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Pubblicazionefifinanziata nell’ambito 2014-2020 sottomisura Pubblicazione nanziata nell’ambito del del PSR PSR Marche 2014-2020 sottomisura1.2. 1.2.A progetto id.39305 che prevede la partecipazione comunitaria
CRITERI PER LA GESTIONE DI UN VIGNETO BIOLOGICO
SOMMARIO
Introduzione……………………………………………………………p.01 La normativa di riferimento sul metodo di coltivazione biologico …p.02 L’assoggettamento al metodo di produzione biologico e il periodo di conversione ……………………………………………….p.03 Il modello viticolo biologico …………………………………………..p.04 La gestione del suolo …………………………………………………..p.06 La fertilizzazione…………………………………………………. ….p.08 Il sovescio ……………………………………………………………..p.10 Le lavorazioni meccaniche……………………………………….. ….p.11 L’inerbimento ………………………………………………………...p.12
La gestione della pianta ……………………………………………….p.13 La difesa fitosanitaria in viticoltura biologica ……………………….p.16 L’utilizzo del rame in viticoltura biologica ………………………….p.17 Strategie di difesa contro la peronospora della vite …………………p.18
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INTRODUZIONE La viticoltura biologica è un metodo di coltivazione che ha come obiettivo prioritario l’equilibrio ecologico dell’ecosistema vigneto, riconosciuto come principale strumento per rafforzare la naturale capacità di resistenza della vite, contro le avversità biotiche e abiotiche. Questo significa partire da un miglioramento e mantenimento della fertilità del suolo, da una corretta applicazione delle tecniche di lavorazione, diserbo e concimazione, dall’utilizzo di mezzi tecnici eco-compatibili e metodi di lotta biologica per la difesa della vite dai parassiti e dalle malattie. Tutto ciò deve poggiare anche su l'attuazione di pratiche agronomiche volte a favorire un agroecosistema complesso ed equilibrato, come ad esempio l'inerbimento interfilare, la presenza di siepi e fasce boschive e la riduzione degli interventi con anticrittogamici o insetticidi ad ampio spettro. L’equilibrio, dunque, è il fine ultimo della viticoltura biologica. Piante troppo vigorose sono molto suscettibili ai patogeni, mentre piante troppo deboli sono molto suscettibili agli stress. In entrambi i casi aumentano i costi e diminuisce la qualità. Il punto di forza di un vigneto biologico, pertanto, sta nel creare un modello viticolo a basse esigenze e alte prestazioni, dove sono le risorse locali ad essere esaltate, svincolando il sistema dall’eccessivo ricorso ad inputs energetici esterni. Piante in equilibrio non solo danno una migliore qualità con 1
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maggiore costanza negli anni, ma riducono anche i costi e la dipendenza dalla chimica. In definitiva, l’utilizzo di uva sana è fondamentale per ottenere un vino di qualità, in particolare se la vinificazione avviene con metodo biologico, dove la normativa di settore è più limitante rispetto al metodo convenzionale, in termini di prodotti utilizzabili, quantità e tecniche di lavorazione impiegabili in cantina. LA NORMATIVA DI RIFERIMENTO SUL METODO DI COLTIVAZIONE BIOLOGICO Le norme sulle produzioni vegetali biologiche sono dettate dall’art. 12 del Reg (CE) 834/2007, mentre le modalità applicative fanno riferimento agli artt. 3-5-36-45 del Reg. (CE) 889/08 e dai suoi Allegati tecnici, oltre alla legislazione nazionale e regionale di settore. In particolare, negli Allegati I e II sono riportati i mezzi tecnici ammessi in agricoltura biologica. L’Allegato I si riferisce agli ammendanti, concimi e nutrienti utilizzabili per soddisfare le esigenze nutrizionali dei vegetali, nell'ambito della produzione biologica, ma solo nei limiti del necessario. L’Allegato II, invece, riguarda i prodotti fitosanitari necessari per proteggere adeguatamente i vegetali contro i parassiti e le malattie, quando gli interventi agronomici preventivi non sono sufficienti a prevenire l’insorgenza dei danni provocati da insetti, funghi, virus, batteri.
