CLAUDIO LORETO - VI RACCONTO LA GARA DI CANOTTAGGIO PIU’ LUNGA DEL MONDO

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Vi racconto la gara più lunga del mondo 8 ottobre 2014 callajack 10 commenti

L’equipaggio all’arrivo dopo 160 chilometri di voga

Come superare indenni (o quasi…) la fatica di 160 chilometri ai remi, senza scalo ed in un bacino chiuso. Prima ancora, come pensare di poter compiere una simile impresa. Lago di Ginevra. Tour du Léman 2014. La gara più lunga del mondo, affrontata a bordo di una GIG a 4 messa gentilmente a disposizione dal Cantiere Salani. Stefano Bellio (Società Sportiva Murcarolo), Claudio Loreto (Rowing Club Genovese), Gaetano D’Urso (City of Derry Boat Club),Giuseppe D’Urso (LNI Siracusa) e Luca Frigo (Arolo). Cinque “eroi” ed un racconto, scritto da Loreto, da consumare avidamente. Buona lettura, amici di CanottaggioMania, e complimenti, ancora, ai nostri canottieri per aver onorato il remo nazionale in questa straordinaria trasferta svizzera. Genova, una notte di fine maggio dell’anno 2014. Dal divano sul quale è accovacciato, Nelson - il cane di famiglia - mi guarda con un’espressione interrogativa mentre pian piano, per non svegliare moglie e figlia che dormono nelle camere accanto, in sala raccolgo le mie cose e poi scivolo oltre l’uscio di casa. Sono le 4.20 e fuori è ancora buio pesto; sulla mia “Vespa”


malconcia, lungo strade deserte alla volta del porto, non sento però freddo, segno che l’afa estiva è ormai alle porte e che mi sarà dunque impossibile d’ora in avanti svolgere prolungati allenamenti a secco in orari differenti da questo. Attacco a remare nella vasca da canottaggio all’aperto del Rowing Club Genovese 1890, la mia società, alle 5.10 e mi sembra di essere tornato ai tempi del liceo, quando da agonista mi allenavo quotidianamente prima di recarmi in classe. Soltanto che adesso sono alla vigilia dei 54 anni e mentre dodici gabbiani - dodici, li ho contati! - volteggiano con insistenza una trentina di metri sopra la mia testa simili a pazienti avvoltoi, mi domando: “Ma che diavolo sto facendo?”. Due anni fa, al termine dell’impegnativo mandato di Presidente del Comitato Ligure della Federazione Italiana Canottaggio, avevo deciso di non farmi più coinvolgere in faccende remiere; da allora avevo frequentato il mio club per il tempo strettamente necessario ad allenarmi un po’ per le mie escursioni in montagna. Ma domenica scorsa è stata proprio la stizza per non avere potuto partecipare ad una salita alpinistica a causa di una influenza fuori stagione ad avermi fatto sconsideratamente dire di sì alla contemporanea offerta di Stefano Bellio di prendere parte alla gara di canottaggio più lunga del mondo: 160 chilometri!

La preparazione della GIG

Nel 2008, per celebrare il 120° anniversario della fondazione della nostra Federazione, avevo messo su un viaggio costiero a remi da Genova a Roma (con la risalita del Tevere, circa 550 chilometri di percorso). Con due imbarcazioni da 4 vogatori più timoniere per raggiungere la capitale impiegammo otto giorni, il più “lungo” dei quali misurò circa 80 chilometri, suddivisi in due tappe; in quella pomeridiana la mia maglia da bianca divenne rossastra per via del sangue che mi sgocciolava giù dalle palme delle mani devastate dall’attrito con le impugnature


dei remi: bene, sul vasto lago di Ginevra avrei dovuto rivivere “doppio” (per di più in un’unica soluzione e con “spirito” da gara) quell’incubo… Una autentica pazzia! A completare l’equipaggio si sono dichiarati disponibili i fratelli Pippo e Gaetano D’Urso (anch’essi fattisi le ossa con me e Stefano nella Genova-Roma) e Luca Frigo; l’imbarcazione prevista dal regolamento di gara - una “GIG” a 4 con timoniere - grazie alle buone relazioni di Luca ci verrà gentilmente prestata, nuova di zecca, dal Cantiere Nautico Salani. Saremo l’unico armo italiano in gara.

