Dove gessi e grotte diventano patrimonio UNESCO p/11
Frutta d'Italia, patrimonio di freschezza, biodiversità e benessere p/06
A passeggio nelle Marche, plurali nel nome e a tavola p/45
Le migliori ricette ispirate dalle storie di Mi Alimento p/51
EDITORIALE di Giorgio Santambrogio
L’insostenibile disparità di genere
La parità di genere deve eliminare, prima di tutto, ogni forma di pregiudizio.
Voglio raccontare una vecchia storia. Anni fa negli Stati Uniti si accorgono che malgrado i diplomati al conservatorio fossero in prevalenza donne, il 96% degli orchestrali assunti nelle grandi orchestre erano uomini. Inconsapevolmente o consapevolmente i selezionatori sceglievano solo gli uomini. Nel 1970 le donne rappresentavano solo il 4% dei musicisti nelle migliori orchestre degli Stati Uniti. Oggi la percentuale ha raggiunto il 35%. Con delle eccellenze. Nei suoi oltre 180 anni di vita, la New York Philharmonic ha fra i suoi componenti più donne che uomini. Racconta il New York Times di quando, nel 1962, l'orchestra si spostò al Lincoln Center dove non esisteva nemmeno lo spogliato per le donne. La prima sarebbe arrivata nel 1966. Il cambiamento è stato facilitato dall’introduzione delle cosiddette audizioni cieche. Durante le audizioni la commissione responsabile della selezione non può vedere se la persona candidata è un uomo o una donna: una semplice tenda copre il palco. Dietro un paravento, la tenda o il sipario non si possono vedere genere, età, colore della pelle. Conta solo il talento. Le audizioni cieche non ebbero subito molto successo. Il risultato cambiava, ma non di molto. L'80% degli assunti erano sempre uomini. Poi arriva il colpo di genio. Il telo rimane ma si decide di far togliere le scarpe ai candidati. Il tacco di una scarpa da donna è troppo riconoscibile. Si suona a piedi nudi. E il risultato è davvero stupefacente. La maggioranza degli orchestrali scelti, se suonano scalzi dietro un paravento, sono donne. Questa è la vecchia storia.
“La morale invece è sempre la solita: le donne per essere competitive devono nascondere la loro femminilità.”
E questo, ieri come oggi, è inaccettabile. Il Global Gender Gap Report 2023 del World Economic Forum posiziona l’Italia al 79esimo posto in termini di differenze di genere su 146 Paesi analizzati, segnando una perdita di 16 posizioni rispetto al 2022. L’Italia, tanto per essere chiari, è molto lontana dagli altri Paesi dell’eurozona. Lo stesso Global Gender Gap Report 2023 evidenzia ad esempio, a livello mondiale, una bassa presenza di lavoratrici nelle professioni scientifiche, tecnologiche, ingegneristiche e matematiche (sono solo il 29,2%) e in particolare evidenzia la criticità di questa disparità nel settore dell’intelligenza artificiale. Risultato? “Quando le prospettive, le esperienze e le intuizioni delle donne non vengono adeguatamente incorporate nello sviluppo e nell’implementazione dell’AI, è possibile che si perpetuino algoritmi e tecnologie distorte, con il rischio di soluzioni distorte e non ottimali alle sfide emergenti“.
Molte aziende si stanno ponendo come obiettivo la parità di genere attraverso pratiche di blind recruitment. Vengono cancellate dal CV dei candidati informazioni essenziali come nome, genere, età ed educazione, per eliminare così ogni possibile pregiudizio. Insomma, per competere non serve solo il talento, dobbiamo anche giocare a nascondino. Scalzi.
di freschezza, biodiversità e benessere
p/51
LE MARCHE, BUONE E PLURALI ANCHE A TAVOLA
p/59 RICETTARIO
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OHI VITA
Lo Yogurt greco ha due nuovi gusti: fragola e pesca
Le migliori ricette ispirate dalle storie di Mi Alimento
Mi Alimento
Anno 2 | Numero 2 - 2024
Periodico di proprietà di VéGé Retail s.r.l.
Edito da Mediaformat Comunicazione s.r.l
Direttore Responsabile
Paolo Marcesini
COMITATO DI REDAZIONE
Giorgio Santambrogio, Francesca Repossi, Eleonora Matteucci.
Coordinamento editoriale per VéGé Retail s.r.l.
Eleonora Matteucci
HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMERO:
Andrea Begnini (redazione), Antonio Battaglia, Carlotta Bonsegna, Laura Colleo, Sirio Fusani (graphic design), Luisa Mantero (digital), Nicolò Pistone, Davide Vivaldi (redazione)
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Mi Alimento/ Supplemento di VéGé Per Voi
E FINALMENTE... SIAMO ALLA FRUTTA !
di Andrea Begnini
IL GIRO D'ITALIA DI MI ALIMENTO,
DAI MIRTILLI ALLE MELE TRENTINE,
DAI LIMONI CAMPANI ALLE MANDORLE,
DAI CEDRI AI FICHI D'INDIA SICILIANI.
UNA BIODIVERSITÀ CHE NEL NOSTRO
PAESE RACCONTA STORIE, TRADIZIONI E
LEGAMI MILLENARI, APRENDO PERCORSI
DI BENESSERE ALL'INTERNO DI UNA
DIETA EQUILIBRATA E DI STAGIONE.
BUONA E SOSTENIBILE
ANCHE PER L'AMBIENTE.
L’Italia, lo sappiamo, è l’unico Paese al mondo con oltre 5500 prodotti alimentari tradizionali censiti e 326 prodotti riconosciuti con la DOP (Denominazione di Origine Protetta), l'IGP (Indicazione Geografica Protetta) o la STG (Specialità Tradizionale Garantita) nel settore agroalimentare. Una varietà che ci proietta al vertice in Europa per numero di prodotti a indicazione geografica e che racconta di una biodiversità eccellente in tutte le tipologie di alimenti, senza mancare di esprimersi nella frutta. Perché per i quasi 60 milioni di tonnellate di frutta e verdura raccolte in Europa nel 2022 con un valore di 68 miliardi di euro, infatti, i due Paesi che hanno fatto la parte del leone secondo i dati Eurostat sono stati la Spagna e, appunto, l'Italia. Con le sue regioni climaticamente diverse, il nostro Paese offre senza dubbio una varietà di frutti che si adattano ai diversi terreni e alle differenti temperature: dalle nevi delle Alpi alle calde spiagge siciliane, ogni regione vanta specialità uniche nel settore della frutta che riflettono la ricchezza del patrimonio italiano. Castagne, noci e fragole, ma anche limoni, fichi e uva da tavola: la frutta, assieme agli ortaggi, occupa anche il posto principale nella Dieta Mediterranea che indica come riferimento primario proprio il consumo di alimenti di origine vegetale. Mangiare frutta, anche secca e ortaggi garantisce, infatti, un valido apporto di sostanze nutrienti come le vitamine e i minerali, riducendo al contempo l’apporto
calorico proprio perché contengono acqua e fibra che contribuiscono a conferire al nostro organismo un effetto saziante. Inoltre, la frutta è un valido contributo per rompere la fame a partire dalla prima colazione, come negli spuntini fuori pasto. L'importante è, anche, considerare la stagionalità di questo alimento che regala d'estate come d'inverno tante possibilità di scelta. Durante i mesi freddi, ad esempio, arance e mandarini illuminano le tavole con il loro colore vivace e il gusto ricco di vitamina C, ottimi per combattere raffreddori e influenze. Senza dimenticare i kiwi, i cachi e i mandarini, versatili e nutrienti. La primavera in Italia saluta l'arrivo di frutti freschi e succosi, segnando il risveglio della natura. Le fragole diventano le protagoniste delle tavole, amate per il loro sapore dolce mentre gli alberi di ciliegie iniziano a colorarsi di rosso e pesche e albicocche
BUONA, SANA E NUTRIENTE, LA FRUTTA REGALA
D'ESTATE COME D'INVERNO
TANTE POSSIBILITÀ DI
SCELTA: DALLA COLAZIONE
DEL MATTINO FINO ALLO
SPUNTINO ROMPI FAME
IN QUALSIASI MOMENTO DELLA GIORNATA.
fanno la loro comparsa portando dolcezza e nutrimento. Poi, ecco l'estate italiana, un vero e proprio trionfo di sapori e colori, grazie alla varietà di frutti come meloni e angurie che diventano i veri protagonisti delle giornate calde offrendo freschezza e idratazione grazie al loro elevato contenuto d'acqua. I fichi, dolci e nutrienti, le pesche e le nespole, con la loro polpa succosa e aromatica, contribuiscono in questa
stagione a rendere la dieta più varia e piacevole, portando con loro i sapori e i colori dell'estate italiana. Ecco, quindi, a voi un viaggio nella ricchezza e nella biodiversità alimentare del nostro Paese per promuovere e sostenere il benessere della frutta e il suo consumo stagionale così importante anche per la salute del nostro pianeta.
FRUTTA D'ITALIA
PATRIMONIO DI FRESCHEZZA, BIODIVERSITÀ E BENESSERE
BASILICATA
La Basilicata e il sapore antico della terra dei fichi
La pianta offrì un rimedio alla vergogna del peccato e le sue grandi foglie costituirono il primo indumento della Storia. “Stare seduti sotto l'albero del fico” è un'espressione che, nella tradizione ebraica, indica un contesto di pace, armonia e serenità. Così come “cogliere i fichi in vetta”, oggi, significa comportarsi in modo rischioso e sventato.
Platone era un goloso estimatore dei fichi e li considerava frutti capaci di irrobustire l'intelligenza, tanto da raccomandarne l'assunzione ad amici e studenti. Un genio del marketing di altri tempi. E secondo il mito, niente di meno che della fondazione di Roma, Romolo e Remo furono allattati dalla lupa proprio sotto l'ombra di un fico ruminale. Insomma, un albero e un frutto dal forte valore simbolico, ma non solo.
Originario del Medio Oriente, attualmente la sua produzione su larga scala si trova nei Paesi affacciati sul Mediterraneo. Ma attenzione, perché il fico è un frutto che, immediatamente dopolaraccolta,presentaunarapidadeperibilità,nonresistenteailunghitrasportirefrigerati.
In Italia, da luglio a settembre, periodo di maturazione, è facile trovarne soprattutto tre varietà: il Verdino, dalla buccia verde e dalla polpa dolce e rossastra; il Brogiotto, che si differenzia per la buccia il cui colore tende al viola scuro; e il Dottato, la cui buccia è di un verde molto chiaro e che solitamente viene raccolto ed essiccato.
In Basilicata, date le favorevoli caratteristiche del terreno legate alla sua produzione, ne sono state coltivate alcune varietà che rischiavano l'estinzione. Lì, la devozione per il fico è talmente radicata che nel borgo di Miglionico, nel mese di settembre, si svolge la “sagra dei
fichi secchi”, evento che celebra la gastronomia dedicata a questo meraviglioso sapore antico.
Fruttodolcepereccellenza,ilficoèun'ottimafonte di fibre, di potassio, calcio, manganese e vitamine del gruppo B. Di conseguenza è un ottimo rimedio naturale per il buon funzionamento del sistema digestivo, nervoso e immunitario. Inoltre aiuta a salvaguardare il benessere delle ossa, della pelle e degli occhi.
In cucina lo possiamo preparare in tante versioni: crudo, e accompagnato da qualche fetta di prosciutto crudo, significa apprezzare la morbidezza della polpa e godere del sapore risultante dalla fusione di dolce e salato. Un'icona della semplicità della tradizione. Protagonista del ripieno di torte dolci fatte in casa, oltre alla classica marmellata, può presentarsi anche come ingrediente per insalate di frutta e verdura, oppure come condimento per la pasta, unito al formaggio e alle noci.
