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nº. 4 del 2016 - Anno 29

Direct Marketing 1u Marketing Comunicazione d’impresa

direttore Ugo Canonici

DM & Comunicazione Organo d’informazione del Club C3

&

Comunicazione

Caro Babbo Natale Marketing

C’è ancora chi vuol fare il venditore?

Comunicazione Business & Cultura

Pensiero Libero

A.S.C.O.L.T.O. - step1




Divisione Servizi di Cleis s.r.l. Via L. Spallanzani 10 - 20129 Milano Tel. +39 02 7422.2238 Fax +39 02 7422.2243 aldo.provasi@cleis.it - www.feelgoodsecurity.it

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Le uscite di dm&c

Sommario

• n.1 marzo • n.2 giugno • n.3 settembre • n.4 dicembre

Anno 29 - no 4 del 2016

EDITORIALE 6 S.P.Q.R. di Ugo Canonici

COMUNICAZIONE 14 Il business incontra l’arte e la ricerca di Maria Grazia De Angelis 16 Caro Babbo Natale di Elena Muoio

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MARKETING 8 TM: Italiani e Europei a confronto di Maurizio Quarta 10 C’è ancora chi vuol fare il venditore? di Bruno Calchera

CREATIVITÀ & INNOVAZIONE 20 Stampe “confezionate” di Sarah Canonici

La BUONA COMUNICAZIONE

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22 Comunicare la Sostenibilità di U.C.

COMUNICAZIONE CON I CANi 24 A spasso con lui di Davide Canonici

RUBRICHE 25 Informalibri 26 Club dell’Osso

PENSIERO LIBERO

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30 A.S.C.O.L.T.O. Step 1 di Alessandro Lucchini

I temi trattati Direct Marketing una strategia di marketing che utilizza la comunicazione, con strumenti interattivi, verso un pubblico mirato per ottenere risposte misurabili

Marketing tutte le attività che vengono svolte per giungere alla vendita dei prodotti/servizi offerti (dalla ricerca, alle indagini di mercato, alla post vendita)

Comunicazione d’Impresa utilizza in modo integrato gli strumenti della comunicazione per far conoscere al mercato l’offerta e determinarne il posizionamento

I partner di questo numero: • Cleis • Excelsior Palace Hotel • Feel Good Security

• Bubba Music • CSR Oggi . Compart • Cleis

• Orava Travel • dmcmagazine • ABuzz Supreme


Editoriale

Ugo Canonici

S.P.Q.R.

ugo_canonici@cleis.it

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Ultimamente si è fatto molto parlare di Roma per cui mi sembra che nel titolo ci stia particolarmente bene il famoso S.P.Q.R. che l’ha sempre contraddistinta e che ancora oggi si vede nel vessillo cittadino insieme con la lupa. Però io non voglio parlarvi di Roma ma l’acronimo è frutto dall’utilizzo delle iniziali di quattro parole che mi sembra ben caratterizzino il modo di lavorare di questo periodo, sia a Roma sia nel resto del Paese. La prima parola è SERVIZIO. Forse perché il termine “servizio” ha assunto una connotazione negativa nel retropensiero inconscio dei più (essere servo, essere al servizio di un padrone) sembra che quella che era la prima e più importante preoccupazione del rapporto col cliente, oggi è particolarmente poco frequentata. L’attenzione, specie in questo periodo di “vacche magre”, è tutta tesa a procurarsi nuovi clienti, a battere nuove strade, a provare a pascolare nei campi di altri. E si trascura chi ha già siglato un contratto con noi. A me avevano insegnato che una fase molto importante era quella della “postvendita”. Cioè una volta che ho portato a casa un “si” è cosa e buona e giusta, ma soprattutto utile, cercare di tenere un buon feeling con chi ha creduto in noi (sempre che noi non abbiamo avuto la pessima idea di rifilargli una fregatura!). Perché è certo più facile ottenere un secondo si che non andarne a cercare uno nuovo. Eppure la realtà ci presenta comportamenti che si collocano nella fase del “sotto i freschi”. C’è chi, soprattutto nelle grandi aziende, che sa quanto importante sia tenere un buon rapporto col cliente, aiutarlo quando ha bisogno, ri-convincerlo che ha fatto bene a venire con noi. Ma, visto che non è il periodo giusto per assumere persone nuove, che il tempo prezioso del venditore va impegnato, appunto, nel fare nuovi clienti, tante aziende si sono inventate il call center. E lo chiamano pomposamente “Servizio Cortesia”. Su questo ho già scritto molto anche nel recente passato, intitolando un editoriale “Maledetti, lo avete ammazzato”, versando lacrime sul fatto che un ottimo strumento come il telefono, se male usato produce solo danni. Non volendo sparare sulla Croce Rossa non aggiungo altro. Se non un invito a tutti coloro che sono nel business: “abbiate cura di chi è già vostro cliente. E’ molto più facile far crescere lui che non cercare (e trovare) il nuovo”. La seconda parola è: PAGAMENTI. Un collega mi diceva “ma quanto è diventato difficile vendere!”. E’ vero. Ma io


ho subito aggiunto “ma quanto è difficile farsi pagare”. Chissà perché qualcuno ha cominciato a ritenere che i lavori richiesti ed eseguiti (bene) non valesse la pena pagarli. E la cosa è diventata “virale”, come dicono quelli che sono alla moda. “Il denaro non circola più”, “è un momento difficile”, “sa, la burocrazia”, “abbia pazienza”, “mi richiami la prossima settimana” ….. Potrei riempire una pagina intera di risposte che tanti di noi hanno ben imparato. E poi, coloro che dovrebbe dare l’esempio di correttezza, gli enti pubblici, è meglio non tirarli neanche in ballo. Eppure se si fa un lavoro è perché si è preparata una presentazione, una trattativa che spesso è “all’ultimo sangue”, si è firmato un contratto. E nel contratto ci sono stabilite anche le regole e i tempi dei pagamenti. Tutto il resto è rimasto come una volta (a parte la trattativa che si è incarognita sempre di più) e viene rispettato. L’ultima parte, i pagamenti, no. Il che innesca una serie di problemi che si propagano a cascata e che mandano il tutto a ramengo. Capisco che questo è tutta manna per gli avvocati ma non mi sembra bello che solo una categoria possa compiacersi. Terza parola: QUALITA’. Io lo so che così dicendo faccio la parte dell’anziano che non sa far altro che ripetere “ai miei tempi!”. Ma non so in quale altro modo dire che sto osservando come la qualità del lavoro, in molti casi, sia degradata e precipiti sempre di più. Tanto che quando trovi qualcuno che opera bene ti senti in dovere di ringraziarlo con enfasi ed entusiasmo. Almeno io faccio così. Evidentemente tra i tanti valori che prima si ritenevano importanti anche la “qualità” è uscita dalla hit parade. Mi sentirei di fare molti esempi per suffragare questa affermazione. Ma credo che ciascuno dei lettori possa trovare una lunga e vasta carrellata nel proprio vissuto. Ed ecco la quarta parola: RICONOSCENZA. (Qui ci sarebbe stata bene un’altra parola: fedeltà. Ma con questa non sarei riuscito a giustificare il titolo di questo editoriale... Ritengo che vada bene anche riconoscenza. Che per me vuol dire che , se ho lavorato bene con un cliente, anche facendo quel qualcosa di più che ha saputo trasformare una cosa di routine in un successo, mi aspetto che per il prossimo lavoro sarò ancora coinvolto. Conosco persone che oggi strizzano i loro preventivi sino al grottesco pensando di rifarsi con la “seconda chiamata”. Calma ragazzi. Non è così. E non è giusto. Il lavoro va pagato per quel che vale e va riproposto, le volte successive, con la stessa professionalità. Attenzione, qui non si parla di clientelismo o di bandi truccati, o di legami incestuosi. E’ naturale attendersi che, se hai dato una buona (o eccellente) dimostrazione del tuo operare, tu possa pensare di essere chiamato a giocare un’altra partita. Ecco, così con Servizio, Pagamenti, Qualità e Riconoscenza riesco ad ottenere l’acronimo S.P.Q.R. del titolo. Si, forse è un po’ tirato. Forse vi sareste aspettati che il mio “grido di dolore” per il mutato modo di lavorare nel quotidiano di oggi, sarebbe sfociato in una serie di suggerimenti di come fare per migliorare la situazione. Esagerati !

