un condono ex-ante, che consente la trasformazione continua dell’edificato. Un altro problema di questo Piano è che esso rientra in un’area normalmente di competenza delle Regioni: per trovare un accordo, il 31 marzo 2009 è convocata una seduta d’urgenza straordinaria unificata Stato-Regioni.


prima parte

In questa sede si stipula un’intesa per la quale il Governo s’impegna a emanare entro 10 giorni un decreto legge di semplificazioni normative e le Regioni sono tenute a emanare entro 3 mesi i propri provvedimenti conformi alle linee guida generali dello Stato. Le semplificazioni riguardano le normative antisismiche o gli interventi di edilizia libera (che diventano manutenzione straordinaria) o le sanzioni riguardanti gli illeciti paesaggistici (depenalizzando le false dichiarazioni dei progettisti, punibili dopo l’accertamento finale del danno). Dopo il terremoto dell’Abruzzo del 6 aprile del 2009, questi aspetti semplificanti del Piano Casa diventano inaccettabili, in particolare in relazione all’elusione delle norme antisismiche o alla deresponsabilizzazione dei progettisti e delle imprese di costruzione. Per tale ragione lo Stato non riesce a legiferare il decreto legge dopo i 10 giorni stabiliti dall’accordo. Nonostante ciò, scatta il fai-da-te delle Regioni, le quali emanano comunque leggi specifiche nonostante manchi una legge nazionale di riferimento (nello schema sono riportate le leggi regionali in sequenza cronologica, prima tra tutte la Toscana governata dal centro-sinistra). È utile qui parlare della ricezione del Piano Casa da parte delle Regioni poiché esso ha scatenato un “effetto spezzatino”14 . In che misura questo Piano è stato recepito in maniera anomala? Secondo l’accordo, il governo avrebbe dovuto emanare un decreto legge (che non emana) e solo due Regioni e una Provincia autonoma (Toscana nell’8 maggio 2009, Umbria il 26 giugno e Provincia autonoma di Bolzano il 15 giugno) ri-

spettano i termini previsti per la legiferazione: tutte le altre leggi vengono fatte dopo la “data utile” del 30 giugno 2009. Il risultato di questo processo sono le note asimmetrie regionali, anche se il Piano era partito con tutt’altri intenti – ad esempio la realizzazione di centomila alloggi in cinque anni o lo stanziamento di 350 milioni di euro per le categorie più svantaggiate. Le contraddizioni scaturite dal Piano Casa del 2009 sono molteplici dal punto di vista sia prettamente economico che politico. Anzitutto esso ha segnato l’inizio della stagione della legislazione neoliberista (Berdini, 2010, p.11): una contingente manovra economica anticongiunturale per la quale Regioni e Stato si sono trovati d’accordo sull’obiettivo di semplificare le normative edilizie e le procedure a esse collegate. In termini pratici, nella sua versione ultima il Piano poteva smuovere le imprese edilizie, da tempo in crisi. Sono state quindi accettate, a destra come a sinistra, misure che rappresentano l’oggetto dei condoni edilizi a suo tempo tanto condannati dalla sinistra: gli ampliamenti sono limitati al 20-30-50%, ma sempre di ampliamenti si tratta. Perciò, ogni Regione ha aderito alle linee guida del Piano declinandolo a suo modo, accentuando così le già presenti asimmetrie regionali. Questa narrazione del Piano Casa non ha l’intento di enfatizzare i torbidi rapporti tra Stato e Regioni, o il fatto che le politiche nazionali sono inefficienti perché non coerenti con la variopinta realtà regionale italiana. Anzi, è a partire dalla ricezione del Piano Casa che le Regioni si sono attrezzate autonomamente per stendere le linee guida del piano.


politiche, politici

Note

Sul piano dell’innovazione, il Piano Casa è una sintesi coerente con le linee politiche vigenti negli anni Novanta, di stampo neoliberista. Esso è in grado di rendere reali i desideri e le possibilità (di realizzare l’abitazione o il capannone produttivo, o di poterli ampliare in base alle esigenze) di intraprendenti soggetti economici e politici. In quest’ultima categoria si possono distinguere: il ceto medio produttivo del Centro Nord e la borghesia dell’intermediazione politica e della sregolazione del Mezzogiorno, che assieme formano il bacino elettorale dal quale il governo ha tratto la propria forza politica (Lanzani, 2011, p.127-133). Questa linea politica è la stessa che promuove lo sviluppo dell’imprenditorialità individuale; in parallelo, gli enti locali alimentano l’abusivismo – il più delle volte con la sola inerzia – per ottenere consenso elettorale a scapito della finanza locale e dei territori.

[1] L. 17 agosto 1942, n. 1150,pubblicata nella G.U. del 16 ottobre 1942, n. 244. [2] art. 1 L.1150/1942. [3] artt. 10, 8 L.1150/1942 [4] Secondo la quale la redazione dei Piani Paesistici era a cura delle Soprintendenze competenti, e obbligatoria per quelle aree identificate come soggette a tutela “a causa del loro notevole interesse pubblico”. [5] Nello stesso anno è pubblicato il Codice Civile che definisce la normativa sulla proprietà fondiaria, ben distinta dalle altre forme di proprietà. [6] Per questo paragrafo si fa riferimento all’articolo di Vezio De Lucia ‘Fiorentino Sullo: una pagina di storia italiana’, pubblicato sul blog di urbanistica eddyburg in data 15.08.2007. [7] Questa si manifesta con l’aumento dei prezzi dei terreni, che da agricoli diventano edificabili e incidono sui prezzi delle abitazioni. [8] L.10/1977. [9] Sentenza n. 5 della Corte Costituzionale del 1980, n. 22 del 1965 e n. 55 del 1968. (cfr. Settis, 2010). [10] L. 47/1985 [11] Regione Lazio, Legge Regionale 2 maggio 1980, n. 28, Norme concernenti l’abusivismo edilizio ed il recupero dei nuclei edilizi sorti spontaneamente. [12] Legge n.431 dell’8 agosto 1985. [13] Si impone alle regioni “l’immediata redazione di piani paesistici o di piani urbanistico territoriali con specifica considerazione dei valori paesistici e ambientali”, dai quali doveva emergere “una specifica normativa d’uso e di valorizzazione ambientale del relativo territorio”. L. 431/85 art. 1/b. [14] Bianca Maffei, 9 Agosto 2009, Il Sole 24 Ore.


prima parte

2.5 Pratiche d’innovazione progettuale. Introduzione. In passato, le pratiche abusive strumentalizzavano i bisogni di attori che mettevano in atto strategie ispirate dall’occasione. Queste pratiche hanno coinvolto non solo la sfera del dibattito politico ma anche la costruzione delle politiche stesse. Riesumare le questioni toccate dall’abusivismo non deve essere solo un’occasione per fare della retorica a fini di consenso elettorale, ma un’occasione professionale, osservare cioè quanto succede nei territori e capire con quali strumenti (politici e di progetto) è possibile agire concretamente, attraverso tentativi, esperimenti e progetti. Il ruolo dei policy makers in ambito di abusivismo e potere è ambiguo: spesso le istituzioni sono i primi promotori del fenomeno, le azioni politiche hanno il potere di fare e di non fare. Conoscere in maniera approfondita le strategie del potere delle istituzioni e delle amministrazioni è un passaggio necessario all’interno del processo abusivo: alla domanda “che fare?” seguono le questioni riguardo a “che cosa è stato fatto?” e “che cosa si sta facendo?”. Su questo fronte è interessante l’esperienza del Piano Paesaggistico Territoriale della Puglia, che ha incluso nelle strategie di riqualificazione e riordino costiero gli ambiti territoriali caratterizzati da abusivismo. Da una linea politica attenta alle questioni ambientali e da un’accurata descrizione delle criticità del territorio è emerso l’utilizzo strategico degli strumenti legislativi e finanziari.


politiche, politici

Il progetto pilota della Procura di Lecce. Nel 2012 prende avvio una nuova procedura, scaturita dal Progetto Pilota della Procura Generale di Lecce e dall’introduzione del principio che pone a carico dei comuni i costi degli interventi di demolizione degli edifici abusivi1. Questo progetto prospetta il ripristino la legalità nel territorio, quindi la necessità che le istituzioni recuperino autorevolezza, portando a buon fine le procedure di demolizione per quegli edifici che rientrano nell’Autorità Giudiziaria (vincolo paesaggistico/infiltrazione mafiosa2 ). Invece della consueta trafila di adempimenti burocratici (atti di sospensione della pena, ordinanza di demolizione, acquisizione da parte del comune), il nuovo sistema consente l’invio immediato delle ruspe sul luogo da ripristinare, previa comunicazione3 da parte dell’Autorità Giudiziaria, dell’esecuzione all’Amministrazione comunale4. Dato che spesso il principale ostacolo alle demolizioni è l’inerzia comunale, giustificata dall’assenza di fondi, con la L.R. 15/2012 è disposto un fondo speciale per le demolizioni utilizzabile dall’autorità giudiziaria per quei comuni che non hanno disponibilità di fondi o che non hanno richiesto il finanziamento all’Ente locale Regionale. Viceversa, per i comuni inadempienti nelle demolizioni (in questo caso: Cagnano, Varano, Mattinata, Peschici e Vieste, in provincia di Foggia5) , si ricorre prima all’intervento sostitutivo regionale6 , poi alla definizione dei criteri per la localizzazione dei sostegni finanziari (ovvero la tutela degli ambiti territoriali di pregio paesaggistico o vulnerabilità ambientale più elevati7).

Peschici (Lecce)


prima parte

2.6 La Procura.Il deus ex-machina.

Il sistema di finanziamento citato, studiato ad hoc, “garantisce la sospensione della pena a chi si adegua in tempi utili alla sentenza. Se il condannato non dà corso all’esecuzione, il giudice che ha emesso la sentenza procede a revocare la sospensione della pena. In questo caso, alle spese legate alla demolizione stessa, comunque a carico del condannato, si aggiungono quelle dell’eventuale ammenda o multa inflitta dal giudice.”, spiega il Procuratore della Repubblica Aggiunto Ennio Cillo8 , padre del progetto pilota, che nel 2013 è stato allargato anche alle provincie di Brindisi e Taranto. Nell’esperienza pugliese (e vedremo in seguito anche nelle altre in Toscana e in Sicilia) vi sono stati casi di comuni in cui i consigli comunali si sono “alleati” con l’abusivismo, tramite “una delibera di prevalente interesse pubblico alla conservazione dell’opera” (cfr. allegato). In questo caso, non è stato indicato concretamente quale fosse il carattere d’interesse pubblico. Solo in un caso, il comune ha combattuto per conservare un edificio abusivo da adibire ad alloggio di edilizia economica popolare: rimane da vedere se queste promesse saranno mantenute, e questo sarà compito dell’”illegittimo detentore”, dell’amministrazione comunale e dei soggetti politici.


politiche, politici

Opere di difesa radenti per contrastare i fenomeni di erosione costiera.

Insediamento a ridosso dei canali collettori e dei bacini artificiali della bonifica idraulica.


prima parte

Oltre l’impegno con il quale sono state portate a termine queste operazioni (d’altra parte di competenza anche delle professionalità coinvolte), ciò che emerge è la varietà dei possibili conflitti per il controllo delle risorse territoriali. Ciò è vero per i comuni (vi è una “pagella” per ciascuno di loro: adempienti, inadempienti, virtuosi...), come per la Regione, che dal canto suo lancia messaggi di mobilitazione collettiva per lo sviluppo, la tutela e la riqualificazione. Occorre però contestualizzare questo progetto pilota della procura, entro il quadro politico allora vigente in Puglia. Infatti nelle “Dichiarazioni programmatiche per il governo della Regione” del giugno 2005, l’allora presidente della Regione Puglia Nichi Vendola dichiara aperta una nuova stagione di “ciclo di sviluppo attraverso la valorizzazione delle risorse materiali e immateriali, costituite da donne, uomini, giovani, e dai beni ambientali e culturali del territorio (…)”. Su queste indicazioni, nel novembre del 2007 il governo regionale pugliese e il Ministero per i beni e le attività culturali e dell’ambiente promulgano il Piano Paesaggistico Territoriale regionale9 (Pptr), approvato nel gennaio del 2010 e redatto da un gruppo di lavoro interdisciplinare coordinato da Alberto Magnaghi, professore ordinario di pianificazione territoriale alla Facoltà di Architettura di Firenze. Il percorso, articolato in atti amministrativi e sviluppato come processo di costruzione di conoscenza – con il coinvolgimento di attori sociali, economici e culturali – pone al centro degli obiettivi e delle strategie la qualità e la fruibilità del paesaggio pugliese.


politiche, politici

Per questi obiettivi, la conoscenza del territorio e il riconoscimento delle necessità di tutela del paesaggio sono i presupposti per uno sviluppo del territorio regionale diverso dal modello di crescita del dopoguerra. Il piano è stato adottato fra l’agosto e l’ottobre del 2013. Su questo sfondo l’esperienza programmatica pugliese muove dalla consapevolezza dell’abusivismo come problematica che si somma alle molteplici criticità dell’ecosistema costiero (pressione antropica, detrimento sistema biologico e rischio idrogeologico). La costanza del fenomeno, i doveri istituzionali e la presenza di burocrazie prive di effetti concreti hanno perciò portato alla stesura di un programma che preventivamente individuasse gli ostacoli principali al ripristino dei luoghi, per poi meglio definire le responsabilità e circoscrivere le competenze. Il motore per l’azione s’incarna nella Legge Regionale, la quale ha definito una serie di strumenti: la cooperazione stabile fra istituzioni (e in particolare con le procure della repubblica per il monitoraggio del fenomeno e la demolizione quando la realizzazione dell’abuso è ancora in fase iniziale); l’istituzione di un database cooperativo degli immobili abusivi e, non per ultimi, la definizione dei criteri per la localizzazione del finanziamento regionale e l’esercizio dei poteri sostitutivi regionali in caso di inerzia comunale10.

Tuttavia il successo di queste esperienze (definibili multiscalari perché coinvolgono attori a scala regionale, comunale e locale) si valuta anche sul lungo periodo, quindi anche sulle reazioni che innesca. La pratica di opposizione porta alcuni soggetti ad agire in modi che non sempre sono prevedibili, sia dei cittadini, che delle istituzioni. Indagare sui motivi di certe reazioni non è nello scopo di questa tesi; osservare di che segno sono probabilmente è più costruttivo per chi si occupa di progettazione tecnica e politica. Certamente in ambito di abusivismi si tratta di “rendere partecipi sia gli enti locali sia le persone che vivono e producono nelle diverse parti del territorio, perché esse recuperino quella “coscienza di luogo”. Ma è anche vero che dietro a questa esperienza di pianificazione territoriale vi sono i doveri normativi, affidati dal Codice dei Beni Culturali e Ambientali direttamente alla pianificazione. D’altra parte è vero che proprio grazie a queste esperienze, coadiuvate dalla presenza accademica, è possibile immaginare di poter combattere l’incuria, l’indifferenza e le offese al paesaggio, innescando processi attivi di coscienza e conoscenza.


prima parte

Note

[1] Art.32 comma 12 L. n.326/2003. [2] Cui all’art.27 comma 2 D.P.R.380/2001. [3]Completa di descrizione dell’abuso (volumetria), affidamento dell’incarico e relative spese di demolizioni. [4] Quest’ultima determina di assumere l’anticipazione delle spese, poi la Cassa Depositi e Prestiti verifica la regolarità della documentazione e concede l’anticipazione. cfr. allegato L’esecuzione delle demolizioni come tutela e ripristino della legalità e del territorio, Salerno, 27 gennaio 2015, procuratore della repubblica aggiunto Ennio Cillo. [5] Grazie all’istruttoria condotta dall’Ufficio Osservatorio Abusivismo e Contenzioso e confermata dal Dirigente del Servizio Urbanistica, cfr. allegati Proposta di Deliberazione della Giunta Regionale sull’art. 31 del D.P.R. n.380/2001 e art. 7 L.R. n.15/2012. [6] Le cui modalità sono disciplinate dall’art. 7 della stessa Legge Regionale dell’11 Giugno 2012. [7] L.R. 15/2012, art.6, comma 2. Fondo Regionale di rotazione per le spese di demolizione delle opere abusive. Il fondo è destinato agli immobili ai sensi dell’art.27, comma 2, del D.P.R. 380/2001. [8]Fonte: www.trnews.it, 23 Febbraio 2013, Abusivismo e demolizioni, incontro per il coordinamento delle Procure. [9]La definizione di “Piano Paesaggistico Territoriale”, prevista dalla legge regionale 20/2009 “Norme per la pianificazione paesaggistica”, non è casuale. Anteponendo il paesaggio al territorio, sottende l’interpretazione del paesaggio quale bene patrimoniale sul quale fondare indirizzi di un diverso sviluppo territoriale.” Barbanente A. in Urbanistica Informazioni n.255 (Maggio-Giugno 2014), Processi e pratiche di pianificazione del paesaggio in Puglia. [10] Angela Barbanente, I territori dell’abusivismo nel Mezzogiorno Contemporaneo: temi e prospettive d’innovazione progettuale e politica. Un programma di riqualificazione delle coste.SIU Seminars,Napoli,2016,.