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Per quanto concerne i prodotti utilizzati nelle trappole e nei distributori automatici, eccetto i distributori di feromoni, tali trappole e distributori devono impedire il rilascio delle sostanze nell'ambiente e il contatto fra le sostanze e le colture in produzione. Le trappole sono raccolte dopo l'utilizzazione e riposte al sicuro. Sull’utilizzo del materiale di propagazione, nel caso specifico della vite, anche per la fornitura delle barbatelle bisogna rivolgersi a rivenditori/produttori autorizzati. Solo nel caso in cui il prodotto bio richiesto non sia disponibile in quantità, varietà/clone o nei tempi utili, è ammesso l’utilizzo di barbatelle convenzionali, purché non trattate con prodotti fitosanitari diversi da quelli ammessi nell’allegato II del Reg. (CE) n. 889/2008 e no OGM, e dietro richiesta di deroga. L’ASSOGGETTAMENTO AL PRODUZIONE BIOLOGICO E CONVERSIONE
METODO IL PERIODO
DI DI
L’iter per la certificazione biologica inizia con la Prima Notifica, rilasciata sul SIAR Marche (Sistema Informativo Agricoltura Regionale), e con l’assoggettamento dell’azienda ad un Organismo di Controllo sulle produzioni biologiche. Nello specifico, il percorso di certificazione prevede: 1. Prima notifica e scelta dell’Organismo di Controllo; 3
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2. Documentazione da allegare alla prima notifica (Dichiarazione tecnica integrativa produzioni vegetali, mappe catastali dell’intera superficie aziendale con delimitazione degli appezzamenti); 3. Valutazione della documentazione da parte dell’O.C.; 4. Visita ispettiva di avvio (entro 90 gg dall’invio documentazione e rilascio notifica sul SIAR); verifica della idoneità aziendale e consegna dei registri (colturali, materie prime, vendite); stesura della relazione di ispezione (Verbale); 5. Il giudizio di idoneità viene espresso tramite il rilascio del DOCUMENTO GIUSTIFICATIVO (entro 90 gg). Il periodo di conversione rappresenta il tempo che intercorre tra l’inizio delle pratiche biologiche, dopo l’assoggettamento dell’azienda al metodo di produzione biologico, e la possibilità di certificare i prodotti vegetali come biologici. Tale periodo è di 2 anni per le produzioni erbacee e 3 anni per quelle arboree. IL MODELLO VITICOLO BIOLOGICO Il vigneto è una coltura poliennale e il pedo-clima varia a seconda dell’areale interessato, per cui già nella fase di progettazione bisogna cercare le soluzioni adeguate al proprio ambiente di coltivazione. Il successo in viticoltura biologica non può essere raggiunto per caso con una strategia universale, ma è in base alla natura del suolo che si stabilisce l’obiettivo enologico, per 4
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raggiungere il quale bisogna operare con un programma mirato, allo scopo di realizzare la forma e dimensione più adatta per la pianta, in grado di rispondere al meglio alle peculiarità del proprio territorio. Un modello viticolo biologico deve essere impostato per esaltare tutti i fattori utili a ridurre la suscettibilità delle piante ad attacchi patogeni e stress abiotici, operando scelte colturali già in fase d’impianto e interventi agronomici nella successiva gestione del vigneto. La viticoltura biologica si identifica nel concetto di terroir, secondo il quale il progetto integrato di un nuovo impianto va basato su: scelte genetiche indirizzate a esaltare le caratteristiche ambientali; soluzioni agronomiche indirizzate a esaltare le scelte genetiche; strategie colturali in perfetta sintonia con le scelte operate. Considerando che suolo e clima sono gli elementi che contraddistinguono i terroirs, la massima espressione di questi fattori varia in funzione della capacità delle piante di:
intercettare le radiazioni solari da parte della parete fogliare (dimensione e continuità); assorbire la soluzione idrico-minerale dal terreno tramite l’apparato radicale (densità/mq e profondità).
