L'ala e il fango

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COLLETTIVO ARTISTICO “MENTI COLORATE”

L’ALA E IL FANGO raccolta di poesie e fogli sparsi Claudio Landi – Cristian Mezzo – Salvatore Valente – Quisilio Miraglia


CLAUDIO LANDI – O011551

RING è il momento in cui le suole incontrano il mondo consumandosi a ritmo di passo il diavolo sa dove nascondere la bellezza audace del mondo un raggio un missile un fiore il bastone mancherà sempre l’animo evapora sangue nero e tutto ritorna all’origine insegnando la strada sbagliata sempre la stessa immutata. Fingendo di dormire tramiamo vendetta, occhi semichiusi a immaginare vie diverse dove tornare a consumare le suole del sogno a piedi nudi, come dei.

UMANO passi incerti nel buio di scale dormienti vellutate nel profumo inconfondibile di una notte sveglia stesa come manto sul lupo a cui poco importa se il sole sorgerà alle 7.10 e su quale latitudine si estende il suo ululato e sulla campagna che soffre dell’asfalto che la copre 1


col suo peso umano con atroce prepotenza -resteremo sempre degli abusiviin ogni nostra opera e le nostre dita potenti invocheranno i giganti della distruzione ogni istante per consegnarci fieri all’estasi del dominio nessun satellite saprà mai se la terra soffre punzecchiata da fastidiosi tacchi a spillo di bambole biondorosa come g o c c e c i n e s i sulla fronte del mondo e tutti noi costretti a queste scale mobili sovraffollate come se non bastasse I L T U T T O come eterni insoddisfatti avanzeremo comunque anche se immobili trainati da morali e umane aspirazioni per poi ritrovarci ad attendere l’alba guardando verso ovest. <——-|=========*<–

PAN vorrei tuffarmi nel tuo mare pescatore per provare il tuo immenso sapere cospargere della tua terra contadino

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il mio volto profano per carezzare la vita sfiorarti con una mano pagina e rubare ogni parola soddisfando questa sete amare ogni corpo baciare ogni labbra per gusto di amori senza volto entrare nel tuo sguardo morente per capire cosa si prova mentre si spira parlare ogni lingua vestire ogni abito mutare ogni pelle e sentirmi realmente umano vorrei vedere il mondo con occhi di madre e andarmene sazio dopo aver capito tutto

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CRISTIAN MEZZO – O011552

IL DECLINO ANTICIPATO DELLA MEZZA ETÀ Trappola, ennesima truffa. Che tutto l'universo sia un gioco di ologrammi di alcuni dei burloni? Che il sangue di Elea ce lo disse, che noi non ci credemmo. L'ultima promessa non mantenuta riguarda gli anni della potenza. Ci avevano spiegato il tempo, consuetudine. Ci avevano insegnato ad amare i pranzi di natale, le uova di pasqua dello zio importante. Ci avevano nascosto che la madre ruba i parenti, che annulla progenie agnatizia. Erano gli anni del finto intellettualismo, della pretesa di eternità, gli anni in cui i capelli erano lì, per forza, fino ai 30, almeno. Erano le giornate di sole in cui la campanella delle 13 era la libertà dell'erba, poi la libertà divenne prigione di un divano rosso. Nei pomeriggio il vecchio Hank ci prendeva le labbra e la lingua e i testicoli per le sue emozioni trasudanti. C'era chi ipotizzava, chi non voleva capire e chi faceva finta. Era proprio quel tempo: in cui la virilità si misurava in centimetri, ragione per cui le proprie ex fiamme non dovevano andare con i conoscenti. Evitavamo i confronti, evitavamo di non pensare alla moneta. Il delirio anticipato della mezza età ci raggiunse senza sosta. Il sole batteva su una lastra di marmo che copriva un forno, una volta accompagnato dalla voce della madre della madre. Nel ticchettio dell'orologio di oggi, quella voce fantasma si ripete solo nella mente. E il sangue, e le ginocchia e la bici sotto il trattore, il fieno, l'arco di legno, la tenda coda di cane puzzo di piscio di gatto. L'uovo viene a mancare gli dei scherzano ancora, e viene meno anche la promessa dei 30. Non c'è nemmeno Lei che incarna il sommo. La mezza età è a 20 anni, forse a 40 si muore, i denti si fanno più gialli. La mezza età è a 15, forse a 30 si muore. Ha smesso anche il fumo di entrare. La mezza età è a 10, forse, sono già morto.

