Il mercato agroalimentare
Opuscolo realizzato nell’ambito del progetto di informazione n° 20970/2016, PSR Marche 2014-2020, M.O. 1.2. A—Azioni Informative relative al miglioramento economico delle aziende agricole forestali— FA 2A—Bando sottomisura 1.2. “Operazione A—Azioni informative relative al miglioramento economico della aziende agricole forestali” con il sostegno del Fondo Europeo Agricolo per lo Sviluppo Rurale (FEASR).
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La filiera agroalimentare italiana La filiera agroalimentare è un motore insostituibile per l'Italia infatti contribuisce per oltre l'11% al valore aggiunto dell'economia italiana; raccoglie 2,1 milioni di imprese e dà occupazione a 3,4 milioni di persone (oltre un quinto degli occupati dell'intero sistema economico) e conta circa 1,4 milioni di imprese. In particolare, la fase di "produzione e trasformazione dei beni alimentari" genera un giro d’affari di circa 190 miliardi di euro e contribuisce per il 4% al valore aggiunto totale.
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Settore agroalimentare – Domanda mondiale Il settore alimentare mondiale è in forte crescita nel medio-lungo periodo. La produzione di cibo a livello mondiale ha un forte impatto economicoambientale. Il settore agroalimentare vale circa 5 trilioni di dollari, rappresenta il 10% della spesa mondiale per consumo, occupa il 40% dei lavoratori del pianeta e produce il 30% dei gas serra. Il continuo aumento della domanda mondiale di cibo e l'evoluzione delle tecnologie hanno favorito una crescita costante della produzione. Il trend di crescita si è confermato anche negli anni della crisi: nel 2013, i livelli risultavano più alti del 23% rispetto al 2006. Nel settore della trasformazione alimentare, i paesi avanzati sono senz'altro dominanti, sebbene la dinamica di produzione in alcune economie emergenti stia accelerando sensibilmente. Cambierà la distribuzione e la composizione della domanda mondiale. La domanda mondiale di cibo nel prossimo decennio è attesa modificarsi in misura sostanziale, a seguito di alcuni importanti fattori di cambiamento: • crescita demografica. La popolazione mondiale – 7,2 miliardi di persone nel 2014 - dovrebbe superare gli 8 miliardi nel 2024 e i 9,5 nel 2050. I più elevati tassi di crescita sono attesi nei paesi emergenti; tra i paesi avanzati, in Europa e Giappone sono attesi tassi negativi di crescita della popolazione già nel prossimo decennio;
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• aumento medio del reddito disponibile, soprattutto nei paesi emergenti. Il Fondo Monetario Internazionale ha stimato per il 2020 un aumento medio del reddito pro capite superiore al 40% nelle economie in via di sviluppo, con incrementi che sfiorano il 55% nei paesi asiatici; l'incremento medio stimato per i paesi avanzati raggiungerà invece il 25%; • forti cambiamenti nelle diete alimentari dei paesi in via di sviluppo. La crescente urbanizzazione e il maggior reddito disponibile dei consumatori di questi paesi favorirà il cambiamento delle loro abitudini alimentari: in particolare, diminuirà il consumo di tuberi e legumi a favore di cibi proteici e grassi; la progressiva globalizzazione delle abitudini alimentari contribuirà inoltre alla crescente diffusione di cibi pronti. Le tendenze in atto condurranno ad una forte crescita della domanda alimentare nel prossimo decennio, pur se a ritmi più lenti rispetto al decennio precedente. Si assisterà inoltre a cambiamenti importanti nella struttura dei consumi, con riferimento sia alla localizzazione geografica che alla loro composizione. In particolare: • il maggior consumo proverrà per oltre l'80% dai paesi in via di sviluppo, mentre la domanda dai paesi avanzati – più stabile perché vicina ai livelli di saturazione – sarà più attenta a qualità, affidabilità, sostenibilità e tracciabilità dei prodotti.