Il metodo biologico non si riduce alla semplice rinuncia alle molecole di sintesi a favore di quelle naturali: valorizzare le 5
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risorse del proprio ambiente di coltivazione significa creare piante meno esigenti e meno dipendenti soprattutto in termini di protezione fitosanitaria. L’intervento fitoiatrico dovrebbe rimanere l’ultima misura di difesa, se sino messe in atto azioni sono messe miranti a: rendere le piante meno suscettibili agli stress e meno appetibili per i patogeni (lo sviluppo regolare favorisce i meccanismi di autodifesa); creare ambienti meno favorevoli allo sviluppo delle malattie (una canopy più aerata migliora anche la penetrazione dei fitofarmaci); favorire una maggiore uniformità (la sincronia fenologica permette una maggiore efficacia degli interventi colturali). In definitiva, il metodo biologico non è solo uno strumento per la riduzione dell’impatto ambientale, ma è il mezzo più adatto per realizzare un modello viticolo più in sintonia con il proprio terroir. Con queste finalità, oltre ad essere esaltato l’obiettivo originario, cioè la qualità del vino, viene anche valorizzata la professionalità del viticoltore e l’approccio intelligente e utile con cui vengono gestite le risorse territoriali. LA GESTIONE DEL SUOLO Il mantenimento di buone condizioni del terreno, in termini chimici, fisici e biologici, è fondamentale per la sostenibilità ambientale ed economica del vigneto.
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È quindi necessario valutare attentamente la sua gestione per garantire buoni equilibri nel sistema suolo e migliorarne l’impatto sulla crescita della vite, sulla qualità delle uve, sull’ambiente e sui costi di produzione. L’elemento più importante da considerare nel rapporto suolopianta, sono le radici, vera forza vitale della pianta. Il terreno, influisce direttamente sullo sviluppo radicale e sulla disponibilità di acqua e di elementi minerali per la pianta di vite. Una buona struttura del terreno permette alle radici di svilupparsi in uno spazio più ampio e profondo, con maggiore disponibilità di acqua, nutrienti e ossigeno per i loro processi metabolici, oltre a incrementare la biodiversità degli organismi terricoli e a favorire il processo di rilascio dei nutrienti dalla sostanza organica. Un terreno vivo ed equilibrato garantisce la salute delle piante e l’espressione del terroir nei vini. Il vero impulso energetico per la parte aerea deriva dal terreno. In pratica, a seconda della tipologia di terreno è possibile adottare diverse modalità di gestione del suolo, per correggere, se necessario, l’assetto vegeto-produttivo (velocità e durata di crescita dei germogli, numero e dimensione dei grappoli, ecc.), in base alle esigenze di ogni ambiente di produzione. Le strategie di gestione del suolo devono essere anche le meno impattanti possibili, sia dal punto di vista chimico che meccanico. Quindi, oltre alla gestione della fertilità, bisogna anche limitare al massimo gli interventi meccanici.