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Marketing Maurizio Quarta

Che il mercato italiano del Temporary Management sia ancora un po’ più indietro rispetto ai paesi europei più evoluti è un fatto riconosciuto da aziende e professionisti Una recente indagine internazionale ci permette utili considerazioni

TM: Italiani e Europei a confronto

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Sia le aziende che i manager, con finalità ovviamente diverse, ci rivolgono spesso domande per capire la figura del temporary manager (di seguito TMan), il suo profilo e le sue modalità operative. Lo spunto per una risposta approfondita viene dalla presentazione dei risultati di un’indagine internazionale condotta da SMW (Senior Management Worldwide). Si tratta di uno dei gruppi più anziani (nato nel 2004) e a maggiore copertura internazionale (16 partner attivi in 17 paesi, oltre a progetti gestiti in oltre 40 paesi nel mondo), con un bacino potenziale di oltre 50.000 manager. Oltre a rispondere alle domande di cui sopra, l’indagine consente ai manager italiani di confrontarsi con le realtà europee più avanzate e fornisce a coloro che intendono avvicinarsi alla professione degli utili parametri di riferimento L’indagine è stata condotta su una popolazione di oltre 13.000 manager in 12 paesi (11 europei più la Cina): il totale dei rispondenti è stato di 1.243, cui l’Italia ha contribuito con le risposte di 152 TMan su un totale di circa 800 manager contattati (una

delle redemption in assoluto più alte). Qual è il profilo generale medio del TMan? L’indagine ci parla di manager di circa 53 anni, con almeno tre anni di esperienza come TMan, impegnati per circa 200 giorni all’anno (il 66% della popolazione occupato su un progetto al momento della rilevazione), il 55% in ruoli C-level. Evidenze comparate più significative Età e genere. Si suol dire che il TM è una professione per over 50: l’indagine conferma in pieno questo fatto, con il 74.8% del campione è costituito da over 50, cui l’Italia si allinea con il suo 78%. Il TM sembra però essere ovunque un mestiere per soli uomini: infatti, a livello globale, la percentuale rosa è pari al 14%, con l’Italia in retroguardia con un misero 8%, cui fanno da contraltare la Gran Bretagna, la Cina e la Polonia che si avvicinano al 30%. L’esperienza L’Italia è ancora un paese giovane:


appartiene infatti alla fascia dei paesi in cui una grossa percentuale di manager si colloca in fase di avvio nella professione. Infatti, ben il 59% degli italiani ha un’esperienza come TMan inferiore ai 4 anni (contro il 33% del campione totale), e solo il 22% oltre i dieci anni, a differenza di paesi più evoluti dove le proporzioni sono esattamente opposte (UK, Belgio). Una misura del successo personale come TMan è certamente il tasso di occupazione, ovvero dei giorni lavorati su base annua. In Italia, la metà dei rispondenti è stata impegnata per meno di 100 giorni nell’anno precedente l’indagine, a fronte di quote molto elevate oltre i 200 giorni in UK, Belgio e Germania.

• Sia per quanto riguarda la tipologia di incarichi a livello più generale: 52% a livello di board (il dato include i CFO), 24% come manager di linea, 24% a livello di NED. Scendendo ulteriormente nel dettaglio, illustra le macro area di competenza, senza grandi difformità rispetto ai dati internazionali.

Percezione del mercato

Gli italiani paiono lavorare mediamente su progetti più lunghi: i progetti minori di 6 mesi sono oltre il 29% sull’internazionale contro meno del 25% italiano; i progetti superiori ai 9 mesi sono circa il 47% a livello internazionale contro il 65% italiano. La conferma indiretta viene anche dal dato relativo al numero di incarichi degli ultimi tre anni per cui gli italiani hanno lavorato su 1-2 progetti nel 62% dei casi contro il 53% del campione complessivo. Il peso del part time è maggiore in Italia (33%) rispetto all’estero (25%).

Il proprio mercato “personale” è visto stabile/in crescita dal 75% del campione complessivo, mentre i manager italiani sono fermi al 62%. Migliore la visione sui 12 mesi, ove l’Italia è al 70% contro il 76% del campione totale. Interessante il dato sui compensi: mentre solo il 18% del campione riscontra una diminuzione dei compensi, per l’Italia questo valore sale al 35%. Possibile, seppur parziale, spiegazione: il gran numero di manager in cerca di lavoro presenti sul mercato e che tendono ad abbassare i compensi per rientrare nel mercato del lavoro. Tipologia di ruoli ricoperti e di aziende clienti I manager italiani sono allineati quasi perfettamente con i colleghi esteri: • Sia per quanto riguarda gli incarichi a livello di board: componente esecutivo (37%), Presidente (15%), Advisory/supervisory role (34%)

Come era lecito attendersi a priori, il peso delle PMI è molto rilevante (vedi grafico). Va rimarcata la sensibile differenza di peso delle aziende sopra i 200 milioni: l’Italia, con il suo 18%, è ben lontana dagli altri grandi paesi europei (Germania, Svizzera e Belgio ben oltre il 35%, ma anche Francia e UK oltre il 27%). Durata dei progetti

Compensi attesi Gli italiani hanno compensi mediamente più bassi dei colleghi stranieri: oltre il 42% degli intervistati si trova nella fascia di compensi più bassa (600-800 euro/giorno), mentre la percentuale negli altri paesi è decisamente sotto il 30%. Addirittura, oltre il 50% di svizzeri e tedeschi si colloca nelle fasce di compensi sopra i 1.200 euro.

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Marketing Bruno Calchera

In fondo tutti potrebbero diventare dei buoni “commerciali”, solo se lo volessero e si impegnassero, da subito, a capire che cosa significa esserlo Un settore di lavoro che potrebbe offrire buone opportunità

C’e ancora chi vuol fare il venditore? E’ una domanda che si pone ogni imprenditore alle prese con prodotti da vendere, ogni negoziante che ha fatto una nuova vetrina e aspetta il pubblico. E poi ci sono quelli che hanno steso le strategie di marketing, posizionando prodotti, clusterizzando il territori, i ricercatori dei potenziali clienti da visitare, e strategie di comunicazioni dispendiose, gadget, eventi, occasioni di incontro: tutti a tavolino hanno preparato un piatto coi fiocchi e mancano i venditori capaci. Ma i venditori ci sono ancora? Passeggiando per il web si incontrano venditori/formatori che si ripromettono di rivoltare l’area commerciale di qualunque azienda per trasformarla in una brigata di venditori iper-motivati attraverso formazioni da marines, con aggressività da killer, cipiglio arrogante, cacciatori di risultatati ad ogni costo! Le cose stanno così?

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La stragrande maggioranza dei giovani rifiuta la professione del venditore: chi la imbocca sono coloro che hanno “fallito” tutte le altre? I pochi che “sentono in se stessi il demone della vendita” sono rarissi-

mi. E forse non sono trai i più flessibili intellettualmente. Nei colloqui di lavoro risultano i migliori venditori quelli che hanno superato i 50 anni d’età. Infatti si tratta di operare in un contesto aziendale, con regole da rispettare, con la necessità di indossare la divisa della società e non la propria, devono eccellere utilizzando parole strumenti che vengono dati, interpretando al meglio il compito dato. I giovani venditori faticano a usare parole semplici, a scrivere una lettera commerciale ed infine al telefono si comportano come quei “poveracci” del Call Center costretti a leggere uno “Script,” la cui natura esula dalle poche informazione che sua maestà il PC fornisce loro. Una merce rarissima Ripetono, non interpretano. Il bravo venditore è merce rarissima. L’attività commerciale è spesso tutta appoggiata alla comunicazione che deve svolgere anche il compito di convincere, spingere fortemente il cliente a comprare. Comunicazione per vendere! Normalmente occorre un venditore vero.