Verso la partenza

“Ecco esplosa la crisi dei 50!”, ha sentenziato mia moglie allorchè l’ho informata della decisione. A me, invece, era piaciuto prendere in prestito la risposta data da George Mallory al giornalista che gli aveva chiesto perché mai volesse scalare l’Everest, all’epoca ancora inviolato (“Perché esiste”). Perlomeno fino a questa mattina: dopo soltanto due ore e quaranta minuti di voga un crampo mi paralizza la coscia sinistra; non c’è verso di lenirlo e riprendere a remare, così mi tiro su e claudicante e avvilito mi dirigo verso le docce: per acquisire una condizione fisica adeguata alla mostruosità in cui mi sono cacciato ho solo quattro mesi di tempo… “Sì, è’ una vera follia”, continuo a ripetere a me stesso più tardi mentre varco la soglia dell’ufficio. Lago di Lemano (Ginevra), sabato 27 settembre 2014. Dopo quei crucci primaverili per mettermi in forma avevo dato vita ad una bizzarra alchimia di allenamenti: alpinismo, marce montane forzate, spinning, nuoto e, naturalmente, canottaggio (in vasca, ad esempio, sono poi arrivato a vogare per cinque ore consecutive). Ma dopo poche ore dal “via” del giro completo dell’immenso Lemano - dato con puntualità svizzera alle 8,00 - sotto il sole caldo ecco che i crampi sono ridiventati per tutti i regatanti l’insidia maggiore. Quando acchiappano me penso con sconforto “…ecco, è finita qui!”. Lo sforzarsi a gestirli per quasi un’ora e infine riuscire a superarli si dimostra quasi un’arte. Il resto - ma questo già lo sapevo - è un crescendo wagneriano di bruciore alle mani piagate dal remo, di dolore (vero) nel fondo-schiena e ai glutei, i quali ultimi poco dopo Montreux - ove finalmente abbiamo svoltato la prua verso Ginevra, lontana ormai “soltanto” un’ottantina di chilometri iniziano a smaniare sul carrello, ora spostandosi di qualche millimetro a sinistra, poi di nuovo verso destra (o indietro) un minuto dopo, e così via all’infinito, alla spasmodica ricerca di un po’ di sollievo. Stilla dopo stilla l’acido


lattico mi rende inoltre le gambe sempre più pesanti; nei pressi di Evian mi salta in mente di ricalcolare - in base al nostro ritmo di palate - quante volte esse si saranno compresse a molla al termine di questa incredibile giornata: circa 20.000. Tutto ciò è tuttavia comune a ogni scriteriato convenuto quest’oggi sul grande lago, incluso quel Tim Grohmann, oro agli ultimi Giochi Olimpici nel 4 di coppia, che con il suo giovane equipaggio tedesco è al comando della regata. Viceversa, oltre che sull’acqua, ciascuno di noi sta navigando in un oceano di pensieri invece tutti personali, che si accavallano nelle mente veloci come onde.

