Elementi di terminologia - a cura di FRANCO LORENZI e PAOLA BONUCCI

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In copertina opera di Carlo Carnevali (Perugia) ideata e realizzata per la Collana di Linguistica

Collana di Linguistica

fondata da Pierangiolo Berrettoni

diretta da Franco Lorenzi

1. Grammatica e ideologia nella storia della linguistica - 1997 a cura di Pierangiolo Berrettoni e Franco Lorenzi

2. Semantica e processi cognitivi - 2000 di Margherita Castelli, Franco Lorenzi e Antonietta Alonge

3. Produzione linguistica e lessico mentale di Margherita Castelli

4. Frasi locative - 2009 di Franco Lorenzi

5. Definizioni e teorie linguistiche - 2014 di Franco Lorenzi

Elementi di terminologia

a cura di Franco Lorenzi e Paola Bonucci

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ISBN: 9791281048133

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Indice

4.

5.

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1. Introduzione - Elementi di terminologia Franco lorenzi - Paola Bonucci pag. 5 2. Lessicologia, lessicografia e terminologia Franco lorenzi » 20 3. Il lavoro terminologico Franco lorenzi » 63
Metalinguaggio
terminologia
linguisticaProgetti in Rete Paola Bonucci - Franco lorenzi » 96
e
della
Terminologia e disturbi del linguaggio Diana PePPoloni - Paola BonucciFranco lorenzi » 135

1. Introduzione - Elementi di terminologia

1. Il grande sviluppo tecnico e scientifico dell’età moderna ha portato all’amplificazione di un fenomeno linguistico antico quanto le lingue storico-naturali: la specializzazione del lessico. Le parole, da sempre usate come strumento di cognizione individuale e sociale, sono aumentate in misura analoga all’espandersi delle conoscenze sulla natura e sull’uomo e hanno costituito l’impalcatura sulla quale i moderni saperi si sono progressivamente costruiti. Così la realizzazione di vocabolari sistematici è una conquista del Rinascimento1, seguita dalla lessicografia specialistica e, infine, dalla terminologia che si organizza come disciplina nel corso del Novecento.

La terminologia costituisce oggi una disciplina teorica ed applicativa, che vede il lavoro e il contributo di numerosi ricercatori in

1. Basti ricordare che la prima edizione del Vocabolario degli Accademici della Crusca è del 1612 e dalla fine del Seicento si sviluppano le grandi imprese lessicografiche europee.

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tutto il mondo. Essa soddisfa un’esigenza sociale ed economica e, contemporaneamente, rappresenta una sfida scientifica per chi si occupa dei diversi ambiti tecnici, disciplinari e scientifici. In particolare, la terminologia ha un posto di rilievo in linguistica, così come si è sviluppata nel corso dell’ultimo secolo.

In questo volume presenteremo alcuni dei temi fondamentali legati alla terminologia, partendo dai processi linguistici che consentono lo sviluppo di lessici specialistici nelle lingue storico-naturali per giungere all’analisi dei processi semantici e cognitivi che caratterizzano la specializzazione terminologica. Il volume è rivolto agli studenti dei corsi avanzati che affrontano le problematiche terminologiche nei diversi ambiti disciplinari, ma anche a quanti, per esigenze professionali, si trovano nella condizione di utilizzare terminologie che richiedono organizzazione e sistematicità. Una riflessione sui legami tra ricerca linguistica sul lessico (la lessicologia), pratiche descrittive (la lessicografia) e studio delle condizioni d’uso del linguaggio in domini specifici (la terminologia) è importante per chi si trova in un percorso formativo o lavorativo, in particolare perché questi legami sono storicamente complessi, se non contraddittori, e testimoniano la difficoltà e la complessità dei problemi che si incontrano. La nostra presentazione, naturalmente, non ha nessuna pretesa di esaustività, ma intende soltanto offrire alcune riflessioni utili sia a chi non sia specialista del settore sia agli addetti ai lavori. In questo senso, il volume accoglie anche contributi legati a specifici progetti di ricerca, che illustrano le modalità di lavoro e i risultati che si possono attendere.

In questa Introduzione e nei due articoli successivi (Lessicologia, lessicografia e terminologia e Il lavoro terminologico di Franco Lorenzi) partiremo dall’analisi linguistica della categorizzazione per affrontare alcuni temi della lessicologia e della pratica lessicografica che sono alla base della terminologia e dell’attività terminologica. In Metalinguaggio e terminologia in linguistica Progetti in Rete, di Paola Bonucci e Franco Lorenzi, parleremo

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Bonucci 6
Franco Lorenzi
PaoLa

brevemente della terminologia usata in linguistica, con le relative implicazioni metalinguistiche, per presentare alcuni progetti fruibili in Rete e, in particolare, il Dizionario generale plurilingue del Lessico Metalinguistico a cui hanno lavorato e lavorano i ricercatori che partecipano a questo volume. Infine, nell’articolo dedicato a Terminologia e disturbi del linguaggio, di Diana Peppoloni, Paola Bonucci e Franco Lorenzi, descriveremo un progetto terminologico dedicato a un dominio che interessa formatori, terapisti e ricercatori, alla ricerca di un lessico condiviso che consenta di parlare di fenomeni complessi e, spesso, sfuggenti.

Nel volume esamineremo più in dettaglio, quindi, il rapporto tra metalinguaggio e terminologia nell’ambito della linguistica, focalizzandoci su alcuni progetti contemporanei. I problemi e le difficoltà incontrate nel lavoro sul metalinguaggio e sulla terminologia della linguistica rappresentano un banco di prova per la terminologia tout court e, non a caso, gli sviluppi delle ricerche linguistiche si riflettono costantemente sulla prassi terminologica negli altri domini tecnici, disciplinari e scientifici.

2. L’uso linguistico è inestricabilmente legato alla capacità di categorizzazione; ogni parola che usiamo ci mostra un legame con oggetti e relazioni che riusciamo a riconoscere proprio perché hanno una veste linguistica. La capacità di istituire e riconoscere legami è l’attività quotidiana che ci consente di (soprav)vivere, individualmente e socialmente. In più, essa ci consente di accumulare conoscenze, di sintetizzarle in espressioni che rivelano insieme complessità e immediatezza. La celebre definizione di cane del primo Vocabolario degli Accademici della Crusca del 1612: “animal noto, e domestico dell’huomo” mostra la quotidianità dell’esperienza insieme alla capacità di organizzarla in dimensioni generali e utili.

Per comprendere la formazione e lo sviluppo della terminologia è necessario prendere in considerazione due aspetti fondamentali. Il primo aspetto è stato costantemente messo in luce dagli

1. INTRODUZIONE - ELEMENTI DI TERMINOLOGIA 7

studi linguistici ed è di ordine sociale. Nel lessico di ogni lingua assistiamo alla formazione di campi, cioè di insiemi di parole che riguardano gli ambiti dell’esperienza umana: dallo spazio al tempo, dalle relazioni sociali all’ambiente fisico e così via, fino ad ambiti circoscritti e specifici, come, ad esempio, la cura degli animali o la preparazione del pane. Questi insiemi di parole formano il lessico di ogni lingua accanto a un insieme di parole che esprimono le relazioni combinatorie:

Dal punto di vista del loro significato, le parole che compongono il lessico di una lingua si distinguono in due grandi gruppi: da un lato ci sono le parole contenuto, dall’altro le parole funzione. […] Questa distinzione è spesso chiarita sostenendo che le parole appartenenti alle categorie lessicali maggiori, cioè verbi, nomi, aggettivi e secondo alcuni anche avverbi facciano parte della prima classe, mentre quelle appartenenti alle categorie lessicali minori, per es. articoli, pronomi, congiunzioni e preposizioni facciano parte della seconda. Questo chiarimento è imperfetto […] ma utile, perché ci consente di mettere subito in evidenza il diverso modo in cui questi due tipi di parole contribuiscono al significato delle frasi: mentre le prime forniscono il contenuto, le seconde svolgono piuttosto delle funzioni, come ad esempio la funzione di chiarire le relazioni esistenti tra le parole che introducono il contenuto (Ježek 2011: 26-27).

Le parole funzione assicurano la combinatoria libera nelle frasi, ma costituiscono anche un fondamentale strumento per la combinatoria legata, che genera quelli che nella Teoria Senso-Testo di I. Mel’čuk2 sono i frasemi, espressioni a diverso grado di idiomaticità

2. Cfr. De Mauro (2003, 2016) e il capitolo Lessicologia, lessicografia e terminologia (in questo volume).

Lorenzi - PaoLa Bonucci 8
Franco

e fissazione che costituiscono una parte rilevante del lessico di ogni lingua naturale.

Nella prospettiva sociale, il lessico si presenta strutturato in modo progressivo. Da una base condivisa di parole funzione e di parole largamente note e usate (il Vocabolario di Base nella visione di T. De Mauro)3 si passa ai lessici tematici, con parole ed espressioni che esprimono i contenuti più comuni dell’esperienza sociale (Silvestri 2002) per giungere a lessici sempre più settoriali e specializzati (Cortelazzo 1994), in cui le parole si moltiplicano seguendo l’accumularsi di interessi e conoscenze dei parlanti di una comunità. La specializzazione lessicale, la formazione di frasemi ed espressioni polirematiche complesse così come la formazione di neologismi e di nuovi significati che si distinguono da quelli più condivisi, rendono i lessici settoriali e specialistici un ambito vastissimo, con migliaia e milioni di termini. Il termine, come scrive M.T. Cabré, è il segnale di questa progressiva elaborazione sociale:

Terms and words are similar and different at the same time. A word is a unit described by a set of systematic linguistic characteristics and has the property of referring to an element in reality. A term is a unit with similar linguistic characteristics used in a special domain. From this standpoint, a word of a special subject field would be a term (Cabré 1999: 35).

La formazione dei termini chiama in causa la dimensione cognitiva, sulla quale vogliamo proporre un breve approfondimento. Negli studi contemporanei di semantica lessicale4 è stata messa in luce l’importanza delle “dimensioni di significato” (Cardona 1985), cioè di strutture concettuali che hanno la caratteristica di essere

3. Cfr. Mel’čuk (2012-2015) e il capitolo Lessicologia, lessicografia e terminologia (in questo volume)

4. Cfr. Lyons (1968, 1977) e Cruse et al. (2002-2008).

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continue, ma contemporaneamente di poter essere segmentate, in particolare grazie al linguaggio. La segmentazione può avvenire in modo rigido o sfumato, consentendo di individuare valori discreti o sovrapponibili.

Per rappresentare queste dimensioni sono state usate due figure geometriche, il cerchio e la linea5. Nel cerchio tutti i punti della circonferenza sono equidistanti dal centro e non possiamo individuare un inizio e una fine. Con questa rappresentazione, Hagége (1978) ha spiegato il rapporto tra tema e soggetto nella dimensione dell’informatività. Dal tema si passa al soggetto e dal soggetto al tema, in prospettiva storica, e le due categorie funzionali coesistono nelle lingue, con maggiore o minore frequenza. Ugualmente il complesso sistema dei colori (Berlin - Kay 1969) o del gusto (Lehrer 2009) può essere ricondotto al continuum referenziale (e concettuale) delimitato dal cerchio.

La linea dà la possibilità di formalizzare una scala di valori e, quindi, una gradazione «in cui una determinata proprietà è presente nel suo grado minimo e uno in cui occorre nel grado massimo» (Simone 1990: 494). Uno degli esempi più frequenti è quello della temperatura:

(1)

gelato gelido freddo fresco a-temperatura-ambiente tiepido caldo caldissimo bollente rovente torrido – +

La rappresentazione lineare è divenuta classica per il tempo e l’aspetto con l’analisi di H. Reichenbach (1947), che fa ormai parte delle acquisizioni della linguistica moderna. Essa è stata immediatamente applicata allo spazio (Lorenzi 2009) e si presta a formalizzare gradazioni e grandezze scalari. Data una dimensione

5. Cfr. Castelli (2002); gli esempi proposti in questo articolo sono ripresentati qui per una diversa interpretazione.

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cognitiva, punti e segmenti della linea indicano “valori”6 semantici, che si trovano come “tratti definitori” nei significati linguistici e che, in questo modo, vanno a costituire dei taxa, “nuclei concettuali” culturali (Cardona 1985: 37) che riflettono la visione (o meglio, le visioni) del mondo condivisa(/e) dai parlanti di una comunità. Come afferma ancora Cardona (1985) c’è uno scarto tra il “piano noetico” e quello “linguistico”, non un isomorfismo “necessario” e questa posizione è largamente condivisa negli studi contemporanei. Ad esempio, nella Conceptual Dependency R. Schank (1975) utilizza scale astratte per descrivere le concettualizzazioni degli stati. Le scale hanno valori numerici posti in corrispondenza di parole dell’inglese; così le scale mental state e physical state hanno valori numerici da <-10> a <+10>, per ogni valore Schank (1975: 45-50) propone una parola o un’espressione complessa che lo esprime e OK si trova in corrispondenza al valore <0> nella prima scala e <+10> nella seconda:

6. Il termine è ancora di G. Cardona (1985), a sottolineare il valore antropologico della rappresentazione.

1. INTRODUZIONE - ELEMENTI DI TERMINOLOGIA
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Figura 1.

Ancora, calm rappresenta il punto <0> nelle scale fear e anger (da <-10> a <0>) e “could eat a horse” il punto <-5> nella scala Hunger (da <-10> a <+10>).

Schank (1975) riconosce, naturalmente, che queste corrispondenze sono più o meno condivise e condivisibili, proprio perché dipendono dall’uso linguistico variabile nella comunità dei parlanti. Ma il punto importante è che il sistema di rappresentazione possa effettivamente cogliere un aspetto rilevante della competenza lessicale e dei processi cognitivi ad essa inerenti.

La rappresentazione precedente presenta, però, un’ambiguità. Le scale sono costruite con una formalizzazione di tipo matematico, con l’individuazione di punti discreti, tipicamente partendo da un punto <0> per valori positivi <+1, +2, …> e negativi <-1, -2, …>. Nell’uso comune, le parole possono sì fare riferimento a valori determinati precisamente, ma anche a valori globali, non determinati precisamente. Questa situazione è paradigmaticamente esemplificata nell’alternanza, che troviamo nei testi di logica parlando della quantificazione, tra qualche x e esiste almeno un x; nel primo caso, l’indicazione non è determinata precisamente al contrario del secondo caso, per il quale utilizziamo il simbolo ∃. Per il parlante italiano, qualche ha valore insieme plurale e singolare, e può essere usato con questa ambiguità sistematica.

Per i nostri scopi, allora, è interessante formulare una scala relativa alla determinatezza, cioè alla capacità cognitiva di individuare con precisione elementi o meno. Su questa dimensione avremo a un estremo numerali, nomi (e soprannomi) propri, ma anche parole come tutti, nessuno, tutto, niente e così via. All’altro estremo troveremo parole come qualche, molti, pochi, tanto ma anche circa, approssimativamente, quasi, pressappoco, pressoché e così via. A queste parole dovrebbero essere aggiunti i moltissimi

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frasemi (da poco a poco a più o meno), di cui l’italiano è ricco, così come le altre lingue:

(2)

poco pochi qualche tanto molti parecchi circa quasi uno due primo tutto niente Maria ONU – +

La dimensione della determinatezza ha una grande importanza nella vita quotidiana, perché ci permette di usare una percezione globale e non analitica di oggetti, eventi ed entità con cui entriamo in contatto, dando in questo modo una valutazione sfumata. Con una notevole semplificazione, possiamo dire che la determinazione analitica, univoca rappresenta un vantaggio (o meno), ma comporta uno sforzo cognitivo che, in tanti casi, non ci sentiamo di compiere.

In breve, l’ipotesi che proponiamo è che la dimensione della determinatezza sia sistematicamente incrociata con le altre dimensioni cognitive. Nel caso in cui il parlante scelga una determinazione che va verso l’estremo positivo avremo parole tendenzialmente univoche, nel caso contrario avremo parole tendenzialmente sfumate, che esprimono una valutazione facilmente sovrapponibile a quella di altre parole7. Espressioni come a temperatura ambiente, temperatura normale, temperatura corporea ecc. esprimono la gradualità di questo processo.

L’incrocio della scala della determinatezza con le altre scale può precisare, a nostro avviso, l’interpretazione del fenomeno della regolarizzazione. Come ricorda Simone (1990, 2013), le parole che si dispongono su una scala e costituiscono una gradazione sono nell’uso comune “paradigmaticamente fragili”, cioè non esauriscono tutte le possibilità offerte dalla scala di gradazione e possono essere tra di esse sostituibili, quindi con significati sfumati. Se si

7. Un riferimento classico in questo senso è Lakoff (1973).

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stipula una regolarizzazione (quindi, si attiva una precisa convenzione sociale) in modo tale che non vi siano lacune inespresse nella scala e non vi sia sovrapposizione tra le parole, allora otteniamo i termini: «Le gradazioni regolarizzate illustrano una possibilità importante del lessico delle lingue: le parole “comuni” possono diventare termini tecnici» (Simone 2013: 273). Nell’ipotesi che proponiamo, la regolarizzazione può essere vista come il passaggio da un estremo all’altro nell’incrocio tra la determinatezza e le altre dimensioni cognitive, passaggio che, come abbiamo accennato prima, è graduale.

3. La presenza di una dimensione di determinatezza trova la conferma in molti studi di semantica lessicale e, in questa sede, vogliamo segnalare il Natural Semantic Metalanguage (in sigla NSM), tra le teorie più note degli ultimi decenni. Il NSM è stato elaborato a partire dagli anni Settanta da Anna Wierzbicka e ha avuto il contributo di numerosi ricercatori8. La ricerca di Wierzbicka è partita dal progetto filosofico di W. Leibniz per l’elaborazione dell’alphabetum cogitationum humanarum:

Alphabetum cogitationum humanarum est catalogus notionum primitivarum, seu earum quas nullis definitionibus clariores reddere possumus.9

Per rintracciare gli elementi primitivi Wierbicka ha utilizzato una metodologia linguistica e lessicografica particolare, quella delle parafrasi riduttive. Partendo dalle parafrasi del significato delle

8. La bibliografia relativa al NSM è vastissima, a partire da Lingua mentalis (1980) di A. Wierzibka; le citazioni che seguono sono tratte dal sito del NSM ( https://intranet.secure.griffith.edu.au/schools-departments/natural-semantic-metalanguage) che contiene una ricca documentazione completata nel sito https://nsm-approach.net/, con informazioni e articoli.

9. L a citazione è tratta da De alphabeto cogitationum humanarum [April 1679 bis April 1681 (?)] in Gottfried Wilhelm Leibniz, Philosophische Schriften, Hrsg. von der Leibniz-Forschungsstelle der Universät Münster, Vierter Band 1677-Juni 1690, Teil A, Berlin, Akademie Verlag, 1999, pp. 270-273.

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parole, il ricercatore individua progressivamente parole più semplici e facilmente comprensibili che si ritrovano costantemente nelle parafrasi stesse. Al termine del lavoro, arriveremo a un nucleo di parole indefinibili (Castelli - Bonucci 2006), di cui non è possibile fare un’ulteriore parafrasi. La presenza di parole indefinibili è posta come condizione insieme cognitiva e lessicografica; come leggiamo nel sito del NSM10:

Assuming that reductive paraphrase can be made to work as a method of analysing meanings, it follows that every language has an irreducible “semantic core” which would be left after all the complex expressions had been dealt with.

[…]

Reductive paraphrase prevent us from getting tangled up in circular and obscure definitions, problems which greatly hamper conventional dictionaries and other approaches to linguistic semantics.

In questo modo è possibile individuare un “semantic core” che ha una forma linguistica:

This semantic core must have a language-like structure, with a lexicon of indefinable expressions (“semantic primes”) and a grammar, i.e. some principles governing how the lexical elements can be combined.

I semantic primes (SP) sono atomi indefinibili che vengono rappresentati in ogni lingua del mondo da esponenti, cioè parole concrete del lessico della lingua. I significati complessi delle parole

10. https://intranet.secure.griffith.edu.au/schools-departments/naturalsemantic-metalanguage/in-brief

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formati da combinazioni dei SP formano molecole che rivelano le costruzioni linguistiche e culturali della comunità sociale. Come leggiamo nella home page del NSM11:

The NSM approach is based on evidence that there is a small core of basic, universal meanings, known as semantic primes, which can be expressed by words or other linguistic expressions in all languages. This common core of meaning can be used as a tool for linguistic and cultural analysis: to explain the meanings of complex and culture-specific words and grammatical constructions (using semantic explications), and to articulate culture-specific values and attitudes (using cultural scripts).

Dopo un lavoro pluridecennale condotto su lingue tipologicamente, geograficamente e storicamente diverse, sono stati individuati 65 SP, che coprono i domini fondamentali dell’esperienza umana: dalla percezione di persone e oggetti ai rapporti temporali e spaziali, dall’attività linguistica al giudizio etico. La tavola dei SP contiene elementi che testimoniano le differenze di determinatezza, ad esempio nei domini dei quantificatori e dei sostantivi12:

(3) uno/a~un, due, tanto, poco~un po’, alcuni, tutto one, two, some, all, much~many, little~few io, tu, qualcuno, qualcosa, gente/persone, corpo i, you, someone, something~thing, people, body

11. https://intranet.secure.griffith.edu.au/schools-departments/naturalsemantic-meta-language

12. Gli esponenti indicati sono quelli della lingua italiana con i corrispondenti inglesi indicati in Farese (2017). La tavola è riportata nel sito del NSM con l’avvertenza che l’alternanza tra gente e persone è legata alla presenza di numerali o del SP alcuni.

Franco Lorenzi - PaoLa Bonucci 16

La presenza di SP con gradi diversi di determinatezza è costante nelle parafrasi che il NSM propone; un esempio, tratto da Wierbicka (1985: 308), è relativo alla definizione di grapes13:

things of this kind grow in groups many of them growing close together around a thin long thing with many shorter thin parts sticking out on all sides of it a few small round things of this kind being attached to the shorter thin parts

so that although each small round thing can be easily separated from the others the whole group can be thought of as one thing

In conclusione, possiamo ritenere che una visione dei termini come elementi che instanziano l’esigenza “naturale” di determinatezza positiva consenta di avvicinarsi alla terminologia senza timori eccessivi, valutandone l’utilità e, insieme, i limiti per la comunicazione linguistica.

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Cardona, G.R. (1985), La foresta di piume. Manuale di etnoscienza, Roma-Bari, Laterza.

13. La citazione presenta soltanto un frammento della definizione.

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1. INTRODUZIONE - ELEMENTI DI TERMINOLOGIA 19

2.

Lessicologia, lessicografia e terminologia

1. In linguistica, come anche nel linguaggio ordinario, il logonimo1 lessico ha un duplice valore. In primo luogo, il lessico è l’insieme delle parole di una lingua, quindi di una comunità sociale. Perciò è un patrimonio sociale, che raccoglie le conoscenze lessicali possedute dai singoli parlanti e in questo senso è vasto e diversificato. Esso cambia costantemente nel tempo, con l’aggiunta o la perdita di parole nell’uso corrente, mostrando la sua natura di patrimonio storico.

Ma il lessico è anche l’insieme delle parole che possiede un singolo individuo parlante. Ogni singolo parlante possiede un suo lessico, cioè un insieme (personale) di parole che conosce ed usa. Conoscenza ed uso delle parole testimoniano che ogni individuo

* Le ricerche presentate sono state svolte nell’ambito del progetto Definizioni nei dizionari e nelle enciclopedie elettronici finanziato con il Fondo Ricerca di Base 2018 dell’Università degli Studi di Perugia, responsabile Franco Lorenzi. 1. Sul termine logonimo v. più avanti.

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possiede una competenza lessicale (Marconi 1999), che gli consente di produrre e comprendere parole sia note che nuove e di assemblarle in enunciati che formano un ambiente sintagmatico in cui la combinatoria non ha un semplice effetto di somma, ma genera significati complessi.

La lessicologia studia il lessico in entrambe le dimensioni, cercando di descrivere e spiegare i processi cognitivi che consentono l’uso delle parole e insieme i processi sociali che regolano la condivisione e il cambiamento delle parole. La creatività lessicale, il fenomeno che da sempre impegna e affascina i ricercatori, è contemporaneamente individuale e sociale e così gli altri fenomeni di cui parleremo, sinteticamente, in questo articolo.

Partendo dalla dimensione sociale, tradizionalmente, per studiare il lessico, si è partiti da un’astrazione, così sintetizzata da Simone (2013: 247):

La conoscenza del lessico non è mai la stessa in due parlanti della stessa lingua, variando in relazione a una varietà di fattori, come il grado d’istruzione, l’età, la curiosità personale, la pratica culturale ecc. Quando si studia il lessico, però, bisogna prescindere da queste variabili, che ne renderebbero l’analisi troppo complessa, e supporre che la massa delle parole di una lingua sia stabile e distribuita nella stessa misura presso tutti i parlanti.

In questo modo, prosegue l’autore, è possibile costruire cataloghi ragionati ed espliciti di parole, i dizionari o vocabolari. A questo punto, entra in gioco la dimensione cognitiva e il tentativo di definire la parola come fondamentale elemento del lessico.

In linguistica, l’insieme di conoscenze legato a una parola e al suo uso è tecnicamente detto lessema, ma il parlante dimostra di essere consapevole di una tripartizione che consente di descrivere

2. LESSICOLOGIA, LESSICOGRAFIA E TERMINOLOGIA 21

meglio la struttura di questo insieme. Producendo o ascoltando frasi come:

(1) La porta della camera di Mario è chiusa.

(2) Mario porta i libri a scuola.

egli si rende conto immediatamente che siamo di fronte a due sequenze sonore [ˈ pɔrta] che hanno un significato e una combinatoria diversa. Nel primo caso, [ˈ pɔrta] si collega al significato di ‘oggetto fisico che consente l’ingresso in un ambiente’ e è preceduto da un determinativo (la), mentre nel secondo caso il significato è quello di portare collegato a Mario da una relazione diretta, per cui, in particolare, si instaura un accordo con Mario e si attiva una collocazione temporale. Di fronte a questa differenza d’uso, il parlante è portato a collegare porta in (1) a porte e, invece, porta in (2) a porto, porti, portiamo etc., costruendo nella sua mente due lessemi diversi (porta VS portare).