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CRITERI PER LA GESTIONE DI UN VIGNETO BIOLOGICO LA FERTILIZZAZIONE
La fertilità, definita come capacità del suolo di sostenere in maniera duratura la produzione vegetale, deve essere mantenuta e, per quanto è possibile, migliorata. La viticoltura biologica è basata sulla “vitalità del suolo”, o meglio sulla conservazione e incremento della sua fertilità. La sostanza organica è il principali fattore di questa vitalità. Dal suo contenuto dipende il miglioramento della struttura del suolo, mentre i complessi argillo-umici limitano i rischi di compattazione, erosione e formazione della crosta superficiale dei suoli. La sostanza organica, inoltre, aumenta la disponibilità di acqua nel terreno, oltre ad essere fonte di energia e nutrienti per le piante e per la micro-fauna del suolo. In agricoltura biologia, pertanto, è opportuno parlare di piano di fertilizzazione piuttosto che di concimazione, perché il bilancio nutrizionale non è un rapporto “dare per avere”, in termini elementi nutritivi (azoto, fosforo, potassio), ma ogni intervento fertilizzante, oltre a soddisfare il fabbisogno nutritivo delle piante, deve avere nello stesso tempo un importante effetto ammendante, per riequilibrare il bilancio umico del terreno, a causa della perdita annuale di sostanza organica (humus). Una nutrizione completa e bilanciata evita uno sviluppo stentato e disarmonico delle piante, condizioni che espongono 8
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maggiormente il vigneto a rischi sanitari e difficoltà di maturazione. Tali rischi sono limitati da: una disponibilità sufficiente e prolungata prolungata degli elementi nutritivi; ottimali condizioni del terreno per l’abitabilità delle radici; possibilità di accumulare sostanze di riserva nelle radici e fusto. L’utilizzo di adeguate quantità di prodotti organici compostati garantisce al terreno un buon contenuto di sostanza organica umificata, da cui deriva un lento rilascio degli elementi nutritivi e una buona capacità di scambio del terreno. Durante il periodo di allevamento del vigneto gli apporti fosfatici (P) devono essere prevalenti per irrobustire le radici, mentre in produzione sono importanti le concimazioni potassiche (K), per migliorare il frutto, generalmente associate a quelle azotate (N) necessarie per l’accrescimento delle foglie. Nei vigneti in produzione il concime organico va distribuito in autunno (appena finita la vendemmia, quando le radici non devono più nutrire foglie e grappoli) e subito interrato con una lavorazione profonda (finalizzata anche ad aumentare la capacità di invaso e a preparare il letto di semina per il sovescio). L’autunno è il momento ideale per apportare sostanza organica al terreno. L’aumento delle riserve nelle radici e nel fusto prima dell’inverno migliora la resistenza al freddo e favorisce
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un germogliamento più omogeneo, che a sua volta è la premessa per una vegetazione più regolare e resistente. IL SOVESCIO
“Alimentare il terreno e non le piante” è il principio di base in agricoltura biologica per quanto riguarda la nutrizione delle piante. La pratica del sovescio consiste nella semina di una singola specie o di una miscela di specie e nella incorporazione della biomassa verde nel terreno. Numerosi sono i vantaggi del sovescio per il viticoltore. Azione nutrizionale: il sovescio arricchisce il terreno di sostanze preziose per il suo nutrimento e la fertilità, per esempio un sovescio di leguminose arricchisce il terreno di azoto che influisce sulla qualità delle uve bianche; Protezione del suolo: soprattutto sui versanti, se il sovescio coincide con i mesi più piovosi, ha la capacità di contenere l’erosione di suolo fertile e il ruscellamento nei terreni scoscesi; Protezione della falda idrica: alcune sementi come le graminacee sono considerate colture trappola, capaci quindi di trattenere i nitrati che andrebbero a contaminare la falda acquifera; Controllo delle erbe infestanti: alcune sementi scelte per il sovescio, come il genere Salvia, impediscono la crescita di altre erbe infestanti; Rifugio per insetti utili: il sovescio può diventare luogo di rifugio per molti insetti creando un’utile diversificazione dei 10
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micro-organismi, ovvero dell’ecosistema vigneto.
