INCOMPIUTE, Master's thesis by Ruggiero Galati Casmiro + Claudia Giorno

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Ruggiero Galati Casmiro

Claudia Giorno



all’Alhambra


1

2 3 4

5

6

1.1 1.2

1.2.1 1.2.2 1.2.3 1.2.4 1.2.5

2.1 2.2 3.1 3.2 4.1 4.2 4.3 4.4

5.1 5.2 5.3 5.4 5.5 5.6

4.4.1 4.4.2

5.6.1 5.6.2 5.6.3 5.6.4


3 CONTENUTI

Incompiuto: analisi del fenomeno 5 /in·com·più·to/ 6 Architettura incompiuta 9 Di queste rovine contemporanee 9 Incompiuto è stile 10 “Di questi progressi di cui la nostra età si vanta” 11 Incompiuto pubblico e incompiuto privato 14 Prospettive 14 Italia incompiuta 17 Genesi e diffusione 18 Censimento 21 Sicilia incompiuta 23 L’isola incompiuta 25 Giarre: Capitale dell’Incompiuto - Il Grand Tour millennial 41 Giarre incompiuta 47 La città incompiuta 49 Perché a Giarre? 54 Ne abbiamo ancora bisogno? 56 Due incompiute alle porte di Giarre 61 Il Salone polifunzionale (1982) 61 La Piscina regionale (1985) 81 Scenari e progetto 107 Parametri 109 Dissolvenza 111 Distruzione 114 Compimento 118 Riuso (temporaneo) 125 Riuso 128 Acqua e terra 128 Il Mercato e le Terme 134 Materia e natura 165 Valutazione dello scenario 176 Bibliografia 180


1


Incompiuto: analisi del fenomeno


1.1

/in·com·più·to/

INCOMPIUTO: ANALISI DEL FENOMENO

6

agg. [comp. di in- e compiuto]. – Non compiuto, che non è stato portato a termine: opera i.; costruzione i.; il lavoro è rimasto incompiuto. Sinfonia i. (e più comunem. l’Incompiuta), titolo con cui è nota l’8a Sinfonia in Si Minore (1822) di F. Schubert, di cui si eseguono solo i primi due tempi, in quanto lo Scherzo è stato solo abbozzato e manca il finale. www.treccani.it

Già dalla fine del 19esimo secolo, sia nell’arte che nella scienza, nasce la cultura del frammento. Ciò che conduce a un’opera, schizzi preparatori, testi, non sono solamente strumenti finalizzati al compimento dell’opera: questi elementi compongono un processo che viene posto allo stesso livello del risultato, quei frammenti sono tanto artistici e scientifici quanto l’opera finale. L’essere incompiuto è equiparato per valore alla compiutezza: basti pensare alla Pietà Rondanini di Michelangelo, ai progetti abbozzati di Leonardo da Vinci, ai diversi acquerelli e dipinti ad olio de “La montagna Sainte-Victoire” di Cézanne o al film di fantascienza “Dune” mai realizzato da Alejandro Jodorowsky. L’artista minimalista Sol LeWitt, nella sua opera “Incomplete Open Cubes” (1974–1982) ha invece indagato sulla compiutezza di un’opera intesa in senso convenzionale, “interrompendo” bruscamente il processo di compimento di 122 cubi. Un altro esempio è descritto da Honoré de Balzac nel breve racconto “Il capolavoro sconosciuto”, in cui il protagonista, un pittore, dichiara di aver lavorato per dieci anni a un “capolavoro” che non vuole però mostrare a nessuno, tenendolo coperto da un telo. Il quadro ritrarrebbe una donna, la sua amante, ed è incompiuto perché alla ricerca di un modello che eguagli in bellezza il soggetto originario. Quando infine un allievo gli offre la sua amante in cambio della visione del quadro, il pittore riesce a ultimarlo. Il ritratto però, al rivelarlo, appare agli occhi di chi lo guarda come un insieme di “colori confusamente ammassati, e delimitati da una moltitudine di linee bizzarre che formano una muraglia di pittura”; un piede è l’unico frammento che si può identificare sulla tela. Quel frammento diventa così simbolo della perfezione artistica, una perfezione impossibile. Lo stesso Balzac ha lavorato alla sua stesura, così come il suo protagonista per il ritratto, per più di sedici anni. Quadro e romanzo sono oggi metafora di una ricerca continua e ostinata della perfezione da parte dell’artista, e in generale dell’uomo. “L’incompiuto non è necessariamente qualcosa che non è compiuto ma implica questo tentativo prometeico, di voler arrivare a rappresentare la processualità nel vivo del processo stesso e quindi non tanto la forma ma il formarsi della forma”, afferma il filosofo Alfonso Maurizio Iacono. Il processo creativo, l’incompiutezza della forma, sono quindi rappresentativi della complessità, della limitatezza del nostro essere umani. Ciò che creiamo viene creato necessariamente da qualcos’altro ed è forse proprio per questo che ad oggi apprezziamo maggiormente i frammenti, l’incompiuto, e non le opere compiute.


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INCOMPIUTO: ANALISI DEL FENOMENO


INCOMPIUTO: ANALISI DEL FENOMENO

8

Stadio da Polo e Campo di atletica, Giarre (CT), Italia, 2019

Bambinopoli del Parco “Chico Mendes”, Giarre (CT), Italia, 2019


Architettura incompiuta 1.2

Di queste rovine contemporanee

L’abbandono conduce questi edifici a un inevitabile status di rovina progressiva. Robert Smithson nel suo saggio “A Tour of the Monuments of Passaic, New Jersey” espone la sua particolare visione riguardo alla relazione che sussiste tra il concetto di edificio incompiuto e quello di rovina: definisce rovina al contrario una qualsiasi architettura in fase di costruzione, come dire che un qualsiasi edificio nasce in quanto rovina e, solo una volta concluso, può essere definito come tale. Ciò significherebbe che tutti gli edifici, essendo necessariamente passati per un processo di costruzione, sarebbero nati come rovina. Ciò vuol dire che queste architetture non finite non risiedono in un periodo di transizione, come un edificio qualunque, bensì che il considerarle incompiute è già il loro stato finale. Bisogna però fare una distinzione, quella che sussiste tra queste rovine contemporanee e quelle classiche. Il Colosseo, i templi greci, sono esempi della maestosità dell’opera umana, avevano una loro funzione, che oggi non viene più svolta. Sono stati utilizzati per ciò per cui erano stati progettati. Le architetture incompiute che abbiamo prodotto e continuiamo a produrre oggigiorno invece, non sono mai state altro che rovina, non sono

INCOMPIUTO: ANALISI DEL FENOMENO

1.2.1

9

In generale si può definire incompiuta un’opera la cui costruzione è iniziata e per qualche ragione non è mai stata terminata. I motivi possono essere differenti: amministrativi, esaurimento delle risorse economiche, di natura mafiosa (e quindi di corruzione politica) o relativi all’obsolescenza economica. Vi è anche un altro caso, per cui si può considerare incompiuto un edificio che è stato terminato ma che non è mai stato aperto al pubblico: il giorno dopo esser stato concluso è stato chiuso a chiave e mai utilizzato, dimenticato. Un’architettura che può apparire normale dall’esterno ma che in realtà non ha mai svolto alcuna funzione. L’abbandono di queste opere è la conseguenza naturale del processo di costruzione interrotto, e infatti non vi sarà difficile identificare un’architettura non compiuta: uno scheletro in calcestruzzo armato —il principale materiale da costruzione—, dei ferri arrugginiti e una vegetazione prepotente, selvaggia; un’architettura collocata perlopiù ai margini della città, in periferia.


mai state vissute o usate da persone. Una piscina non è mai stata una piscina, uno stadio non è mai stato uno stadio, è solo un edificio con forma di piscina o con forma di stadio. Ciò ovviamente va contro l’idea base dell’architettura per cui la forma debba riflettere la funzione. Inoltre sono considerate dai più “brutte da vedere” e riportano alla concezione di rovina prima del Romanticismo; ovviamente ciò si pone in contrasto con l’idea del passato glorioso a cui appartengono le rovine per antonomasia, insieme all’idea per cui ciò che produce l’uomo debba lasciare un segno nella storia e durare per sempre. Sono anche “arbitrarie”, ciò che è stato aggiunto o sottratto non è stato determinato dal tempo, dalla natura, dalle condizioni atmosferiche. Si possono considerare altresì “lente”: non sono quelle rovine “veloci” prodotte da terremoti o guerre che ne hanno accelerato il processo.

INCOMPIUTO: ANALISI DEL FENOMENO

10

1.2.2

Incompiuto è stile

Nel 2006 il collettivo artistico milanese Alterazioni Video conia il termine “Incompiuto Siciliano” quando dopo un viaggio in Sicilia, uno dei componenti, Andrea Masu, ha scoperto uno stadio da polo (sì, da polo, in Sicilia) per ospitare più di 20mila persone. Così dal 2007, insieme a Enrico Sgarbi e Claudia D’Aita, iniziano a effettuare una mappatura informale del fenomeno, utilizzando archivi, segnalazioni e i servizi di “Striscia la notizia”, la trasmissione italiana che per prima dal ’92 si è occupata in Italia della documentazione di questo fenomeno. Siciliano inizialmente, e oggi noto solo come Incompiuto, in quanto l’isola è la detentrice del record di presenza di opere pubbliche incompiute in Italia. L’intuizione di questo progetto è stata quella di utilizzare l’arte contemporanea per “rendere visibile quello che prima non era visibile” (Arboleda 2018), di usare in maniera quasi ironica quest’appellativo di rovina rifacendosi al patrimonio classico per descrivere una realtà che è chiaramente negativa, e con questo trasferimento di significato pretende di cambiare il paradigma e il corso di queste architetture, rivalutando questo patrimonio della contemporaneità in chiave romantica. È stato definito come una sorta di “giornalismo estetico” poichè adotta una strategia ironica, figlia dell’irriverenza creativa propria dei Patafisici francesi, i quali adottavano le teorie e i metodi propri alla scienza, usando espressioni che fondono in un tutt’uno il nonsenso, l’ironia e l’assurdo. Questa strategia consiste nel ritrarre queste architetture come se fossero delle rovine classiche attraverso fotografie d’autore (tra cui quelle di Gabriele Basilico che nel 2007 ha realizzato un reportage fotografico sulle opere incompiute di Giarre, in provincia di Catania), in chiave “ruin porn”, per evidenziare il problema alla base del fenomeno e condurlo alla portata di tutti. Sono delle architetture “ready-made”, la mancanza di funzione diventa opera d’arte, nulla è da creare, sono


già lì, è solo cambiato il modo in cui noi le guardiamo. La comprensione estetica dell’incompiuto è il primo passo di un processo denominato da Pablo Arboleda come “patrimonio critico”: monumentalizzare queste opere per portarle all’attenzione dell’amministrazione e inserirle nell’agenda pubblica e chiedersi “che fare adesso di queste opere?” Nel 2008 è stato stilato il Manifesto dell’Incompiuto Siciliano, consacrando l’Incompiuto a stile.

“Di questi progressi di cui la nostra età si vanta” 1.2.3

11 INCOMPIUTO: ANALISI DEL FENOMENO

Le opere incompiute non sono altro che la testimonianza dell’insuccesso dello sviluppo moderno, e d’altronde ogni evoluzione tecnologica, sociale, implica un superamento necessario e quindi il suo fallimento. L’uomo ha sempre convissuto con ruderi e macerie, eppure non si è arrivati ancora all’accettazione del fatto che prima o poi le cose possano risultare inadeguate. Molto spesso queste opere fallimentari risultano invisibili a chi ci vive accanto: semplicemente non si vuole vederle, è un posto dietro casa dove non si va mai, non si sa nulla di loro, non le si è mai abitate. Spesso infatti si tende a distruggerle o ristrutturarle per eliminare il segno del fallimento dal paesaggio, paesaggio incompiuto che risulta essere quasi uno spazio specchio, perché è parte della storia a noi più vicina, non di quella degli antichi romani. Non sono vecchie per esser considerate “patrimonio” per come lo intendiamo generalmente, ma allo stesso tempo sono troppo vecchie per essere un prodotto della nostra generazione. In generale si può affermare che l’Incompiuto è più diffuso in quelle aree dove, dopo la Seconda Guerra Mondiale, è stato incoraggiato il settore edilizio come motore dell’economia. È figlio del Movimento Moderno, che non accettava nessuna défaillance, non bisognava commettere nessun errore, non dopo un’atrocità del genere. Questo positivismo ha generato una sorta di “fede” che si è celebrata attraverso la costruzione di cattedrali, cattedrali che col tempo sono risultate inadatte, imperfette: “cattedrali nel deserto”. L’idea era quella che l’architetto potesse operare un controllo totale sulla città, creando un nuovo paesaggio. L’Incompiuto appartiene a diversi paradigmi di modernizzazione ed epoche e coinvolge anche quegli stati danneggiati dallo scoppio della bolla immobiliare del 2008: come l’Islanda o la Spagna, dove è nato il progetto “Cadáveres Inmobiliarios”, non dissimile da “Incompiuto Siciliano”; o ancora alla Cina, dove la corsa all’oro degli anni ’80 ha generato milioni di metri quadrati di immobili lasciati a metà, i lanwei, ossia “edifici decadenti”.


