il cliente che non paga: quali strumenti e "contromisure" per l'impresa creditrice

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IL CLIENTE IL CLIENTE CHE CHE NON NON PAGA: PAGA: QUALI QUALI STRUMENTI STRUMENTI E “CONTROMISURE” E “CONTROMISURE” PER L’IMPRESA CREDITRICE PER L’IMPRESA CREDITRICE



A Pubblicazionefinanziata finanziata nell’ambito 2014-2020 sottomisura Pubblicazione nell’ambito del del PSR PSR Marche 2014-2020 sottomisura1.2. 1.2.A

progetto id.39303 che prevede la partecipazione comunitaria



INDICE

1. Premessa

p. 1

2. I principi che regolano il processo civile: brevi cenni

p. 2

3. Il ricorso per decreto ingiuntivo

p. 6

4. L’atto di precetto

p. 12

5. Le varie tipologie di esecuzione forzata

p. 13

6. Considerazioni conclusive

p. 20


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1. Premessa La Costituzione della Repubblica Italiana assicura a tutti, anche ai non abbienti, l’incondizionato diritto di agire, ovvero resistere in giudizio a difesa dei propri diritti e interessi legittimi (art. 24 Cost.). La tutela dei diritti di ogni persona (sia fisica, che giuridica) non può realizzarsi, infatti, se non mediante il ricorso allo strumento giudiziale. A conferma della valenza perentoria dell’assunto si consideri che nel nostro Paese è anche penalmente perseguito colui che, al fine di far valere un proprio diritto, “si fa arbitrariamente ragione da sé medesimo”, sottraendo la propria pretesa all’azione del giudice competente (art. 392 c.p.). Il processo civile è lo strumento funzionale a garantire la tutela giurisdizionale dei diritti soggettivi e, di regola, si sviluppa unicamente su impulso di parte. Non si sottraggono a questa regola le azioni finalizzate al recupero del credito in ipotesi di inadempimento (più o meno grave) del debitore. Chiaramente la fase giudiziale rappresenta soltanto una possibile evoluzione di un procedimento volto a recuperare un credito, non certamente

una

conseguenza

ineluttabile,

poiché

qualunque

controversia può essere risolta stragiudizialmente (ad esempio, 1


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mediante il semplice invio di un sollecito di pagamento) ove sussistono i presupposti. 2. I principi che regolano il processo civile: brevi cenni L’azione, rifuggendo da semplificazioni eccessive, può essere definita come il diritto di ognuno di avviare un procedimento (c.d. domanda giudiziale), al fine di conseguire una tutela giurisdizionale. Il c.d. principio della domanda, chiaramente espresso dall’art. 99 c.p.c. (“Chi vuole far valere un diritto in giudizio deve proporre domanda al giudice competente”), costituisce il caposaldo del nostro sistema processuale civile. Colui che agisce in giudizio tecnicamente viene definito “attore”, mentre colui nei confronti del quale è avanzata la pretesa oggetto di domanda giudiziale viene definito “convenuto”. Presupposto per l’esercizio dell’azione è la titolarità in capo all’attore del diritto fatto valere in giudizio, oltre che di un concreto interesse alla domanda. Ogni processo, com’è sancito dal secondo comma dell'art. 111 della Costituzione, deve svolgersi “nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti ad un giudice terzo ed imparziale”. Al fine di garantire il rispetto del principio del contraddittorio è sufficiente che il convenuto sia stato previamente informativo informato -

mediante la tempestiva e rituale notificazione dell’atto introduttivo 2


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del giudizio - dell’esistenza di un processo, a prescindere dalla sua libera decisione di partecipare o meno al giudizio. La mancata partecipazione del convenuto al giudizio non implica alcun automatismo nell’accoglimento della domanda dell’attore, il quale di regola è comunque tenuto, nel rispetto del principio dispositivo, a provare i fatti che costituiscono il fondamento del diritto azionato giudizialmente (art. 2697 c.c.). L’assolvimento dell’onere della prova è condizione necessaria per il conseguimento del risultato processuale auspicato poiché, come sancito dall’art. 115 c.p.c., il giudice – fatti salvi i casi previsti dalla legge – “deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero nonché i fatti non specificatamente contestati dalla parte costituita”. Spetta dunque alle parti il dovere di indicare le prove o, per meglio dire, gli elementi di prova utili ai fini della decisione, non potendo il giudice acquisire “fuori” dal processo la conoscenza dei fatti da accertare. Il giudice può ovviamente estromettere dal giudizio le prove ritenute superflue, indicare alle parti le eventuali lacune probatorie da colmare, “intervenire” nell’indagine istruttoria e valutare i dati probatori acquisiti secondo il suo prudente apprezzamento, 3