incrementare
la
biodiversità
LE LAVORAZIONI MECCANICHE
Le lavorazioni del terreno dovrebbero essere ridotte per consentire al vigneto biologico di aumentare i benefici dalla struttura stabile e dall’attività biologica nel terreno. Tra gli inconvenienti delle lavorazioni che aumentano la suscettibilità delle piante agli stress sono da segnalare: peggioramento della struttura del suolo; rapida degradazione della sostanza organica e riduzione dell’attività microbiologica; maggior erosione superficiale e minor infiltrazione verticale aumento dei costi. In ogni caso, il terreno va sempre lavorato al giusto grado di umidità con attrezzi che operano il “sollevamento” della terra (estirpatore e/o ripper) e non il “rimescolamento” (aratro), la “pressatura” (erpici a dischi) o la “frullatura” (fresa). Nei vigneti in produzione, dopo la vendemmia, sono consigliabili interventi finalizzati ad aumentare la capacità di invaso per l’acqua piovana, “potare” le radici per stimolarne lo sviluppo, interrare eventuali concimi, preparare il terreno per la semina dell’inerbimento o del sovescio. Nei terreni più pesanti o più compattati va fatta una rippatura autunnale, profonda almeno 40-50 cm. 11
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L’epoca della lavorazione sulla fila va valutata per ogni tipo di suolo in base alla crescita delle erbe spontanee. Con terreno poco sassoso, un primo intervento di scalzatura e rincalzatura (con dischi o vomeri interceppo) permette di controllare bene le infestanti e di preparare la baulatura del terreno sulla fila, utile per successive lavorazioni superficiali con lametta concava. Con terreno più sassoso, si può lavorare sin dall’inizio con erpici rotanti ad asse verticale o con lametta scalzante. L’INERBIMENTO
Nella gestione dell’interfila si è passati, a partire dagli anni ’70, dalla sola lavorazione all’adozione delle diverse tecniche di inerbimento, spontaneo o artificiale. Sulla base delle esperienze pregresse e nell’ottica di una visione integrata nella gestione del suolo, lavorazioni-inerbimento, la modalità più indicata è quella dell’inerbimento temporaneamente permanente. Questa tecnica può avere durata annuale e si può realizzare sia con il sovescio classico, con trinciatura e interramento annuale, sia creando uno strato pacciamante naturale. Il sovescio può essere realizzato in modo innovativo combinando graminacee vigorose, con sviluppo radicale profondo, e leguminose per l’apporto di azoto. L’alternativa al sovescio, sempre in relazione a una gestione annuale del cotico erboso, è lo schiacciamento della biomassa erbacea per ottenere una pacciamatura naturale. In questo modo il deperimento delle piante è progressivo e l’attività di
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accumulo si prolunga con aumento del rapporto C/N della biomassa (maggiore formazione di humus stabile). Nel caso della durata pluriennale, i benefici delle lavorazioni e dell’inerbimento permanente vengono amplificati, in quanto si viene vieneha: a: beneficiare dell’effetto positivo delle lavorazioni profonde (60-70 cm) a cadenza triennale; permettere un’aratura superficiale, a seguito di quella profonda autunnale, per livellare l’interfila, preparare il letto di semina, interrare concimi organici; garantire una buona copertura erbacea del suolo per più anni, al fine di permettere una buona transitabilità dei mezzi agricoli. Sulla scelta delle essenze erbacee è meglio orientarsi su specie con portamento prostrato e leguminose per le proprietà azotofissatrici. LA GESTIONE DELLA PIANTA Il potenziale produttivo di ogni singola pianta in viticoltura può essere organizzato variando il numero, posizione e dimensione dei grappoli. La suscettibilità ai patogeni varia in relazione alle caratteristiche delle pareti fogliari e alla vigoria dei germogli; la presenza di tessuti giovani (più appetibili) e il microclima che si crea all’interno della chioma dipende dalla vicinanza tra i germogli e dalle loro dimensioni. Anche la penetrazione degli antiparassitari all’interno della chioma è in stretta relazione con la disposizione spaziale della 13