Tra i giovani è una figura professionale assente. Nelle università, in nessuna, viene insegnata la “Tecnica di vendita” come se l’argomento fosse di così basso profilo da non meritare una menzione di un corso bimestrale. Si insegna organizzazione, contabilità, marketing, comunicazione, gestione delle risorse umane, ma mai la vendita. Perche? Figure importanti Eppurei “Commerciali” sono figure importanti e prevedono una vera e propria capacità di vendita professionale, di conduzione di agenti e venditori, di persone preparate. Nelle aziende arrivano giovani che hanno letto l’inserzione “cerchiamo venditori” più per entrare nel mondo del lavoro, seduti alla scrivania con un bel PC, che per desiderio di conoscere prodotti e con una spinta all’incontro diretto con il cliente. Non si tratta di persone che non vogliono lavorare, solo che vendere non è il loro primo pensiero, e stando in ufficio cercano di incrementare la preparazione alla vendita e stentano a decidere di scendere nell’arena. Un tempo si vendevano anche enciclopedie per la strada, un terreno difficile, e qualcuno con successo. E vendere al telefono, era una vera tecnica, oggi è quasi scomparsa per diventare un “disturbo”. Oggi sarebbe una professione molto remunerativa, visto il deserto di risorse umane, ma pochi si avventurano. Vince la paura Un altro dato che emerge oggi - ed è insuperabile! - è la paura di vendere. La paura del dialogo con “l’altro”, la paura di fare una telefonata a freddo, presentarsi e paura di argomentare, di dialogare con un estraneo. La paura è anche difficoltà di linguaggio e incapacità di ascoltare con intelligenza. Infine paura di sbagliare

e non saper recuperare. Nel dialogo in politica si può avere la propria idea fissa, attaccare, con quella idea fissa, ogni avversario. Nella vendita si deve fare il contrario con qualunque cliente. Il cliente è un bene per me. Ha le sue idee che il venditore deve rispettare ed anzi conoscere bene per proseguire il dialogo. Deve imparare cosa fa il cliente, i suoi progetti e cercare di insinuarsi nella relazione con lui per divenirne collaboratore. Se il venditore alza la voce, non vende. Non ci sono strumenti tecnologici che svolgono il dialogo al posto di chi fa il commerciale, gli strumenti sono un aiuto, ma vanno gestiti al meglio. Vi sono giovani che non cercano lavoro dove il lavoro c’è: nel settore vendita. Solo perché non desiderano armarsi di coraggio ed imparare a vendere. Per vendere infatti occorre essere formati e preparati. Infine è indispensabile saper giudicare se stessi con grande umiltà, pronti a ripartire, sulla base dei risultati e dell’analisi nel processo di vendita avvenuto, alla ricerca delle ragioni del successo o dell’insuccesso, con molta franchezza. Il buon venditore sa aprire mercati, sa parlare, scrivere, atteggiarsi, sa superare con eccellenza le obiezioni, sa cogliere nel cliente anche le piccole pieghe delle sue aspirazioni. E’ davvero un grande professionista capace di trattare molteplici questioni di prodotto, marketing, comunicazione e sviluppo con la stessa serietà con cui promuove i prodotti della propria azienda Si tratta, come nel film “ Americani”di vecchia memoria, di una persona che aggancia e dialoga apertamente, e ha rapporti semplici, direi normali. Sa che non deve piazzare, ma creare una relazione virtuosa e stabile perché da quel cliente, con molta probabilità, ci dovrà ritornare. In fondo tutti potrebbero diventare venditori (..quasi tutti!).

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Comunicazione Maria Grazia De Angelis*

Un esperimento riuscito al Museo Bellini di Firenze con lo sguardo a EXPO 2020. Ancora una volta l’arte può essere veicolo di comunicazione del brand Italia Si diffonde la consapevolezza che l’investimento in cultura è un vantaggio competitivo

Il business incontra l’arte e la ricerca * Presidente AISL_O

In, un mondo in continua evoluzione, caratterizzato da velocità, scoperte e cambiamenti, determinati dal fenomeno della globalizzazione, l’Arte, nelle sue multiformi espressioni di creatività e di ricerca, sta dimostrando di essere la forma che più assorbe questi impulsi. E riesce a concretizzarli in iniziative che testimoniano le nostre radici, e i nostri valori, ma anche l’unicità dei prodotti e dei talenti “Made in Italy”. La costante memoria espressiva che ci circonda, ricorda che abbiamo una grande storia, straordinari valori e, tra questi, quel valore chiamato “Identità”: un insieme di proficue diversità. Vantaggio competitivo

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Essere italiani è qualcosa di unico, un vero brand, perché quando si pensa all’Italia il pensiero corre alla storia, all’arte, alla bellezza, al genio, alla buona tavola, alla dolce vita. Il retaggio di un territorio costituito da un mosaico di comuni che hanno diverse culture e tradizioni, rappresenta per l’Italia un importante van-

taggio competitivo, proprio perché consente di operare e vivere all’interno di una complessità vitale che si può cogliere solo con la collaborazione e con il confronto con le migliori espressioni dello Stato e delle Imprese, delle Scuole e delle Università, della Ricerca Scientifica e dell’Arte. L’insieme delle diversità e delle competizioni nel nostro territorio, ha da sempre dato origine ad una miriade di “ecosistemi “ artistici e culturali che confermano, il senso e il valore dell’Italianità: un Patrimonio già riconosciuto nel mondo, un Patrimonio da tutelare, promuovere e utilizzare. Incrocio di vari mondi In quest’ottica e con questa filosofia, il Museo Bellini di Firenze è stato recentemente teatro di un interessante evento nato dall’incrocio virtuoso tra i mondi della creatività, della ricerca e dell’imprenditoria. Promotore del progetto è Luigi Bellini, fiorentino, prosecutore di una dinastia di collezionisti e antiquari operante sin dal XVIII secolo, che


hanno creato con passione il Museo Privato “Luigi Bellini” a Firenze, che conta circa 10.000 opere d’arte, collezione tra le maggiori nel mondo. Luigi Bellini, già fondatore del movimento artistico denominato Il Nuovo Rinascimento, è stato consigliere culturale del Presidente della Repubblica negli anni ‘70 e nel 2012 è stato insignito con la medaglia d’oro del Presidente della Repubblica come Ambasciatore dell’Italia nel mondo di tutti gli italiani. Al centro dell’evento l’asta di beneficenza di opere classiche, moderne e contemporanee, finalizzata a supportare il Progetto di ricerca “Brain DIET”.

de che ritengono un tale investimento una scelta strategica che contribuisce a rafforzare la reputazione, sviluppa il marketing relazionale, crea nuove e qualificate opportunità di comunicazione sui media. Si può pertanto affermare, che in un mercato dove il valore di un’organizzazione si misura anche dalla capacità di comunicare in modo efficace i propri principi e i propri impegni, il trinomio “Responsabilità Sociale” “Cultura” e “Ricerca” rappresenta un modus operandi particolarmente interessante per chi ha scelto la strada della sostenibilità.

Progetto di ricerca

Non a caso “Arte” e “Ricerca” stanno già rappresentando ambiti d’intervento in cui un’impresa si identifica per sviluppare azioni finalizzate a migliorare quegli asset intangibili che influenzano il sistema dei valori aziendali. L’impegno culturale, sociale e ambientale sta infatti portando valore aggiunto perché ricco di contenuti simbolici in grado di rafforzare il sistema di valori dell’impresa. Oggi la sfida non è più solo nella capacità di produrre beni e servizi di qualità a prezzi competitivi ma anche di migliorare il patrimonio relazionale e valoriale.