MANIFESTO INCOMPIUTO

INCOMPIUTO: ANALISI DEL FENOMENO

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Alterazioni Video, Fosbury Architecture, “INCOMPIUTO: La nascita di uno Stile / The Birth of a Style”, Humboldt Books, 2018

I. Incompiuto è il più importante stile architettonico in Italia dal secondo dopoguerra ad oggi

Una rivoluzione dello sguardo che cambia da negativa a positiva la percezione delle opere pubbliche incompiute.

II. Incompiuto è fondato su un’etica e un’estetica proprie

Il numero di opere presenti sul territorio italiano e il loro stato di incompiutezza ha generato, in più di quarant’anni, un programma ideologico indipendente dalla volontà dei propri progettisti.

III. Incompiuto risolve la tensione tra forma e funzione. Il difetto dell’uso diviene opera d’arte

Architetture pubbliche prive di scopo e utilità diventano monumenti aperti all’immaginazione.

IV. Le opere incompiute sono rovine contemporanee generate dall’entusiasmo creativo del liberismo

Prodotti di un tempo compresso hanno come postulato la parziale esecuzione del progetto. Non cadono in rovina ma sorgono in rovina.


V. Incompiuto ridefinisce il paesaggio italiano

La vegetazione spontanea colonizza le superfici ridefinendo le forme. In queste rovine la natura abolisce la storia e trasforma l’architettura in una seconda natura.

VII. Incompiuto ha nel cemento armato il proprio materiale costitutivo

Materia allo stato puro, ossatura della modernità, sangue arterioso dello sviluppo economico.

VIII. Incompiuto raccoglie luoghi della contemplazione e del pensiero

Contemplare in queste rovine equivale a osservare il mondo con la vista dell’immaginazione e fare un’esperienza del tempo.

IX. Incompiuto è simbolo del potere politico e di una sensibilità artistica

Metafora di un organismo sociale complesso e articolato che trova la propria celebrazione nell’appalto.

INCOMPIUTO: ANALISI DEL FENOMENO

VI. La natura dialoga con le opere incompiute riappropriandosi dei luoghi

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Le opere pubbliche incompiute celebrano la conquista del territorio da parte dell’uomo moderno. Una colonizzazione sfacciata, determinata e viscerale che disegna un’Italia incompiuta.


Incompiuto pubblico e incompiuto privato

1.2.4

INCOMPIUTO: ANALISI DEL FENOMENO

14

Nel dettaglio, questa tesi affronterà il tema delle opere incompiute pubbliche (tra l’altro sono quelle che su cui ha indagato il collettivo Alterazioni Video), che dovrebbero generalmente identificarsi con un’etica che è quella dello Stato. Sono quelle che generano indignazione e proteste perché comportano uno spreco di denaro pubblico grazie alla corruzione politica e l’influenza della mafia, un anomalo utilizzo di soldi pubblici, e impediscono la fruizione di uno spazio pensato per la comunità. L’incompiuto privato si presenta fenomenologicamente come quello pubblico: l’estetica è il punto su cui convergono, ossia il non essere entrambi compiuti. È particolarmente presente nel Sud Italia, specie in Calabria, dove sono diffusi i cosiddetti “ferri della speranza”, i tondini arrugginiti dei pilastri che emergono dalla struttura in uso, nella “speranza” che un altro piano venga costruito dalla generazione successiva al di sopra di quelli esistenti. Oramai è parte costituente del paesaggio di questi luoghi, è un simbolo, la colonna greca contemporanea. Spesso sorgono a ridosso delle fiumare, delle autostrade o del mare o sulle colline delle città, specie del meridione. Essendo costruzioni private, sono perlopiù residenze, case non intonacate ma con all’interno pavimenti in marmo, che riflettono un certo benessere che all’esterno però non viene espresso e non sente la necessità di esser espresso. Il bisogno di avere un luogo che fosse strumento di elevazione sociale ha comportato che la costruzione e la successiva interruzione di questi edifici fosse legata principalmente al fenomeno dell’abusivismo, malcostume che contribuisce dal secondo dopoguerra al disegno del paesaggio italiano. 1.2.5

Prospettive

“Una mattina che passavo per il Canal Grande in vaporetto qualcuno mi indicò improvvisamente la colonna del Filarete e il vicolo del Duca e le povere case costruite su quello che doveva essere l’ambizioso palazzo del signore milanese. Osservo sempre questa colonna e il suo basamento, questa colonna che è un principio e una fine. Questo inserto o relitto del tempo nella sua assoluta purezza formale, mi è sempre parso


R. Bofill, La Fàbrica, Barcellona, Spagna, 1975

come un simbolo dell’architettura divorata dalla vita che la circonda. Ho ritrovato la colonna del Filarete, che guardo sempre con attenzione, negli avanzi romani di Budapest, nelle trasformazioni degli anfiteatri, ma soprattutto come un frammento possibile di mille costruzioni.” Aldo Rossi, “Autobiografia scientifica”, Pratiche, 1990

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L’architetto e teorico italiano illustra perfettamente in questo suo ricordo il carattere aperto, “la qualità dell’infinito”, che si può trarre dall’incompletezza a livello progettuale. Può un’opera non compiuta fornire spunti per il progetto architettonico contemporaneo? L’incompiuto in sé comporta apertura, porta alla riflessione su ciò che c’è e su cosa manca. Queste architetture pubbliche sono monumenti aperti all’immaginazione, la manipolazione creativa può essere adoperata per attribuire nuovi significati a queste preesistenze, invece di abbandonare semplicemente ciò che è sopravvissuto al proprio uso, o meglio, all’uso che non ha mai avuto. Secondo Robert Venturi, l’incompiuto, la giustapposizione di diversi elementi che non si fondono del tutto insieme in un’unità armoniosa, esprime un tipo di vitalità e validità intrigante; la forma non finita non si identifica col fatto che l’architettura sia per questo meno realizzata. Al contrario, la complessità che questa ambiguità rappresenta, sfida l’intelletto nella lettura dell’architettura più di quanto un edificio compiuto riesca a fare, e perciò rende l’architettura più efficace. La pratica che implica il riciclo dell’architettura incompiuta può essere paragonata all’Aufhebung di hegeliana memoria: tale processo nega la condizione di incompiutezza dell’edificio e la riafferma, la ingloba in altro di superiore, che è la sua reimmissione nel ciclo di vita della città. Quando Thomas Heatherwick trasforma dei silos a Città del Capo nel museo Zeitz Mocaa o Ricardo Bofill colloca il suo studio di architettura in una ex fabbrica di cemento, questi esercitano una fantasia creatrice, “di progetto”, capovolgono il senso di questi luoghi per poterli riutilizzare. Questa pratica opera in accordo con l’idea che oggigiorno le pratiche di riuso del suolo e riciclo siano necessarie e sostenibili, soprattutto nei contesti territoriali compromessi. La reintroduzione di queste rovine contemporanee nel ciclo di vita urbana può essere motivo di salvaguardia del paesaggio e di quegli spazi liminali per dare luogo ad un’economia circolare. “Abitarli è il primo atto di rottura del loro isolamento, oltre che un ottimo esercizio fisico per tenersi in forma.” (Alterazioni Video 2018)

J. Connor, La colonna del Filarete in Ca’ Del Duca, Venezia, Italia, 1992

INCOMPIUTO: ANALISI DEL FENOMENO

Heatherwick Studio, Museo Zeitz Mocaa, Città del Capo, Sudafrica, 2017


2


Italia incompiuta


Genesi diffusione

ITALIA INCOMPIUTA

18

2.1

e

739 opere pubbliche, 2205 ettari di suolo pubblico occupati. È questo il dato risultato dall’individuazione dei vari siti incompiuti da parte del progetto Incompiuto. Si può distinguere perfettamente la geografia dell’Italia dalla sua immagine incompiuta, così come è evidente la maggiore densità di opere pubbliche non finite nel Meridione, in particolare in Sicilia. L’isola detiene tra l’altro due record: il primo, due su tre province con la maggiore concentrazione di incompiute sono siciliane, Messina (47) e Agrigento (34); il secondo, Giarre, modesta cittadina in provincia di Catania, è stata battezzata dal collettivo milanese “Capitale dell’Incompiuto”, vista la quantità di opere pubbliche incompiute presenti in rapporto ai suoi abitanti, 7 opere per 28.000 cittadini. Ciò però non implica che le circostanze che abbiano portato alla costruzione di architetture pubbliche incompiute al nord e al sud siano poi così diverse. Italo Calvino ne “Il visconte dimezzato” scriveva “Alle volte uno si crede incompleto ed è soltanto giovane”: questi edifici pubblici non compiuti sono in effetti giovani, considerato il loro ciclo di vita che coincide con quello del materiale da costruzione principale e identificativo, ossia il calcestruzzo armato. Il patrimonio edilizio in Italia aumentò incredibilmente nel dopoguerra: bisognava ricostruire ciò che era stato distrutto. Ricostruzione post-bellica uguale rinascita urbana. Negli anni cinquanta e sessanta, durante il boom economico, il paese da realtà agricola e rurale si trasformò in un gigantesco sobborgo urbano. Tale sviluppo fu dovuto principalmente all’aumento del reddito per abitante, al conseguente incremento demografico, all’emigrazione di massa dal sud agricolo al nord industrializzato e a una mancanza di leggi urbanistiche adeguate, che impedissero la costruzione massiva e in ogni dove. L’edilizia iniziò a costituire una seconda natura. La casa rappresentava il nuovo status sociale, il nuovo benessere, il cambiamento epocale che si riflette negli spazi dell’abitare. Il modello di sviluppo sottinteso al miracolo economico implicò una corsa al benessere incentrata su strategie individuali, ignorando invece le necessarie risposte pubbliche ai bisogni collettivi quotidiani. Inoltre la farraginosa burocrazia su più livelli amministrativi (nazionale, regionale, provinciale e comunale) ha portato a una mancanza di comunicazione e di azione coordinata, con progetti che hanno privilegiato gli interessi localizzati rispetto al benessere generale. A livello sociale scaturì una competizione tra le amministrazioni delle varie città e piccoli paesi per attribuirsi fondi pubblici (inizialmente provenienti dal Piano Marshall e poi dalla Comunità Economica Europea) per finanziare opere del tutto sconnesse l’una dall’altra, ma che potessero ingigantire una sorta di orgoglio locale; investimenti che il più delle volte risultarono sproporzionati: il voler costruire uno stadio per 30.000 persone in una cittadina di 20.000 suona quasi come un atto passionale, fuori da ogni rigore urbanistico. Il benessere generale eclissato in favore del beneficio tratto nel periodo intermedio,


19 ITALIA INCOMPIUTA

quello del cantiere. “Noi pensiamo che il sistema non funzioni, ma paradossalmente per alcuni funziona perché loro ne hanno guadagnato, e molto.” (Arboleda 2018). Ciò fece crescere l’illusione che si potessero avere dei soldi per niente, letteralmente. Il cemento venne soprannominato oro grigio, denominazione che mette in luce il comune denominatore di queste opere, l’illegalità. Il rapporto tra la mafia e il sistema di aggiudicazione degli appalti è un nodo cruciale della questione, specie nelle regioni italiane meridionali: ha potuto consolidare in primis il controllo del territorio da parte delle attività illecite, ha favorito la speculazione sull’acquisto di materie prime inadeguate (specie cemento di bassa qualità) nonché la corruzione della classe politica, in favore di voti di scambio; corruzione che si è estesa anche al controllo della qualità delle opere pubbliche e nella creazione di posti di lavoro nell’ambito edilizio. La costruzione interrotta di queste architetture, al centro del consenso politico di quegli anni, contribuisce così al disegno di una visione ben chiara degli interessi personali di pochi, a dispetto della visione futura di tutti. L’incompiutezza di queste opere può essere imputata a varie ragioni: il fallimento delle ditte costruttrici, le continue varianti in corso d’opera dovute a errori progettuali, così come le valutazioni dei costi inaccurate e le palesi contraddizioni con i regolamenti vigenti. Tutto ciò ha formato un processo di errori di gestione premeditato, che ha allungato i tempi e quindi i costi, comportando la mancanza di fondi disponibili per ultimarne la costruzione. Questo specifico set di cause prova che queste architetture incompiute non sono frutto di un incidente ma di un sistema ben specifico che ha portato beneficio a una minoranza nel corso del loro processo costruttivo.