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vegetazione (volume complessivo e densità degli strati fogliari). Essendo la vite una pianta spontaneamente molto esuberante (ad habitus rampicante), per ottimizzare le produzioni di un vigneto bisogna contrastare in modo deciso questa sua naturale tendenza. La forma e la dimensione della pianta regolano i ritmi fenologici e l’assetto vegeto-produttivo. Nelle piante a foglie piccole il ciclo di crescita è più regolare e questo permette una migliore predisposizione all’accumulo e una maggiore potenzialità di difese naturali nei confronti delle avversità. La minore vigoria regala grappoli più piccoli con un maggiore sincronismo di maturazione e minore o nessuna necessità di diradamento. Il Vigore (potenziale produttivo) è l’espressione vegetativa delle strutture annuali stimolata dalle strutture perenni (attività radicale e disponibilità delle riserve accumulate nel legno vecchio). La Qualità dipende dal rapporto che si instaura tra gli organi annuali (foglie/grappoli) dello stesso germoglio. L’Equilibrio vegeto-produttivo deve realizzarsi non tanto a livello di pianta (per la quale è più importante quello tra sviluppo radicale e sviluppo aereo) quanto a livello di singolo germoglio (che di fatto è l’unità produttiva). Per produrre vini di pregio la strategia vincente è quella della ridotta vigoria e bassa produzione per ceppo: 14
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piante piccole, anticipo dell’agostamento (maturazione dei tralci) e dell’invaiatura, con incremento dell’accumulo di soluti nella polpa e della sintesi di sostanze nobili nella buccia; piante grandi, eccesso di vigoria con prolungamento estivo dell’attività vegetativa. In questo si ha una viticoltura molto generosa in acidità, tannini erbacei e pirazine. L’ostacolo maggiore al metodo biologico è il controllo dei patogeni, ma la suscettibilità alle malattie si riduce con piante in equilibrio (minore vigoria), per cui qualità e biologico sono perfettamente coerenti e coesistenti. A questo proposito va segnalata l’importanza della precoce selezione dei germogli, che permette di ottenere un microclima migliore attorno a foglie e grappoli, in modo da ottimizzare la difesa con basse dosi di fitofarmaci. La corretta gestione del verde è la principale forma di controllo dell’aggressività dei patogeni. Una corretta potatura verde migliora il microclima della vegetazione. Interventi tardivi sul verde sono nocivi per le piante a causa dell’ampia sezione delle ferite.
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LA DIFESA BIOLOGICA
FITOSANITARIA
IN
VITICOLTURA
In viticoltura biologica ci sono cinque regole principali da seguire per la protezione delle piante: 1. mantenimento della fertilità e di buone condizioni del suolo; 2. corretta gestione della chioma; 3. controllo della vigoria delle piante per aumentare i meccanismi naturali di difesa; 4. controllo biologico degli insetti e gestione del loro habitat; 5. interventi fitoiatrici con molecole ammesse. Per la protezione dai parassiti e dalle malattie la normativa prevede l’utilizzo prioritario di tecniche biologiche, agronomiche, fisiche e la selezione delle piante. Solo dove tali metodiche non permettono di proteggere adeguatamente i vegetali è consentito l’utilizzo dei prodotti dell’Allegato II del Reg. (CE) n. 889/2008. I prodotti utilizzabili anche in viticoltura biologica, inclusi nell’allegato II, sono suddivisi in 7 sezioni: 1. Sostanze di origine vegetale o animale: piretro, azadiractina, oli vegetali. 2. Microrganismi utilizzati nella lotta biologica contro i parassiti e le malattie: batteri entomopatogeni, funghi con azione antagonista, ceppi di virus entomopatogeni. 3. Sostanze prodotte da microrganismi: spinosad. 16
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4. Sostanze da utilizzare in trappole e/o distributori automatici: feromoni, trappole, trappole attivate con insetticidi. 5. Preparati da spargere in superfice tra le piante coltivate: fosfato ferrico. 6. Altre sostanze di uso tradizionale in agricoltura biologica: rame (ossicloruro, idrossido, poltiglia bordolese, ossido di rame) e zolfo. 7. Altre sostanze: idrossido di calcio e bicarbonato di potassio. L’UTILIZZO BIOLOGICA
DEL
RAME
IN
VITICOLTURA