BRAIN DIET (DIseases, Evolution and bioTechnologies), ideato e promosso dal Dipartimento di Biologia dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” e diretto da Antonella Canini, è un progetto di ricerca sulla cura di patologie neurodegenerative; da quelle più note a quelle meno conosciute sulle quali si riesce a fare meno ricerca, poiché più rare. In particolare il progetto approfondirà l’impatto dell’assunzione di determinati alimenti nella prevenzione e nel contenimento della neurodegenerazione. Molti i nomi eccellenti che hanno deciso di essere partner dell’evento per sostenere l’iniziativa: oltre a Fideuram Private Banker )main sponsor dell’iniziativa), AXA Investment Manager, Comgest, ITC Diamond Investment, Philip Morris Italia, Engel & Volkers Firenze, MG, Patrizio Scopigno, Fondi & Sicav. a conferma del fatto che negli ultimi tempi, nonostante la crisi, si sta sempre più diffondendo la consapevolezza di come l’investimento in cultura rappresenti un vantaggio competitivo per l’impresa e un fattore dinamico capace di mettere in moto le migliori energie del territorio. Stanno infatti aumentando le azien-

Valori aziendali

Corollario Interessante corollario dell’evento è stata la presentazione del progetto EXPO Dubai 2020, dell’artista Renato Missaglia, che per l’occasione ha presentato la FIAT 500, completamente aerografata con i suoi dipinti e concepita come “fiaccola” ideale che collegherà EXPO Milano 2015 alla nuova EXPO nel Golfo. Al termine del progetto la vettura sarà messa a disposizione per un’asta benefica a favore della Andrea Bocelli Foundation, dove nuovamente arte, ricerca e impresa daranno vita a una forma di sincretismo culturale di rilevanza mondiale.

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Comunicazione Elena Muoio

Natale vuol dire festa ma anche creatività. Ed è proprio questa che non deve mancare a un brand che si vuole distinguere. Qualche considerazione in giro per il mondo

Un vero e proprio “mercatino” di marketing

Caro Babbo Natale Natale vuol dire festa, colori, amore, musica e creatività. Ed è proprio questa, che non deve mancare ad un brand per distinguersi. Il Natale è quel momento in cui la creatività la fa da padrone ma non bisogna perdere di vista la propria identità. Non c’è dubbio: fine dicembre è il periodo dell’anno più atteso, fatto di luci, colori, musiche e melodie, tutto avvolto in un caloroso abbraccio, quello dell’aria natalizia. Natale è la corsa ai regali, gli addobbi, lo stare insieme, i famosi film di Natale che tutti abbiamo visto decine di volte ma che non stancano mai. Natale è anche spot pubblicitari, siti web addobbati a festa, un restyling dell’immagine di prodotti e servizi attraverso le campagne di marketing, insomma un vero e proprio mercatino di marketing. A Natale puoi...

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Qualsiasi cosa stiamo facendo, come sentiamo una pubblicità di Natale ci fermiamo, quel video di pochi se-

condi è in grado di catturare la nostra attenzione. Raccontare delle storie e raccontarle riuscendo ad emozionare sono due cose ben diverse, soprattutto quando parliamo di immagini. Le parole che compongono una storia si ascoltano dall’inizio alla fine per comprendere il significato, le immagini o una sequenza di immagini offrono già tutto, basta saper osservare. Ed ecco che a sbucare da dietro l’angolo sono proprio loro, i più attesi, quelli per così dire che aprono le feste natalizie, gli spot. Per noi appassionati di pubblicità è un momento cult, osserviamo tutto nei minimi dettagli, spostiamo la nostra attenzione sulle inquadrature, sui colori, la musica, gli effetti, i protagonisti, la durata e l’ambientazione. Così come dice Seth Godin “Le persone non comprano prodotti e servizi, ma relazioni, storie e magie”. Basta pensare che il 90% del successo di qualsiasi prodotto è dato proprio da come viene studiata e realizzata la sua promozione.


Solo due ingredienti Quelli giusti: “Spot” e “Natale”, sono i giusti ingredienti, rappresentano un connubio perfetto per un’azienda che cammina a testa alta, porta la bandiera del successo riguardo gli spot, un colosso mondiale è la sola e unica Coca-Cola. Ogni spot che appare in TV, online, all’estero fa sempre centro. La cura dei particolari, il messaggio, la comunicazione, e la “semplicità” del contenuto risultano d’impatto anche se togliessimo la musica e le parole. Un #NataleSpeciale, di un minuto, mostra un ragazzo che prende il ruolo di Babbo Natale e consegna, in giro per la città e in situazioni di vita quotidiana, la bottiglia di CocaCola, anche a Babbo Natale stesso. Il colore dominante è naturalmente il rosso, la colonna sonora è “Taste the feeling”, lanciata ad inizio anno e la protagonista è lei la bottiglia, un regalo a chi rende speciale il nostro Natale. Vince anche la leggerezza John Lewis è un noto shop online, quest’anno ha deciso di non puntare su un video di forte impatto emotivo ma su uno più leggero, che ha fatto il giro del web anche la versione “ironizzata” della vittoria di Trump sulla Clinton. Il video della durata di poco più di due minuti, mostra un padre intento a costruire un tappeto elastico nel giardino come regalo per la figlia. Durante la notte si avvicinano gli animali del bosco, incuriositi da quell’oggetto e iniziano a salterellare sul tappeto e il cane della famiglia li osserva dalla finestra. La mattina la bambina, appena sveglia, scappa in giardino per vedere il suo regalo ma il cane la precede e inizia a saltare sul tappeto e tutti restano sbalorditi. Il video si conclude con la frase “regali che tutti amano”.

Da un bel po di giorni in TV si vede lo spot di Glade che sottolinea la bellezza di donare qualcosa a qualcuno, che sicuramente porterà tanta gioia. Uno spot molto breve solo 20 secondi, ma è riuscito ad aggiudicarsi un gran numero di visualizzazioni e condivisioni. La protagonista dello spot della Kinder Ferrero è una bambina delle Marche, Gemma di 5 anni. Se non tutti abbiamo visto il video sicuramente abbiamo sentito questa frase “Noi siamo pronti, è Natale? Adesso è Natale?”. I due bambini aspettano con ansia e gioia questo giorno chiedendo di continuo se quello è il momento giusto ed ecco che arriva un piccolo trenino carico di cioccolata Kinder per addolcire l’attesa. Nella lista troviamo H&M la nota linea di abbigliamento, Apple, Milka, ma non possiamo non nominare i più commoventi, almeno fino ad oggi, quello dell’aeroporto di Heathrow con l’arrivo di due orsetti di peluche che rientrano a casa per le feste, il dono più bello, lo stare insieme con la propri famiglia. E quello della catena dei supermercati Waitrose il viaggio lungo e difficile di un pettirosso per raggiungere la sua compagna davanti a un dolce che lascia fuori ogni anno una ragazza. In questo spot troviamo delle immagini molto belle e di elevato spessore. La sfida quindi quale è? Riuscire ad emozionare, coinvolgere, raccontando il proprio prodotto e/o servizio. Questi noti brand possiamo dire che ci sono riusciti. Ora la corsa è quella di aggiudicarsi il maggior numero di condivisioni. Per fortuna c’è l’online Acquistare ciò che ci serve per il Natale, due mesi prima oppure correre il 23 dicembre? Questo accade ogni anno chi si prepara con molto anticipo e gli eterni ritardatari. Ma per fortuna c’è l’online; quasi un regalo su tre viene acquistato sul

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Comunicazione

web, questo grazie anche all’uso di smartphone e tablet che facilitano queste operazione portando ad un aumento consistente delle vendite online. Il web si colora dei colori del Natale, banner, decorazioni, video, tutto ciò che può attrarre la nostra attenzione è presente. Il web diventa un vero e proprio mercatino in cui ci immergiamo per ricercare ciò che ci serve e contemporaneamente viviamo l’aria del Natale. Dall’A alla Z

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Quando parliamo di acquisti in rete il nostro pensiero va ad Amazon. Una delle più grandi piattaforme di ecommerce con il suo logo inconfondibile la freccia arancione che porta dalla “A” fino alla “Z” del nome, ciò vuol dire che su questa piattaforma si può trovare di tutto dalla a alla z. Dopo il boom del Black Friday, in cui Amazon ha dichiarato di aver venduto 1,1 milioni di prodotti, circa 12 al secondo, per Natale ha creato un video che invita a riflettere su ciò che ci divide. I protagonisti sono un prete e un imam. Si incontrano, parlano, ridono, si abbracciano e tramite l’app di Amazon Prime decidono di scambiarsi lo stesso dono: un tutore per le ginocchia in modo da ridurre il dolore quando si inginocchiano per pregare ognuno il proprio Dio. Questo spot in 4 giorni ha raggiunto un milione di visualizzazioni. Anche per Twitter è Natale e si presenta con il calendario dell’Avvento, dal primo di dicembre fino al 25 dicembre vengono svelati i regali e i contenuti per gli utenti in Italia. L’obiettivo è quello di posizionare i brand in cima alle conversazioni natalizie.