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evidenziando però in sentenza le argomentazioni logiche e giuridiche alla base della decisione assunta. La c.d. “motivazione” costituisce, infatti, una delle parti essenziali del provvedimento decisorio a norma dell’art. 132 c.p.c. Una sentenza priva di motivazione rappresenta la plastica rappresentazione dell’ingiustizia, in quanto non consente alcuna comprensione e, di conseguenza, preclude la possibilità di individuare l’iter seguito dal giudice per pervenire al risultato enunciato. L’obbligo di motivazione cristallizzato dall’art. 111, comma VI della nostra Costituzione (“Tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati”) rappresenta una delle massime espressioni di garanzia dei cittadini nei confronti del potere giudiziario e assolve alla funzione di assicurare in concreto un giusto processo. Non può inoltre essere emessa una decisione eccedente i limiti della domanda. L’assunto

rappresenta

un

corollario

del

c.d.

principio

di

corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c. (“Il giudice deve pronunciare su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa; e non può pronunciare d’ufficio su eccezioni, che possono essere proposte soltanto dalle parti”), che costituisce la logica integrazione del principio della domanda. 4


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In definitiva, non può dunque essere emesso un provvedimento senza l’iniziativa del titolare della situazione giuridica soggettiva che si assume violata e non può essere assunta una decisione che ecceda i limiti di tale richiesta. Il giudizio civile, come sopra evidenziato, è definito di regola con il deposito di una sentenza. Le sentenze rappresentano i provvedimenti giurisdizionale per antonomasia e sono sempre irrevocabile irrevocabili da parte del giudice che le ha emesse. Sono suscettibili di essere modificate da parte di altro giudice in sede di impugnazione ma, normalmente, acquistano immediatamente efficacia esecutiva tra le parti e legittimano la parte vittoriosa in giudizio ad avviare l’esecuzione forzata nei confronti della parte soccombente. Trattasi di fase (eventuale, avviata sempre su istanza di parte) funzionale ad “obbligare” quest’ultima a dare esecuzione, volente o nolente, alle disposizioni contenute in un provvedimento decisorio. Il soggetto che non intende spontaneamente “adeguarsi” ad una sentenza rischia dunque molto seriamente di subire un’esecuzione, che

può

manifestarsi

tanto

in

forma

specifica

(materiale

conseguimento dello specifico risultato a cui la parte vittoriosa ha diritto; si pensi, ad esempio, alla demolizione di un manufatto o alla 5


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riconsegna di un bene) quanto in forma generica (espropriazione di uno o più beni della parte soccombente al fine di garantire, mediante le modalità di cui si dirà meglio nel prosieguo, il soddisfacimento delle ragioni creditorie della parte vittoriosa). 3. Il ricorso per decreto ingiuntivo In alcuni casi, espressamente stabiliti dalla legge e circoscritti ad talune ipotesi particolari, il giudice può eccezionalmente emettere un provvedimento prima che il destinatario dello stesso abbia avuto contezza dell’avvio della relativa procedura. Si tratta di procedimenti “speciali” che, in ragione della peculiarità e delle finalità sottese agli stessi, giustificano una decisione che, per quanto precaria e suscettibile di rivisitazione, è emessa senza alcun contraddittorio, in deroga ai principi che regolano le “normali” cause civili. È il caso, ad esempio, dei procedimenti d’ingiunzione ante causam, strumenti finalizzati a garantire al creditore (o, più correttamente, al soggetto che assume essere creditore) una tutela più celere e una rapida formazione di un titolo esecutivo, al fine di aggredire i beni del debitore. I tempi di un procedimento civile ordinario (scandito da varie fasi processuali che spesso presuppongono lo svolgimento di varie 6