20 ITALIA INCOMPIUTA Il censimento delle opere incompiute pubbliche in Italia Alterazioni Video, Fosbury Architecture, 2018


2.2

Censimento

21

Nel 2009 viene realizzato da Incompiuto l’Osservatorio partecipato sulle opere pubbliche incompiute pubblicato online, che getterà le basi per il catalogo inserito in “Incompiuto: La Nascita di Uno Stile / The Birth of A Style” e che costituisce il primo elenco nazionale delle architetture i cui lavori non sono mai stati portati a termine e che non sono mai state aperte al pubblico. Le opere vengono qui catalogate in base a un codice a 5 caratteri (i 2 iniziali della regione e un numero progressivo da 001 a 999), al grado di compiutezza, all’anno di inizio costruzione, alla tipologia, la località e le sue coordinate geografiche, alle dimensioni e alla spesa. Differentemente, l’Elenco Anagrafe delle Opere Incompiute consultabile online e redatto a partire dal 2013 dal SIMOI Sistema Informativo Monitoraggio Opere Incompiute (attivato dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti), include solo le opere che hanno potenziale di completamento e comprende recuperi, opere di conservazione, riconversione, per la messa in sicurezza, di urbanizzazione primaria, ampliamenti, lottizzazioni e adeguamenti sismici, i quali però non sono tutti rappresentativi dello stile Incompiuto e che non si ritrovano nel Catalogo stilato da Alterazioni Video. L’elenco del SIMOI fornisce dati su: la denominazione stazione appaltante, il Codice Unico di Progetto (CUP), lo stato dell’opera incompiuta, l’ambito di interesse (regionale/nazionale), il titolo dell’opera, la localizzazione, il costo totale dell’intervento, l’importo oneri per l’ultimazione dei lavori, la percentuale di lavori eseguiti, la fruibilità e la possibilità di uso ridimensionato. Tuttavia quest’elenco risulta, rispetto al primo, incompleto.

ITALIA INCOMPIUTA

739 opere incompiute pubbliche in Italia è il risultato di questa comparazione.


3


Sicilia incompiuta


SICILIA INCOMPIUTA

24

Il censimento delle opere incompiute pubbliche in Sicilia 2019


L’isola incompiuta

3.1

25

204 opere pubbliche incompiute sono presenti fino ad oggi in Sicilia, ossia un terzo di quelle dell’intero paese. Questa concentrazione ha fatto sì che l’Incompiuto fosse inizialmente Siciliano, discorso che è stato poi esteso a tutto il territorio nazionale. Il termine Siciliano può essere giustificato attraverso le parole di Pietro Germi alla prima del suo film “Sedotta e abbandonata” (1964): “Io credo che in Sicilia siano un pochino esasperati quelli che sono i caratteri degli italiani in generale. Io oserei dire che la Sicilia è Italia due volte, insomma, e tutti gli italiani sono siciliani e i siciliani lo sono di più, semplicemente.” Il numero di opere incompiute è aumentato di circa il 18% dalla pubblicazione del Catalogo stilato da Alterazioni Video (163 nel 2008), dato che è stato ottenuto da noi integrando le opere incompiute che visivamente rispecchiano lo stile incompiuto, e che sono state pubblicate sull’ultimo Elenco Anagrafe delle Opere Incompiute della Regione Sicilia 2018 pubblicato nel luglio 2019. Tra queste la maggior parte è di dimensioni modeste (massimo 10.000 mq), è stata costruita negli anni ‘80 (34 opere) — epoca che Paololuca Barbieri Marchi di Alterazioni Video ha definito “età d’oro dell’Incompiuto”— e si tratta perlopiù di opere sportive e infrastrutturali; minori invece le opere dedicate alla sanità e al settore dei trasporti. Maggiore invece la diffusione sulla costa orientale (dove sono presenti sia la provincia che la città con più opere incompiute di Italia, rispettivamente Messina e Giarre) e nella zona di Agrigento (la seconda provincia italiana per concentrazione).

SICILIA INCOMPIUTA


26 SICILIA INCOMPIUTA Fonte: Alterazioni Video, Fosbury Architecture, Catalogo, “INCOMPIUTO: La nascita di uno Stile / The Birth of a Style”, Humboldt Books, 2018,

Opere pubbliche incompiute aggiunte per ns. elaborazione dall’Elenco Anagrafe delle Opere Incompiute Regione Sicilia SIMOI, anno di riferimento: 2018, pubblicazione 2019, Opere pubbliche incompiute Giarre (CT)


27 SICILIA INCOMPIUTA N.B. La voce “anno” fa riferimento all’anno di inizio della costruzione dell’opera, quando disponibile. Le opere incompiute sono classificate per “tipologia” secondo 12 categorie di riferimento: 1 CULTURA teatro, centro polifunzionale, centro sociale, cinema, museo, biblioteca, orto botanico, parco, monumento, piazza, auditorium; 2 ISTRUZIONE università, asilo, scuola secondaria, scuola primaria, scuola materna, planetario, provveditorato, istituto superiore, centro studi; 3 SANITÀ ospedale, Azienda Sanitaria Locale, casa di cura, terme, sanatorio, servizi per le tossicodipendenze, centro disabili; 4 SPORT palasport, stadio, piscina, autodromo, velodromo, centro sportivo, campo sportivo, pista di equitazione, golf, pista di atletica, palestra; 5 PRODUZIONE mattatoio, deposito, porcilaia, centro servizi territoriale, mercato, discarica-isola ecologica, centro congressi, impianti fieristici, centro direzionale, impianto industriale, centrale idroelettrica, centrale nucleare, parco eolico, centro di calcolo; 6 ISTITUZIONI caserma, centro servizi, municipio, pretura, tribunale, questura, carcere, Protezione Civile, cimitero, chiesa; 7 OSPITALITÀ casa di cura per anziani, centro turistico, albergo, canile, ostello, colonia, centro migranti, rifugio, convento; 8 EDILIZIA RESIDENZIALE residenza convenzionata, residenza universitaria; 9 VIARIA strada, superstrada, strada provinciale, strada regionale, strada statale, tangenziale, bretella, raccordo, circonvallazione, autostrada, pista ciclabile, cavalcavia, ponte, viadotto, passerella, tunnel; 10 LOGISTICA parcheggio, banchina, pontile, porto, autoporto, aeroporto, stazione, aviopista; 11 TRASPORTI metropolitana, ferrovia, scala mobile, ascensore, funivia; 12 OPERE IDRAULICHE diga, acquedotto, canale, cisterna d’acqua, depuratore, idrovia, paratia. Le opere incompiute sono classificate secondo la superficie di suolo che occupano e raggruppate in quattro ordini di grandezza sotto la voce “dimensioni”: S, da 0 a 10.000 mq; M, da 10.000 a 35.000 mq; L, oltre 35.000 mq; XL, grandi infrastrutture.


SICILIA INCOMPIUTA

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SICILIA INCOMPIUTA

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SICILIA INCOMPIUTA

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SICILIA INCOMPIUTA

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SICILIA INCOMPIUTA


SICILIA INCOMPIUTA

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SICILIA INCOMPIUTA


SICILIA INCOMPIUTA

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SICILIA INCOMPIUTA


40 SICILIA INCOMPIUTA I titoli di alcune testate giornalistiche internazionali sull’Incompiuto di Giarre (CT)


Giarre: Capitale dell’Incompiuto - Il Grand Tour millennial 3.2

41 SICILIA INCOMPIUTA

Qualcuno ha idea di dove si trovi Giarre? Probabilmente no. Eppure, nonostante possa risultare sconosciuta ai più, la testata giornalistica statunitense USA Today nel 2014 ha pubblicato una classifica con i 10 posti nascosti più interessanti al mondo secondo Alastair Bonnett, professore di geografia della Newcastle University, e tra questi appare proprio Giarre, una cittadina di circa 28.000 abitanti ai piedi dell’Etna in provincia di Catania. “In Sicilia, si possono vedere centinaia di rovine greche e romane, e queste gigantesche strutture incomplete sono l’equivalente del 20esimo secolo.” E ancora la BBC nel 2012, e il New York Times nel 2018. Non poi così sconosciuta dopotutto. Il Grand Tour era un viaggio nell’Europa continentale che a partire dal XVIII secolo coinvolse i giovani aristocratici europei per perfezionare il proprio sapere, alla ricerca dell’esperienza estetica attraverso il godimento della natura e dell’arte. Fu il secolo in cui nacque l’archeologia e così la riscoperta e l’apprezzamento delle rovine di Roma, Pompei ed Ercolano, processo che fu catalizzato in primis da Giovanni Battista Piranesi. L’Italia era una delle destinazioni preferite da questa società agiata e colta. Se traslassimo quest’esperienza al giorno d’oggi, quei giovani vedrebbero degli scheletri di cemento non ultimati tra le colline della penisola, le rovine della nostra epoca, una sorta di Grand Tour della nostra generazione. Giarre è l’epicentro del fenomeno Incompiuto, è il luogo che più di tutti è rappresentativo di questa memoria collettiva. Un Teatro Nuovo (definirlo “nuovo” oggi è paradossale, visto che risulta interrotto dagli anni ‘50), un parcheggio multipiano (oggi terminato), una bambinopoli all’interno del Parco “Chico Mendes”, uno stadio da polo (da polo, in Sicilia) così grande che potrebbe ospitare tutta la popolazione di Giarre (inclusi i neonati), la Casa per anziani “Madre Teresa” (anche questa oggi non più incompiuta, ospita alcuni uffici comunali), un salone polifunzionale, una


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Locandina del “Festival dell’Incompiuto Siciliano”, Giarre (CT), 2–4 luglio 2010


Questi luoghi metafisici e meta-politici alle pendici dell’Etna sono stati documentati dalle fotografie di Gabriele Basilico e poi nel cortometraggio psichedelico di Alterazioni Video “Per troppo amore” (2012) in cui un extraterrestre, incarnatosi in un cane, e il sociologo Marc Augé vagano tra le strutture in cemento abbandonate della cittadina, dove nel frattempo ci si appresta ad inaugurare ufficialmente il Parco Archeologico dell’Incompiuto Siciliano.

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Locandina del corto di Alterazioni Video “Per troppo amore” (2012) con in primo piano il sociologo Marc Augè e il cane protagonisti, sullo sfondo il Salone polifunzionale di Giarre (1982)

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piscina olimpionica regionale le cui dimensioni sono però errate, un mercato dei fiori (oggi trasformato in parcheggio), un campo sportivo con una pista per macchinine telecomandate, delle case popolari e un ospedale nuovo (riaperto di recente). Il sito è stato oggetto del primo progetto del collettivo artistico milanese Il Parco Archeologico dell’Incompiuto Siciliano proposto all’amministrazione comunale di Giarre nel 2010 e promosso dal primo “Festival dell’Incompiuto Siciliano” nel medesimo anno. Il Parco, ufficialmente mai riconosciuto né aperto, “è reale perché è lì” (Masu 2016), comprendeva inizialmente le 9 opere pubbliche incompiute del comune, ora diventate 7 (2 sono state riconvertite dall’amministrazione). L’adozione di questa narrativa di Alterazioni Video ha permesso un cambio di paradigma nei confronti di queste architetture, da negativo a positivo, riconoscendole come patrimonio, e facendone una meta turistica vera e propria. Grazie al primo “Festival dell’Incompiuto Siciliano” (2–4 luglio 2010) si è cercato di sensibilizzare la cittadinanza, sono stati realizzati dei tour all’interno di questi luoghi abbandonati e dimenticati —d’altronde il primo passo per riconvertire queste opere è viverle, visitarle—, affrontare il tema della progettazione di queste opere attraverso dei workshop e, infine, l’ultimo atto: la “cerimonia” simbolica del taglio di una colonna in calcestruzzo armato, installata poi alla XII Biennale d’Architettura di Venezia all’interno del Padiglione Italia, opera dal titolo “Da Giarre con amore...”