Ogni lessema, allora, si collega a forme lessicali, che possono anche essere identiche per più lessemi; ogni forma occorre più volte in frasi e testi e, così, è possibile calcolare la frequenza d’uso di forme e lessemi. In italiano, come in altre lingue, il logonimo parola è comunemente usato per indicare il lessema, ma anche la singola occorrenza; in un programma di videoscrittura, invece, il conteggio delle parole fa riferimento alle parole come occorrenze e non come lessemi. Va da sé che questo mostra le difficoltà di descrivere in modo adeguato la capacità che ha il parlante di formare e usare parole; la parola resiste da sempre a definizioni che ne rendano ragione2 e infatti Simone (2013: 79) propone, a conclusione della sua ricerca, una definizione multifattoriale costituita da un elenco di criteri che cercano di cogliere la parola come «un’unità effettiva delle lingue verbali», di cui il parlante ha un’intuizione e una consapevolezza ancora da spiegare adeguatamente.

2. Emblematico è il noto volume On the definition of word di Di Sciullo - Williams (1987).

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In sintesi, possiamo affermare che la capacità creativa di produrre e capire parole offre la straordinaria possibilità di utilizzare insiemi (classi) di segni che possono collegarsi in modo sistematico l’uno all’altro, per costruire poi unità di livello qualitativamente diverso (enunciati e testi). Per il parlante italiano gatto è intuitivamente ‘parola’ come mi piace3 , così come il linguista che argomenta:

(3) La parola gatto è formata da elementi che non sono parole: gatt e o. La o finale indica genere e numero.

utilizza la capacità di rendere ‘parole’ elementi di cui afferma la caratteristica di non essere tali4.

La generazione di parole è una capacità che dà luogo a un insieme potenzialmente infinito di unità linguistiche, che formano un continuum ai cui estremi si trovano elementi che solitamente si uniscono per costruire una parola, ma che divengono parole in un’operazione metalinguistica (ad esempio gatt- e -o), seguiti poi da elementi composti a partire da quelli precedenti (gatto) o non decomponibili (sei), fino ad arrivare a elementi composti a partire da tutti quelli precedenti (mi piace):

(4) -o gatt- gatto sei mi piace

La capacità di fare parole massimizza la possibilità di associare elementi di espressione ed elementi di contenuto in modo non-biunivoco (Simone 1990). In breve, a un elemento concettuale x possono essere collegati più elementi sonori y1, y2, …, yn, e ad un elemento sonoro y possono essere collegati più concetti x1, x2, …, xn. Così,

3. Mi piace in italiano rende il like nei social networks; è corrente dire o scrivere mettere mi piace

4. Sulle complesse questioni sollevate dall’uso autonimico rinviamo a ReyDebove (1978) e alla raccolta di saggi curata da Hautiez-Revuz et al. (2003).

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La capacità di fare parole massimizza la possibilità di associare elementi di espressione ed elementi di contenuto in modo non-biunivoco (Simone 1990). In breve, a un elemento concettuale x possono essere collegati più elementi sonori y1, y2, …, yn, e ad un elemento sonoro y possono essere collegati più concetti x 1, x2, …, xn. Così, due concetti sono collegati ad un unico elemento sonoro nel caso di era:

La capacità di fare parole massimizza la possibilità di associare elementi di espressione ed elementi di contenuto in modo non-biunivoco (Simone 1990). In breve, a un elemento concettuale x possono essere collegati più elementi sonori y1, y2, …, yn, e ad un elemento sonoro y possono essere collegati più concetti x 1, x2, …, xn. Così, due concetti sono collegati ad un unico elemento sonoro nel caso di era:

due concetti sono collegati ad un unico elemento sonoro nel caso di era:

(5) ERA (“ERA/ERE“) ERA (“

(5)

(5) ERA (“ERA/ERE“) ERA (“ ESSERE“) era

era

ESSERE“)

mentre il concetto di SINGOLARE è collegato ad -a e -i nel caso di ama/ami:

mentre il concetto di SINGOLARE è collegato ad -a e -i nel caso di ama/ami:

(6)

(6)

mentre il concetto di singolare è collegato ad -a e -i nel caso di ama/ami:

(6)

SINGOLARE -a -i

SINGOLARE -a -i

Questa situazione è costante nelle lingue storico -naturali e rappresenta una risorsa indispensabile per il loro funzionamento. La relazione molti-a-molti mostra un’ontologia complessa (Schalley 2019) che si cerca di implementare attraverso applicazioni computazionali 5

Questa situazione è costante nelle lingue storico -naturali e rappresenta una risorsa indispensabile per il loro funzionamento. La relazione molti-a-molti mostra un’ontologia complessa (Schalley 2019) che si cerca di implementare attraverso applicazioni computazionali 5

Questa situazione è costante nelle lingue storico-naturali e rappresenta una risorsa indispensabile per il loro funzionamento. La relazione molti-a-molti mostra un’ontologia complessa (Schalley 2019) che si cerca di implementare attraverso applicazioni computazionali5.

Lo studio delle unità lessicali si collega strettamente a quello della combinatoria libera o legata tra le parole. Gli studi di linguistica contemporanea sulla composizione sintag matica hanno mostrato, in modo netto, la differenza tra combinazioni libere (costruite sulla base della composizionalità tra elementi lessicali) e legate (in cui il significato risultante va oltre la composizionalità, mostrando strutture fissate a vari liv elli). La formulazione più esplicita è presentata nei lavori della cosiddetta Scuola di Londra, legata all’opera di J.R. Firth 6 . John Sinclair ha sostenuto che, nelle lingue come nella competenza individuale, il principio di idiomaticità:

Lo studio delle unità lessicali si collega strettamente a quello della combinatoria libera o legata tra le parole. Gli studi di linguistica contemporanea sulla composizione sintag matica hanno mostrato, in modo netto, la differenza tra combinazioni libere (costruite sulla base della composizionalità tra elementi lessicali) e legate (in cui il significato risultante va oltre la composizionalità, mostrando strutture fissate a vari liv elli). La formulazione più esplicita è presentata nei lavori della cosiddetta Scuola di Londra, legata all’opera di J.R. Firth 6 . John Sinclair ha sostenuto che, nelle lingue come nella competenza individuale, il principio di idiomaticità:

Lo studio delle unità lessicali si collega strettamente a quello della combinatoria libera o legata tra le parole. Gli studi di linguistica contemporanea sulla composizione sintagmatica hanno mostrato, in modo netto, la differenza tra combinazioni libere (costruite sulla base della composizionalità tra elementi lessicali) e legate (in cui il significato risultante va oltre la composizionalità, mostrando strutture fissate a vari livelli). La formulazione più esplicita è presentata nei lavori della cosiddetta Scuola di Londra, legata all’opera di J.R. Firth6. John Sinclair ha sostenuto che, nelle lingue come nella competenza individuale, il principio di idiomaticità:

the principle of idiom is that a language user has available to him a large number of semi-preconstructed phrases that constitute single choices, Cfr. l’articolo di Bonucci-Lorenzi, Metalinguaggio e terminologia della linguistica - Progetti in Rete (in questo volume).

the principle of idiom is that a language user has available to him a large number of semi-preconstructed phrases that constitute single choices,

5. Cfr. l’articolo di Bonucci-Lorenzi, Metalinguaggio e terminologia della linguistica - Progetti in Rete (in questo volume).

6. Cfr. Firth (1957) e Langendoen (1968).

5 Cfr. l’articolo di Bonucci-Lorenzi, Metalinguaggio e terminologia della linguistica - Progetti in Rete (in questo volume).

Cfr. Firth (1957) e Langendoen (1968).

6 Cfr. Firth (1957) e Langendoen (1968).

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Franco Lorenzi

the principle of idiom is that a language user has available to him a large number of semi-preconstructed phrases that constitute single choices, even though they might appear to be analysable into segments (Sinclair 1991: 110).

si contrappone al principio di creatività, testimoniato appunto dalla composizionalità libera.

Nei termini della Teoria Senso-Testo elaborata da Igor Mel’čuk e coll. (Mel’čuk 2012-2015) e posta alla base di uno dei progetti più importanti della lessicologia e lessicografia contemporanee, il Dictionnaire Explicatif et Combinatoire du Français Contemporain (Mel’čuk 1984-1992), un sintagma non libero come entrare nel vivo (di una discussione) o avere in comune è un frasema (phraséme). Mel’čuk (1993) rileva che i frasemi sono moltissimi e che la loro conoscenza marca una precisa differenza nei livelli di competenza linguistica. Proprio per questo, i frasemi stessi devono essere riportati nei vocabolari:

Ce sont la fréquence et la qualité de leur usage qui déterminent la différence entre un locuteur natif et un étranger qui a bien appris la langue:

UN NATIF PARLE EN PHRASÈMES.

Si cette thèse cruciale est acceptée, la description systématique de tous les phrasèmes est indispensable; il en découle l’importance de récenser les phrasèmes dans les dictionnaires (de langue et bilingues) de façon systématique (Mel’čuk 2003: 23).

Mel’čuk (2003) presenta una tipologia accurata dei frasemi, distinguendo tra pragmatemi (frasemi legati a situazioni comunicative determinate, ad esempio, Comment allez vous?) e frasemi semantici (completi, café noir, semi-frasemi/collocazioni, lancer

2. LESSICOLOGIA, LESSICOGRAFIA E TERMINOLOGIA 25

un appel, quasi-frasemi, donner le sein). Completiamo il quadro ricordando che nella Teoria Senso-Testo le combinazioni sintagmatiche sono descritte e spiegate facendo ricorso a un insieme di Funzioni Lessicali, considerate come veri e propri primitivi semantici universali della formazione del lessico e della combinatoria sintagmatica.

Indipendentemente dal fatto di essere d’accordo su questa ipotesi e sulla specifica tipologia dei frasemi, è un fatto che le espressioni legate sono presenti in tutte le lingue e costituiscono una parte fondamentale del lessico sia sociale che individuale. Per questo motivo, la lessicografia deve tenerne conto nel lavoro descrittivo, trattandole come elemento non accessorio, come poteva accadere in passato, bensì strutturale.

2. La possibilità di rappresentare i lessemi testimonia la fondamentale capacità metalinguistica dei parlanti, cioè la capacità di parlare delle parole (Vallini 2000), più volte indicata in linguistica come la capacità che distingue in modo unico la comunicazione umana da quella animale. In logica (Reichenbach 1947) è primaria la distinzione tra linguaggio oggetto e metalinguaggio e Jakobson (1960) riconosce nella funzione metalinguistica una delle funzioni universali del linguaggio.

Per descrivere il lessico è possibile costruire cataloghi ragionati ed espliciti di parole, i dizionari o vocabolari, che definiscono singolarmente le parole in una forma convenzionalizzata:

Il dizionario (o vocabolario) è l’opera di consultazione (a stampa o digitale) che descrive e registra il lessico di una lingua. Ogni dizionario è articolato in entrate, dette lemmi (o voci), ciascuna delle quali corrisponde a un elemento del lessico. Ogni lemma appare nella forma in cui la parola in questione può essere citata, la cosiddetta forma di citazione: per esempio, rompo, rotto e ruppi

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espliciti di parole, i dizionari o vocabolari, che definiscono singolarmente le parole in una forma convenzionalizzata:

sono tre forme della stessa parola, la cui forma di citazione è rompere. Sul dizionario non si cercherà quindi ruppi o rotto ma solo rompere. (Simone 2013: 247)

Il dizionario (o vocabolario) è l’opera di consultazione (a stampa o digitale) che descrive e registra il lessico di una lingua. Ogni dizionario è articolato in entrate, dette lemmi (o voci), ciascuna delle quali corrisponde a un elemento del lessico. Ogni lemma appare nella forma in cui la parola in questione può essere citata, la cosiddetta forma di citazione: per esempio, rompo, rotto e ruppi sono tre forme della stessa parola, la c ui forma di citazione è rompere. Sul dizionario non si cercherà quindi ruppi o rotto ma solo rompere. (Simone 2013: 247)

Il lemma è, dunque, la controparte descrittiva del lessema, cioè la descrizione che si cerca di offrire del complesso insieme di conoscenze che i parlanti hanno in mente quando usano le parole. In questo senso, abbiamo la distinzione su cui sono basati i nostri vocabolari:

Il lemma è, dunque, la controparte descrittiva del lessema, cioè la descrizione che si cerca di offrire del complesso insieme di conoscenze che i parlanti hanno in mente quando usano le parole. In questo senso, abbiamo la distinzione su cui sono basati i nostri vocabolari:

(7)

(7)

lemma [ad es. essere forma di citazione]

parola

forma (lessicale) [sono, sei, era, eri …] lessema/entratalessicale

occorrenza [sono, sei, era, eri …]

Ad un lemma (indicato da una forma scelta come indicatore convenzionale, la cosiddetta forma di citazione) sono ricondotte più forme lessicali, ognuna

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Ad un lemma (indicato da una forma scelta come indicatore convenzionale, la cosiddetta forma di citazione) sono ricondotte più forme lessicali, ognuna delle quali occorre nei testi; viceversa, da un’occorrenza si può individuare una forma lessicale stabile e, poi, un lemma.

I criteri per stabilire il rapporto tra lessema e lemma sono complessi e nel corso del tempo, nell’ambito della cultura occidentale, si è avuto un processo di consolidamento della tradizione descrittiva, che ha un peso determinante nella lessicografia. Come ricorda L. Zgusta nel suo celebre manuale (1971):

The lexicographer is fully entitled to accept the tradition, with minor modifications, as it is manifested in those texts which are the basis of the dictionary (Zgusta 1971: 240).

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e in nota aggiunge ancora: “The longer the tradition, the greater its importance”. In questo senso, la lessicografia contemporanea adotta criteri di lemmatizzazione condivisi, per consentire la fruibilità sociale e interlingusitica dei dizionari.

Il lessico e il vocabolario, come sottolinea Ježek (2011), hanno strutture assai diverse:

La struttura del lessico non corrisponde alla struttura del dizionario. Nel dizionario l’organizzazione delle informazioni è dettata principalmente da ragioni pratiche, di leggibilità, di opportunità in relazione all’utente al quale è rivolto (un utente comune nel caso dei dizionari dell’uso, un gruppo particolare di utenti nel caso dei dizionari specialistici) alla natura specifica del dizionario (etimologico, storico ecc.), o altro. Per esempio, mentre il dizionario monolingue segue comunemente l’ordine alfabetico, in modo da consentirne la consultazione, il lessico non è organizzato alfabeticamente ma piuttosto […] su base morfologica (cioè in famiglie morfologiche di parole, per es. fiore, fiorellino, fioretto, rifiorire o sensazione, costruzione, fissazione ecc.), semantica (cioè in campi o reti semantiche, per es. comperare, acquistare, negoziare, vendere, trattare, concludere ecc.), sintattica (cioè in classi e sottoclassi di parole, per es. nomi, verbi, aggettivi e così via) (Ježek 2011: 14).

Il lessicografo parte dall’individuazione di lemmi che rappresentano i lessemi/le entrate lessicali e costruisce un rapporto di definizione tra il lemma e la glossa, i.e. la descrizione delle caratteristiche possedute dal lemma stesso:

(8)

Franco Lorenzi (8) x definiendum =def y definiens lemma : glossa

Nella tradizione logica (e di conseguenza in quella lessicografica terminologica) la definizione è vista come un fondamentale strumento esplicativo7. Essa mette in relazione un simbolo x, il definiendum , con altro simbolo y, il definiens e, in logica, rende esplicito il rapporto

Franco Lorenzi 28

Nella tradizione logica (e di conseguenza in quella lessicografica e terminologica) la definizione è vista come un fondamentale strumento esplicativo7. Essa mette in relazione un simbolo x, il definiendum, con un altro simbolo y, il definiens e, in logica, rende esplicito il rapporto di equivalenza che lega il significato dei due simboli:

The symbol being defined is called the definiendum; the symbol or group of symbols being used to explain the meaning of definiendum is called the definiens. It would be a mistake to say that the definiens is the meaning of the definiendum; rather, it (the definiens) is another symbol or group of symbols that, according to the definition, has the same meaning as the definiendum (Copi - Cohen 1990: 169).

Nella definizione lessicografica il rapporto esplicativo riguarda tutte le caratteristiche del lemma e, quindi, non soltanto il significato. Le coppie (definitorie) lemma e glossa costituiscono le voci del dizionario. Le informazioni contenute nella glossa possono essere più o meno dettagliate, più analitiche o più sintetiche, secondo gli scopi del dizionario. Ogni sezione della glossa rappresenta un insieme di informazioni; i vari insiemi corrispondono ai livelli delle conoscenze implicate nell’uso linguistico e alle conoscenze sociali e storiche raccolte dalla ricerca lessicografica8. Avremo, quindi, informazioni sui suoni, sulla combinatoria, sul significato

7. Su questo argomento oltre al già citato Copi - Cohen (1994), è d’obbligo ricordare Robinson (1954), Peruzzi (1983) e, per un panorama recente, Gupta Mackereth (2023). Sulle definizioni nelle teorie linguistiche contemporanee rinviamo a Lorenzi (2014).

8. Su questi argomenti la letteratura scientifica è amplissima; ricordiamo qui il lavoro di Wiegand (1989a-d) per la lessicografia monolingue e di Kromann et al. (1991) e Hausmann (1991) per quella bilingue e plurilingue. Sull’implementazione elettronica la bibliografia è ugualmente estesissima, cfr. Fuertes-Olivera Bergenholtz (2011) e Gouws et al. (2013).

2. LESSICOLOGIA, LESSICOGRAFIA E TERMINOLOGIA 29

e così via. Le sezioni hanno programmaticamente una coerenza tematica e rappresentano, quindi, la base per la coerenza complessiva della voce del dizionario. Un elenco estremamente sintetico può essere il seguente:

sezione sottosezione

fonetica/fonologia composizione fonemica composizione sillabica struttura accentuale

grafia espressione grafica: 1, …, n

...

morfologia

classe lessicale morfologia flessionale morfologia derivazionale morfologia composizionale

sintassi combinatoria sintagmatica libera o legata

semantica significato: 1, …, n relazioni semantiche campi semantici

pragmatica contesti e domini d’uso frequenza d’uso usi settoriali e specialistici

storia attestazioni e variazioni d’uso nel tempo attestazioni e variazioni d’uso nello spazio

Lorenzi 30
Franco
Figura 1.

Secondo la nota distinzione proposta da J. Rey-Debove (1971), le voci costituiscono la micro-struttura del dizionario, mentre la disposizione delle voci e l’architettura complessiva formano la macro-struttura. Il rapporto tra le due strutture determina la coerenza del dizionario come testo metalinguistico e le relazioni di coesione si instaurano costantemente ai vari livelli (HausmannWiegand 1989).

3. Nell’uso della competenza lessicale, si manifestano due tendenze che insieme portano al continuo sviluppo del lessico:

a) da un lato, si ha un processo di analisi, di ampliamento delle conoscenze relativo ai diversi ambiti esperienziali e cognitivi. Ad esempio, lo studio della circolazione del sangue porta a considerare la presenza di sangue arterioso e venoso, e questo processo di scoperta è insieme cognitivo e linguistico;

b) d’altro lato, si ha un processo di sintesi, nel collegamento delle conoscenze agli elementi lessicali. Ad esempio, sangue arterioso permette di collegare conoscenze complesse e sistematiche sull’anatomia e sulla fisiologia del corpo umano attraverso l’uso di un’unica espressione.

Analisi e sintesi sono all’opera nell’espansione del lessico, a livello sia individuale che sociale, e portano al fenomeno conosciuto e studiato in tutte le comunità linguistiche: la formazione dei linguaggi specialistici. In breve, come hanno evidenziato gli studi sulla composizione e l’uso del lessico (De Mauro 1999, 2003) un insieme ristretto di parole è conosciuto da tutti i parlanti della comunità (lessico di base); a questo insieme si aggiungono, in modo progressivo, parole usate più raramente o occasionalmente e, soprattutto, parole usate nell’ambito di gruppi ristretti di parlanti (lessici specialistici). In questo modo i vocabolari di una lingua redatti dal lessicografo si differenziano in vocabolari di base, vocabolari dell’uso e vocabolari specialistici. Mentre il vocabolario di base è costituito

2. LESSICOLOGIA, LESSICOGRAFIA E TERMINOLOGIA 31

da poche migliaia di parole (circa 7.000 nel DIB Dizionario di base della lingua italiana De Mauro - Moroni 19969), un vocabolario d’uso raggruppa da 50.000 a 150.000 parole (ad esempio, il GRADIT curato da T. De Mauro 2007), e infine i vocabolari tecnici documentano milioni di parole. Come rileva Riediger (2018: 11):

Un normale dizionario di lingua di circa 100.000140.000 lemmi contiene quindi in larga parte parole non conosciute o non usate dalla maggioranza dei parlanti. Tra queste ci sono parole di basso uso come <immutazione>, parole di livello colto come <intavolare> o <recepire>, parole obsolete come <margòlla>, parole letterarie e poetiche come <speme>, rare come <fiorentinizzare>, varianti come <sonare>, e poi un’infinità di parole riconducibili a un qualche lessico specialistico.

Tuttavia anche questa non è che la punta di un iceberg.

Infatti, l’insieme delle parole e locuzioni possibili, utilizzate da qualche parlante o qualche comunità di parlanti è di molte volte superiore, nell’ordine dei milioni di unità.

Il totale dei termini utilizzati nei diversi linguaggi speciali assomma quindi a decine di milioni, senza contare i nomi dei prodotti: altri milioni e milioni.

È opportuno sottolineare il fatto che la specializzazione è un fenomeno universale e produttivo, non legato a necessità ‘scientifiche’. In questo senso, negli studi sui linguaggi specialistici si tende a distinguere tra linguaggi tecnici e scientifici e linguaggi settoriali: i primi sono quelli legati a comunità di parlanti che operano in ambiti professionali specifici (dall’informatica alla linguistica, dall’agricoltura alla medicina), mentre i secondi sono di carattere

9. Cfr. oggi il Vocabolario di Base on-line nel sito della rivista Internazionale (https://dizionario.internazionale.it/) e De Mauro (2016).

Franco Lorenzi 32

più ampio, legati ad ambiti non soltanto professionali o formativi, ma di interesse generale. Tipicamente, il linguaggio sportivo o quello politico fanno riferimento ad un ambito specifico, in cui opera una comunità professionale di parlanti, ma attraggono l’interesse della comunità generale e quindi sono legati ad un uso linguistico più diffuso. Ad esempio, la parola Roma denota oggi la ‘Città Eterna’ così come la ‘squadra giallorossa’ nel dominio del calcio sportivo, e questa distinzione è praticamente nota a tutta la comunità italiana.

Sottolineiamo il fatto che lo stesso continuum visto nella formazione di parole a livello generale si ritrova a livello specialistico: qualunque elemento lessicale può essere utilizzato come tecnico e ciò arricchisce le possibilità espressive. Prendendo l’incipit di un interessante articolo di Pierre Swiggers (2006: 13) dedicato alla terminologia linguistica possiamo vedere come la segmentazione (produttiva) sia costantemente all’opera:

Le champ de la terminologie - et de son pendant -graphie - linguistique constitue un terrain d’une complexité théorique et méthodologique redoutable.

Logie e graphie (in corsivo nell’originale) formano una coppia di termini tecnici molto usata nelle scienze del linguaggio, uniti ad altri termini come base, e hanno ampie corrispondenze multilingui. Analogamente, theory entra in espressioni tecniche complesse quali, ad esempio, X-bar theory o θ theory nella linguistica generativa.

Bisogna sottolineare il fatto che nel lessico delle lingue assistiamo alla formazione di lessici tematici, cioè di insiemi di parole dedicate a un determinato ambito o dominio, legato alla vita dei parlanti. I lessici tematici rappresentano un punto di passaggio nella formazione del lessico delle lingue e sono stati studiati approfonditamente da Domenico Silvestri (2002: 13) che li ha definiti

2. LESSICOLOGIA, LESSICOGRAFIA E TERMINOLOGIA 33

come campi cognitivi caratterizzati da un tasso (inter) medio di definizione designativa, per altro condivisa dagli utenti secondo specifici condizionamenti etno-, socio- e psicolinguistici. In questa prospettiva essi rappresentano aree variabili dell’esperienza umana costantemente (ri)caratterizzate da pressioni storiche, istituzionali e situazionali.

Il lessico di una lingua, così come la competenza lessicale di un parlante, si organizza secondo un continuum designativo che va dal minimo delle parole d’uso comune al massimo dei termini che caratterizzano la comunicazione specialistica. In questo continuum i lessici tematici rappresentano il punto di passaggio che testimonia le conoscenze specifiche di un dominio esperienziale largamente socializzate. Domenico Silvestri ha studiato, in particolare, i domini dell’alimentazione, della numerazione e del linguaggio, mostrando come la costruzione di lessici tematici sia insieme un universale linguistico-cognitivo e una elaborazione culturale specifica di una comunità. Così

le lingue (tutte le lingue!) utilizzano un repertorio più o meno ampio di parole per “dirsi” o, se si preferisce, per “raccontarsi”, in parte facendo emergere specifiche tassonomie etnolinguistiche, in parte segmentando il loro essere e il loro (inter)agire, per mezzo dei parlanti, secondo più sottili pertinenze sociolinguistiche e psicolinguistiche (Silvestri 2000: 21).

Il termine logonimo è stato coniato per fare riferimento agli elementi lessicali che fanno riferimento al linguaggio e alle lingue, sono parole per le parole10; un logonimo, nella definizione data da

10. L’espressione è il titolo del volume curato da Cristina Vallini nel 2000. Sui logonimi e sul progetto AULIL (Atlante Universale dei Logonimi e delle Istanze di Logonimia) rinviamo a Silvestri (2000, 2002) e ai volumi 27 (2005) e 29 (2007) della rivista AIΩN - Sezione Linguistica, dedicati a queste ricerche.

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Tullio De Mauro (2000: 8) è «parola o termine indicante aspetti e parti di frasi e testi e della loro realizzazione e ricezione» e logonimi sono presenti in tutte le lingue del mondo11. Se andiamo a consultare il Dizionario di base dell’italiano di De Mauro - Moroni (1996) troviamo logonimi in ognuno dei tre grandi insiemi che vanno a fomare tale lessico: tra le parole fondamentali, caratterizzate da un’altissima ricorrenza in tutti i testi, orali o scritti, troviamo, ad esempio, discorso, lingua, nome, parlare, parola, mentre di alto uso e di alta disponibilità sono accento, alfabeto, dialogare, dialogo, interrogazione, lettera, lettore, traduzione, vocabolario ecc.