Fonti

Angela Barbanente. Professoressa di Tecnica Urbanistica e Pianificazione territoriale al Politecnico di Bari, nell’ottava legislatura è stata Assessore all’Assetto del Territorio nella Giunta Vendola. Dal 13 marzo del 2013 è Vicepresidente della Regione Puglia (PD) (Fonte: www.consigliopuglia.it)].


abusivismi in-contemporaneo

Le bugie sono per natura cosĂŹ feconde, che una ne suole partorir cento. Carlo Goldoni, Il bugiardo, 1772.

Seconda Parte


seconda parte

3. Abusivismi in-contemporaneo 3.1 Introduzione A dieci anni di distanza dal duello istituzionale tra Stato e Regioni , e consolidata l’autonomia regionale per la gestione del proprio abusivismo, in Parlamento non è mancato un nuovo tentativo di “riforma” della legge sul condono. Qualche giorno prima, nella città dell’agrigentino Licata, alla casa di campagna del sindaco Angelo Cambiano, impegnato in prima persona nella battaglia contro l’abusivismo, è stato appiccato il fuoco. Il ministro degli interni Angelino Alfano, originario di quelle zone, si è recato immediatamente in municipio per parlare di persona con il sindaco, al quale è stata concessa la scorta dopo solo un anno di carica e un bilancio di 15 case abusive demolite. Il caso ha suscitato effetti divergenti: dalla vendetta, alla “solidarietà”, a nuove denunce e, non a caso, a nuovi tentativi di modificare la legge sul condono. Infatti, qualche giorno dopo la vicenda di Licata (il 16 maggio 2016) il senatore Ciro Falanga (Pdl) presenta un disegno di legge, (già “pronto” al Senato dal 22 gennaio 2016) alla Camera dei Deputati. La proposta prevede sostanzialmente una modifica dell’art. 31 del Testo Unico 380/2001 secondo la quale si modificavano i criteri per le demolizioni e si istituiva un fondo per la demolizione degli edifici abusivi di 5 milioni di euro per l’anno 2016 e di 10 milioni fino al 2020. Il disegno è stato modificato alla Camera, e l’originale è stato attaccato dal presidente della Commissione dei Lavori Pubblici (ambientalista e membro onorario di Legambiente) Ermete Realacci (PD). Il testo sostanzialmente prevede l’attribuzione di priorità alle demolizioni di edifici sui quali penda una sentenza definitiva (di competenza delle procure): immobili di rilevante impat-

to ambientale – costruiti sul demanio o in aree soggette a vincoli (ambientali, paesaggistici, idrogeologici, archeologici e storici) – quelli in corso di costruzione (non finiti), seconde case, e quelli per i quali è accertato il reato di associazione mafiosa .Il disegno di legge proposto recentemente (sul quale il Senato lavora da due anni), oltre a contenuti ampiamente condivisibili sorvola su alcuni aspetti-chiave quali: i ruoli di tutti gli attori – politici e sociali – coinvolti nel processo di trasformazione abusiva, e le ricadute nei diversi contesti, territoriali e socioeconomici. La domanda è: non sarebbe forse di competenza delle amministrazioni locali stabilire l’ordine di priorità delle demolizioni? Esiste per caso un ordine prestabilito nelle città secondo cui è stato commesso un abuso, più o meno grave? O forse bisogna tenere in considerazione la specificità e la criticità di ogni territorio, pur nel contesto delle direttive politiche esistenti? Forse la ricetta più efficace per la conoscenza e l’azione consiste nel rimuovere il calcare accumulato tenendo ben salda l’immagine concreta dei luoghi. Sul fronte dell’esplorazione, conoscere il territorio significa interrogare la realtà, abbandonando l’illusione che tutto sia già stato detto. Assunta l’impossibilità per l’uomo di captare tutto, malgrado numerosi tentativi, per l’abusivismo il punto di partenza per l’analisi cambia.


abusivismi in-contemporaneo


seconda parte

3.2 Quadro teorico La realtà abusiva non è di per sé sfuggevole: anzi, è occultata e nascosta, laddove non avremmo mai pensato potesse esserci, dietro i paraventi della vergogna o dell’imbarazzo. Ma è anche ricca di informazioni: se la volontà del sapere incontra ostacoli, fisici e ideologici, allora è solo con la resistenza alla censura che è possibile iniziare una qualche forma di esplorazione. In questa sede quindi non si tratta solo di restituire un quadro unitario di luoghi e soggetti che per loro natura sono unici, ma di assumere fin dal principio che ciò che si mostra è parte delle differenze e delle contraddizioni della società e degli spazi contemporanei. Nel caso dell’abusivismo non è solamente riduttivo assumere l’uno o l’altro punto di vista, ma ingenuo: nel conflitto storico tra Stato e cittadini per la conquista dello spazio, entrambi tenteranno con ogni mezzo la difesa dei propri diritti, e non per ultime, delle loro proprietà. Tramite lo strumento del concorso di colpa, si assume aprioristicamente che le responsabilità dell’abuso stiano dall’una e dall’altra parte, anche in misura minima. In coerenza quindi con la definizione stessa di abuso ediliziono come reato penale, che implica un conflitto tra le parti. Il vincitore in questo duello chi meglio riesce a difendere le proprie istanze, ma non solo. Il problema è che spesso (non sempre) è la presunzione il vero deterrente. Ossrvando e analizzando la realtà è stato possibile risalire all’entità delle pratiche messe in atto dai diversi attori sociali e politici: uno studio dell’entità, dal quale emerge l’etica, l’ambiente vissuto e praticato. Per questo motivo è stato

utile entrare in contatto con gli attori coinvolti nei proccesi di trasformazione abusiva, sebbene non sempre in maniera diretta. Le pratiche degli individui infatti hanno il potere di fare e non fare, di essere inerti come di trasformasi continuamente. In questo senso anche l’attività di ricerca ha un valore non solo di osservazione e descrizione, ma anche di interazione stessa con la realtà, per quanto paradossale essa possa essere. Ciò che ho trovato grazie a queste ricerche non è solo contraddittorio o, per così dire, assurdo: sono degli intervalli urbani, in cui per molto tempo sono valse regole diverse.


abusivismi in-contemporaneo


seconda parte

4.1 I malcontenti della Feniglia

Il motivo che mi ha portato ad esplorare questi luoghi nasce a seguito di una ricerca sul web. Nel tentativo di trovare casi eclatanti di abusivismo nel mio territorio (toscano) mi sono imbattuta in una community “Feniglia Storica Demolizioni Abusive”, creata su un social network . Il ritrovamento online mi ha permesso inizialmente di conoscere la storia dal punto di vista degli abitanti di un piccolo quartiere nascosto tra il campeggio e la spiaggia, in questo luogo privilegiato per il turismo balneare nel sud della Toscana. Nel 2007 sono iniziano le procedure di demolizione degli edifici in quest’area, a trent’anni dalla loro costruzione. Le posizioni dei proprietari colpiti trovano sfogo negli spazi astratti dei social media, che diventa il veicolo attraverso il quale una comunità descrive se stesso con immagini, commenti, documenti, articoli di cronaca. Restituendo pubblicamente un’immagine di comunità attenta alle questioni ambientali (cura e pulizia) e propositiva sul fronte del ripristino dell’habitat naturale, gli abitanti villaggio reclamano la legittimità dei loro beni e l’illegittimità delle demolizioni, volute da un’amministrazione locale sorda nei loro confronti. Su queste evidenze è nata una riflessione anche sulla veridicità delle posizioni espresse in un mondo (quello informatico) che è principalmente astratto.Sebbene la comunicazione telematica possa essere veicolo di informazioni importanti su situazioni sociali problematiche, è anche vero che riesce a dare voce a chiunque. In effetti anche l’attivismo in rete può dare indicazioni stimolanti su possibili indirizzi di trasformazione, ed è vero che il suo impiego per scambio politico o per creare sistemi solidali è sempre più diffuso (la cosiddetta “teledemocrazia”) (Martinotti, 1994). In termini di conoscenza per l’azione occorre sapere il messaggio delle battaglie in corso sulla legittimazione di uno spazio, qualunque esso sia.In Italia come in Europa sono numerose le situazioni abusive, in cui gli individui tornano nei territori delladismissione e fondano nuovi gruppi, secondo diversi modi di abitare. L’occupazione è una pratica abitativa abusiva, che implica l’abitare con chi si vuole , dove si vuole.


La Feniglia

Ed è anche grazie alle comunità online che oggi si assiste a una pervasione di principi di solidarietà, che ci fanno sentire più vicini a qualcuno che ha subito un’ingiustizia.Il problema risiede piuttosto giudicare questi movimenti come sempre positivi o negativi, come degli stereotipi legati a nuove forme di abitare “astute” (Bianchetti,2016). Il primo stereotipo include gruppi che, a partire da patrimoni familiari (ad esempio un terreno ereditato o posseduto, ma anche la disponibilità di capitali finanziari), costruiscono in alcuni territori, intrecciando la propria situazione economica con forme distorte di regolazione (Donolo,2016). Petanto è in prima istanza auspicabile una normalizzazione della situazione abusiva. L’altro stereotipo riguarda un fenomeno non più familiare ma comunque abusivo, fondato su capitali culturali e relazionali, sul suolo pubblico o sui luoghi della dismissione. Quest’ultimo viene trattato come un fenomeno che da luogo a compromessi e innovazione, percui la ricezione comune è positiva, in quanto rappresenta una forma di responsabilità. In questo caso specifico è parso necessario andare a fondo sulla vicenda, ed analizzare i processi che hanno portato alla creazione di questa apparente ingiustizia,senza lasciarsi trascinare dalla rabbia e dal rancore verso il sistema istituzionale, ma anche per non accettare che semplicemente lì, in quel piccolo angolo di mondo, è “andata così”. Sino al mese di Marzo del 2016, gli abusivi della Feniglia hanno continuato a lottare per i propri diritti, arrivando persino ad appellarsi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo. Sebbene si tratti di una realtà molto piccola, la risonanza mediatica riscossa e la tipologia di problematiche con cui si scontra (demolizioni e sistema illegittimo) hanno rappresentato inizialmente i fattori sufficienti per andare a fondo con l’indagine e la ricerca. Si è scelto perciò anche di interrogare anche l’altra parte del contenzioso, l’amministrazione comunale di Monte Argentario, in coerenza con la prospettiva d’indagine iniziale del concorso di colpa.


seconda parte

4.2 Un territorio in crisi (da villeggiatura)

Esplorando questi territori, oltre alle indiscutibili bellezze naturali, emergono i caratteri paesaggistici, urbani e infrastrutturali ereditati dalla stagione di un massiccio turismo d’elite, la cui immagine si è consolidata nel tempo. Questa zona nel sud della Toscana negli anni Sessanta “entra nel mirino dei cercatori di oasi estive, di acque pulite e oasi da sogno” : molti politici , intellettuali, imprenditori si costruiranno qui le loro case, perfettamente integrate nella natura, su queste colline accessibili – fisicamente ed economicamente e fisicamente – solo a pochi. Di questo mare d’argento e di questi luoghi si sono innamorati in tanti: dagli locali orbetellani e santostefanesi, alla popolazione della tuscia che qua viene a passare le vacanze, agli abitanti della vicina capitale. In questo contesto si colloca la vicenda della comunità della Feniglia, la duna labirintica protetta da Politiche Forestali1 , in quanto Riserva Naturale2. I proprietari delle abitazioni in questione nel 1986 presentano le istanze di condono edilizio: all’epoca era nota l’esistenza del villaggio, ma la documentazione non è stata visionata dall’amministrazione comunale corrente. Di conseguenza, la questione è stata archiviata sino al 2007, anno in cui sono state svolte le indagini e sopralluoghi nell’area per verificare lo stato dell’arte dell’insediamento e la sua legittimità. Quest’ultime operazioni tuttavia sono iniziate solo grazie all’intervento della Sovrintendenza Ambientale, che ha fatto presente la situazione all’Amministrazione di Monte Argentario.


La Feniglia

Presa visione delle pratiche di condono, l’autorità ha dichiarato l’inammissibilità alla sanatoria per mancanza di documentazione e incompatibilità ambientale, condannando così alla demolizione tutte le casine nel 2008. Le casupole erano allacciate all’acquedotto e alla corrente pubblica, ma i liquami erano scaricati nel suolo.Da questo momento, per l’assessore all’urbanistica di Monte Argentario Enzo Turbanti “La casbah4 in Feniglia ha le ore contate”5 . In seguito alle ordinanze di demolizione, nel 2010 i proprietari portano avanti una battaglia legale per salvaguardare i propri beni: il ricorso è stato perso e il Comune ha negato su ogni fronte l’eventualità di esborso di denaro6 .L’area in questione, sottoposta all’ente di potere di Monte Argentario, appartiene al Comune di Orbetello: secondo il protocollo d’intesa, stipulato ad hoc per l’evento di ripristino, il primo comune si sarebbe occupato delle demolizioni, l’altro del recupero delle somme impiegate nelle operazioni di demolizione. Dal 2010 al 2016 sono state demolite 54 case, con non pochi ostacoli data la geologia stessa dell’area, che rendeva complicato anche solo accedervi. Solo nel 2012 le demolizioni si interrompono per cause di forza maggiore, relative all’evento alluvionale del 10-11 novembre : territori agricoli e litoranei maremmani vengono danneggiati gravemente, compresa l’area in questione, per cui tutte le casette sono state sommerse dai detriti alluvionali7. Le reazioni degli abitanti della casba si sono realizzate in diversi territori.