Gabriele Basilico, Teatro Nuovo, Giarre, 2008

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Gabriele Basilico, Bambinopoli del Parco “Chico Mendes”, Giarre, 2008

Gabriele Basilico, Salone Polifunzionale, Giarre, 2008


Gabriele Basilico, Piscina Regionale, Giarre, 2008

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Gabriele Basilico, Stadio da Polo e Campo di Atletica, Giarre, 2008

Gabriele Basilico, Pista delle Macchinine Telecomandate, Giarre, 2008


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Giarre incompiuta


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La città incompiuta

4.1

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Se Roma è la capitale politica dell’Italia, Giarre è la capitale dell’Incompiuto, una cittadina collocata ai piedi del grande vulcano siciliano e il mare, adiacente al comune di Riposto, da cui è divisa solo dalla linea ferroviaria. 27.605 abitanti con 7 opere pubbliche incompiute che occupano complessivamente una superficie di 76.737,24 mq e per cui sono stati spesi negli anni 21 milioni di euro. Tutte, a parte per il Teatro Nuovo nel centro storico, si trovano nella periferia e sono state costruite soprattutto negli anni ‘80 e sono perlopiù luoghi dedicati allo sport (lo Stadio da polo, la Piscina regionale e la Pista delle macchinine) e alla cultura (il Teatro Nuovo —“nuovo” quando iniziarono i lavori negli anni ‘50—, il Salone polifunzionale e la Bambinopoli del Parco “Chico Mendes”), i cui autori sono soprattutto architetti (5 architetti, 4 ingegneri, un geometra e l’Istituto Autonomo Case Popolari di Acireale), oltre, ovviamente, alla classe politica ed amministrativa del tempo, che ha avallato, supportato, richiesto i fondi di finanziamento, ed infine approvato questi progetti. Tra questi spicca sicuramente lo Stadio da polo, al centro di denunce e scandali a livello internazionale, che è forse l’edificio più iconico della cittadina, i cui lavori furono interrotti a causa delle tribune giudicate inagibili a causa della loro pendenza elevata. Ciò non ha impedito agli abitanti di utilizzare quotidianamente la pista d’atletica leggera al suo interno, e a una società di boxe di Acireale di appropriarsi di parte della tribuna inferiore. Lo Stadio da polo è l’unica incompiuta che la cittadinanza ha “acquisito” informalmente: il cantiere del Teatro Nuovo ne impedisce l’accesso, la Pista delle macchinine con annessi campetti sportivi e gli alloggi popolari in Via Trieste sono usati come discariche a cielo aperto, la Piscina regionale e il Salone polifunzionale sono “recintati” dalla vegetazione spontanea; il Parco “Chico Mendes”, in parte completato, è gestito da privati, a eccezione della Bambinopoli incompiuta al suo interno.

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Delle 11 iniziali incompiute, 4 sono state completate, recuperate e riutilizzate tra il 2010 e il 2015, sotto l’amministrazione di Teresa Sodano (Movimento per l’Autonomia). Tra queste l’Ospedale “San Giovanni di Dio e Sant’Isidoro” riaperto nel 2019 e definito dal maliconico eufemismo “nuovo”, il Parcheggio multipiano in Piazza Jolanda ultimato nel 2010, la Casa per Anziani “Madre Teresa” che oggi ospita alcuni uffici comunali, e il Mercato dei fiori di Trepunti che oggi è stato trasformato in parcheggio comunale. Sempre nel 2019 è stato approvato un finanziamento che prevede il completamento degli alloggi popolari I.A.C.P. in Via Trieste, che se portato a termine, porterebbe il numero delle incompiute giarresi a 6.


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52 GIARRE INCOMPIUTA Aree attualmente in uso Aree mai realizzate


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Perché a Giarre? 4.2

“È l’arte del potere, che al Sud vive di infallibili geometrie. Ovvero: meglio avere cento questuanti costretti a chiedere favori che cento cittadini soddisfatti e liberi dal bisogno.” Claudio Fava, “Di Pietro non si è fermato a

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Giarre” in Sette n. 35, Corriere della Sera, 1996 La tradizione di opere incompiute nel comune etneo nasce negli anni ‘50, quando incominciarono le prime lotte politiche tra socialisti e comunisti da un lato e democristiani dall’altro. “Dal 1952 al 30 agosto 1975 l’amministrazione civica viene presieduta dall’on. Giuseppe Russo, il quale è stato l’artefice principale per la realizzazione di numerose opere pubbliche, che hanno determinato una rilevante espansione urbanistica della città”, afferma lo storico Pietro Barbagallo Coco. L’onorevole era capolista della lista DC e ha ricoperto a periodi alterni la carica di sindaco di Giarre per più di dodici anni. Dal 1959 al 1963 l’on. Russo è stato anche Assessore Supplente Lavori pubblici. Nel ‘55 venne eletto deputato all’assemblea regionale insieme ad altri due giarresi, l’ingegnere Camillo Bosco e il professore Pino Antonino (PSI); quest’ultimo due anni dopo sarebbe diventato assessore regionale ai lavori pubblici, e in seguito vicepresidente dell’assemblea regionale. Nel ‘57 anche l’on. Biagio Andò, ex sindaco di Giarre (1950–1952), venne eletto deputato al Parlamento. Proprio in quegl’anni il progetto per il Teatro “Nuovo” venne approvato, il cantiere inaugurato e nel ‘56 interrotto. Nel 1976, dopo esser stato primo cittadino di Giarre, l’on. Russo e il prof. Antonino vengono eletti nuovamente deputati regionali, rispettivamente per l’ottava e per la seconda legislatura consecutiva. Nel medesimo anno, scoppia uno scandalo al Comune di Giarre: il capo dell’ufficio tecnico comunale venne arrestato per irregolarità edilizie. All’anno prima risale l’inizio dei lavori per la Bambinopoli del Parco “Chico Mendes”, altra incompiuta della cittadina ai piedi dell’Etna. Nel 2002 il noto giornalista Gian Antonio Stella parla sul Corriere della Sera del fenomeno di Giarre Alterazioni Video, “Casadiriposo”, citando l’onorevole: “il sindaco (25 anni di dominio stampa digitale ultracromo su carta, incontrastato) era l’onorevole DC Giuseppe Russo 150x100 cm, 2008


Il primo articolo sulle opere pubbliche incompiute di Giarre, scritto da Claudio Fava e pubblicato su Sette n. 35, Corriere della Sera, 1996

Manifesto di una manifestazione di protesta per l’arresto dei lavori del Teatro Nuovo di Giarre

55 GIARRE INCOMPIUTA che contemporaneamente era assessore regionale «e se c’erano dieci miliardi a disposizione uno per forza doveva finire a Giarre», se lo ricorda bene, il modo in cui ottenne lo stadio: «I soldi per il calcio o l’atletica non c’erano e un amico mi disse: «Il Coni potrebbe finanziare un impianto per il polo.» «Il polo? Coi cavalli e le mazze? Sotto l’Etna?» «Il pooolo! Il pooolo!»” Gli anni ‘80 costituirono l’età d’oro delle incompiute siciliane e di quelle di Giarre (ebbero inizio i lavori della Pista delle macchinine, della Piscina regionale, del Salone polifunzionale e dello Stadio da polo). In quegli anni, dal 1975 al 1987, il commissario dott. Nello Cantarella democristiano fu sindaco di Giarre e fu succeduto nuovamente dall’on. Giuseppe Russo, in carica fino al 1990. È nel 1995 che Claudio Fava sul settimanale “Sette” del giornale Corriere della Sera, pubblica il primo articolo sulle architetture incompiute di Giarre, e commenta così l’operato della politica: “Loro, i vecchi amministratori un tanto ad appalto, quelli che hanno costruito, demolito, illuso, rubato, sprecato. In fondo Giarre non è stata peggiore di molte altre città del Sud. Solo più maldestra.” Al tempo intervistò l’allora sindaco della cittadina, Giuseppe Toscano (PCI), a cui chiese se sapeva cosa avrebbe ereditato una volta presa la carica di primo cittadino, il quale rispose: “Sapevo. Sapevamo tutti. A Giarre siamo cresciuti in mezzo a lavori eternamente in corso”.


Ne abbiamo ancora bisogno? 4.3

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Ebbene, se si decidesse di completare oggi queste architetture, sarebbe ancora valida la funzione per la quale erano state pensate? Il Teatro Nuovo (1952). Nell’immediato dopoguerra la storia dei cine teatri della città è legata al nome dei coniugi Ventura-Mayer e a quello di Pietro Eremita. La Mayer, soprannominata “la Tedesca” gestì le arene e sale cinematografiche principali sia di Giarre che di Riposto (Ambra, Comunale Rex, Terrazza Belvedere, Arena Bellini, Arena Margherita). Quando fu approvato il progetto del Teatro Nuovo erano già all’attivo quindi 5 teatri e, di questi, oggi solo il Rex e l’Arena Margherita esistono ancora ma non sono in funzione e versano in stato di totale abbandono. Infatti negli anni ‘70 i teatri di Giarre subirono un inarrestabile declino. Solo due cinema oggi sono in funzione, di cui uno solo è anche teatro, ed è situato in prossimità del centro storico, con una sala di circa 400 posti. Considerando la vicinissima Riposto, in cui vi è all’attivo un solo cinema e nessun teatro, quindi il Teatro “Nuovo” potrebbe potenzialmente essere uno spazio di cui la città potrebbe ancora aver bisogno, vista la sua posizione (in pieno centro vicino al Corso Italia, la via che congiunge Giarre a Riposto) e la sua capienza (1000 posti). La Bambinopoli del Parco “Chico Mendes” (1975). Nel territorio di Giarre-Riposto vi sono 31 scuole di cui 4 asili comunali e 14 scuole elementari e, nonostante la presenza ingente di giardini urbani, pochi di essi sono attrezzati con aree gioco per bambini. Il più grande parco giarrese è sicuramente il “Chico Mendes”, in parte aperto al pubblico con un chiosco, un’arena all’aperto e dei campetti sportivi. La bambinopoli, oltre a consentire la totale apertura del parco, potrebbe costituire un luogo di incontro ricreativo all’interno del comune. Pista delle macchinine telecomandate (1981). Una variante al progetto del 1982 prevedeva l’inserimento di due campi da tennis e di uno da pallacanestro, oltre alla pista da go-kart prevista inizialmente. Negli ultimi anni però, proprio vicino lo stadio da polo, è stato costruito un palazzetto dello sport dove è possibile praticare sia pallavolo che pallacanestro; è presente anche un circolo del tennis nei pressi del centro storico e uno in località Pagliara, a nord di Giarre. Tuttavia non sono presenti team go-kart nell’area di Giarre per cui, oggi come allora, non è necessaria la presenza di un circuito all’interno della città. Stadio di atletica e campo da polo (1985). Si è già discusso nei capitoli precedenti sulla dubbia e assurda utilità di un campo dove praticare il regale sport britannico in Sicilia, specie a Giarre. Per quanto


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riguarda il campo di atletica antistante alle tribune dello stadio, l’uso informale da parte della cittadinanza e da società di atletica leggera locali conferma l’attuale necessità di questo luogo. Il Salone polifunzionale (1982). Discorso analogo a quello del Teatro Nuovo. Il salone doveva ospitare un enorme teatro al coperto con annessi uffici e sale conferenze. La Piscina regionale (1985). Piscina olimpionica non in regola per colpa delle dimensioni errate, che però potrebbe essere riconvertita in piscina pubblica, vista l’assenza di un luogo simile sia a Giarre che a Riposto. Gli alloggi popolari I.A.C.P. (1990). Le abitazioni in Via Trieste probabilmente non rimarranno incompiute ancora a lungo: l’I.A.C.P. di Acireale ha indetto un bando di gara per il completamento del progetto, il cui appalto è stato affidato a un’impresa edile catanese nel marzo 2020. Nella relazione generale si riporta che “l’intervento è in linea con le esigenze legate alla domanda crescente di edilizia abitativa nonché quelle connesse alla riqualificazione di immobili esistenti.”

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Due incompiute alle porte di Giarre 4.4

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Trepunti è una frazione di Giarre che costituisce l’ingresso al centro cittadino (vista la presenza del casello autostradale dell’A18 Messina-Catania) e oggigiorno risulta perfettamente integrata nel tessuto urbano. Il suo fulcro è la Piazza di Trepunti sulla quale affaccia la chiesa ottocentesca di San Matteo Apostolo, collocata a sua volta sulla vecchia strada consolare, oggi strada statale SS114. Presenza rilevante è quella del cimitero comunale che si prospetta sempre sulla statale che collega Trepunti al centro storico di Giarre. Negli anni ‘80 era stato pensato un “Centro Sociale Trepunti” che comprendesse un salone polifunzionale, comprensivo di teatro e uffici, e una piscina coperta con servizi. Ambedue incompiuti.