4. La specializzazione lessicale porta a considerare in modo più approfondito il rapporto tra espressioni linguistiche e contenuti concettuali. Il parlante è consapevole della polisemia e della sinonimia delle parole e avverte che il processo di specializzazione porta inevitabilmente a costruire un legame più stretto tra i due piani linguistici dell’espressione e del contenuto. Possiamo dire che la specializzazione porta a diminuire e, tendenzialmente, a eliminare la non-biunivocità che abbiamo visto più sopra. Il parlante ottiene questo risultato con i mezzi più vari: ad esempio, scegliendo o formando parole che sicuramente non fanno parte del lessico comune (pitecantropo può essere un buon esempio), costruendo espressioni complesse (conto corrente nel linguaggio dell’economia) o costruzioni sintattiche specifiche. Ad esempio, dicendo la Roma intendiamo di solito la squadra di calcio e non la città: La Roma è una bella squadra VS *La Roma è una bella città; *Roma è una bella squadra VS Roma è una bella città. Il riferimento alla città si attiva soltanto se dopo La Roma proseguiamo con di, che o

11. Continua ancora De Mauro (2000: 9): “Ogni lingua è straordinariamente ricca di logonimi, cioè di espressioni specificamente metalinguistiche riflessive che costituiscono quegli estesi campi lessicali relativi al ‘dire’, alle sue parti e modalità, ai suoi strumenti”. Come possiamo notare, il termine è usato in un’accezione tecnica diversa da quella tradizionale; nella tradizione linguistica logonimo indica ‘il nome di una lingua’.

2. LESSICOLOGIA, LESSICOGRAFIA E TERMINOLOGIA 35

comunque altri elementi attivatori: La Roma di Augusto VS *Roma di Augusto.

In breve, la tendenza alla biunivocità tra espressioni linguistiche e contenuti concettuali è insita nel processo di specializzazione. Possiamo dire che questa tendenza mostra come potrebbe essere una lingua naturale interamente biunivoca: un agglomerato di milioni e milioni di parole l’una diversa dall’altra, praticamente ingestibile da parte della memoria umana.

Ma la biunivocità presenta un vantaggio importante che motiva la tendenza del parlante a raggiungerla. Le parole hanno un valore referenziale e immaginativo che non è mai preciso, bensì è caratterizzato dalla vaghezza e dalla variabilità. Senza addentrarci in complesse speculazioni filosofiche, è una constatazione comune che la polisemia e l’omonimia costringono il parlante ad un costante lavoro di precisazione nell’uso linguistico. La presenza di espressioni tendenzialmente biunivoche restringe in modo significativo il campo delle entità a cui il parlante fa riferimento.

In un libro sulla definizione ormai divenuto un classico, Richard Robinson (1954) utilizzò la parola latina res per indicare ‘l’entità a cui il parlante fa riferimento’, la thing che entra in una definizione insieme a un simbolo, un nomen. La word-thing definition è quella che istituisce un legame referenziale tra simbolo linguistico e res: “Word-thing definition correlates a word to a thing, as meaning that thing” (Robinson 1954: 17). In questo senso con la definizione il parlante cattura l’attenzione del ricevente in modo duplice: da un lato, pronunciando la definizione, dall’altro individuando la cosa (res) a cui si fa riferimento.

La definizione word-thing offre la conoscenza dell’esistenza o della possibilità di una cosa: “In this way word-thing definitions, whose purpose is to teach the meanings of words, inevitably also teach the contents of the world and the variety of human ideas” (Robinson, 1954: 33).

Franco Lorenzi 36

Il valore referenziale e immaginativo si restringe e così la parola diventa termine: un simbolo linguistico condiviso (ad esempio, la sequenza di suoni /′maƱs/), a cui è univocamente legato un concetto (‘dispositivo che consente di muovere un puntatore sullo schermo di un calcolatore’), a cui è univocamente legata una res (un oggetto extralinguistico singolo o un insieme di oggetti). Come afferma (Depecker 2015: 37),

The goal of terminology science is to make the link “sign”, “concept” and “object” clear. As a natural corollary, the aim of therminology work is to ensure is that a “sign” designates a precise “concept”, and that the “concept” fits the “object” it describes.

5. Il risultato della specializzazione e della tendenza alla biunivocità è la costruzione di termini. Le parole si moltiplicano di numero (con una variazione in quantità) seguendo i diversi ambiti di esperienza e conoscenza, e diminuiscono la loro polisemia (con una variazione in qualità), tendendo a collegarsi a pochi concetti se non ad un unico concetto. I termini sono queste parole che si differenziano da quelle di uso generale, appunto per quantità e qualità. Naturalmente sono sempre ‘parole’, il prodigioso risultato della saussuriana faculté de langage, ma hanno caratteristiche specifiche. Come scrive Cabré (1999: 35):

Terms and words are similar and different at the same time. A word is a unit described by a set of systematic linguistic characteristics and has the property of referring to an element in reality. A term is a unit with similar linguistic characteristics used in a special domain. From this standpoint, a word of a special subject field would be a term12.

12. Questa visione collega strettamente la lessicografia specialistica alla terminologia; cfr. Bergenholtz - Tarp (1995) e van Sterkenburgh (2003).

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In particolare, il passaggio dalla parola (di uso generale) al termine (di uso specifico) mette in moto un complesso lavoro cognitivo e referenziale. Le conoscenze, i concetti legati alla parola consentono di individuare referenti possibili per una certa espressione linguistica. Così latte mi consente di individuare un certo liquido e di capire la contestualizzazione (referenziale) di un’espressione come: Prendi il latte che è nel frigorifero. Il ricevente del messaggio cercherà il contenitore che, appunto, contiene il latte. Questo processo di individuazione referenziale è, naturalmente, fondamentale nella comunicazione umana e si lega al lavoro di contestualizzazione, che da esso è guidato. In termini di analisi linguistica e psicologica, il processo di contextual modulation (Cruse 1986) fa da contrappeso al processo di equisignificance (Reichenbach 1947). Reichenbach (1947: 5) parte dalla distinzione tra type e token (o, come abbiamo indicato precedentemente tra lemma e occorrenza):

For practical purposes, linguistic signs must be reproducible since we use different individual signs for the same logical functions. The individual sign is called a token. Thus in the two sentences ‘Los Angeles is a city’ and ‘Los Angeles is situated in California’ we have the same word ‘Los Angeles’, but appearing in two different tokens, and now in making the explanation a third token of this word has been used. Different tokens of the same word have the same meaning or are equisignificant. In part, equisignificance is given by geometrical similiarity of the tokens in our example; but we have also equisignificance between printed and handwritten tokens, and between these and spoken tokens.

L’equisignificanza è la base della convenzionalità e porta a un giudizio di omogeneità nell’uso linguistico. Al contrario, come afferma Cruse (1986: 51-52):

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The meaning of any word form is in some sense different in every distinct context in which it occurs. […] A single sense can be modified in an unlimited number of ways by different contexts.

La comunicazione linguistica trova la sua efficacia muovendosi tra questi due poli. In breve, il termine massimizza l’individuazione referenziale: dicendo Prendi il latte che è nel frigorifero indicherò al ricevente di non considerare altri liquidi o altri oggetti presenti all’interno del frigorifero e dicendo Prendi il latte scremato che è nel frigorifero restringerò ulteriormente la ricerca, escludendo un eventuale contenitore di latte intero. In tutto ciò rimane fondamentale la socializzazione delle conoscenze, la condivisione delle conoscenze che portano all’individuazione referenziale.

Naturalmente il processo di individuazione referenziale può essere realizzato in senso contrario. Dato un elemento x è naturale chiedere e chiedersi quale sia l’espressione linguistica che ad esso fa riferimento, qual è la parola o l’insieme di parole con cui posso parlare di x. Il termine si propone, quindi, come un elemento bifronte: da un lato, restringe il valore referenziale e facilita la contestualizzazione, dall’altro costituisce “un outil épistémique” (ReyDebove 2001: 4) per mostrare (e fissare) un rapporto tra referenti e segni linguistici.

Il processo per cui dato un elemento x posso passare alla sua denominazione e alla sua categorizzazione è una fondamentale operazione cognitiva che motiva, alla base, la terminologia. Quanto più un termine consentirà un’individuazione referenziale precisa, tanto più sarà possibile avere una denominazione e una categorizzazione precisa del referente. Perciò l’unicità del concetto, per il terminologo, è l’ideale da raggiungere: all’unicità concettuale corrisponderà l’unicità referenziale e corrisponderà, infine, l’unicità della forma linguistica.

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Il termine sarà un segno linguistico in cui la forma (fonica e grammaticale) si collegherà in modo biunivoco al concetto, in cui avremo, come si esprimeva Marouzeau (1951b) nell’Avant-propos al suo celebre Lexique de la terminologie linguistique, “l’adaptation parfaite du signifiant au signifié”. Ciò consentirà di individuare in modo altrettanto biunivoco l’elemento x a cui il concetto fa riferimento:

(9)

In questo senso, va letta la distinzione tra terminologia e lessicografia, che ha segnato l’avvento della terminologia moderna. Come scrive Cabré (1999: 38):

Writing a general language dictionary starts with establishing a list of words constituting the inventory of entries for the dictionary. The lexicographer the describes them semantically by means of the definition. This process is semasiological – it moves from the form to the meaning.

The procedure used in terminography is precisely the opposite. The terminologist first establishes the list of concepts that constitute a field. [...] The concepts in this structure are related logically and ontologically to one another, and the entire set constitutes the conceptual system of a discipline or special activity. [...] Working

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This process is semasiological – it moves from the form to the meaning.

from the concept to the name is known as an onomasiological process.

The procedure used in terminography is precisely the opposite. terminologist first establishes the list of concepts that constitute a [...] The concepts in this structure are related logically and ontologically one another, and the entire set constitutes the conceptual system discipline or special activity. [...] Working from the concept to the name known as an onomasiological process.

semasiological process

lexicography

onomasiological process terminology

La terminologia adotta un approccio onomasiologico: partendo dall’individuazione del referente, il terminologo individua il concetto consente un riferimento univoco al referente e, quindi, la forma linguistica che si collega al concetto, sempre in modo univoco.

La terminologia adotta un approccio onomasiologico: partendo dall’individuazione del referente, il terminologo individua il concetto che consente un riferimento univoco al referente e, quindi, la forma linguistica che si collega al concetto, sempre in modo univoco.

Questo modus operandi rovescia, in un certo senso, la pratica descrittiva delle parole, ma, in real tà rivela l’aspetto sistematico significazione linguistica. Il parlante, infatti, trova in un vocabolario

Questo modus operandi rovescia, in un certo senso, la pratica descrittiva delle parole, ma, in realtà rivela l’aspetto sistematico della significazione linguistica. Il parlante, infatti, trova in un vocabolario (cartaceo) una lista di parole in un ordine del tutto arbitrario, cioè alfabetico. Ma egli conosce bene la sistematicità dei significati delle parole, sistematicità che il vocabolario cartaceo non può rendere. Ad esempio, il fatto che libro e volume abbiano un significato assai simile nel dominio dei testi a stampa, ma che soltanto volume sia usato nel dominio del suono per indicare l’altezza di un suono svanisce nel vocabolario cartaceo. Libro e volume sono lemmi diversi, allineati in sezioni diverse del vocabolario cartaceo, senza che sia possibile congiungere, quando serve, i loro significati.

La terminologia compie, invece, questa operazione, sviluppando la pratica dei dizionari dei sinonimi, degli antonimi e, appunto, dei dizionari specialistici. Essa individua i concetti e li mette in relazione, passando poi alla forma sonora e grammaticale

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lexicographer the describes them semantically by means of the definition.

delle parole. In breve, essa opera una ricostruzione del sistema semantico-concettuale collegato all’uso delle parole, lavorando in ambiti più ristretti rispetto alla lessicografia generale. In questo modo, entrano in gioco le relazioni semantiche tra concetti: sinonimia, iponimia/iperonimia, meronimia/olonimia, causalità e altre ancora, che costituiscono un campo di indagine privilegiato della linguistica.

La terminologia ricostruisce legami concettuali tra segni linguistici e referenti, e tra concetti e concetti, poiché nella mente dell’uomo un concetto non è mai scollegato dagli altri concetti e, naturalmente, ciò si riflette nell’uso delle parole. Essa opera sempre in modo sistematico e, così facendo, recupera la dimensione concreta della competenza lessicale. Non a caso, la possibilità odierna di simulare la competenza lessicale attraverso procedure elettroniche ha consentito di realizzare dizionari semantici basati su principi psicolinguistici come WordNet®13 . WordNet® ricostruisce un insieme di synset i.e. di concetti che rappresentano l’elemento semantico comune tra parole in un determinato contesto; ad esempio, in metti il libro sul tavolo/sulla tavola, tavolo e tavola denotano un ‘oggetto fisico con una superficie su cui si posano altri oggetti’ e sono, quindi, sinonimi; al contrario, in Hai studiato la tavola degli elementi? tavola denota un ‘oggetto mentale formato da righe e colonne che ordina elementi’ e non può essere sostituito da tavolo (*Hai studiato il tavolo degli elementi?). A ogni synset sono collegati le parole che lo esprimono e i concetti sono collegati in una gerarchia basata su relazioni fondamentali quali l’iponimia/iperonimia e la meronimia/olonimia. Nelle figure che seguono riportiamo l’entrata table e lo sviluppo della gerarchia di iponimia/iperonimia per i due synsets di cui abbiamo parlato:

13. Cfr. https://wordnet.princeton.edu/ , Miller (1990) e Fellbaum (1998).

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La gerarchia concettuale si dirama verso l’alto e verso il basso, dal massimo della generalità al massimo della specificità; al culmine della gerarchia troviamo l’elemento entità (entity):

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Figura 2. Table in WordNet® Figura 3. Da table a entity in WordNet®

WordNet® materializza in formato elettronico e con un’impostazione psicolinguistica il lavoro dei dizionari dei sinonimi e dei thesauri, i.e. dei tentativi lessicografici di descrivere l’organizzazione concettuale del lessico. Tutto ciò mostra come la terminologia rappresenti il modo più utile per lavorare su questa organizzazione e per mettere a punto strumenti innovativi che aiutino lo sviluppo delle conoscenze.

6. Sulla base di queste considerazioni, l’utilità sociale e individuale dei termini e della terminologia è del tutto evidente. I termini sono presenti in tutte le lingue storico-naturali e la storia della terminologia14 è millenaria con esempi documentati fin da quando abbiamo una documentazione scritta. I termini sono una fondamentale realtà nella comunicazione sociale e la terminologia ha il suo posto nella linguistica e nelle scienze proprio in virtù di questa realtà.

La terminologia come disciplina nasce nel Novecento, proprio in un momento in cui l’esplosione della specializzazione e dei linguaggi tecnico-scientifici raggiunge livelli mai visti prima nella storia umana. In questo senso, essa soddisfa il duplice bisogno di studiare e comprendere questo complesso meccanismo cognitivo e comunicativo e di tenerlo, contemporaneamente, sotto controllo, in modo tale da usare al meglio le potenzialità che esso offre. Come afferma Depecker (2015: 35):

Thus, the big question for languages is: Is the quantity of scientific and technical terms still growing? An evaluation of the number of terms used to describe a vehicle is about 400 000, for a plane about 500 000 and for medecine about 600 000. For the French language an evaluation of the volume of terms is around 30 millions

14. Per la storia della terminologia, partendo dall’antichità e con particolare riferimento al mondo contemporaneo, rinviamo a Cabré (1999, 2023), Adamo (1998), Magris et al. (2002), Rey (1979, 1995), Zanola (2019) e Villa (2021).

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(including nomenclatures). The French Academy of Sciences evaluates the number of objects which are worthy of description to be around 1 000 000 000.

La terminologia nasce come disciplina insieme teorica ed applicata, immediatamente legata alle necessità della società moderna con tutte le sue complessità economiche e culturali. Non a caso l’ordine e la struttura delle conoscenze sono considerati un elemento indispensabile per la vita sociale produttiva e la terminologia soddisfa questa necessità: come spiega il motto della International Network for Terminology (TermNet, https://www.termnet. org/index.php)

“There is no Knowledge without Terminology”.

Nel corso del secolo scorso, e soprattutto nella seconda metà del Novecento, la terminologia ha guadagnato una posizione di rilievo nell’ambito della linguistica. Il rilievo è stato ed è crescente in ambito applicativo. Si è passati dall’elaborazione di dizionari e glossari tecnici limitati ad ambiti tecnici e scientifici ristretti a grandi banche dati terminologiche, con milioni di termini e una complessa architettura computazionale. La terminologia ha immediatamente utilizzato gli strumenti della rivoluzione informatica delle TCI (Tecnologie della Comunicazione e dell’Informazione) realizzando progetti di avanguardia.

La terminologia opera in stretto rapporto con la lessicografia specialistica (Van Sterkenburg 2003) e, in effetti, molti ricercatori operano nei due ambiti. Come ricorda M.T. Cabré (1999: 35): “a word of a special subject field would be a term” e quindi il lavoro lessicografico specialistico e quello terminologico vanno di pari passo.

Nel Novecento il riferimento d’obbligo è alle grandi scuole di Vienna, Praga, Mosca e del Québec (Laurén-Picht 1993), ma soprattutto all’opera classica di Eric Wüster (la “standard theory of terminology”, Geeraerts 2015: xvii; Wüster 1931/1970, 1991) e dei suoi allievi (Felber 1984, 1993, Budin-Felber 1994).

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La terminologia classica è alla base delle norme internazionali, in particolare dell’ISO (https://www.iso.org/home.html). Presso l’ISO opera il Technical Commitee ISO/TC 37 Language and Terminology che elabora standards per il settore. Lo standard 1087:2019 ci offre la formulazione più recente delle norme per quanto riguarda il lavoro terminologico. Il punto di partenza è rappresentato dal rapporto tra oggetto, concetto e termine. Un oggetto è un’entità che può essere percepita o immaginata e gli oggetti possono essere materiali (ad esempio, tavola), immateriali (tavola degli elementi) o immaginari (fata). Per determinare il rapporto tra oggetti ed espressioni linguistiche entrano in gioco le relazioni classiche di estensione ed intensione:

The meaning of the term “planet” […] consists of the objects to which the term may be correctly applied. This sense of “meaning” is called the extensional or denotative meaning of the term. A general term, or class term, denotes the several objects to which it may correctly be applied. The collection of these objects constitutes the extension or denotation of the term.

To understand the meaning of a general term is to know how to apply it correctly – but to do this is not necessary to know all the objects to which it may be correctly applied. All the objects within the extension of a given term have some common attributes or characteristics that lead us to use the same term to denote them. Therefore we may know the meaning of a term without knowing its extension. “Meaning”, in this second sense, suppose some criterion for deciding, of any given object, whether it falls within the extension of that term. This sense of “meaning” is called the intensional or connotative meaning of the term. The totality of attributes shared by all and only those objects within a term’s extension is called the intension, or connotation of that term (Copi - Cohen 1994: 82).

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Proseguono ancora Copi - Cohen (1994): “Any observable or imaginable feature may be used as a characteristic” e la somma delle caratteristiche costituisce, appunto, l’intensione di un termine. Le caratteristiche sono socialmente condivise e, in questo senso, l’uso di un termine crea aspettative e può essere sottoposto al giudizio di verità. Se vado al supermercato, vedo una bottiglia con l’etichetta Mela verde Green apple Grüner e, accanto alla dicitura, c’è la fotografia di una mela verde, mi aspetto che la bottiglia contenga il succo di mela verde. Se così non è, la mia aspettativa di verità è negata e siamo di fronte a un caso di falsità.

Sempre secondo la visione classica, che ha la sua base nella filosofia aristotelica, la definizione esplicita le caratteristiche necessarie e sufficienti per individuare un oggetto come oggetto appartenente all’estensione di un termine. Esse sono dette essenziali, e si differenziano da quelle non essenziali, che non hanno, appunto, la funzione di stabilire univocamente l’appartenenza di un oggetto all’estensione stabilita dall’intensione. Prendendo un esempio da un’opera contemporanea di linguistica, Dik (1989: 72) così definisce arguments:

“Arguments” are those terms which are required by some predicate in order to form a complete nuclear predication. They are essential to the integrity of the SoA [state of affairs] designated by the predicate frame. If we leave them out , the property/relation designated by the predicate is not fulfilled or satisfied.

Gli arguments sono descritti con le loro proprietà essenziali, non attraverso proprietà accessorie; ad esempio, più avanti (p. 129) l’autore indica la loro rappresentazione formale: “These [arguments] are indicated by means of indexed variables x1, x2, …, xn marking the arguments slots”.

Una definizione estensionale, invece, offre un elenco degli oggetti che rientrano nella denotazione di un termine. Cambiando

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il dominio di riferimento, presentiamo un esempio da un testo dedicato alla cucina (Gentili 2004: 169): Curry

È una miscela di spezie seccate e polverizzate, di colore giallo, originaria dell’India. […] Alcuni componenti tra i più usati sono: cardamomo, coriandolo, cumino, curcuma, pepe, pepe di Cayenna, zafferano, zenzero.

Le spezie che entrano a far parte della miscela sono elencate in modo non completo, com’è consuetudine in questo tipo di definizione.

Le definizioni intensionali sono quelle che il terminologo classico preferisce; in esse egli descrive le caratteristiche essenziali delle intensioni dei termini, mentre in quelle estensionali enumera gli oggetti a cui un termine può essere applicato. Le definizioni estensionali sono dette esemplificative, poiché enumerano solitamente un piccolo insieme di oggetti denotabili da un termine. Le definizioni intensionali classiche sono quelle per genus proximum et differentiam specificam che in terminologia sono dette anche “per comprensione”. Copi - Cohen (1994) riconoscono come definizioni intensionali anche quelle sinonimiche, che comprendono le corrispondenze traduttive tra termini, e quelle cosiddette “operazionali”, i.e. quelle che “allow us to define an abstract term by reference to concrete terms”. Queste definizioni sono state particolarmente sviluppate in epoca moderna per verificare la validità di “abstract statements” (ad esempio, ‘the metabolism of a person is normal’) verificando la validità di “statements about directly observable things, such as thermometers, gauges, or small particles seen in a microscope” (Reichenbach 1947: 22). Con un esempio tratto nuovamente dal testo precedente (Gentili 2004: 217):

Per verificare la freschezza delle uova […] il sistema più rapido ed efficace è quello di rompere l’uovo su un piatto. Se l’uovo è fresco, il tuorlo si presenta bombato e

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l’albume viscoso, aderente e compatto. Se l’uovo è vecchio, il tuorlo si presenta piatto, l’albume fluido e distaccato dal tuorlo.

Le definizioni hanno ancora altre funzioni. Fondamentale è quella di ampliare la terminologia, attraverso il processo di stipulazione:

The definition that arises from the deliberate assignment of a meaning is properly called “stipulative” [...] A stipulative definition should be regarded as a proposal or resolution to use the definiendum to mean what is meant by the definiens, or as a request or instruction to do so. In this sense, a stipulative definition is directive rather than informative (Copi - Cohen 1994: 169-171).

Ad esempio:

Il movimento di un punto materiale che si sposta lungo una retta con velocità costante è detto moto rettilineo uniforme (Amaldi 2007: 87)

Inoltre, esse servono a precisare l’uso dei termini e, quindi, a delimitare il riferimento agli oggetti. È il caso tipico delle definizioni legali e dei casi cosiddetti limite o borderline:

Precising definitions serve to reduce vagueness, also a source of confusion in argument. Vagueness and ambiguity are quite different. A term is ambiguos in a given context when it has more than one distinct meaning and the context does not make clear which is intended. A term is vague when there exist “borderline cases” so that it cannot be determined whether the term should be applied to them or not. [...] The aim is to make a known term more precise (Copi - Cohen 1994: 174).

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Un esempio è il seguente:

Con ancient regime («antico regime») si indica il sistema politico esistente in Francia prima della rivoluzione del 1789. Coniata dagli stessi rivoluzionari francesi a partire dal 1790 ed estesasi in seguito a tutti gli aspetti della vita economica e sociale europea, l’espressione «ancien régime» è divenuta sinonimo di società tradizionale, preindustriale, anteriore cioè a tutti i fenomeni di trasformazione economica e politica determinati dalla rivoluzione industriale e dalla rivoluzione francese (Ago – Vidotto 2004: 206).

7. Un termine (ISO 1087:2019) può collegarsi a concetti individuali o generali; i primi hanno una corrispondenza biunivoca con un oggetto (ad esempio, i nomi propri), mentre i secondi si collegano a una pluralità, a una classe di oggetti (ad esempio, i nomi comuni). Questa classe può essere ristretta utilizzando espressioni complesse che restringono l’intensione:

When attributes are added to the intension of a term we say that the intension increase. In the following sequence of terms, the intension of each is included within the intension of the term following it: “person”, “living person”, “living person over twenty years old”, “living person over twenty years old having red hair”. The intension of each is greater than the intension of those preceding it in the sequence; the terms are arranged in order of increasing extension. But if we turn to the extensions of those terms, we find the reverse to be the case. The extension of “person” is greater than that of “living person”, and so on, and the terms are arranged in order of decreasing extension. Some logicians have been led to formulate a “law of inverse variation”, asserting that extension and intension always vary inversely (Copi - Cohen 1994: 182).

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È il caso illustrato dalla definizione seguente, in cui birra chiara e birra scura sono definiti come sottoclasse della birra:

La birra viene prodotta in due tipi, a seconda della qualità del malto impiegato: birra chiara e birra scura. La birra chiara è quella prodotta con malto chiaro, meno aromatico. La birra scura viene prodotta con malto scuro, dal sapore molto aromatico (Ferretti - Ferretti 2003: 116).

I concetti si distinguono, quindi, per la loro generalità (maggiore o minore). I termini mostrano questa differenza di generalità attraverso diversi meccanismi linguistici, ad esempio di derivazione o composizione morfologica o, ancora, attraverso la costruzione di espressioni polirematiche complesse, come negli esempi precedenti (birra → birra chiara ; moto rettilineo uniforme).

Secondo la visione classica, i concetti si distribuiscono in una gerarchia, in cui si hanno inclusioni successive, dai termini con estensione minore a quelli con estensione maggiore; ad una maggiore estensione corrisponderà un’intensione minore, mentre a un’estensione minore corrisponderà un’intensione maggiore. Siamo di fronte alla relazione semantica di iponimia/iperonimia che fonda le tassonomie scientifiche (ma, naturalmente, anche quelle popolari) e le rende un fondamentale strumento epistemico.