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udienze e molteplici adempimenti) mal si conciliano con le esigenze di celerità di chi deve recuperare un credito. Ecco quindi che al creditore insoddisfatto, ferma restando la possibilità di incardinare un ordinario procedimento di cognizione a tutela delle della proprie ragioni creditorie, è riconosciuta la facoltà di utilizzare lo strumento monitorio. Non sempre è possibile ricorrere al decreto ingiuntivo per recuperare un credito. Questa particolare forma di tutela “sommaria” (trattasi, come sopra sottolineato, di un procedimento “speciale”) è difatti concessa unicamente al creditore di una somma certa, liquida ed esigibile di denaro, in grado di comprovare per iscritto l’esistenza della propria pretesa di pagamento (art. 633 c.p.c.). A tal fine, nell’ambito dei crediti derivanti dai più comuni rapporti d’impresa, costituiscono prove scritte idonee a giustificare l’emissione di un decreto ingiuntivo “gli estratti autentici delle scritture contabili di cui agli articoli 2214 e seguenti del codice civile, purché bollate e vidimate nelle forme di legge e regolarmente tenute, nonché gli estratti autentici delle scritture contabili prescritte dalle leggi tributarie, quando siano tenute con l'osservanza delle norme stabilite per tali scritture” (art. 634 c.p.c.). 7


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La domanda di ingiunzione si propone con ricorso al giudice competente che, se ritiene sufficientemente giustificata la pretesa creditoria, a norma dell’art. 641 c.p.c. ingiunge al debitore di pagare “nel termine di quaranta giorni, con l'espresso avvertimento che nello stesso termine può essere fatta opposizione a norma degli articoli seguenti e che, in mancanza di opposizione, si procederà a esecuzione forzata”. Il decreto ingiuntivo, una volta emesso, deve essere poi notificato dal creditore al debitore ingiunto nel termine di sessanta giorni. Quest’ultimo, ricevuta la notificazione, ha essenzialmente due alternative: pagare gli importi di cui al decreto ingiuntivo o fare opposizione. In entrambi i casi, il termine è di quaranta giorni. L’art. 642, comma 1 c.p.c. specifica che “se il credito è fondato su cambiale, assegno bancario, assegno circolare, certificato di liquidazione di borsa, o su atto ricevuto da notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato” il decreto ingiuntivo è emesso già provvisoriamente esecutivo e consente al creditore, di conseguenza, di promuovere immediatamente un’esecuzione. In questa ipotesi, il termine di quaranta giorni viene fissato unicamente ai fini della (eventuale) opposizione del debitore ingiunto. 8


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La provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo (che, chiaramente, rappresenta un elemento rafforzativo nell’ottica di una più rapida tutela delle ragioni creditorie del ricorrente) può inoltre essere concessa, a norma dell’art. 642 c.p.c., comma 2 “se vi è pericolo di grave pregiudizio nel ritardo, ovvero se il ricorrente produce documentazione sottoscritta dal debitore, comprovante il diritto fatto valere”. Al netto della provvisoria esecuzione, l’ingiunzione di pagamento, in mancanza di tempestiva opposizione del debitore, viene dichiarata esecutiva e acquista efficacia di giudicato. In sostanza, il decreto ingiuntivo non opposto è equiparato ad una sentenza definitiva (non più impugnabile). Il debitore che riceve la notificazione di un’ingiunzione può paralizzare la pretesa creditoria contestando, ad esempio, l’esistenza del credito o la sussistenza dei presupposti per l’emissione del provvedimento. L’importo ingiunto potrebbe, infatti, non essere dovuto per mille ragioni che il giudice, chiaramente, non può conoscere al momento della sottoscrizione del provvedimento monitorio; come sopra evidenziato, infatti, il decreto è sempre emesso in mancanza di contraddittorio e senza un’approfondita indagine circa l’esistenza e la consistenza del diritto azionato dal ricorrente. 9


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La natura sommaria del procedimento di ingiunzione viene meno, appunto, se l’ingiunto propone opposizione nel predetto termine di quaranta giorni dalla notificazione del decreto. In questo caso inizia una vera e propria causa, con tutte le garanzie del contraddittorio e nel pieno rispetto dei principi che regolano il processo civile ordinario di cui si è fatto cenno al paragrafo precedente. Nel corso del procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo il giudice decide (con sentenza) sulla sussistenza e sulla validità del credito posto a fondamento della domanda azionata in via monitoria. Al fine di scongiurare eventuali opposizioni pretestuose, animate da eventuali intenti dilatori dell’ingiunto, l’articolo 648 c.p.c. prevede in ogni caso che il giudice “se l’opposizione non è fondata su prova scritta o di pronta soluzione” può concedere l’esecuzione provvisoria del decreto ingiuntivo opposto già in sede di prima udienza. In sostanza, se vi è l’immediata percezione di un’opposizione basata su prove che devono essere necessariamente acquisite nel corso del processo (e che, presuppongono, quindi una lunga e articolata fase istruttoria), il debitore può essere comunque tenuto a pagare gli importi ingiunti prima della fine del procedimento di opposizione. 10