Una vera prelibatezza per il palato e un utile alleato per il nostro benessere.
RICETTA
Roselline
di prosciutto crudo, fichi e pecorino
photo courtesy by: RitaE@pixabay
In Abruzzo, dove applaudire alla meravigliosa stagione delle mandorle
Quando fioriscono, i mandorli sono talmente scenografici che tutto ciò che li circonda passa in secondo piano. Un'esplosione di fiori bianchi tendenti al rosa si impone alla nostra vista e tutto il resto rimane sfocato. Cinque centimetri di diametro associati a cinque petali. E noi non possiamo che inchinarci di fronte alla potenza della primavera e alla bellezza che la natura fornisce.
In Italia la maggiore coltivazione di mandorle si sviluppa soprattutto al sud, ma in Abruzzo a questo frutto, prodotto spontaneamente, è stato riconosciuto il marchio “prodotto agroalimentare tradizionale”. Parliamo delle Mandorle di Navelli, Comune in provincia dell'Aquila situato su di un colle sull'omonimo altopiano, che rappresentano l'autenticità della tradizionale produzione locale, tipicamente italiana.
Piante, fiori, frutti, benessere. Una fantastica pièce teatrale offerta dalla natura. Il primo atto avviene tra febbraio e marzo, periodo di fioritura. Dopo l'inverno, l'aspettativa della rinascita rinfranca i cuori, e noi, spettatori entusiasti, assistiamo meravigliati alla rappresentazione che si svolge su questo splendido palcoscenico naturale. Qualcuno addirittura si commuove, perché ammirare quel trionfo di fiori portatori di vita stimola una emotività incontrollabile. Lo
scrittore Antonio Tabucchi una volta ha scritto: “E sotto i mandorli, a volte, come ci insegna la saggezza cinese, si possono ricordare i ricordi di un altro”.
Il secondo atto si apre tra fine luglio e settembre, periodo in cui gli alberi di mandorlo permettono la raccolta e l'assaggio dei loro frutti; azione, quest'ultima, che suscita standing ovation e recensioni a cinque stelle. Poi il sipario si chiude e questi straordinari artisti “naturali” si ritirano per godersi il meritato riposo, fino alla primavera successiva.
E noi rimaniamo con le mandorle, ovvero i semi caratterizzati da un guscio legnoso rivestito da un mallo verde, e con le loro ottime proprietà nutrizionali. Appartengono alla categoria della frutta secca in guscio e sono ricche di macro e micronutrienti, cioè proteine, grassi buoni, magnesio, manganese, fosforo, vitamine E e B2, rame e antiossidanti. La loro assunzione comporta il miglioramento della glicemia e della colesterolemia, il mantenimento di una flora batterica intestinale sana, un contributo alla prevenzione dell'osteoporosi e dell'anemia
RICETTA
Latte di mandorle
e una buona dose di energia ad alto contenuto saziante, indicata anche per chi desidera perdere peso. Solitamente se ne consiglia un consumo giornaliero di circa 30 grammi.
Ottime anche gustate da sole, possono accompagnare yogurt e frutta fresca oppure, se tritate, possono costituire l'impasto di torte dolci.
O ancora, in forma di crema farciscono crêpes e pancake, e infine, se spremute in acqua, se ne può gustare il dolce e profumato latte.
IN VENETO, DOVE OGNUNO TROVA LA SUA PESCA
Che sia a polpa gialla, dalla spiccata succosità e con una piacevole nota acidula, o a polpa bianca, più soda e dolce, ottima da mangiare in purezza, oppure ancora nettarina – anche detta “pesca noce” – apprezzata per la sua buccia completamente liscia che mette d'accordo anche i palati più delicati, l'estate veneta ha il sapore di pesca. E qualsiasi siano le preferenze, in Veneto ognuno può trovare la pesca giusta.
A partire dalla Pesca di Verona IGP, che si trova nelle varietàapolpabianca,apolpagiallaenettarinaapolpa gialla, ed è caratterizzata da una colorazione molto intensa e brillante, una polpa consistente e gustosa e un sapore dolce. L'origine di questo frutto è molto antica: basti pensare che Plinio il Vecchio, nel I secolo d.C., ne parlava, chiamandola “pomo della lanugine" per via della sua tipica buccia vellutata. In Veneto, le peschefannopartedatempodell'economiaregionale, come attesta il motto diffuso dal quotidiano L'Arena di Verona nel 1934, in occasione della mostra annuale dedicata alle pesche, che recitava: “mangiate le squisite pesche di Verona”. In effetti, questa specifica pesca, proprio grazie alle sue proprietà rinfrescanti e dissetanti, è particolarmente indicata per le calde giornate estive. Inoltre, il suo gusto rotondo e avvolgente la rende adatta sia ad essere consumata fresca sia ad essere trasformata in dolci, succhi e confetture, così come ad essere conservata immersa nello sciroppo di acqua e zucchero.
Tra le altre cultivar di pesche venete, le antiche varietà di pesche di Mogliano Veneto (TV) rappresentano sicuramente una chicca. Queste pesche, oggi, vengono coltivate soltanto per l'autoconsumo, ragion per cui sono entrate a far parte dell'Arca del Gusto di Slow Food, così da tutelarne la produzione. Dalla
RICETTA Bellini VENETO
polpa bianca e fondente, il profumo intenso e la buccia brillante e ricca di sfumature, dal bianco al rosso, fino al violaceo, pare furono proprio queste particolari pesche ad essere utilizzate da Giuseppe Cipriani, barman che nel 1948 ideò il celebre cocktail Bellini all'Harry's Bar di Venezia.
Frutto ipocalorico, composto al 90% da acqua e contenente diverse sostanze utili per il corretto funzionamento del nostro organismo quali sali minerali (soprattutto magnesio, fosforo, potassio e calcio) e vitamine (A, C e alcune del gruppo B). Grazie al potassio di cui è ricca, la pesca ha buone proprietà diuretiche, contribuendo così all'eliminazione delle acqua in eccesso e delle tossine. Inoltre, la polpa è ricca di flavonoidi, antiossidanti naturali che aiutano a contrastare gli effetti dei radicali liberi sulla pelle, stimolando la produzione di collagene e quella di sebo, utili anche a mantenere i capelli morbidi e lucenti.
Gli utilizzi gastronomici delle pesche possono essere svariati. Al di là del consumo in purezza, che rimane uno dei modi migliori per apprezzare appieno il sapore unico di questo frutto, il loro uso in pasticceria è decisamente tra i più gettonati: torte, bavaresi, mousse e tante altre sollecitazioni di gusto. Oppure, per i più audaci, le pesche possono essere perfette in abbinamento ad alcuni piatti salati, come un bel gazpacho di pesche con il pesce spada, una tartare di gamberi rossi, o un'insalatina di polpo.
QUEL DOLCE ACIDULO E SUCCOSO DELLE VISCIOLE MARCHIGIANE
Ilterritoriomarchigiano,chesiestendetraAppenninie
Mare Adriatico – confini rilevanti sia geograficamente sia culturalmente –, è contraddistinto da uno stretto e felice legame con le influenze delle Regioni vicine – Romagna, Toscana, Umbria e Abruzzo – con cui condivide affinità di tradizioni culinarie, ma dalle quali si distingue per un vario e pregevole patrimonio di prodotti e particolarità locali, permesso dalla differenza di caratteristiche ambientali che lo compongono.Grazieappuntoallavarietàdeipaesaggi marchigiani, la diffusa coltura ortofrutticola non ha nulla da invidiare alle rinomate tipicità della pastorizia, della pesca, dell’allevamento e della norcineria di questa regione.
Tra le tante primizie del territorio, ecco un frutto assai peculiare: la visciola, sorta di amarena selvatica del Prunus Cerasus (noto comunemente come “ciliegio montano”, “ciliegio aspro” o “ciliegio acido”), un albero originario di est Europa e Caucaso importato in Italia nel I secolo a.C.
Il terreno argilloso e calcareo della zona di Cantiano e delle circostanti comunità montane del Montefeltro, del Catria e Nerone, del Catria e Cesano e dell’Alto e Medio Metauro – tutte in provincia di Pesaro e Urbino – si è rivelato essere ideale per la dimora spontanea degli arbusti di questa particolare varietà di amarena, che in primavera si rivestono di numerosi e profumatissimi fiori bianchi. Alla fioritura – che, per quanto duri un paio di settimane appena, sa regalare una scenografia che rimane impressa nella memoria –segue la comparsa di frutti color rosso acceso, la cui
raccolta avviene nei mesi di giugno, luglio e agosto. Di dimensioni più ridotte rispetto alle “cugine” ciliegie, presentano un’elevata percentuale di vitamina C e di vitamina B (molto più delle ciliegie) e di minerali come potassio, magnesio, fosforo e calcio, oltre a possedere numerose proprietà benefiche: sono una fonte naturale di melatonina – che aiuta a regolare l’importanteciclodisonnoeveglia–,svolgonofunzioni depurative e disintossicanti e hanno diverse proprietà antinfiammatorie, antiossidanti e antireumatiche. Ma il loro aspetto più singolare – che è anche il motivo principale per cui sono tanto apprezzate –risiede soprattutto nel sapore, molto caratteristico: le visciole sono infatti dolci ma acidule al contempo. Una nota agrodolce che valorizza i gusti forti della selvaggina di pelo e di piuma, o bolliti e stufati, e che è particolarmenteindicataperlapreparazionedisucchi, sciroppi, marmellate e liquori, da utilizzare come guarnizionepercreme,gelatieprodottidipasticceria.
Prima di essere utilizzate in cucina, tradizionalmente le visciole vengono sottoposte a essiccazione naturale al sole disponendole su ampi setacci finché non raggrinziscono, oppure cotte con zucchero e spezie (come cannella e chiodi di garofano) per poi essere trasferite in vasetti di latta o di vetro sterilizzati, dove possono essere conservate per il resto dell’anno e impiegate all’occorrenza, anche solo per ottenere una bevanda (o un aperitivo) colorato e rinfrescante.
RICETTA
VIsciole al sole
In Calabria, dove cresce il cedro perfetto per il corpo e lo spirito
Le sue lontane origini orientali si perdono nella notte dei tempi, ma sappiamo con certezza che fu introdotto nel bacino del Mediterraneo intorno al III secolo avanti Cristo. Testimone ne fu il filosofo greco Teofrasto, amico e allievo di Aristotele, che nell'opera Ricerca delle piante ne descrisse le caratteristiche. Parliamo del cedro, che nel mondo della frutta riveste un'importanza capitale. Ritenuto il capostipite degli agrumi (oltre al pomelo e il mandarino) da cui derivano le numerose varietà della specie, risultati di innesti, è anche un frutto dal forte valore simbolico, che la tradizione ebraica tuttora onora con devozione. Il cedro riveste infatti un ruolo chiave nella celebrazione della festa di Sukkot (o festa delle capanne), una delle più importanti dell'ebraismo. La liturgia prevede che il capo famiglia, durante la preghiera, impugni il “Lulav”, cioè un fascio di rami di mirto, salice e palma, in una mano e un cedro nell’altra, a forma di cuore umano, che simboleggia la perfezione a cui deve puntare l'uomo per avvicinarsi a Dio.