Accanto alla relazione di iponimia/iperonimia la norma ISO (1087:2019) esplicita la relazione di meronimia/olonimia, cioè la relazione parte/tutto. Questa relazione è anch’essa considerata universale e il parlante ne è immediatamente consapevole se, ad esempio diciamo:

(10) prendi il libro di cucina VS prendi il libro in cucina

Con l’uso della preposizione di si attiva il senso di dominio concettuale, mentre con l’uso di in si attiva il senso di stanza che fa parte della casa. Casa funziona da olonimo, i.e. da termine che denota

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un tutto di cui cucina (il meronimo) è una parte. Nell’ambito della linguistica, la relazione di meronimia/olonimia è esemplificata dalla celebre definizione bloomfieldiana di free form:

A free form which consists entirely of two or more lesser free forms, as, for instance, poor John or John ran away or yes, sir is a phrase. A free form which is not a phrase, is a word. A word, then is a free form which does not consist entirely of (two or more) lesser free forms; in brief, a word is a minimum free form (Bloomfield 1935: 178).

La free form che è composta di parti è la phrase; al contrario, quella che non ha parti è la word o minimum free form.

Oltre all’iponimia/iperonimia, alla meronimia/olonimia e, naturalmente, alla sinonimia, le ricerche di linguistica15 così come le norme terminologiche ci propongono un cospicuo elenco di relazioni semantiche, che entrano a vario titolo nelle descrizioni terminologiche: ricordiamo in particolare la gradazione, l’antonimia, la conversione e la causa. Tutte queste relazioni ci fanno comprendere come l’insieme dei concetti sia strutturato e formi quella che, con un termine di lunga tradizione filosofica, è detta ontologia16 .

Negli studi contemporanei di linguistica (Nirenburg - Raskin 2004, Schalley 2007b, 2019), ontologia è un termine utilizzato con una differenza sistematica tra l’uso numerabile e non-numerabile: ontologia denota un generico insieme strutturato di concetti, in cui la struttura è data dalle relazioni che legano i concetti; ontologie denota un insieme strutturato di concetti relativo a un dominio specifico (ad esempio, la linguistica, l’agricoltura, la fisica e così

15. Su questo argomento un riferimento d’obbligo in linguistica è Lyons (1968, 1977). Per un panorama recente cfr. Ježek (2011).

16. Sull’ontologia rinviamo a Ferraris (2003, 2008) e Varzi (2010).

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via). L’ontologia descrive la sistematicità e l’ordinamento della concettualizzazione umana e, in questo senso, arriva ad individuare ‘ciò che esiste’ per i soggetti umani. Va da sé che questo compito impegna da secoli la speculazione filosofica e, quindi, le ricerche contemporanee non hanno la pretesa di risolvere un problema che sembra irrisolvibile. In modo operativo, la terminologia studia le ontologie che i soggetti umani usano nei diversi domini e che sono ricavabili dall’uso delle parole con cui comunicano a proposito dei domini stessi (Carr 2006).

Come abbiamo accennato, le relazioni semantiche utilizzate per la costruzione di ontologie terminologiche sono tipicamente quelle di:

a) sinonimia;

b) iperonimia/iponimia;

c) meronimia/olonimia.

La relazione di sinonimia è alla base delle corrispondenze interlinguistiche; la tipica word-word definition (Robinson 1954) è quella che mette in relazione una parola di una lingua con quella di un’altra lingua; il terminologo assicura che tale relazione sia vera. Così è possibile costruire catene terminologiche come grammatica → grammaire → grammar → Grammar → gramática. Il rapporto di generalità tra i termini, in particolare legato alle relazioni di iperonimia/iponimia e olonimia/meronimia, è indicato segnalando il broader term BT (il termine legato al concetto sovraordinato) e il narrower term (il termine legato al concetto subordinato). Le altre relazioni semantiche che il terminologo non esplicita in modo sistematico sono accomunate sotto un’etichetta generica. Questa etichetta è quella di related term RT; dato un termine t0, i RT di quel termine sono altri termini (t1, t2, …, tn) legati a concetti che hanno una o più relazione semantica con il concetto legato a t0. Ad esempio, parola potrà avere come RT caso, genere, composto e così via.

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I grandi dizionari terminologici della Comunità Europea17 sono costruiti sulla base di queste relazioni. IATE (Interactive Terminology for Europe https://iate.europa.eu/home) dà la possibilità di inserire un termine in una delle lingue ufficiali dell’Unione e di ottenere i termini corrispondenti nelle altre lingue; ad esempio, per il termine grammatica:

I termini sono suddivisi per dominio e i domini sono quelli definiti nell’Eurovoc (https://op.europa.eu/en/web/eu-vocabularies/concept-scheme/-/resource?uri=http://eurovoc.europa.eu/100141 ). Eurovoc “covers all the activity fields of the European Union institutions” e consta di 21 domini, da Politics a Transport, Economics e così via. L’utente può esplorare Eurovoc (definito come thesaurus) in modo ipertestuale: i termini sono link attivi che portano al risultato desiderato. Nella videata seguente mostriamo la scheda relativa al termine materiale audiovisivo; esso è all’interno del dominio Istruzione e comunicazione e del sottodominio Comunicazione (https://op.europa.eu/it/web/eu-vocabularies/concept/-/resource?uri=http://eurovoc.europa.eu/3855&lang=it). Il termine è in

17. Cfr. https://op.europa.eu/en/web/eu-vocabularies

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Figura 4.

corrispondenza con equivalenti traduttivi nelle lingue dell’Unione ed ha sia BT che NT e RT:

Figura 5.

Il lavoro terminologico è fondamentale per l’Unione Europea, per il Parlamento Europeo e per tutta l’attività legislativa e tecnica, andando a costituire la base sulla quale si sviluppa la normazione. Lavora in questo senso il TermCoord (https://termcoord.eu/) con sede a Lussemburgo, che si avvale della collaborazione di terminologi e linguisti dell’UE. Il sito offre una grande quantità di materiali utili; tra l’altro, è da segnalare la raccolta di glossari dell’UE (https://termcoord.eu/eu-glossaries-overview/), che raccoglie molte centinaia di collegamenti a repertori terminologici disponibili in Rete.

Al lavoro delle istituzioni si affianca costantemente il lavoro scientifico di università e centri di ricerca. Basti citare, come esempio paradigmatico, i lessici panlatini della rete Realiter (https:// www.realiter.net/). Realiter è stata fondata nel 1993 e ha sede presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano (Zanola Depecker 2017). Nello Statuto (https://www.realiter.net/presentazione/regolamento) essa si pone l’obbiettivo di un lavoro

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terminologico comune, aperto e formativo per «favorire lo sviluppo delle lingue neolatine». Collaborano a Realiter università e centri di ricerca dei Paesi in cui si parlano lingue neolatine, in Europa e nel resto del mondo. I lessici (https://www.realiter.net/lessici-realiter) sono dedicati a terminologie di domini diversi (dall’informatica all’energia eolica, dai carrelli per movimentazione all’influenza aviaria), riportando corrispondenze tra catalano, francese, gallego, italiano, portoghese, rumeno, spagnolo, spesso anche con il riferimento all’inglese.

Tutto ciò conferma l’importanza e la vitalità del lavoro terminologico, che si rivela della massima utilità per la società contemporanea.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

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3. Il lavoro terminologico

1. La terminologia nasce, nel Novecento, dall’esigenza di costruire classificazioni sistematiche utilizzabili in tutte le situazioni della vita sociale ed economica. Questa esigenza ha, quindi, motivazioni storiche, collegate allo sviluppo della moderna società industriale, ma contemporaneamente radici profonde, che rinviano all’uso di categorie e relazioni. Nella tradizione filosofica, una categoria indica […] la forma secondo la quale un ente esiste o è oggetto di attribuzione; in senso lato indica pure un punto di vista, secondo cui si pensano o si giudicano le cose, così come un concetto generale al quale una mente singola (o un gruppo sociale) ha l’abitudine di rapportare i propri pensieri e giudizi (Bontadini - Sacchi 2006: 1718).

La relazione, «che caratterizza strutturalmente la modalità conoscitiva della mente umana», indica il riferimento, secondo un determinato modo, di un ente o di un oggetto in genere a un altro, riferimento

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che può essere proprio delle cose stesse tra loro, oppure posto dalla mente tra le cose (Mathieu - Mantovani 2006: 9558).

Nella vita quotidiana, categorie e relazioni concettuali ci consentono di distinguere e utilizzare oggetti, situazioni e azioni. Bolinger (1972: 15) ci ricorda che:

Predications involving nouns are generally felt to imply that the entity in question either is or is not identified by the noun. A man either is or is not a lawyer; he may be a good lawyer or a bad one, but his being good does not make him more a lawyer, nor his being bad, less. And so with verbs: one eats or does not eat, but whether one eats slow or fast, or much or little, is not reflected in degrees of eating.

La terminologia ha, dunque, l’obbiettivo di individuare la corrispondenza tra concetti ed elementi di realtà, a qualunque livello tali elementi si pongano, materiale o immateriale. La possibilità di percepire un elemento (un’entità) fonda la corrispondenza con un concetto; come affermano Miller - Johnson-Laird (1976: 36):

The input assumed by the conceptual system, therefore, refers to the outcomes of perceptual judgments about the contents of experience - outcomes that can be made available for purposes determined by conceptual systems1.

La possibilità di elaborare concetti fonda la possibilità di comunicare attraverso le parole conoscenze su oggetti, eventi, sensazioni, emozioni, ricordi e quant’altro è legato all’esperienza umana. In questo senso, il legame che il terminologo vuole descrivere è tra

1. Su questi argomenti e, in particolare, alla teoria della Psycholexicology rinviamo a Castelli et al. (2000).

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Franco Lorenzi

(a) l’entità, (b) il concetto e (c) il termine. Egli opera, quindi, su tre dimensioni fondamentali:

a) referenziale,

b) categoriale,

c) linguistica,

e a queste dimensioni se ne aggiunge una quarta, motivata dalla ricerca di una corrispondenza tendenzialmente univoca tra le tre precedenti:

d) normativa.

Il terminologo è interessato a individuare il legame che unisce in modo preciso, non ambiguo entità, concetti e termini e, quindi, questo legame può costituire una solida base per l’attività normativa che la vita sociale richiede. L’attività di normazione si avvale oggi di un complesso sistema che parte dal livello internazionale (ISO - https://www.iso.org/home.html), per arrivare al livello europeo (CEN - Comitato Europeo di Normazione - https://www. cencenelec.eu/) e, infine, al livello nazionale (UNI Ente italiano di normazione - https://www.uni.com/). La normazione viene elaborata in modo indipendente, così da garantire livelli (standard) di qualità, e adottata, poi, da istituzioni e imprese per offrire agli utenti la migliore fruizione di beni e servizi. La ricerca e l’attività terminologica assicurano agli enti di normazione un fondamentale servizio per la redazione dei testi normativi (disposizioni, regolamenti, raccomandazioni e così via), in particolare nella prospettiva multilingue, che richiede precise corrispondenze traduttive.

Nel Novecento si sono sviluppate grandi scuole di terminologia2 a Vienna, Praga, Mosca e nel Canada (in particolare nel Québec francofono), ma la teoria considerata classica è legata all’opera di Eric Wüster (Wüster 1931/1970, 1991) e dei suoi allievi

2. Cfr. Laurén-Picht (1993) per una documentazione e i testi indicati nella nota 4.

3. IL LAVORO TERMINOLOGICO 65

(Felber 1984, 1993, Budin-Felber 1989). A Vienna ha sede l’International Network for Terminology (TermNet, https://www.termnet. org/ index.php), che sintetizza il valore epistemologico della terminologia nel motto di accoglienza al sito: “There is no Knowledge without Terminology”.

Temmermann (2000: 4-15) ha così sintetizzato i cinque principi del metodo di lavoro classico in terminologia:

a) the onomasiological perspective - esiste una distinzione netta tra concetto e termine; il termine viene scelto come indicatore di un concetto soltanto dopo che il concetto è stato individuato univocamente;

b) concepts are clear-cut - i concetti sono collegati tra loro in modo sistematico ed è possibile individuare univocamente le caratteristiche che distinguono un concetto dall’altro;

c) concepts and terminological definitions - le definizioni preferite sono quelle intensionali; accanto ad esse sono utilizzabili quelle estensionali o partitive;

d) the univocity principle - deve esistere un rapporto di biunivocità tra termine e concetto;

e) the synchrony principle - il rapporto tra termine e concetto deve essere considerato come stabile, senza fare riferimento alle variazioni storiche o sociali.

Su questa base, è possibile stabilire, anche, dei criteri di formulazione di un ‘concetto ben formato’, come afferma Fradin (2001: 179-180):

On reconnaît un concept bien formé à trois choses (au moins). Sa fonction (régime d’utilisation) est clairement identifiée. Sa constitution (régime interne) est telle que

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les éléments conceptuels qui le constituent ainsi que les rapports qu’ils entretiennent sont explicitement discriminés, clairement définies et/ou formalisés. Enfin, son usage (régime d’échange) garantit qu’il n’y a pas d’autre concept équivalent dans le même domaine et/ou dans le même cadre théorique.

La terminologia classica è alla base delle norme internazionali; in particolare, presso l’ISO opera il Technical Commitee ISO/TC 37 Language and Terminology che elabora standard per il settore, e lo standard 1087:2019 fornisce una formulazione di riferimento per quanto riguarda il lavoro terminologico. Il punto di partenza è rappresentato dal rapporto tra oggetto, concetto e termine. Un oggetto è un’entità che può essere percepita o immaginata e gli oggetti possono essere materiali (ad esempio, rosa), immateriali (rosa dei venti) o immaginari (zombi).

Un termine (ISO 1087:2019) può collegarsi a concetti individuali o generali; i primi hanno una corrispondenza biunivoca con un oggetto (ad esempio, nomi propri, sigle ecc.), mentre i secondi si collegano a una pluralità, a una classe di oggetti (ad esempio, nomi comuni, verbi e così via).

Per determinare il rapporto tra oggetti ed espressioni linguistiche entrano in gioco le relazioni semantiche, studiate in lessicologia, in semantica lessicale e, naturalmente, nella tradizione filosofica. Le ricerche linguistiche3 così come le norme terminologiche ci propongono un insieme di relazioni semantiche, che entrano a vario titolo nelle descrizioni terminologiche. Ricordiamo in particolare sinonimia, iponimia/iperonimia, meronimia/olonimia e inoltre gradazione, antonimia, conversione e causa. La presenza di queste relazioni testimonia il fatto che l’insieme dei concetti è strutturato e forma un sistema che, con un termine di lunga tradizione

3. Su questo argomento rinviamo al capitolo Lessicologia, lessicografia e terminologia in questo volume.

3. IL LAVORO TERMINOLOGICO 67

filosofica, è detto ontologia. In questo senso, la ricerca terminologica giunge a determinare delle ontologie di dominio, cioè dei sistemi di concetti che fanno riferimento a un ambito di entità.

Nelle basi di dati terminologiche è consuetudine indicare con le sigle BT (broader term) e NT (narrower term) il rapporto tra termini generali e termini specifici, in particolare legati dalle relazioni di iponimia/iperonimia e meronimia/olonimia, mentre la sigla RT (related term) indica il fatto che esiste una relazione semantica non ulteriormente specificata tra un termine e gli altri termini presenti nella base di dati. Ad esempio, nel thesaurus Eurovoc (https:// op.europa.eu/en/web/eu-vocabularies/concept-scheme/-/resource?uri=http://eurovoc.europa.eu/100141), elaborato dall’Unione Europea, l’utente può consultare la base di dati terminologica relativa a 21 domini in modo ipertestuale; i termini sono collegamenti attivi che portano al risultato desiderato. Nella videata seguente mostriamo la scheda relativa al termine analisi dei costi; esso è all’interno del dominio Economia e del sottodominio Analisi economica (https://op.europa.eu/it/web/eu-vocabularies/concept/-/ resource?uri=http://eurovoc.europa.eu/1791&lang=it). Il termine è in corrispondenza con equivalenti traduttivi nelle lingue dell’Unione ed ha sia BT che NT e RT:

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Franco Lorenzi
Figura 1.

2. Il lavoro terminologico si sviluppa attraverso una serie di fasi che sono descritte in modo ampio e dettagliato nei testi introduttivi alla terminologia e alla terminografia4. In questa sede ci limiteremo a indicare i passaggi fondamentali che portano alla realizzazione delle schede terminologiche e che nelle schede stesse sono riferiti. Tali passaggi sono schematizzati nella figura seguente:

passaggi fondamentali che portano alla realizzazione delle schede terminologiche e che nelle schede stesse sono riferiti. Tali passaggi sono schematizzati nella figura seguente:

termine entrata lessicale dominio/sottodominio

fonti primarie secondarie di controllo

contesti d’uso testuali multimediali

definizione originale citazione

grafo concettuale relazioni concettuali termini collegati

corrispondenze interlinguistiche generali parziali

Figura 2 Figura 2.

(http://www.assiterm91.it/) che da molti anni rappresenta un punto di riferimento nel nostro Paese Tra i siti e i blog curati da ricercatori segnaliamo Terminologia etc. di L. Corbolante (https://www.terminologiaetc.it/) e Term-Minator di G. Galati e H. Riediger (http://www.termminator.it/)

4. Manuali ormai classici sono Cabré (1999/1992) e Sager (1996); in italiano cfr. Magris et al. (2001), Carioni (2005), Bertaccini et al. (2010), Zanola (2018) e Riediger (2018, 2023). Indicazioni utilissime e links si possono trovare nel sito della Associazione italiana per la terminologia AssITerm (http://www.assiterm91.it/) che da molti anni rappresenta un punto di riferimento nel nostro Paese. Tra i siti e i blog curati da ricercatori segnaliamo Terminologia etc. di L. Corbolante (https://www.terminologiaetc. it/) e Term-Minator di G. Galati e H. Riediger (http://www.term-minator.it/).

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3. IL LAVORO TERMINOLOGICO 69

Com’è facile immaginare, oggi il terminologo può utilizzare una serie di strumenti elettronici che lo aiutano in tutte le fasi del suo lavoro: dalla raccolta della documentazione alla stesura delle schede, all’implementazione dei risultati personali in banche dati terminologiche.

Il terminologo parte dalla determinazione del dominio o del sottodominio su cui operare. La determinazione è solitamente legata alle richieste lavorative, ma è indubbio che il terminologo sviluppi nel tempo un proprio interesse e una propria specializzazione per certi ambiti.

Una volta individuato il dominio, il terminologo stabilisce i limiti del proprio lavoro, in particolare la quantità e la qualità dei termini da analizzare. La scelta è orientativa, poiché l’analisi delle fonti informative può portare il terminologo a cambiamenti, ma è comunque necessaria per programmare i tempi di lavoro. Per ogni termine, nella scheda sarà presentata l’entrata lessicale pertinente, con le informazioni di carattere fonetico-fonologico, morfologico e sintattico.

Il terminologo passa, poi, a raccogliere le fonti informative, distinguendo tra fonti primarie e fonti secondarie.

Le fonti primarie sono rappresentate dalla documentazione tecnica e scientifica relativa al dominio, quindi da opere di esperti nel settore. Ad esempio, si possono prendere in considerazione i manuali accreditati e, quando il terminologo ha acquisito competenze sufficienti, opere originali. I manuali accreditati offrono una sintesi delle conoscenze e, spesso, un confronto tra teorie diverse, per cui il terminologo può rendersi conto del livello di condivisione delle conoscenze. L’uso di enciclopedie accreditate e manuali tecnici è opportuno proprio perché offrono articoli approfonditi e interessanti, che orientano il terminologo in modo esaustivo.

Le opere originali sono ispirate da teorie divergenti e, quindi, pongono al terminologo la difficoltà di approfondire la conoscenza

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Franco Lorenzi

delle teorie. Non è da sottovalutare il fatto che i fenomeni a cui si fa riferimento nelle opere originali hanno spesso un’interpretazione diversa da teoria a teoria e, quindi, una terminologia non univoca e differenziata. Il terminologo si trova nella condizione di variabilità interpretativa, tipica per il ricercatore o il tecnico professionista, ma indubbiamente disagevole per lui. In questo ambito una fonte primaria può essere rappresentata dalla raccolta di pareri espressi dai tecnici attraverso metodologie di consultazione sistematica. L’esempio è il Delphi method per cui rinviamo all’articolo Terminologia e disturbi del linguaggio di Peppoloni-BonucciLorenzi (in questo volume).

Le fonti secondarie sono rappresentate dalla documentazione offerta da glossari, lessici e dizionari. A differenza delle fonti primarie, si tratta di documenti che, anche se accreditati, offrono informazioni molto sintetiche. Il terminologo può riscontrare in queste fonti la presenza o meno di termini, ma solitamente non trova spiegazioni sufficienti per impostare in modo esaustivo il suo lavoro.

Le fonti precedenti possono essere in formato testuale o multimediale, dando la possibilità di collegare testi, immagini e suoni per comprendere adeguatamente il rapporto tra termini e concetti.

Alle fonti precedenti, è sicuramente opportuno associare fonti di controllo. Con questa espressione facciamo riferimento al colloquio con esperti del settore, che possono confermare o meno al terminologo la correttezza dei risultati del suo lavoro e suggerire, anche, nuove ricerche. Il colloquio con gli esperti può essere libero o mirato, dedicato soltanto a uno specifico insieme di termini. Il colloquio libero è utile e opportuno per comprendere le condizioni d’uso della terminologia, all’interno dell’attività concreta di lavoro. Ad esempio, la terminologia utilizzata in una lezione universitaria potrà essere differenziata rispetto a quella presente in un manuale o potrà essere introdotta in modo diverso.

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Una volta raccolto il materiale, il terminologo estrae i termini con i loro contesti d’uso dalle fonti primarie. I contesti d’uso testuali (le concordanze, oggi in formato elettronico) danno la possibilità di comprendere in modo approfondito il rapporto tra termini e concetti e vanno ad arricchire la scheda terminologica. Nella scheda il terminologo inserirà una scelta limitata dei contesti d’uso (testuali e multimediali), ma è opportuno che abbia a disposizione materiali più ampi che motivano la scelta operata.

Egli passa, quindi, alla definizione del termine. La definizione, nel caso più semplice, può essere presa da una fonte e quindi costituisce una citazione. Il caso più complesso, ovviamente, è rappresentato dalla definizione elaborata dal terminologo stesso, che si trova a compiere un lavoro impegnativo. Sulla definizione terminologica sono stati scritti numerosi saggi5 e altrettanto numerose sono le indicazioni operative. Una sintesi operativa in questo senso è quella proposta da Vezina et al. (2009) per l’Office québécoise pour la langue française. Gli autori partono dall’indicazione classica che la migliore definizione sia quella per comprensione (la definizione intensionale)6 e trattano poi i principi su cui basare una definizione per comprensione ottimale. I principi sono i seguenti (pp. 12-16):

(a) Principe de concision (PC) - “Une définition doit aller directement au but et être brève, écarter toute redondance et mots inutiles et privilégier les termes permettant de synthétiser des périphrases”. Secondo questo principio la definizione deve essere lunga una o due righe al massimo e deve esplicitare le caratteristiche essenziali del concetto;

5. Ai testi indicati nella nota precedente aggiungiamo Dubuc (1992), Rey (1979, 1995) e alcuni articoli specifici, De Bessé (1990) Lariviére (1996) e Strehlow (1983).

6. Cfr. Lorenzi, Lessicologia, lessicografia e terminologia (in questo volume).

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(b) Principe de clarté (PCL) - “Le sens et la structure de la définition doivent être exempts d’ambiguïtés, et les termes utilisés doivent être non equivoques”. Questo principio cerca di limitare la possibilità che ci siano interpretazioni multiple e confusioni nella comprensione e nell’applicazione del concetto;

(c) Principe d’explicitation et d’adéquation (PEA) - La definizione deve esplicitare le caratteristiche essenziali del soggetto, in modo tale da consentire, contemporaneamente, la delimitazione del concetto definito rispetto agli altri concetti del dominio;

(d) Principe de substitution (PS) - “Pour qu’elle soit acceptable, une definition devrait être réciproque, c’est-à-dire que l’équivalence entre le terme et la définition pourra permettre de remplacer théoriquement l’un par l’autre”. Questo principio indica la volontà di realizzare l’ideale della definizione, cioè la perfetta equisignificanza tra definiendum e definiens.

(e) Principe de généralisation et d’abstraction (PGA) - “La définition vise à décrire un concept dans ce qu’il a d’abstrait et d’universel, sans s’attacher à un objet en particulier”. Questo principio esorta il terminologo a non ragionare in modo prototipico, cioè a non pensare ad un esemplare tipico di una categoria per descrivere la categoria stessa, bensì a considerare soltanto le caratteristiche essenziali del concetto;

(f) Principe d’adaptation aux groupes cibles (PAG) - Secondo questo principio “la définition doit être adaptée aux lecteurs à qui elle s’adresse afin d’être bien comprise”; quindi, il terminologo deve conoscere il pubblico a cui si rivolge e strutturare la definizione secondo le probabili aspettative dei riceventi;

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(g) Principe de prévisibilité (PP) - Questo principio indica la necessità di scegliere in modo opportuno i termini generali e, più in generale, i termini iperonimi in modo tale da costruire una ontologia inclusiva dei concetti ben strutturata, che sia prevedibile per il ricevente.

Vézina et al. (2009) fanno seguire a questi principi una serie di esempi di definizioni ben formate a contrasto con definizioni non ben formate, per il lavoro specifico del terminologo.

Nella scheda terminologica alla definizione segue il grafo concettuale. Una volta che il terminologo ha descritto i termini e i concetti su cui ha lavorato deve rendere esplicite le relazioni tra di essi. Il grafo concettuale è, quindi, costituito da un insieme di nodi (rappresentati dai termini/concetti) e da un insieme di relazioni semantico-concettuali che li legano. Le relazioni possono essere quelle classiche (sinonimia, iperonimia/iponimia, meronimia/olonimia ed eventualmente la relazione generica di Related Term) o relazioni più specifiche che sostituiscono la relazione generica come, ad esempio, la relazione di causa). Il grafo concettuale deve essere costruito alla fine del lavoro e deve contenere soltanto i termini di cui il terminologo ha redatto le schede; questo per evitare di introdurre termini e concetti di cui non ha una conoscenza diretta.

Infine, il terminologo propone, se necessario, delle corrispondenze interlinguistiche. È opportuno sottolineare il fatto che per proporre delle corrispondenze accettabili il terminologo deve operare separatamente sulle terminologie delle diverse lingue. In breve, egli deve elaborare schede separate per i termini di ogni lingua relativi al dominio/sottodominio d’analisi, e ugualmente deve elaborare grafi concettuali separati. Soltanto alla fine del lavoro indicherà le corrispondenze interlinguistiche, in modo tale da non farsi sviare da eventuali pre-giudizi traduttivi e proporre corrispondenze non motivate dalla ricerca documentaria.