Le città che dicono? Come ogni anno anche le città si sono preparate a questa grandissima festa con tantissimi incontri, eventi e siti web aggiornati giorno dopo giorno per non perdere neanche un appuntamento. Milano con il mercatino “Oh! Bej! Oh! Bej!”, che attira moltissime persone, attorno al Castello Sforzesco con quasi 380 espositori. Le bancarelle in centro tra il Duomo e la Rinascente, a Rho Fiera l’appuntamento con l’artigianato, fino ad arrivare all’evento nei giardini Idro Montanelli con la pista di pattinaggio, la casa di Babbo Natale, il cinema 4D, le giostre e il mercatino degli Elfi. Infine come non vedere e venir catturati dalle oltre 50 mila luci che illuminano l’albero in piazza Duomo? Venezia, la città d’acqua con i portici pieni di luci, negozi addobbati, il mercatino, le piste di pattinaggio e l’albero in piazza San Marco. Roma piena di luminarie e mercatini natalizi, presepi nelle varie Chiese e sale museali, il giardino delle meraviglie pieno di Elfi e le numerose piste di pattinaggio. A Napoli l’appuntamento è con i presepi, San Gregorio Armeno invasa dagli appassionati del settore, in mostra anche i presepi più piccoli al mondo basta pensare che uno di questi va osservato con la lente d’ingrandimento visto la dimensione di soli 3 millimetri. Tutto ciò accompagnato da mercatini e luminarie sparse per la città. Tutti più buoni? Ma praticamente tutte le città si sono date da fare per “diventare più belle”, per creare quell’atmosfera magica che, forse, almeno una volta all’anno ci avvicina l’un l’altro e ci fa ritornare bambini. Insomma, le città, i siti web e gli spot pubblicitari diventano un grande appuntamento per grandi e piccini.



Creatività & Innovazione Sarah Canonici

Adottare strumenti per facilitare la digitalizzazione nella elaborazione dei documenti significa riuscire a creare un rapporto di empatia

Per migliorare il feeling con gli interlocutori

Stampe “confezionate” per ogni cliente

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Comunicare con i propri clienti in maniera efficace è la chiave di volta di una buona esperienza e contribuisce a creare un buon rapporto di fidelizzazione. Riuscire a d ottenere documenti che siano realizzati e confezionati addirittura per il nostro interlocutore (lasciatemi il paragone con l’abito di sartoria) migliora il rapporto e quindi sta diventando un “must” in tutti i campi all’interno di un sistema circolare che vede il cliente sempre al centro. Il mese scorso ho partecipato al Forum per la Multi-Channel Document Management, che si è tenuto a Boblingen, in Germania, organizzato da Compart. Comparting è un forum internazionale che tratta argomenti riguardanti la multicanalità dei documenti ( i vari media che oggi è possibile utilizzare) e la gestione dell’output e che studia strumenti per facilitare la digitalizzazione nella elaborazione dei documenti stessi. In un mondo dove l’esperienza positiva del cliente è al centro, non bisogna non dare il giusto peso e l’impor-

tanza che meritano e assolutamente non si può tralasciare tutto il mondo dei documenti (fatture, informative, posta, ..) che ruota intorno ad un singolo individuo. Insomma bisogna tendere a trasformare quel “pezzo di carta” in qualcosa di personale, bello, veloce e facile. Il mondo cartaceo intorno a noi si sta sempre più digitalizzando ma non per questo deve perdere appeal, il tutto, ovviamente, nel rispetto delle regole di tracciabilità e sicurezza dei dati. Il nuovo prodotto presentato da Compart DocBridge Impress vuole essere proprio la risposta a questa richiesta del business moderno: come possono le aziende continuare a comunicare in modo efficace con i propri clienti senza sacrificare la qualità? DocBridge Impress rappresenta un nuovo livello di sviluppo del prodotto in Compart. Infatti la nuova applicazione porta tutti gli attuali standard sotto lo stesso tetto determinando un cambiamento di paradigma. La generazione dei documenti non è più basata sulla pagina, ma è funzione del tipo di do-


cumento che deve essere stampato. Insomma è “document-oriented”. Questo cosa significa ? Tutti i documenti creati con questa applicazione sono multicanale cioè si possono adattare alle varie strumentazioni disponibili essendo privi di barriere (PDF / UA), dove la flessibilità e la velocità sono le caratteristiche principali. Grande attenzione alla controparte Ponendo sempre una grande attenzione nei riguardi dei propri interlocutori si può affermare che, in questo modo, anche chi deve stampare grandi quantità di documenti potrà utilizzare una comunicazione mirata e personalizzata per ogni suo cliente, utilizzando anche un design accattivante. Praticamente, come dicevamo, un “abito” fatto su misura. Questo tipo di prodotto si sposa bene e trova largo spazio nei mercati della pubblica amministrazione, delle banche e delle assicurazioni che, come si sa, inviano molti documenti e che devono sempre più digitalizzarsi per rispondere all’esigenza del nuovo mondo che così velocemente si sta imponendo in ogni settore ed applicazione. Vale a dire: lo scambio elettronico dei documenti. Il problema fino ad ora è che i documenti digitali continuano ad essere generati in base ai formati più consueti e familiari, per esempio il formato A4 della pagina. Uno degli svantaggi è che non possono essere soddisfacentemente visualizzati su tutti i canali elettronici. Un file PDF, per esempio, non viene visualizzato in modo corretto su uno smartphone o tablet e non tutti i layout sono suscettibili di conversione automatica di un display HTML. DocBridge Impress risolve il problema gestendo questo tipo di formattazione. La nuova generazione di utenti è orientata verso una “Life paper free” e attenta al vantaggio di abbattere i

costi senza però togliere valore alla personalizzazione. Ritorniamo al concetto espresso in apertura dove ancora una volta la chiave di lettura per un prodotto di successo è renderlo friendly al proprio utilizzatore finale.

Il profilo di Compart Compart è una società composta da più sedi dislocate in vari punti strategici come: “Nord europa” Germania e Inghilterra, “Sud Europa” Francia e Spagna e presto anche in Italia, Nord America e America Latina. Qui trovi il link dei contatti: https://www.compart.com/en/ contact Compart si posiziona da oltre 25 anni nello sviluppo di software per la gestione documentale, le soluzioni sono espressamente utilizzate per: - la conversione e la manipolazione in massa o su richiesta di documenti elettronici con una vasta gamma di filtri (AFP, PDF, PCL, PostScript, DJDE, VPX, images, DOCX, XLS, XML, SAP GOF, TIFF, etc.) - la conversione e l’indicizzazione usata per la migrazione ed il consolidamento degli strumenti di archiviazione (ECM) - la gestione della posta ibrida (controllo dell’impaginazione dei documenti d’ufficio, instradamento verso uno stampatore o prestatore servizi esterni, email per archiviazione in PDF/A, etc.) - la massificazione, l’arricchimento e la distribuzione multicanale dei documenti - la composizione interattiva dei lotti dei documenti - la gestione degli spool di stampa di produzione - la comparazione dei documenti in formati differenti - la visualizzazione uniforme (flussi AFP, PCL, PDF, images, etc.), prodotto che può essere integrato all’interno di un portale per la consultazione. Compart Systemhaus AG (www.compart.com), è azienda leader nello sviluppo di componenti per la conversione ed elaborazione massiva di documenti e flussi documentali in qualsiasi formato. Le soluzioni basate sui prodotti Compart indirizzano le problematiche di trasformazione ed elaborazione di documenti in qualsiasi formato, consentendo di ricevere in input documenti e flussi documentali in diversi formati e di procedere ad una qualsivoglia loro conversione o elaborazione (in input e in output i formati documentali supportati sono in generale TUTTI). Con i moduli di Compart è inoltre possibile lo sviluppo di soluzioni per il controllo della qualità dei documenti, anche in fase di elaborazione dei flussi o degli spool di stampa, per indirizzare le problematiche di verifica della corretta formattazione dei flussi nel rispetto di regole predefinite.