“Perì 'etz hadar” che tradotto letteralmente dall'ebraico significa “il frutto dell'albero più bello”. Questa particolare varietà di cedro, tanto cara al popolo ebraico, chiamata “Liscia Diamante”, cresce solo in Calabria lungo la fascia costiera tirrenica conosciuta come la Riviera dei Cedri. Tant'è che ogni anno, ad agosto, questa zona della provincia di Cosenza ospita moltissimi rabbini provenienti da tutto il mondo alla ricerca del cedro perfetto. Una volta selezionati secondo rigorosi criteri estetici, tanto da essere analizzati con la lente di ingrandimento, i cedri faranno lunghi viaggi per essere distribuiti alle comunità sparse per il pianeta e verranno utilizzati, appunto, per il rituale del Sukkot, che si svolge a ottobre.
Simbolo religioso e simbolo di benessere per i benefici che l'assunzione di questo agrume apporta all'organismo umano. Ricco di minerali, vitamina C e fibre, ha proprietà antiossidanti, anti-ipertensive e disinfettanti ed è un ottimo alleato del sistema digestivo e depurativo. I frutti presentano una forma oblunga e ovale e talvolta possono avere delle protuberanze. Il peso di un singolo cedro oscilla tra i 300 e i 600 grammi e il sapore è tipicamente aspro e fresco. In gastronomia ne vengono utilizzate la scorza, escludendo la parte bianca sottostante la buccia, e la polpa. La scorza, molto profumata, può essere grattugiata per condire sughi per la pasta, piatti di carne, pesce e insalate. Risulta gustoso anche tagliato a spicchi per accompagnare fritti e seconde portate. Infine può insaporire torte dolci come crostate e plumcake o spremuto per un ottimo succo dissetante e ricco di vitamina C. Il frutto ideale per lo spirito e per il corpo.
RICETTA
Pasta al cedro
UN ACINO DOPO ACINO, L'UVA DA TAVOLA È L'ORO
DEL LAZIO
Lo stampo popolaresco e contadino della cucina tradizionale laziale, pur da sempre connesso con le usanze del passato nobile e papalino che hanno riguardato nei secoli soprattutto la Capitale, è la caratteristica predominante della gastronomia locale, strettamente legata a una varia e diversificata produzione agricola. Le vaste campagne laziali, infatti, si prestano ottimamente a un’ampia coltivazione ortofrutticola, offrendo saporitissimi ingredienti della terra che ancora oggi rivestono un ruolo di primo piano sulle tavole di questa regione.
Fin dall’antichità, il Lazio ha sviluppato, visto crescere e migliorare, nel corso del tempo, la diffusione della viticoltura, che se da una parte offre una scelta enologica di tutto rispetto, dall’altra propone una varietà di uva da tavola particolarmente ricercata e gustosa: l’uva pizzutello o pizzutella (conosciuta anche come “uva corna”), così chiamata per via della forma pronunciatamente “pizzuta” (“allungata”, in dialetto romanesco) degli acini. Prodotta in alcuni Comuni della provincia di Roma (tra cui Tivoli) e di Latina, la sua raccolta comincia ad agosto e si protrae sino all’autunno inoltrato.
La pizzutella si presenta a grappoli abbastanza grossi di forma cilindrico-piramidale, ha acini allungati, quasi appuntiti, che all’interno contengono pochi e piccoli semi – i cosiddetti vinaccioli, da cui si ricava l’olio omonimo –, buccia sottile costituita da cellulosa e leggermente rivestita di pruina (la sostanza cerosa protettiva che ricopre i frutti), polpa succosa dal sapore vanigliato, consistenza resistente e croccante e una colorazione che è più diffusamente gialla ma
anche violacea nella varietà settembrina.
Ricca di acqua e di zuccheri (fruttosio e glucosio), l’uva contiene, tra l’altro, vitamine (A e K), minerali (potassio), flavonoidi e acido tartarico che svolgono molteplici funzioni in grado di favorire il benessere dell’organismo con proprietà depurative e diuretiche, facilitando anche la digestione.
Il consumo alimentare allo stato fresco e in spremuta di questo frutto – come raccontato anche da Plinio il Vecchio nella sua monumentale Naturalis Historia nel I secolo d.C. – si perde nella notte dei tempi e, se è certamente vero che a tutt’oggi l’uva da tavola si consuma principalmente così com’è, un acino dopo l’altro, ugualmente è diffuso e apprezzato, oltre che ovviamente nelle svariate declinazioni di utilizzo dolciario, il suo abbinamento in riusciti accostamenti culinari in versione salata, insieme a salumi e formaggi o a secondi di carne (dal brasato di manzo alla faraona arrosto, dalla selvaggina al fegato). Ma, anche, semplicemente per arricchire insalate di erbe di campo selvatiche (la rinomata misticanza laziale), magari rinforzate da formaggi saporiti e semi oleosi (come noci o mandorle), o contorni di verdure a foglia come indivia o scarola, il cui sapore amarognolo crea un contrasto particolarmente gustoso con il dolce dell’uva.
RICETTA
Insalata di misticanza con uva e feta
DAI BOSCHI DELL'UMBRIA UN GIOIELLO PER TUTTE LE STAGIONI: LA CASTAGNA
Piccolaeraccoltaregionecustoditaall’internodell’Italia centrale, l’Umbria è caratterizzata da una civiltà agricola millenaria che si riflette nella sua tradizione gastronomica, pregiata da preparazioni e prodotti semplici e rustici e, proprio per questo, goduriosi e squisiti. Terra di boschi, sottoboschi, vigneti e foreste che regalano un meraviglioso ventaglio di colori caldi, dalle mille sfumature tra il giallo ocra e il rosso acceso, e meta di pellegrinaggi spirituali, presenta un habitat unicochesipuòapprezzareintuttelestagionianchese, per via delle sue particolari caratteristiche ambientali, la stagione autunnale può considerarsi come una primavera da queste parti. Si può passeggiare tra il variopinto foliage di castagni, veri e propri monumenti secolari della natura in gran parte della regione, ma è soprattutto nella zona compresa tra Montecchio, Melezzole e Morre, sul versante settentrionale dei monti Amerini, nella provincia di Terni, che i boschi offrono la possibilità di raccogliere i loro gustosi frutti, immancabili sulle tavole umbre. Spesso nascosti dal fogliame, i ricci spinosi che racchiudono quella sorta di mandorla amidacea e farinosa che è la castagna si schiudono tra ottobre e novembre, proprio quando il frutto che racchiudono giunge a maturazione.
Presente in tutto il bacino del Mediterraneo e apprezzata per i suoi numerosi benefici già nell’antichità, la castagna si è diffusa in modo così vasto in questa zona grazie ai monaci benedettini e
camaldolesi, che fin dal Medioevo hanno apportato grandi miglioramenti alla coltura dei castagni. Le castagne che si trovano in questi boschi sono una varietà particolare, che presenta alcune differenze rispetto a tipologie presenti in altre aree: sono più grandidellamedia,hannopolpachiaraspiccatamente dolce e pellicola interna ben aderente alla polpa. Essendocompostedaunabassapercentualediacqua e da un alto contenuto di carboidrati, rappresentano da sempre un alimento di estrema importanza per le classi meno abbienti, per cui nel passato sono state a lungolaprincipalefontedisussistenza,soprattuttoin considerazionedelloroaltovaloreenergetico,oltreal fatto che erano facilmente reperibili in natura. Con il succedersi dei tempi e della storia, le castagne hanno trovato una rivalutazione generale, elevandosi a ingrediente sfizioso e ricercato sulle tavole più ricche ed elaborate.
Ricche di sali minerali (fosforo, magnesio, potassio, calcio), che contribuiscono al buon funzionamento dell’apparato cardiovascolare e neuromuscolare, forniscono inoltre un buon apporto di vitamine (A, B, C, D) e di fibre. Nutrienti e versatili, le castagne si possono consumare in tanti modi e sotto tante forme: intere – lessate o arrostite –, in purea o candite per preparazioni sia dolci sia salate – dalla semplice confettura a capolavori di alta pasticceria, dal crostino abbrustolito su cui adagiare una fettina di lardo a farce per arrosti o selvaggina – o ridotte in farina, da utilizzare per pani, minestre e polente.
RICETTA
Zuppa di ceci e castagne
FRIULI VENEZIA GIULIA
L'olivello e le altre piccole meraviglie del Friuli Venezia Giulia
Alconfinenord-orientaledell'ItaliasitrovailFriuliVeneziaGiuliache,cometuttele zonediconfine,combinatradizioninazionaliconusanzedellepopolazionilimitrofe, creandounmixunicodiprodottiepreparazioniinedite.Nellazonamontuosadella Carnia,condivisatraFriulieSlovenia,l'abbondanzadiboschihaportatogliabitanti del luogo a sviluppare tutta una serie di lavorazioni che permettono di utilizzare al meglio le materie prime di cui il bosco è naturalmente ricco. Tra queste, una posizionedispiccolarivestonosenz'altrolebaccheeicosiddetti“piccolifrutti”(o “fruttirossi/fruttidibosco”)chesonopresentiinnumerosericettedellatradizione friulana.
Qui, oltre a mirtilli, ribes, more e lamponi, si trovano anche alcune bacche più insolite, come l'olivello spinoso. Un frutto dalle incredibili proprietà poiché contiene carotenoidi, antiossidanti, minerali e polifenoli e, inoltre, ricchissimo di acidi grassi naturali (Omega 3, 6, 9 e i rari Omega 7). L’olivello ha una percentuale di vitamina C rispetto al peso superiore anche a quella degli agrumi, nonché alti livelli di vitamina E. Con questi piccoli frutti si producono sciroppi e marmellate moltoversatiliincucina.Adesempio,nellamarmellata(ocrema)diolivellospinoso e mele, la quantità di zucchero viene tenuta molto bassa durante la preparazione, cosicché, da una parte, si preserva il sapore della frutta e, dall'altra, si ottiene una salsaperfettaperaccompagnarelecarnibollite.
A prescindere dalla percentuale di zucchero e dalle tipologia di frutta selezionate, le marmellate di mirtilli, fragole, lamponi, e frutti di bosco sono registrate come Prodotti Agroalimentari Tradizionali (PAT) regionali, così come diversi sciroppi quali lo Sciroppo di olivello spinoso PAT e lo Sciroppo di piccoli frutti PAT. Tutte queste preparazioni derivano dalla volontà di prolungare la vita di questi prodotti altamente deperibili, trasformandoli di modo da poterne consumare ancheduranteilperiodoinvernale.
Una delle borgate friulane più celebri per i piccoli frutti che crescono spontaneamente tra le sue montagne è Avasinis in provincia di Udine, tanto famosa da essere conosciuta come il “paese del lampone e del mirtillo”. Le peculiari caratteristiche morfologiche dei terreni di quest'area conferiscono ai frutti di bosco che vi crescono sentori unici che li hanno resi celebri ben oltre il loro luogo d'origine. Nel 1871, nella vicina Gemona, aprì la Fabbrica di Sciroppo di Lampone Falomo che, per quasi un secolo, ha prodottounosciroppoapartiredailamponilocali considerato tra i migliori d'Italia – tanto che, pare, fosse apprezzatissimo nientemeno che da GabrieleD'Annunzio.
Come si diceva, tali preparazioni sono rinomate per la loro versatilità, oltreché per il loro gusto eccezionale. Pertanto, salse e marmellate di frutti rossi possono esaltare secondi a base di carne, bollita o arrosto, così come si sposano perfettamenteconlaselvaggina(specieimirtilli).