Lo schema di una scheda terminologica è riportato nella pagina seguente. Le sezioni destinate alle fonti primarie contengono le

Franco Lorenzi 74

citazioni o le immagini relative; la sezione Lexica indica le fonti secondarie; le Note raccolgono i materiali che il terminologo ritiene comunque utili. Al termine del lavoro il terminologo darà una valutazione complessiva di affidabilità che in IATE, ad esempio, è indicata attraverso un sistema di stelle.

Dominio

Sottodominio

Data

Autore/i

Termine

Categoria morfosintattica

Lexica

Definizione

Contesto 1

Fonte Sigla

Contesto 2

Fonte Sigla

Contesto n

Fonte Sigla

Citazione dell’esperto/a

Immagine

Fonte Sigla

Termini correlati e tipo di relazione

Corrispondenza L1/L2 … L n

Note

3. IL LAVORO TERMINOLOGICO 75
Figura 3.

A titolo di esempio, presentiamo una scheda che raccoglie documentazione sul termine tabella all’interno del dominio delle basi di dati/database. Il termine è presente in IATE in diversi domini e sottodomini, in particolare Istruzione e comunicazione, Informatica e trattamento dei dati. Come fonti primarie scegliamo tre testi tecnici:

a) Lughezzani, F. - Princivalle, D. (2009), ECDL 5.0 con Atlas, Milano, Hoepli.

Sigla: Lughezzani-Princivalle (2009)

b) Pettarin, G. (2009), ECDL modulo 5 Basi di dati Access, [ https://www.matematicamente.it/staticfiles/ecdl/ Pettarin-ECDL-modulo5.pdf ].

Sigla: Pettarin (2009)

c) Scotti, A. (2003), ‘La base di dati e la sua struttura: uno strumento per l’umanista’, in Numerico, T. - Vespignani, A. (a cura di) (2003), Informatica per le scienze umanistiche, Bologna, Il Mulino.

Sigla: Scotti (2003)

Da ogni fonte estraiamo almeno due contesti d’uso, per ottenere la documentazione riportata nella scheda seguente:

Dominio Istruzione e comunicazione

Sottodominio Informatica e trattamento dei dati

Data

Autore/i

76
Franco Lorenzi

Termine tabella

Categoria morfosintattica N

Lexica IATE

Definizione

Contesto 1 Un database è un file che può contenere diversi oggetti ognuno dei quali preposto a una determinata funzione.

• Tabelle: costituiscono l’elemento primario di ogni database, ossia l’archivio in cui sono inseriti i dati relativi a uno specifico argomento.

Fonte Sigla Lughezzani-Princivalle (2009)

Contesto 2 Nella tabella i dati sono organizzati in campi, visualizzati in colonne e in record costituiti da righe.

Fonte Sigla Lughezzani-Princivalle (2009)

Contesto 3 Il motivo per cui un database è in genere costituito da più tabelle, ognuna con dati relativi a uno specifico argomento, è per evitare la cosiddetta ridondanza, ovvero la ripetizione di informazioni.

Fonte Sigla Lughezzani-Princivalle (2009)

Contesto 4 Le tabelle archiviano informazioni su un argomento e hanno colonne ciascuna delle quali contiene un certo tipo di informazione su quell’argomento e righe, ciascuna delle quali riporta tutti gli attributi di una singola istanza di quell’argomento.

Fonte Sigla Pettarin (2009)

TERMINOLOGICO 77
3. IL LAVORO

Contesto 5

Le Tabelle Oggetti definiti e utilizzati per memorizzare i dati. Ogni tabella contiene informazioni su un particolare argomento, per esempio i clienti o ordini. Le tabelle contengono campi (o colonne) che memorizzano diversi tipi di dati (per esempio un nome o un indirizzo), e record (righe) che raccolgono tutte le informazioni su una particolare istanza dell’argomento. Si può definire una chiave primaria (uno o più campi che hanno valore univoco per ciascun record) e uno o più indici su ogni tabella, che contribuiscono ad accedere più velocemente ai dati.

Fonte Sigla Pettarin (2009)

Citazione 6

Possiamo pensare alle tabelle come a dei casellari simili a quelli che si utilizzano per giocare a battaglia navale o a delle scacchiere. Ogni posizione (o cella) in questi schemi viene identificata dalle coordinate, che in questo caso indicano anche il suo eventuale contenuto (non è necessario che esse siano piene). A questo ordinamento strutturale viene generalmente aggiunto un ordinamento logico di tipo associativo: tutti gli elementi memorizzati nella stessa colonna sono omogenei, ovvero sono tutti dello stesso tipo, mentre tutti gli elementi memorizzati nella stessa riga sono riconducibili al particolare esempio (o istanza) dell’oggetto che stiamo memorizzando.

Fonte Sigla Scotti (2003)

Citazione 7

La Tabella è un concetto intuitivo di una struttura costituita da colonne e righe, mentre la relazione è un concetto logico-matematico formale che ci permette di maneggiare la Tabella adottando le regole dell’algebra relazionale.

Franco Lorenzi 78

3. IL LAVORO TERMINOLOGICO

Fonte Sigla Scotti (2003)

Indicazioni dell’esperto/a

Immagine

Fonte personale

Termini correlati e tipo di relazione

Corrispondenza L1/L2 … L n

Note

base di dati/database BT oggetto di database BT campo NT record NT

79
Figura 4.

All’interno delle citazioni troviamo altri termini che fanno parte del nostro dominio e di cui ci occupiamo. Base di dati/database (i termini sono usati come sinonimi) ha un rapporto di olonimia/ meronimia con tabella. A sua volta, tabella ha un rapporto di olonimia/meronimia con campo e record. Infine, tabella è un tipo di oggetto di database, quindi esiste un rapporto di iponimia/iperonimia. Queste relazioni possono essere rappresentate in un grafo terminologico:

3. Torniamo adesso agli sviluppi della terminologia. I principi della terminologia classica si basano su una concezione del significato che negli ultimi decenni, a più riprese, è stata definita referenzialista o oggettivista. Questa concezione ha trovato un’importante formalizzazione nella linguistica strutturalista del Novecento, in particolare nella cosiddetta analisi componenziale o teoria dei tratti semantici. Secondo questa analisi, è possibile individuare delle invarianti concettuali mettendo a confronto insiemi di parole. Ad esempio, se consideriamo gatto, gatta, pecora, agnello, bambino e ragazza il parlante italiano ci conferma che nel significato di tutte queste parole è presente il concetto di [animato]; in più, bambino e ragazza hanno in comune il concetto [umano] che non è presente in gatto, gatta, pecora e agnello,

80
Franco Lorenzi
Figura 5.

mentre gatto, agnello e bambino condividono il concetto [maschio] in contrapposizione a gatta, pecora e ragazza. Un’ulteriore distinzione è, ancora, per l’[età]: nel caso di agnello e bambino è presente il concetto [piccolo]. I concetti sono rappresentati, sul modello delle caratteristiche rilevate nell’analisi fonetico-fonologica, come tratti, cioè come caratteristiche positive o negative, presenti o assenti: [±animato], [±umano] e così via. I significati delle parole saranno descritti da insiemi di tratti detti matrici semantiche:

strutturalista del Novecento, in particolare nella cosiddetta analisi componenziale o teoria dei tratti semantici. Secondo questa analisi, è possibile individuare delle invarianti concettuali mettendo a confront o insiemi di parole. Ad esempio, se consideriamo gatto, gatta, pecora, agnello, bambino e ragazza il parlante italiano ci conferma che nel significato di tutte queste parole è presente il concetto di [animato]; in più, bambino e ragazza hanno in comune il concetto [umano] che non è presente in gatto, gatta, pecora e agnello, mentre gatto, agnello e bambino condividono il concetto [maschio] in contrapposizione a gatta, pecora e ragazza. Un’ulteriore distinzione è, ancora, per l’[età]: nel caso di agnello e bambino è presente il concetto [piccolo]. I concetti sono rappresentati, sul modello delle caratteristiche rilevate nell’analisi fonetico-fonologica, come tratti, cioè come caratteristiche positive o negative, presenti o assenti: [±animat o], [±umano] e così via. I significati delle parole saranno descritti da insiemi di tratti detti matrici semantiche:

(1) bambino agnello

+ animato + animato

+ umano – umano

+ maschio + maschio

+ piccolo + piccolo

L’ipotesi componenziale è che i tratti semantici possano essere definiti in un numero ampio, ma comunque limitato e che attraverso il sistema delle matrici sia possibile descrivere le proprietà semantiche in modo esaustivo.

L’ipotesi componenziale è che i tratti semantici possano essere definiti in un numero ampio, ma comunque limitato e che attraverso il sistema delle matrici sia possibile descrivere le proprietà semantiche in modo esaustivo.

Quest’analisi (sviluppata, tra gli altri, da linguisti notissimi come A.J. Greimas 1966, J.J. Katz e J. Fodor 1973 o M. Alinei 1974) ha raggiunto importanti risultati ed è stata adottata in gran parte della l inguistica generativa. Essa ha offerto la possibilità di descrivere vaste aree lessicali e di individuare elementi concettuali comuni nel lessico delle lingue più diverse. Secondo la prospettiva classica che abbiamo delineato più sopra, ha consentito, inoltre, di descrivere in termini rigorosi la struttura dei concetti e il rapporto tra concetti e termini.

Quest’analisi (sviluppata, tra gli altri, da linguisti notissimi come A.J. Greimas 1966, J.J. Katz e J. Fodor 1973 o M. Alinei 1974) ha raggiunto importanti risultati ed è stata adottata in gran parte della linguistica generativa. Essa ha offerto la possibilità di descrivere vaste aree lessicali e di individuare elementi concettuali comuni nel lessico delle lingue più diverse. Secondo la prospettiva classica che abbiamo delineato più sopra, ha consentito, inoltre, di descrivere in termini rigorosi la struttura dei concetti e il rapporto tra concetti e termini.

(1) 15

Nel corso del Novecento, la linguistica strutturale ha portato una prima e rilevante innovazione nella visione classica sottolineando la fondamentale dissimmetria tra una lingua e l’altra nel lessico. Tale dissimmetria ha trovato una formalizzazione nella concezione hjelmsleviana di forma e sostanza, secondo la quale

3. IL LAVORO TERMINOLOGICO 81

l’insieme dei concetti trova una diversa e irriducibile espressione tra una lingua e l’altra. Ad esempio, mettendo a contrasto l’italiano e l’inglese, notiamo che l’espressione della localizzazione statica e dinamica è legata ad a in italiano mentre in inglese è forzatamente differenziata con in e to:

(2) (a) Luigi vive a Roma.

(b) Luigi va a Roma.

(c) Luigi lives in Rome.

(d) Luigi goes to Rome.

La sistematicità di questa dissimmetria è alla base del relativismo linguistico, legato ai nomi di Edward Sapir e, soprattutto, Benjamin L. Whorf, che ha avuto e ha tuttora, in molte forme7, una grande fortuna negli studi linguistici. Il relativismo linguistico ha sottolineato l’influenza che le strutture della lingua hanno sulle strutture concettuali condivise dai parlanti, ma anche senza aderire completamente a questa visione, nella terminologia si evidenziano molteplici differenze culturali e ciò è vero, in particolare, nella terminologia della linguistica. Come rileva Swiggers (2006: 21):

au niveau le plus englobant, la terminologie de la linguistique véhicule un certain nombre de valeurs et de présuppositions culturelles (qui, elles-mêmes, peuvent à leur tour être nourries par des données linguistiques).

À ce niveau, l’examen de la terminologie linguistique débouche sur une ethnographie du discours et de la pratique linguistiques : rapports de la grammaire / linguistique avec une religion (ou : une théologie) et /ou une idéologie, avec une certaine hiérarchisation de la société (cf. la grammaire indienne), avec le rôle accordé au droit et à la législation (cf. la grammaire arabe), avec

7. Basti pensare, sempre in ambito strutturalista, all’opera di E. Benveniste o, nella linguistica cognitiva contemporanea, a J.A. Lucy.

Lorenzi 82
Franco

la distribution des rôles (socio-professionnels) entre hommes et femmes, etc.

Ricordiamo, per inciso, che già Marouzeau (1951b) nell’Avant-propos al Lexique de la terminologie linguistique, si muoveva nella prospettiva di trovare “l’accord entre la terminologie des différent pays”, ma limitava questa esigenza con l’evidente constatazione “dans la mesure où le permet la différence des langues”.

A partire dalla metà del Novecento, la teoria classica ha mostrato una serie di limiti che hanno portato, progressivamente, allo sviluppo di un nuovo paradigma scientifico in linguistica, il paradigma cognitivista. Il paradigma cognitivista8 è emerso progressivamente attraverso molti studi, in gran parte non coordinati, ma convergenti su alcuni punti fondamentali. Il più importante, come scrive Jonh Taylor, uno degli studiosi che hanno dato il maggiore contribuito proprio nell’ambito della concettualizzazione, è il rifiuto dell’autonomia della faculté de langage rispetto alle altre capacità cognitive umane. Il paradigma cognitivo propone a conception of language as a non-autonomous system, which hypothesizes an intimate, dialectic relationship between language on the one hand and more general cognitive faculties on the other, and which places language in the context of man’s interaction with his environment and with others of his species. (Taylor 1989: 18)

Per consenso comune, la base di questo cambiamento viene dalle Ricerche filosofiche di Ludwig Wittgenstein (1953/1967). La teoria classica dei concetti e della categorizzazione ha avuto una prima e fondamentale messa in discussione con queste riflessioni, pubblicate postume, in cui il grande filosofo sviluppa l’analisi del linguaggio in un rapporto fondamentale con il contesto d’uso. Il

8. Per una documentazione rinviamo a Gaeta-Luraghi (2003), Bazzanella (2014), Croft-Cruse (2004) e Ungerer-Schmidt (2006).

3. IL LAVORO TERMINOLOGICO 83

linguaggio si realizza come gioco linguistico, cioè come afferma Penco (2004: 104) «un contesto di azioni e parole» in cui le espressioni linguistiche acquistano il loro significato: “Qui la parola «giuoco linguistico» è destinata a mettere in evidenza il fatto che il parlare un linguaggio fa parte di un’attività, o di una forma di vita” (Wittgenstein 1953/1967: 21)9.

I giochi linguistici (cioè le nostre attività linguistiche quotidiane) non possiedono delle caratteristiche necessarie e sufficienti, un’essenza, ma si sviluppano come somiglianze di famiglie. In un famoso passo Wittgestein scrive:

Considera ad esempio i processi che chiamiamo «giuochi». Intendo giuochi da scacchiera, giuochi di carte, giuochi di palla, gare sportive e via discorrendo. Che cosa è comune a tutti questi giuochi? - non dire: «deve esserci qualcosa di comune a tutti, altrimenti non si chiamerebbero ‘giuochi’ «– ma guarda se ci sia qualcosa di comune a tutti. – Infatti, se li osservi, non vedrai certamente qualche cosa che sia comune a tutti, ma vedrai somiglianze, parentele, e anzi ne vedrai tutta una serie. Come ho detto: non pensare, ma osserva! – osserva, ad esempio, i giuochi da scacchiera, con le loro molteplici affinità. Ora passa ai giuochi di carte; qui trovi molte corrispondenze con quelli della prima classe, ma molti tratti comuni sono scomparsi, altri ne sono subentrati. Se ora passiamo ai giuochi di palla, qualcosa di comune si è conservato, ma molto è andato perduto. Sono tutti

9. Penco (2004) rileva che, a partire da queste riflessioni, nella filosofia del linguaggio contemporanea si distinguono due grandi correnti di pensiero: da un lato i filosofi dei linguaggi formali che cercano “una formalizzazione dello stesso linguaggio comune”; d’altro lato i filosofi del linguaggio ordinario che sono convinti della irriducibilità del linguaggio alla formalizzazione logico-matematica e si propongono di descrivere l’uso concreto del linguaggio, dimostrando “la ricchezza e varietà del linguaggio”.

Franco Lorenzi 84

‘divertenti’? Confronta il giuoco degli scacchi con quello della tria. Oppure c’è dappertutto un perdere e un vincere, o una competizione fra i giocatori? Pensa allora ai solitari. Nei giuochi con la palla c’è vincere e perdere; ma quando un bambino getta la palla contro un muro e la riacchiappa, questa caratteristica è sparita. Considera quale parte abbiano abilità e fortuna. E quanto sia differente l’abilità negli scacchi da quella nel tennis. Pensa ora ai girotondi: qui c’è l’elemento del divertimento. Ma quanti degli altri tratti caratteristici sono scomparsi! E così possiamo passare in rassegna molti altri gruppi di giuochi. Veder somiglianze emergere e sparire. [...]

Non posso caratterizzare queste somiglianze meglio che con l’espressione «somiglianze di famiglia»; infatti le varie somiglianze che sussistono tra i membri di una famiglia si sovrappongono e s’incrociano nello stesso modo: corporatura, tratti del volto, colore degli occhi, modo di camminare, temperamento, ecc. ecc.E dirò: i ‘giuochi’ formano una famiglia (Wittgenstein 1953/1967: 36, 46-47).

In questa visione, il parlante costruisce una rete di somiglianze che vanno a formare una sorta di famiglia, costruita per estensione e similitudine con un intreccio simile a quello che si realizza in una tessitura, in cui una fibra si sovrappone all’altra. Grazie al linguaggio, l’essere umano costruisce una rete di somiglianze che non è data ma costruita e mutevole.

Secondo Wittgenstein, anche i giochi linguistici legati ai numeri e alla matematica si sviluppano con questa modalità induttiva e il significato di una parola non si collega a un significato univoco, bensì testimonia un percorso concettuale induttivo e analogico. Questo percorso porta ad una visione sfumata del significato, ma non a-sistematica, proprio perché il percorso è guidato

3. IL LAVORO TERMINOLOGICO 85

dalla sistematicità che rappresenta il modo peculiare della mente umana di concettualizzare.

Sono state soprattutto le ricerche condotte a partire dagli anni Settanta che, come afferma Murphy (2002: 16) “essentially killed the classical view, so that it is not now the theory of any actual research in the field”. Il riferimento fondamentale è alle ricerche di William Labov in linguistica e di Eleanor Rosch e dei suoi collaboratori in psicologia che hanno rivelato un fondamentale effetto di tipicità e proto-tipicità nella concettualizzazione umana. Costruendo situazioni sperimentali in cui i parlanti si trovavano ad usare le normali parole come categorie descrittive, si sono rivelate tutte le criticità della teoria classica. Labov (1972) ha mostrato come l’uso di cup per fare riferimento a un certo contenitore sia legato, ad esempio, al rapporto tra height e width, e non alla presenza di altri elementi (come handle). In più la scelta lessicale è legata a un ragionamento sulla funzionalità; come scrivono Miller - Johnson-Laird (1976: 229) a proposito di table:

Consider the many varieties of tables: tea tables, billiard tables, end tables, drafting tables, typing tables, operating tables, bridge tables, conference tables. How can these be distinguished perceptually? […] Exactly the same physical object may, at different times of day, function as a breakfast table, kitchen table, worktable, lunch table, conference table, coffee table, dinner table, poker table. In order to know which label to use, one needs to know what function the table is serving.

Rosch (1975) ha mostrato come i parlanti scelgano gli elementi che fanno parte di una categoria in modo differenziato. Ad esempio, per dare un esempio di furniture i parlanti indicano chair, sofa, table e solo marginalmente vase o telephone; per dare un esempio di fruit indicano orange, apple, banana e solo marginalmente

Franco Lorenzi 86

tomato o olive. I parlanti manifestano, costantemente, un’indecisione nell’attribuire certi elementi a una categoria:

In real life, however, there are many things that are not clearly in or out of a category. For example, many people express uncertainty about whether a tomato is a vegetable or a fruit. People are not sure about whether a low, three-legged seat with a little back is a chair or a stool. People do not always agree on whether sandals are a kind of shoes (Murphy 2002: 19-20)

In breve, le categorie concettuali umane sono fuzzy, non determinate in modo rigido; esse sono flessibili, adattabili e ciò costituisce il vantaggio cognitivo a cui accennavamo prima: “We do not wish to have a concept for every single object – such concepts would be of little use and would require enormous memory space” (Murphy 2002: 21). Le categorie sfumate rispondono bene, secondo questa visione psicologica, alla miriade di proprietà che presentano le res con cui l’uomo entra in contatto: “if the world consists of shadings and gradation and of a rich mixture of different kinds of properties, then a limited number of concepts would almost have to be fuzzy” (Murphy 2002: 21). La visione classica second cui “every object is either in or not in the category, with no in-between cases” e “anything that meets the definition is just as good a category member as anything else” (Murphy 2002: 15) è decisamente insufficiente.

In questa nuova visione cognitiva, la costruzione di una categoria concettuale mette in gioco processi di tipicità e proto-tipicità. Se vedo un contenitore arrotondato che ha rapporto tra altezza e larghezza approssimativamente pari a 1:1, un manico e so che è usato solitamente per contenere cibo, lo considererò un buon esempio di tazza. Se penso ad un mobile, considererò un buon esempio di mobile una sedia, un tavolo o un letto perché li considero elementi indispensabili in ogni abitazione (molto più

3. IL LAVORO TERMINOLOGICO 87

di un vaso o di un telefono). Un certo oggetto o un certo insieme di oggetti che presenta alcune caratteristiche salienti è tipico; se possiamo considerarlo l’esempio migliore allora siamo davanti al prototipo della categoria.

Così, il processo di costruzione di una categoria concettuale si rivela induttivo e analogico, secondo le linee che Wittgenstein aveva intuito. Non a caso, E. Rosch ripropone l’espressione somiglianze di famiglia per indicare il quadro teorico a cui fa riferimento.

4. La rivoluzione cognitiva ha prodotto i suoi effetti sulla terminologia a partire dagli anni Novanta del secolo scorso, mettendo in discussione la visione classica e introducendo la teoria dei prototipi a cui abbiamo accennato e altre teorie cognitive10, prima tra tutte la teoria della metafora cognitiva di Lakoff - Johnson (1980). Temmermann (2000: 39 sgg.) ha proposto una serie di innovazioni proprio partendo dai punti principali della teoria classica:

a) the prototype structure hypothesis is viable for the structuring and understanding of a category

b) monosemy is sometimes functional in special language but so are polysemy and synonymy

c) metaphorical models link the language system to the world of experience and to the functioning of the mind.

In breve, il paradigma cognitivo se accettato e condiviso porta ad una nuova terminologia sociocognitiva:

Sociocognitive Terminology considers our knowledge about the world of science and technology as experiential (Lakoff 1987). Much of what we know about the world is embodied (Johnson 1987), is the result of our sensory perceptions. It should be added that

10. Cfr. in particolare Faber (2012) e l’Homme (2020).

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Franco Lorenzi

the other part is the result of our reasoning, which is interactive with the input via on the one hand sensory perception and on the other hand the transfer of other language users’ ideas which we take in via discourse (written and spoken) for which language is the medium (Temmermann 2000: 61).

Temmermann (2000) propone un’analisi della terminologia utilizzata nelle scienze della vita, mostrando la dimensione prototipica delle categorie usate, l’uso sistematico di metafore cognitive e la stratificazione sociale e storica della terminologia. Come molti altri terminologi, Temmermann vede l’analisi cognitiva come un fondamentale arricchimento della terminologia, un modo per liberarsi dai limiti imposti artificiosamente dalla teoria classica. In questo senso, l’autrice riconosce che certe categorie hanno una struttura non prototipica o che, in certi casi, la ricerca della monosemia (i.e. il rapporto biunivoco tra concetto e termine) sia utile.

Ciò che cambia è il quadro di riferimento generale, per cui l’uso linguistico e soprattutto la sua dimensione sociale è al centro della ricerca terminologica. La variabilità non è più un pericolo da evitare, ma la situazione normale in cui si realizza la comunicazione specialistica e, quindi, deve essere considerata e descritta.

In questo senso, si situa un contributo fondamentale che la terminologia offre: la possibilità di fornire un aiuto nella determinazione del campo di applicazione dei concetti. Come sottolinea Murphy (2002), gli ‘addetti ai lavori’ sono frequentemente in disaccordo tra di loro sui termini proprio per la natura prototipica degli stessi o per le variazioni d’uso nel tempo:

legal practice has found that in practice the law is sometimes very fuzzy, and legal theorists (e.g., Hart 1961) suggest that this is inevitably the case, because lawmakers cannot foresee all the possibilities the law will have to address, some of which do not exist at the time the law is passed (e.g., laws on intellectual property were

3. IL LAVORO TERMINOLOGICO 89

written before the invention of the internet) (Murphy 2002: 19).

Ciò avviene in tutti i settori tecnico-scientifici, ma è ancora più evidente quando si passa al rapporto con l’utente comune, che deve fare i conti con le categorie prototipiche del linguaggio ordinario. Ten Hacken (2015: 9-10) cita, a questo proposito, l’esempio delle norme e delle direttive su automobili e traffico:

In order to enforce the law, it is necessary to define such concepts as “car” quite precisely. […] [F]or “car” any speaker of (British) English will have a prototype-based, natural concept in their mental lexicon. When it is legislated which vehicles one is allowed to drive with a specific driving licence or which speed limit applies to a particular vehicle, it is necessary to formulate a terminological definition of concept such as “car”. […] Whereas in general contexts, there is a continuum from “car” to “van” and “lorry” and from “car” to “minibus” and “coach”, in the specific domain of traffic law, a precise boundary has to be imposed.

Il terminologo opera oggi in questo modo, studiando le condizioni per una determinazione il più rigorosa possibile del concetto, ma contemporaneamente scegliendo il termine migliore che si adatta alla situazione comunicativa e ai diversi sistemi di conoscenze condivisi. Così la prassi terminologica può consentire un’applicazione del concetto e del termine alle diverse situazioni d’uso extralinguistiche concrete.

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4. Metalinguaggio e terminologia della linguistica - Progetti in Rete

1. La linguistica ha avuto uno sviluppo impetuoso negli ultimi due secoli; a partire dalla nascita della linguistica storico-comparativa nell’Ottocento, dalla pubblicazione postuma del Cours de linguistique générale di Ferdinand de Saussure e dalla rivoluzione strutturalista1 che ha caratterizzato la prima metà del Novecento fino alla rivoluzione cognitiva che, in forme molteplici, segna la seconda metà del Novecento fino ai nostri giorni, lo studio del linguaggio e delle lingue ha coinvolto un numero crescente di ricercatori.

* L’articolo è il risultato di un lavoro comune; P. Bonucci ha curato la stesura dei paragrafi 1 e 2, F. Lorenzi quella dei paragrafi 3 e 4. Le ricerche presentate sono state svolte nell’ambito del progetto Definizioni nei dizionari e nelle enciclopedie elettronici finanziato con il Fondo Ricerca di Base 2018 dell’Università degli Studi di Perugia, responsabile Franco Lorenzi.

