un concorso di idee per la
co/A - allegati il Parco a Ruderi
riqualificazione, valorizzazione, trasformazione, del parco a ruderi di auletta e del suo territorio
0_Auletta e l’area del parco Auletta è uno dei comuni dell’entroterra salernitano in cui sono ancora visibili i segni del sisma che nel 1980 colpì la Campania e la Basilicata. Gli strascichi della ricostruzione trovano in questo paese, caso originale nel suo genere, la volontà degli amministratori locali di preservare un’area distrutta del centro storico a imperituro ricordo del proprio passato. Nasce da qui l’idea del Parco a Ruderi, un parco urbano che custodisca non solo le pietre, ma anche la memoria di Auletta. L’area riservata al Parco è costituita da circa il 25% del centro storico, quella posta lungo il crostone roccioso che sovrasta il torrente Cretazzaro e che guarda alle montagne della Lucania. Questa parte dell’antico centro abitato è scampata all’oblio, nonostante sia contrassegnata da due fattori di non ritorno: da un lato lo stato di danno grave in cui gli edifici, costruiti con materiali poveri e con tecniche non avanzate, riversano dopo la scossa sismica del novembre ‘80, dall’altro l’abbandono totale degli abitanti, per motivi di natura sia economica che sociale. È la stessa struttura urbana a raccontare il ruolo di queste case nella storia e nell’economia del paese, queste sono le dimore dei contadini, degli umili, della “povera gente”. La strada che lega Porta Fiume a Porta Castello e che taglia a metà il centro storico, via Luca Beatrice, lambisce la parte superiore dell’area. Da qui si passa per andare al vecchio forno comunitario, quello di Ronna Chicchina, alla Fundana Nova, a Piazza Campitello e alle chiese, ai palazzi dei notabili e al Castello dei signori. Da questa strada in piano, quella che lambisce Piazza Giallorenzo circondata dalle botteghe e dai laboratori degli artigiani, si diramano a mo’ di pettine una serie di cordonate e piccole viuzze che permettono l’ingresso alle abitazioni. Man mano che si degrada verso il bordo della rupe, il dislivello aumenta e il terreno si fa scosceso, i vicoli impervi si perdono tra le molteplici entrate. Solo una di queste cordonate, uno dei pochi slarghi, via Cupone o u’ Chiazzill, permette di rimettersi in piano. Da qui le arterie s’infittiscono e culminano nella parte estrema, da sempre adibita ad orti e giardini. Molte case si aggrappano alla viva roccia, intere pareti sono di pietra, è l’economia degli spazi che ha prodotto portoni condivisi, abitazioni comunicanti, entrate anguste in cui le abitazioni si ammassano l’una sull’altra lasciando che penetrino poche sferze di sole. Per questo la zona del Parco a Ruderi era la più povera del paese, perché scomoda, stretta, priva di possibilità. Qui i gesti della vita quotidiana erano difficili da perpetuare, in molti casi vi si ritornava solo a dormire, per poi ridiscendere a valle, nei campi, dove si lavorava fino al tramonto del sole. Già nei decenni precedenti al sisma le famiglie che risiedevano in questa parte del centro storico iniziarono ad abbandonare i propri alloggi destinando i locali all’uso di depositi o cantine. I tanti sacrifici fatti per uscire da questo labirinto di miseria hanno portato all’ingrandimento del paese, ma quest’angolo di case rimane a testimoniare un modo di vivere perso nel ricordo del sudore e della dignità.
1_il parco e il terremoto Le abitazioni del Parco a Ruderi, le loro pareti di pietre e malta, le fondamenta tutt’uno con la roccia sono state duramente colpite dal terremoto, da secoli in realtà combattono con le scosse, non ultime quelle del 1857. I materiali edilizi del luogo, le tecniche tradizionali di costruzione non hanno potuto evitare la distruzione in quella sera di novembre. Il 23 novembre del 1980 trova le abitazioni del Parco a Ruderi quasi tutte vuote, erano ancora abitate principalmente quelle con l’ingresso su via Beatrice, è da qui che le famiglie hanno dovuto andarsene, raccogliendo le cose più care nei canestri di vimini da posare prima in tenda, poi in container. Le altre stanze conservavano solo le cose, gli oggetti, le derrate alimentari ed il vino moscatello, qui dove dormivano galline e maiali. Altre abitazioni erano vuote, già fatiscenti, lasciate da chi col treno se n’era andato per lavorare in Germania o era riuscito a scappare da
co/A - allegati - descrizione Auletta
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Da qui bisogna partire, dal buon uso delle nostre rovine. Franco Arminio, Terracarne.
quei cunicoli. Dopo quella sera sono passati decenni in cui le stanze sono rimaste chiuse, le carte da parati dai colori sgargianti staccate dai muri, i tetti spalancati al cielo, gli oggetti coperti dal velo delle macerie, gli orti si sono ritrovati pieni di spine.