Fonte immagini: Lucio Luzzetti, 2012


seconda parte

Sul posto, qualcuno ha difeso la legittimità della propria casa per usucapione8 , rendendo necessario l’intervento della Forza Pubblica per ristabilire l’ordine. Nel 2014 i proprietari delle casine istituiscono la comunità virtuale , attraverso la quale espongono la loro “versione dei fatti”. Sono le demolizioni avviate dall’amministrazione locale a essere abusive, non le case ereditate dai parenti, il cui onore e onestà è stato macchiato dall’etichetta “abusivo”. Secondo i soggetti colpiti, le operazioni di demolizioni sono illecite e strumentali a rimpinguare le casse comunali. Inoltre le costruzioni “non deturpano il paesaggio, essendo visibili da una piccolissima porzione di spiaggia (…) e dopo cinquant’anni si sono integrate nell’ambiente naturale, caratterizzandolo rispetto a tanti altri”9. Inoltre, per tutti i fabbricati è stata rilasciata la concessione edilizia dal Comune di Orbetello (proprietario dell’area) nel 1965, e un’ulteriore permesso di ristrutturazione nel 1995, da parte del Comune di Monte Argentario. Per i componenti della comunità l’unico obiettivo è salvare le case, anche a costo di perdervi l’uso esclusivo . Queste posizioni trovano sfogo negli spazi astratti dei social media, che diventa il veicolo attraverso il quale il gruppo di contrattazione descrive se stesso con immagini, commenti, documenti, articoli di cronaca10. Stando alle asserzioni dei condannati, entrambi i comuni sono corresponsabili degli abusi edilizi, non solo perchè consapevoli della situazione della Feniglia, ma anche coinvolti per aver rilasciato permessi e concessioni. La vicenda in realtà è più complicata di quella descritta dagli abusivi e dall’amministrazione.

Fonte immagini: Lucio Luzzetti, 2012


La Feniglia

La descrizione che segue sintetizza i processi di trasformazione abusiva di questi luoghi a partire da una sentenza: il titolare di una baracca, tale Lamberto Innocenti, contro il Comune di Monte Argentario, colpevole di aver respinto le istanze di condono edilizio11. Dalla ricostruzione dei fatti emersa in sede di giudizio, emerge che sono state rilasciate delle concessioni e dei permessi, ma solo per “capannelli ad uso balneare”, un anno prima dell’entrata in vigore del Piano Paesaggistico Territoriale (1966). Lo stesso piano imponeva nell’area un vincolo di “inedificabilità assoluta”: pertanto le uniche costruzioni consentite potevano essere strutture temporanee, di dimensioni ridotte, quindi facilmente amovibili12. Di fatto, se prima dell’entrata in vigore del piano vi fosse stata una situazione abitativa simile a quella rilevata nel 2007 (quartiere di 66 abitazioni), il vincolo non sarebbe stato di “inedificabilità assoluta”, ma di “inedificabilità relativa”, comunque posta al parere della Sovrintendenza. Pertanto, prima del 1965, è da escludere che esistessero abitazioni di quelle dimensioni (ca. 60 mq netti), in quanto in contraddizione con le stesse concessioni edilizie rilasciate. Attualmente sia il Piano Regolatore di Monte Argentario, che il Piano Paesaggistico, escludono a priori ogni tipologia di intervento edilizio che non sia esclusivamente ad uso balneare e di dimensioni concordate e permesse dalle stesse autorità. Di conseguenza, è presumibile che le condizioni iniziali (1965) fossero effettivamente quelle di un gruppo di “capannelli ad uso balneare”.

Fonte immagini: Lucio Luzzetti, 2012


seconda parte

Con il trascorrere degli anni, e approfittando dell’inerzia comunale, i fabbricati si sono ampliati con altri propositi, in coincidenza con l’apposizione dei vincoli.Di fatto i condannati hanno commesso abusi plurimi nel tempo, ampliando di volta in volta i propri spazi, secondo trasformazioni concesse dalle autorità vigenti. Il problema è che queste concedevano ampliamenti e ristrutturazioni per “stutture balneari”, di anni in anni a carattere sempre più “popolare”, e meno “provvisorio”. Inoltre, la colpevolezza degli abusivi è comprovata non solo dall’insufficienza di prove o l’occupazione abusiva di aree vincolate, ma anche dall’adesione spontanea alle demo-

U

lizioni nel 2010: il fatto, tutt’altro che trascurabile, riflette un minimo di consapevolezza di aver commesso abusi, sia nella forma che nell’uso dei fabbricati. Dalla sentenza, e dal sopralluogo illustrato nelle pagine successive, emerge invece la responsabilità delle amministrazioni locali nel confronti del territorio: la reiterata inerzia comunale, come l’abiguità delle relazioni redatte dai tecnici comunali stessi, hanno creato una situazione favorevole agli abusi e al mantenimento degli stessi, per un numero di anni veramente consistente.

1965

1971

1986

Costruzione di capannelli ad uso balneare

Ristrutturazione e trasformazione in Capannelli ad uso popolare

Presentazione di documenti per condono

1965

1971

Permessi per costruire “capannelli ad uso balneare”

Permesso per ristrutturare i capannelli.

Utenti

E

Comune di Orbetello (proprietario dell’area)

Comune di M. Argentario (autorità) La Sovrintendenza

Timeline d’interazione fra Utenti e Enti pubbliche

?


La Feniglia

1.Presenza di materiali nocivi 2.Area vincolata

Municipalità

m

oli

zio

ni

3.Abusi reiterati

de

Tale istanza però non può essere utilizzata da chi ha commesso l’abuso come deterrente per la propria legittimità: un paradosso, dal momento che ciò che si dichiara è diverso da ciò che esiste in realtà. Tuttavia è vero che le amministrazioni dei due comuni hanno delle precise responsabilità nei confronti del territorio e della sua integrità: non solo dal punto di vista del controllo e della repressione dell’abusivismo edilizio, ma anche nell’assetto urbanistico e paesaggistico generale dell’area, e sulle scelte che sono, e non sono, state fatte per molti anni.

2014 Abusivi contro il Comune di Monte Argentario

1.Urbanizzazioni 2.Sicurezza

2007

2010

La Sovrintendenza segnala la situazione abusiva

Inizio operazioni di demolizione

2014

3.Risanamento 4.Memoria del luogo

Comunità abusi va


seconda parte

Accesso viario principale

Solo con un soffio di vento potrebbe volare via il tetto

Dettaglio del ‘’criterio’’ costruttivo

attività antropica invisibile

Oasi protetta da politiche forestali

Estensioni precarie

La natura ha ripreso il sopravvento dopo l’abbandono


La Feniglia

Il giardino privato diventa un piccolo cantiere

Qualcuno ancora abita la pineta

Il tempo e le intemperie si sono portati via la casa

Resistere sul posto per renderlo ospitale

Gli spazi si ampliano e gli oggetti si accumulano


seconda parte

4.3 Osservazioni

Nuovo PRG Portuale

Porto Santo Stefano

Porto di Cala Galera

Porto Ercole

Questo tentativo di contrattazione probabilmente nasconde degli interessi diversi dal desiderio di un futuro sostenibile o dalla necessità di conservare la memoria del luogo. Tale comunità, fatta di attori non sempre anonimi che si esprimono in uno spazio virtuale ma pur sempre pubblico, si serve di luoghi comuni (il ‘co-housing’ sostenibile) per mostrare all’opinione pubblica la bontà delle loro proposte, centrate sulla visione degli sviluppi possibili, secondo una retorica del “tutto si può fare”, ma “non ce lo fanno fare”. Il problema, tuttavia, è che le rivendicazioni della comunità sono emerse nel momento in cui sono iniziate le operazioni di rilievo e demolizione; prima di allora nessuna proposta di trasformazione, rigenerazione o riqualificazione era stata avanzata dai proprietari delle piccole abitazioni, se non le istanze di un condono, impossibile per una zona tutelata e soggetta ad alluvioni. D’altra parte, la rabbia, le proteste e le diffamazioni sono mosse, oltre che senso della proprietà (la ‘roba’ verghiana), dal sentimento d’ingiustizia trasferito sui corpi dei condannati: nelle loro stesse parole, ‘perché le casine del nonno devono essere demolite, mentre le ville inerpicate sul Poggio Pertuso da una parte, sull’Ansedonia dall’altra, possono restare lì’? Qualche risposta a questa domanda si può trovare solo se si osserva il Monte Argentario, le sue spiagge e le sue colline oggi: quali sono i corpi dei condannati? Sono le macerie non ancora rimosse delle casine pericolanti, o sono le ville che fanno capolino dai cespugli di eucalipti e oleandri? E ancora: è il Porto di Cala Galera13, che Susanna Agnelli volle così grande ?


La Feniglia

Viste le vicende torbide che hanno caratterizzato il territorio in questione, probabilmente il modello sostenibile proposto dagli abusivi della Feniglia non avrebbe funzionato, al di la delle reali aspettative di rischio idrogeologico. Le politiche del comune di Monte Argentario hanno già deciso da tempo qual è il modello vincente per la piccola città: lo stesso sindaco Antonio Cerulli (Partito Repubblicano) promette una trasformazione del territorio comunale basata sul ‘modello Agnelli14’: anche se con la crisi sono in pochi a trascorrere tre mesi di vacanze in questi luoghi, sono in arrivo clienti russi e arabi, interessati all’acquisto delle belle ville sul promontorio15 . In definitiva, il futuro di questi territori si giocherà sulle contraddizioni derivanti dall’impostazione prescrittiva delle normative e l’adesione al concetto di sviluppo sostenibile: ciò porterà coloro che dovranno applicare la normativa alla necessità di ripensare l’intera questione della pianificazione degli spazi costieri (Bellicini, 1995). Per le trasformazioni della Costa d’Argento il sindaco ha grandi progetti, politici e infrastrutturali: dall’accorpamento dei comuni di Orbetello, Isola del Giglio, Capalbio e Magliano, ai nuovi piani regolatori portuali. Sull’abusivismo le previsioni del sindaco parlano di una linea di prevenzione solida: non verranno rilasciate concessioni edilizie per nuove seconde case e si lavorerà sulle fiscalità provenienti da quelle ereditate16. Sul fronte della tutela invece, sarà di competenza dell’ente di potere forestale vigilare sull’integrità paesaggistica e ambientale della Riserva Naturale, sperando che rimanga un’incontamitata oasi così come oggi si presenta.

Comune di Orbetello

Comune di Monte Argentario

informalità

Riserva Naturale

ingiustizie

tutela


seconda parte

Note

[1]L.R. n.36, 1979 e L.R. n.52, 1982. [2]D.M. 22/1/1968, D.M. 14/10/1996 e D.M. 22/1/1958 [3] La ricostruzione dei fatti è una sintesi personale della Relazione della Corte dei Conti, prot. n. 19592 del 23 Luglio 2015. [4] ll termine è in realtà utilizzato a sproposito, poichè Kasbah in arabo significa fortezza, luogo del potere. [5]Da Il Tirreno Gelocal, 2 Luglio 2010. [6]Dalla Relazione n. 19592 del 23 Luglio 2015 redatta dal Segretario Generale del Monte Argentario dott. Lucio Luzzetti. [7]Nelle giornate del 10 e 11 novembre 2012 una violenta alluvione colpisce i territori della Maremma Toscana, causando 6 morti e almeno 700 sfollati. Molti territori della Maremma vengono gravemente danneggiati dall’esondazione del fiume Ombrone, lo stesso che provocò l’alluvione del 4 novembre del 1966 (che interessò anche il bacino idrografico dell’Arno in Valdarno, del Brenta in Veneto, del Tagliamento in Friuli, dell’Adige a Trento). Fonte: www. protezionecivile.gov.it. [8]“La proprietà dei beni immobili e gli altri diritti reali di godimento sui beni medesimi si acquistano in virtù del possesso continuato per venti anni.” Art. 1158 del Codice Civile, Usucapione dei beni immobili e dei diritti reali immobiliari. [9]Fonte: www.facebook.com/feniglia. Feniglia Storica Demolizioni Abusive, community. [10] “Abbiamo sempre tenuto in ordine e pulito, e continueremo a farlo se ce ne date la possibilità. Con pochissimo e a spese nostre, potrebbero diventare una fenomenale particolarità della zona, ed in diversi siamo disposti a lasciarle alle famiglie in difficoltà per buona parte dell’anno, formulando un bel progetto di co-housing sostenibile, che arricchirebbe notevolmente il territorio”fonte: Feniglia Storica demolizioni abusive, facebook.com.

[11] Fonte: Sentenza sul ricorso del registro generale n.83 del 2015, proposta da Innocenti Lamberto rappresentato e difeso dall’avv. Franco Taurchini contro Comune di Monte argentario in persona del sindaco in carica, rappresentato e difeso dall’avv. Leonardo Piochi. [12]D.M. del 28 marzo 1966 Piano Paesistico del Comune di Monte Argentario che esclude edificazioni diverse dalle mere attrezzature balneari provvisorie. [13]Il Porto turistico di Cala Galera è stato tra i primi porti privati realizzati in Italia, nonché uno dei più importanti approdi turistici del Mar Tirreno. Conta quasi 800 posti barca totali, di cui almeno 80 riservati ai natanti in transito di lunghezza fino ai 50 metri; i fondali sono compresi, sia in banchina che nell’intero bacino, tra i 3,5 e i 6,5 metri. Tra gli operatori vi sono anche alcune agenzie di charter e broker. Fonti: www.prolocomonteargentario.com, www.wikiwand. com/porto-di-cala-galera [14]L’imprenditrice Susanna Agnelli è stata sindaco di Monte Argentario dal 1974 al 1984. [15]Fonte: www.lanazione.it Argentario. La dolce vita nel promontorio dei re. Turismo blasonato da Beatrice d’Olanda e Costantino di Grecia, del 15 Agosto 2013. [16]Il catasto di Monte Argentario conta appena 120 seconde case. fonte: Comune di Monte Argentario,2016.


La Feniglia

Fonti

Questa pagina rappresenta la nostra versione dei fatti in aggiunta a tutti gli articoli già pubblicati e resi abbondantemente noti all’opinione pubblica che non rappresentavano la nostra visione della vicenda.Secondo noi queste demolizioni non devono essere fatte perché le nostre casine non sono abusive, come si può vedere dai permessi già pubblicati. Non deturpano il paesaggio essendo visibili da una piccolissima porzione di spiaggia, circa 150m rispetto ai 7km di spiaggia, e dopo 50 anni sono integrate nell’ambiente e nel luogo e lo caratterizzano rispetto a tanti altri.Il comune non doveva neanche iniziare un provvedimento che risulta di messa in ripristino e non di demolizione perché è presumibile che già sapeva dalla sentenza del 1971 che avevamo dei veri e propri permessi di costruzione rilasciati dal sindaco. Tali permessi essendo citati in una sentenza come veri e propri permessi di costruzione come mai non sono riconosciuti validi dal comune? Inoltre ci chiediamo dove finisce la messa in ripristino se di fianco a noi ci sono delle ville. Finisce appena iniziano le ville? Se veramente doveva essere fatto un ripristino dei luoghi come madre natura li ha fatti ci domandiamo perché non vengono ripristinati anche i luoghi adiacenti alle casine? Questa pagina voleva sensibilizzare l’opinione pubblica alla vicenda perché fino ad ora chiunque sapeva che le casine erano semplicemente “abusive” mentre la storia è ben più articolata e complessa e speriamo che grazie a questa il nome di persone dignitose e correttissime che purtroppo ci hanno abbandonato nel corso degli anni non vengano più associate all’abusivismo che, abbinato al dissesto idrogeologico ecc, ha creato e crea disastri e disgrazie in tutto il territorio italiano.