LA GONNA CHE SAPEVA DI ETERNO (IL PUNTO VUOTO) Sono un incosciente, ma intendo l'incoscienza in maniera diversa. Incosciente, perché non ho ancora preso atto di quel fenomeno mostruoso che è il TEMPO. Ateo, mi chiedo se mai decida beffardo, oppure è esso stesso suo schiavo. Mentre scrivo, io ho sempre l'istinto di correre, come se il tempo mi pressasse, come se avessi paura di non fare in tempo ad esprimere un pensiero o una emozione. Tutto scorre così nel mio giro, tutto con paure, tutto con sforzo di mascherarla. MI confesso allora, veloce, che qualcuno possa sentire: Odio il rumore dei 4


bicchieri e dei piatti lavati in cucina al silenzio, sono il ricordo del momento più triste, dei pranzi che non torneranno più. Se vogliamo, possiamo paragonarli alla nostra vita: I pranzi ci insegnano quel senso di vuoto, che mangia, ininterrottamente. I profumi poi, tutti ne abbiamo di tipici. Basta odorare, profondamente, una fragranza di vaniglia, di cioccolato, ma anche di banana, di benzina, di casa, di spaghetti, di cesso o vomito per un amico, o di vagina per quella volta che il cuore proprio non ce lo hai messo. Di patatine fritte, oppure di detersivo mentre tiravi giù una gonna che sapeva di eterno. Già, ETERNO, questo è il concetto che ci ha stuprati. Magari ce lo avessero spiegato prima che le facce prima o poi si dissolvono, e le mani grandi smetteranno di proteggere le paure di bimbo. Le ginocchia sbucciate erano solo dolci solletichi si una memoria ormai aliena. Strano eh?, ma se chiudi gli occhi, quasi ti risenti... Allunghi anche le mani... E poi ci piangi... E poi sai che non serve. Passo le giornate osservando un punto vuoto, il resto del tempo, lo passo ad odiare il mondo. Anche questo passerà. La vita è fatta di dimenticanze. La gonna passerà, con il sangue alle ginocchia, passerà il fastidio del preservativo, la stempiatura del tuo amico. Passerà la paura di ingrassare e il piacere delle dita nelle rughe che sanno di storia, che anche se non l'ahi vissuta, senti che un po' ti appartiene. Passerà la voglia di un oggetto, e anche quella pioggia che sa di febbre. Tu non ci sarai più, e parlerò di te in un bar, e tu di me, forse, o forse non neanche mi ricorderai. Non abbiamo esattamente una vita, o almeno, non io. Sono un osservatore, sono nato così: Il sorriso che serve, il culo neanche a parlarne, e le mutande, beh quelle proprio non le ho mai avute. L'immortalità di questi fantasmi che siamo, si vedranno attraverso le pagine, chissà perché, con tanta importanza. Persisterà l'odio: avuto, ricevuto, rimandato, sbagliato. Persisterà l'incertezza su quanto sia giusto restare spettatori e se quella persona ha davvero capito che cosa avevi dentro. Ci accontenteremo dei sì: dei miei, dei tuoi, dei suoi, e di tutti quelli che per qualche motivo hanno avuto voglia di imparare il tuo nome. Parlerà di te chi ti ha sopravalutato, chi ti ha infangato, io, per la mia, ormai rimando sorrisi. Molti entrano in gioco: bene, male, così così, e l'alcool non era la soluzione, ma neanche il problema. L'amore non era la risposta ma neanche la domanda. Era per mia madre, mio padre, i miei fratelli che davvero ho chiuso gli occhi, che le lacrime erano davvero salate. Era per me, per questa realtà tutta mia, ché i denti li ho fatti neri. Allora qui, ci resto ancora, e davvero, sto fissando un punto vuoto, e il resto del tempo? Bah, non sono più sicuro di passarlo ad odiare il mondo.

STASERA VORREI SCRIVERE MA NON HO LA PENNA Stasera vorrei scrivere ,ma non ho la penna. Ah! Ma se l'avessi, ne avrei di dire di cose! Ma la penna, eh, quella non c'è. A che serve la penna? È il demiurgo? Il passaggio dal mondo delle idee a quello reale? Il Gesù Cristo dello spirito? Ah! La penna, segna il confine , delimita i limiti, disegna volti e culi e fiche... Se con la penna metto una croce qui o lì, magari diventi medico, o ti danno la patente. Sì! Ma ci vuole la penna. A parlare, eh, quello siam bravi tutti, ma la penna, o la sai usare, oppure no. Basta, pensa un po', che con la penna scrivi su un foglio ” Avv. Giorgio Lo Becco” e quello improvvisamente, può parlate di te per te, con un giudice, e tu non puoi. Beh, così però, hai usato male la penna. Con la penna metti Nome e Cognome e hai investito 200.000 euro in mattoni e cemento e sperma fresco per lenzuola nuove. Con la penna, solo con la penna! Eh, anche stavolta, hai usato male la penna. Con la penna puoi scrivere ad un amico, ah, così sì che la usi bene la penna, peccato che lui si copi tua moglie durante le vacanze, e così, anche stavolta, hai usato male la penna. Sulla carta d'identità, con 5