2_il recupero e il Parco a Ruderi Il piano di recupero di quest’area, finanziato con fondi regionali, è stato inteso dal comune di Auletta come l’opportunità di non dimenticare le cicatrici del terremoto e di trasformare una tragedia in risorsa per la comunità. I lavori di restauro e risanamento conservativo dei caseggiati a bordo rupe sono iniziati nel 2002 e si avviano alla conclusione. Le possibili utilizzazioni della zona restaurata sono svariate, museo della cultura materiale, albergo diffuso, città laboratorio per attività di ricerca e studio e tante altre declinazioni... tutto questo vorrà essere il Parco a Ruderi, senza soluzione di continuità tra la memoria, la fruizione e la ricerca. L’albergo diffuso sarà composto da tredici suite, costituite ognuna da stanza da letto e bagno, un vano a funzionalità mista con soggiorno, cucina in nicchia e divano letto; questi ambienti sono stati ricavati nelle abitazioni meno colpite dal sisma, riutilizzando e rispettando spazi e materiali originali, consolidando, ma al tempo stesso lasciando ben visibili, le cicatrici aperte dalle scosse telluriche. La caratteristica tranquillità del borgo sarà l’ambiente ideale per chi volesse unire ad un soggiorno tra la natura le escursioni nei centri vicini. L’altra peculiarità del Parco è il suo essere inserito in un contesto sociale che, nonostante tutto, si è mantenuto quasi intatto; passeggiando per i vicoli e le scalinate del centro storico ci s’imbatterà nei cordiali abitanti di Auletta e si impareranno a conoscere i loro simboli ancorati alla cultura contadina. Allo stato attuale dei lavori, nel Parco a Ruderi possono distinguersi due tipologie di ambienti. Il primo è quello dei caseggiati che il restauro ha reso sicuri, costituiti dalle stanze, gli androni, gli ambienti delle abitazioni della parte alta dell’area. Negli interni sono distinguibili gli usi precedenti grazie alla presenza degli antichi oggetti, materassi e panche lì dove si dormiva, focolai e pentole dove si cucinava, botti e attrezzi agricoli nei depositi e così via. Questi sono gli spazi che conservano le tracce di chi lì ha vissuto, come le chiavi appese vicino l’uscio, le immagini sacre a proteggere quei luoghi che una tragedia ha violato. È trascinante il susseguirsi dei colori delle pareti, vernici pastello e carte da parati a fiori strappate, i soffitti, da cui penzolano i vecchi quotidiani isolanti, costituite da travi di legno massello. I pavimenti, poi, denotano le varie fasi temporali di costruzione ed utilizzo, mattonelle e mattoni, legni e terra battuta. È bello leggervi le tracce di vita, nonostante il sole non ci batta da anni, un filo d’erba sul davanzale, una fotografia sbiadita dall’umidità nascondono l’immobilità. Sotto i depositi, le cantine, le stalle scavate nella pietra, spazi polifunzionali in cui conservare i beni più cari, come l’asino e gli attrezzi del lavoro dei campi. Questi ambienti, su più piani e comunicanti, ora sono vuoti, hanno bisogno di essere riempiti con idee che ne rispettino l’identità e ne reinventino una storia. L’altra tipologia di ambiente è quello in cui dominano i segni tragici del tempo e della natura, le abitazioni scoperchiate e inondate dalle spine e dagli alberi che sono saliti dagli orti sottostanti, o meglio da quei terreni un tempo coltivati. È questo il terzo paesaggio, l’indefinito e indeciso luogo della contemporaneità, in cui la natura si riappropria dello spazio non più antropizzato. A cielo aperto queste che un tempo furono abitazioni sono diventate mausolei, carichi d’inquietudine, ma riappacificati con ciò che li circonda, con i campi della valle sottostante. (Fondazione MIdA; foto scattate o raccolte da Simone Valitutto)
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