Il Salone polifunzionale (1982)

Il Salone polifunzionale giace in stato di totale abbandono da ben 33 anni, esattamente dal 1987, quando il cantiere venne avviato e poi interrotto per cause ignote. Il progetto, ideato dall’ingegnere Leonardo Emanuele e dagli architetti Carmela Petjz e Elisabetta Piazza, era stato finanziato dalla Regione Sicilia per €894.000. L’amministrazione Sodano nel 2007 aveva aderito ad un bando regionale dell’assessorato ai Beni culturali (Fondi FESR Sicilia 2007–2013, asse III, obiettivo operativo 3.1.3, “Valorizzazione di contesti architettonici e paesaggistici, connessi alle attività artistiche contemporanee”) attraverso il quale si intendeva riqualificare e valorizzare il Salone polifunzionale per adibirlo ad attività di arte contemporanea. Ma ovviamente nulla è stato fatto. L’area, il cui ingresso avveniva da Via Giuseppe Giusti (strada che connette la SS114 alla Strada Provinciale), è stata per un terzo occupata abusivamente con coltivazioni agricole. Oggi è possibile accedervi attraverso un varco sulla medesima strada, tra la fitta vegetazione che negli ultimi 10 anni ha formato un limite quasi invalicabile. La struttura, un landmark visibile sin dalla statale, è evidentemente incompiuta. La mancanza delle

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4.4.1


62 GIARRE INCOMPIUTA

Il Salone da Via Giovanni Pascoli


Il corridoio perimetrale alla cavea da Via Giovanni Pascoli

63 GIARRE INCOMPIUTA Il corridoio perimetrale alla cavea dall’interno La vista verso l’esterno dall’interno del corridoio perimetrale alla cavea


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L’edificio scenico visto dalla cavea


65 GIARRE INCOMPIUTA La cavea vista dall’edificio scenico


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La struttura dell’edificio scenico


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La Chiesa di S. Matteo Apostolo di Trepunti dal Salone polifunzionale


La cavea

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Il corridoio di distribuzione alla cavea

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Finestre dell’incompiuto


Le scale di servizi che collegano il piano interrato al retro del palcoscenico, mai costruito

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La cabina proiezione, il cui piano superiore non è mai stato realizzato


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Le scale di servizio al pubblico


Le scale dell’edificio scenico

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76 GIARRE INCOMPIUTA La materialità del Salone polifunzionale incompiuto


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Il Salone polifunzionale da Via Renato Fucini


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Il Salone polifunzionale da una strada privata, prosecuzione di Via Renato Fucini


80 GIARRE INCOMPIUTA

L’esterno della Piscina regionale


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coperture e di oltre l’80% delle tamponature esterne ha contribuito notevolmente al suo degrado. La sua configurazione è molto semplice. L’accesso del pubblico (lato ovest, su Via Giuseppe Giusti) sarebbe dovuto avvenire per mezzo di un atrio con annesso deposito e guardaroba, dal quale poter accedere direttamente alla cavea attraverso tre rampe, che è collocata su un livello leggermente inferiore (il terreno su cui sorge presenta qualche dislivello). L’accesso dei dipendenti sul lato nord è possibile andare direttamente a una sala riunioni e, al piano superiore, a una sala conferenze. La cavea è il fulcro del complesso, ed è riconoscibile dall’esterno da una finestra a nastro che identifica un percorso al piano superiore che perimetra l’intero semicerchio. A metà di questo percorso vi è un ulteriore ingresso alla cavea e un vano scala che consente l’accesso dal piano inferiore. I bagni per il pubblico dovevano essere collocati nell’ala sud in corrispondenza di un terzo vano scala. L’edificio scenico, dalla forma pseudo-trapezoidale, doveva contenere un enorme palcoscenico in legno (mai realizzato). Al piano terra ci sarebbero dovuti essere un deposito, sale prove, camerini e bagni per gli artisti; ai piani superiori uffici e ripostigli per il materiale di scena. Il piano superiore è caratterizzato da un ripiano a sbalzo con una bucatura a forma di quadrato con un angolo tagliato: si sarebbe dovuta realizzare una scala a chiocciola che permettesse il transito dei tecnici fino al palco. Il piano interrato dello stesso corpo, oggi scoperto vista l’assenza del palcoscenico, avrebbe dovuto ospitare i locali macchinari. Tutti i livelli dell’edificio scenico sono collegati per mezzo di una rampa di scale, mentre il primo piano, il piano terra e l’interrato sono connessi da un’ulteriore scala a forma di “v”. La rifinitura delle facciate sarebbe dovuta essere in calcestruzzo a faccia vista (edificio scenico e la parte sporgente della cavea), rivestita in mattoni pressati (vani scala, ala nord), in marmo travertino (camerini e sale prove) e intonaco (atrio e copertura della cavea). L’esterno, mai realizzato, comprendeva delle aree verdi a nord, dei percorsi pedonali in pietra e due parcheggi, uno alla sinistra dell’ingresso e uno a sud, nell’area antistante il corpo dedicato agli artisti.

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4.4.2

La Piscina regionale (1985)

Della piscina finanziata dalla Regione Sicilia per €2.600.000 nel 1985 non c’è traccia, apparentemente. Dalla SS114, su cui affaccia, non è visibile a causa degli ailanti e dei cespugli di rovi fittissimi che fanno da recinto all’area, a eccezione della copertura svettante. E se si chiede ai cittadini di Giarre dell’esistenza di una piscina che è proprio di fronte la loro casa, ignorano e ci guardano stupiti. La piscina olimpionica si sarebbe dovuta aprire al pubblico in occasione delle Universiadi Siciliane del 1997. Inutile dire che il cantiere, avviato nei primi anni ‘90, non venne mai concluso a causa del fallimento della ditta costruttrice di Roma. Purtroppo sarebbe risultata comunque inadeguata all’evento, viste le dimensioni errate dell’invaso: 23,40 m, ossia 1,60 m in meno di una regolamentare.


82 GIARRE INCOMPIUTA

Il volume cilindrico caratterizzante l’ingresso degli atleti alla mai stata Piscina regionale

La reception degli atleti


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L’atrio di ingresso

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Il volume cilindrico caratterizzante l’ingresso principale


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86 GIARRE INCOMPIUTA L’invaso coperto della piscina “olimpionica”


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La vegetazione occlude oggi la maggior parte degli ingressi alla Piscina


La gradonata

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L’atrio principale

L’atrio riservato agli atleti


Il Salone polifunzionale visto dalla piscina

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Gli spogliatoi

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La reception dell’’ingresso principale

L’ingresso principale


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Lucernaio all’interno dello spogliatoio maschile

Giunto strutturale tra il volume degli spogliatoi e quello della palestra


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La materialità della Piscina regionale incompiuta

97 GIARRE INCOMPIUTA


98 GIARRE INCOMPIUTA I solai della Piscina regionale incompiuta

Foto di Claudia Giorno, 2019


GIARRE INCOMPIUTA

All’esterno erano previsti un ulteriore invaso (a sud), dei percorsi pedonali, aree verdi e un parcheggio visitatori/ dipendenti.

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Il progetto, i cui autori sono gli architetti Salvatore Patané, Nicolò Castorina e l’ingegnere Giovanni Pennisi, nel 1997 ricevette nuovi finanziamenti per poter essere ultimato in vista delle Universiadi. Non bastarono però per completarla in tempo. Nel 2013 il Comune di Giarre procedé all’individuazione di soggetti interessati alla valorizzazione del bene ma un mese dopo sospese tale procedura. Una speranza ulteriore sorse nel 2015 con il collaudo della struttura e con l’inserimento nel Programma Triennale OO.PP. 2015-17 (completamento della Piscina per €3.000.000) ma, come dimostra lo stato attuale in cui l’opera si trova, nulla è stato fatto, ancora una volta. La strada di ingresso principale, prevista su Via Giovanni Pascoli, una parallela della SS114, oggi risulta essere parte di proprietà privata poiché acquisita per usucapione. Quest’area è compresa tra il salone e la piscina e doveva fungere da collegamento. Tuttavia vi è un secondo ingresso situato ad angolo tra la strada statale e Via Renato Fucini. Il complesso risulta quasi del tutto compiuto: la struttura in calcestruzzo armato è stata completata così come la maggior parte dei muri esterni e delle tamponature interne. Durante questi anni di abbandono la presenza delle coperture ha garantito il mantenimento dell’opera, a dispetto dell’esterno dove legiferano i cespugli, gli alberi e i rovi. L’ingresso visitatori sarebbe dovuto avvenire a sud attraverso una galleria in cristallo curvato e alluminio (mai costruita), dove questi sarebbero stati accolti in un atrio con annesso soggiorno e bagni, collegato con il pronto soccorso e la palestra. Un lungo e stretto corridoio consente la distribuzione tra questa zona, l’area con gli spogliatoi per gli atleti (che sarebbero dovuti entrare nel complesso tramite un corpo semicilindrico che caratterizza, insieme ad altri due torrette uguali, il prospetto nord) e la piscina coperta. In quest’ultima vi sono due invasi, quello principale e uno più piccolo, una vasca lavapiedi. Sui lati più lunghi, le gradonate, che da progetto avrebbero dovuto avere una rifinitura in pietra lavica. Pietra che in alcuni punti è stata posata in opera, ad esempio all’interno delle bucature delle finestre o sul cordolo di parte della copertura. La copertura della piscina ha una struttura in travi reticolari in acciaio ed è rivestita all’esterno con pannelli di alluminio tipo “luxalon”. Le facciate esterne sarebbero dovuto essere rifinite con intonaco terranova rullato, a eccezione dei tre corpi semicilindrici in calcestruzzo armato a faccia vista.


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1 “ingresso” 2 “atrio” 3 “deposito/guardaroba” 4 “sala riunioni” 5 “magazzino scenari” 6 “scena” 7 “centrale termica” 8 “sala prove” 9 “bagni scena” 10 “bagni pubblico” 11 “sala conferenze” 12 “deposito” 13 “camerini” 14 “cabina proiezione” 15 “ufficio” 16 “ripostiglio” 17 “centrale di trattamento dell’aria”


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1 “ingresso atleti” 2 “ricezione atleti” 3 “spogliatoio donne” 4 “spogliatoio uomini” 5 “palestra” 6 “pronto soccorso” 7 “soggiorno” 8 “atrio” 9 “reception” 10 “terrazzo” 11 “ingresso” 12 “bagni atleti” 13 “piscina olimpionica” 14 “piscina lavapiedi” 15 “bagni pubblico” 16 “vano tecnologico” 17 “accesso tribune” 18 “uscita di sicurezza” 19 “uscita di sicurezza bagnanti” 20 “uscita di sicurezza pubblico” 21 “uscita bagnanti piscina scoperta” 22 “tribuna”


5


Scenari e progetto


SCENARI

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5.1

Parametri

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E quindi, che fare di questi edifici incompiuti? Nei paragrafi “Incompiuto è stile” e “Prospettive” (vedi “Incompiuto: analisi del fenomeno”) si erano già accennate le possibilità che esprime un edificio incompiuto a livello progettuale: è uno spazio che può assumere nuovi significati, dal momento in cui lo si comprende esteticamente. Abbiamo quindi prefigurato degli scenari che potrebbero configurarsi dal momento che questa condizione si verifichi o meno, e li abbiamo confrontati secondo alcuni parametri che tengono in considerazione della qualità dell’intervento dal punto di vista architettonico, ambientale, sociale, urbano e della sostenibilità economica. I criteri che abbiamo individuato rispetto alla qualità dell’azione proposta nello scenario sono i seguenti. Ricordo incompiuto. Ossia la questione relativa alla memoria del luogo. L’assenza di scopo, utilità, rende questi manufatti privi della possibilità di essere architettura, forma e funzione sono scisse (una piscina con forma di piscina ma che non è mai stata tale). L’obiettivo è quindi quello di rendere questi manufatti monumenti all’incompiutezza, dell’inefficienza umana, testimonianza dei motivi che li hanno resi a oggi incompiuti. Recupero dell’incompiuta. L’abbandono ha comportato la fatiscenza dei manufatti incompiuti: recuperarli adeguandoli ai tempi e alle nuove legislazioni, mantenendo o meno la destinazione d’uso per cui sono stati progettati potrebbe essere un obiettivo da perseguire. Recupero del suolo. L’abbandono ha favorito inoltre il progressivo aumento della vegetazione spontanea che ha comportato in parte l’inaccessibilità all’opera. L’architettura incompiuta, grazie alla natura è diventata rudere. Per consentire l’accesso al luogo il ridimensionamento della vegetazione risulta necessario per consentire un corretto uso degli spazi. Attrattività. Trepunti, nonostante costituisca l’immediato accesso a Giarre, si configura solo come un luogo di passaggio, e con spazi di aggregazione sociale insufficienti, status che si potrebbe sovvertire creando un polo attrattivo all’interno del quartiere. Mix funzionale. Maggiori sono le funzioni inglobate all’interno del progetto, più l’utenza potrà essere ampia. Sostenibilità. Ogni scenario dovrà essere valutato secondo l’impatto che l’intervento ha sul terrritorio, nel rispetto delle caratteristiche stilistiche dell’architettura incompiuta. Per la sua valutazione, abbiamo preso in considerazione