una penna, hai firmato per questa Repubblica. Cazzo! Anche stavolta, inevitabilmente, hai usato male la penna. Anni fa, vinsi una corsa. Era tutto umido lì dentro. Agguerriti, tutti. Non è che sapessimo bene dove stessimo andando, ma si voleva vincere. Arrivò primo un tipo atletico, occhio io vispo, sveglio. Disse: “Ragazzi, ho vinto io, tocca a me, è la mia opportunità”. Si avvio verso la grande porta. Poi si fermò, ci ripensò e disse: “Ragazzi, lascio il biglietto a voi, lo faccio per pura bontà”. Io non sono mai stato un tipo furbo, figurarsi agli albori. Nessuno lo voleva quel cazzo di biglietto. Poi mi convinsero, mi fecero passare tra le mani una penna di argento, molto poco lavorata, che bella! La feci scorrere tra le dita, e non pensai più lucidamente. Così mi fecero firmare, e firmai per un mentre e settanta circa, firmai per calvizie incombenti alla maggiore età, firmai per una estetica insignificante(anche quella filosofica), lingua troppo mobile, occhi che ridono. Firmai per un carattere strano, firmai per la tristezza, la malinconia e le perversioni, Firmai per le lacrime, per le delusioni ingiustamente date, giustamente restituite. Firmai. E fu il primo modo che ebbi, di usare male la penna. Stasera vorrei scrivere, ma non ho la penna. Ah! Se l'avessi avuta!

CHE MONDO INFAFFARATO Rotolano come biglie che si imbattono in una parete di vetro, i miei occhi non sanno dove andare, non sanno come andare. Questo velo di mistero mi sussurra punti interrogativi che non interrogo. E' un gioioso grido di una primula distrutta dalla rugiada, questa è la mia voce. C'è un fracasso di pensieri che si adopera in assoli senza pubblico. C'è un filo d'erba, appeso alla terra, aggrappato all'acqua, non respira, si sradica il colore, piange, non è rugiada. Come è nero il sole stanotte, c'è una luna distratta; le urlo, ma non si gira. C'è un passero che uccide l'acqua con i piedi, non mi degna di uno sguardo, che mondo indaffarato.

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SALVATORE VALENTE - O011553

VASAME ANCORA

BACIAMI ANCORA (traduzione)

Vasame n’ata vota na vota sola, chianu chiane vasame n’ata vota nun me scaccià, ferma ‘sti mmane

Baciami un’altra volta soltanto un’altra volta, piano baciami un’altra volta non scacciarmi via, ferma queste mani

Astregneme forte, nun me lassà famme scurdà ca nun sì ‘a mija famme credere ca chesta è ‘a verità e ch’è sulo ‘na buciarda ‘sta poesia

stringimi forte, non lasciarmi fammi dimenticare che non sei mia fammi credere che questa è la verità e che è solo una bugiarda questa poesia

N’atu vaso ancora, che te costa? N’atu vaso sulo e niente cchiù n’atu vaso ancora, capa tosta! ‘o saccio che ‘o vulisse pure tu.

Un altro bacio ancora, che ti costa? Un altro bacio soltanto e nulla più Un altro bacio ancora, testarda! So che lo vorresti anche tu.

MOTO PERPETUO Quando l’ultima rima sarà scritta l’ultima pagina bianca riempita Quando l’ultima poesia sarà finita e tu, Musa e critica, l’avrai letta Quando l’ultima canzone t’avrò cantata e avrò distrutto la chitarra su un mobile di legno Quando l’ultimo complimento per te andrà a segno e tu mi guarderai confusa e imbarazzata Quando prenderemo l’ultimo caffè insieme Quando ci guarderemo gli occhi l’ultima volta Quando ti darò l’ultima rosa per te colta e tu la getterai via come letame Quando ascolterò l’ultimo tuo lamento per l’ultimo tentativo di starti vicino Quando l’ultima speranza annegherò nel vino comincerò daccapo ad essere il tuo tormento.