Integratori

E’ sorprendente l’avvicendarsi di momenti nei quali giungo a sentirmi realmente uno stupido (“Metterti ancora a “giocare” sulla barchetta alla tua età! - mi biasima di tanto in tanto una voce dentro - Ma va’, piantala lì e tornatene subito dalla tua famiglia!”) con altri - precisamente quando si assottiglia il distacco con l’equipaggio dietro o con quello avanti - nei quali l’antico impeto agonistico si riaccende e prende prepotentemente il sopravvento su ogni altra considerazione. Così come è strano l’alternarsi di fasi di grande spossatezza a inaspettate - e anche prolungate - fiammate di energia, durante le quali allora potenzio il tiro per il mero piacere di sentire il musicale sciabordio della prua mentre taglia agile e veloce l’acqua del placido Lemano e nel contempo penso che quest’avventura, indipendentemente da come essa finirà, si aggiungerà comunque al mosaico della mia esistenza, rappresentando un nuovo tassello di me. “Finchè mi sarà concesso voglio sentirmi vivo”, mi dico. E allora, contraddittoriamente, sono assolutamente felice di trovarmi qui. Guardando le colline che corrono parallele alle rive ho anche ripensato alla mia recente salita della Cima Grande di Lavaredo, iniziando poi a pianificare nella mente quella del Sassolungo anche al fine di annullare per un po’ il senso del tempo e potermi così infine ridestare con la


piacevole “sorpresa” di una bella manciata di chilometri in meno da percorrere (“Beh, non è poi così tanto lunga!”). In realtà l’unico vero “trucco” - se mai può esisterne uno - è non pensare mai al traguardo (che altrimenti diventa un miraggio angosciante e insostenibile psicologicamente), bensì concentrarsi a far bene ogni singola palata, come se fosse allo stesso tempo la prima e l’ultima della giornata. La stanchezza, si sa, rende irritabili: così durante il lungo viaggio non manca qualche battibecco tra noi; ma le incrociate, antiche amicizie e la consapevolezza di trovarci - alla lettera - sulla stessa barca ci mantengono uniti: stringiamo i denti e sopperiamo vicendevolmente alle inevitabili, provvisorie carenze di qualche compagno. Discorso simile in occasione dei cambi al timone (ogni ora circa), nei quali ci riveliamo di gran lunga i più lenti elargendo vantaggi significativi agli avversari: la cosa ogni volta mi manda in bestia, ma subito mi rientra chiara in testa l’idea che l’importante è arrivare in fondo.

Il “bunker” per il riposo

Giunti a Sciez, dalla riva ci arrivano urla di incitamento: sono Cristiano Masciulli (il “meteopatologo” - come lo chiama Stefano - che ci fornisce consulenza meteorologica sin dal Genova-Roma) e il suo “apprendista” Simone Passalacqua; lo scambio di battute gridate porta in barca una certa allegria. Lo sconcertante bunker atomico dove a terra abbiamo alloggio insieme agli altri equipaggi continua tuttavia ad assumere sempre più nelle nostre teste le sembianze di un hotel in stile Las Vegas, dotato di mille comfort. Sopraggiunge infine la notte e con essa il freddo. Stefano - passato nuovamente al timone essendo egli il più capace a manovrare al buio - combatte contro l’ipotermia rinserrato dentro il sottile telo isotermico da montagna caricato a bordo già ieri sera insieme a molto altro materiale, tra cui barrette energetiche e bustine di sali minerali da sciogliere nell’acqua


raccolta via via direttamente dal lago e da trangugiare - letteralmente - durante i cambi al timone.

Claudio Loreto

Sento che quest’ultima fase della regata mi rimarrà impressa per sempre nella memoria: nel silenzio, sotto le stelle, la barca prende a correre più veloce verso la meta, che la mente sa ormai prossima ma che al corpo esausto appare invece ancora tremendamente lontana. In mezzo all’acqua, guardando la luna, rivivo le emozioni provate tanto tempo fa da giovane sottufficiale di leva sulla torretta del sommergibile “Enrico Toti” durante il rientro notturno alla base dopo un’esercitazione… Quando finalmente posso drizzarmi in piedi sul pontile della Société Nautique de Gèneve scopro di avere perso il senso dell’equilibrio: inarcato sui remi per 14 ore e 17 minuti (tanto è durata per noi la gara), ho infatti finito con il dotarmi di un altro baricentro e ci vorrà più di un’ora per tornare a pieno diritto nel mondo dei bipedi. Mi informano che siamo il decimo equipaggio ad avere tagliato il traguardo (altri tredici armi lo supereranno dopo di noi). Posizione di classifica tutto sommato soddisfacente, della quale tuttavia in questo momento non mi importa davvero nulla: sono arrivato e tanto, semplicemente, mi basta. Corro (si fa per dire) sotto la doccia calda e poi mi godo una delle scomode panche di legno dello spogliatoio, da dove con il cellulare avviso a casa che non si sono liberati di me; Luca dalla bilancia esclama sbalordito di avere perso dieci chili, da recuperare con urgenza seduti intorno a una delle tavole imbandite per questo “circo di matti” nel ristorante del club organizzatore. Gaetano - quello perennemente affamato - molla però subito il cibo: avverte