Feniglia Storica Demolizioni Abusive Community

Ma non solo...Sbagliare è umano, ed anche risbagliare lo è. E qui non facciamo processi a nessuno.Abbiamo solo un chiaro obiettivo: salvare le casine che sono state costruite legittimamente.(Non sono terminati tutti i ricorsi). Pertanto avevamo già provato, ma vogliamo riproporre a 7 consiglieri comunali, come lo statuto prevede, di firmare per la composizione di una commissione speciale di inchiesta, che ha poteri propri per stabilire e verificare la bontà dei permessi, rivalutare la messa in ripristino dei luoghi e soprattutto la possibilità della demolizione dei soli piccoli ampliamenti condonati nel 1985 e invalidati da insufficiente documentazione. Abbiamo sempre tenuto in ordine e pulito e continueremo a farlo se ce ne date la possibilità. Con pochissimo, ed a spese nostre, potrebbero diventare una fenomenale particolarità della zona ed in diversi siamo anche disposti a lasciarle alle famiglie in difficoltà per buona parte dell’anno formulando un bel progetto di cohousing sostenibile e che arricchirebbe notevolmente il territorio. Sarebbe una vittoria da entrambe le parti.


seconda parte

Avv. Lucio Luzzetti Segretario di Monte Argentario

Intervista del 1 Marzo 2016. In che misura è stato commesso l’abuso? Su tutti i fabbricati in numero di circa 50 sono state presentate le istanze di condono edilizio, ex legge 47/1985. Tutte le richieste sono state rigettate, con conseguente ordine di demolizione dell’abuso. I fabbricati sono stati realizzati con materiali promiscui: per esempio, le coperture in eternit. Da quello che emerge su web, le casette sono state costruite con regolare concessione edilizia, il problema era la presenza di materiali nocivi come l’eternit per le coperture. E ciò è bastato per avviare il progetto della demolizione. Perchè demolire invece di riqualificare o avviare microinterventi sulle parti dannose? Non è possibile riqualificare l’intervento in quanto si trova in zona dunale dove non si può costruire alcunchè. e ovviamente non c’è da risarcire nessuno. Si tratta di una serie di residenze utilizzate come abitazione primaria o come seconda casa per la villeggiatura? Non vi sono residenti, nè tantomeno potevano esserci. Dove si trovano di preciso? Le casette sono state costruite negli anni Sessanta in luogo soggetto a vincolo paesaggistico senza alcun titolo edilizio e su terreno di cui è proprietario il Comune di Orbetello. Quante sono ancora in piedi e quante sono state demolite? Ad oggi sono stati demoliti 43 fabbricati, ne rimangono an-

cora 12, per i quali è stato quali è stato aggiudicato l’appalto di demolizione. Se dopo la demolizione è in previsione 1) la ricollocazione degli eventuali residenti oppure 2) il risarcimento dei soggetti coinvolti. A seguito delle ordinanze di demolizione, gli abusivi hanno presentato il ricorso al TAR e al Consiglio di Stato, contro le ordinanze di demolizione. Per tutti i ricorrenti, vi è stata sentenza di rigetto al ricorso e di condanna al pagamento di spese all’Amminstrazione Comunale. L’ultimo in ordine temporale (il sig. Innocenti Lamberto) è stato condannato al pagamento delle spese processuali a favore del Comune di Monte Argentario pari ad €.5.000). Dopo il sopralluogo, si è notato che la situazione abusiva non riguarda solo l’area in questione, ma che è una caratteristica anche delle altre aree limitrofe alla Riserva Naturale. Quali previsioni urbanistiche vi sono per quelle aree? La vicenda degli abusi in Feniglia e la “bonifica” dell’area, da completare, riguarda una zona per la quale è competente l’autorità di Monte Argentario. Le situazioni simili che ha osservato sono di responsabilità del Comune di Orbetello.


Marsala


seconda parte

5. Marsala Raggiungere Marsala da Torino è stato più rapido del previsto: Ryanair1 vola da diversi anni all’aeroporto di Trapani-Birgi, riaperto nel 2006 con i fondi dell’Unione Europea, includendo Marsala – quinta città della Sicilia per popolazione2 – nel circuito turistico della Sicilia Occidentale. Il ritratto della città nelle giornate di metà maggio è contraddittorio: nel cuore della città, nella piazza principale, è in arrivo una festa, in occasione delle Giornate Garibaldine e dell’iniziativa culturale SicliAmo. Nella Chiesa Madre, barocca siciliana affacciata sulla piazza, è in corso il funerale di Giacomo Rallo, fondatore delle cantine Donnafugata. Nonostante tutto, il pullulare dei turisti e il vociare dei marsalesi creano un’atmosfera vivacemente contenuta, gli abitanti non sono troppo chiassosi né eccessivamente schivi. Tutto il centro storico è zona a traffico limitato e si sviluppa entro il perimetro della città medioevale: qui sono concentrate la maggior parte delle strutture amministrative, culturali e monumentali. Appena fuori dal centro storico, il viavai del porto, pieno di barche e pescherecci un po’ vecchi e sgangherati: questa parte di città sembra più sciatta che vecchia, e l’impressione si rafforza quando arrivano i motoscafi veloci dalle vicine Egadi. Subito accanto al porto invece spiccano i muri alti dell’impero delle cantine, da qualche tempo visitabile e accessibile ai turisti.


Marsala

Nel trapanese Marsala si estende linearmente per trenta chilometri. A sud verso Mazara del Vallo, a nord verso Trapani e a est sulla strada per Salemi. Quando le strade escono dalle mura ed entrano nella galassia urbana è inevitabile perdersi nelle contrade3: sono circa un centinaio, ma nessuno sa quante siano veramente . Oltre il perimetro storico, se serve spostarsi velocemente da una parte all’altra della città – per raggiungere le spiagge o le aree più interne – è bene farlo in macchina: la rete stradale è il supporto preferibile per gli spostamenti, anche se la città dispone di piccola linea ferroviaria che parte da Trapani e arriva a Mazara del Vallo4, pressoché inutilizzata. I collegamenti verso sud permettono di scappare dalla città e nascondersi nella campagna urbanizzata, tra i filari di vigneti, gli oleandri, le palme, muri e muretti a secco.


seconda parte

Stagnone: Zona SIC

Dalla Punta di Capo Boeo invece, verso nord, la periferia avanza a ridosso della strada litoranea: qua l’unico rumore è quello del traffico che, anche quando non ci sono macchine, è portato dal vento. Sul lungomare alle due del pomeriggio passeggiano in pochi, forse perché fa già abbastanza caldo, o perché non è ancora iniziata la stagione del turismo “vero”. A circa cento metri dal mare, si nota un cordone grigio-blu, a una prima occhiata sembrano scogli: è un enorme, puzzolente cumulo di alghe. Quelle alghe “sono in verità una specie protetta, la Posidonia: è vietato rimuoverla. Puzzerà anche, però protegge dall’erosione” .

Costa Sud

Zona E2: verde agevolato

Costa Nord


Marsala

5.1 Il tessuto urbano. Come prima, più di prima Marsala presenta tanti tipi di tessuto urbano, ciascuno dei quali – sebbene in misura diversa – ha conosciuto una qualche forma di abuso. Gli episodi di stranezze nel centro storico riguardano la distribuzione di qualche bonus volumetrico in verticale. Tuttavia l’impronta urbana del centro ha mantenuto pressoché invariati i caratteri planimetrici e distributivi della città araba: il volume solido della città è scavato da vie sghembe, sulle quali affacciano gli accessi alle abitazioni. Sulla strada affacciano anche piccoli portoni e cancellate posticce, che impediscono ai curiosi e ai turisti di entrare nelle corti interne. L’entroterra e le coste sono segnati da fenomeni formalmente e storicamente diversi, ma correlati. Nell’entroterra urbano compaiono edifici in stato di abbandono e sottoutilizzo, eredità di una stagione di concentrazione demografica attorno ai poli lavorativi, tipica della città diffusa. La presenza di case sparpagliate nel territorio ha permesso la diffusione di piccoli abusi secondo una logica additiva: la piccola struttura che nasceva come magazzino degli attrezzi nel tempo si è trasformata col tempo in spazio abitabile .

Fonte: intervista a Ignazio Vinci, 19 Maggio 2016.


seconda parte

Edilizia popolare a nord

Contrada San Teodoro

Popolazione Contrade (2012) -17--1% 0% 1-­17% 18-47% aree vuote Fonte: Comune di Marsala.

Contrada Berbaro-Rina

Contrada Strasatti

Negli ultimi anni, invece, le coste marsalesi hanno subito una massiccia concentrazione nelle borgate costiere preesistenti, con conseguente espansione del tessuto urbano, anche grazie alla velocizzazione e alla valorizzazione dei collegamenti costieri; pertanto è l’intero assetto della città che tende a consolidarsi sugli insediamenti costieri preesistenti. C’è sicuramente il fattore attrattivo delle strade ma non solo quello. Le occasioni di edificazione per queste aree risalgono agli anni Settanta, quando viene promossa una normativa importante. Nel 1976, la Regione Sicilia5 emana una Legge Regionale che agisce in due direzioni: in primis, vieta qualsiasi intervento edificatorio entro i 150 metri, al di fuori dei centri urbani esistenti, in secondo luogo distribuisce finanziamenti a sostegno delle attività ricettive e alberghiere6. In altri termini, questo riferimento normativo ha creato la premessa dell’ondata di abusivismo di seconde case sulle coste marsalesi verificatosi negli anni successivi, mettendo a disposizione per l’edificazione aree originariamente destinate all’agricoltura, poi classificate come zone per verde agevolato7. Questa legge in pratica ha funzionato da primo spartiacque in termini di edifici sanabili/insanabili, per cui tutti gli edifici realizzati nella fascia di rispetto dopo il 1976 non possono accedere ai benefici della sanatoria. Tuttavia, con l’emanazione del condono edilizio nel 1985, si è creata una vera e propria congestione edilizia: il comune di Marsala per tutti gli anni Ottanta e Novanta ha ricevuto almeno cento pratiche di sanatoria al giorno.


Marsala

Un primo dato sull’entità fisica delle costruzioni nel marsalese proviene dalle analisi del settore abitativo prima dell’applicazione del Piano Comprensoriale del 1978: circa 3.000.000 di metri cubi di edilizia abusiva residenziale (di cui circa il 48% è di carattere stagionale) e 1.000.000 di metri cubi di edilizia destinata ad attività industriali e artigianato8. Per Marsala ancora oggi il riferimento urbanistico è il Piano Comprensoriale del 1978: lo strumento prevede la suddivisione in circoscrizioni al fine di agevolare un’amministrazione capillare dei servizi, spalmata su un territorio comunale molto articolato. Nel 2003 sono state soppresse le circoscrizioni di decentramento amministrativo9, ma il comune risulta ancora suddiviso in sette quartieri urbani e sette contrade extraurbane10. 3.000.000 mc di Edilizia Abusiva (dati stimati)

U L

1976

2016

1978

Costruzione di seconde case

1976

1978

L.R. n.78, Provvedimenti per Piano Comprensoriale lo sviluppo del Turismo in Sicilia

2003 Soppresse le Circoscrizioni amministrattive

Timeline d’interazione fra Leggi ed Urbanizzazioni

2016


seconda parte

5.2 Vecchie, giovani bugie. Marsala non è l’unica città siciliana che sta pagando lo scotto di anni di edificazione senza indirizzo11, di inerzia amministrativa e di crisi economica. L’amministrazione marsalese, sotto la guida del medico Alberto di Girolamo (PD), sindaco dal 15 Maggio del 2015, procede molto lentamente con le demolizioni e solo sotto le pressioni dei procuratori. Il ripristino dei luoghi, della legalità, o semplicemente un lieto fine delle operazioni sono sempre ostacolati da giustificazioni12, come la mancanza di finanziamenti per le demolizioni, da un radicato fastidio nei confronti dei cittadini – che “anche se c’è il vincolo se ne fregano e costruiscono le loro proprietà”(Fonte: intervista del 19 Maggio a Giuseppe Giacalone). Un fastidio che si esprime nell’arco di una conversazione, insieme con un’ode alla propria condotta professionale e una condanna all’intero genere umano. Fermandosi alle inquisizioni e ai giudizi, non sembrano esserci prospettive fertili. Se si osserva l’esperienza di trasformazione territoriale e di evoluzione normativa della Sicilia e di Marsala, emerge come per molti anni la crescita e la costruzione del territorio sia stata dettata da un sistema di regole “sovvertito”, in cui diritto e legalità sono perennemente in tensione (Cremaschi, 2009). Assumere che la legalità sia prerogativa di certezze univoche è probabilmente corretto dal punto di vista giuridico, ma dal punto di vista delle pratiche è astratto: guardando alle politiche pubbliche – intese come sistemi di regole pubbliche, come un piano o una legge – virtuoso è chi rispetta le regole pubbliche.

Il problema in questo ragionamento è che prima del riconoscimento delle regole vi è lo stato di diritto. Il sistema teso di regolazioni che si è venuto a creare in questi territori è probabilmente un lascito della presenza criminale nel territorio: cosa nostra è stata attiva soprattutto nella Sicilia Occidentale; non è certo nuova la capacità della mafia di accompagnare lo sviluppo dei territori, inserendosi nella società urbana e nelle sue istituzioni . Nello studio dei sistemi di relazioni sommerse che si creano nei territori a presenza criminale, sembra corretto considerare ambiti di attività non regolati né dallo stato né dal mercato, evitando però di confondere l’informale con la giustificazione dell’illegalità. È lo stesso concetto d’illegalità a diventare fluido dal punto di vista pratico, sebbene la norma giuridica sia formalmente corretta.


Marsala

Sono gli stessi spazi urbani, la struttura del mercato e il grado di pubblicità delle politiche a definire le precondizioni dello stato d’illegalità. Gli studi dell’antimafia13 dimostrano come le organizzazioni criminali siano capaci di inserirsi in questi ambiti in funzione vicaria delle istituzioni (grazie alla strategia del consenso), infiltrando associazioni di credito, imprese edili e pubbliche amministrazioni. Nel caso di Marsala emerge un adattamento alle pratiche anomale (documentazione falsa) di regole formali (leggi regionali) dentro un sistema apparentemente legale: è noto come le organizzazioni criminali siano in grado di distorcere il sistema delle regole senza ricorrere all’illegalità “tradizionale”, ma inducendola , creando cioè una catena di connivenza sia nel panorama professionale tecnico sia in quello politico. Il problema quindi è che è un intero sistema di relazioni ad andare in crisi, a piegarsi all’interesse privato e a ostacolare lo sviluppo di atteggiamenti produttivi. Se è vero che l’abusivismo edilizio – nel marsalese e nel trapanese – è la strategia vincente nel trentennio precedente, allora la recente crisi occupazionale in atto in questi luoghi è il sintomo del superamento di questo modello.

« L’equivoco su cui spesso si gioca è questo: si dice quel politico era vicino ad un mafioso, quel politico è stato accusato di avere interessi convergenti con le organizzazioni mafiose, però la magistratura non lo ha condannato, quindi quel politico è un uomo onesto. E NO! questo discorso non va, perché la magistratura può fare soltanto un accertamento di carattere giudiziale, può dire: beh! Ci sono sospetti, ci sono sospetti anche gravi, ma io non ho la certezza giuridica, giudiziaria che mi consente di dire quest’uomo è mafioso. Però, siccome dalle indagini sono emersi tanti fatti del genere, altri organi, altri poteri, cioè i politici, le organizzazioni disciplinari delle varie amministrazioni, i consigli comunali o quello che sia, dovevano trarre le dovute conseguenze da certe vicinanze tra politici e mafiosi che non costituivano reato ma rendevano comunque il politico inaffidabile nella gestione della cosa pubblica. Questi giudizi non sono stati tratti perché ci si è nascosti dietro lo schermo della sentenza: questo tizio non è mai stato condannato, quindi è un uomo onesto. Ma dimmi un poco, ma tu non ne conosci di gente che è disonesta, che non è stata mai condannata perché non ci sono le prove per condannarla, però c’è il grosso sospetto che dovrebbe, quantomeno, indurre soprattutto i partiti politici a fare grossa pulizia, non soltanto essere onesti, ma apparire onesti, facendo pulizia al loro interno di tutti coloro che sono raggiunti comunque da episodi o da fatti inquietanti, anche se non costituenti reati. ». Paolo Borsellino, Istituto Tecnico Professionale di Bassano del Grappa, 26 Gennaio 1989.


seconda parte

Il reticolo stradale dell’insediamento segue l’orditura agricola a partire dalla scansione delle proprietà dei terreni, organizzata in recinzioni o in muratura e anche con palizzate in legno e rete metallica o plastica. A partire dalla strada principale SP 84 o Via Mazara si diramano strade minori originariamente percorse dalle vetture dei contadini. La strada è all’inizio in terra battuta, viene asfaltata in un secondo momento.