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Un decreto ingiuntivo esecutivo, anche in via provvisoria ai sensi dell’art. 642 c.p.c. o dell’art. 648 c.p.c., costituisce titolo idoneo a promuovere un’esecuzione forzata nei confronti del debitore. Di seguito un breve sunto schematico del procedimento di ingiunzione e dei possibili principali scenari che di regola si producono dopo la notifica del provvedimento monitorio.

notificazione di un decreto ingiuntivo da parte del creditore

fare opposizione (inizia così una causa civile vera e propria)

nei successivi 40 giorni il debitore può decidere se

pagare

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4. L’atto di precetto Prima di promuovere qualsiasi esecuzione forzata, è necessario provvedere alla notificazione dell’atto di precetto (art. 480 c.p.c.). L’atto di precetto altro non è che un’intimazione di adempiere l’obbligo risultante dal titolo esecutivo entro un termine di regola non inferiore a dieci giorni, con l’avvertimento che, in difetto, sarà promossa una procedura esecutiva. Nello schema riepilogativo sottostante è riportata, in forma semplificata,

la

sequenza

basilare

degli

atti

che

conduce

all’esecuzione

titolo esecutivo (ad esempio, decreto ingiuntivo o sentenza)

notificazione dell’atto di precetto

esecuzione forzata

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Si SiSiconsideri, consideri, consideri,ad ad adogni ogni ognimodo, modo, modo,che che chenon non nonsempre sempre sempreèèènecessario necessario necessarioadire adire adireun un un tribunale tribunale tribunaleper per perottenere ottenere ottenereun un untitolo titolo titoloesecutivo. esecutivo. esecutivo.La La Lalegge, legge, legge,infatti, infatti, infatti,riconosce riconosce riconosce

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ESECUZIONI IN FORMA SPECIFICA Sono caratterizzate dal fatto che, in estrema sintesi, il bene aggredito corrisponde al bene dovuto. Ad esempio, una sentenza stabilisce che Caio ha diritto alla demolizione di un muro costruito da Tizio. Se quest’ultimo non dovesse provvedere spontaneamente, Caio potrà attivarsi per ottenerne coattivamente la demolizione. Altro esempio: Sempronio chiede ed ottiene dal tribunale competente la restituzione di un bene precedentemente sottratto da Mevio. Se quest’ultimo non intendesse adeguarsi alla decisione, Sempronio avrà diritto di promuovere un’esecuzione volta a conseguire proprio la consegna di quel bene. ESECUZIONI IN FORMA GENERICA sono funzionali a “trasformare” uno o più beni del debitore in una Sono somma di denaro, al fine di consentire al creditore di soddisfarsi sul ricavato delle operazioni di vendita e/o assegnazione disposte dal giudice dell’esecuzione. Si tratta dei procedimenti esecutivi di gran lunga più frequenti nella prassi e, in ogni caso, degli strumenti che possono essere azionati al fine di recuperare un credito quantificato con sentenza (o con 14


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qualunque altro titolo esecutivo) avente ad oggetto una determinata somma di denaro. Nell’ambito delle procedure “in forma generica” è possibile distinguere, sulla base dell’oggetto dell’espropriazione, varie tipologie di esecuzioni. La scelta del tipo di esecuzione forzata da intraprendere dipende quindi necessariamente dai beni di cui dispone il debitore. Fermo restando che, di regola, il creditore può valersi cumulativamente di diversi mezzi di espropriazione forzata previsti dalla legge al fine di soddisfare il proprio credito, spesso è determinante operare un’indagine ricognitiva preliminare sulla consistenza del patrimonio del debitore allo scopo di individuare il bene (o i beni) da sottoporre ad esecuzione. A norma dell’art. 2740 c.c., “il debitore risponde dell'adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri”. L’insieme dei beni del debitore costituisce il patrimonio di quest’ultimo, che rappresenta la c.d. “garanzia generica” del soddisfacimento delle ragioni creditore. È chiaro che se un determinato bene non fa più parte del patrimonio del debitore (perché, ad esempio, oggetto di una vendita o di una donazione), viene meno il diritto del creditore di sottoporlo ad azione esecutiva. 15