1. Utilizziamo il termine rivoluzione in senso khuniano (Khun 1962), facendo riferimento alla genesi di un movimento scientifico collettivo che cambia profondamente il paradigma (o i paradigmi) dominante (/i).

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In più, la linguistica e con essa la semiotica/semiologia2 hanno costruito intensi rapporti scientifici con le altre scienze che si occupano del linguaggio e delle lingue: in ordine semplicemente alfabetico, l’antropologia, la biologia, l’economia, l’informatica, l’intelligenza artificiale, la pedagogia e le scienze dell’educazione, la psicologia, la medicina, la retorica, la sociologia e, naturalmente, la filosofia, che, insieme agli studi letterari, ha da sempre costituito un ambito privilegiato dell’analisi linguistica.

Le molte e diverse articolazioni della linguistica (dalla psicolinguistica alla sociolinguistica, dalla linguistica antropologica alla linguistica computazionale, dalla linguistica educativa alla linguistica clinica) si situano all’intersezione tra campi e interessi disciplinari differenti e la linguistica tout court, che accoglie la visione generale sintetizzata magistralmente da Roman Jakobson nella celebre affermazione (1960: 377) “Linguista sum: linguistici nihil a me alienum puto”: un’apertura totale dell’indagine scientifica alla pluralità delle lingue3 e dei fenomeni (cognitivi e sociali) legati all’uso linguistico.

Allo sviluppo della linguistica ha corrisposto un altrettanto grande sviluppo della terminologia scientifica e tecnica, dovuto anche alla molteplicità dei fenomeni presi in considerazione, di gran lunga superiore rispetto a quanto accaduto nei secoli passati. Come ha scritto E.F.K. Koerner (1995), la storia di una disciplina

2. Ricordiamo, per inciso, che le due discipline sono sempre state strettamente interrelate, in un rapporto inscindibile, testimoniato ad esempio dalla considerazione barthesiana che la semiologia possa essere considerata lo studio delle grandi unità significanti del discorso (Barthes 1964).

3. Ethnologue (Eberhard, David M., Gary F. Simons, and Charles D. Fennig (eds.). 2023. Ethnologue: Languages of the World. Twenty-sixth edition. Dallas, Texas: SIL International. Online version: http://www.ethnologue.com) raccoglie oggi dati su oltre 7.000 lingue attestate. Assieme a queste lingue vanno considerate quelle artificiali (dal Novial di O. Jespersen al Dothraki di D. Peterson) che continuamente sono state e vengono inventate.

4. METALINGUAGGIO E TERMINOLOGIA DELLA LINGUISTICA - PROGETTI IN RETE 97

scientifica è segnata dal metalinguaggio (quindi dalla terminologia) utilizzato, e il lavoro sulla terminologia è cruciale “for the description of linguistic concepts, ideas or theories” del presente come del passato.

Puntualmente, poi, l’avvento di un nuovo paradigma scientifico, una rivoluzione scientifica porta a significative “ricadute terminologiche”, secondo la fortunata espressione di Cristina Vallini (2001). Nuovi fenomeni vengono presi in considerazione così come fenomeni già noti sono ri-categorizzati; termini vengono sostituiti o ri-semantizzati, legando l’interpretazione a differenti visioni teoriche ed epistemologiche:

Al di là delle cause che la hanno prodotta, una rivoluzione scientifica pienamente riuscita ha la sua manifestazione più evidente nel metalinguaggio, poiché quello del paradigma superato diventa incomprensibile, e di fatto inibisce l’accesso alle vecchie teorie ed alle evidenze stesse dei vecchi dati (Vallini 2001: 73).

In questo senso, chi lavora nell’ambito della linguistica deve fare i conti con una terminologia complessa e spesso ridondante, sempre difficile da trattare e conciliare. In più, come sottolinea Rey-Debove (2001), la terminologia linguistica ha un carattere di unicità nell’ambito delle scienze umane perché si fonda sulla funzione metalinguistica delle lingue e sulla capacità metalinguistica dei parlanti: “c’est pour parler du langage qu’on emploie le langage”.

Come scrivono programmaticamente Colombat - Savelli (2001b), la terminologia linguistica non può che essere studiata “dans sa création, son evolution”, non in una prospettiva esclusivamente statica, che non rende ragione della sua formazione e del suo uso. Questo spiega come mai oggi “il semble qu’on procède plus au coup par coup, en évaluant la terminologie préexistante, en

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pesant le coût de son replacement et en étant attentif à articuler les créations avec cet état antérieur” (p. XVI).

La terminologia linguistica ha, quindi, due caratteristiche fondamentali: l’eterogeneità e l’accumulazione (Briot 2001). L’eterogeneità è il risultato della pluralità di teorie che si sono susseguite nel tempo e che tutt’oggi caratterizzano la linguistica. Basta sfogliare i repertori bibliografici di riferimento (dalla Linguistic Bibliography - Brill https://bibliographies.brillonline.com/browse/ linguistic-bibliography, alla Linguistics and Language Behavior Abstracts https://proquest.libguides.com/ llba - ProQuest) o le imponenti serie di Handbooks pubblicate dalle maggiori case editrici per rendersi conto di come il panorama della disciplina sia affollato di posizioni teoriche divergenti che inevitabilmente propongono terminologie altrettanto divergenti. Così per il metalinguaggio lessicografico, parte integrante del complessivo lessico metalinguistico, i cinque volumi del Wörterbuch zur Lexikographie und Wörterbuchforschung / Dictionary of Lexicography and Dictionary Research (Wiegand et al. 2010-2020) testimoniano l’ampiezza e la complessità delle correnti di studi e il plurilinguismo ad esse inerente.

L’accumulazione è, poi, il risultato storico del rapporto con una tradizione millenaria che ha le sue radici nell’antichità greca e latina, e che resiste con una sorprendente vitalità. Basti pensare alla teoria dei Qualia, centrale nel Generative Lexicon di J. Pustejovsky (1995) che si basa sulla dottrina aristotelica delle cause (αίτίαι). Termini come nome, verbo, aggettivo, soggetto, oggetto, predicato, tema e tanti altri, con moltissimi equivalenti multilingui, testimoniano che la terminologia linguistica ha una dimensione sincronica che non può essere compresa senza fare riferimento alla dimensione diacronica. In più, il rapporto con la tradizione e l’accumulazione terminologica che ne deriva viene molto spesso consapevolmente sfruttato per sopperire alle difficoltà descrittive

4. METALINGUAGGIO E TERMINOLOGIA DELLA LINGUISTICA - PROGETTI IN RETE 99

e teoriche della disciplina. Così, ad esempio, scrive Simone (2013: 249) a proposito delle classi lessicali:

le parole possono essere suddivise in classi, la cui lista è variabile a seconda delle lingue; per comodità possiamo adoperare quelle identificate fin dall’antichità, come nomi, verbi, aggettivi, adposizioni, avverbi, congiunzioni ecc.

e nei corpora testuali elettronici è esperienza comune trovare classi e sottoclassi eterogenee, in numero variabile.

Per questi motivi, è stata più volte concepita dagli studiosi la realizzazione di un grande dizionario della terminologia linguistica, in prospettiva sia sincronica che diacronica; basti qui ricordare il progetto del Dictionnaire encyclopédique des sciences du langage avanzato da Sylvain Auroux (2001).

Negli ultimi decenni la lessicografia specialistica della linguistica si è arricchita di due monumentali enciclopedie che hanno offerto una sintesi del campo di studi: The Encyclopedia of language and linguistics, Oxford-New York, Pergamon, 1994, edita da R.A. Asher e J.M. Simpson, e la seconda edizione (ELL2) curata da K. Brown, Amsterdam, Elsevier 2006, disponibile in formato elettronico. Entrambe le ELL sono corredate da un ricco glossario che propone al lettore migliaia di termini, in lingua inglese, con definizioni sintetiche.

Accanto a queste grandi opere, si sono moltiplicati i lessici e i glossari relativi ad aree specifiche che, come nel caso del celebre Sémiotique. Dictionnaire raisonné de la théorie du langage, di Greimas-Courtés (1979) hanno anche segnato momenti importanti per la sistemazione teorica della disciplina. Per l’italiano, ad esempio, ricordiamo il Dizionario di glottodidattica di Balboni (1999) e Il metalinguaggio dell’interpretazione di Garzoni - Santulli

Lorenzi 100
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2001, e con un intento sistematico per l’inglese la serie dei Glossaries in Linguistics, pubblicati dalla Edinburgh University Press, che dal 2003 presentano lessici settoriali (sociolinguistica, morfologia, linguistica cognitiva, applicata, storica ecc.) a firma di prestigiosi linguisti.

Naturalmente, poi, le ricerche dedicate alla storia della linguistica hanno prodotto una mole impressionante di studi su singole categorie e singoli termini, sia in una prospettiva più generale che nell’ambito di teorie e correnti del pensiero linguistico4. In questi studi l’analisi terminologica si è collegata a quella più ampia sul metalinguaggio e raccolte di saggi come quelle curate da Colombat - Savelli (2001a) o pubblicate nella serie Lingue, Linguaggi, Metalinguaggio diretta da Cristina Vallini e Vincenzo Orioles per la casa editrice Il Calamo di Roma testimoniano il costante interesse della comunità scientifica per un ambito che è intimamente legato all’elaborazione teorica e metodologica.

Un progetto complessivo, tuttavia, non è stato ancora realizzato e rappresenta sicuramente una delle sfide per la linguistica del nuovo millennio. In più, la costruzione di repertori terminologici è oggi basata sulle risorse computazionali e sull’uso della Rete per una fruibilità completa. Di seguito presenteremo alcuni progetti terminologici dedicati specificamente alla linguistica disponibili attualmente in Rete, in modo da offrire al lettore una sintetica guida ragionata. Concluderemo con la presentazione del progetto DLM, a cui lavorano da tempo gli autori del presente articolo.

4. Per rendersi conto della vastità dei contributi basta sfogliare gli atti delle International Conferences on the History of the Language Sciences - ICHoLS, tenute a partire dal 1978, raccolte di saggi quali Auroux et al. (2000-20006) e Lepschy (1994-1998), o ancora le numerose riviste dedicate, da Histoire, Epistemologie, Langage a Historiographia Linguistica. Tra i contributi personali degli autori di questo articolo ricordiamo Bonucci (2002) e Lorenzi (2000, 2002a).

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2. Il primo importante dizionario tecnico online è stato il Lexicon of Linguistics (https://lexicon.hum.uu.nl):

Come ricordano Bianchi - Marcaccio (2002), il Lexicon è stato pubblicato da Jan Don, Johan Kerstens e Eddy Ruys per l’Utrecht Institute of Linguistics OTS ed è il risultato dell’implementazione di schede terminologiche cartacee. Nella sua versione on line esso contiene circa 500 termini, estratti da articoli e opere pubblicati nel periodo che va dal 1949 al 1997, elencati nella bibliografia.

Il Lexicon propone una stringata definizione dei termini, tutti appartenenti alla lingua inglese e, soprattutto, agli studi di grammatica generativa, come possiamo vedere nella definizione di case:

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Bonucci - Franco Lorenzi
Figura 1. Figura 2.

L’esempio ci mostra che il dizionario consente una navigazione ipertestuale da una scheda terminologica all’altra e alla bibliografia.

Un altro contributo importante allo studio della terminologia linguistica è venuto dal SIL – Summer Institute of Linguistics (https://www.sil.org/), la grande organizzazione che da quasi un secolo si occupa della diversità e della difesa delle lingue e delle comunità linguistiche in tutto il mondo. Oltre al celebre repertorio Ethnologue (https://www.ethnologue.com/), il SIL offre il Glossary of Linguistic Terms (https://glossary.sil.org/) che contiene oltre 900 termini in lingua inglese. Come ci indica il sito, il Glossary è stato iniziato da “Eugene E. Loos (general editor), and editors Susan Anderson, Dwight H. Day, Jr., Paul C. Jordan, and J. Douglas Wingate as a quick reference tool for field linguists, it was last revised in 2003 but continues to be a helpful tool for many.” Nel 2003 il Glossary è stato pubblicato su Cd-Rom come pubblicazione del SIL e le voci consultabili online fanno riferimento a questa pubblicazione.

Per ogni termine, il Glossary offre una scheda terminologica ipertestuale, in cui è possibile trovare in forma molto sintetica:

a) una definizione, seguita da

b) una discussione in cui sono fornite alcune informazioni di approfondimento;

c) il rinvio a termini collegati;

d) le fonti da cui è stato tratto il termine5;

e) la posizione gerarchica del termine all’interno del glossario.

5. Le fonti da cui sono tratti i termini sono elencate in un’apposita bibliografia, consultabile on-line

4. METALINGUAGGIO E TERMINOLOGIA DELLA LINGUISTICA - PROGETTI IN RETE 103

Nella figura seguente è possibile vedere la scheda del termine Abessive Case:

Figura 3.

La gerarchia dà la possibilità di esplorare il Glossary, passando ai termini in essa presenti. Nel caso di schede terminologiche complesse (ad esempio Grammatical Category o Case, indicate nella figura precedente), i termini della gerarchia sono raccolti sotto l’etichetta kinds e mostrano relazioni concettuali diverse: ad esempio, kinds di Grammatical Category sono Aspect, Case, Definiteness ecc., mentre kinds di Case sono Abessive Case, Absolutive Case, Equative Case ecc.. Nelle schede complesse sono presenti anche esempi che illustrano il fenomeno linguistico a cui il termine fa riferimento.

Accanto al Glossary, il SIL mette a disposizione un’importante risorsa: il French/English Glossary of Linguistic Terms (https:// feglossary.sil.org/). Come informa il sito “This glossary contains 7,837 French linguistic terms and 8,059 English linguistic terms. As a glossary, it does not define the terms but simply gives the equivalent(s) in the other language. Lexical and semantic relationships are displayed for many of the terms in both languages. The domains or schools of thought which utilize a particular term are indicated where appropriate/in many cases.” L’editor-in-chief è Thomas Bearth, il managing editor e compiler è Charles Fennig,

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PaoLa Bonucci - Franco Lorenzi

cui si aggiunge un lungo elenco (fornito dal sito) di collaboratori e sostenitori del progetto, che testimonia l’importanza e l’impegno dell’impresa6.

Le schede terminologiche sono in formato ipertestuale e consentono una navigazione tra i termini nelle due lingue. Il formato delle schede prevede una serie di campi accuratamente spiegata nella pagina di Help (https://feglossary.sil.org/page/help), tra cui spiccano alcune relazioni lessicali come sinonimia o antonimia, il collegamento alle fonti bibliografiche di riferimento e la possibilità di accedere a definizioni, specificamente riferite a teorie linguistiche (https://feglossary.sil.org/ page/definitions). Un esempio è riportato di seguito, con il passaggio da cas objet a objective case:

6. Bearth, Thomas, and Charles Fennig, eds. 2004. French/English Glossary of Linguistic Terms [feglossary.sil.org]. Dallas, Texas: SIL International.

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4. METALINGUAGGIO E TERMINOLOGIA DELLA LINGUISTICA - PROGETTI IN RETE
Figura 4.

Nel primo decennio del nuovo millennio un progetto terminologico interessante è stato avviato con Gold (General Ontology of Linguistic Description)7, adesso consultabile attraverso l’Internet Archive e non più ospitato dalla LINGUIST List (http://web.archive. org/web/20200210165605/http://www.linguistics-ontology.org/):

Figura 5.

Gold ha alla base il Glossary of Linguistic Terms del SIL con l’integrazione di opere contemporanee di linguistica. Come ci informa il sito “GOLD is an ontology for descriptive linguistics. It gives a formalized account of the most basic categories and relations (the “atoms”) used in the scientific description of human language. GOLD is intended to capture the knowledge of a well-trained linguist and can thus be viewed as an attempt to codify the general knowledge of the field”. Gold collega la terminologia linguistica con il Semantic Web e lo studio delle ontologie. Gli ideatori Scott Farrar e Terry Langendoen (2003: 97) precisano che:

Ontologies are central to the architecture of the Semantic web, since they provide the basis for automated reasoning in a domain by declaring what entities exist and what kind of relations hold between those entities.

7. 2010. General Ontology for Linguistic Description (GOLD). Bloomington, IN: Department of Linguistics (The LINGUIST List), Indiana University. http://linguistics-ontology.org/

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In questo senso, essi utilizzano il Web Ontology Language (OWL https://www.w3.org/OWL/) per la modellizzazione di GOLD. Nella figura seguente possiamo vedere il termine Inflectional Morpheme:

Figura 6.

Ogni concept è legato ad una catena concettuale (visibile sopra la definizione) che propone una ontologia che culmina nell’elemento Thing considerato la radice di tutte le categorie. L’ontologia è completamente esplicitabile sulla destra e fa riferimento al modello

SUMO (Suggested Upper Merged Ontology http://www.adampease. org/OP/) in modo da consentire una ricerca automatica intelligente:

In order to post, retrieve and analyze data on the Semantic web, an ontology is needed that integrates different theories and terminologies. For example, if one data set contains the term ‘Class 1’ and another uses the combination of terms ‘Human’ and ‘Singular’, both referring to a noun class representing human individuals, then these two data sets can be equated by intelligent Web agents (Farrar - Langendoen 2003: 97).

In questo modo, GOLD cerca di rispondere al problema menzionato in precedenza della eterogeneità della terminologia linguistica, che rende estremamente difficile (se non impossibile) la costruzione di un universo concettuale disciplinare condiviso.

E TERMINOLOGIA DELLA LINGUISTICA - PROGETTI IN RETE 107
4. METALINGUAGGIO

Come possiamo vedere, comunque, la definizione dei termini è tratta da singole opere di linguistica e l’ontologia opera con termini esclusivamente in lingua inglese.

Un’altra impresa collettiva promossa da linguisti professionisti è Glottopedia, (http://www.glottopedia.de/index.php/Main_Page); si tratta di una risorsa libera, sul modello di Wikipedia, ma appunto realizzata da un team di esperti. I curatori sono Sven Naumann (Università di Trier) e Jan Wohlgemuth (Universitas Indonesia).

Figura 7.

Glottopedia si propone (anche se ancora in modo iniziale) di definire una terminologia multilingue e di arricchire l’indicazione delle fonti scientifiche. Un esempio è il seguente, relativo a lexeme:

Figura 8.

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Un altro importante contributo alla terminologia linguistica è fornito da Linguistic Documentation (LiDo - http://linguistik. uni-regensburg.de:8080/ lido/Lido) database ideato e realizzato da Christian Lehmann. Nel corso degli ultimi decenni, il grande linguista tedesco (https:// www.christianlehmann.eu/) ha raccolto un vasto repertorio bibliografico relativo alla linguistica comparativa e descrittiva, e ha individuato un cospicuo numero di concetti di dominio. La motivazione del suo lavoro (compiuto non da terminologo, ma da studioso di linguistica) sta nella convinzione che la terminologia sia un elemento fondamentale per lo sviluppo della ricerca scientifica:

Fachsprachenprobleme und insbesondere Terminologie sind nicht mein Forschungsgebiet. Die Klärung terminologischer Probleme ist vielmehr immer nur notwendige Voraussetzung für methodisch abgesicherte konkrete linguistische Arbeit.” (Lehmann 1996: 315).

Attualmente il LiDo raccoglie “more than 4500 unique linguistic concepts, 15000 terms, 20000 books and 1200 journals” (Klimek et al. 2017).

I concetti che Lehmann individua hanno un preciso valore epistemologico per la ricerca linguistica. Essi rappresentano il risultato della descrizione delle singole lingue e della comparazione tra le diverse lingue, in modo tale da avere una validità interlinguistica generale:

[f]or linguistics to be able to function, the same concepts must be used in description and in comparison. This only requires that linguistic concepts have their place in a conceptual network which, in turn, is formulated in terms of a theory of language. The concept of an interlingual category is then just more abstract than the concept of a language-specific category instantiating it (Lehmann 2018: 38)

4. METALINGUAGGIO E TERMINOLOGIA DELLA LINGUISTICA - PROGETTI IN RETE 109

Lehmann (2018: 39) aggiunge che la dimensione interlinguistica dei concetti porta a considerare i concetti stessi come prototipi, che trovano la loro realizzazione differenziata nelle singole lingue:

Moreover, the interlingual concept may be prototypical concept. Then its core features have to be identified and to be distinguished from secondary features, whose possession distinguishes the focal instance from marginal cases.

Il valore interlinguistico dei concetti risolve il problema della differenza terminologica tra le lingue; ogni lingua avrà la sua terminologia legata ai fenomeni linguistici ed essa sarà messa in relazione ai concetti che avranno un valore unico. Così il LiDo distingue nettamente i termini (in diverse lingue: tedesco, inglese, francese, portoghese, italiano) dai concetti, che hanno una sintetica descrizione e una identità (ID) contrassegnata da un termine latino, per meglio rappresentare il loro valore interlinguistico.

LiDo collega le tre fonti di riferimento (concetti, termini e riferimenti bibliografici) consentendo una serie di ricerche incrociate e arricchite dalla presenza di relazioni che collegano concetti e termini. La home page del sito ci consente di effettuare una ricerca per termine impostando la lingua. Scegliamo il termine Kasus per il tedesco:

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Figura 9

Immediatamente sotto alla casella di ricerca del termine compare l’unique concept a cui esso è collegato: casus. Lehmann ha scelto di utilizzare i termini latini come termini basici del LiDO, attribuendo ad essi la funzione di riferimento per le corrispondenze interlinguistiche.

Per il concetto sono presentate (a) la definizione e (b) informazioni aggiuntive, ad esempio di carattere storico. Nella sezione in basso a destra sono visibili le corrispondenze tra il termine tedesco e termini di altre lingue. Se cerchiamo le fonti bibliografiche, otterremo poi la seguente videata:

Figura 10

Nelle videate compare al centro il termine ricercato e, ai suoi lati, i termini subordinati e superordinati. Questa presentazione introduce il tema delle relazioni concettuali che Lehmann (1996) esplicita in dettaglio, partendo proprio dalla relazione generale di subordinazione e sovraordinazione. L’autore propone le seguenti coppie di termini “in Unterordnungsbeziehung”:

untergeordnet übergeordnet

Aphasie Sprachpatologie

Archaismus historische Grammatik

Erklärung Wissenschafstheorie

Phonem Phonemik (Lehmann 2018: 217)

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4. METALINGUAGGIO
DELLA LINGUISTICA - PROGETTI IN RETE

A questa relazione si aggiungono altre relazioni che sono quelle, in realtà, individuate dalla ricerca semantica. Infatti, le relazioni tra termini sono quelle presenti tra le parole delle lingue storico-naturali:

Das Problem, die semantischen Relationen zwischen Wörtern explizit zu machen, entsteht natürlich nicht nur in der wissenschaftlicher Terminologie, sondern allgemein in der Lexikologie und Lexikographie (Lehmann 2018: 225)

Partendo dal lavoro di I. Mel’čuk (2012-2015) sulle funzioni semantico-lessicali, Lehmann (1996, 2020) propone un insieme di circa 20 relazioni, partendo da iponimia/iperonimia (x-ist-ein-y: obliquer Kasus → Kasus → Flexionskategorie) e meronimia (x-istTeil-von-y: Kasus → Deklination) per giungere a x-ist-Operator-von-y: Kasus → Kasusmarkierung).

LiDo si presenta, quindi, come una complessa struttura, in cui i concetti sono interrelati tra di loro. Negli ultimi anni un gruppo di ricercatori ha collaborato con Lehmann per realizzare OnLiT, un’Ontologia per la Terminologia Linguistica basandosi su LiDo e introducendo le procedure e gli scopi del Semantic Web (Klimek et al. 2017, 2018). Come abbiamo ricordato, la terminologia linguistica si rivela cruciale per le applicazioni del Web Semantico perché raccoglie categorie fondamentali per l’uso dei metadati relativi alla galassia di documenti presenti in Internet. Le procedure elettroniche sviluppate per OnLiT consentono di costruire grafi in cui i nodi sono rappresentati da concetti e termini e gli archi che collegano questi nodi sono rappresentati dalle relazioni semantiche. I grafi sono poi utilizzabili per una ricerca automatica intelligente. Un esempio parziale, relativo al concetto nomen substantivum, è il seguente, tratto da Klimek et al. (2018: 2433):

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PaoLa Bonucci - Franco

3. Veniamo adesso al progetto DLM - Dizionario generale plurilingue del Lessico Metalinguistico sviluppato a partire dalla fine del secolo scorso8 e a cui lavorano gli autori del presente articolo.

Ispirato da Cristina Vallini, il DLM è nato dall’intenzione di molti ricercatori italiani di realizzare un repertorio ampio e tendenzialmente esaustivo della terminologia usata in linguistica, ampliando la prospettiva anche agli apporti delle altre discipline che si occupano del linguaggio e delle lingue. Questa intenzione, come abbiamo visto precedentemente, è comune ad altri progetti scientifici, ma nel DLM è stata perseguita in modo diverso.

8. Il progetto DLM è stato coordinato nel tempo da Cristina Vallini, Vincenzo Orioles, Diego Poli e Domenico Silvestri, con il contributo di numerosi ricercatori attivi in università italiane (Bologna, Catania, Cosenza, Macerata, Napoli “L’Orientale”, Palermo, Perugia-Università degli Studi, Perugia-Università per Stranieri, Udine). Sul DLM v. Vallini (2000, 2002b), Vallini - Orioles (2000) e gli articoli raccolti in Lorenzi (2002) e Poli (2007); per un quadro d’insieme, Lorenzi - De Meo (2009).

E TERMINOLOGIA
IN RETE
4. METALINGUAGGIO
DELLA LINGUISTICA - PROGETTI
113
Figura 11

Il DLM è generale poiché vuole raccogliere la terminologia proveniente dalle diverse tradizioni scientifiche, sia antiche che moderne, e plurilingue poiché si propone di raccogliere la terminologia nella sua veste originale. Per quanto riguarda le fonti, esso distingue:

a) fonti primarie - le opere originali di linguistica (e scienze del linguaggio), partendo da quelle che hanno e hanno avuto un rilievo particolare nella storia del pensiero linguistico, ma analizzando anche opere che hanno avuto un’importanza minore o, spesso, sono state ‘dimenticate’ dopo un periodo di grande fortuna;

b) fonti secondarie - i dizionari e i glossari tecnici, di maggiore o minore estensione, comunque redatti da studiosi ‘esperti’. Sono considerate, in modo particolare, le opere multilingui, che offrono un contributo importantissimo per la determinazione di corrispondenze terminologiche;

c) fonti traduttive - si tratta delle traduzioni di opere originali (fonti primarie) effettuate da studiosi esperti. Le traduzioni rappresentano un patrimonio estremamente rilevante nella storia della linguistica, così come nella storia di tutte le discipline scientifiche, e in particolare delle scienze umane. Le traduzioni non soltanto offrono una guida per le corrisponde terminologiche interlinguistiche, ma evidenziano in molti casi un importante lavoro teorico. Come ben sappiamo (anche senza aderire a una forma estrema di relativismo linguistico) il passaggio traduttivo implica il passaggio tra universi culturali e ciò ha riflessi innegabili sulla terminologia. Gli esempi nel nostro dominio sono innumerevoli9 e,

9. All’interno del progetto DLM questo aspetto è stato particolarmente studiato da A. De Meo (2002, 2007).

Lorenzi 114
PaoLa Bonucci - Franco

per questo motivo, le traduzioni sono considerate e trattate.