Il sistema di strade e stradelle definisce in maniera più chiara il perimetro dell’isolato e del lotto. La larghezza delle stradelle (che sono anche gli accessi al mare) varia da 4 m ai 2 m man mano che ci si avvicina al mare. L’importante è che ci sia spazio per far passare almeno una vettura. Le stradelle sono tutte a doppio senso: dalla SP 84 (larga 7 m perché a doppia carreggiata) al mare, il fondo stradale sfuma dall’asfalto alla sabbia.

Molte di queste sono realizzate per concedere l’accesso a un’unica abitazione. Qualora siano edificate nuove abitazioni, la strada si allunga o si collega alla vicina. Il sistema di strade si ripete ipnoticamente e crea uno spazio labirintico. Ho avuto difficoltà a orientarmi e a muovermi in queste strade che non di rado sono inagibili, in particolare quando piove.

Mancando punti di raccolta delle acque, l’allagamento è sistematico anche perché vialetti o piccole rampe carrabili tendono a far confluire le acque al centro delle strade.


Marsala

Un’altra forma di espansione è l’occupazione spontanea dell’area. Questa avviene spesso nottetempo grazie all’apposizione nel lotto di case mobili o strutture a secco. Avvenuto l’innesto del volume, la mattina successiva si arreda e la casa è pronta per essere abitata. Il lotto è il punto di partenza di ogni genere d’edificazione. I lotti agricoli dell’insediamento studiato seguono la suddivisione tipica delle viticolture.

La forma è stretta e lunga, più o meno grande, disposta ripetitivamente forma una serie di pettini, che in questo caso seguono la linea di costa perpendicolarmente.Il lotto coltivato presenta l’intelaiatura delle vigne, a volte è recintato da reti sorrette da sottili pali di ferro, oppure nascosto da teli in plastica verdi. Dismesso l’uso agricolo, il terreno diventa incolto e pieno di piantumazioni spontanee infestanti.

I pettini seguono la direttrice stradale e l’accesso ai lotti è garantito dalla strada stessa. Poi il lotto diventa un cantiere: bonificato il terreno, si recinta il perimetro del lotto, chiudendo stavolta l’accesso stradale con muri o muretti o con pannelli metallici da cantiere. L’alternativa è trovare nel lotto materiale edile.A un primo sguardo, sembra solo un mucchietto di macerie.

Secondo gli art. 13, 14 e 15 delle Norme Tecniche di Attuazione contenute nel Piano comprensoriale di Marsala del 1978, i materiali non possono essere depositati in prossimità della strada e di fatto essi si trovano in una posizione arretrata rispetto al filo stradale, appoggiati alle pareti perimetrali del lotto o

agli angoli.


seconda parte

Le uniche abitazioni completamente visibili sono quelle che affacciano sul lido, costruite qui negli anni ottanta. per non oscurare la visuale, i muri qui sono quasi sempre bassi,piuttosto lunghi, e l’abitazione si trova in posizione arretrata rispetto al lotto. La salsedine e l’umidità hanno corroso l’intonacatura esterna, pertanto è il piccolo muretto il primo a fornire un minimo di protezione. Se il muro è preesistente si rinforza, altrimenti si realizza ex novo alline-

ando la muratura a quelle vicine. In seguito avviene la suddivisione del lotto in verticale o in orizzontale a creare una maglia composte da cellule pronte all’edificazione o all’utilizzo come spazio verde privato. La scansione del lotto può essere realizzata con muri o muretti che segnino il confine tra una proprietà e l’altra.

Col tempo e l’avanzare del mare, il muro è diventato indispensabile, come i padroni delle grandi ville che guardano l’orizzonte: è la loro massa a disegnare sulla linea costiera una barriera di protezione per le abitazioni retrostanti. Le villas della costa a sud di Marsala sono sempre abitazioni di grandi dimensioni, abitate solo d’estate perchè affittate ai turisti. I proprietari probabilmente hanno ereditato gli immobili da qualche parente che qui, circa vent’anni fa, ha deciso di costruirsi la cosa come la

voleva, dove voleva. Il fronte spiaggia è quasi completamente occupato, e le demolizioni qui tardano ad arrivare... Uno dei motivi possibili di questo ritardo è riconducibile proprio ai vantaggi oggettivi della posizione di queste case: offrire protezione, e una residenza estiva grande e comoda. (Fonte: Intervista del 19 Maggio a Giuseppe Giacalone, Comune di Marsala).


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L’igloo è una tipologia edilizia ricorrente nell’insediamento ed è utilizzata non solo dagli abitanti ma anche dai gestori delle strutture turistiche, che li chiamano invece bungalow. L’igloo funziona da segnaposto nel lotto per indicare che qui c’è un’abitazione. La sua struttura a secco è composta da un telaio di ferro riempito di polistirolo sul quale viene fatto un getto di cemento o intonaco bianco. A un primo sguardo sembrano in muratura e ricordano camini del vento. La dimensione

del diametro dell’igloo varia dai 4 agli 8 m, l’altezza massima è di 3 m. L’igloo è un’abitazione confortevole a tutti gli effetti, dotata di camera, bagno e salotto cucina, che se arredato con un divano-letto può ospitare più persone: figli, parenti o amici.Nell’insediamento c’è un’intera strada abitata dagli eschimesi. Qualora decidessero di espandersi, l’igloo può combinarsi con la veranda oppure essere inglobato in un secondo momento, quando si deciderà di ampliare tutta la casa.

Le verande sono rapide da realizzare e più grandi sono meglio è, così tutta la famiglia può pranzare all’aperto o riposarsi al fresco se in casa fa troppo caldo. La veranda è lo spazio collettivo semiaperto che può essere grande quanto la superficie dell’abitazione stessa. Il volume chiuso serve, infatti, da zona notte e di servizio: una o due camere, cucina e salotto, servizi. D’altra parte, la baracca agricola serviva all’agricoltore per depositare gli attrezzi per lavorare la terra o per rifugiarsi dal caldo e dalla pioggia. I solari possono realizzare la veranda

autonomamente in legno con una copertura in finti coppi, o in pagliericcio, o renderla più solida con putrelle e tegole. Altrimenti può essere tamponata da fenestrature semplici ed economiche; la veranda può essere estesa su tutti i lati della casa. La veranda è un modo come un altro di acquisire spazio, permettendo rapidamente di occupare una percentuale di superficie della proprietà. La veranda e la tettoia possono essere autorizzate, o anche realizzate e poi sanate.


seconda parte

I diagrammi espongono un’ipotesi di espansione delle unità a partire dal fabbricato agricolo preesistente. Tradizionalmente, l’edificio è di forma cubica realizzato in calcestruzzo armato (telaio spaziale) o in tufo (proveniente dalle cave). Molte abitazioni in questa zona hanno dimensioni ridotte, e tendono a espandersi in verticale o in orizzontale, ad avvicinarsi o a innalzarsi. Altre volte invece si realizza l’abitazione direttamente double: stesse superfici e distribuzioni interne, percettibili anche in facciata.

I nostalgici abitano dietro le grandi ville antistanti il mare, o accanto a loro, probabilmente anche loro eredi dei colonizzatori della spiaggia. Vivono in case molto aggregate tra loro, per cui l’unico elemento di separazione sono i sottili muretti che corrono ai lati perimetrali della casa. Tra loro c’è uno spazio minimo, anche un paio di metri, giusto per far passare la macchina. Queste abitazioni costituiscono una piccola comunità che vive come una grande famiglia, ma gli spazi sono ben definiti e separati.

Molte tra queste hanno la chiostrina, uno spazio di servizio da adibire all’asciugatura del bucato o a piccolo ripostiglio, affacciata sul lato posteriore dell’abitazione direttamente sulla strada. Si può accedere alla chiostrina solo dall’interno dell’abitazione: dall’esterno essa appare come un’apertura senza infisso, chiusa da una zanzariera o da una rete metallica. Secondo l’art. 26 delle Norme Tecniche di attuazione del Piano, questa tipologia di spazio è classificata come spazio aperto. Si tratta di una superficie mini-

ma corrispondente alle proiezioni degli aggetti superiori che al netto misura 1/8 di quella delle pareti perimetrali. L’altezza massima è di 20m, minima 4. L’altezza inferiore dell’apertura è di almeno 1,5-1,7 m da terra, circa 2/3 della superficie della facciata inferiore.


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L’alternativa ibrida tra il volume con la veranda e l’abitazione-tipo (due camere da letto-cucina-servizi) è la casa-shed, soluzione architettonica che accontenta necessità di luci e ombre sulla copertura. Questa tipologia è assai ricorrente nell’insediamento, probabilmente perchè economica e funzionale.


seconda parte

5.3 Osservazioni

L’operazione di analisi tipologica dell’insediamento ha l’obiettivo di far emergere la diversità di scelte costruttive degli abitanti della zona esplorata: insieme alle tradizionali metodologie costruttive, oggi il confronto include con altre tecnologie che viaggiano a una velocità maggiore, al di fuori di ogni possibile controllo. Cade perciò lo stereotipo generalizzato della casa abusiva povera, realizzata con materiali tradizionali messi in opera nel luogo in cui si vuole costruire. Sicuramente è ancora così, ma solo in parte. Oggi le possibilità si moltiplicano grazie all’utilizzo di astuzie edilizie in grado di provvedere nell’immediato alla realizzazione di un’abitazione, per così dire, ready made, che assicuri un livello di comfort paragonabile su ogni fronte a quello di un’abitazione tradizionale. Le case mobili o gli igloo prima descritti sono esempi che portano a galla uno dei nodi della questione: sebbene la casa possa oggi essere realizzata in modo sostenibile o mobile e reversibile, si può avere la certezza (in questo caso) che essa rimarrà sempre così? Non è forse l’abusivismo uno dei tanti modi possibili di ricercare stabilità per qualcosa- cioè la casa- che non è così stabile come si vorrebbe dare a credere? Inoltre: se già è scarso il controllo da parte delle istituzioni, chi può dare la certezza che la stessa sciatteria non sussista anche nelle operazioni di progettazione? La ricerca sul campo ha permesso di intercettare nuove forme, stavolta invisibili: tra queste, una è la frammentazione del titolo di eredità, che confonde le responsabilità. Varrebbe a dire che l’odierno abusivismo assumendo caratteri sempre

più autonomi e mimetici, rende spesso complicato anche solo capire se una casa è abusiva o meno, chi è il proprietario, o i proprietari,ammesso che essi siano ancora vivi.. (fonte: Intervista a Francesco Patti e Giuseppe Giacalone,19 Maggio 2016) L’altra forma è una sorta di abusivismo immobiliare che necessita alcune premesse di carattere procedurale. Prendendo la campionatura degli edifici entro la fascia dei 150 metri dalla costa, la morfologia dominante è un modello di grandi, in posizione arretrata rispetto al lotto, e verde privato circondato da lunghi muri di contenimento. Su questi edifici vige un vincolo che ne impone la demolizione, in quanto incompatibili con l’ambiente dunale. Le ville sono residenze stagionali, abitate per un periodo che varia dai 3 ai 6 mesi. La procedura ufficiale di demolizione prevede dapprima la confisca da parte del Comune del bene immobile, previa denuncia dei vigili urbani (i quali possono bloccare l’edificazione abusiva solo se colta in flagrante)(ibid.) . Spesso però dopo la confisca e il sigillo , le abitazioni vengono vandalizzate o rioccupate abusivamente. In altri casi ancora non si arriva nemmeno allo sgombero. Data la circostanza d’inerzia comunale, i proprietari usano affittare le proprie abitazioni, promuovendo così un vero e proprio mercato degli affitti delle seconde case abusive. In sostanza, anche se dal punto di vista legale l’edificio è condannato alla demolizione, nella realtà continua a essere utilizzato sino a che non avverranno effettivamente le operazioni: con la sola sentenza non se ne impedisce il “riuso”.


Marsala

Note.

Ed è quindi come se si fossero generate due città, l’una prevalentemente legale, l’altra cresciuta e consolidata nell’illegalità. La questione che si apre a questo punto riguarderebbe l’accettazione o meno della Marsala illegale, cosa che tra l’altra sta già accadendo, data la numerosità delle abitazioni abusive e la lentezza delle demolizioni. Il centro storico continua a essere visto e vissuto come un’entità autorevole, grazie alle attività collettive e amministrative che vi si svolgono. Tuttavia questa rappresenta una realtà altra da quella nei pressi dei litorali, e questo perchè le borgate espanse illegalmente continuano ad essere luoghi scelti dove vivere,almeno per una parte dell’anno. Da qui emerge che è tutta la città ad essere complicata da amministrare, tra cui i quartieri abusivi sono solo un tassello di una realtà veramente più complessa e diversificata, spalmata su un territorio vasto e dispersivo. Non è nelle mie intenzioni delineare il futuro prossimo di tutta la città, ma posso dire di aver visto tantissime Marsala, ognuna diversa dall’altra, ognuna un po’ legale e un po’ illegale.