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i criteri utilizzati dai principali sistemi di certificazione per la valutazione dell’efficienza energetica come la Certificazione LEED e il Protocollo ITACA. Per quanto riguarda l’ambito sociale, abbiamo considerato i seguenti parametri. Riappropriazione dell’incompiuta. Questi manufatti rappresentano spazi pubblici che, in virtù del loro essere incompiuti, sono stati privati alla comunità a cui appartengono: spazi pubblici chiusi al pubblico. La reintroduzione di queste architetture nel ciclo di vita urbana consentirebbe la riappropriazione di questi luoghi da parte di coloro per i quali erano stati pensati, i cittadini. L’apertura di questi luoghi implicherebbe la riacquisizione delle aree di pertinenza delle opere incompiute, oggi in parte occupate abusivamente. Domanda. Per la definizione di questo criterio ci siamo avvalsi di alcune interviste alla comunità del luogo e dell’analisi dei servizi pubblici e privati di interesse comune presenti a Giarre. La sostenibilità economica di ogni scenario è stata valutata in base ai criteri che seguono. Costi di investimento. È il costo complessivo dell’intervento, inteso come la somma del costo di costruzione e delle altre spese, valutato sulla base di prezzi parametrici. Gestione. Una volta che l’intervento verrà concluso, bisogna tener conto dei costi di manutenzione dell’architettura (considerati qui come il 6% dei costi di investimento), sia per quanto concerne l’edificio che il personale per la fruizione. Rischi. Alcune variabili potrebbero rallentare od ostacolare lo sviluppo dello scenario: l’insorgere di problemi amministrativi, la mancanza di risorse, la difficoltà nella ricerca di un finanziamento, l’obsolescenza di funzioni, l’adeguamento dell’edificio agli standard, i rischi relativi alla gestione o la possibilità che i lavori vengano nuovamente interrotti. Tempo. Inteso come tempo di realizzazione dell’intervento architettonico che, se non rispettato, potrebbe comportare un aumento dei costi di investimento.


5.2

Dissolvenza

“Il difetto dell’uso diviene opera d’arte” (Alterazioni Video 2018). Queste architetture pubbliche sono monumenti aperti all’immaginazione. Attraverso un semplice atto di riconoscimento, l’obiettivo è quello di provocare uno sguardo che non susciti la volontà di effettuare alcuna modifica a questi siti “ready-made”; è il modo in cui li guardiamo che viene modificato. L’approccio estetico nei confronti di lavori pubblici incompiuti contribuisce a mettere i siti all’ordine del giorno in modo creativo: “che fare con queste opere?”

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«In un futuro vicino o lontano, potremmo forse figurarci un inventario “archeologico” di questi monumenti all’incompiutezza». Un elenco vertiginoso di edifici abbandonati, una classificazione di questa inoperosità, in nome del patrimonio storico dell’umanità? [...] questo “museo dell’abbandono” rappresenterebbe il disastro simbolico della costruzione [...]. In attesa di un futuro più costruttivo che distruttivo, si tratterebbe insomma di negarsi alla disattenzione, all’indifferenza, ai tentativi infruttuosi per attendere l’inatteso e tentare, domani, di abitare l’inabitabile.” Paul Virilio, “Abitare

l’inabitabile” in “INCOMPIUTO: La nascita di uno Stile / The Birth of a Style”, Humboldt Books, 2018 Così come il nostro pensiero riguardo queste architetture si evolve, anche la fisicità di queste opere muta, la materialità, a causa dell’esposizione agli agenti atmosferici, si degrada e la natura si riappropria col tempo dello spazio che le era stato sottratto. Non è nient’altro che lo scenario attuale, in cui, mentre la comunità ragiona su come riconvertire queste opere pubbliche non finite, queste svaniscono sotto i nostri occhi a causa dell’avanzare della natura. Questo scenario si rifà quindi a quell’espediente cinematografico, la dissolvenza, la quale consiste nella graduale scomparsa o comparsa di un’immagine. Questa transizione è duplice, simile a una “dissolvenza incrociata” in cui un’immagine appare e una contemporaneamente scompare: la comparsa di una coscienza comune rispetto a questi edifici incompiuti e la loro scomparsa. Gli unici fattori per cui questo scenario è valutabile sono quelli di qualità: il “ricordo incompiuto” è totalmente


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preservato e, non essendoci nessun attività di cantiere, i costi sono pari a zero. Il valore della sostenibilità è basso dovuto al degrado evidente e progressivo delle strutture esistenti.


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5.3

Distruzione

Demolire l’opera.

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Alla Biennale di Venezia 2010 Rem Koolhaas con i suoi studi OMA e AMO presentano al Padiglione Centrale “Cronocaos”, neologismo con cui individuano il periodo architettonico attuale, (quello dal secondo dopoguerra ad oggi) in cui coesistono due tendenze: una orientata alla conservazione di aree del pianeta sempre e sempre più grandi (secondo il loro studio un 12% del pianeta è off-limits, perché siti sotto tutela, ad esempio dell’UNESCO) e un’altra incline alla demolizione dell’architettura nata dagli anni ‘50 in poi, tramite un’abbandono programmato o dei processi di demolizione, perché rappresentante di un sistema economico fallimentare e vulnerabile per via del degrado repentino dei suoi materiali da costruzioni. Nel momento attuale quindi convivono un sentimento di stasi radicale e uno di radicale cambiamento. Sembra però che si sia proiettati verso un climax di atteggiamento conservatore, mentre l’architettura del dopoguerra con l’ottimismo che ha incarnato riguardo l’abilità dell’architettura di organizzare il mondo sociale, viene considerata come una disfatta estetica e ideologica. “La marcia della conservazione richiede lo sviluppo di una teoria del suo opposto: non cosa tenere, ma cosa rinunciare, cosa cancellare e abbandonare. Un sistema di demolizione graduale, ad esempio, lascerebbe cadere la non convincente pretesa di permanenza per l’architettura contemporanea, costruita sotto diversi presupposti economici e materiali.” (OMA 2010) Distruggere queste architetture è però una rimozione della memoria di ciò che è stato? Dibattito analogo riguarda attualmente le statue e i monumenti rappresentanti negli Stati Uniti razzisti e schiavisti, in seguito al movimento Black Lives Matter, e in Italia quello riguardo la statua di Indro Montanelli a Milano. La pratica di abbattere statue era abbastanza diffusa nell’antica Roma ed era collegata alla “damnatio memoriae”, ossia la pena che nel diritto romano implicava la cancellazione di qualsiasi traccia riguardante una persona e che è stata inflitta a personaggi come Caligola o Nerone. La potenza di questa pena stava proprio in questa violentissima assenza, il più potente strumento di memoria. Piedistalli vuoti, cancellature nei documenti. È una memoria performativa, forse più efficace di quella del lasciare tutto com’è. Lo scenario può essere valutato esclusivamente dal punto di vista qualitativo ed economico. Qualitativo perché, così come spiegato precedentemente, la memoria del manufatto viene preservata; la sostenibilità viene misurata invece in base all’impiego


prolungato dei macchinari per la demolizione (compreso il trasporto a discarica) e alla possibilità di riciclare e reimpiegare i materiali da costruzione (nel caso del Salone Polifunzionale e della Piscina Regionale: il calcestruzzo armato, riciclabile quasi al 100% se il cemento viene separato dall’armatura; l’acciaio; il laterizio che però può essere riciclato solo al 50%; la pietra lavica, il legno, il vetro e la plastica). Dal punto di vista economico, i costi sono relativi alla demolizione (€1.010.000), la gestione è ovviamente nulla, mentre i rischi riguardano problematiche di tipo burocratico o finanziario. Il tempo per la demolizione e il trasporto dei materiali demoliti è stato calcolato tenendo conto che in media un metro cubo viene demolito e trasportato in 2,4 minuti; per cui considerando 8 ore di lavoro al giorno, la durata dell’intervento si attesta attorno ai 6 mesi.

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Via Giovanni Pascoli

Strada privata, prosecuzione Via Renato Fucini


Via Renato Fucini

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Via Giuseppe Giusti


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5.4

Compimento

Portare a termine l’opera secondo il progetto originario degli architetti, eliminando del tutto le tracce del tempo. Fra tutti gli scenari, questo è l’unico che comporterebbe l’annullamento del “ricordo incompiuto”, un passo indietro rispetto al passato. Nel paragrafo “Ne abbiamo ancora bisogno?” abbiamo verificato se un edificio polifunzionale e una piscina possano costituire ancora un bisogno per la comunità di Giarre nel 2020, ed essere quindi ancora attrattivi. Nel primo caso, la funzione potrebbe tuttora sussistere, vista la presenza di un solo teatro nella cittadina siciliana e la domanda ingente di spazi per le rappresentazioni scolastiche e spettacoli di vario tipo, così come risultato dalle interviste svolte in loco; nel secondo, invece, viste le dimensioni errate dell’invaso, l’impianto non potrebbe essere utilizzato in quanto piscina olimpionica, bensì come una semplice piscina, di cui Giarre è comunque ancora sprovvista. Il suolo non verrebbe del tutto recuperato vista l’assenza nel progetto originario di un collegamento tra le due architetture, e il valore non così alto della sostenibilità è legato al completamento di due architetture pensate e progettate negli anni ‘80, e quindi obsolete, e ultimate dopo più di quarant’anni dall’avvio del loro cantiere.


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Il completamento dei due edifici incompiuti comporterebbe sicuramente la ricerca di un finanziamento per il completamento, di un’impresa costruttrice per l’ultimazione dei lavori, di un ente gestore, un previo collaudo (la Piscina era già stata collaudata nel 2015), e l’adeguamento del progetto agli standard attualmente imposti dalle normative. La difficoltà insita in queste variabili rende questo scenario alquanto rischioso, rendendo probabile che si riverifichi lo status di incompiutezza. Il recupero e ultimazione di lavori richiederebbero l’investimento di €11.500.000 e di 3 anni per il completamento della Piscina Regionale e di 5 per il Salone Polifunzionale.


Riuso (temporaneo)

5.5

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Rimanere incompiuto e compiere una funzione. Generare nuovi usi, usi informali, che consentano alla collettività di riappropriarsi di questi luoghi in poco tempo e col minimo intervento: ciò comprende la messa in sicurezza delle parti che si vogliono rendere accessibili, rispettando l’architettura originaria, l’immagine dell’incompiuto. Vista la sua reversibilità, l’intervento si colloca in quel periodo di tempo prima della trasformazione definitiva (o la demolizione) degli stessi, talvolta anticipando le politiche pubbliche. L’idea è quella di creare uno spazio di condivisione e, se possibile, di autogestione. Gli spazi del Salone e della Piscina potrebbero essere assegnati in comodato d’uso gratuito da parte del Comune di Giarre e le proposte potrebbero essere scelte in base alla responsabilizzazione e la cura del processo di rigenerazione temporanea, all’adattabilità degli spazi, alla qualità del cronoprogramma proposto, alla proposta di attività aperte alla comunità ed ai servizi ad essa offerti, alla compatibilità e accomunanza con progetti già presenti sul territorio. Infine verrebbe premiata l’innovazione della proposta e chiaramente l’accettazione delle condizioni di comodato. Il premio previsto è un contratto d’uso temporaneo gratuito della durata di un tempo limitato, come ad esempio la durata del cantiere per il recupero o il completamento dell’architettura incompiuta. I costi degli allacci di luce, acqua e gas e degli interventi necessari per rendere fruibile lo stabile, saranno a carico del Comune che coordinerà anche la gestione e manterrà un controllo sugli spazi in termini di: definizione dei prezzi di vendita e delle regole di leasing temporaneo o permanente, salvaguardia della missione culturale, detentore dei terreni, responsabile delle zone verdi. I rischi sono quindi minimi essendo connessi solo all’aspetto burocratico. Dal punto di vista architettonico, la rifunzionalizzazione del Salone e della Piscina è legata a: il diserbamento dell’area circostante per consentire l’accesso ai due edifici, l’installazione di segnaletica luminosa, l’inserimento di innesti architettonici da realizzare con materiali di recupero, e che forniscono il supporto necessario alle funzioni temporanee. Tali interventi richiederebbero circa 3 mesi per l’accessibilità del luogo e un investimento di circa €35.000. Gli spazi attivati nel caso del Salone Polifunzionale, sarebbero solo alcuni e tutti al piano terra, vista la pericolosità di alcuni punti che dovrebbero essere necessariamente recuperati per la loro fruizione, il cui accesso verrebbe negato attraverso delle barriere architettoniche (come ad esempio delle transenne). Le funzioni da collocare potrebbero essere un cinema all’aperto nel caso del Salone, in modo tale da sfruttare lo spazio della cavea e per cui sarebbe necessario


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l’allestimento di uno schermo a ridosso dell’edificio scenico; per quanto concerne la Piscina, l’invaso coperto potrebbe ospitare dei campi sportivi in uno spazio che risulterebbe aperto/coperto, usufruendo degli spalti presenti. Fra gli esempi più noti di usi informali di edifici incompiuti rientra la Torre David, un grattacielo di 45 piani costruito a partire dal 1990 nel centro di Caracas, progettato dallo studio Enrique Gómez y Asociados. I lavori si fermarono nel 1994 in seguito a una crisi bancaria che coinvolse tutto il Venezuela. Dal 2007 la torre venne occupata da alcuni squatter (dall’inglese “squat”, accovacciarsi, inteso in questo caso per riferirsi a chi occupa immobili o terreni senza il consenso del proprietario), fino a diventare la baraccopoli verticale più conosciuta al mondo, con più di 1000 famiglie occupanti, che sono riuscite a organizzarsi autonomamente, come una sorta di microcosmo, per soddisfare le proprie esigenze di vita quotidiana ricavando negozi, studi dentistici, parrucchieri, tutti rigorosamente abusivi. Famosa al punto di essere citata in una serie TV, “Homeland”, e ad essere premiata nel 2012 con il Leone d’Oro alla Biennale di Architettura di Venezia come miglior progetto rappresentante il tema del “Common Ground”, cioè esempio di abitare collettivo e informale.