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• il consumo di cibi proteici è atteso aumentare a tassi mediamente più alti rispetto ai cibi non proteici; POPOLAZIONE PER AREE GEOGRAFICHE, PREVISIONI AL
America Nord 446
Europa
2050
709
-4%
Asia 5164
+29% +24% Africa 2393 America Latina 782
+132% Oceania 57
+31%
+55% MONDO = 9,5 Mld
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Le principali filiere agroalimentari italiane per giro d'affari
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La filiera è purtroppo guidata da pochi paesi, negli scambi internazionali:
La filiera agroalimentare muove a livello mondiale 1,7 trilioni di dollari di scambi commerciali. I prodotti alimentari assorbono poco meno di un quinto del valore totale dell'export. Lo scambio internazionale di prodotti agroalimentari è aumentato del 127% nell'ultimo decennio. La dinamica riflette quella delle commodities agricole (+139%), il cui andamento è stato a sua volta influenzato dalle forte oscillazioni dei prezzi rilevate nel periodo. I prodotti alimentari (+78%) hanno invece mostrato una dinamica mediamente più simile a quella del Pil mondiale. Il commercio mondiale di prodotti agroalimentari è dominato da pochi paesi. I paesi avanzati giocano un ruolo da protagonisti (Stati Uniti, Germania, Francia, Paesi Bassi); tuttavia, il peso dei paesi emergenti sta aumentando rapidamente, soprattutto negli scambi delle materie prime agricole. Si segnalano, in particolare, le quote di mercato di Brasile e Cina e si evidenzia la posizione dell’ italia.
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La natura anticiclica del settore ha contenuto l'impatto della crisi Con un giro di affari di circa 190 miliardi di euro, l'agroalimentare rappresenta il secondo comparto produttivo del paese, dopo le costruzioni La sua natura anticiclica ha contribuito a contenere l’impatto della crisi, sebbene la caduta della spesa e il cambiamento delle abitudini alimentari delle famiglie hanno determinato flessioni importanti di attività in molte filiere produttive. Mediamente, il settore ha mostrato una dinamica migliore dell’intera economia, con un valore aggiunto a prezzi costanti rimasto sostanzialmente invariato nel periodo 2007-2015. Nonostante la tenuta, il periodo è risultato complesso per il settore agricolo. La principale criticità – oltre alla drastica contrazione dei consumi alimentari delle famiglie – è riconducibile agli alti costi di produzione, collegati ai rincari dei mezzi correnti di produzione. Il 2015 ha portato i primi segnali di ripresa, confermati nei primi mesi del 2016. Le vendite al dettaglio di beni alimentari nei primi due mesi dell'anno sono aumentate dell’1,2% a/a, contro lo 0,4% dei beni non alimentari. Il sentiment degli operatori ha iniziato a migliorare dalla seconda metà del 2014, raggiungendo un picco nel III trimestre 2015. La lieve discesa nel IV trimestre 2015 lo lascia comunque sui livelli più alti dall'inizio della rilevazione (2011). Migliorano, in particolare, le attese sul futuro (2-3 anni). Le prospettive del settore sono favorevoli. La domanda interna è in ripresa, anche se i livelli rimarranno inferiori a quelli pre-crisi ancora per qualche anno. Le esportazioni rafforzeranno invece il loro trend di crescita. Cautamente positivo l'outlook di medio periodo, grazie alle attese di crescita della domanda mondiale e ai generosi finanziamenti pubblici stanziati per la PAC 2015-2018.
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Il consumatore taglia gli acquisti alimentari, ma non rinuncia alla qualità La crisi ha determinato una drastica contrazione dei consumi alimentari. Tra il 2007 e il 2014 gli acquisti di prodotti alimentari da parte delle famiglie sono diminuiti del 13% in termini reali: una flessione nettamente superiore a quella dei consumi totali (-7,5%). La crisi ha portato con sé non solo una riduzione degli acquisti di beni alimentari, ma anche nuovi modelli di consumo e nuove strategie per recuperare potere d'acquisto. Sono emersi comportamenti innovativi per adeguare gli stili di consumo alle diminuite capacità di reddito:
ricerca del prezzo competitivo, tramite selezione consapevole di promozioni, prodotti primo prezzo, private label o anche ricorso a nuovi canali di acquisto, come discount, gruppi di acquisto solidale, e-commerce;
riscoperta del "fai da te": l'indagine Nomisma indica che 6 milioni di famiglie sono tornate a fare in casa il pane, le conserve, le marmellate; sono aumentate infatti le vendite di farina, zucchero, uova.
riduzione degli sprechi, tramite la riduzione delle quantità acquistate e la preferenza per confezioni più adeguate ai bisogni effettivi.