L’utilizzo del rame e regolamentato dal Reg (CE) n. 2164/2019. La quantità massima utilizzabile ad ettaro, sia in agricoltura convenzionale che biologica è di 4 kg di rame metallo per anno. Tale quantità non può eccedere, per il periodo 2019-2025, i 28 kg/ha. I sali di rame sono prodotti di copertura. L’attività fitoiatrica deriva dalla disponibilità in soluzione di ioni rame, ed è quindi correlata alle caratteristiche di solubilità in acqua dei formulati. I formulati rameici tradizionali utilizzabili in agricoltura biologica sono riferibili a quattro categorie:
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Solfato di rame. È dotato di un’azione assai pronta e di una persistenza breve. Non viene utilizzato tal quale ma neutralizzato con calce per formare la poltiglia bordolese. Viene utilizzato solo al bruno. Idrossido di rame. Si caratterizza per una liberazione pronta e costante degli ioni rameici. È meno fitotossico e meno persistente della poltiglia bordolese. Bisogna evitare i trattamenti in fioritura. Ossicloruro di rame. Ne esistono essenzialmente 2 tipi: Ossicloruro di rame e calcio o triramico e Ossicloruro tetraramico. In genere gli ossicloruri hanno un’azione meno persistente ma più immediata rispetto alla poltiglia bordolese. Presentano un fitotossicità un pò meno accentuata rispetto all’idrossido. Vengono usati anche sul verde. Ossido rameoso. È dotato di un’adesività inferiore rispetto alla poltiglia bordolese. Può causare cascola dei fiori, rugginosità dei frutti e necrosi fogliari. STRATEGIE DI DIFESA CONTRO LA PERONOSPORA DELLA VITE Contro la peronospora, il limite dei 4 kg/ha di ione rame all’anno impone una strategia di difesa basata sulla riduzione dei dosaggi. Indicazioni operative: Effettuare continui monitoraggi della coltura per individuare tempestivamente le condizioni favorevoli all’insorgenza del patogeno;
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Gli interventi di copertura necessitano di un servizio di previsione meteo affidabile che va consultato quotidianamente; L’efficacia dei trattamenti dipende dalla tempestività di esecuzione rispetto all’infezione; attenzione nella fase di prefioritura; I dosaggi possono essere ridotti in quanto ad ogni pioggia infettante si rinnova la copertura per evitare rischi legati alla nuova vegetazione; puntare sulla persistenza più che sulla tempestività; scelta degli atomizzatori in grado di bagnare la foglia in modo omogeneo (soprattutto nella pagina inferiore) e su tutta la vegetazione. Alcune raccomandazioni: mantenere l’erba alta (oltre a frenare la proiezione delle oospore da terra ne limita la diffusione da un filare all’altro), sfogliatura basale precoce (i grappoli si asciugano prima e restano più spargoli), evitare un eccessivo rigoglio vegetativo, che oltre a creare un microclima favorevole al patogeno ostacola l’intervento fitoiatrico, impedendo ai fitofarmaci di colpire il bersaglio; eseguire interventi di potatura verde, per controllare il vigore delle piante e permettere una certa areazione della chioma. Fondamentale è anche l’eliminazione dei polloni, che costituiscono una fonte di inoculo da cui le infezioni primarie si propagheranno al resto della vegetazione del vigneto. 19
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Le oospore dal terreno arrivano sulla pianta con i primi attacchi in maggio-giugno e da esse si formano le spore, che danno origine alle infezioni secondarie in presenza di 24 ore di temperatura min. superiore a 10°C, pioggia min. di 10 mm e lunghezza dei germogli di almeno 10 cm (regola dei tre dieci). Per modulare il quantitativo di rame a ettaro in base alla fase vegetativa, grazie alla maggiore efficacia dei formulati attuali, si può partire con dosaggi bassi di 100-150 gr/ha di rame, aumentabili a 350-400 gr/ha o più di rame nelle fasi fenologiche più recettive alla malattia, come quelle che vanno dalla prefioritura alla post-allegagione. Volendo seguire una strategia basata sull’andamento delle condizioni climatiche, è opportuno usare dosaggi tra i 300-400 gr/ha di rame per trattamento, intervenendo preventivamente prima dell’evento climatico infettante. Per questa modalità operativa sono importanti previsioni climatiche valide a livello locale per non fare interventi inutili.
Immagine tratta da “Prontuario per il vignaiolo”/SPEVIS
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