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5.6

Riuso Riconvertire questi spazi residuali per riconsegnarli alla comunità, preservando la struttura, la materialità, l’estetica incompiuta ma cambiandone la destinazione d’uso per la quale queste opere erano state progettate.

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5.6.1

Acqua e terra

Da un lato il versante orientale dell’Etna, a ovest, e tutt’intorno il paesaggio mediterraneo caratterizzato da vigneti e alberi di avocado: questa la cifra di Giarre, cittadina agricola sin dalla sua fondazione (i prodotti della terra venivano collocati in delle giare di argilla, da cui il toponimo). L’idea di progetto consiste nella coniugazione di questi aspetti che caratterizzano l’ambiente in cui il Salone polifunzionale e la Piscina regionale si trovano, e renderli chiave di trasformazione delle due architetture incompiute. Si è pensato quindi a due temi principali, l’acqua e la terra. L’acqua sulfurea proveniente dall’Etna fu utilizzata per prima dai Greci, i quali, avendo scoperto le proprietà terapeutiche, edificarono i primi impianti termali in Sicilia, tra i più famosi quello dell’adiacente Acireale, inattivo dal 2015 per liquidazione. Il tema dell’acqua è anche, evidentemente, alla base del progetto della Piscina regionale, per cui si pensa di declinarlo secondo la natura termale del suolo giarrese, dovuta all’intensa attività sotterranea dell’Etna. L’intervento prevede anche l’aggiunta di una palestra, di una caffetteria e di una foresteria e di servizi di supporto tipici di un centro benessere. Per quanto concerne invece il Salone polifunzionale, il progetto di riuso comprende la realizzazione di un mercato enogastronomico che restituisca alla città una ideale piazza dedicata al gusto, e allo stesso tempo riqualifichi uno spazio residuale (originariamente nel 1800 nel perimetro del centro storico sorgevano una pescheria e un mercato, oggi però in disuso; attualmente un mercato rionale si svolge ogni giovedì in Via Federico II di Svevia). Le botteghe di artigiani locali saranno il fulcro del mercato, dove si potrà sia fare la spesa che mangiare i prodotti preparati sul posto e consumarli ai tavoli del Mercato. Saranno presenti anche un ristorante e una pizzeria dove poter mangiare comodamente e avere una vista privilegiata rivolta al vulcano. L’idea è quella di situare all’interno del Salone anche una scuola di cucina, una caffetteria e un negozio.


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5.6.2

Il Mercato e le Terme

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Il “Centro Sociale Trepunti” che avrebbe dovuto comprendere la Piscina regionale e il Salone polifunzionale, come accennato precedentemente, prevedeva un collegamento tra le due architetture incompiute, oggi reso impossibile vista la presenza tra i due di una proprietà privata acquisita per usucapione, a seguito di un lunghissimo iter giudiziario tra l’attuale proprietario e il Comune di Giarre. L’intervento prevede comunque di ridestinare quest’area all’amministrazione comunale, così come sarebbe dovuto essere originariamente, e collocare l’ingresso principale (pedonale) del nuovo complesso all’angolo tra Via Giovanni Pascoli e Via Renato Fucini, lì dove era previsto l’accesso nel progetto della Piscina Regionale. Auto ed eventuali autobus potranno accedere tramite due ingressi ai parcheggi posti ai limiti dell’area, il primo con ingresso in prossimità della rotatoria in Via Giovanni Pascoli, e il secondo all’incrocio tra la Via Renato Fucini e la SS114. Una lunga rampa in linea con l’asse di Via Renato Fucini, conduce lo sguardo verso l’Etna e porta a un primo livello (-3,25 m) dove due muri, uno a sinistra e uno a destra, indirizzano il visitatore rispettivamente al Mercato e alle Terme. Un totem, realizzato con materiali di recupero dal cantiere, installato frontalmente all’ingresso, riporta alcune informazioni sulle due architetture precedentemente incompiute. Delle vasche d’acqua e delle aree verdi definiscono l’area esterna, a rimarcare il tema acqua/terra. Le prime, più frequenti nei pressi delle Terme e le seconde più costanti procedendo verso il Mercato. Il Mercato. Dirigendosi verso sud, dalla rampa d’ingresso in Via Giovanni Pascoli, ci si avvicina al Mercato per mezzo di due livelli, e lo sguardo verso il mai stato Salone Polifunzionale viene guidato grazie a un muro che costeggia parallelamente la Via Giovanni Pascoli. Una piccola apertura in questo muro rivela a chi si avvicina un giardino intimo, che funge da filtro tra il complesso del Mercato e delle Terme e le abitazioni vicine. Un’altra linea direttiva che indirizza il visitatore è data dalla presenza di una vasca d’acqua stretta e lunga, la quale crea un imbuto che guida il visitatore verso le rampe per un livello intermedio (-1,75 m), da cui poi si arriva al piano di accesso al Mercato. Nel progetto del Salone Polifunzionale l’ingresso era stato pensato lungo il prospetto su Via Giovanni Pascoli, di fronte la rotatoria. Tuttavia, per consentire un collegamento diretto, fisico e visivo, tra gli ingressi del Mercato e delle Terme, si è deciso di dare rilievo a questa facciata, con l’innesto di due muri che arretrandosi prima rispetto alla struttura esistente e poi uscendo dal perimetro originario dell’edificio, creano un imbuto rovesciato. Quest’ala del Salone, che avrebbe dovuto ospitare le toilette, in questo intervento si rinnova, creando un atrio con reception a doppia altezza. Da qui ci si può immettere nell’edificio scenico o nel corridoio curvilineo che costeggia la cavea. Nel primo caso, il visitatore viene portato in quello che prima costituiva un vuoto nell’edificio incompiuto e dove avrebbe dovuto esserci il palco del Salone polifunzionale. Ora un nuovo volume in vetro e acciaio,


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di altezza superiore agli edifici esistenti incompiuti, occupa questo luogo a formare una serra, dove di piano in piano, scale e passerelle collegano le funzioni dei livelli superiori. Attorno vi si sviluppano le varie attività del Mercato, tra cui ovviamente le botteghe: al primo piano, un bar e una pizzeria; al secondo e al terzo un ristorante e all’ultimo una terrazza panoramica da cui osservare il paesaggio etneo circostante e le Terme. La serra ha un ruolo duplice nel nuovo complesso: è sia scena per chi dalla cavea la osserva, sia “spettatrice” per chi dalla serra guarda invece la cavea, mantenendo in questo modo il carattere teatrale del progetto rimasto oggi incompiuto. Nel secondo caso, ci si immette invece in una sorta di galleria dove, a destra, al di sotto della cavea, sono state ricavate delle botteghe mentre a sinistra si possono osservare alcuni degli orti didattici che circondano il Mercato. Questo percorso culmina in un ampio spazio (nel progetto del Salone, l’atrio di ingresso) dove si prospettano altre botteghe di dimensioni maggiori, un primo spazio per la consumazione, perimetrale alla facciata sud-ovest, e un ingresso secondario per chi arriva dal parcheggio. Attraverso cinque gallerie ci si può introdurre nella cavea: qui le gradonate sono state riconvertite in un’area consumazione all’aperto per mezzo di strutture in tondini di acciaio che creano dei piani più ampi e che lascino intravedere la cavea sottostante, con l’intento di ricordare al visitatore ciò che quest’architettura non è mai stata, cioè un Salone Polifunzionale. Nelle parti adiacenti l’edificio scenico, sono stati posti un negozio proprio al di sopra dell’atrio —da cui è possibile accedere a una terrazza al di sopra dell’ingresso al Mercato—, uno spazio show cooking e una scuola di cucina per bambini. Questa è connessa alle scale che conducono dal piano terra al primo piano tramite l’inserimento di un volume rettangolare, stretto e lungo, di raccordo tra le funzioni poste in quest’angolo del Mercato. Un volume esteticamente simile, è stato posto a copertura delle scale esposte a sud, di cui oggigiorno sono sprovviste a causa dell’incompiutezza dell’architettura. Tutt’intorno si sussegue una serie di orti didattici dedicati alla coltivazione dei prodotti per cui Giarre è nota, i quali verranno venduti nelle botteghe del Mercato. Ogni orto è diviso l’uno dall’altro attraverso un sistema di irrigazione a gravità, ideato in principio dagli Arabi e importato da loro in Sicilia (specie nelle province di Palermo, Siracusa e Catania, di cui Giarre fa parte), ed è possibile passeggiarvi attraverso dei percorsi con pavimentazione drenante (uno di questi conduce dal parcheggio all’ingresso secondario del Mercato). I dipendenti accedono alla struttura separatamente


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dall’utenza, dal medesimo livello dell’ingresso principale, attraverso l’area dedicata agli attori nel progetto del Salone, dove sono stati situati gli uffici di gestione del Mercato, un’infermeria, un deposito e una sala dipendenti, mentre un lungo corridoio consente l’accesso ai collegamenti verticali esistenti nell’edificio scenico, a uso esclusivo del personale, e connessi con la cucina della pizzeria e del ristorante ai piani superiori. Le Terme. Camminando verso nord e costeggiando il primo invaso di forma circolare, si giunge al livello di ingresso delle Terme (-3,87 m). Questa facciata della Piscina, rivolta verso l’Etna, è caratterizzata da tre alti semicilindri in calcestruzzo a faccia vista che avrebbero dovuto costituire, in ordine da sud a nord, l’ingresso degli atleti, un soggiorno e l’atrio dell’ingresso principale. L’idea è quella di identificare gli accessi alle principali funzioni del centro termale proprio in corrispondenza di questi tre elementi verticali. Così l’ingresso alle Terme avviene nel semicilindro più a sud, più prossimo all’ingresso del complesso, posto in risalto grazie all’aggiunta di un muro di uguale altezza, e che accompagna il visitatore dalla rampa d’accesso all’atrio delle Terme. Una reception è accostata all’atrio, da cui due corridoi indirizzano uno verso lo spogliatoio femminile e uno a quello maschile. Un patio d’acqua isola i due ambienti, dove vi si affacciano un solarium e una make-up room. Attraversandolo si accede a un corridoio di collegamento tra le uscite dai due spogliatoi e dei due servizi che vi si affacciano. Da qui due porte in pietra lavica con cardine metallico consentono l’ingresso a uno spazio stretto e lungo: nel progetto della Piscina si doveva identificare con gli spogliatoi femminili e maschili degli atleti, oggi è invece un’enorme area invasa dalle felci e dagli ailanti che col tempo si sono fatti strada nelle aperture della copertura che avrebbero dovuto essere dei lucernari. L’idea è di riproporre l’atmosfera incompiuta di questo spazio, conservando alcune delle piante presenti e rilegandole agli estremi di una lunga vasca dedicata al percorso Kneipp (cura termale che consiste nel camminare lungo un sentiero di ciottoli di fiume per favorire la circolazione sanguigna), mantenendo il carattere aperto-coperto di quest’area. Proseguendo, un lungo spazio semiaperto consente la distribuizione dei vari servizi del centro. La demolizione della parete che divideva lo spazio sottostante gli spalti (adibiti a locale tecnico nella Piscina regionale) da questo corridoio dapprima stretto e lungo, è stata necessaria per il suo ampliamento e consentire la creazione di gradini e rampe di collegamento dal livello dell’ingresso a quello dell’invaso coperto. L’area sotto la tribuna è stata adibita ad area massaggi, che viene illuminata grazie ad un sistema di mattoni di vetro trasparenti e che, grazie alla loro conformazione,