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L’INCARNAZIONE DELL’AMANTE Lasciami guardare Disgustato dall’infamia Il tuo corpo imperfetto Mentre dormi con lui Lasciami ascoltare Annoiato dalla vita Il ritmo del tuo alito Che riscalda il suo volto Lasciami godere Deriso dalla sorte Dell’istante in cui voi Vi svegliate affamati Lasciami soffrire Lo incarno per amarti Lui diletta il corpo Io consumo l’anima Disgustato dall’infamia Annoiato dalla vita Deriso dalla sorte Lo incarno per amarti

TESTAMENTO PER IL MIO VENTICINQUESIMO COMPLEANNO Scrivo queste poche righe per affidare qualcosa a chi si è trovato a passare nella mia vita anche solo per qualche momento, bello o brutto, giusto o sbagliato che sia stato. Trattate bene quello che vi lascio in eredità. Ai miei familiari non lascio niente, visto che le cose che materialmente mi appartengono e che potrebbero essere interessanti per loro, tecnicamente sono già di loro proprietà. Ai miei amici non lascio niente, perché gli lascerei dei compiti da portare a termine o dei consigli più o meno utili, ma mi hanno già sopportato abbastanza, quindi non voglio infastidirli ancora. Alle persone che ho amato non lascio niente, perché ho già cercato di dargli tutto ciò che potevo. Alle persone che mi hanno odiato non lascio niente, perché un mio ricordo potrebbe disturbarli. Al mio taccuino non lascio niente, perché ha già assorbito, tramite l’inchiostro di diverse penne, tutti i miei pensieri. Alle mie chitarre non lascio niente, perché ho già sacrificato qualche polpastrello per loro. Alle “passanti”, che in un modo o nell’altro hanno fatto parte della mia vita, non lascio niente, 8


perché mi hanno già spremuto fino all’osso. A chi mi ha giudicato superficialmente non lascio niente, perché sarà già passato al prossimo bersaglio e probabilmente nemmeno si ricorderà di me. A chi mi ha offerto da bere, ai baristi, a chi ha provveduto a mantenere vive le mie ubriacature non lascio niente, perché quello che avevo dentro gliel’ho già vomitato davanti diverse volte. Ai politici non lascio niente, hanno sempre a disposizione i fondi della Comunità Europea, nel caso. Ai credenti di tutte le religioni non lascio niente, perché c’è un dio che provvede a tutto. Agli pseudo musicisti, scrittori, pittori e artisti in generale non lascio niente, perché il loro ego è già abbastanza ingombrante. Ai pazzi e ai sognatori non lascio niente, perché nel loro mondo non servirebbe. Ai razzisti e agli omofobi non lascio niente, perché ho già assoldato un negrone per sodomizzarli. Ai pudici bigotti non lascio niente, perché ho sempre avuto le mani sull’uccello e quindi tutto ciò che tocco è impuro. Ai miei professori non lascio niente, anche se qualche bestemmia pesante gliela lascerei volentieri, ma non voglio dargli questa soddisfazione. Al mio pesciolino rosso non lascio niente, perché non mi ha mai rivolto la parola. A Fabio Volo non lascio niente, a Fabio Volo non lascio niente. A Bernard Aubertin non lascio niente, perché lo brucerebbe. A Te non lascio niente, perché ho provato a darti qualcosa, ma tu hai rifiutato. A Me non lascio niente, perché ho voglia di cominciare da zero. Ancora. P.S.: Dubito che riuscirete a trovare un organo in condizioni decenti, grazie alla mia incessante opera di auto-devastazione che ho portato avanti brillantemente in questi anni, ma se dovesse capitare, sentitevi liberi di cedere l’organo in questione a Bear Grylls.

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QUISILIO MIRAGLIA - O011554

VIOLENZA un colpo di rivoltella che mi sfonda il cranio lasciandomi naufragare in un lago di sangue (bang!) non sarebbe affatto violenza violenza è primordiale istinto alla vita è ciò che blocca le dita quando stai per premere il grilletto violenza è parole impronunciabili che rimbombano nella grancassa del cervello violenza è centri di recupero e siringhe urla sorde da bocche cucite con cotone di paura è igiene mentale violenza è anima scaraventata contro muri d’ arrendevolezza che resta intatta violenza è capitalismo videoleso catene fabbricate con l’avorio delle tue zanne violenza è orgoglio e spregevolezza e piscio in pantaloni ubriachi violenza è fogli bianchi e blues incalzante patta abbassata e folle di guardoni è amore corrisposto violenza è vomito di fame fumo di sigaro che striscia su pareti di stanze con finestre serrate

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violenza sono io che lecco ferite con lingua arida sullo stesso campo di battaglia o tu che continui a dormire girata dall’altro lato.