Ma va da sé che con questi preziosi doni del bosco si possono preparare moltissimi dolci: dalla cheesecake al gelato, dalla tipica crostata morbida della Carnia, con crema al limone e frutti rossi, ai mitici cjalsons, dei ravioli (dolci o salati) variamente ripieni, generalmente contenenti frutti di bosco, pangrattato, zucchero, cannella e scorzad'arancia.
RICETTA
Marmellata di olivello spinoso e mele
LA NOCE, IL FRUTTO CHE CONDISCE IL MEGLIO DELLA VALLE D'AOSTA
I maestosi alberi di noce troneggiano sui pendii boscosi della Valle d'Aosta. Oggi, questi alberi sono ricercati soprattutto per il loro pregiato legno, ottimo per la realizzazione di mobili di alta qualità o come materia prima per lavorazioni artigianali di varia natura. Un tempo, tuttavia, dall’omonimo frutto – la noce – si ricavava l'olio, produzione ancora presente sul territorio, ma che per anni ha rischiato di scomparire. In quest'area montuosa e così lontana dal Mediterraneo non crescono ulivi, ed essendo l'unica regione d'Italia a non produrre olio di oliva, i valdostani hanno dovuto trovare una valida alternativa con le materie prime a loro disposizione.
Le noci, infatti, sono ricche di grassi dai quali, tramite pressatura, è possibile estrarre un olio eccellente ma dalla lavorazione complessa (per non parlare del fatto che, per produrre un litro d'olio, servono circa tre chili di gherigli di noci puliti). L'olio di noci – o huile de noix – ottenuto tramite spremitura a freddo, così da mantenereinalteratelecaratteristicheorganolettiche del frutto, è riconosciuto come Prodotto Agroalimentare Tradizionale (PAT). Il suo gusto inconfondibile lo rende perfetto per accompagnare innumerevoliprelibatezzelocali:usatoesclusivamente acrudo,èottimoconlacarnecrudaeconilpesce,così come assieme alle verdure grigliate o per esaltare i formaggi freschi e dal sapore delicato.
A livello nutrizionale, le noci abbondano di grassi polinsaturi, utili per il corretto funzionamento del sistema cardiovascolare e per la regolazione del colesterolo. Le noci, inoltre, sono fonte di Omega-3 (acido alfa linoleico) e di antiossidanti, utili per contrastare l'invecchiamento cellulare. Tra i sali minerali, le noci abbondano di potassio,
magnesio e calcio, sostanze coinvolte in alcuni processi fondamentali del nostro organismo come la regolazione della pressione sanguigna e la reattività vascolare.
In cucina, il sapore inconfondibile delle noci si presta agli abbinamenti più disparati, e la cucina valdostana nefalargouso,siainpurezzacomeaccompagnamento agli ottimi formaggi locali sia come ingrediente per diverse preparazioni gastronomiche. Tra le ricette tradizionali, non possiamo non citare alcuni pani dolci natalizi.Comeilflantze,dolcerusticoabasedifarinadi segale,burro,nocieuvapassa;olamicòoula(inpatois: “pane piccolo e speciale”), preparazione tradizionale a base di farina di castagne arricchita con fichi, noci e uvetta, talvolta anche scaglie di cioccolato, che oggi fa parte dell'Arca del Gusto di Slow Food.
Altro prodotto particolarissimo, praticamente sconosciuto all'infuori dei confini regionali, è lo troillet, ovvero quel che rimane dalla spremitura delle noci. Un residuo color nocciola e dalla consistenza granulosa, da molti considerato un sottoprodotto, utile al più a sfamare le galline, ma che in realtà contiene tutta l'essenza concentrata delle noci ed è indicato per molteplici usi in cucina. In passato, veniva consumato percolazione,ammollatonelcaffelatte;oggi,invece,lo sipreferiscecomecondimentoperleinsalateabasedi cicoria o tarassaco, o per la preparazione del pesto di troillet e salvia, ottimo da spalmare sui crostini.
SARDEGNA
LE INCREDIBILI PERE DELLE SARDEGNA
Il territorio aspro e selvaggio (o meglio selvatico) della Sardegna riflette una moltitudine di colori, odori e sapori, sia esso costiero o montano (per quanto l’anima autentica e tradizionale di questa terra si trovi nell’entroterra rurale più che nei pressi delle –comunque bramatissime – coste dal mare variopinto e cristallino). Anche per via del suo isolamento, della distanza con il “continente”, come i sardi chiamano il resto del Paese, questa regione non importa quasi nulla da fuori: si accontenta – per usare un eufemismo – dei numerosi e prelibati prodotti ortofrutticoli che la contraddistinguono. Vista la marcata impronta ancestrale che ancora oggi caratterizza quest’isola, può sembrare quasi scontato parlare di uno dei frutti tra i più antichi che il territorio italiano offre (e di cui è il maggior produttore europeo) – ovvero la pera –, ma in Sardegna ne esistono alcune specie autoctone dalle caratteristiche uniche che è bene conoscere.
La pera Camusina, raccolta tra giugno e luglio, è una pera rustica particolarmente piccola, con buccia giallo-verde arrossata sul lato più esposto al sole, consistenza soda e succosa e sapore molto dolce. La pera Olzale, dalla buccia dura e coriacea, che a piena maturità assume una tonalità molto scura, quasi nera, e un sapore astringente e asprigno, non viene invece consumata appena raccolta, ma è lasciata riposare a lungo tra la paglia in modo da far ammorbidire la polpa e permettere all’elevata percentuale di tannini di trasformarsi in zuccheri, rendendola più gradevole al palato. Viene chiamata “pera della longevità” perché le sue caratteristiche organolettiche pare abbiano un legame con la vita ultracentenaria frequentemente riscontrabile in Sardegna.
La pera mandorlino ha dimensioni che possono variare tra 1,5 e 4 cm di diametro e una buccia che assume tonalità dal giallo-verde al bruno-giallognolo tendente allo scuro, è aspra, si raccoglie a ottobre-novembre
e viene consumata a piena maturità, quando la polpa diventamenotannicaepiùdolce.Infine,laperaselvatica sarda, chiamata pirastu in dialetto (probabilmente per assonanza con il maestoso albero che la produce, il Pyrus pyraster, da cui discendono i peri abitualmente coltivati), si raccoglie a fine estate/inizio autunno, ha forma rotondeggiante, un po’ schiacciata, e una buccia verde da acerba e rugginosa a maturazione.
La polpa, croccante, granulosa e piuttosto resistente, non si presta molto per il consumo a crudo, pertanto si predilige cuocerla in acqua o vino, con aggiunta di zucchero e spezie, come cannella o chiodi di garofano.
Queste varietà di pere, più povere di zuccheri e di calorie rispetto a tante altre tipologie dello stesso frutto, sono però ricchissime di vitamine, sali minerali, acidi organici (come acido malico e acido citrico) dal potere energetico e fibre.
Quale che sia la pera prescelta, si utilizza per svariate preparazioni, seguendo ancora oggi antiche ricette tradizionali: dalla mostarda alla conserva, dalla pilarda de pira (pere divise a metà e lasciate asciugare e maturare all’aria aperta, sotto il sole estivo, per una decina di giorni o più finché avvizziscono e il fruttosio emerge in superficie caramellandole naturalmente) alle pire in cuffittu (i frutti, disposti in grandi vasi, si coprono con acqua che ha bollito con aceto e si conservano al buio).
RICETTA
Pere al forno con ricotta, noci e miele
CAMPANIA
I limoni, l'oro giallo della Campania
Sole, clima mediterraneo, terreni scoscesi che l'uomo, eroicamente, è riuscito a destinare all'agricoltura, valorizzandone la fertilità. La Costiera Amalfitana, la Penisola Sorrentina e l'isola di Procida sono la patria della produzione dei limoni dove, a due delle tre varietà tipiche del territorio, è stato riconosciuto il marchio IGP. In questa area i limoneti vengono chiamati “giardini di limoni” e il profumo che i frutti emanano da febbraio a ottobre colma l'aria di inconfondibili note agrumate. I terrazzamentiapiccosulmare,latemperaturamite,ilsalmastroel'estremapassione dei coltivatori costituiscono i fondamenti di ciò che i limoni campani rappresentano: un'eccellenza nazionale e internazionale.
Il Limone Costa d'Amalfi IGP, detto anche “sfusato”, ha una forma affusolata e un colore giallo chiaro e in media pesa almeno 100 grammi. La buccia è spessa, rugosa e molto profumata, tanto che, da tradizione, viene impiegata per la produzione del limoncello.
Il Limone di Sorrento IGP ha dimensioni di media grandezza, un peso che non deve essere al di sotto degli 85 grammi, una forma ellittica e una polpa ricca di succo, particolarmente indicata per la preparazione di spremute e per condire sia le portate
di mare che i dolci. Il Limone di Procida, anch'esso di dimensione medio-grande, visto l'importante spessore dello strato bianco e spugnoso sottostante la scorza, viene soprannominato “limone pane” e, oltre a essere utilizzato come condimento, non pochi lo gustano anche tagliato a fette.
L'oro giallo della Campania è un frutto rinomato per leproprietàbeneficheche,seassuntoregolarmente, offre al nostro organismo. Dato che abbonda di sostanze nutritive come la fibra, il potassio e la vitamina C, insieme alla vitamina E, al beta carotene e ai flavonoidi, è un potente antiossidante e contribuisce al buon equilibrio dei tessuti e al rafforzamento del sistema immunitario. Inoltre, l'alta percentuale di acidi, tra cui quello citrico, lo rende un ottimo alleato del nostro metabolismo, un antibatterico naturale e un diuretico.
Ma i benefici che il limone è in grado di apportare all'organismo umano non sono certo una scoperta recente.Giànell'XIsecolo,aitempidelleRepubbliche Marinare, gli abitanti di questa fetta della Campania, notinavigatori,l'avevanosperimentatocomerimedio contro lo scorbuto, malattia dovuta alla carenza di vitamina C. Il suo utilizzo si rivelò talmente efficace che divenne una scorta necessaria per le navi, la cui richiesta di provviste arrivò, fino al XIX secolo, anche da territori molto lontani, soprattutto nord-europei.
Ritornando al presente, oggi possiamo goderci le proprietà di questo agrume, associandole a un non meno importante obiettivo: il piacere sensoriale. Il limone è capace di esaltare il gusto di primi piatti di pesce e frutti di mare, come gli scialatielli al limone con bufala e mazzancolle o le linguine con vongole e limone, o di secondi piatti a base di carne rossa e bianca come le scaloppine o il pollo al limone e i contorni come le patate marinate in olio e limone. Per non parlare del dessert, dove il limone è il protagonista di torte fatte in casa, come il “Dolce di Amalfi”, accompagnato da un sorbetto e dall'irrinunciabile limoncello.
RICETTA
Il Limoncello
PUGLIA
CERCANDO IN PUGLIA TUTTO IL BELLO E IL BUONO DELLE CLEMENTINE
Si dice che il loro nome derivi da Clemént Rodier, un religioso francese residente in Algeria che, agli inizi del Novecento, si dilettò a innestare diverse varietà di agrumi. Ma questa forse è solo una leggenda. Quello che è sicuro è che le clementine appartengono alla specie dei mandaranci, il risultato dell'innesto tra mandarini e aranci amari.
In Puglia, le clementine hanno trovato un habitat talmente favorevole da essere insignite del marchio IGP.ParliamodelleclementineIGPdelGolfodiTaranto, la cui zona di produzione di riferimento ingloba i Comuni di Palagiano, Palagianello, Massafra, Ginosa, Castellaneta e Statte, tutti in Provincia di Taranto.