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consentono la privacy al suo interno. Tramite lo spazio di distribuzione si può accedere alla palestra (così dove era prevista anche nel progetto della Piscina), all’infermeria, alla caffetteria (con cui si identifica il secondo semicilindro in calcestruzzo a faccia vista della facciata rivolta verso il vulcano) o allo spazio in principio destinato alla piscina olimpionica. Il suo invaso coperto è stato riutilizzato per accogliervi diverse vasche d’acqua termale a varie temperature. In particolare la piscina è stata divisa in 7 bagni termali: il più grande è un bagno al chiuso a 32 °C, vi sono poi un bagno di fiori a 33 °C, un bagno a 35 °C a cui è associato un bagno di suono, un secondo bagno al chiuso a 32 °C di profondità minore rispetto al primo, un bagno a 38 °C, un bagno freddo a 14 °C e un bagno di fuoco a 42 °C. Questo luogo è caratterizzato dall’innesto di alcuni cilindri semiaperti o chiusi che perimetrano degli spazi intimi all’interno di questo grande luogo pubblico; tra questi, due coincidono con il bagno di suono a 35 °C e il bagno di fiori a 33 °C, i quali hanno necessariamente bisogno di uno spazio perimetrato per la fruizione. A ogni vasca si accede tramite una passerella a pelo d’acqua e la discesa è accompagnata da dei gradini, alcuni punti dei bagni di acqua sulfurea sono inoltre evidenziati da lucernari ricavati nella copertura. L’invaso più piccolo a sud, quello che sarebbe dovuto essere una vasca lavapiedi, viste le piccole dimensioni, è stato riutilizzato come vasca per bambini, con l’introduzione di dislivelli ed elementi scultorei a scopo ludico. Fontane di acqua potabile e docce sono poste agli estremi del grande spazio, mentre per quanto riguarda le tribune, quelle rivolte ad ovest sono state convertite in una terrazza dove potersi rilassare e godere della vista privilegiata sull’Etna; le gradonate della tribuna est sono state utilizzate per la creazione di stanze rettangolari per il bagno turco e la sauna finlandese. Dalla grande sala dedicata ai bagni di acqua sulfurea, si può accedere o a una vasca idromassaggio posta in un ambiente separato nello stesso spazio, o all’esterno dove ulteriori vasche sono state disposte per il bagno all’aperto con temperature di 36 °C nella stagione invernale e di 30-33 °C in estate. Quest’area esterna è posta alla stessa altezza della sala termale, rendendola non visibile dal perimetro dell’edificio, per consentire l’intimità per i clienti del centro. Altri elementi distintivi di tale spazio sono un hortus conclusus di forma circolare posto all’angolo estremo di questo podio, a rimarcare il carattere riservato e di riflessione del luogo, una palestra all’aperto sul lato opposto e una seduta in pietra lavica che marca il limite dell’ambiente all’aperto esclusivo per i clienti delle terme.


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L’impianto è dotato anche di una foresteria che comprende quattro stanze doppie con servizi igienici indipendenti. È rivolta a nord, a largo dal movimento del centro del complesso del Mercato e delle Terme. Il suo ingresso coincide con l’ultimo semicerchio di calcestruzzo a nord, là dove l’atrio e la reception della Piscina regionale erano stati pensati. L’inserimento di un muro poligonale divide le camere dallo spazio condiviso e indirizza verso un accesso secondario alle vasche termali, riservato agli ospiti occasionali della foresteria; un ulteriore ingresso consente il collegamento di quest’area con la caffetteria.

L’ingresso principale


5.6.3

Materia e natura

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A Trepunti oggigiorno da un lato si staglia il Salone polifunzionale, quello che si definisce uno “scheletro strutturale”, con tamponature in laterizio accennate, non finite, con bucature involontarie autografate dal tempo, le quali hanno creato prospettive insolite. Dall’altro la Piscina regionale, apparentemente conclusa, con la copertura in acciaio e lamiera perfettamente conservata dalla sua costruzione, la muratura esterna in condizioni poco meno migliori ma pur sempre in buono stato, dove però la presenza occludente degli ailanti e delle felci sul perimetro ne definiscono il carattere d’abbandono. L’idea è stata quella di trattare le due architetture incompiute apparentemente con approcci differenti, seppur con qualche elemento formale e concettuale comune. Per le facciate del Mercato, sono stati impiegati dei mattoni in cemento forati di recupero che fungano da brise soleil, e quindi da filtro per l’intensa luce meridionale a cui l’edificio è esposto. Alcune aperture si fanno spazio in questo primo elemento del prospetto, tramite cui l’ingresso della luce è diretto; altre porzioni della facciata sono state invece in parte chiuse, in corrispondenza degli spazi in cui la privacy era necessaria, come ad esempio i bagni. A inquadrare queste “nuove tamponature”, la scacchiera di travi e pilastri in calcestruzzo a faccia vista del Salone, lasciate così come si presentano oggi. All’interno, il cemento spatolato uniforma il solaio di ciascun piano, interrotto da bacchette in alluminio che fungano da giunti o da strisce in cemento bianco che colmano i giunti esistenti tra le strutture di cui il Salone si compone. Alcune porzioni rettangolari di pavimento sono state levigate maggiormente, per evidenziare alcuni ingressi degli spazi del Mercato. La serra, calata dentro il vuoto dell’edificio scenico, è in acciaio e vetro, differentemente da tutto il resto, per evidenziare il suo carattere di novità, abbracciata dalla struttura in calcestruzzo a faccia vista del Salone, da cui svetta in sommità per rivelare la sua presenza dall’esterno. Anche nella terrazza all’ultimo livello i parapetti sono trasparenti, così come quelli aggiunti nelle scale esistenti ai piani inferiori: l’intento è quello di richiamare la loro “non presenza” dello stato di fatto. Così come la serra, anche gli altri innesti volumetrici sono stati realizzati in acciaio, con rivestimento in alluminio, come la copertura del corpo scala a sud e la giunzione tra la scuola di cucina/spazio show cooking e le scale lato parcheggio.


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Gli orti didattici che circondano il Mercato


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Le botteghe al piano terra

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Uno degli innesti costituisce l’ingresso all’area show cooking/ scuola di cucina per bambini


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Lo spazio consumazione all’aperto e la serra


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Tondini in acciaio dipinti di bianco compongono la struttura della cavea e la gabbia dell’ascensore, a richiamare i “ferri della speranza” presenti in quest’incompiuta. Nel primo caso rende esplicita, con una sovrapposizione contemporanea, l’essenza dello spazio che quest’architettura avrebbe dovuto ricoprire, quella cioè di un luogo per lo spettacolo e il teatro. Inoltre, la sua percezione cambia a seconda del punto di vista da cui la si osserva, sembra a volte fluttuare, a volte essere un piano omogeneo. Nel caso dell’ascensore collocato nella serra, i tondini d’acciaio fungono invece da futuro supporto per la crescita di piante rampicanti. All’esterno, la presenza di quella natura, incontrollata e disordinata, che nasconde oggi il Salone dagli occhi indiscreti dei passanti, viene rievocata attraverso una nuova legge che è quella degli orti circostanti. Al contrario, la Piscina, data la sua maggior compiutezza, risiede in uno stato di conservazione qualitativamente migliore rispetto al Salone, vista la presenza della copertura e della quasi totalità delle tamponature esterne. Si è deciso quindi di intervenire esternamente con un rivestimento di intonaco di cocciopesto. Questo richiama cromaticamente il colore dei laterizi i quali, insieme al calcestruzzo armato, costituisce uno dei materiali identitari dello stile Incompiuto; oltre la funzione estetica, risulta essere anche funzionale, visto che la polvere di laterizio contenuta in quest’intonaco gli conferisce proprietà idrauliche, il che è favorevole per un ambiente umido come un impianto termale. Il cocciopesto è onnipresente in quasi tutti gli ambienti delle terme, intervallato dal reticolo della struttura in calcestruzzo armato, il quale scandisce il ritmo degli interni. Ciò non avviene però nello spazio dedicato ai bagni d’acqua sulfurea, dove il cocciopesto riveste tutto ad eccezione del pavimento, realizzato in cemento levigato, così come nel Mercato. A richiamare formalmente i mattoni forati dell’incompiuto, sono stati utilizzati dei mattoni in vetro a delimitare l’area massaggi, per consentire il passaggio della luce e contemporaneamente la garanzia della privacy. Al colore rosato del cocciopesto, si accosta il bianco. Questo è palese sia sotto forma di intonaco in corrispondenza dei passaggi verso l’esterno e della presenza di vasche termali esterne, sia come cerchi di cemento bianco in evidenza dell’accesso principale delle Terme e della foresteria, posti a enfatizzare i volumi semicilindrici che svettano in facciata. Di tutte le architetture incompiute, la Piscina regionale è l’unica che presenta delle rifiniture esterne, realizzate in pietra lavica, in corrispondenza delle bucature delle finestre o sul cordolo di parte della copertura. L’intervento prevede il suo utilizzo per le sedute interne ed esterne delle Terme, il perimetro delle vasche e le porte d’accesso al percorso Kneipp. Il grigio scuro della pietra vulcanica è utilizzato per il rivestimento metallico della copertura e per la verniciatura delle travi reticolari


L’ingresso alle Terme

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172 SCENARI I bagni termali ricavati all’interno dell’invaso della piscina incompiuta


La vasca idromassaggio

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SCENARI

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Il percorso Kneipp


I bagni termali all’esterno

175 SCENARI


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al di sopra dei bagni termali all’interno. Il cromatismo del grigio è previsto in una gradazione più chiara mediante l’utilizzo dell’acciaio per gli infissi e per le fontane d’acqua termale e i loro scoli. Parte integrante del progetto di riuso sono le piante. Nell’area del percorso Kneipp, sono stati lasciati infatti alcune delle felci che costellano oggi questo spazio, fino a penetrare nelle bucature della copertura. Questa strategia è stata adottata anche per il resto della vegetazione presente attorno le Terme e per l’hortus conclusus. Tondini in acciaio, brise soleil in cemento, cocciopesto, pietra lavica e alluminio formano l’esperienza tangibile di questa proposta, ed evocano con materiali locali e grezzi l’estetica incompiuta odierna, propria delle due architetture giarresi da noi studiate.

5.6.4

L’architettura rimane così in bilico tra composizione formale e libertà in un atteggiamento del “come trovato”, dando una sensazione aperta e rilassata di un “non progettato”. Massimo Curzi, “L’arte del rammendo: tra

natura e costruito” in Casabella n. 911-912, 2020

Valutazione dello scenario

Il giudizio dello scenario fin qui presentato risulta in generale abbastanza positivo. Per quanto riguarda l’aspetto architettonico, il ricordo incompiuto è vivido e la memoria preservata, soprattutto grazie alla reinterpretazione estetica della materialità incompiuta. Entrambe le architetture sono state riutilizzate totalmente e recuperate, così come il suolo, dapprima occupato in parte abusivamente e in parte dalla prepotente vegetazione spontanea. Viene creato inoltre una nuova centralità nel quartiere di Trepunti, con l’innesto di un Mercato e delle Terme, attrattivi non solo a livello cittadino ma anche territoriale, vista anche la miscellanea di funzioni che il complesso ingloba. La sostenibilità della proposta è insita nel concetto di base, ossia il riciclo di strutture incompiute, che se abbandonate e lasciate al degrado, risulterebbero dannose e nocive per l’ambiente nel quale sono situate. Il giudizio di questo parametro è limitato ovviamente per via dell’impatto delle attività di cantiere che l’intervento prevede. In compenso i materiali da costruzione sono prevalentemente di origine locale e in parte provenienti da recupero. Inoltre le prestazioni energetiche vengono sicuramente migliorate rispetto allo


stato attuale, così come la qualità dell’ambiente interno. Il tempo stimato per i lavori di riconversione della Piscina Regionale e del Salone Polifunzionale è di 5 anni, per un investimento di €15.360.000 (il più alto tra tutti gli scenari e simile a quello previsto per “Completamento”, rispetto al quale è maggiore a causa della riappropriazione e della sistemazione dell’area compresa tra le due incompiute). Cause di interruzione o ritardo dei lavori potrebbero essere legate a problemi amministrativi, alla mancanza di un finanziamento, l’affidamento della gestione e della manutenzione e alla minaccia di incompiutezza che potrebbe palesarsi anche in questo caso. A livello di comunità, la riappropriazione di quest’area si realizza pienamente: dapprima inaccessibile e invalicabile, è potenzialmente un luogo di incontro per i cittadini di Giarre e non solo. Vivere queste architetture è il primo passo per dare un nuovo senso a una cattiva storia, quella dell’incompiuto italiano. 177 SCENARI


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