Nel DLM, dunque, sono inseriti termini provenienti da dizionari, glossari e repertori tecnici della linguistica (e delle scienze del linguaggio), da opere originali e da traduzioni.

L’aspetto più rilevante del DLM è l’estrazione dalle opere originali10 di citazioni e definizioni dei termini. Questa documentazione sostituisce la definizione formulata dagli autori di un comune dizionario terminologico e offre due fondamentali vantaggi:

a) raccoglie le definizioni che effettivamente sono il risultato dell’elaborazione sperimentale e teorica degli studiosi, restituendo all’utente del DLM la possibilità di seguire il relativo processo concettuale;

b) permette all’utente un confronto sistematico che ha un valore insieme sincronico e diacronico, secondo la visione jakobsoniana della sincronia dinamica che caratterizza ogni espressione linguistica. Il confronto tra definizioni illumina similarità e contrasti e non oscura, come spesso accade nelle definizioni costruite in modo univoco, aspetti fondamentali dell’elaborazione sperimentale e teorica.

Accanto alle citazioni, il ricercatore DLM raccoglie anche sinonimi e rinvii comunque presenti nelle fonti, e traduzioni presenti nelle opere originali, quando testimoniano una precisa corrispondenza stabilita dagli autori.

10. Il DLM ha già raccolto una cospicua documentazione tratta da classici del pensiero linguistico, come Bopp e Hjelmslev, e da autori legati allo strutturalismo e alla linguistica cognitiva e si propone di raccogliere il maggior numero di contributi.

4. METALINGUAGGIO E TERMINOLOGIA DELLA LINGUISTICA - PROGETTI IN RETE 115

Come risultato di questo lavoro, attraverso l’elaborazione di procedure dedicate, i ricercatori realizzano una scheda ipertestuale che ha, insieme, un valore lessicografico e terminologico:

a) i termini sono estratti dalle fonti primarie e secondarie;

b) ad ogni termine sono collegati i termini che risultano come sinonimi o rinvii nelle fonti primarie e secondarie, e inoltre

c) sono collegati i termini indicati come traducenti nelle fonti primarie, secondarie e traduttive;

d) a ogni termine sono collegate le citazioni e definizioni estratte dalle fonti primarie, e inoltre

e) le citazioni e definizioni estratte dalle fonti traduttive, legate appunto al termine pertinente.

Il progetto DLM ha portato alla costituzione di una grande base di dati elettronica consultabile all’indirizzo http://dlm.unipg.it:

Figura 12

Nella fig. 13 possiamo vedere, in modo ridotto, la scheda ipertestuale relativa a meaning. L’utente può anche passare dal formato ipertestuale (in cui, cioè, opere e citazioni possono essere recuperate attraverso i link) al formato testuale (fig. 14) in tutto simile a quello della voce di un dizionario a stampa, in cui le diverse informazioni sono riportate per esteso.

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PaoLa Bonucci - Franco Lorenzi

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4. METALINGUAGGIO E TERMINOLOGIA DELLA LINGUISTICA - PROGETTI IN RETE Figura 13 Scheda DLM del termine meaning in formato ipertestuale (visione parziale)
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PaoLa Bonucci - Franco Lorenzi Figura 14 Scheda DLM del termine meaning in formato testuale (visione parziale)

I dati inseriti nel DLM consentono una consultazione sia sincronica che diacronica. Per ogni termine, l’utente può avere a disposizione tutte le informazioni presenti nel dizionario, ma anche una completa proiezione storica dell’uso del termine: dalla sua introduzione alla sua diffusione, dalla presenza all’assenza di traduzioni e in quali lingue (Bonucci - Anulli 2007).

Infine, i dati DLM offrono la possibilità di costruire reti concettuali tra termini e, quindi, ontologie nell’ambito della disciplina11. Per ottenere questo risultato, ogni termine è identificato da una tripla, formata da <lemma-categoria grammaticale-lingua>, ad esempio meaning [N, EN]. I linguisti impegnati nel progetto DLM individuano alcune relazioni concettuali che legano un insieme di termini. Tali relazioni possono essere di carattere più generale, ritenute utili per una consultazione complessiva del DLM come banca dati terminologica, oppure più specifiche, per la consultazione di domini specifici. La procedura elettronica proietta i termini e le relazioni su un grafo tridimensionale interattivo.

Operativamente ricercatori inseriscono i termini e le relazioni attraverso una tabella relazionale, con i termini scelti nella prima colonna. Le altre colonne specificano le relazioni concettuali tra i termini e di seguito presentiamo un elenco parziale con un esempio:

(1)

appartiene-a relazione di meronimia (mot → phrase); sigla-di sigla associata a un termine (N → nome); sinonimo-di relazione di sinonimia (vocabolario ↔ dizionario);

11. Una spiegazione dettagliata delle procedure per la costruzione di reti concettuali è presentata in Lanari et al. (2007) e Bianchi et al. (2006); indicazioni generali in Lorenzi et al. (2007), Lorenzi – De Meo (2009) e Lorenzi (2014).

4. METALINGUAGGIO E TERMINOLOGIA DELLA LINGUISTICA - PROGETTI IN RETE 119

termine-collegato-a rapporto di collegamento concettuale tra termini che sono genericamente dello stesso ambito e livello (sintassi ↔ grammatica);

termine-di rapporto tra ambiti o settori all’interno delle discipline (fonologia → linguistica); tipo-di/iperonimo-di relazione di iperonimia (mot synnome → mot);

is-a/iponimo-di relazione di iponimia (mot → unité signifiante);

traduzione-di corrispondenza traduttiva (noun ↔ nome).

Per ciascuna relazione è specificato il nome, il colore con cui sarà rappresentata nel grafo terminologico finale e, infine, la proprietà di simmetria o asimmetria della relazione, in modo tale da stabilire rapporti di reciprocità ed ereditarietà. Negli incroci della tabella saranno inseriti i termini pertinenti. Nella figura seguente possiamo vedere il grafo ottenuto con alcuni termini tratti dai saggi di Émile Benveniste raccolti in Problèmes de linguistique générale, Paris, Gallimard (1966)12:

12. Lo spoglio dell’opera di Benveniste è presentato in dettaglio in Bianchi et al. (2006), in rapporto ad alcuni ambiti della terminologia di R. Jakobson.

120
Figura 16

4. In conclusione, abbiamo cercato di offrire un panorama sintetico delle problematiche che interessano il metalinguaggio e la terminologia della linguistica partendo dal punto di vista di chi professionalmente lavora nel campo della disciplina e comprende l’importanza della ricerca terminologica per il suo settore di studi e, anche, per altri settori strategici nella nostra contemporanea società dell’informazione.

Infatti, l’analisi della terminologia linguistica ha un duplice valore: esterno ed interno e spesso questi valori vanno a coincidere. Da un punto di vista esterno, la terminologia linguistica si rivela importantissima per lo sviluppo del Web Semantico. L’elaborazione di ontologie si è sviluppata negli ultimi anni proprio come strumento fondamentale per sfruttare al meglio le possibilità della Rete e per offrire agli utenti conoscenze strutturate e non più semplici informazioni. Come scrivono Cabré et al. (2007: 6):

Nowadays, an ontology is a formal knowledge representation that may be used in order to perform automatic reasoning. More concretely, this representation appear as a network composed of nodes joined by arcs, both labelled with linguistic forms. Since this representation is more often linked with a domain and since it must be interpretable both by machines and by humans, these labels can be considered terms of the domain.

Le ontologie di dominio sono formalizzazioni sulle quali il calcolatore può lavorare; il Semantic Web è tale perché il calcolatore si trasforma in agente elettronico intelligente che è in grado di estrarre conoscenze da una mole enorme di dati, in particolare attraverso procedure di ragionamento inferenziale. I dati disseminati in Rete sono raggiungibili attraverso i metadati che li identificano e questi metadati sono rappresentati in una formalizzazione che si basa su categorie linguistiche con riferimento, naturalmente, a lingue diverse. In questo senso si sono moltiplicati gli sforzi all’interno del World Wide Web Consortium (https://www.w3.org/)

4. METALINGUAGGIO E TERMINOLOGIA DELLA LINGUISTICA - PROGETTI IN RETE 121

e dell’Unione Europea. Nell’UE il progetto CLARIN-ERIC (https:// www.clarin.eu/) è rivolto a realizzare una grande infrastruttura elettronica attraverso la quale l’utente può accedere a migliaia di risorse linguistiche13. Utilizzando i metadati, il Virtual Language Observatory (https://vlo.clarin.eu/?3) consente una ricerca intelligente, nelle diverse lingue dell’Unione.

Per raggiungere questo risultato è fondamentale quello che Swiggers (2006: 18) denomina calibrage, “c’est-à-dire de « traduction / transposition» de termes, à travers des modèles différents, vers des entités théoriques typisées (dégagées de leur gangue intra-théorique)”. È l’impresa che, alla metà del secolo scorso, era sembrata impossibile a Marouzeau (1961b: ix), la costruzione di una nomenclatura ideale in linguistica:

C’est qu’en effet il faudrait, pour réaliser cette nomenclature idéale, se livrer préalablement à une révision d’ensemble des notions linguistiques et constituer une sorte de grammaire générale sur laquelle se fasse, jusque dans le détail, l’accord universel et definif.

Tâche évidemment chimérique.

Ma su questa ipotesi lavorano oggi molti linguisti e la ricerca sulle ontologie linguistiche rappresenta un settore di grande interesse, per la linguistica e per la storia della disciplina: an ontological approach allows (i) the formal modelling speakers’ cross connected network of linguistically relevant concepts (“speaker ontology”) - thus enabling the modelling of, e.g., semantic and grammatical relationships in a fine-grained way - and (ii) the explication of the linguistic scholars’ conceptual network - i.e., the modelling of the domain-specific ontology of the 13. Cfr. Odijk (2016).

Lorenzi 122
PaoLa Bonucci - Franco

general linguistic description apparatus (“discipline ontology”) (Schalley 2019: 16).

L’approccio ontologico consente di integrare i metadati a diversi livelli di astrazione e quindi si presta in modo evidente alle applicazioni del Web Semantico dedicate alla categorizzazione e alla classificazione di testi. Il progetto LiDo di Christian Lehmann che abbiamo descritto precedentemente mostra gli sforzi in questa direzione, proprio perché parte dall’intensa attività di catalogazione effettuata dal grande linguista (LiDo OnLit e LiDo RDF, Klimek et al. 2017, 2018). Ugualmente il progetto GOLD ha operato nella prospettiva del Web Semantico (Farrar-Langendoen 2010).

Le applicazioni del Web Semantico, come rileva ancora Schalley (2019), offrono oggi la possibilità di implementare complesse relazioni molti-a-molti e di ordinare in modo intelligente l’eterogeneità delle categorie descrittive e, quindi, delle terminologie. Un esempio significativo è rappresentato dal thesaurus della Bibliography of Linguistic Literature – Bibliographie Linguistischer Literatur (BLLDB) curata dalla Universitätbibliotek di Francoforte sul Meno (http://www.blldb-online.de/blldb/templates/template. xml?vid={AFB71845-EF34-4675-B83E-127AA0511819} &contenttype=text/html&Skript=home&lang=de). Il thesaurus implementa una rete di concetti/termini che categorizzano oltre cinquecentomila documenti presenti nella biblioteca; i termini designano i diversi livelli della descrizione linguistica, gli ambiti disciplinari e le diverse famiglie linguistiche. Inserendo il termine, l’utente può ottenere i documenti non soltanto legati alla presenza di una parola-chiave specifica nel documento citato, ma alla categoria con cui il esso è stato catalogato.

Questa possibilità si collega alle esperienze di annotazione condotte in linguistica computazionale per l’elaborazione di dizionari per il Natural Language Processing. Nei programmi di NLP le parole sono collegate a sistemi di marcatori (tag) che specificano una serie di caratteristiche morfosintattiche e semantiche.

4. METALINGUAGGIO E TERMINOLOGIA DELLA LINGUISTICA - PROGETTI IN RETE 123

I  tag identificano categorie che, come abbiamo visto nell’esempio del LiDO, appartengono alla descrizione linguistica ed è quindi possibile progettare ontologie complessive, per la costruzione di un sistema computazionale intelligente. Un progetto di rilievo in quest’ambito è OLiA - Ontologies of Linguistic Annotation (https:// acoli-repo.github.io/olia/) sviluppato presso il Laboratorio di Linguistica Computazionale dell’Università Goethe di Francoforte:

Figura 17.

Chiarcos-Sukhareva (2015), curatori del progetto, indicano che OLiA raccoglie metadati provenienti da varie fonti (tra cui GOLD, la BLLDB e sistemi di annotazione di corpora testuali elettronici) per integrarli in un sistema di ontologie linguistiche:

The Ontologies of Linguistic Annotation (OLiA) have been developed to facilitate the development of applications that take benefit of a well-defined terminological backbone. […]

The OLiA ontologies cover different grammatical phenomena, including inflectional morphology, word classes, phrase and edge labels of different syntax annotations, as well as prototypes for discourse annotations (coreference, discourse relations, discourse

124
PaoLa Bonucci - Franco Lorenzi

structure and information structure). (ChiarcosSukhareva 2015: 379-380)

Veniamo adesso al punto di vista interno alla linguistica. Negli ultimi decenni gli studi hanno riformulato in termini cognitivi molte delle categorie tradizionali e, in particolare, è stata rilevante l’adozione di una prospettiva prototipica. La teoria dei prototipi è stata applicata proprio a settori che erano più legati alla tradizione descrittiva. Tra questi spicca quello delle classi lessicali, delle cosiddette parti del discorso.

Nella tradizione le parti del discorso sono in numero fisso (anche se non definito in modo concorde), ma soprattutto sono viste come insiemi di parole che hanno una funzione specifica, condivisa da tutti i membri dell’insieme, e che si inseriscono nelle strutture sintattiche in modo indipendente dalle loro caratteristiche semantiche.

La linguistica cognitiva ha lavorato su questi temi e ha dimostrato come la spiegazione prototipica si applichi non soltanto ai concetti, ma anche alle categorie grammaticali. Come scrive Taylor (1989: 174-175):

We shall see that there is a very remarkable parallelism between the structure of conceptual categories and the structure of linguistic categories. Just as there are central and marginal members of the conceptual category bird, so too a linguistic category like noun has representative and marginal members.

Ugualmente Simone (2013: 249):

a. le parole possono essere suddivise in classi, la cui lista è variabile a seconda delle lingue; […]

b. entro ciascuna classe è possibile identificare sottoclassi di diverso tipo;

4. METALINGUAGGIO E TERMINOLOGIA DELLA LINGUISTICA - PROGETTI IN RETE
125

c. tra le sottoclassi di una data classe, ce n’è una che rappresenta la classe nel modo migliore, mentre le altre stanno, per così dire, ai margini.

Siamo di fronte, dunque, a una definizione prototipica, per cui si individuano delle caratteristiche che sono pienamente possedute dai membri centrali della categoria e soltanto in misura minore dagli altri membri. Queste considerazioni portano a considerare una parte del discorso come una funzionalità attribuita a certe parole, con determinate proprietà semantiche e sintattiche. Facendo riferimento ai nomi, questa funzionalità è detta da Taylor (1989: 192) nounhood: la nounhood14 è posseduta in modo pieno dalle parole che fanno riferimento agli esseri umani, poi da quelle che fanno riferimento a “concrete three-dimensional object”, poi da parole che Simone (2013) denomina approssimatori (in italiano specie, tipo e simili) e così via fino a elementi che entrano nella categoria solo in modo occasionale.

In italiano, un esempio ci fa capire come queste differenze prototipiche si manifestino nella costruzione degli enunciati. Nei sintagmi che esprimono localizzazione “concreta” troviamo soltanto nomi che fanno riferimento a esseri umani o entità che occupano spazio:

(a) Il ragazzo va/dorme/sta da Luigi

(b) Il gatto va/dorme/sta sulla sedia

Gli approssimatori non si trovano in questa posizione:

(a) * Il ragazzo va/dorme/sta da tipo

(b) * Il gatto va/dorme/sta sulla specie

14. Nella trad.it (1999) della seconda ed. dell’opera di Taylor (1995) il termine è tradotto con nominalità

Lorenzi 126
PaoLa Bonucci - Franco

e ugualmente non si trovano gli elementi che possono essere usati come nomi soltanto in modo autonimico (i.e. considerando la loro caratteristica di essere parole, ad esempio il, per, di, da ecc.):

(a) * Il ragazzo va/dorme/sta da il

(b) * Il gatto va/dorme/sta sulla di

Questi ultimi elementi sono usati occasionalmente come nomi (sono, quindi, membri periferici della categoria) soltanto quando entra in gioco la funzionalità autonimica:

(a) Il è una parola dell’italiano, un articolo

(b) Di introduce un complemento di specificazione

In conclusione, vogliamo sottolineare due aspetti importanti della ricerca terminologica su cui lavoriamo e che sono messi in evidenza dal progetto DLM. Il primo aspetto è quello della dimensione diacronica e sociale della terminologia. Come ha scritto E.F.K. Koerner (1995:43):

The discussion of ‘metalanguage’ or technical vocabulary cannot, and should not, be ever divorced from what these concepts and terms really mean within their cognitive framework and its historical and epistemological setting.

La costruzione di una terminologia (e, a maggiore ragione, di un’ontologia) non può prescindere da una raccolta delle conoscenze che si collegano a un termine in modo differenziato; il terminologo si trova a ricostruire una coerenza a partire da una molteplicità di coerenze testimoniate dalle opere tecniche e scientifiche.

4. METALINGUAGGIO E TERMINOLOGIA DELLA LINGUISTICA - PROGETTI IN RETE 127

In secondo luogo, è una constatazione comune che molti termini (se non tutti) racchiudano e sintetizzino un ragionamento15. Prendiamo un passo relativo alla Binding Theory chomskyana:

(2)

Let us therefore distinguish the two notions “A-binding” and “Ā binding”, the former holding when the binder is in an A-position and thus has an A-GF and the latter when it is in an Ā-position with an Ā-GF; the former notion is what I have been calling “antecedent binding” and the latter, “operator binding”.

I will use the terms of binding theory (“bound,” “free,” etc.) for both types of binding adding the specification “A-“ or “Ā-“ when the context does not suffice to indicate which kind of binding is under discussion. The theory of binding is a theory of A-binding (Chomsky 1981: 184).

Le definizioni di “A-binding”, “Ā binding” and Theory of binding giungono al termine di un ragionamento che, a sua volta, coinvolge altri ragionamenti sui fenomeni linguistici e la loro interpretazione all’interno di un preciso quadro teorico. Di fronte a questi casi, il terminologo si rende conto che sono sicuramente utili approcci complessi, come quello recente, ad esempio, della Frame Semantics (Faber 2012, 2015). Adottando questa metodologia, il terminologo ricostruisce il quadro concettuale in cui il termine è usato, mettendo in gioco gli elementi che partecipano alla definizione. Un esempio recente in questo senso è il progetto LingTermNet ( https://gsw.phil.hhu.de/diskurslinguistik/index.php?title=LingTermNet)16 e ciò mostra nuove interessanti prospettive per la terminologia, naturalmente non soltanto della linguistica.

15. Su questo argomento cfr. Lorenzi (2014).

16. Cfr. Ziem (2014) e la bibliografia citata nel sito.

PaoLa Bonucci - Franco Lorenzi 128

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5. Terminologia e disturbi del linguaggio

1. Lo studio scientifico sistematico dei disturbi linguistici ha inizio nell’Ottocento e le scienze linguistiche e mediche attuali ne riconoscono il contributo fondamentale attraverso l’uso corrente di termini quali area di Broca e area di Wernicke per le localizzazioni cerebrali e afasia di Broca e afasia di Wernicke per la descrizione dei disturbi stessi. A partire dall’Ottocento le ricerche hanno generato un’ampissima terminologia plurilingue che costituisce un patrimonio scientifico e insieme culturale e sociale. Proprio per questo motivo, essa mostra aspetti estremamente interessanti che motivano il progetto che presentiamo in questo articolo. Presso l’Università degli Studi di Perugia è in corso la costituzione di una base di dati che raccolga informazioni sui diversi ambiti d’uso della terminologia relativa ai disturbi linguistici, ai vari livelli e in prospettiva plurilingue, in particolare in tre lingue romanze (italiano, francese e spagnolo). Il nostro scopo è quello di contribuire alla

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strutturazione del vocabolario del dominio, mettendo a confronto i dati raccolti nei diversi ambiti che di tale dominio si occupano.1

2. I disturbi interessano tutte le capacità o abilità dell’uso linguistico: la produzione e la comprensione orale, da un lato, e la scrittura e la lettura, dall’altro. In più, la presenza di disturbi non è documentata soltanto in situazioni patologiche, ma anche e costantemente in situazione di normalità. Come rileva Stemberger (1993: 53):

In the speech of any speaker of any language, regardless of health or age, errors occur at some (generally low) frequency. Such errors (or ‘slips of the tongue’) are frequently used as a tool to examine the organization of language in the speaker’s cognitive system […]. In language pathology, the errors are used as a diagnostic tool to determine what is wrong and what type of treatment should be used.

Programmaticamente, nel volume in cui è inserito l’articolo citato (Blanken et al. 1993) gli studi sui disturbi e le patologie linguistici sono preceduti da studi sull’uso linguistico normale e, appunto, sui disturbi che si manifestano in esso, a partire dai lapsus legati al nome e all’opera di Sigmund Freud. La linguistica contemporanea, a partire dalla celebre opera di R. Jakobson sul farsi e disfarsi del linguaggio (1941/1971), ha legato l’analisi della normalità e della patologia linguistica nell’acquisizione e nella perdita e, con V. Fromkin, nell’uso corrente (1971, 1973).

1. Una prima presentazione del progetto si è svolta al congresso Terminologjia në fushat humanitare dhe pasqyrimi i saj në fjalorë (terminologjikë, shpjegues dhe dygjuhësorë - Terminology in the humanitarian fields and its review in the dictionary (terminological, explanatory and bilingual) organizzato presso l’Università di Tirana l’11 maggio del 2023. La relazione The terminology of language disorders between linguistics, speech therapy and didactics (Lorenzi - Bonucci - Peppoloni 2023) sarà pubblicata negli Atti del convegno.

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L’analisi dei disturbi richiede un preciso lavoro di categorizzazione: «it is necessary to have a detailed classification system for errors, which includes knowledge of the factors that underlie the occurrence of errors» (Stemberger 1993: 53) che possa essere utile sia sul versante normale che su quello patologico. L’A. presenta un sistema di classificazione per gli errori «which may be used for normal or disordered adults or children» (p. 63) e il tentativo è comune nelle ricerche linguistiche e psicolinguistiche contemporanee2, insieme a quello di avere un sistema di classificazione che sia valido indipendentemente dalla teoria particolare a cui il ricercatore fa riferimento.

L’ipotesi condivisa è che la differenza tra errori e disturbi linguistici normali e patologici sia una differenza di quantità e non di qualità. I fenomeni che si riscontrano nell’uso quotidiano dei parlanti non affetti da patologie sono poco frequenti e transitori; al contrario, nelle patologie i fenomeni diventano frequenti e sistematici, configurando quindi quadri clinici e sindromi da curare.

Il passaggio dalla normalità alla patologia ha evidenti implicazioni sociali, che interessano proprio chi si occupa di terminologia. Prendendo la situazione italiana, “La legge 8 ottobre 2020, n. 170 riconosce la dislessia, la disgrafia e la discalculia come disturbi specifici di apprendimento, denominati “DSA”. Il diritto allo studio degli alunni con DSA è garantito mediante molteplici iniziative promosse dal MIUR e attraverso la realizzazione di percorsi individualizzati nell’ambito scolastico” (https://www.miur.gov.it/dsa; v. Daloiso 2015).

Occorre, quindi, raccogliere la terminologia utilizzata nello studio dei disturbi linguistici che appaiono nell’uso linguistico normale e quella presente nelle opere dedicate alle patologie, passando poi alla formazione tecnica e, infine, ai termini che si trovano nei testi normativi. Le categorie descrittive ed interpretative

2. Cfr. Garrett (1975), Levelt (1989) e per una sintesi Castelli (2005).

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dei disturbi linguistici e la relativa terminologia servono, infatti, prima di tutto a individuare e precisare il campo di fenomeni linguistici da indagare, analizzando il rapporto tra uso linguistico normale e uso deviante. Su questa base si costruiscono strumenti diagnostici e clinici che consentano di intervenire con successo nelle situazioni di uso deviante. Ugualmente nella pratica scolastica e formativa occorre verificare il rapporto tra uso linguistico normale e uso deviante, in modo da discriminare le diverse condizioni e intervenire quando sia effettivamente necessario.

In questo senso, i testi che devono essere presi in considerazione sono i seguenti:

a) testi tecnici dedicati agli errori linguistici nel linguaggio normale (in particolare, linguistica e psicolinguistica);

b) testi tecnici dedicati alle patologie linguistiche (in particolare, neurolinguistica, neuropsicologia, neuroscienze, logopedia e scienze mediche);

c) testi tecnici dedicati alla formazione, in particolare di logopedisti e insegnanti;

d) testi normativi (leggi, decreti, circolari e così via).

A questo elenco devono essere aggiunti i testi divulgativi, che hanno oggi una grande importanza proprio perché rivolti a un pubblico che non ha competenze specifiche, ma si trova nella necessità di avere informazioni scientificamente adeguate in caso di necessità. La terminologia dei disturbi, infatti, è progressivamente entrata nelle istituzioni scolastiche e formative e, da qui, nel linguaggio comune. Nel Vocabolario di Base dell’italiano on-line (https://dizionario.internazionale.it/)3 il lemma disturbo è di alto

3. Per il VdB cfr. De Mauro-Moroni (1996), De Mauro (2003, 2016). La situazione è simile nelle altre lingue europee, proprio per la natura plurilingue delle ricerche e degli interventi sui disturbi linguistici.