[1] In questo periodo i voli hanno dei prezzi abbastanza accessibili, nei periodi pasquali invece salgono alle stelle. [2]Marsala conta circa 83.004 abitanti: nel 1978 erano circa 86.000, poi la sua contrada più popolosa (Petrosino) si è resa autonoma. Fonte: Comune di Marsala,2016. [3] Cfr. gli incontri. Sulle distanze dal centro storico, il comune di Marsala individua un massimo di 15 km a un minimo di 1 km. [4] La mobilità veloce è favorita da due testate autostradali Palermo-Mazara del Vallo e Palermo-Aeroporto Trapani-Birgi. Ad esse si aggiungono i tracciati della Strada Statale 118 che collega Marsala a Salemi, la Strada Statale 115 tra l’aeroporto Birgi e Mazara del Vallo. Infine, la Strada provinciale 84 collega Marsala a Petrosino e la Strada Provinciale alla località di Birgi. Grazie a questo sistema di mobilità la direttrice costiera marsalese risulta ben collegata al resto della Sicilia Occidentale. Non di rado durante il giorno il traffico è congestionato: gli spostamenti entro il territorio sono quasi sempre effettuati in macchina, essendo il centro urbano stesso molto vasto e articolato. [5] La Sicilia è Regione a Statuto speciale, dunque ha competenza assoluta in materia urbanistica. [6] L.R. n.78 del 12/06/1976, Provvedimenti per lo sviluppo del Turismo in Sicilia. [7] Il piano comprensoriale del 1978 classifica la costa a sud (contrada Berbaro-Strasatti) zona E2, verde agevolato. [8] Fonte: Coppo e Cremaschi, 1994, p. 226 Tipologie di produzione abusiva. [9] Con la deliberazione del Consiglio Comunale di Marsala n.51 del 14 Marzo 2003. [10] San Leonardo-Birgi, Paolini-Bosco, Strasatti, Terrenove-Ciavolotto, Amabilina-Ciancio: ognuna è costituita da un numero consistente di contrade. Fonte: comune di Marsala. [11] Per questa ricostruzione dei fatti: www.osservatorio-sicilia.it, www.tp.24.it. [12] DDL Revisione della normativa relativa alle costruzioni nella fascia di 150 metri dalla battigia. Fonte: Gazzetta Ufficiale Regione Siciliana. [13] Fonte: www.archiviopiolatorre.it, capitolo terzo: la mafia urbana pp.195 e succ.


seconda parte

Incontri Ignazio Vinci,Professore di Pianificazione Urbanistica presso l’Università di Palermo. Marsala,15 Maggio 2016. Ci incontriamo in un bar nel centro storico dopo una corrispondenza via mail nella quale descrivo il lavoro che vorrei mettere in atto per ricostruire la storia degli insediamenti abusivi nella città. La persona in questione conosce i motivi del mio interesse e me ne parla dal suo punto di vista. Marsala è una città che ha conosciuto varie forme di abuso, che di per se significa molte cose. L’urbanizzazione nell’entroterra ha delle ragioni storiche dettate dall’assetto stesso della città: circa la metà della popolazione marsalese vive ai margini delle contrade e l’aggregazione è avvenuta attorno ai poli lavorativi. La città è composta da 50 contrade di cui circa una quarantina sono nuclei storici. L’edificazione di piccole case nel territorio ha permesso la diffusione di abusi secondo una logica additiva: la piccola struttura che nasceva come magazzino per gli attrezzi nel tempo si è trasformato in uno spazio da destinare all’abitazione. Tale caratteristica del territorio di Marsala non è unica poiché in Sicilia esiste un’altra città molto simile a questa, la città di Vittoria, che si organizza spazialmente in contrade. Il tessuto costiero è composto prevalentemente da seconde e terze case, presenti anche nei territori interni. La costa sino agli anni Settanta si articolava con un paesaggio dunale e a seguito del processo d’insediamento iniziato in quegli anni, oltre alla densificazione edilizia si è articolato un complesso sistema di stradelle che permette la circolazione nell’insediamento. Questa tipologia di strada è in relazione alla presenza di una strada a scorrimento più

veloce (la strada provinciale che collega Marsala alla vicina città di Mazara del Vallo) ed è sterrata. L’edificazione cominciata negli anni Settanta ha visto la sua massima espansione negli anni Ottanta e Novanta, quindi dopo il 1978, l’anno in cui è stata emanata in Sicilia la legge che segnava il limite di inedificabilità entro i 150 metri dalla linea di costa. Di conseguenza tutto ciò che è stato realizzato post-1978 diventa illegittimo e tutto ciò che si trova entro la fascia è definito non sanabile data la sua posizione entro una zona vincolata. La legge ha funzionato da primo spartiacque non solo nei termini sanabile/non sanabile, ma ha permesso di identificare come spontaneo tutto ciò che è comparso sul territorio dopo l’emanazione della legge. Entro tale fascia rientrano circa 300-400 edifici che, trovandosi in quella posizione e classificati come insanabili, sono destinati ad essere demoliti.Per quanto riguarda tutto ciò che si trova al di fuori di questa fascia sono migliaia di pratiche di richiesta di sanatoria non gravate dal vincolo che le destina alla demolizione, nonché risultato concreto di sopravvivenza grazie all’emanazione di tre sanatorie nazionali. La costa a Sud in particolare è caratterizzata dalla presenza di villaggi turistici che si vanno ad aggiungere ad un tessuto composto in prevalenza da abitazioni stagionali. A Nord presso la Riserva Naturale dello Stagnone si articolano strade costiere e l’edificazione risale agli anni Settanta e Ottanta. Molti edifici in questa zona sono stati sanati, molti altri, costruiti durante gli anni Ottanta, sono destinati ad essere demoliti.


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Marsala negli ultimi anni ha conosciuto un grande sviluppo turistico che nel centro storico ha portato alla trasformazione del tessuto urbano in alberghi,bed and breakfast e pensioni. Ad essi si è aggiunge la tendenza a trasformare piccole porzioni di case in spazi da destinare alla locazione nei periodi estivi. Come effetto correlato vi è stata la moltiplicazione di locali notturni, ristoranti, botteghe alimentari nelle quali si può anche mangiare, negozi per la degustazione della specialità della zona, il vino Marsala. Queste piccole ma importanti trasformazioni dell’uso degli spazi cittadini ha portato a far soffrire una parte della popolazione, quella più anziana, che abitando ancora buona parte della città resiste alla logica turistica verso cui si stanno indirizzando le attività cittadine; d’altra parte ne soffre e ne lamenta l’impatto negativo sulla propria vita quotidiana, con particolare riferimento a rumore proveniente dai locali e all’inquinamento degli spazi di circolazione della città.” Stando alle affermazioni della persona con cui stiamo interloquendo, la vocazione profondamente turistica della città è comunque da tenere in considerazione nell’ottica di indirizzare lo sviluppo della stessa in quella direzione. La redazione di un piano strategico per Marsala è la manifestazione più evidente di come la città tende a mostrarsi. Tuttavia si tratta di una piccola parte che, benché manifestando un carattere forte, deve confrontarsi con tutto ciò che non è turistico o ricreativo. Sulla scia di questo discorso l’abusivismo, in particolare nel Sud di Marsala, è da considerare come un’attività di carattere speculativo in quanto, stando alla descrizione ri-

portata, indirizza il turismo delle seconde e terze case che, venendo affittate durante i periodi estivi, creano profitto per i proprietari che da una parte hanno la possibilità di arricchirsi, dall’altra indirizzano il turismo nella loro direzione. A tale processo si aggiunge la presenza di una particolare tipologia di struttura ricettiva comunemente chiamata 30 euro al giorno. Questa etichetta fa riferimento a tutte quelle strutture che nascono come accoglienza per i migranti e per gli immigrati che, come suggerisce il nome stesso, mettono a disposizione i propri spazi di accoglienza sulla base di un finanziamento statale che prevede la cifra di trenta euro al giorno per ciascun richiedente asilo. Su questa questione si apre un capitolo poco limpido, poiché sembra esserci molta confusione sia sull’effettivo funzionamento di ripartizione economica offerto da queste strutture, che sulle condizioni di alloggio cui devono sottostare gli ospitati. E’ difficile generalizzare su queste questioni poiché è complicato sapere fino a che punto le voci sullo sfruttamento o sul maltrattamento degli immigrati e dei migranti in queste strutture siano vere o se si tratti di mistificazioni. Infine il colloquio si concentra sulle possibilità didattiche offerte dell’università di Palermo come singola istituzione e in relazione al neonato (2008) Politecnico del Mediterraneo che mette a sistema le università di Palermo, Enna, Catania, Siracusa e Messina. L’obiettivo di questo nobile progetto è non solo di indirizzare gli studi nella Regione, ma anche di specializzare la didattica attorno alle questioni globali. Secondo il manifesto promulgato dal Politecnico stesso gli


seconda parte

obiettivi che si pone nascono dalla posizione centrale che assume l’isola nel mondo mediterraneo: “ La Sicilia è l’isola dove da secoli si sperimenta la pacifica convivenza tra popoli, luogo d’incontro tra culture e fermenti diversi, il dialogo proficuo tra mondo latino e mondo arabo.”

Vito Angelo, Pianificatore libero professionista. Marsala, 12 maggio 2016. La città è in grande fermento perché si festeggiano le Giornate Garibaldine e un’iniziativa SicliAmo. Il centro storico pullula di turisti e abitanti della città che insieme contribuiscono a creare un’atmosfera vivace e movimentata. Incontriamo oggi Vito, un ex studente di Pianificazione Territoriale dell’Università di Palermo, con il quale ho intrattenuto una corrispondenza via mail quando cercavo di capire che cosa stesse succedendo a Marsala prima della mia partenza per questa meta. Ho trovato il contatto di Vito cercando sul web associazioni che si occupassero di abusivismo edilizio nella zona e ho trovato che Legambiente è attiva nella zona comprendente il territorio di Marsala e quello della frazione vicina, Petrosino. Prima di conoscere Vito, credevo si occupasse di abusivismo nei termini in cui lo pone Legambiente. Conoscendolo ho avuto modo di comprendere nello specifico di cosa si occupa nella vita e in che misura è legato all’attività di Legambiente. In questa giornata lo incontriamo e, da bravo pianificatore, disegna su una mappa turistica della città i punti in cui essa è stata interessata da qualche forma di abusivismo. Ci segna sulla carta due edifici che sono stati realizzati con qualche modifica rispetto al progetto originario, ovvero con due o tre piani in più. Osservando il profilo della città dal lungomare turistico è impossibile non notarli perché essi spiccano per la loro altezza se guardati in relazione al tessuto storico in cui sono inseriti, ovvero quello di una città di fondazione araba. Il gesto del nostro amico non è casuale: ci dice che per ricostruire la storia dell’abusivismo della città di Marsala sarebbe


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necessario ripercorrere tutte le fasi della sua storia, operazione a suo parere ai limiti dell’impossibile da realizzare. A Nord vicino all’aeroporto c’è molto abusivismo. A Sud il paesaggio dunale è stato cementificato col tempo e il mare sta mangiando pezzi di spiaggia: in un punto è arrivato a erodere il terreno sotto la strada litoranea che lambisce la costa marsalese. A Sud spostandosi verso l’interno, si può trovare un residence turistico realizzato dal costruttore Licata che, possedendo un ristorante in un lotto, si è espanso ed ha realizzato una struttura turistica molto estesa che, a partire dalla sua posizione originale sul filo della strada, si è diffusa sino al lato opposto della strada provinciale chiamata anche Via Mazara. Per quanto riguarda le coste la Legge Galasso in Sicilia è stata declinata diversamente: il limite di in edificabilità assoluta non corrisponde ai 300 metri dalla linea costiera ma è ridotto ai 150 metri, data la conformazione dell’isola stessa interamente perimetrata da spiagge. L’erosione provocata dal mare è un fattore da tenere in considerazione perché esso sta avanzando con grande velocità verso la costa, di conseguenza le spiagge si riducono di superficie di anno in anno. In città questo non accade: in corrispondenza dell’apice del lungomare panoramico è possibile vedere, spostando lo sguardo a destra e a sinistra, un cumulo di alghe immenso, quasi a voler creare una seconda spiaggia. Montagne di alghe che sembrano scogli se le si osservano dalle immagini satellitari: si tratta in verità dell’alga Posidonia, un tipo di alga specie protetta. Perciò è vietato rimuoverla, può solo stare li a proteggere la città, come fosse un’altra cinta muraria con un’unica conse-

guenza: fa un cattivo odore. La tipologia edilizia abusiva prevalente sulla costa a Sud comprende sia di baracche povere che abitazioni di dimensioni contenute, utilizzate dai proprietari solo come rifugio dormitorio, dal momento che durante l’estate si vive molto il lido. In alcune di esse è forse possibile entrare. L’insediamento sulla costa nasce dal tessuto edificato di una contrada, Berbaro-Rina, una delle contrade più estese e popolate della città. Marsala è strutturata come un sistema di contrade, molte di esse, le più lontane dal centro della città, sono attualmente disabitate, altre invece si sono fuse tra loro. La logica espansiva delle contrade consiste nell’edificazione del lotto anteriore la casa da destinarsi ai figli dei proprietari. La città è caratterizzata da edificazione spontanea secondo la modalità prevalente di seconde case, resort e villaggi turistici e in qualche punto, anche da abusivismo urbano.


seconda parte

Ing. Francesco PATTI, Responsabile Lavori Pubblici del Comune di Marsala. Intervista del 16 Maggio 2016. [CF] Quali sono le procedure che adottate per le demolizioni? [FP] La fase procedurale è dettata dalla legge. 47/85, divenuta poi Testo Unico dell’edilizia. Dopo la segnalazione di abuso, accertiamo l’abuso, ingiungiamo al proprietario con la demolizione e gli diamo un termine entro cui demolire per iniziativa del responsabile dell’abuso e ha tempo fino a 90 giorni. Dopo si verifica se ha ottemperato o meno: se l’immobile abusivo non c’è più, chiudiamo il fascicolo, altrimenti emettiamo un provvedimento in cui attestiamo che l’immobile entro i 90 giorni non è stato demolito e passa al patrimonio comunale e poi procediamo alle variazioni catastali, per cui si passa dalla proprietà del privato alla proprietà del comune. In seguito, comincia un iter secondo cui facciamo una valutazione sull’utilizzabilità o meno dell’immobile a fini pubblici. Questa valutazione ricade su quegli immobili che si trovano in aree genericamente destinate ad aree urbane. Le aree ad in edificabilità assoluta invece ricadono nei 150 metri dalla costa: come già esplicitato, qua non si può edificare. Se lo dice la legge non si possono mantenere. Successivamente si procede con un provvedimento di demolizione d’ufficio: facciamo un progetto della demolizione dove si valutano le caratteristiche del fabbricato, materiali e volumi, segue un computo metrico di quelli che saranno i costi per il singolo immobile da demolire, incluso lo smaltimento delle macerie e lo mettiamo a gara [d’appalto]. A seguito della gara l’impresa procede a questa (benedetta) demolizione, portiamo il materiale a smaltire, procedimento abbastanza complesso. Dopodichè avviene una procedura per recuperare i soldi che abbiamo speso per la demolizione, secondo l’art 7 della 47/85. Anno per anno l’amministrazione decide un importo delle somme da mettere a bilancio e noi anno per anno li usiamo per effettuare queste demolizioni.

Cerchiamo di recuperare queste somme ma è molto più difficile di quello che sembra. Queste somme vanno a rimpinguare le casse comunali: è un ciclo, non molto veloce però abbiamo già demolito 25 abitazioni, che rappresentano una realtà nel meridione abbastanza significativa. Anche perché noi ci muoviamo sotto l’autorità giudiziaria. [CF] Questo per quanto riguarda gli immobili entro i 150 metri. Ma al Signorino c’è chi ancora costruisce, anche oltre quella fascia di in edificabilità assoluta: con o senza permessi, non si sa. [FP] Se è oltre i 150 la procedura è assolutamente identica a quella descritta prima, con la sola eccezione che il comune deve valutare lo stato dell’immobile: in questo modo può avvenire il passaggio da patrimonio privato a patrimonio pubblico. [CF] Vi sono d’immobili abusivi che sono stati sequestrati e ora fanno parte del patrimonio pubblico? Con questi il comune che cosa ha intenzione di fare? C’è un futuro per loro? [FP] su quelli nella fascia a in edificabilità assoluta non c’è futuro. Sugli altri negli anni si sono succedute delle norme di sanatoria, perché ci sono state 3 sanatorie a livello nazionale. Si sono fatti in alcuni casi dei piani particolareggiati compatibili con l’assetto urbanistico, in cui si valutava la possibilità di mantenimento del bene. Ad esempio: se dei beni si trovano su terreno agricolo su cui l’amministrazione ha deciso di realizzare una strada, quindi c’è un immobile abusivo che cozza con questi piani, si può prevedere tramite piano particolareggiato la demolizione. Se questo è ai lati della strada si può sanare tramite pagamento di una somma abbastanza rilevante, parte di questa va alle casse dello stato parte va alle amministrazioni comunali ovvero gli oneri concessori. I fini economici per rimpinguare le tasse sia comunali che nazionali, quindi a prescindere dalle sanatorie.