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L’espropriazione forzata, in estrema sintesi, può avere ad oggetto:

Indipendentemente dalla tipologia di esecuzione, tutti i procedimenti esecutivi sopra menzionati sono avviati mediante il pignoramento, un atto (che va compiuto nel termine massimo di novanta giorni dalla notifica dell’atto di precetto) per mezzo del quale l’ufficiale giudiziario competente, su istanza del creditore, ingiunge al debitore di astenersi da qualunque comportamento diretto a sottrarre i beni espropriati alla garanzia del soddisfacimento delle ragioni creditorie. 16


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Il pignoramento - che comprende anche gli accessori, le pertinenze e i frutti della cosa pignorata - non priva il debitore della proprietà sul bene, ma rende inopponibili al creditore tutti gli atti dispositivi eventualmente compiuti sullo stesso. Gli effetti traslativi si realizzano, infatti, solo con la vendita forzata, che rappresenta sostanzialmente l’atto con il quale vengono trasferiti al nuovo acquirente tutti i diritti sul bene che spettavano precedentemente a colui che ha subito l’espropriazione. La vendita forzata consente inoltre di convertire in denaro liquido i beni del debitore e soddisfare i diritti del creditore che ha avviato la procedura esecutiva (c.d. creditore “procedente”) e degli eventuali creditori “intervenuti” nella stessa. Tutti i creditori di uno stesso debitore, infatti, hanno di regola lo stesso diritto di essere soddisfatti sui beni di quest’ultimo (c.d. par condicio creditorum), salve le cause legittime di prelazione. Il principio è sancito espressamente dall’articolo 2741 c.c. Sono cause legittime di prelazione i privilegi, il pegno e le ipoteche. Si tratta, in pratica, di titoli “preferenziali” che giustificano un trattamento di maggiore favore per alcune categorie di creditori, chiamati appunto “privilegiati”. Questi ultimi (in ragione della particolare natura del proprio credito, ovvero a causa dell’esistenza di un diritto reale di garanzia) hanno 17


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diritto di essere soddisfatti con prevalenza rispetto ai creditori semplici (i c.d. “chirografari”) sul ricavato della vendita del bene espropriato. Se il ricavato della vendita forzata è superiore ai debiti da estinguere (ipotesi realisticamente assai remota), il ricavato in eccedenza è rimesso al debitore esecutato. Se, per contro, il ricavato è insufficiente al soddisfacimento del credito (o, molto spesso, dei crediti concorrenti), si materializzano i presupposti per una soddisfazione solo parziale delle ragioni creditorie. Scenario che non esclude, ovviamente, la possibilità per il creditore non integralmente soddisfatto di proporre nuove azioni esecutive su altri beni (anche futuri) del debitore. Infine, ma non da ultimo, si aggiunga che non tutti i beni del debitore sono pignorabili. Ad esempio, costituiscono beni tipicamente e assolutamente impignorabili le cose sacre e quelle che servono all’esercizio del culto, le fedi nuziali, i vestiti, la biancheria, i letti, i tavoli della cucina con le relative sedie, gli armadi guardaroba, i cassettoni, il frigorifero, le stufe, la lavatrice e gli utensili di casa e cucina, in quanto indispensabili al debitore e alle persone della famiglia con lui conviventi, come testualmente sancito dall’art. 514 c.p.c. 18


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Il diritto del creditore di soddisfare le proprie legittime pretese patrimoniali non può, infatti, prevalere sul diritto alla vita e alla dignità del debitore.

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6. Considerazioni conclusive La presente trattazione è stata concepita con l’evidente obiettivo di offrire un contributo di natura ricognitiva, in termini per quanto possibile discorsivi e immediati, su una tematica evidentemente molto complessa e articolata, percepita generalmente come materia riservata ai soli operatori del diritto. Questo contributo, senza utopistiche pretese pretesa di completezza, si propone quale strumento utile a focalizzare in maniera semplice e diretta i tratti salienti di alcune tra le principali questioni processuali e procedimentali sottese al recupero del credito. La finalità non è chiaramente quella di delineare i meccanismi di funzionamento

del

procedimento

civile,

ma

di

fornire

all’imprenditore un supporto chiaro, snello e immediatamente comprensibile

per

decriptare

alcune

dinamiche

che

spesso

rappresentano ideogrammi indecifrabili per i non addetti ai lavori.

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