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L’attenzione al prezzo non fa dimenticare la ricerca della qualità tra le famiglie italiane. Il Made in Italy rimane un elemento di valutazione importante degli acquisti per 8 italiani su dieci, mentre i prodotti a marca Bio registrano vendite record sia nei negozi specializzati sia nella grande distribuzione. I consumi alimentari rimangono comunque la seconda voce di spesa nel budget familiare. In termini reali, essi rappresentano il 15% della spesa complessiva per consumi finali delle famiglie (16% nel 2007), preceduta soltanto dalle spese per abitazione, acqua, elettricità , gas e altri combustibili (pari al 24% contro il 22% nel 2007).
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La spesa alimentare delle famiglie è tornata a crescere dal 2015 La riduzione della spesa alimentare negli ultimi otto anni h interessato tutte le categorie di prodotti. Il segmento delle acque minerali e delle bevande non alcoliche, in particolare, ha sofferto più di altri, sfavorito dalla natura dei suoi prodotti percepiti come non essenziali all’alimentazione. Sul contenimento della spesa influiscono anche fattori non economici, come i sensibili cambiamenti socio-demografici in atto (famiglie meno numerose, prevalenza di anziani, più immigrati) che stanno modificando la domanda di consumo alimentare in maniera strutturale. Nel 2015, la spesa alimentare è tornata a crescere, anche se in misura piuttosto debole. Tra le categorie di prodotto, si osservano dinamiche migliori per gli olii e grassi vegetali (+11% l’aumento tendenziale nei primi 11 mesi dell’anno), la frutta (+39%) e gli ortaggi (2,2%).
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In questi anni il settore è stato trainato dalle esportazioni A fronte di consumi alimentari in calo, gli operatori del settore hanno cercato sempre piÚ mercati di sbocco all'estero. Nel periodo 2005- 2015, le esportazioni del settore agroalimentare sono cresciute ad un tasso medio annuo del 6% (+4,8% il Cagr del settore agricolo; +6,3% quello dell'industria alimentare). Tra i prodotti agroalimentari piÚ esportati, prevalgono i beni trasformati. Al primo posto, i vini (5,4 miliardi di euro nel 2015), seguiti da: latticini e derivati del latte, olii, paste, confetterie, salumi.
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La competitività dei nostri prodotti all’estero è debole Nonostante la qualità dei nostri prodotti e il crescente interesse per il Made in Italy sui mercati esteri, il confronto internazionale segnala che l’Italia esporta meno dei principali paesi competitor. Con un valore delle esportazioni superiore a 36 miliardi di euro nel 2015, il nostro paese risulta alle spalle di Germania, Francia e Spagna. In media, le esportazioni del settore assorbono il 18% circa del valore della produzione. Sebbene tale quota sia raddoppiata negli ultmi dieci anni, essa rimane ancora al di sotto di quella dei principali paesi concorrenti: 40% Spagna, 36% Germania, 35% Francia.
Il settore ha un potenziale di export da valorizzare elevato Il settore agroalimentare italiano ha un potenziale di export elevato ancora da valorizzare, come segnala lo stesso fenomeno dell’italian sounding— ovvero l’utilizzo di denominazioni geografiche, immagini e marchi che evocano l’Italia per vendere prodotti non italiani. Coldiretti stima che questa domanda potenziale di prodotti Made in Italy non soddisfatta valga circa 60 miliardi di euro (+180% negli ultimi 10 anni). Secondo L’Export Opportunity Index di Sace, i mercati a maggiore potenziale di vendita per i nostri prodotti sono: Arabia Saudita (85), Regno Unito (79), Emirati Arabi e Germania (78), Belgio (77), Algeria (76), Corea del Sud (75), Qatar, Australia, Paesi Bassi e Cina (74), India, Indonesia, Norvegia (71), Turchia, Spagna, Marocco, Francia, Singapore, Slovacchia (70).