Marsala

[CF] Quindi il Comune cosa potrebbe fare con questi immobili? [FP] La procedura prevede che l’amministrazione acquisisca il bene, ma è un problema particolare nel senso che una volta che avviene il passaggio di proprietà, l’immobile viene vandalizzato se non assegnato. Le assegnazioni sono un po’ particolari e quindi l’immissione in possesso noi la facciamo solo in funzione della demolizione. Quindi abbiamo un insieme d’immobili abusivi (circa duemila) che fanno parte del patrimonio comunale. L’immissione in possesso significa che noi facciamo un provvedimento specifico tramite il quale intimiamo il proprietario di sgomberare tutto e lasciarci le chiavi. Questo lo facciamo anche forzosamente, arriviamo con un’impresa e cambiamo le chiavi. Ma questo lo facciamo solo quando siamo pronti a demolire, nel frattempo continuano a vivere nelle case: la demolizione con le risorse a nostra disposizione, la facciamo secondo un criterio…primi tra tutti quelli entro i 150 metri. Poi continuiamo a procedere su questi fabbricati. [CF] Riuso degli immobili sanabili: avrebbe senso mobilitare soluzioni fiscali utili al comune? [FP]C’è un problema interpretativo. Bisognerebbe passare attraverso un meccanismo giurisprudenziale degli utilizzi che si possono fare, perché gli utilizzi devono essere comunali. Quindi che cosa facciamo: guardare gli standard della pianificazione urbanistica per attrezzature, zona per zona individuiamo gli standard che servono: scuole,verde pubblico.. ma con questi immobili parliamo di standard riferibili a edilizia pubblica, quindi utilizzabili per case di quartiere, centri comunali o quant’altro. Siccome è un patrimonio fondamentalmente di natura turistico-ricettiva stagionale, concentrato nella zona sud e nella zona nord, gli standard per il comune potrebbero esaurire con l’1% o il 2% del patrimonio, poi la

delibera che fa il consiglio comunale per individuare queste attrezzature sono 2-3-10 immobili a fronte di 1000 di quelli che ci sono. Poi c’è un problema interpretativo che non si è mai risolto: si può utilizzare questo patrimonio per edilizia abitativa a favore dei ceti più bisognosi o soggetti svantaggiati? Questo non è certo si possa fare. Se si potesse fare è chiaro che noi lo faremmo ma non l’ha fatto nessuno e non è certo che si possa fare normativamente. Qua la contraddizione è che se noi (comune) dobbiamo fare la casa di quartiere o una scuola possiamo farla ex novo, altrimenti bisognerebbe valutare se l’immobile si adatta agli standard richiesti per scuole etc. Abbiamo una serie di immobili con cui facciamo questa riconversione, ovvero con quelli confiscati alla mafia,ed è più facile perché abbiamo una pressione maggiore ad utilizzare quei beni. Onestamente che tutto questo patrimonio pubblico possa essere riconvertito è un pochino aleatoria.. C’è anche la questione dell’edilizia economica abitativa da osservare, per quelle famiglie più svantaggiate, che potrebbe essere la seconda opzione. Ma sembra quasi certo che non lo si possa fare perché non possiamo entrare in possesso del bene per poi venderlo. Quindi ci vuole veramente fantasia per andare verso percentuali rilevanti di riuso di questi immobili per finalità pubbliche. Poi alla vostra… Non risolve il problema dell’abusivismo. [CF] Ammesso che esista una soluzione per risolvere il problema dell’abusivismo.. [FP] Non dicevo questo: non si risolve il problema dell’utilizzo dei manufatti che sono già nostri. Il problema dell’abusivismo è di gran lunga in calo, c’è sempre ma è in gran lunga in calo: rispetto agli anni ottanta in cui avevamo 100 pratiche al giorno ora ne abbiamo un al giorno se va bene.


seconda parte

Giuseppe GIACALONE,Responsabile del servizio Edilizia Privata, Comune di Marsala. Intervista del 16 Maggio 2016. [CF] Quanti edifici tra quelli abusivi sono prefabbricati e quanti invece no? [GG] Per il 99% sono tutti fabbricati. Prefabbricati ce ne sono pochissimi. La legge parlando di fabbricati per abitazioni non fa nessuna distinzione tra un fabbricato in muratura, uno in cemento armato e uno prefabbricato: parla semplicemente di fabbricati. O è fisso o è appoggiato o è in aria, per me è sempre un fabbricato. [CF] Certo è che per gli immobili prefabbricati la rimozione dovrebbe essere più semplice. [GG] Noi non procediamo a togliere quelli che sono più facili, noi non dobbiamo fare numero, a noi di fare numero non ce ne frega niente. Dobbiamo togliere quelli che la legge ci dice di togliere. Noi abbiamo avviato e chiuso il processo amministrativo per prima demolire quelli per cui il processo amministrativo è stato concluso più vecchio, poi quello chiuso l’altro giorno. Se io ho due immobili, di uno si è concluso il processo cinque anni fa e uno l’altro ieri, io prima demolisco quello vecchio, poi quello nuovo. E non m’importa quanto grande sia e di che materiale è fatto: la legge non mi dice di fare distinzioni, la legge mi dice di demolire fabbricati, e quando si parla di fabbricati se non fa distinzione la legge nemmeno io devo farne. Demoliamo secondo la legge 47/85, tutti gli altri immobili sono stati demoliti in base alla legge 77 e alla legge 78. In contrada Marausa ad esempio vi sono 70 edifici abusivi. [CF] Che succede invece a Nord, vicino al villaggio San teodoro? [GG] San Teodoro saranno 5 6 ettari in cui sono stati costruiti dei fabbricati che non sono tutti occupati, pochi.Il grosso è dopo l’aeroporto, siamo a Marsala non a Trapani: li si che c’è un rilevante numero di fabbricati abusivi. [CF] In queste zone più lontane dal centro della città sembra esserci molto abusivismo.

[GG] [disegna una mappa] Qui ci sono le spiagge più belle e zone panoramiche. A scendere, verso la contrada Spagnola, vi è un’altra zona panoramica: c’è molto abusivismo perché il posto attira, molte persone andavano in quella spiaggia e si costruivano la casa. [CF] Tutti i marsalesi sanno che queste sono zone vincolate? [GG] “Zone di pregio”. [CF] Come mai allora l’abusivismo è stato permesso? [GG] Tutto l’abusivismo di Marsala è nato negli anni 80. [CF] Certamente è evidente che vi siano costruzioni di 20-30 anni fa, ma li c’è chi ancora costruisce. [GG] Si è vero. L’altro giorno è venuta una persona e mi ha detto: “io pago 5000 euro di affitto: 50mila euro con 5 mila euro di affitto sono 10 anni. Con 50 mila euro posso costruirmi una casa, e prima che voi mi demoliate passeranno 20 anni e io ci ho guadagnato 10 anni di abusivismo”. Ci sono persone che vanno ancora a costruire perché sanno che la burocrazia è molto lunga. Molti per esempio compravano il terreno, su cui il proprietario direttamente costruiva. Ora invece compra la madre, il padre, che hanno 95 anni. Poi lui lo eredita, quindi non l’ha commesso lui l’abuso, l’ha commesso la madre di 95 anni: il terreno lo compra lui, ma lo intesta alla madre in modo che il procedimento penale lo fanno alla madre. E lui così si trova questa casa abusiva involontariamente. Anche passaggi di proprietà coi fratelli. Finché ero all’università stavo con la testa fra le nuvole, quando mi sono messo a lavorare sono tornato a terra. Quindi per un progetto: cosa ci facciamo con tutti questi fabbricati? Li lasciamo a chi? Le diamo a chi? A chi ne ha bisogno? E allora togliamo una persona che possiede un fabbricato, lo facciamo uscire da casa e lo lasciamo in mezzo a una strada e ci mandiamo una persona che ha bisogno di questo fabbricato.


Marsala

Quindi tolgo una famiglia dalla strada per mettercene un’altra, quella che si è fatta la casa la sbatto fuori. Quella che per tutta la vita non ha fatto niente invece le do la casa. Come la giustifica questa cosa? [CF] Lei è sicuro che sia così per Marsala e per tutti i casi? [GG] Purtroppo è così per il 99% dei casi. [CF] Per quanto tempo sono abitate le case in questione? [GG] Se non sono occupate tutto l’anno, sono occupate per 6 mesi all’anno. Quelli che sono sulla spiaggia a Berbaro futuro non ne hanno perché sono dentro i 150 metri non possono essere sanate. Quegli edifici fuori dai 150 metri, dove non ci sono vincoli, di quelli dobbiamo parlare. Sono tutte case abitate. Non deve guardare la contrada Berbaro dalla spiaggia ma dalla strada, molti sono abitati, moltissimi e tutto l’anno: è tra le contrade più grandi,abitate e concentrate. Il problema in questa zona è che d’inverno è danneggiata. [CF] In che senso danneggiata? [GG]Chi abita in quella zona non cura il verde nei mesi invernali, in questi giorni comincia a curare il verde perché ci sono giornate più belle. Ci abitano comunque, quelle vicino alla strada (Via Mazara) si, quelle vicino al mare no, sono stagionali. In pratica tutti i fabbricati che sono oltre i 150 metri sono quasi tutti abitati tutto l’anno.In quella zona il mare si mangia almeno un metro di spiaggia ogni anno: questo significa che tutti i fabbricati a prospetto del mare vengono danneggiati dalla salsedine e dalle mareggiate ogni anno, quindi le persone sanno che costruendo dietro la prima fascia potrebbero ritrovarsi l’edificio rovinato tutto l’anno. Chi vi abita tutto l’anno, sa che non deve andare li, quindi se ne va’ vicino alla strada. [CF] Questo tessuto nasce come agglomerato di seconde case o come espansione dalla contrada? Sono tutte seconde case in cui gli abitanti stanno prediligendo come abitazione

principale? [GG] Si, sono nate tutte come seconde case. [CF] Che oggi sono prime, quindi. [GG] Si, diventano prime perché ci va ad abitare il padre, che possiede l’appartamento a Marsala e lo cede al figlio, per tornare a vivere in campagna. D’estate la famiglia si riunisce al mare: vicino al mare sono sempre tutte seconde case, distante dal mare tutte prime case. [CF] Il tessuto si vede che qua tra la litoranea e Via Mazara si sta saldando a questa contrada, che sembra tutta la stessa roba, come se stesse nascendo un nuovo insediamento, città. [GG] Sembra. Ma non sta nascendo niente. Lei ha fatto tutta questa strada: questa foto risale al 1978, come vede qua ci sono questi rioni risultato di lottizzazioni fatte da coloro che possedevano una fascia di terreno stretta e lunga, l’hanno “tagliata” e hanno costruito tutti. Qua dentro ci sono delle casbe vere e proprie: se lei prende questa strada così, due macchine non passano, se prende questa curva, di qua due macchine non passano. I lotti di terreno qua sono 200/300 metri quadrati, sono lotti minimi e sono andati a costruire qua ed è così per tutta questa zona. Ora è molto più densa. [CF] Non c’è un modo per tutelare questi lotti liberi? [GG] Non possiamo apporre vincoli perché non c’è una legge che lo permette. La legge ci dice di fare dei controlli e di bloccare l’abusivismo prima che nasca. Non c’è nessuna legge che ci permette di mettere un vincolo. E poi anche i 150 metri erano vincolati, eppure vi hanno costruito sopra lo stesso. E dove è finito il vincolo? I 150 metri arrivano qua così, (me lo mostra) questi fabbricati qua che sono dentro i 150 metri sono tantissimi. Hanno costruito tutto. Ora questa zona è piena, tutta ormai. Zone libere sono lotti piccoli, non esistono più. Anche se c’é il vincolo loro se ne fregano e costruiscono le loro proprietà.


seconda parte

[GG] Il fatto che li facciano prefabbricati è semplicemente per accorciare i tempi della fabbricazione. Per questo processo chiamano il muratore che predispone semplicemente la base, poi il fabbricato arriva già composto: entrano sulla spiaggia,da qua o altre strade e arriva pronta. Magari in due o tre pezzi, in mezza giornata hai già il fabbricato pronto per abitarci. Ecco perché tanti usano il prefabbricato: quando i vigili urbani vanno a fare il verbale, non possono mettere i sigilli perché la legge dice che i vigili urbani solo se trovano i lavori in corso devono mettere i sigilli. Non trovando lavori in corso non possono mettere i sigilli perché la casa è già bella che fatta. [CF] Questa però sembra più una modalità per aggirare la legge. [GG] Ma questa è la legge. Le persone sfruttano la legge, sono furbe. Ci sono ingegneri e avvocati che gli danno dei consigli, l’avvocato dal punto di vista penale dice “ tu ti devi sbrigare”, se non vuoi farti mettere i sigilli. E come si fa? Va da un ingegnere e dice: prendiamo un prefabbricato e lo installiamo, la sera magari non c’è niente, il mattino dopo c’è una casa. [CF] C’è tanta edilizia, ma che cosa c’è di urbano? [GG] Niente: infatti molti impresari hanno sfruttato certe aree per farne una lottizzazione, ad esempio davanti al lido Delfino. Sono fuori dei 150 metri, era possibile costruire. Tutto qua ci sono 4 o 5 lottizzazioni che si estendono fino qua in fondo, tutto regolarmente approvato perché queste erano tutte zone C classificate nel Piano Comprensoriale, per cui hanno lottizzato costruendo case principalmente: una due camere da letto, soggiorno, piccolo ripostiglio e basta. Una massimo due camere, bagno, cucina soggiorno, ripostigli. [CF] La casa è molto vissuta? Dove si ritrovano gli abitanti di questi luoghi?

[GG]Al mare o nei lidi, d’inverno a Marsala, qua ci vanno verso aprile,maggio. Chi ha i bambini a scuola, vengono qua i primi di giugno e tornano a Marsala a settembre. Tutti fanno così, il padre e la madre stanno fino a novembre, dicembre-gennaio. A febbraio già se ne vanno di nuovo, fanno tutti così. [CF] Queste persone hanno un’idea del peso che hanno sull’utilizzo del territorio? [GG]Se fossero al corrente di una cosa del genere non si comporterebbero così. [CF] Allora perché secondo lei non c’è questo tipo d’interesse da parte di queste persone? [GG] Non è queste persone ma sono tutte le persone: alle persone non frega niente di consumare il terreno, ma gliene frega solo di avere la proprietà. Non gliene frega niente. Perché io devo stare attento a consumare il terreno e tu no? Tu ti fai la casa e io no? Tu te la sei fatta qua, e io davanti a te. E questo quello che pensano le persone, in tutti i posti è così, quando si parla di abusivismo è così. Alle persone non interessa dove. Questa è una casa per cui è intervenuto un architetto. Questa è prima del 1978, qui è intervenuto un architetto, gliene è fregato niente? No. Se l’architetto pensa qua non si può costruire, ci rimette il progetto e non ci guadagna. Il progetto si fa e l’abuso anche.. Se non fa il progetto, non guadagna. Quando si tratta di soldi non importa niente a nessuno. Io ho progettato un intero quartiere di mi sembra 120 mila metri quadrati con 8/9 mila abitanti: ero anche io con la testa tra le nuvole all’università. La realtà qual é? Che vado a chiedere soldi a chi fa l’abuso edilizio [ride]. Quando voi andate a fare questa tesi fatele si le proposte: ma ricordatevi che la legge dice una cosa e voi architetti un’altra e andate a cozzare con questa.