Definiti come agrumi ibridi, dalle due varietà progenitricihannoereditatolecaratteristichemigliori. Composti in buona parte di acqua, sono un serbatoio di nutrienti preziosissimi per l'organismo umano quali vitamine (A, B1, B2, B3, C ed E), fibre, potassio, calcio e ferro. Le loro caratteristiche nutrizionali, di fatto, rendono le clementine ottime alleate per rafforzare le difese immunitarie, per combattere l'osteoporosi e per proteggere la vista. Ma non è tutto, perché questi frutti dalle infinite proprietà benefiche favoriscono anche la diuresi, regolano la pressione arteriosa e abbassano il livello di colesterolo nel sangue. Insomma, la loro assunzione quotidiana ci garantisce un notevole grado di benessere. Una buona abitudine? Ricordiamoci di portarne almeno una in borsa o in tasca, da mangiare nei momenti in cui la fame si fa
sentire. Un piccolo gesto per un grande risultato. Quando le possiamo trovare nei supermercati, dai fruttivendoli o nei mercati di quartiere?
I primi frutti iniziano a formarsi intorno alla metà di ottobre e maturano durante tutto l'autunno, per concludere il loro ciclo a febbraio.
La loro tipica forma a sfera è leggermente schiacciata ai poli e la buccia, molto sottile, si presenta di colore arancione tendente al rosso opaco. La polpa è succosa e tenera dal sapore dolce e rinfrescante e inoltre è priva di semi, caratteristica che rende le clementine un frutto amato dai bambini.
Adatte ai climi miti e ben temperati, le coltivazioni più importanti si sviluppano nei Paesi affacciati sul Mediterraneo, dove il sole abbonda e il terreno è argilloso, profondo e drenato, come in Algeria, Tunisia, Marocco, Spagna e, naturalmente, in Italia.
In qualità di frutta fresca, le clementine possono essere gustate a fine pasto o per merenda e spuntino, ma la tradizione gastronomica italiana le utilizza anche come ingredienti per preparati succulenti. La loro scorza può insaporire l'impasto di torte e biscotti, così come la polpa ne può costituire la farcitura, oppure possono rubare la scena come protagoniste di una marmellata o di un sano e rinfrescante succo.
RICETTA
Marmellata di clementine
IL PINOLO TOSCANO, IN UN SEME C'È TUTTO LO SPETTACOLO DEL BOSCO
Del paesaggio toscano sono note e apprezzate in tutto il mondo soprattutto le ampie e variopinte colline, che occupano la maggior parte del territorio, ma anche la lunga e diversificata fascia costiera è di grande richiamo e pregio naturalistico e ambientale. Lunghi tratti del litorale della Toscana sono protetti da vaste e rigogliose pinete, in cui si susseguono i maestosi e imponenti pini domestici (Pinus pinea), alberi che raggiungono altezze anche piuttosto considerevoli, dal fusto slanciato e dalla tipica chioma a ombrello, probabilmente provenienti da Anatolia, Libano e penisola iberica e piantati diffusamente nel bacino mediterraneo da tempi remotissimi per via dell’ombrachepossonooffrireesoprattuttoperavere a disposizione i loro preziosi e prelibati semi: i pinoli.
I Frigi già nel 1100 a.C. attribuivano a questi piccoli ma preziosissimi semi proprietà quasi magiche, gli antichi Greci ne ricavavano un vino immancabile nei loro sontuosi banchetti, i Romani li consideravano rimedio per numerosi disturbi (“i pinoli spengono la sete, calmanoibrucioridellostomacoevinconoladebolezza delle parti virili”, scriveva Plinio) e continuarono nei secoli successivi a essere molto ambiti, tanto che tra Quattrocento e Cinquecento erano considerati un alimento di lusso. Nonostante la raccolta dei pinoli sia alla portata di tutti (è sufficiente fare una passeggiata nelle pinete marittime nel periodo tra ottobre e aprile, estrarre dalle pigne cadute a terra i semi legnosi che li contengono e spaccarli con una pietra per godere del loro delicatissimo e persistente sapore, le cui note
resinose fanno esplodere nel palato tutto l’aroma e il profumo del bosco. L’unico ma banale inconveniente sarà che dopo la raccolta le mani saranno nere come di fuliggine a causa della polvere che ricopre i gusci. A tutt’oggi, i pinoli sono un alimento costoso, in quanto le piante impiegano due-tre anni per produrre le pigne, la loro resa è piuttosto scarsa (sono necessari trenta chili di pigne per ottenere un chilo di pinoli) e la raccolta avviene ancora in gran parte in maniera manuale.
I pinoli rimangono, quindi, uno degli ingredienti più preziosi e ricercati della gastronomia italiana, in particolare quelli di prima scelta che provengono dalla provincia di Pisa, per la gran parte dal parco di Migliarino-SanRossore,certamenteipinolidimaggior pregio. Il loro valore, oltre che al caratteristico sapore, è dovuto alle numerose proprietà che offrono all’organismo: molto energetici e ricchi di proteine, sono un’ottima fonte di minerali (manganese, calcio, magnesio e ferro), vitamina E dal potere antiossidante, vitamine del gruppo B che supportano il buon funzionamento del metabolismo e acidi grassi monoinsaturi, alleati della salute cardiovascolare.
In cucina i pinoli sono utilizzati, freschi o tostati, in salse e pesti per condire primi piatti di pasta (in primis quello alla genovese, che secondo la ricetta più autentica prevede tra i suoi ingredienti proprio i pinoli di Pisa), per arricchire insalate, contorni di verdura e torte salate, ma anche per donare una nota unica a secondi di pesce o di carne, oltre che naturalmente nella preparazione di numerosi dolci della tradizione.
RICETTA Torta coi bischeri
Fresca nei dessert e versatile con la carne: la ciliegia dell'Emilia-Romagna
Terra di buongustai, rinomata a livello globale per i sapori ricchi e genuini, l’EmiliaRomagna è nota per le preparazioni elaborate che caratterizzano la sua tradizione gastronomica, ma non bisogna dimenticare i numerosi prodotti ortofrutticoli forniti dalle campagne estremamente fertili di questa regione, protagonisti di ricette quotidiane di grande gusto e benessere. Tra le coltivazioni favorite dalle peculiarità territoriali e climatiche di questo territorio, che comprendono un clima fresco con precipitazioni primaverili solitamente abbondanti ed estati non troppo secche, una delle più distintive è la cerasicoltura, ovvero la coltura delle ciliegie. Tra queste, si distinguono in particolare due tipologie particolarmente ricercate: la ciliegia di Cesena e la ciliegia di Vignola, a denominazione IGP.
Le zone geografiche di produzione sono il Comune di Cesena per la prima tipologia e diversi Comuni delle province di Modena e Bologna, nella fascia formata dal tratto pedemontano del fiume Panaro, per quanto riguarda la seconda. Entrambe di antica e radicata tradizione, tramandata di generazione in generazione e aggiornata costantemente, sono raccolte a mano direttamente dalla pianta – avendo cura di conservare il peduncolo per non intaccare le proprietà di questi delicati frutti – tra
maggio (varietà precoci) e fine luglio (varietà tardive) per poi essere subito commercializzate, così da garantire la maggior freschezza e qualità possibile.
RICETTA
Si distinguono tra varietà a polpa tenera (Prunus juliana), le cosiddette “tenerine”, e a polpa soda (Prunus duracina), i cosiddetti “duroni”. La ciliegia di Cesena – che comprende le cultivar Moretta di Cesena, Durona di Cesena, Durella, Duroncina di Cesena, Ciliegia del fiore e Primaticcia – è molto produttiva, di medio-grossa dimensione, dal colore rosso tendente al nero e dalla consistenza soda e dalla polpa succosa, molto saporita, che comincia a maturare intorno alla seconda decade di giugno. La ciliegia di Vignola IGP – cultivar Bigarreau Moreau, Mora di Vignola (precoci), Durone dell’Anella, Anellone, Giorgia, Durone Nero I, Samba, Van (medie), Durone Nero II, Durone della Marca, Lapins, Ferrovia, Sweet Heart (tardive) – è presente in questo territorio fin da metà Ottocento, e ha visto un andamento di produzione e commercializzazione sempre crescente nei secoli a seguire. Piuttosto grandi, hanno un colore che può andare dal rosso brillante al rosso anche piuttosto scuro al giallo-rosso, a seconda della varietà. Ricche di vitamine (A e C in primis), sali minerali (potassio) e antocianine dalle elevate proprietà antiossidanti e antinfiammatorie,incucinaleciliegiesonodestinate soprattutto al consumo fresco, ma sono anche protagoniste di tante preparazioni: diffusissima la consuetudine di trasformarle in marmellate, sciroppi, canditi, oppure di conservarle sotto spirito o, ancora, di utilizzarle per la preparazione di bevande alcoliche (kirsch e cherry). Ampiamente utilizzate in pasticceria (crostate e clafoutis), o per la tradizionale “ciliegiata”, in cui i frutti vengono cotti insieme a vino e zucchero, è altresì molto apprezzato anche il loro accostamento, specie
Rotolo di maiale ripieno di ciliegie che rosso che io) e ate per o cotti insieme a vino e zucchero, è altresì molto apprezzato anche il loro accostamento, specie
LIGURIA
LIGURIA, PRECOCI O TARDIVE LE SUSINE
RACCONTANO DOLCEZZA E BENESSERE
Presente su tutto il territorio nazionale, il susino ha trovato in Liguria un ambiente, un clima e un terreno assai favorevoli alla sua domesticazione, sviluppata principalmente nelle zone collinari e montane della regione,doveilclimatemperatoel’abbondanzadisole ne avvantaggiano la crescita. La susina, d’altronde, è un frutto apprezzatissimo e tipicamente disponibile durante i mesi estivi e autunnali, con il periodo di massima maturazione che va da giugno a settembre. Vanta, inoltre, numerosissime varietà, differenti per forma, colore, sapore, periodo di maturazione. Per molti viene intesa come sinonimo di prugna, in realtà nonèpropriocosì:laprugna,infatti,haorigineeuropea ed è il frutto del Prunus domestica, mentre la susina deriva dal Prunus salicina che è una pianta di origine asiatica, con un particolare orientamento geografico che si può localizzare nell’area cino-giapponese.
Di sicuro, in Liguria le susine si distinguono per la loro forma tondeggiante e il loro colore che va dal giallo chiaro al blu intenso, a seconda del grado di maturazione. In base a quest’ultimo, si classificano in precoci – la cui raccolta inizia a giugno –, agostane e tardive – che si protraggono sino a ottobre. Le varietà di susine coltivate in Liguria sono diverse, ciascuna con caratteristiche distintive proprie; tra le varietà più comuni si trovano le Franchino, le Collo storto, le susine di Albenga, le Buon boccone (Bun buccun, in dialetto), le Fiaschetta, le Massina, la Rapallina e le Balle d’ase.
La susina, nella sua storia comune derivata dal Prunus, racchiude in sé origini antiche, e diverse fonti ne testimoniano la diffusione e notorietà fin dal I secolo d.C.,quandoilloroconsumoeragiàabituale:loattesta nel Satyricon Petronio, che nomina le susine di Siria (quindi del gruppo euroasiatico), note ancora oggi con il nome di Damaschine (da Damasco, appunto).