senso di nausea e un forte giramento di testa, “costringendomi” così a divorare anche la sua parte. Pippo ci raggiunge poco dopo, rinfrancato da uno dei massaggiatori messi a disposizione degli atleti sbarcati. Mentre prendo coscienza di avere la mano sinistra semi-inerte (una tendinite?), Stefano inizia a snocciolare la sua analisi della nostra corsa alla ricerca delle cose da “correggere”. Capisco subito cosa ha in mente; lo guardo dritto negli occhi e gli ringhio: “No, caro mio, non mi freghi una seconda volta!”. Nel cuore, però, gli sono riconoscente. Claudio Loreto Commenti su “Vi racconto la gara più lunga del mondo” Marcello Ravoni, 9 ottobre 2014 alle 08.49: “Bellissimo racconto, avvincente, mai banale, se si pensa che narra semplicemente di una uscita in barca su un lago !!!! Grazie Luca, ho avuto sempre l’idea di partecipare a questa “folle” regata, ma non ho mai trovato altri quattro matti da coinvolgere; forse ora leggendo le tue righe in qualcuno serpeggerà con più vigore il virus che ti convince ad affrontare una simile avventura dal sapore un po’ “epico” !!!!!”. Risponde Claudio Loreto, 9 ottobre 2014 alle 15.24: “Ciao Marcello, allora ti anticipo che Stefano e Luca forse intendono ripeterla, in tal caso di “matti” ve ne mancherebbero solo due (da parte mia, invece, torno sui monti….). E grazie per le parole di apprezzamento riguardo il mio modesto resoconto della regata. Claudio”. Risponde Marcello Ravoni, 13 ottobre 2014 alle 09.34: “Caro Claudio, oggi mi sono riletto il tuo racconto e mi sono accorto che citandoti ti ho cambiato il nome di battesimo in Luca, forse perchè pensavo ad uno dei canottieri più matti che conosca e che sarebbe capace di imbarcarsi in una simile avventura: Luca Dell’Elice !!!!!!”. Canottieri Villamarzana, 9 ottobre 2014 alle 10.54: “Grazie Claudio per il bel racconto e complimenti a tutti. Queste imprese ci insegnano che il canottaggio non è solo la regionale d’apertura, Piediluco e i campionati italiani. Per fortuna!”. Risponde Claudio Loreto, 9 ottobre 2014 alle 15.25: “Grazie a Voi per il tempo che avete voluto dedicarci leggendo questa breve cronaca! Claudio”. Fabio Annigoni, 9 ottobre 2014 alle 11.54: “Un’altra grande impresa Claudio! Felice e orgoglioso di aver conosciuto te e quella banda di fenomeni! Un abbraccio forte”. Risponde Claudio Loreto, 9 ottobre 2014 alle 15.26: “Fabio, ancora - e sempre - grazie mille per il tuo apporto durante il Genova-Roma! Claudio”. Risponde Fabio Annigoni, 9 ottobre 2014 alle 20.58:

Sergio Morana, 9 ottobre 2014 alle 22.39: “Bravi Claudio, Stefano e tutti… adesso però non montatevi la testa, La Mura tanto non vi convoca e certe pazzie, dopo i 50, è meglio no ripeterle troppo spesso! ”. Risponde Claudio Loreto, 9 ottobre 2014 alle 23.26: “Piacere di risentirti, Sergio!”.


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