SOSPESI TRA IL TUTTO E IL NIENTE sospesi, tra il tutto e il niente tra l’oggi e l’eterno, tra libertà e sbarre anatomiche profeti e tiranni, santi e maniaci mistificatori di sterco, insoddisfatti, trasciniamo annichiliti grigi mucchi d’ossa dentro vecchie giacche nuove, per strade raggrinzite dentro ai manicomi d’asfalto dove la noia s’insinua e uccide veloce nell’aridità meridiana, brancoliamo ciechi sui marciapiedi dell’inconsistenza con tasche gravide di chimere intonando nenie per i nostri carnefici, sotto forma di lamento elegie afone nevrotiche sussultanti in attesa del miracolo dell’oro, inseguiamo glorie bene addomesticate sogni riciclati ambizioni usate consegnate alla vetrina del genere umano, vuota di tutto fuorché del quotidiano imbroglio; sospesi, tra il tutto e il niente tra sacro e psicopatia, cattedrali e banche tra la vita che sta giù come un animale e la morte che digrigna i denti di piombo e di fumo in una sonora risata mentre il cielo si colora d’arancio ore ed ore ed ore fondono nell’antica teoria degli amori e la catena alimentare svolge il suo corso; nasce un nuovo silenzio: un altro capitolo è pronto per essere scritto.

INSONNIA (CI SON NOTTI CHE…) ci son notti che si dovrebbe scrivere solo quello che ti passa nella schiena fissando Cristo appeso sulla piazza del mercato in attesa d’un nonnulla come un cane da pagliaio 11


notti che la vita è un mestiere da veri professionisti e la strada sta lì a ricordartelo ma però un’ultima canzone ti è concessa e ci son notti che tua madre si sbaglia e il collo della camicia non è abbastanza sporco e il vecchio cappotto non è abbastanza vecchio o almeno sei ancora in piedi ci son notti che ti incontri nell’ultimo bar ed esci senza rivolgerti la parola ché non si sa mai notti che la notte è solo notte e non importa chi c’è dall’altro lato del cuscino purché sanguini una volta al mese perché ci son notti che spaccare bottiglie sul ciglio duro della vita non allontana l’odore della fossa e altre in cui ai vermi ci andresti proprio di gusto.

IL TEDIO IN RIMA è solo un altro fiacco giorno e mentre le ore giocano a dama con la morte mentre scortecciamo la realtà con unghie ritorte cieli radioattivi ci fanno da contorno solo un altro fiacco giorno e mentre scaglie di vita ci trapassano come strali cerchiamo ossessivamente la folla intorno nel terrore ipocrita di silenzi maniacali solo un altro fiacco giorno, ecco la verità e mentre un attacco nucleare diventa bio-etico e la tua schiena pallida ormai è un panorama scheletrico sodomizzo in rima la relatività è un millennio di giorni fiacchi, ecco la verità dove tremo e insieme brucio al sole e con me le parole, nell’inferno della nostra banalità.

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INDICE:

CLAUDIO LANDI RING………………………………………….……………………………………………………………...1 UMANO………………………………………………............................................................................1 PAN…………………………………………………………………………………………………………..2

CRISTIAN MEZZO IL DECLINO ANTICIPATO DELLA MEZZA ETÀ……………………………………………………4 LA GONNA CHE SAPEVA DI ETERNO (IL PUNTO VUOTO)…………………………………….4 STASERA VORREI SCRIVERE MA NON HO LA PENNA…………………………………………5 CHE MONDO INDAFFARATO…………………………………………………………………………..6

SALVATORE VALENTE VASAME ANCORA…………………………………………………………………………………………7 MOTO PERPETUO…………………………………………………………………………………………7 L’INCARNAZIONE DELL’AMANTE……………………………………………………………………8 TESTAMENTO PER IL MIO VENTICINQUESIMO COMPLEANNO……………………………8

QUISILIO MIRAGLIA VIOLENZA…………………………………………………………………………………………………10 SOSPESI TRA IL TUTTO E IL NIENTE……………………………………………………………...11 INSONNIA (CI SON NOTTI CHE…)…………………………………………………………………..11 IL TEDIO IN RIMA……………………………………………………………………………………….12

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In alto a sinistra, in senso orario: Claudio Landi/Quisilio Miraglia/Cristian Mezzo/Salvatore Valente

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