Ricca di nutrienti essenziali, le susine fanno anche bene perché contengono elevate quantità di vitamine dall’effetto antivirale e antibatterico (A, C, B6), sali minerali (potassio, fosforo e calcio) e antiossidanti e hannounbassoapportocalorico.Ildiscretocontenuto di fibre contribuisce alla salute digestiva e alla regolarità intestinale. Senza dimenticare che le susine rappresentanoancheuningredienteversatile,chepuò esseregustatofresco,dasolooinmacedonia.Trovano unlargoimpiegoancheinLigurianellapreparazionedi confetturee,soprattuttolevarietàdotatediunapolpa soda, sono una delizia sciroppate. Per utilizzare quelle che, una volta raccolte, si stanno guastando, un'ottima soluzione è quella di procedere con una breve cottura e poi consumarle fredde. La susina si abbina bene anche a formaggi erborinati e caprini, carni e salumi (daprovareilconnubioconilprosciuttocrudo),anche se classicamente viene impiegata in preparazioni dolci – come crostate, crumble, composte, confetture –, oppureinseritanellapreparazionedigelatine,sciroppi e liquori o conservata sotto spirito.
RICETTA
Confettura di susine
Tutti i meloni della Lombardia, eccellenze principesche del gusto
Nel cuore della Pianura Padana, si trova la regione più industrializzata del nostro Paese, ossia la Lombardia che, però, mantiene ancora vive le sue millenarie origini contadine, grazie a produzioni d'eccellenza che tutt'oggi la rendono protagonista anche in campo agricolo e agroalimentare. Di tutta la produzione ortofrutticola lombarda, il melone rappresenta uno dei prodotti più rappresentativi della regione.
A partire dal Melone di Calvenzano, Presidio Slow Food la cui produzione è stata garantita dalla Cooperativa agricola di Calvenzano che, dal 1887, si occupa della protezione di un frutto che tanto ha significato per l'economia locale. Basti pensare che negli anni Trenta del secolo scorso questa particolare varietà ha addirittura vissuto un periodo di fama internazionale quando, durante la cosiddetta belle epoque francese, questi meloni partivano dalla bassa bergamasca per raggiungere tutti i più rinomati ristoranti di Parigi.
La vera star – in termini di volumi produttivi – dei meloni lombardi è, senz’ombra di dubbio, il Melone Mantovano IGP. Le origini di questo frutto sono molto antiche, e la sua presenza sul territorio regionale attestata già nel XV secolo, quand’era coltivato nei giardini dei Gonzaga, duchi di Mantova. Si dice che, data la prelibatezza del
frutto, questo venisse offerto agli ospiti più illustri della famiglia, tra cui ricordiamo papa Giulio II e l'imperatore Carlo V. Il riconoscimento europeo arriva nel 2013, e prevede due varietà botaniche: il melone cantalupensis, dalla buccia liscia di colore verde chiaro o giallognolo e la polpa arancione intenso o rossastra, e il melone reticulatus, dalla buccia verde-grigiastra e la polpa pallida. Le tre cultivar consentite dal disciplinare sono la Supermarket, dalla buccia retata e suddivisa in fette; la Harper, anch'essa dalla buccia retata, ma priva delle fette; la Honey Moon, dalla buccia liscia.
Il melone, oltre al suo sapore inconfondibile, è anche ricco di sostanze benefiche per il nostro organismo quali potassio, sodio e vitamine (in particolare A e C). Inoltre, ha buone quantità di carotenoidi, composti dalle proprietà antiossidanti, presenti anche nelle carote e, in generale, in tutti i prodotti ortofrutticoli di colore arancione.
Il Melone Mantovano IGP è un frutto molto versatile, che può diventare il protagonista di diverse ricette. Perfetto per preparare una gustosa cheesecake, un sorbetto rinfrescante o un bel semifreddo, può altresì essere accompagnato da salumi – come nella combo con il prosciutto crudo, uno degli abbinamenti più iconici degli anni ‘80 –, formaggi, carpacci o tartare di pesce, per chi è curioso di sperimentare contrasti di sapore inusuali. Per combattere la canicola estiva, il melone si presta benissimo anche a essere trasformato in bevande dissetanti, con o senza alcool. Via libera alla fantasia allora: smoothie, centrifugati, cocktail o il mitico meloncello, liquore dalla preparazione molto semplice, che può anche essere realizzato nella versione cremosa con aggiunta di panna liquida, per il massimo del godimento.
RICETTA
Risotto con melone e speck
IN MOLISE, DOVE LA RACCOLTA DELLE MORE È UNA TRADIZIONE DI FAMIGLIA
Chi, durante una passeggiata estiva nel bosco, non è mai incappato in un arbusto di rovi? E chi non ne ha notato i frutti e non ha tentato di coglierli? Magari le spine lo hanno graffiato, ma la tentazione di assaggiarli è irresistibile. E dopo aver assaporato il gusto del raccolto, il dolore della ferita è stato rapidamente rimpiazzato dal piacere del palato. Se i rovi sono tanti, la passeggiata si interrompe, si estrae un sacchetto, si svuotano le tasche, ci si alza sulle punte dei piedi, ci si allunga come si fa durante le più intensive lezioni di stretching e ci si trasforma in perfetti raccoglitori di more.
In Molise, regione che custodisce antiche tradizioni legate alla terra, la raccolta delle more è tuttora un'attività “di comunità” che riunisce intere famiglie.
Le more sono il frutto di bosco per eccellenza. Hanno una forma e una costituzione particolare, sono cioè un “sindrupio”, ovvero l'aggregato di tante piccole “drupe” (un tipo di frutto) attaccate tra loro che, in seguito a questo raggruppamento finale, prendono il nome di “drupeole”, ognuna delle quali contiene un seme.
La buccia è sottile e la polpa carnosa e il colore, a completa maturazione, ossia da agosto ai primi di ottobre,èviolascuro,talvoltablu,esempretendente al nero lucido. Il sapore che offrono questi frutti selvaticièunventagliochespaziadaldolceall'acidulo allo speziato.
Le more, nonostante le ridotte dimensioni, sono un grande serbatoio di sostanze benefiche per
l'organismo umano, ricche di sali minerali, fibre e vitamine A, B, C ed E. Ciò significa che la loro assunzionecontribuiscealrafforzamentodelsistema immunitario, a mantenere in equilibrio l'apparato digestivo,aeliminareiliquidiineccessoearafforzare leossa.Inoltre,datal'altapercentualediantiossidanti, aiutanoaproteggeredaidannidell'invecchiamentoe contrastano la perdita di memoria.
Una volta colte, o acquistate, possono essere consumate crude oppure cotte per preparare confetture e marmellate. È infatti l'ambito della pasticceria quello che valorizza al massimo le proprietà organolettiche di cui sono dotate. Pasta frolla, crema pasticcera, more in confettura e fresche danno vita a un'ottima crostata, una mousse di formaggio caprino e more fresche sono una combinazione perfetta di dolce e salato, il gelato o la cheesecake ricoperta di more è un classico dei dessert di qualità. E per chiudere con uno sfizio non può mancare il dolce, digestivo e profumatissimo liquore “morino”.
RICETTA Crostata di more
SICILIA
BIONDE O SANGUIGNE, SONO TUTTE ECCELLENTI LE ARANCE
DI SICILIA
Concentrato di numerose culture diverse, clima dal caldo africano delle coste al freddo pungente delle zone montane, tradizioni millenarie ricche di fascino, convivenza stretta di cucina aristocratica e popolare che permette in ambito gastronomico una varietà ampissima di preparazioni dal gusto unico e inimitabile: la Sicilia è tutto questo e la sintesi dei tanti aspetti ambientali, storici e culturali che l’hanno caratterizzata nei secoli è riscontrabile in particolar modo nella sua arte culinaria.
Sono tanti i prodotti tipici che al solo nominarli fanno volgere immediatamente il pensiero a quest’isola.
Tra questi, sono diventati simbolici nell’immaginario collettivo,anchegrazieainumerosicapolavoriletterari che li esaltano, i profumatissimi e luminosi agrumi. Coltivati in Cina e Giappone fin da tempi antichissimi, arance e limoni arrivano nel bacino mediterraneo – in un primo momento a scopo ornamentale e successivamente come coltura a fini alimentari – tra X e XI secolo, durante la dominazione araba. E tra gli agrumi, l’arancia è senz’altro il più diffuso in questa regione che, a oggi, ne è la maggior produttrice nazionale.
Ne esistono varietà differenti per tipologia e periodo di maturazione: la maggiore classificazione si può fare tra arance cosiddette “bionde”, di colore della scorza giallo aranciato, e arance “sanguigne”, che come dice il nome hanno buccia ma soprattutto polpa decisamente più tendente al rosso vivo. Tra le più diffuse e conosciute, nel primo gruppo si annoverano la Navel, il tipo più precoce, presente da novembre a marzo, e la Valencia, che comincia a maturare ad
aprile per concludere la stagione a maggio-giugno. Appartengono invece al gruppo delle rosse, con denominazione IGP dal 1997: la Moro, dalla scorza rosso scuro, molto succosa e senza semi, disponibile da fine novembre a marzo; la Tarocco, la “regina delle arance”, che si raccoglie da dicembre a marzo ed è la varietà più diffusa; la Sanguinello, dalla polpa venata di rosso rubino, sul mercato tra marzo e aprile.
Le arance sono una fonte preziosa di vitamina C e selenio che aiutano a rafforzare le difese immunitarie, di vitamine A e B che svolgono importanti funzioni protettive per l’organismo e di minerali fondamentali quali potassio, calcio e fosforo.
Parafrasando un famoso detto, si può dire che “dell’arancia non si butta via niente”: in cucina, infatti, si possono utilizzare tutte le componenti di questo straordinario agrume. Oltre al consumo della polpa – fresca o spremuta, in insalata, in marmellata, per conserve e sciroppi, o come farcitura e guarnizione in gelateria e pasticceria in forma di glassa o di gelatina – anche dalla scorza si ricavano oli essenziali e aromi naturali, liquori (Cointreau, Curaçao, Grand Marnier e Aurum sono tutti aromatizzati all’arancia) e canditi, questi ultimi protagonisti di tante preparazioni della sontuosa e rinomatissima pasticceria locale come, per esempio, cassata e cannoli.
RICETTA
Insalata di arance e finocchi
IL PIEMONTE CHE PROFUMA DI FRAGOLE
In Piemonte, la primavera vuol dire una cosa: fragole. Questo particolarissimo frutto è, indubbiamente, uno dei cosiddetti “frutti rossi” – o “frutti di bosco” – più apprezzati. Consumata fin dall'antichità, la fragola deve il suo successo tanto al suo gusto unico quanto alle molteplici proprietà salutari che la contraddistinguono. Ricca di sali minerali, fosforo e potassio, la fragola è altamente depurativa e rinfrescante, nonché un’alleata della digestione.
Diverse cultivar fragolicole piemontesi vantano marchi di qualità che ne certificano provenienza e profilo organolettico. Tra queste, va ricordata anzitutto la Fragola di Tortona, oggi presidio Slow Food, conosciuta come “la profumata” per via delle sue note balsamiche e muschiate, che concentrano in un frutto appena più grande di un lampone tutta l'essenza di una fragolina di bosco. Dopo un'accurata selezione, effettuata incrociando diverse varietà selvatiche delle colline del tortonese, negli anni Trenta questa fragola diventò il perno dell'economia locale, tanto da portare all'edificazione del “Gabbione”, un mercato coperto a essa dedicato. Accanto all'inconfondibile aroma, la Fragola di Tortona è altamente deperibile, perciò va colta e consumata in giornata e, inoltre, il raccolto è imprevedibile poiché la delicatissima pianta risente di umidità notturna e rovesci temporaleschi. Ciò ha contribuito a fare di questa fragola un prodotto di nicchia che, nonostante il suo glorioso passato, ha rischiato di scomparire.
