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Introduzione

Il documento descrive il modello organizzativo adottato dalla ASL di Viterbo per ridefinire la rete territoriale, disegnata in un’ottica di prossimità e sicurezza delle cure.

Il modello si basa su una gestione proattiva e integrata del bisogno di salute con una attenzione particolare alle fasi di transizione dei setting assistenziali, grazie ad una forte regia centralizzata da parte delle Centrali Operative ed alla presenza di strutture intermedie, quali le Case e gli Ospedali di Comunità, ed interventi assistenziali intermedi a cura delle Unità Speciali di Continuità Assistenziale.

Le fondamenta su cui poggia la rete territoriale sono rappresentate dalla stratificazione del livello di rischio della popolazione e la conseguente classificazione del bisogno di salute.

La finalità ultima è quella di favorire più a lungo possibile la permanenza della persona malata al proprio domicilio, garantendo la miglior qualità di vita possibile anche nel fine vita.

Da tempo ormai si parla di come il progressivo invecchiamento della popolazione italiana, il mutato contesto socio-epidemiologico, l’aumento delle fragilità e la frequente insorgenza di multi-patologie sul singolo paziente rendano necessaria una riorganizzazione dell’assistenza territoriale, ma ha mettere a nudo le reali criticità del sistema in maniera oggettiva è stata l’emergenza pandemica.

Il COVID-19 ha infatti reso più che mai evidente l’importanza delle cure di prossimità, dell’integrazione ospedale-territorio, comprendendo nel territorio anche la Medicina Generale e i servizi sociali degli enti locali, dell’utilizzo dei sistemi di telemedicina, accelerando un processo di riorganizzazione globale del servizio sanitario, non solo della rete territoriale, che era auspicata da tempo.

Grazie al PNRR che prevede la costruzione e implementazione con i fondi europei di una fitta rete territoriale capillare ed alla recente proposta del Ministero della Salute su Modelli e standard per lo sviluppo dell’Assistenza Territoriale nel Servizio Sanitario Nazionale abbiamo finalmente l’occasione di dare concretezza a questa nuova idea di sanità: una sanità più vicina al cittadino che ne è anche un protagonista attivo.

In questo scenario il domicilio del paziente diviene un ambito privilegiato e interconnesso a tutti gli altri setting assistenziali.

La flessibilità organizzativa imposta dall’andamento epidemiologico durante lo stato di emergenza è una lezione che non deve andare sprecata.

Con la due giorni “La casa come primo luogo di cura” (10/11 Novembre 2021), promosso dall’ASL di Viterbo in collaborazione con la Regione Lazio e l’Università della Tuscia, abbiamo iniziato un percorso di condivisione e diffusione di un progetto di sanità del territorio a cui ormai si sta lavorando da diversi mesi, grazie anche al contributo delle Comunità di pratica che coadiuvano in maniera importante la Direzione strategica nella fase di attuazione ed implementazione dei modelli definiti in maniera teorica e sperimentale.

Etienne Wenger definisce le Comunità di pratica come “gruppi di persone che condividono un interesse per qualcosa che fanno e imparano a farlo meglio mentre interagiscono regolarmente” (E. Wenger, 1998) e aggiunge che “ogni organizzazione è una costellazione di ‘comunità di pratica” (E. Wenger, 2006), riteniamo questa sia una bellissima immagine per definire la complessità di un’azienda sanitaria. Ciò che definisce una CdP è la presenza di un “dominio”, un argomento che accomuna tutti i suoi partecipanti, esserne parte implica un senso di appartenenza e un impegno di ciascun membro che si mette in gioco per imparare e condividere quello che sa e anche quello che non sa, nel rispetto di valori, regole e prospettive condivise.

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