La Buona Comunicazione U.C.

Il premio, una occasione per diffondere la conoscenza di attività che, oltre a migliorare la vita, diventano potenti strumenti di marketing

Assegnata l’ottava targa a chi fa “buona comunicazione”

Comunicare la Sostenibilità Anche nel 2016, all’interno della 44° edizione della Mostra Internazionale dei Cartoonists di Rapallo, è stata assegnata la Targa de La Buona Comunicazione. Il riconoscimento va a chi ha saputo, nel corso dell’anno, fare una “buona comunicazione” sia in termini di strumenti utilizzati sia, soprattutto, in termini di contenuti. Quest’anno la targa è andata al Direttore della Rivista “CSR Oggi”, Bruno Calchera. Perché questo riconoscimento? CSROggi si pone l’obiettivo di diffondere una corretta cultura della Sostenibilità Sociale. Un’attività molto importante che è ancora poco conosciuta in Italia. Approfittiamo dell’occasione per farci raccontare dal premiato qualche cosa sulla CSR (Corporate Social Responsibility).

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Cosa vuol dire fare CSR? Prima di avventurarci nel tema complesso della CSR e della Sharing Economy forse occorre dare qualche definizione. Soprattutto perché di queste cose se ne parla in qualche oc-

casione, ma spesso impropriamente. Con CSR intendiamo “ il modo con cui un’impresa gestisce e migliora il suo impatto ambientale e sociale per generare valore sia verso i suoi azionisti che verso i suoi stakeholder, innovando la sua strategia, la sua organizzazione e i suoi comportamenti”. La Sharing Economy “si propone come un nuovo modello economico, capace di rispondere alle sfide della crisi e di promuovere forme di consumo più consapevoli basate sul riuso invece che sull’acquisto e sull’accesso piuttosto che sulla proprietà. Si traduce con “economia della condivisione”, un’espressione che richiama esperienze di lunga tradizione, soprattutto in Italia, dal mutualismo alle cooperative fino alle imprese sociali”. In sintesi possiamo dire che si tratta di metodologia economica tesa allo sviluppo dell’impresa, ma soprattutto dell’impresa inserita nella società? Una azienda tesa, ad affermarsi nel mercato usando leve nuove, utili, per il proprio posizionamento, deve


tener conto di maggiori e complesse indicazioni di marketing, deve elaborare più fattori presenti nel sociale per migliorare i suoi risultati. Gli item del marketing classico infatti non sono più sufficienti. I target aziendali e gli stakeholder di una impresa sono ben maggiori di quelli che sono evidenziati nelle analisi segmentate dei potenziali clienti. I clienti (e la crisi è stata maestra!), sono sempre meno ‘afferrati’ dalle politiche di vendita che sollecitano emozione, immagine e istintiva propensione all’acquisto; essi hanno visto nuovi versanti di interesse, sono passati a leggere e desiderare nuovi contenuti socialmente interessanti. Desiderano “condividere l’azienda” come gli azionisti e i produttori, se ne sentono parte e vogliono farlo al meglio. Non basta più il prezzo per attirare clienti? Le politiche di prezzo non spostano in modo decisivo l’interesse all’acquisto, i clienti manifestano uno sguardo aperto, sono sensibili ad aziende socialmente impegnate (lo Spot Rana o Conad sono particolarmente esemplari!) e così tendono a condividere e premiare azioni tese al miglioramento della vita nel territorio o nell’aiuto alla società più fragile. E desiderano condividere questi passaggi. La crisi del welfare classico ha spinto le imprese più lungimiranti a cercare punti di condivisione con i clienti, attivando sinergie di marketing innovativo. Sono cresciute le triangolazioni tra Terzo Settore, Pubblica Amministrazione e Impresa e ne ha beneficiato tutto il mercato. Bisogna quindi attivare una maggiore partecipazione. Certo. Occorre più tempo per volere e creare condivisione, ma questa fatica alla fine rende più certo e agevole ogni procedura e il risultato più rapido.

Può aiutare in questo il bilancio sociale? Ormai tutte le maggiori aziende predispongono la pubblicazione di un Bilancio Sociale, una rendicontazione della propria sostenibilità e dei passi prodotti, ma tali notizie, per lo più, restano incollate ai siti della Corporate aziendale. Ma è come aver posto un manifesto nella propria bacheca o aver realizzato un nuovo house-organ La comunicazione è totalmente verticale. Unidirezionale. Con interlocutori predefiniti. Nessun contenuto, declinato in modo divulgativo, giunge alla “pancia” di tutti, perché si suppone che a questi ultimi le parole del Bilancio non interessino. La Sharing Economy invita alla condivisione almeno valoriale. E qui entra in gioco CSR Oggi. Proprio così. Fare qualche cosa di utile e einteressante e lasciarlo confinato nella conoscenza di alcuni pochi è un errore madornale. CSR Oggi spinge all’ampliamento della conoscenza. L’attenzione alla Sostenibilità è, oltre una cosa “buona e giusta” una novità nella strategia di marketing. E la vera novità concreta è scritta nel Bilancio Sociale, nel Bilancio di Sostenibilità. E quelle parole dettagliate nei bilanci vanno rese pubbliche, come un manifesto della Nuova Azienda, che vuole dialogare con tutti. Questa è la nuova comunicazione. Realizzare una finestra rivolta dentro e fuori l’azienda, certi che il cliente saprà capire, conoscere, stimare, e alla fine premiare gli sforzi più impegnati nel valorizzare il contesto sociale e chi lo vive. Così la Sharing Economy e la C.S.R. diverranno quella gamba in più del tavolo aziendale capace di leggere la Nuova Realtà con più acutezza per dare più frutti. Dentro e fuori l’impresa.

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Comunicazione con i Cani

Davide Canonici*

Cose da fare e da non fare durante le passeggiate insieme per essere tutti e due più felici

A spasso con lui * Educatore Cinofilo SIUA Tecnico Mobility dog FICSS davidewolf73@gmail.com

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Durante le passeggiate, dove è concesso liberare il cane, può essere necessario richiamarlo in modo che ti raggiunga immediatamente al fine di esser messo in sicurezza. In molte occasioni vediamo proprietari rincorrere o chiamare a squarciagola il cane che, indifferentemente o con aria di sfida, rifiuta di farsi prendere o di scendere a patti.

Alcune ragioni per cui il cane non torna o non si lascia prendere: • non ti riconosce come capo branco • è molto allettante ciò che sta facendo perciò non vuole rinunciarci • non è sufficientemente allettante ciò che gli proponi in alternativa • non ha una buona ragione per raggiungerti • ha paura di te e delle tue reazioni

è consapevole che gli metterai subito il guinzaglio per tornare a casa Alcuni atteggiamenti negativi da evitare: • rincorrerlo; non faresti altro che stare al suo gioco • urlare; rischierresti di spaventarlo • minacciarlo con le mani o oggetti; è il sistema migliore per tenerlo lontano • picchiarlo quando lo raggiungi; la prossima volta non si lascerà prendere Il cane non ubbidisce e lo devi raggiungere in quanto è in posizione di sicurezza: • avviati a passo deciso in modo da arrivargli alle spalle. Se si accorge di te, non incrociare il suo sguardo, fermati e aspetta che si distragga nuovamente poi continua. Una volta raggiunto afferra il collare ed allaccia il guinzaglio. Accarezzalo, riprendi la marcia e ripromettiti di avviare un ciclo di educazione specifico ( vieni , torna ) Comando per farlo tornare: • il comando deve essere composto da una sola parola ( vieni, torna o altro ) • la parola deve essere conosciuta dal cane a cui ha associato un’azione (es: andiamo) • non richiamarlo senza prevedere un premio e di tanto in tanto, ridagli la libertà!


iNFORMALIBRI PIU’ ETICA NEL MERCATO?