Accanto a questa rara eccellenza, alcune varietà PAT (Prodotto Agroalimentare Tradizionale). Come le Fragole delle Valli Cuneesi che devono la loro notorietà alla collaborazione tra agricoltori cuneesi e fattori ambientali. Si tratta di una cultivar che prevede la coltivazione su suolo fertilizzato quasi esclusivamente
con concime di origine organica (letame bovino). Queste scelte permettono di mantenere inalterate le peculiarità organolettiche del frutto, esaltandole e conferendogli una migliore conservabilità dopo la raccolta. O la Fragola di San Raffaele Cimena che, negli anni, ha subito una serie molto lunga di selezioni e incrocialloscopodimigliorarneproduttività,resistenza e caratteristiche aromatiche. Coltivata nella fertile pianura sanraffaelese, nota come “La Piana”, la cultivar piùdiffusaèoggilaMaya,varietàprecoceilcuifruttoha unaformaconicaeaffusolata,dicolorerossobrillantee dalla polpa consistente.
Infine, una fragolina di bosco, varietà sempre più rara per via delle difficoltà produttive, ma che rappresenta un vero gioiellino della frutticoltura piemontese. La Fragolina di San Mauro Torinese è anch'essa un PAT, la cui storia risale al 1706, quando il Duca Amedeo II autorizzò la gente del posto a coltivare questi frutti, come risarcimento per i danni subiti durante l'assedio di Torino. Fino a quel momento, infatti, le fragole erano coltivate soltanto nei giardini reali di Stupinigi e Racconigi. A celebrare l'unicità di questo frutto, diverse sagre paesane che, tra fine maggio e inizio giugno, profumano alcuni comuni piemontesi, sparsi tra l'alessandrino, il cuneese e il torinese. Tra queste, la Sagra della Fragola di Peveragno, quella di Sommariva PernoeCastellettod'ErroolaFestadelleFragolediSan Mauro Torinese.
RICETTA
IN TRENTINO-ALTO ADIGE
Trentino-Alto Adige: è sempre il tempo delle mele
Questa regione è famosa in tutta la Penisola (e non solo) per uno dei frutti più iconici che cresce rigoglioso tra le sue meravigliose vallate: la mela. In questa zona le mele si coltivano da tempo, perlomeno dalla prima metà del Settecento, periodo in cui quell'area era sotto il dominio austro-ungarico: in una lettera del 1739, infatti, una nobile famiglia di Vienna fa esplicita richiesta di un cesto di “pomi rosmarini”.
Nell'Ottocento, poi, si moltiplicano le fonti e verso la fine del secolo, le mele del Trentino sono conosciute e rinomate ben oltre i confini nazionali. Un frutto celebre, la mela, dunque. Ma che fa anche bene. Un vecchio detto recita: “una mela al giorno toglie il medico di torno”. Non è certo da intendere alla lettera, però è senz'altro vero che le mele presentano un eccellente profilo nutrizionale che le qualifica come preziosi alleati per il nostro organismo. La mela, infatti, essendo composta all’85% da acqua è uno dei frutti meno calorici in assoluto, ha un elevato potere dissetante e saziante, ed è altresì ricca di vitamine e sali minerali. Mangiarle intere, ovvero con la buccia ben lavata, è la scelta migliore da un punto di vista nutrizionale, dal momento che la maggior parte dei micronutrienti che il frutto contiene si trovano nella buccia, così come le fibre e diversi polifenoli.
L'Italia è quinta al mondo per produzione di mele, dopo la Cina, gli Stati Uniti, la Turchia e l'Iran, con il Trentino Alto Adige in testa. Tra le innumerevoli cultivar presenti sul territorio altoatesino, va senz'altro ricordata la Mela Val di Non DOP, la prima mela italiana a vantare tale riconoscimento. Il disciplinare di produzione stabilisce che soltanto le varietà Golden Delicious, Red Delicious e Renetta Canada coltivate nella Val di Non e nella Val di Sole possono fregiarsi di questo marchio, che ne assicura qualità, provenienza e metodologie produttive. Accanto a queste, ben tredici cultivar prodotte
nella provincia autonoma di Trento godono del marchio di tutela Mela del Trentino IGP: la Golden Delicious, la Red Delicious, la Gala, la Fuji, la Morgenduft, la Jonagold, la Braeburn, la Winesap, la Idared, la Granny Smith, la Elstar, la Pinova e la Topaz. Di queste, le più popolari e diffuse sono la Golden Delicious, dal colore giallo, la polpa soda e il sapore dolce, perfetta da consumare fresca oppure per la preparazione di dolci; e la Red Delicious, dalla buccia rossa, la polpa croccante, succosa e dal sapore delicato che la rendono molto versatile in cucina, adatta tanto alle preparazioni dolci quanto a quelle salate.
Le mele, oltre che essere un eccellente fine pasto, sono protagoniste di innumerevoli ricette altoatesine. Anzitutto i dolci: dall’intramontabile torta di mele allo strepitoso strudel, fino alle classiche quanto buone frittelle. Ma, come abbiamo giàaccennato,lemelesonoottimeancheall'interno dipreparazionisalate,soprattuttoquelledalsapore più tendente all'acidulo. Per dare freschezza e croccantezza in un'insalata a base di valeriana e noci, oppure in accompagnamento alla carne di maiale, come nella classica arista di maiale con salsa di mele.
Gessi e grotte dell'Appennino Emiliano-romagnolo, sono patrimonio
LA FRAGILE BELLEZZA DI UNO DEI LUOGHI
PIÙ SPETTACOLARI E INCREDIBILI D'EUROPA
di Antonio Battaglia
Il Parco Regionale dei Gessi Bolognesi e Calanchi dell'Abbadessa, uno straordinario sistema di cavità gessose, è stato dichiarato Patrimonio dell'Umanità dall'UNESCO nel 2023 insieme ad altri sei siti dell'Appennino emiliano-romagnolo. Con l'inserimento nella lista UNESCO, le grotte e i fenomeni carsici che si trovano nelle rocce evaporitiche di gesso e sale sono ufficialmente riconosciute per le loro caratteristiche di unicità e rappresentatività a livello mondiale. Nel dettaglio sono sette le aree coinvolte: Alta Valle Secchia (Parco Nazionale dell'Appennino Tosco Emiliano), Bassa Collina Reggiana (Paesaggio Protetto della Collina Reggiana), Gessi di Zola Predosa (sito Natura 2000), Gessi Bolognesi (Parco Regionale dei Gessi Bolognesi e Calanchi dell'Abbadessa), Vena del Gesso Romagnola (Parco Regionale della Vena del Gesso Romagnola), Evaporiti di San Leo (sito Natura 2000), Gessi della Romagna Orientale (Riserva Naturale Regionale di Onferno).
LE ESCURSIONI
PERMETTONO DI GODERE
DI UNA VISTA CHE DALLE
VALLI SI ESTENDE FINO
ALLA PIANURA E, NELLE
GIORNATE CHIARE,
DI SCORGERE LE ALPI
ALL'ORIZZONTE.
Quest'area, situata a sud-est di Bologna, è attraversata dai torrenti Savena, Zena, Idice e Quaderna e vanta più di 150 grotte. Il paesaggio si caratterizza per impressionanti affioramenti di gesso. Camminando per i suoi sentieri, si incontrano paesaggi mozzafiato che alternano rupi rocciose affacciate su vasti anfiteatri naturali alle creste scoscese dei calanchi. Le escursioni permettono di godere di viste delle valli che si estendono fino alla pianura e, nelle giornate chiare, di scorgere le Alpi all'orizzonte. Il gesso del parco, noto come selenite per il suo aspetto madreperlato, crea un ambiente carsico con doline e valli cieche che celano l'accesso a notevoli grotte, tra cui quelle rinomate del Farneto e della Spipola. Il parco è anche habitat per specie animali che si sono adattate alla vita in ambienti sotterranei, inclusi mammiferi come i pipistrelli e numerosi invertebrati. Le acque sotterranee del parco emergono in modo spettacolare nella Croara, dove il rio Acquafredda si inabissa e riemerge dopo quasi tre chilometri. I pendii coltivati si alternano a emergenze gessose selvagge, offrendo un contrasto tra natura incontaminata e aree agricole. La vegetazione sui gessi è ricca di piante aromatiche che in estate
IL BELLO DELL’ITALIA
emanano intensi profumi, mentre le zone umide sono coperte da boschi densi e arbusti. Il territorio è segnato dalla presenza umana fin dalla preistoria, con resti di borghi medievali, castelli e piccoli oratori come quello della Madonna dei Boschi. Nel tempo, il clima mite ha favorito la costruzione di ville nobiliari, tra cui spicca Villa Miserazzano.
Insomma, un patrimonio ambientale completo e unico al mondo che merita la piena valorizzazione anche per proteggerne la fragilità che accompagna sempre l'estrema precisione della bellezza naturale.
BENVENUTI NELLE MARCHE: BUONE E PLURALI ANCHE A TAVOLA
Nelle Marche, la pluralità del nome – unicum in Italia – si riflette nella molteplicità di tradizioni culinarie che convivono in un fazzoletto di terra compreso tra l'Appennino e il Mar Adriatico. Qui, anche i palati più esigenti trovano tipicità locali che incontrano il loro gusto: dalla carne al pesce, dalle paste fresche ai sostanziosi piatti della tradizione, fino a salumi e formaggi di primissima qualità, il tutto da accompagnare con gli ottimi vini che si producono in tutta la regione.
di NICOLÒ PISTONE
L’incredibile varietà delle eccellenze gastronomiche marchigiane si riflette direttamente nei prodotti alimentari a marchio registrato che, sebbene non esauriscano la proposta regionale, riescono comunque a dare un'idea della sua ricchezza. Ottimi salumi, come il Prosciutto di Carpegna DOP, i Salamini Italiani alla Cacciatora DOP e il Ciauscolo IGP, prodotto esclusivamente con razze suine locali e rinomato per la sua spalmabilità. E formaggi di primo livello, come la Casciotta d'Urbino DOP o il Formaggio di Fossa di Sogliano DOP, entrambi ottenuti a partire da latti ovivaccini di altissima qualità. Ma non è tutto. Anche il comparto ortofrutticolo marchigiano vanta produzioni di tutto rispetto, quali la Patata Rossa di Colfiorito IGP e la Lenticchia di Castelluccio IGP. Quest'ultima, oltreché a scopo alimentare, è conosciuta per lo spettacolo della fioritura che si rinnova ogni anno nell'altopiano di Castelluccio di Norcia. Scioltasi la neve, prende avvio la fase di semina, dopodiché comincia
la variopinta e cangiante fioritura, e delle piante spontanee che vivono in simbiosi con la lenticchia locale, e – più avanti – della lenticchia stessa. Una nota di merito spetta all'olio marchigiano.
Qui, oltre all'Olio Marche IGP, che comprende produzioni molto diversificate e variamente dislocate, va ricordato l'Olio Extravergine di Oliva di Cartoceto
DOP: un prodotto dalle caratteristiche uniche e il gusto armonico in cui dolcezza, amarezza e piccantezza coesistono in equilibrio, regalando un piacevole e identificativo retrogusto di mandorla acerba.
Oltre ai marchi europei di certificazione, la regione ha sviluppato anche un proprio marchio: QM – Qualità garantita dalle Marche. Si tratta di una certificazione regionale che si affianca alle altre e mira a vigilare sugli aspetti qualitativi, informativi e di tracciabilità delle lavorazioni agroalimentari locali.