Marsala

[GG] La legge non prevede la vendita degli immobili, quindi o li usa il comune per metterci i propri uffici o per darli ai donatori di sangue o ad altre associazioni di beneficienza a queste le può dare perché non ci sono fini di lucro. Però non può vendere ne dare questi fabbricati a chi ne ha bisogno. [CF] E secondo lei è giusto? [GG] No. Io veramente la penso in un’altra maniera, da sempre: tutto l’abusivismo edilizio è stato fatto dai politici. Perché non pongono un freno? Quando hanno fatto la legge sulla sanatoria non hanno pensato che cercando di far superare meno i vincoli molti meno sarebbero stati i fabbricati che avrebbero avuto il diritto di sanatoria. Una cosa è demolire mille fabbricati, una cosa è demolirne 10. Se io ne ho mille abusivi e ne posso sanare 990 a demolire 10 fabbricati ci vuole niente. Ma se su 1000 ne devo demolire 500 allora li nascono i problemi. [CF] Secondo lei delle leggi più locali sull’abusivismo potrebbero “risolvere”? [GG] Ci vuole una legge nazionale. Se tutti i 150 metri sono occupati che ce ne facciamo? Accorciamo portiamoli a di meno. Se c’è una strada e oltre la strada è tutto fabbricato, o demoliamo tutto e poi che facciamo? Arriviamo fino al 1978 e mettiamo tutto in regola? Demoliamo quelle che sono state fatte dopo ma non è che liberiamo la zona, questa rimane occupata, con meno fabbricati ma occupata. Se io devo andare al mare sulla spiaggia devo arrivarci in qualche modo. Devo demolire prima quella a 150 o quella sulla spiaggia? Allora dovrebbe essere diversa la legge. La fascia tra i 150 e i 300 è soggetta al parere della Sovrintendenza, ma non è che non si può costruire: si può ma ci vuole il parere della Sovrintendenza. [CF] Quindi secondo lei quale potrebbe essere il futuro prossimo dell’abusivismo nel marsalese?

[GG] non lo so, non lo so più. E’ appunto per questo che dico noi demoliamo il fabbricato che sta dietro la battigia ma lasciamo quello davanti, ma che significato ha? O tutti o nessuno. E invece no, siccome la legge dice che quello è stato fatto dopo il 78 lo dobbiamo demolire, questo che è stato fatto prima lo dobbiamo lasciare. La difficoltà dovremmo averle con quello che sta davanti no quello dietro. Se riduciamo tutto a 50 o 30 metri che coincide col vincolo diventa più facile andare a demolire questi fabbricati: non parliamo più di centinaia di fabbricati ma di decine di fabbricati. Le persone così non si lamentano. [CF] I numeri di cui stiamo parlando sono numeri che fanno si che l’abusivismo sia un fenomeno sociale, non puntuale. Nel momento in cui si tratta di demolirne decine è un conto, quando si parla di centinaia è difficile. Nel caso di Berbaro dovrebbero essere cacciate delle famiglie, tassarle non è sempre possibile. [GG] Sicuramente è molto difficile. La legge sull’abusivismo edilizio non è nata per condannare quello che si è fatto la casetta al mare, ma è stata fatta per salvare Milano 2,Milano 1 cioè quello che ha fatto Berlusconi. Infatti lui si è fatto fare la legge appositamente per salvare i suoi villaggi. Tutta Milano 1, Milano 2 e 3 eccetera sono stati fatti tutti abusivamente: ha realizzato un’altezza pari al doppio e una dimensione quadrupla ris. Se avevano concessione di 100mq per 100 appartamenti, lui ne ha fatti 1000, poi però c’era suo cognato al governo e si è fatto fare la legge in modo da salvarsi tutto e da poter vendere i fabbricati. Non è nata per salvare il singolo fabbricato. Questa legge dei 150 metri è stato un incidente di percorso. Perché se li c’era un vincolo lo avrebbero tolto, siccome non c’era… in quel momento è stata fatta la 47/85, da questo punto di vista quella legge era perfetta. Per lui.


seconda parte

[GG] Perfetta per lui: applicata qua a Marsala, come per tutte le zone costiere la faccenda cambia, poi il fenomeno dell’abusivismo esce fuori molto più ingigantito,poi è inutile che mi vengano a dire che la collina è franata perché sono andati a fare il fabbricato abusivo. Perché a quello che hanno dato la concessione per fare il palazzo sul letto del fiume, gli hanno fatto modificare il piano terra del palazzo per far passare il fiume. Poi che mi vengano a dire del fabbricato abusivo..no non è vero perché gliel’hanno concesso. Sono anche tutte le opere di urbanizzazione che non hanno mai fatto, perché se io so che quella collina sta franando non mi vado a fare la casa abusiva lassù. Poi mi dicono va bene, ma il comune poi non va a fare le opere di urbanizzazione come dovrebbe fare poi con il passare degli anni la collina diventa franosa e poi si che cominciano a cadere le case. E’ un gatto che si morde la coda: dare la colpa all’abusivismo per nascondere i loro errori. Tante volte viene data la colpa all’abusivismo, ad esempio tramite alcuni giornali che dicono che l’edificio era irregolare.


Marsala

Conclusioni


note conclusive

6.1 Una situazione contraddittoria L’abusivismo è stato analizzato e raccontato estesamente, ma lascia alle generazioni correnti narrazioni datate, non più aderenti alle realtà urbane contemporanee del nostro paese. Sembra quindi che si debbano superare i dogmi necessità/speculazione, autonomia/trasgressione davanti alle situazioni paradossali come alla progressiva “democratizzazione” del fenomeno abusivo, divenute entrambe “costituzione” delle città. La progressiva acquisizione di autonomia decisionale delle realtà comunali (ovvero la delega frattale del potere decisionale dallo stato alle pubbliche amministrazioni) e l’evoluzione delle pratiche abusive (dall’autocostruzione per necessità all’affitto sommerso, ma anche alle forme molecolari dell’eredità) hanno portato alla creazione di uno stato delle cose in cui un diritto è concesso aprioristicamente, tanto arriverà il momento in cui lo Stato sanerà tutto (di nuovo). Uno sguardo al passato fa immediatamente capire come questo sistema si alimenti in modo ricorsivo: ipertrofia legislativa e periodicità di condono alimentano speranze e produzione di nuovo abusivismo. D’altra parte, il modo in cui la questione viene affrontata è spesso congiunturale e opportunistico, privo di un interesse continuo: diventa una questione piuttosto astratta, legata a questo o quel giudizio. L’intento iniziale di questo lavoro era sezionare la galassia indistinta dell’abusivismo e farne emergere la complessità. L’abuso come pratica consolidata e il condono come soluzione reiterata hanno prodotto effetti perversi non sempre percettibili da un unico punto di vista. Siccome è più corretto parlare di abusivismi che di abusivismo, l’approccio metodologico

che ho adottato non era solo funzionale a una nuova disamina dell’abusivismo italiano ma un veicolo di conoscenza della sua, per così dire, “etnografia”. Guardare oggi all’abusivismo da una posizione deresponsabilizzata equivale a banalizzare un problema che non ha bisogno di nuovi giudizi, ma di nuove impostazioni. In altre parole, sono tutti generalmente d’accordo sull’assunto che l’abusivismo non dovrebbe esistere, ma esso, di fatto, esiste: le responsabilità così si volatilizzano, esattamente come l’oggetto in questione. Il punto allora è capire in che modo il sapere tecnico può occuparsi di abusivismo e con quali strumenti e competenze può rendere giustizia alla complessità del fenomeno, che è insieme singolare e plurale: “questo stesso territorio può essere guardato come esito della cultura fai-da-te, ma anche di un’azione collettiva di erosione e sfruttamento privato del territorio, di trasformazione radicale e relativamente rapida” (Bianchetti, 2003, p.29) . Per questo motivo ho scelto di descrivere la prospettiva iniziale come un concorso di colpa : in questo gioco delle parti, cittadini e istituzioni per primi sono coinvolti a parità di responsabilità. Tramite lo studio delle pratiche, è stato possibile risalire al ruolo dei diversi attori che definiscono le tonalità dei regimi sregolatori (Donolo, 2016): non si tratta solo di elusione della norma, ma di costruzione di plusvalenze tutt’altro che scontate. Il primo problema di questa posizione è la facilità con cui si può cadere nell’inganno della lente di giudizio condanna/ giustificazione: il giudizio in sé ha valore di accettazione, che


note conclusive

per un ricercatore equivale a dire che tutto è già stato detto e che va bene così. Assumere invece un punto di vista multiplo alimenta il sapere, senza fermarsi ossessivamente sul particolare ma conoscere e capire il fenomeno come parte di un quadro complesso, nell’ottica dell’azione e della costruzione di nuove politiche sociali più consapevoli. Questa posizione “incorporea” rischia di coincidere con il pluralismo dilagante nella nostra società (i media, l’ambientalista, la destra, la sinistra, il costruttore, ecc.), per cui dando ragione a tutti si perde il senso del discorso. Il punto allora è capire il limite entro il quale si possono assecondare gli interessi di una pluralità di posizioni, e, nel caso specifico dell’abusivismo, affrontare le questioni politiche e sociali che stanno alla base. Tutti i territori dell’abusivismo presentano una complessità tale per cui ogni forma di regolamentazione sembra non aver funzionato in un modo specifico (Donolo, 2016). Il problema nel caso italiano non è solo la struttura delle politiche o il singolo testo normativo in sé perché è l’intero sistema legislativo il terreno entro cui si agisce illegalmente (come è successo per molto tempo a Marsala e a Monte Argentario). In questo campo è fondamentale il ruolo delle istituzioni, ma anche il blocco dovuto alla discrezionalità, al familismo e al favoritismo tra cittadini (Donolo, 2016; Bianchetti, 2003, 2016; De Leo, 2016). In più, le istituzioni agiscono per ristabilire l’ordine pubblico in situazioni che esse stesse hanno contribuito a creare! Questo “disordine pubblico” , unitamente ai reiterati tentativi di condono, rappresentano l’insieme di butterfly effects del sistema di riproduzione abusivo. Partendo da qui, cade in con-

traddizione la legislazione come mezzo di controllo sull’abusivismo: del resto ogni forma passata di controllo pare non abbia funzionato (Donolo, 2016). L’esistenza dell’abusivismo come realtà imprevista o ignorata o scomoda non implica necessariamente una svalutazione del lavoro del planner o dell’urbanista. Anzi chi lavora in questo campo parte in vantaggio poiché possiede gli strumenti adatti a fare le dovute distinzioni.


note conclusive

6.2 Quello che ancora non è stato detto Sulla condizione fisica del patrimonio edilizio abusivo si apre un’altra grande parentesi. Posto che oggigiorno edilizia legale, edilizia condonata e nuove costruzioni s’intrecciano sempre più frequentemente con fenomeni di dismissione e sottoutilizzo (Lanzani, 2003, 2016), resta da capire che farne. A questa situazione urbana si accompagnano stati di diritto che variano fortemente secondo le condizioni al contorno: il fenomeno è capace di adattarsi a qualsiasi variante insediativa, o di autogenerarsi quando politica, possibilità economiche e occasioni di edificazione agiscono da input. Alberto Clementi nel 1980, a proposito di Roma, diceva che “la città abusiva si omologa progressivamente alla città ufficiale”: rispetto a trent’anni fa, probabilmente ora si è arrivati – in certi luoghi – a uno stadio di quasi completa autonomia del fenomeno, motivo per cui (forse) molti pensano che sia una questione che non riguarda chi studia i fenomeni urbani. Riconoscere il carattere dinamico dell’abusivismo attraverso lo studio di esempi concreti è un modo di raccontare la realtà abusiva, da accompagnare a un’analisi dei dati più completa. Su questo fronte è prevista l’istituzione della Banca Dati Nazionale dell’abusivismo edilizio, e questo è certamente positivo.

Dai casi di studio che riporto in questa tesi è emersa una coincidenza “per absurdum”: a Monte Argentario gli imputati sono condannati per “insufficiente documentazione”, ossia rilievo inesistente. A Marsala la documentazione per le istanze di condono era “mendace”, ”falsa”. Ne è nata una riflessione più profonda sull’abusivismo: non si tratta di prendere decisioni per capire da che parte stare, ma è indispensabile analizzare una realtà complessa con i supporti della tecnica (il disegno) e un sapere (dell’archeologo, dell’ecologo, del sociologo, dell’urbanista, del’ingegnere, del geologo,del geografo e del magistrato) fatto di conoscenza attiva e libera ricerca.


note conclusive

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Settis, Salvatore (2012) Paesaggio,Costituzione,Cemento. La battaglia per l’ambiente contro il degrado civile, Einaudi, Torino. Turner, John F. C. (1976), L’abitare autogestito, Jaca Book, Milano Tosi, Antonio (1994), La casa. Il rischio e l’esclusione, Franco Angeli,Milano. Turner, John F. C. e Fichter, Robert (1972), a cura di, Libertà di costruire, Il Saggiatore, Milano, 1979. Zanfi, Federico (2008), Città Latenti.Un progetto per l’Italia abusiva. Mondadori, Milano. Zanfi, Federico, Curci, Francesco, Formato, Enrico Sull’abusivismo edilizio. I nodi da sciogliere per riaprire la questione, pubblicato in Parolechiave n.54, 2015, pp. 91-104. Zanfi, Federico, The città abusiva in Contemporary Southern Italy: illegal building and prospects of change, pubblicato in Urban Studies n.50, Dicembre 2013, 3428-3445.


note conclusive

Leggi Nazionali Legge 17/08/1942, n. 1150, ’’Legge urbanistica’’ Legge 27/01/1977, n. 10., “Norme per la edificabilità dei suoli” Legge 28/02/1985, n. 47, ”Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico - edilizia. Sanzioni amministrative e penali”) Decreto-legge 27/01/1985, n. 312, convertito dalla legge 8 agosto 1985, n. 431, ’’Disposizioni urgenti per la tutela delle zone di particolare interesse ambientale’’ Legge 11/02/1994, n. 109, ’’La nuova legge quadro in materia di lavori pubblici’’ Legge 16/0½003, n. 3 ‘’Disposizioni ordinamentali in materia di pubblica amministrazione’’ Decreto-legge 27/06/1985, n. 312, convertito dalla legge 8 agosto 1985, n. 431, art. 1/b, ’’i territori contermini ai laghi compresi in una fascia della profondità di 300 metri dalla linea di battigia, anche per i territori elevati sui laghi;’’ Leggi Regionali Legge Regione Lazio 22/05/1980, n. 28, ’’Norme concernenti l’abusivismo edilizio ed il recupero dei nuclei edilizi sorti spontaneamente.’’ Legge Regione Puglia 21/12/2012, n. 15, “Norme in materia di tributi regionali” Legge Regione Toscana 09/08/1979, n.36, ‘’Ordinamento dei porti e degli approdi turistici della Toscana’’ Legge Regione Toscana 29/06/1982, n.52, ‘’Norme in materia di opere concernenti linee ed impianti elettrici fino a 150.000 Volts’’ Legge Regione Sicilia 12/06/1976, n.78, ‘’Provvedimenti per lo sviluppo del Turismo in Sicilia’’


note conclusive

Sentenze della Corte Costituzionale Corte Cost., 2/6/2006, n.49 Corte Cost., 8/2/2006, n.39. Sentenza n. 5 della Corte Costituzionale del 1980, Corte Cost. n. 22 del 1965 Corte Cost. n. 55 del 1968

Normativa Testo Unico 380/2001 D.M. 22/1/1968, D.M. 14/10/1996 D.M. 2½/1958 D.L. 22/½004 Deliberazioni Proposta di Deliberazione della Giunta Regionale sull’art. 31 del D.P.R. n.380/2001 e art. 7 L.R. Pugliese n.15/2012. Deliberazione del Consiglio Comunale di Marsala n.51 del 14 Marzo 2003


note conclusive

Sitografia www.archiviopiolatorre.it www.comunedimarsala.it www.consigliopuglia.it www.eddyburg.it www.facebook.com/feniglia www.istat.it www.lanazione.it www.osservatorio-sicilia.it www.prolocomonteargentario.com www.protezionecivile.gov.it www.rai.it www.spacecaviar.net/99-dom-ino www.tp.24.it www.trnews.it www.wikiwand.com/portodicalagalera



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