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L'Italia è leader per numero di prodotti agroalimentari certificate L'Italia secondo dati Ismea conta il numero più alto di prodotti agroalimentari1 certificati riconosciuti dall'Unione Europea. Al 31 gennaio 2015, infatti i prodotti italiani DOP, IGT, e STG iscritti nell'apposito Registro sono 278 su un totale di 1.311 (21,1% del totale). Tra questi, il 40% circa sono prodotti ortofrutticoli e cereali; seguono formaggi (18%), olio d'oliva (16%) e salumi (13%). Il valore della produzione di tali prodotti ha raggiunto i 6,4 miliardi di euro nel 2014, con una crescita su base annua del 2,5%. Il valore al consumo è pari a 13,2 miliardi di euro (+4,2%), confermando la polarizzazione degli acquisti verso prodotti di qualità, pur in un contesto di consumi alimentari tendenzialmente negativi. Il comparto è trainato dai formaggi, che rappresentano oltre la metà del fatturato complessivo; seguono i prodotti a base di carne, che incidono per circa il 30% nel comparto. I prodotti agroalimentari1 certificati hanno una propensione all'export molto elevata. Le esportazioni rappresentano infatti il 44% circa del fatturato, avendo raggiunto nel 2014 un valore pari a 2,8 miliardi di euro (+13% a/a, una dinamica quasi doppia rispetto al settore agroalimentare totale). Si osserva tuttavia che le diverse categorie di prodotti mostrano differenze sostanziali nella propensione all'export, con quote che variano dal 5% delle carni fresche al 92% degli aceti balsamici. L'attenzione alla qualità della produzione trova riscontro anche nei cosiddetti prodotti agroalimentari tradizionali, prodotti ad alto valore gastronomico che non godono però della tutela comunitaria. Il MIPAAF aggiorna ogni anno l'Elenco ufficiale di tali prodotti, istituito con d.lgs 173/98.
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La struttura produttiva nel settore agricolo è molto frammentata Il 6°Censimento dell’agricoltura 2010 – con dati parzialmente aggiornati al 2013 – descrive un tessuto produttivo composto da una moltitudine di micro-realtà molto diverse tra loro e con attività non sempre rispondenti a criteri economici. Il settore sta comunque vivendo un processo di profonda trasformazione dell'offerta, caratterizzato da: • riduzione del numero delle aziende: a fine 2013, si contavano 1.471.185 aziende agricole, con una diminuzione del 9,2% rispetto al 2010, dopo il calo del 32,4% rilevato tra il 2000 e il 2010. La dinamica anagrafica è inversamente proporzionale alla dimensione aziendale; • aumento della dimensione media: a fine 2013, la dimensione media aziendale è salita a 8,4 ha, da 7,9 nel 2010 (5,5 nel 2000); • spostamento verso strutture giuridicamente più complesse e capitalizzate: benché prevalga nettamente la dimensione familiare, sono emersi segnali importanti verso forme flessibili di gestione fondiaria, una maggiore presenza di società di capitali, una accresciuta utilizzazione di manodopera salariata; • lento rinnovamento dei capi azienda, in termini di età (più giovane) e titolo di studio (più elevato). La frammentazione dell'offerta rende difficile attuare politiche di commercializzazione efficace, soprattutto all'estero.
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Da qui la tendenza degli operatori a riunirsi in associazioni (Organizzazioni di Produttori), gruppi di imprese, reti d'impresa, o forme societarie, con il fine di aumentare il peso nei mercati di riferimento o puntare ad un recupero di competitivitĂ tramite filiere piĂš integrate.
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Offerta frammentata nel settore alimentare, con alcune eccezioni Il settore alimentare italiano conta oltre 53.000 imprese, pari al 14% circa dell’industria manifatturiera. La struttura produttiva è molto frammentata, con una media di 7,4 addetti per impresa. Eccezioni importanti si osservano in alcune filiere produttive, con imprese di dimensione media superiore a 50 addetti: produzione di zucchero (81 addetti per impresa), produzione di amidi e prodotti amidacei (80), lavorazione di carne bianca (72) e del latte (57). Seguono filiere con imprese di dimensione media superiore a 20 addetti: produzione di margarina e grassi commestibili (48), industrie delle acque minerali e bevande analcoliche (43), lavorazione delle patate (30), produzione di succhi di frutta e ortaggi (27), di cacao e confetteria (25), di prodotti omogeneizzati e dietetici (21), di malto (21). Prevalgono società di capitale e cooperative, che insieme rappresentano i due quinti del totale. Si tratta di forme giuridiche cha hanno favorito nel tempo forme di integrazione verticale, con effetti positivi su dimensioni aziendali, capacità di aumentare il valore aggiunto del prodotto, posizionamento nel mercato.
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