RICETTE E TRADIZIONI CULINARIE
UNA CUCINA
REGIONALE CHE
COMBINA ANTICHE
TRADIZIONI RURALI
E INGREDIENTI
PRELIBATI
L’abbondanza appena descritta si traduce in una cucina regionale sfaccettata e molteplice, che combina tradizioni rurali e ingredienti prelibati. Con lo scopo di tutelarne l'enorme patrimonio, è da poco stato approvato un disegno di legge che mira alla Promozione e valorizzazione delle ricette e dei menù della cucina marchigiana proponendo, tra le altre cose, l'istituzione di un ricettario di tutte le specialità locali. Tra i piatti più rappresentativi: le mitiche olive all'ascolana. La varietà locale, nota come Tenera Ascolana, è oggi
riconosciuta come Oliva Ascolana del Piceno DOP ed è di pezzatura grande e consistenza carnosa. Qui le olive, una volta denocciolate, vengono farcite con un impasto a base di carne cotta – manzo, maiale e pollo –, uova, noce moscata e Parmigiano, per poi essere impanate e fritte. Altro must della cucina marchigiana sono i Vincisgrassi alla maceratese STG (Specialità Tradizionale Garantita), una variante delle lasagne alla bolognese. La caratteristica sfoglia all'uovo viene, infatti, farcita con un ragù rustico a base di animelle e frattaglie di pollo, besciamella e Parmigiano, creando un connubio gustoso e perfetto per i pranzi della Domenica. Sempre nei primi piatti, troviamo i Maccheroncini di Campofilone IGP, prima pasta all’uovo italiana ad aver ottenuto tale riconoscimento. La sua peculiarità è data dall'estrema sottigliezza della pasta che le permette di essere cotta, per un
minuto, direttamente nel suo sugo, che può essere un tradizionale ragù di rigaglie di pollo o, data la vicinanza alla costa, un condimento a base di pescato locale. Con il pesce, la preparazione più emblematica è senza dubbio il brodetto marchigiano che presenta ben quattro varianti codificate. A cambiare non è tanto la tipologia di pesce utilizzata, quanto piuttosto gli ingredienti che l’accompagnano. Così, a Fano, in questa zuppa di pesce si usa la conserva, diluita con olio, acqua e aceto; mentre, ad Ancona, la salsa di pomodoro è usata in purezza, così da conferire maggiore freschezza e corposità al brodo. A Porto Recanati, invece, dal rosso si passa al giallognolo, per via della zafferanella, uno zafferano selvatico che cresce spontaneamente in queste zone. Infine, a San Benedetto del Tronto, il gusto si fa più intenso e pungente grazie all'aggiunta di pomodori verdi, aceto e peperoni.
VITICOLTURA ED ENOLOGIA
Parimenti rilevante è il panorama enologico delle Marche, il cui tessuto viticolo si estende per ben ventimila ettari, dando vita a vini di qualità eccellente, comprese cinque produzioni a marchio DOCG e ben quindici a marchio DOC. In regione, la viticoltura è presente fin dal IV secolo a.C., quando fu primariamente introdotta dai Greci. Con gli Etruschi, poi, la coltivazione della vite si espanse e si affermò tanto da rappresentare una realtà già ben consolidata all'arrivo dei Romani, attestandosi come una produzione trainante per l'economia locale.
Uno dei vini più rappresentativi è certamente il Verdicchio, le cui zone d'elezione sono l'area di Jesi e la provincia di Macerata. Per la prima, ricordiamo il Verdicchio dei Castelli di Jesi DOC e il Verdicchio dei Castelli di Jesi Riserva DOCG; per la seconda, invece, quest'uva si esprime nelle denominazioni Verdicchio di Matelica DOC e Verdicchio di Matelica Riserva DOCG. Sempre nella zona di Macerata, si trova il vitigno cosiddetto “Maceratino”, clone del Verdicchio, con il quale si produce il Colli Maceratesi DOC. Per quanto riguarda i vini rossi, invece, troviamo ottime produzioni verso l'area costiera. Grazie all'uva Montepulciano, qui si producono Conero DOCG e Rosso
Conero DOC, mentre altrove, tra i colli del Tronto e i colli ascolani, questo vitigno si esprime nella denominazione Rosso Piceno DOC. Infine, l'area appenninica del comune di Serrapatrona produce spumanti rossi di grande pregio, riconosciuti come Vernaccia di Serrapatrona DOCG, commercializzati nelle versioni “dolce” e “secca”. Le Marche, inoltre, hanno previsto l'Indicazione Geografica Tipica Marche IGT che abbraccia tutta la regione, per favorire quei produttori che si trovavano all'infuori dei disciplinari di produzione delle DOC e delle DOCG. Tale certificazione prevede la produzione di una molteplicità di vini – bianchi, rossi, rosati, spumanti e persino passiti – realizzati a partire da diversi vitigni tipicamente marchigiani tra cui, per fare solo qualche esempio, Cabernet Sauvignon e Cabernet Franc, Ciliegiolo, Fiano e Grechetto, Malvasia bianca di Candia, Passerina e Riesling.
20MILA ETTARI DI VINI BIANCHI, ROSSI, ROSATI, SPUMANTI E PASSITI
Ohi Vita, lo Yogurt greco ha due nuovi gusti: fragola e pesca
Per la sua consistenza cremosa e il sapore fresco e gustoso, lo yogurt greco rappresenta uno degli alimenti in crescita di gradimento a livello planetario. Grazie ai suoi fermenti lattici, infatti, lo yogurt rappresenta un alimento che offre numerosi benefici per il nostro organismo, per la sua facile digeribilità e la ricchezza nutrizionale. Lo yogurt greco, nello specifico, si distingue per l’esperienza gratificante del gusto che garantisce, con una ricca cremosità e che soddisfa e sazia, a fronte di un apporto calorico contenuto. È il ripetuto processo di colatura attraverso il quale viene prodotto a determinare il suo profilo sensoriale e nutrizionale: alla ridotta componente liquida corrisponde infatti un contenuto maggiore di proteine e inferiore di sodio e lattosio, ma soprattutto quella consistenza ricca a
cui è legato il grande successo di questo alimento. La sua è una storia antica: lo yogurt venne infatti “inventato” dagli antichi popoli nomadi dell’Asia, che scoprirono un po’ per caso che il latte conservato in otri ricavate dalle pelli degli animali fermentava. Presto si diffuse in tutto il bacino del Mediterraneo grazie ai commercianti Fenici ed Egizi e da allora si svilupparono diversi metodi di produzione. Oggi lo yogurt greco è diventato un ingrediente base nella cucina ellenica ma non solo, da consumare anche in tantissime preparazioni dolci e salate.
Insomma, lo yogurt, come alimento che offre un’esperienza di gusto e di benessere nel segno della naturalità, può essere consumato anche tutti i giorni, a colazione o come spuntino, nell’ambito di una dieta equilibrata e completa. E proprio per questa sua versatilità e per la sua cremosità invidiabile che mette d'accordo grandi e bambini, il nuovo Yogurt greco con fragola 0% grassi della linea Ohi Vita offre un'esperienza gustativa avvolgente e golosa in un alimento ricco di proteine e calcio, totalmente privo di grassi. Ottimo a colazione e in ogni momento di pausa della giornata, anche lo Yogurt greco con pesca 0% grassi della linea Ohi Vita unisce la cremosità golosa e nutriente con la dolcezza vellutata di questo frutto estivo. Entrambi sono prodotti con latte 100% greco a Km 0 e proveniente dalle fattorie che si trovano sulle colline della città di Drama, nella Grecia settentrionale, secondo il metodo tradizionale della colatura, vasetto per vasetto. Dalle materie prime alla distribuzione, la filiera è tracciabile e rigorosamente monitorata sul piano della sicurezza alimentare e della qualità, fino alla distribuzione con una logistica sempre più snella ed efficiente, a garanzia della freschezza e dell’integrità del prodotto. Senza dimenticare che, dalla mungitura del latte fino al confezionamento, tutte le fasi di produzione dello Yogurt greco Ohi Vita sono svolte seguendo i più rigorosi parametri di qualità, sotto il controllo di personale specializzato e nel rispetto dell’ambiente.
Lavare le ciliegie, asciugarle e denocciolarle con l’apposito strumento o a mano. Ridurne i 2/3 a pezzetti e lasciare intere le altre. Sbucciare gli spicchi d’aglio e tagliarli a metà. Pulire il rosmarino tamponandolo con carta assorbente da cucina inumidita e dividerlo in cimette.
A cottura ultimata, lasciare riposare per una decina di minuti e tagliare il rotolo di maiale ripieno a fette uniformi. Servire con il fondo di cottura.
Limoncello
INGREDIENTI per 2 BOTTIGLIE
Materie
Q.tà Misura
Limoni 6 Numero
Alcool 95°
500 ml
Acqua 500 ml
Zucchero 500 gr
PROCEDIMENTO
STEP 1
Lavare bene i limoni e sbucciarli, facendo attenzione a eliminare dalle bucce la parte bianca.
STEP 2
Inserire le bucce in un contenitore di vetro a chiusura ermetica e versare l'alcool. Chiudere il coperchio e lasciare riposare al buio per 7 giorni. Agitare dolcemente il contenitore ogni giorno.
STEP 3
L'ottavo giorno, in un pentolino, portare a ebollizione l'acqua e versare lo zucchero, aspettando che si sciolga.
Mescolare, lasciare raffreddare e versare nel contenitore contenente le bucce e l'alcool.
STEP 4
Mescolare bene il composto, chiudere il coperchio e lasciare riposare per 40 giorni.
STEP 5
Trascorsi i giorni, filtrare il liquido con un colino a maglie strette, imbottigliare e inserire in frigorifero.
Marmellata di olivello spinoso e mele
INGREDIENTI per 20/25 porzioni
Materie Q.tà Misura
Olivello spinoso
(bacche) 1,2 kg
Mela(Renettaosimili) 1 Numero
Zucchero semolato 500 gr
PROCEDIMENTO
STEP 1
Per prima cosa, lavare accuratamente le bacche sotto l'acqua corrente, quindi tamponarle con un canovaccio pulito. Lavare e sbucciare la mela, eliminare il torsolo, tagliarla a cubetti regolari. A parte, trasferire le bacche di olivello in una pentola piena d'acqua e lessarle per venti minuti circa, finché i frutti risulteranno morbidi.
STEP 2
Una volta cotta, scolare le bacche e passarle al setaccio. Aggiungere la mela tagliata e lo zucchero, mescolare e trasferire il tutto in una padella antiaderente. Cuocere a fiamma bassa per quarantacinque minuti circa, aggiungendo un po’ d'acqua se necessario e continuando a mescolare per evitare che bruci.
STEP 3
A metà cottura, frullare con il frullatore a immersione, fino al raggiungimento della consistenza desiderata. Infine, versare la confettura ancora calda nei vasetti appositi precedentemente sterilizzati.
Insalata di misticanza con uva e feta
INGREDIENTI per 4 persone
Materie Q.tà Misura
Misticanza
(erbe di campo)
300 gr
Uva da tavola 1 Grappolo
Feta 200 gr
Aceto di mele q.b.
Olio EVO q.b.
Sale q.b.
PROCEDIMENTO
STEP 1
Mondare la misticanza eliminando le radici, lavarla accuratamente avendo cura di rimuovere ogni eventuale residuo terroso e asciugarla. Spiccare gli acini d’uva dal grappolo e sciacquarli a uno a uno. Spezzettare grossolanamente la feta.
STEP 2
Preparareilcondimentoinunaterrina,mescolandol’olioe l’acetodimelesufficientiacondirel’insalataeunapresadi sale.