L’inganno di un luogo comune e le responsabilità della politica di Paolo Del Debbio - Marsilio Editore - pag. 228 - Euro 13,60

La domanda, di questi tempi, è concreta: può l’etica appartenere anche al mercato? È diffusa la convinzione che una generale mancanza di principi etici sia all’origine dei problemi economici di questi anni, principi che invece dovrebbero indirizzare sviluppi, e scopi del mercato. Sembrerebbe, dunque, che per porre fine al disordine attuale basti recuperare, in quella prospettiva, la presupposta funzione “originaria” del mercato: il perseguimento del bene comune. Un ragionamento che può sembrare fondato, persino scontato. La realtà dei fatti, come ben sappiamo, è diversa. Ne dà contezza Paolo Del Debbio nel suo Più etica nel mercato? L’inganno di un luogo comune e le responsabilità della. Ponendo alcune semplici domande, fa emergere le molte contraddizioni che si nascondono dietro un’ovvietà tanto apparente quanto seducente: i disastri finanziari, l’assenza di un accordo sulla gestione dell’emergenza ambientale e di interventi efficaci nella lotta alla povertà sarebbero il risultato dei meccanismi perversi del mercato (o forse derivano dall’inadeguatezza dei pubblici poteri?). Spesso infatti nella nostra società il richiamo all’etica si rivela un alibi per coprire le responsabilità di chi non compie il proprio dovere. Docente di Etica ed economia all’Università Iulm di Milano, giornalista e noto conduttore di trasmissioni televisive su temi di pubblico

Comunico …ergo sum Ugo Canonici

wComunico …ergo sum Se è importante saper fare, lo è altrettanto il far sapere. Utilizzando una buona comunicazione.

Prefazione di Enrico Bertolino

Deus Editore s.r.l.

Sarò Breve

interesse, Del Debbio costruisce un percorso che, partendo dalle origini della questione etica in economia, conduce all’analisi di alcuni tra i più recenti modelli e argomenti proposti per affrontarla: Stiglitz, Bergoglio, Latouche, Piketty, Deaton. In particolare, l’autore si interroga sulla possibilità di stabilire un’etica dei diritti (che cos’è l’etica, quali diritti, chi li stabilisce, a che titolo, rivolti a chi, con quale consenso, ecc.), individuandone alcuni che davvero possano costituire un «minimo comune denominatore» in grado di conciliare il rispetto dell’individuo con quello della collettività, senza però demonizzare il mercato. Dalla cooperazione internazionale al debito pubblico, dalle tasse alla finanza, il libro propone diversi esempi per un’efficace applicazione di questa etica a vari settori, fornendo nuovi spunti al dibattito. Degno di attenzione.

Organizzare eventi aziendali

Scrivere. Una fatica nera.

La piccola libreria di Deus Editore www.miabbono.com/deus


Club dell’Osso

Demetrio Minutilli

Una nuova sfida del Club: rigenerare le forze per riattivare lo scambio di informazioni che riguardano il nostro lavoro

E’ il momento per ripartire

www.clubdellosso.it clubdellosso@clubdellosso.it

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Abbiamo appena salutato un 2016 che sembra sia stato un anno di timida ripresa, e come sempre è il momento dei bilanci. Anche noi del Club dell’Osso, e questa è la ventisettesima volta, ci ritroviamo a tirare le somme e valutare quello che abbiamo fatto o avremmo voluto o potuto fare, e quello che realmente è stato realizzato. Consapevoli del momento, sembra di tanto augurata ripresa, ma non poi così entusiasmante, che la meeting industry attraversa (ed in Italia in modo particolarmente soft), le attività del Club dell’Osso anche quest’anno hanno segnato il passo risentendo notevolmente della situazione generale. Ma tutti noi siamo convinti che il “momento di riflessione” non può e non deve durare a lungo. Lo scopo del Club Lo scopo del Club dell’Osso è sempre stato molto chiaro: fare gruppo, scambiarsi idee, informazioni, esperienze derivate dal lavoro svolto nel mondo dell’offerta congressuale, favorendo lo sviluppo professionale dei Soci per quanto riguarda, nell’ambito della comunicazione d’impresa, le attività di convention, incentive e congressi. In particolare si proponeva e si propone ancora di raccogliere informazioni ed impressioni relative a sedi congressuali nonchè capacità e garanzie organizzative dei fornitori. La corretta informazione, essenziale

in ogni campo, per chi opera in questo settore è fondamentale. Quindi in una recente riunione il Direttivo è giunto alla convinzione e conclusione che è assolutamente improrogabile un apporto di nuove attività ed idee fresche ed al passo con i tempi, esattamente in linea con il ciclo storico che ci troviamo ad attraversare. Sarà imperativo per il Club dell’Osso allinearsi per poter correre alla stessa velocità di tutti. Si è quindi dato il via ad una nuova campagna Soci, ovviamente nel rispetto ed osservanza del “numero chiuso”, tema assai caro al Club, in quanto sicuri che, con tale sistema, si possa garantire la bontà e la qualità degli aspiranti Soci, che in ogni caso sottoporranno le Loro candidature ad un Consiglio molto selettivo. L’ imperativo è rinnovare, ed importante sarà l’apporto di nuove idee e tecniche. I temi che ci attendono sono tanti e come sempre molto interessanti ed attuali. Fam trip molto mirati ed idonei alla conoscenza e promozione di territori congressualmente validi, tavole rotonde, incontri di formazione ed informazione, workshop territoriali ed altro ancora sono già allo studio del Consiglio direttivo. Pertanto il Club dell’Osso nel lanciare l’ennesima sfida, invita tutti colore che, all’interno delle rispettive Aziende, organizzano e progettano eventi, a sottoporre la propria candidatura : www.clubdellosso.it




dmc

dmc

Comitato scientifico

Bruno Calchera Membro delegato del Tavolo del Terzo Settore della Regione Lombardia. Già Direttore U.O. della Comunicazione Istituzionale della Regione Lombardia. Giornalista. Direttore Marketing in case editrici. Consulente alla Comunicazione in Enti pubblici e privati. Impegnato in attività del Terzo Settore da più di 30 anni. Alberto Contri Attualmente presidente della Fondazione Pubblicità Progresso e DG della Lombardia Film Commission. E’ stato Vice Chairman di McCann Erickson World Group Italia, consigliere della Rai, AD di Rainet, Presidente AssAP. E’ docente di Comunicazione Sociale alla IULM. E’ Grand’Ufficiale dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana. Marzia Curone Partner di “Relata”, Agenzia di Marketing e di Comunicazione di Relazione. Presidente del settore Direct Marketing di Assocomunicazione, Coordinatore del Comitato Interassociativo Marketing Diretto.

Michele Faldi Direttore dell’Alta Formazione e delle Alte Scuole dell’Università Cattolica del S. Cuore. Ha lavorato presso centri culturali ed istituti di ricerca e formazione in Italia e all’estero. Da sempre si è occupato di Higher Education.

Fondato nel 1987

dm & comunicazione Rivista di Direct Marketing, Marketing e Comunicazione d’Impresa Autorizzazione tribunale n° 300 del 19/04/1991 Anno 29 - n°4 del 2016 Direzione, Redazione, Grafica, Amministrazione: Via Spallanzani 10 - Porta Venezia - 20129 Milano tel. +39.02.74.22.22.38 - fax +39.02.74.22.22.43 redazione@dmcmagazine.it - www.dmcmagazine.it Direttore Responsabile: Ugo Canonici Capo Redattore: Sarah Canonici Redazione: Pier Giorgio Cozzi, Grazia De Benedetti Coordinamento Redazionale e Grafica: Davide Canonici Editore Incaricato: Bruno Calchera Collaboratori: Ambra Baronio, Ugo Clima, Barbara Coralli, Vittoria A. D’Apice, Axel Lo Guzzo, Alessandro Lucchini, Demetrio Minutilli, Elena Muoio, Ugo Perugini, Maurizio Quarta, Margherita Ruggiero, Roberto Villa Pubblicità: Gestita direttamente dall’Editore (redazione@dmcmagazine.it) tel +39.02.74 22 22.38 Edizioni Cleis s.r.l.: via Spallanzani, 10 - 20129 Milano - P.I. IVA

Chiara Grosselli Già responsabile del Marketing e delle Comunicazioni per l’IBM in Italia, delle Relazioni Esterne e della Fondazione IBM Italia. Collabora con diverse associazioni per sostenere l’imprenditoria femminile. Ha vinto il Premio “Marisa Bellisario”.

