KIND OF COLLAR

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ITALIAN VERSION

KIND OF COLLAR Si conobbero d’inverno. Il cielo era bianco sporco, contaminato dalle luci della città, bianco colmo di nuvole, raggrumato dalla neve. Di lì a poco una distesa candida si sarebbe adagiata su ciò che li circondava, come un lenzuolo abbandonato all’andamento del vento. Circondati solo dai colori del paesaggio: tinte brillanti alternate a sfumature cupe. Di notte il solito chiosco verde intenso dell'edicola assumeva un tono diverso per la luce gialla sfocata dei lampioni. Si sedettero su una grigia panchina: dinanzi a loro l’azzurro soave di una giostra e il rosso deciso di un’insegna parevano armonicamente danzare. Chiuse gli occhi, le sue braccia la accolsero in un delicato abbraccio, e la somma di quei colori si trasformò in candore. Crebbe con lui. Le loro visioni insieme ristabilivano, giorno dopo giorno, quel biancore invernale. Imparò a sporcarsi le mani con la farina. La quiete domenicale accompagnava il gesto ripetitivo dell’impastare elementi semplici: farina, acqua, sale e lievito. Un odore familiare riscaldava l’ambiente e l’attesa, come la maggior parte delle volte, aumentava l’aspettativa. Insieme si nutrivano di sostanze elementari, di pane. Conosceva quel sapore, un sacchetto in carta ancora caldo e la sua camicia, ormai senza cravatta, annunciavano l’arrivo della sera. Quel paterno colletto sbottonato, un colletto inglese chiuso tutto il giorno al suo collo, da bambina le donava tranquillità. Imparò ad ammirare i fiori. Erano pochi quelli che apprezzava realmente. I tulipani così infantili, i girasoli carichi di allegria e le calle. Le calle le piacevano veramente. Regine del giardino di sua nonna, tra il limone e gli iris, si abbandanava in quell’angolo nascosto affascinata dalla forma elegante e l'aspetto femminile di quel fiore, una vergine eterna. Tanto perfetto da pretendere un solo petalo: la sua punta leggermente ripiegata come le vele di un collo diplomatico. Epifaniche per eleganza e raffinatezza, osservava le calle come oggi contempla i dettagli di una camicia maschile. Imparò a scarabocchiare su superfici bianche. Ogni sera disegnavano le loro giornate su piccoli fogli, per ogni viaggio registravano i ricordi su nuove pagine e a ogni arrivederci lui le lasciava un biglietto. Le piaceva collezionare taccuini, album e tele: qualunque supporto che permettesse, a entrambi, di avviare dal bianco un nuovo racconto. Il suo posto preferito per acquistarli era in legno, gestito da un signore ben vestito. Indossava pull in cashmere abbinati a immacolati colli bianchi, assicurati da bottoncini in madreperla, perfettamente inamidati, abilmente stirati, probabilmente da sua moglie. Quel colletto le asseriva fede verso quello sconosciuto. Imparò ad aspirare alla bellezza. La cercava nelle piccole cose: nelle immacolate ceramiche, nei merletti nivei lavorati a uncinetto, nel biancore delle pagine che introduceva i libri letti. La stessa bellezza, in parte compresa in evadenti figure maschili, divenne assoluta. I particolari del suo abbigliare, il suo essenziale colletto alla coreana che delicatamente lo accarezzava, la rassicurava, come quell’abbraccio.


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