Alessandro Lucchini Giornalista e copywriter, è autore di libri sulla comunicazione professionale. Tiene corsi di business/web writing per aziende ed enti pubblici e insegna all’università Iulm di Milano.

Maurizio Nichetti Architetto, attore, sceneggiatore, regista di cinema, televisione e cartoni animati. Debutta nella regia cinematografica con RATATAPLAN a cui faranno seguito una decina di lungometraggi. Attivo anche nel teatro di prosa, nel teatro lirico e nel cinema d’animazione. Bruno Patrito Silva Fondatore e presidente di Direct Channel - con oltre 30 anni di esperienza, maturata prima nell’ambito di prestigiose aziende leader dell’I.T. e trasformata successivamente in attività imprenditoriale.

Club C3:

Il club per chi opera nel mondo della comunicazione d’impresa, ha come missione una corretta divulgazione della cultura della comunicazione. dm&c è l’organo d’informazione del Club C3 Gestione Data base Via Pindaro, 17, 20128 MILANO Tel. +39 022520071 Fax +39 02252007.333 info@directchannel.it www.directchannel.it - www.miabbono.com

Chi sono i 20.000 lettori di dm&c (da un’indagine del Gennaio 2016)

A QUALI AZIENDE APPARTENGONO

Roberto Vallini Già direttore della Comunicazione di AEM Milano, e vice Presidente della FERPI. Giornalista, è stato Portavoce del Presidente della Lombardia Roberto Formigoni, ha pubblicato il libro “Per una Lombardia federale”. E’ Direttore Editoriale e di informazione di Telereporter, Odeon Tv e Telecampione.

QUALE FUNZIONE HANNO IN AZIENDA

Utenti di comunicazione

68%

Titolari, presidenti, amministratori

20%

Agenzie di comunicazione e meeting planners

24%

Commerciali, marketing

52%

Associazioni professionali, Pubblica Amministrazione

8%

Direzione pubblicità, responsabili Rel. Est.

28%

Qualora non vogliate ricevere più questa pubblicazione potete inviare una mail a redazione@dmcmagazine.it, specificando nell’oggetto “cancellatemi dal data base”.


Pensiero Libero

di Alessandro Lucchini*

7 allenamenti per ascoltare in modo efficace: A come Ascolta per ascoltare

A.S.C.O.L.T.O. step 1 *Alessandro Lucchini, giornalista e copywriter, Autore di libri sulla comunicazione professionale. Tiene corsi business/ web writing per aziende ed enti pubblici e insegna all’università Iulm di Milano. www.palestradellascrittura.it alessandro.lucchini@palestradellascrittura.it

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How many roads must a men walk down Before you call him a man

te piangere. Eccoci all’argomento centrale della comunicazione: saper ascoltare.

Famossimo l’attacco di Blowing in the wind. Ci sono cresciute su generazioni di chitarristi da spiaggia. Re-sol-la, accessibile. E se, in questi mesi, citare Bob Dylan non è una scelta tra le più popolari, pazienza. Il suo talento e i suoi regali alla riflessione umana sono cosa ben più importante della scelta - discutibile, ma molto, forse troppo, discussa - di non andare a ritirare il Nobel. Che poi, qualcuno gli ha chiesto il motivo? Ma va’. Tutti subito pronti a giudicare: presuntuoso, puzzone, chi si crede di essere, ma come si fa eccetera. Metti che si vergoni, metti che si senta inadeguato, metti che abbia altre ragioni, che non può o non vuole dichiarare. Del resto, lo dice lui stesso: The answer, my friend, is blowing in the wind. Ma è la seconda strofa di questa canzone che mi dà l’appiglio per iniziare a parlare di un argomento che mi sta molto a cuore in questi tempi.

Saper ascoltare

How many times must a man look up Before he can see the sky How many ears must one man have Before he can hear people cry Quante orecchie deve avere un uomo prima che possa sentire la gen-

Se gli dei ci hanno dato due orecchie e una bocca sola, diceva un filosofo, un motivo ci sarà. Eppure studiamo come parlare in pubblico, come scrivere, come telefonare. Mentre pensiamo che, per ascoltare, basti stare lì. Ascoltare a fondo l’interlocutore, invece, è una fatica. Ci sono tecniche specifiche per allenarsi a farlo, per entrare in sintonia, durante una conversazione, un incontro, o anche - se occorre - uno scontro. Ascoltare è come volare: bisogna prepararsi, bisogna concentrarsi, bisogna sollevarsi, bisogna spostarsi. E bisogna voler cambiare. ASCOLTO, poi, è una parola di 7 lettere. Il numero 7 è un numero magico in tante culture, religiose o laiche (7 giorni della settimana, 7 note nella musica, 7 re e 7 colli per Roma, 7 nani per Biancaneve, 7 vizi capitali…). A.S.C.O.L.T.O. Comodo costruirci su un acrostico, un gioco di parole e di frasi con le iniziali. Da un linguista, abbi pazienza, cara lettrice/caro lettore, potevi aspettarvi poco di più. Partiamo. Ascolta per ascoltare, non per rispon-


dere o giudicare. Lascia che ti chieda una cosa. Quando conosci una persona, a una cena con amici, o un nuovo collega, o un medico, o il tecnico del computer, o l’idraulico, quanto ci metti non dico a giudicarla, che giudicare ci vuol molto tempo, ma a farti un’impressione? La prima impressione? Quella

Pensa a una riunione di lavoro. Giro di tavolo. Parla Mario, poi Elena, poi Cristina, poi Luca, tra un po’ tocca a te. Quando attacca Giovanni ti parte un embolo. «Che sta dicendo? Come si permette? Ma senti questo! Tra un po’ mi sente!». E da quel momento mica ascolti più, né lui né gli altri: il tuo scopo è pre-

che poi influenzerà la seconda, e la terza… Quanto? Qualche minuto? o secondi? E che cosa ti guida in quella prima impressione? la stretta di mano? l’abito? lo sguardo? le mani? o il tono di voce? o le parole? Dice un proverbio inglese: You never have a second chance to make the first impression. Non hai mai una seconda possibilità per fare bella figura la prima volta. Sciocchino, ma vero. La prima impressione non è forse la più importante, ma è la prima, quindi è delicata, molto influente sulle successive.

parare il bazooka con cui lo stenderai. E magari al passaggio successivo si sarebbe sciolto tutto - malinteso, garbuglio o divergenza che fosse - se solo avessi ascoltato. Quando stai entrando in una relazione, sforzati di aprire i tuoi canali percettivi, cercando solo di ascoltare a fondo, e non con l’intento di ribattere, di difenderti, di rispondere, o di giudicare (tanto meno di pregiudicare. Ah la potenza nefasta dei pre-giudizi!). Ascolta per ascoltare. Punto. Comincia in questo stesso momento :-) Il resto, nei prossimi numeri.

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La rivista dm&c, leader dal 1987, prosegue la sua opera di divulgazione della cultura del settore, appoggiandosi sui nuovi strumenti che la tecnologia mette a disposizione. Continua ad esistere, e viene distribuita, nella sua versione digitale, con una news letter ad oltre 20.000 nominativi selezionati. Coloro che desiderano ricevere gratuitamente dm&c nella versione digitale possono inviare la propria mail a redazione@dmcmagazine.it o andarla a consultare sul sito www.dmcmagazine.it



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