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uso (cioè di alta frequenza) e linguaggio è fondamentale (cioè di altissima frequenza, quindi noto praticamente a tutta la comunità dei parlanti). Nelle voci dei due lemmi troviamo l’espressione polirematica disturbo del linguaggio che contiene nella glossa l’indicazione “ciascuna delle patologie che toccano lo sviluppo o l’esercizio della facoltà di linguaggio, come afasie, disfasie, dislessie e sim.”. Il VdB riporta, poi, patologia come lemma di alto uso, afasia, disfasia e dislessia come termini specialistici della neurologia e disgrafia, logopedia e logopedista come termini specialistici della medicina. Inoltre, nel VdB sono presenti altri lemmi, sia come termini specialistici che come parole comuni e di alto uso, ad esempio sordità, sordo, muto, sordomuto e lingua dei segni.

Questi termini sono logonimi (Silvestri 2000, Vallini 2000), parole che parlano delle parole e di cui sono ricchi i lessici delle lingue storico-naturali. I logonimi (da lessico a testo, da nome a verbo ad esempio in italiano) manifestano la fondamentale capacità metalinguistica dei parlanti e la funzionalità metalinguistica del linguaggio4 e, in questo senso, il loro uso è centrale nella pratica scolastica e formativa (Peppoloni 2018). Ma i logonimi che fanno riferimento a disturbi hanno un valore particolare, molto spesso più emotivo che tecnico per il parlante non esperto, e quindi il loro uso deve essere attentamente considerato e valutato quando si affrontano queste problematiche.

L’analisi del dominio terminologico dei disturbi linguistici conferma la dimensione verticale della comunicazione (Cortelazzo 1994, Castelli 2012, Lorenzi 2020), secondo cui in una comunità si forma una sorta di piramide, insieme sociale e linguistica in cui al vertice abbiamo gli specialisti, i tecnici, che comunicano tra di loro scambiando messaggi ricchi di termini tecnici complessi che escludono dalla comprensione coloro che non sono addetti ai lavori. Al livello intermedio si situano coloro che sono inseriti in un processo

4. Cfr. l’articolo Lessicologia, lessicografia e terminologia di F. Lorenzi (in questo volume).

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di formazione e che si avvicinano al linguaggio tecnico. Per motivi scolastici o per lavoro, essi sono impegnati nel tempo ad acquisire conoscenze specialistiche che non avevano prima. Infine, alla base di questa piramide ideale abbiamo i parlanti comuni, che non si accostano al linguaggio tecnico per motivi particolari, ma trovano nella comunicazione generale messaggi contenenti informazioni specialistiche. A questo livello si situa la cosiddetta divulgazione che, nelle sue diverse modalità, si rivolge a coloro che non sono specialisti o apprendenti motivati.

3. La terminologia dei disturbi linguistici utilizza una pluralità di strumenti linguistico-cognitivi come la nominalizzazione (Castelli 2014), che secondo Halliday (2005) è una complessa metafora grammaticale spia di un livello elevato della competenza linguistica, la metafora (Bonucci 2014) e le trasformazioni testuali (Castelli - Bonucci 2018, Peppoloni 2019). Questi strumenti servono a descrivere, classificare e contemporaneamente spiegare i fenomeni, ma anche a guidare l’intervento medico e formativo. Per questo motivo la terminologia presenta un’innegabile complessità, aumentata da alcuni motivi specifici.

Prima di tutto, è necessario considerare la dimensione storica. Ripercorrendo i rapporti secolari tra patologia e lingua, F. Dovetto (2017: 9) rileva che:

in sostanza l’interrelazione tra studio del linguaggio e medicina non è stata sistematicamente praticata e neanche richiesta, e ancor meno lo è oggi, piuttosto è lasciata all’intuizione e alla volontà dei singoli, per fortuna non di rado estremamente positiva e proficua.

Le ricerche di F. Dovetto e F. Scarpa5 documentano per l’italiano (e non solo) lo sviluppo storico del rapporto tra studi linguistici e

5. Cfr. Scarpa (2016, 2017, 2023) e la collana dedicata a Lingua Medicina Malattia (Mimesis, Milano).

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studi medici e, in questo quadro, la terminologia relativa ai disturbi del linguaggio mostra una complessa stratificazione diacronica. La situazione è simile per le altre lingue europee in cui, a partire dagli studi pioneristici di neurolinguistica ottocenteschi in francese e tedesco, si è formata una ricca terminologia nelle lingue dei ricercatori. Nei Paesi europei e nelle lingue europee gli studi si sono ampliati soprattutto in inglese, italiano, russo e spagnolo.

In tempi recenti, l’attività dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha portato alla formazione di una terminologia tecnica maggiormente condivisa, che oggi forma un paradigma di riferimento medico e clinico. Contemporaneamente è cresciuta l’importanza delle ricerche in lingua inglese, con la formazione anche in questo caso di standard di riferimento. Inoltre, la terminologia dei disturbi linguistici ha subito una formalizzazione legata alle esigenze cliniche e legali e, contemporaneamente, una formulazione divulgativa, per le esigenze di formazione e comunicazione pubblica.

Ad oggi, il riferimento internazionale è l’attività di classificazione dell’OMS (https://www.who.int/). L’Assemblea Mondiale della Sanità (World Health Assembly) ha adottato e sviluppato il sistema ICD International Classification Deseases; la revisione ICD 10 è stata adottata nel 1990 e applicata dal 1993, mentre la revisione 11 è stata adottata nel 2019 e applicata dal 2022. Nel sito dell’OMS (https://icd.who.int/en) le classificazioni sono disponibili in arabo, cinese, inglese, francese, spagnolo e russo. Le traduzioni in altre lingue sono realizzate in collaborazione con l’OMS da enti pubblici nazionali e per l’italiano si può consultare il Portale italiano delle classificazioni sanitarie (https://www.reteclassificazioni.it/portal_main.php?&portal_view=home). La traduzione di ICD 10 con l’aggiornamento del 2019 è disponibile in Frattura et al. (2022).

L’altro riferimento d’obbligo è la classificazione dell’American Psychiatric Association (https://www.psychiatry.org/), il

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DSM - Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders

(https://www.psychiatry.org/psychiatrists/practice/dsm), giunto alla versione 5 nel 2013 e 5-TR nel 2022. In italiano la traduzione ufficiale Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali DSM-5 è stata curata da M. Biondi e pubblicata dall’ed. Raffaello Cortina (2014); la traduzione DSM-5-TR è stata curata da G. Nicolò e E. Pompili, sempre pubblicata dall’ed. Raffaello Cortina (2023). Traduzioni analoghe sono disponibili per altre lingue europee, tra cui francese e spagnolo.

4. Da queste brevissime considerazioni emerge chiaramente il fatto che nella terminologia dei disturbi del linguaggio si intrecciano in modo indissolubile aspetti linguistici, neurologici, clinici, logopedici e legali, in una dimensione interlinguistica e storica che non può essere trascurata. Una prima considerazione (comune tra gli addetti ai lavori, ma non solo) è quella che le terminologie relative ai disturbi del linguaggio non coincidono tra le due fonti di riferimento citate. Nell’ICD 10 (Frattura et al. 2022) abbiamo i Disturbi specifici dello sviluppo dell’eloquio e del linguaggio (F80) tra i Disturbi mentali e comportamentali, con l’indicazione di ulteriori sotto-categorie: Disturbo del linguaggio espressivo, Disturbo della comprensione del linguaggio Afasia acquisita con epilessia [Landau-Kleffner] Altri disturbi specifici dello sviluppo dell’eloquio e del linguaggio. All’interno di ogni categoria sono presenti ulteriori disturbi tra cui, afasia, disfasia, dislalìa ecc.. Tra i Sintomi, segni e reperti clinici, laboratoristici e strumentali anormali, non classificati altrove abbiamo poi Sintomi e segni che interessano il linguaggio e la voce tra cui R47 Disturbi dell’eloquio, non classificati altrove (tra cui disartria e anartria), R48 Dislessia e altri disturbi della funzione simbolica, non classificati altrove (tra cui dislessia, alessia, agnosia e aprassia) e R49 Disturbi della voce (tra cui disfonia e afonia). Infine, tra i Sintomi, segni e reperti clinici, laboratoristici e strumentali anormali, non classificati altrove troviamo Disturbi dell’eloquio, non classificati altrove (ad esempio balbuzie [tartagliamento] (F98.5)).

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Nel DSM (2014) abbiamo come categoria generale i Disturbi della comunicazione e all’interno Disturbo del linguaggio, Disturbo fonetico-fonologico, Disturbo della fluenza con esordio nell’infanzia (balbuzie), Disturbo della comunicazione sociale (pragmatica) e Disturbo della comunicazione senza specificazione. All’interno di queste categorie troviamo citati disturbi specifici, con differenze significative rispetto all’ICD, ad esempio nel caso di disfasia su cui torneremo più avanti.

Questa situazione ha portato molti ricercatori, medici e terapisti a parlare di caos nella terminologia relativa ai disturbi. Ad esempio, in un recente articolo pubblicato nella rivista Pediatria-Integral curata dalla Sociedad Española de Pediatría Extrahospitalaria y Atención Primaria, Artigas Pallaès - Paila Pérez - Ventura Mallofré (2022: 12) affermano che ricercatori e operatori sanitari devono “Ser consciente del caos que existe en la terminología y clasificaciones de los trastornos del lenguaje”.

Bréault et al. (2019) sottolineano il fatto che la diversità delle figure professionali che si occupano del linguaggio e dei disturbi genera una diversità nelle terminologie, dovuta appunto ai diversi punti di vista. Ma ciò si rivela spesso uno svantaggio per la comunità scientifica e medica e, soprattutto, per i soggetti bisognosi di cure. Tutti gli autori sottolineano il fatto che il problema terminologico (cioè la mancata corrispondenza di un riferimento univoco alle entità di cui si parla) genera problemi diagnostici e clinici, proprio perché il termine ha un valore insieme scientifico, clinico e nosografico e la sua condivisione porta a precise conseguenze sociali.

Bishop (2014: 393-394), al termine di una dettagliata ricerca sulla terminologia legata ai disturbi del linguaggio in età infantile, ha rilevato la differenza e la dispersione della terminologia stessa concludendo che:

Labels can have negative consequences, but the consequences of avoiding labels can be worse. Without

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agreed criteria for identifying children in need of additional help, and without agreed labels for talking about them, we cannot improve our understanding of why some children fail or evaluate the efficacy of attempts to help them. […]

The current situation, with myriad different definitions and labels, is unsustainable. Having an unconstrained set of descriptive terms is just as bad as having no labels at all. It hinders communication, prevents cumulative research, and introduces ambiguity into decisions about who merits intervention - ambiguity that can easily be exploited when it is politically expedient to do so.

Questo aspetto è stato ed è tuttora al centro della discussione su termini-chiave come disfasia (in italiano e spagnolo), disphasie (in francese) e dysphasia (in inglese), in rapporto agli altri termini del dominio e al valore interlinguistico. Pierart (2004: 6) illustra in modo sintetico la definizione del termine in francese e contemporaneamente la diversità delle terminologie esistenti proprio in relazione all’entità a cui si intende fare riferimento:

Les dysphasies sont des troubles graves et persistants du développement du langage chez l’enfant qui ne s’inscrivent dans aucun syndrome clairement identifié à ce jour. Les classifications internationales des troubles mentaux, tel le DSM-IV (APA, 1995), définissent comme dysphasies de l’enfant les troubles spécifiques du développement du langage, en l’absence d’un déficit intellectuel, d’un déficit auditif, d’une malformation des organes phonateurs, d’une lésion cérébrale acquise, de troubles psychopathologiques graves de type psychotique, ou d’une carence affective ou éducative grave. Cette pathologie langagière sans caractère lésionnel apparaît et s’accentue au cours du développement de l’enfant. […]

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La définition de la dysphasie comme une seule entité clinique pose problème : quel critère adopter sinon celui d’un retard dans l’apparition du langage, éventuellement assorti d’un développement très lent de celui-ci ?

Nombre d’auteurs ont d’ailleurs souligné la variété, en degré et en nature, des troubles réunis sous l’étiquette de troubles spécifiques du développement du langage. La diversité des termes utilisés pour décrire ces enfants reflète bien ces interrogations nosographiques et étiologiques : audimutité (Ajuriaguerra et al., 1958), puis dysphasie (Ajuriaguerra et al., 1963), aphasie de développement (Benton, 1964 ; Eisenson, 1972), persistance d’un langage infantile (Menyuck, 1964), langage déviant (Leonard, 1972), retard simple de langage (Launay & Borel-Maisonny, 1972) et, plus récemment, troubles du langage (Bishop & Leonard, 2001) et Specific language impairment (abrégé SLI) terme qui tend à s’imposer dans la littérature anglo-saxonne (Leonard, 1979 ; 1987 ; Leonard, 1991 ; Bishop, 1992).

Nello stesso articolo, che introduce un numero della rivista Enfance dedicato proprio al problema terminologico e clinico della disphasie, Pierat (2004: 10) ricorda questa doppia valenza della classificazione, che sintetizza un’analisi scientifica e contemporaneamente indica una prassi operativa:

Les essais de classification linguistique se sont donnés pour objectif de regrouper les symptômes les plus importants, qui sont les plus fréquemment associés. Symétriquement, l’échantillon des enfants regroupés sous l’étiquette dysphasie a explosé en sous-groupes.

Il criterio scientifico è legato alla determinazione dei sintomi e da questo consegue la verifica clinica sui soggetti. Un diverso criterio scientifico-terminologico porta a conseguenze diverse nella prassi

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clinica e ciò è quanto Pierart (2004: 7) rileva a proposito della differenza tra il mondo francofono e quello anglofono:

L’accès aux enfants dysphasiques en France, en Belgique et en Suisse francophone, la définition de leurs profils langagiers, communicatifs et comportementaux sont déterminés par ce cadre de référence médical qui conditionne aussi le type de recherche francophone […]. Sur le plan clinique, suivre strictement la définition classique des dysphasies conduit à attendre 6 ans et empêche tout travail précoce. Les formes immatures du développement du langage forment, par contre, l’essentiel des préoccupations du courant psychologique ou éducationnel développé aux États-Unis depuis une petite vingtaine d’années […]

Ces différences conceptuelles et organisationnelles entre les mondes anglophones et francophones se reflètent dans les publications relatives aux troubles spécifiques du développement du langage. Il est hautement probable que la définition de l’inclusion dans les études diffère de ce fait : ce ne sont pas tout à fait les mêmes enfants dont on parle (corsivo ns.).

L’affermazione finale, che abbiamo enfatizzato, manifesta la preoccupazione dei ricercatori così come quella dei terapisti e di tutti coloro che operano sui disturbi del linguaggio.6

6. Maillart (2022 : 8) spiega in breve le motivazioni dell’uso di dysphasie, mostrando l’importanza delle diverse condizioni che portano all’uso del termine: “La spécificité d’une approche francophone a longuement été renforcée par l’utilisation d’une appellation distincte, « dysphasie », peu utilisée à l’international où des termes plus génériques tels que « Specific language impairment » ou « expressive language disorder/ mixed receptive expressive language disorder », pour n’en citer que quelques-uns, étaient préférés. Comme l’expliquait Piérart en 2004, ce choix était en partie dû à des décisions entérinées par la sécurité sociale ou des structures de soins francophones. Malheureusement, le fait de conditionner des

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Proprio per questi motivi la comunità scientifica internazionale è impegnata da tempo nel tentativo di mettere a punto una terminologia condivisa, che abbia un duplice valore: da un lato, consentire l’accordo nell’uso specialistico in una lingua specifica; d’altro lato, aumentare la validità interlinguistica delle comparazioni e delle traduzioni. Un progetto di grande rilievo è rappresentato da CATALISE, lanciato nel 2014 dopo l’esclusione del termine SLI Specific Language Impairment dal DSM 5, ma non dall’ICD 10 e 11 (Ebbels 2014). Il progetto è stato condotto da Bishop et al. (2016, 2017) utilizzando il metodo Delphi (Niederberg - Renn 2023).

Cuhls (2023) traccia una sintetica e documentata storia del metodo Delphi, che trae il suo nome dal celebre oracolo di Apollo. Il metodo è stato sistematicamente utilizzato a partire dagli anni Cinquanta del secolo scorso nelle situazioni in cui gli esperti di un settore si trovano nell’incertezza, in cui, riguardo a fenomeni e concetti, “uncertain or incomplete knowledge exists” (Cuhls 2023: 6). Un gruppo di esperti è invitato a esprimersi attraverso questionari, in forma scritta, ma anche orale, e a dare il proprio parere tecnico. Il metodo Delphi è quindi “a judgment process under uncertainty”. La raccolta dei pareri avviene solitamente in due fasi, in modo da elaborare una prima volta i giudizi e passare poi alla fase finale, da cui possa emergere un consenso comune.7

Il metodo Delphi e metodologie analoghe rappresentano uno strumento importante per la definizione della terminologia di critères diagnostiques à des éléments administratifs souvent propres à chaque pays, et non à un consensus scientifique international, a contribué à augmenter la confusion en adoptant des critères différents rendant les comparaisons très complexes”.

7. In questo senso si è sviluppato anche il sistema della Consensus Conference di cui ricordiamo la Consensus Conference (22-23 settembre 2006), per cui v. Disturbi Evolutivi Specifici dell’Apprendimento - Raccomandazioni per la pratica clinica definite con il metodo della Consensus Conference (2007).

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domini in cui esistano problematiche aperte e differenze di opinioni tra gli esperti. In particolare, nel progetto CATALISE sono stati coinvolti 57 esperti di diversi Paesi di lingua inglese per giungere, in due fasi, a un consenso terminologico. Il consenso si è manifestato nell’indicazione di abbandonare il controverso termine SLI (Specific Language Impairment) per adottare il termine DLD (Developmental Language Desorder). In sintesi, il termine SLI “seemed not to reflect clinical realities and excluded many children from services” (Bishop et al. 2017: 1068), mentre il nuovo termine consente di definire in modo più articolato le evidenze dei casi concreti e di rendere più agevole l’accesso alle cure per i pazienti interessati.

In ambito francofono il termine è stato in parte accettato nella traduzione Trouble Developpemental du Langage (Maillart 2022), e assistiamo a una sorta di convivenza che è tipica delle terminologie tecniche (come, del resto, del lessico generale). Bréault et al. (2019) rilevano che TDL è “parfois appelé «disphasie» ou «trouble primaire du langage»” e che in ambito canadese i logopedisti (orthophonistes) preferiscono utilizzare il termine trouble primaire du langage oral rispetto ai neuropsicologi che mantengono dysphasie (Lusser et al. 2018).8

5. Il quadro che abbiamo delineato in estrema sintesi motiva il nostro lavoro. Esso parte da questa esigenza, fortemente sentita, di confronto tra modelli e livelli di terminologie diversi.

8. Per lo spagnolo ricordiamo l’annotazione di Fresneda - Mendoza (2005: S51) a proposito del termine trastorno específico del lenguaje (in sigla TEL), oggi ampiamente usato in ambito isponofono, che ha tradotto l’inglese Specific Language Impairment: “El término ‘TEL’ no es ni nuevo ni novedoso, yaque surge unido a otros o ha sido tratado como una derivación de los trastornos afásicos en adultos; progresivamente ha ido desplazando al otro más clásico de disfasia, que ha sido el más extendido hasta hace algunos años en la cultura europea. El término ‘disfasia’,a su vez, sustituía otros, como alalia, audiomudez, sordera verbal congénita, afasia evolutiva, etc.”.

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In primo luogo, il progetto terminologico su cui lavoriamo ha una prospettiva multilingue e prende in considerazione tre lingue romanze: italiano, francese e spagnolo9. Oltre che da un ovvio motivo di delimitazione del campo d’indagine, questa scelta è motivata da un interesse specifico per l’intercomprensione, in questo caso, tra le lingue romanze. L’intercomprensione rappresenta un importante campo di studi che ha una notevole valenza didattica per l’insegnamento, ma anche un grande valore nella formazione della terminologia tecnica, in particolare per gli usi professionali collegati alle scienze del linguaggio (Peppoloni 2018).

In sintesi, nel nostro lavoro operiamo in modo separato su ogni singola lingua, scegliendo i termini in modo indipendente, senza essere influenzati da esigenze di carattere traduttivo. Questo criterio, peraltro comune nella pratica terminologica, intende evitare forzature interpretative e recuperare le corrispondenze interlinguistiche nel modo più trasparente.

Con una innovazione rispetto alla pratica terminologica corrente10 abbiamo scelto di diversificare le fonti su cui condurre il nostro lavoro. Ci siamo basati sulla distinzione a cui abbiamo accennato precedentemente e, in fase iniziale, abbiamo deciso di suddividere le fonti in quattro gruppi11:

a) testi tecnici di ricerca, in particolare manuali e rassegne scientifiche, nell’ambito delle scienze del linguaggio e

9. In questo senso, la nostra ricerca è diversa da opere monolingui come Nicolosi et al. (2004).

10. Cfr. Cabré (1999), Magris et al. (2002), Zanola (2018), Riediger (2023) e l’articolo Il lavoro terminologico (in questo volume) di F. Lorenzi.

11. Nella relazione presentata al convegno di Tirana (Lorenzi-Bonucci-Peppoloni 2023, v. nota 1.), sono indicati i primi tre gruppi di testi; successivamente si è deciso di aggiungere il quarto gruppo, relativo ai testi normativi, per completare il quadro della ricerca, in particolare per l’importanza che assumono i testi normativi nella pratica scolastica e formativa.

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delle scienze mediche (linguistica e linguistica clinica, psicolinguistica e neurolinguistica, audiologia, foniatria e otorinolaringoiatria);

b) testi clinici e formativi, in particolare manuali, nell’ambito della logopedia e delle professioni sanitarie;

c) testi destinati all’informazione e alla divulgazione qualificata, rivolti a educatori e operatori scolastici dei diversi gradi di istruzione, ma anche a persone interessate ai disturbi del linguaggio;

d) testi normativi, come leggi, decreti, circolari, raccomandazioni ufficiali e così via, rivolti ai vari settori professionali che si occupano dei disturbi.

Le nostre schede terminologiche si basano su questa tipologia quadripartita delle fonti; nelle schede le fonti sono contrassegnate dalle sigle A, B, C e D e questa informazione è legata ai relativi contesti citati. Nella fase attuale e iniziale del progetto, le schede contengono citazioni delle prime tre fonti; ad esse saranno affiancate le fonti normative, in modo da completare il quadro della terminologia di dominio. Nelle schede e nella base di dati saranno, quindi, presenti anche fonti con la sigla D.

Le fonti possono essere in formato testuale o multimediale, dando la possibilità di collegare testi, immagini e suoni per comprendere adeguatamente il rapporto tra termini e concetti.

Una volta raccolto il materiale, estraiamo i termini con i loro contesti d’uso. I contesti d’uso testuali permettono di comprendere in modo approfondito il rapporto tra termini e concetti e, per questo motivo, nelle nostre schede scegliamo contesti a carattere definitorio. È interessante notare il fatto che i contesti definitori dei termini relativi ai disturbi del linguaggio sono ampi, spesso con un carattere operativo, poiché enumerano una lunga serie di

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DIANA PEPPOLONI - PAOLA BONUCCI - FRANCO LORENZI

condizioni che consentano l’uso del termine stesso come termine clinico e diagnostico.

La scelta dei termini è condotta con un criterio di non-esclusività, per cui ricerchiamo termini che sono utilizzati in ogni tipo di testi, senza escludere elementi che sono presenti in un ambito piuttosto che in un altro. Tutto ciò fornisce un valore aggiunto alla nostra ricerca, proprio perché può rivelare omogeneità e divergenze tra i diversi livelli della comunicazione, da quella specialistica a quella divulgativa. Per ogni termine, nella scheda sarà presentata l’entrata lessicale pertinente, con le informazioni di carattere fonetico-fonologico, morfologico e sintattico.

L’arco temporale dei testi presi in considerazione parte dall’ultimo decennio del secolo scorso per arrivare ai giorni nostri, in modo da avere come termini di riferimento ICD 10, 11 e DSM IV, 5 e 5 TR. Nel campo Lexica delle schede segnaliamo la presenza del termine nei sistemi ICD e DSM e, anche, nel grande repertorio terminologico della Comunità Europea IATE (Interactive Terminology for Europe - https://iate.europa.eu/home).

Per quanto riguarda la definizione del termine, il campo relativo nelle schede sarà elaborato dai partecipanti al progetto, enumerando gli elementi comuni e differenziali presenti nei contesti definitori individuati nelle fonti.

La scheda è completata da indicazioni di esperti (che consideriamo un’importante fonte di controllo, come abbiamo visto in precedenza) e da eventuali documentazioni iconiche, sempre rispettando il criterio della partizione delle fonti.

Gli ultimi campi sono i più complessi: riportano il tipo di relazione tra i termini e le corrispondenze tra le lingue del progetto. Il completamento di questi campi rappresenta l’obiettivo del nostro

5. TERMINOLOGIA E DISTURBI DEL LINGUAGGIO 151

progetto e richiederà un attento lavoro d’analisi. Il modello finale di scheda è riportato nella pagina seguente12:

Dominio

Sottodominio

Data

Autore/i

Termine

Categoria morfosintattica

Lexica presente/assente in ICD, DSM e IATE

Definizione originale

Contesto 1

Fonte Sigla (A) / (B) / (C) / (D)

Contesto 2

Fonte Sigla (A) / (B) / (C) / (D)

Conteston

Fonte Sigla (A) / (B) / (C) / (D)

Indicazioni di esperti Sigla (A) / (B) / (C) / (D)

Documentazione iconica

Fonte Sigla (A) / (B) / (C) / (D)

Termini correlati e tipo di relazione

Corrispondenza italiano/ francese / spagnolo

Note

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DIANA PEPPOLONI - PAOLA BONUCCI - FRANCO LORENZI Figura 1. Modello della scheda terminologica 12. Sulla struttura della scheda terminologica vedi l’articolo Il lavoro terminologico di F. Lorenzi (in questo volume).

6. Presentiamo qui un esempio ridotto di schede terminologiche dedicate al termine italiano disfasia e a quello francese dysphasie. Per il termine italiano presentiamo le citazioni dalle seguenti fonti:

Fonte (A): Sabbadini, L. - Caselli, (1998), ‘Indicazioni per la diagnosi, la valutazione e l’intervento riabilitativo dei bambini con Disturbo Specifico del Linguaggio’, Psicologia clinica dello sviluppo 3, pp. 477-494.

Sigla di citazione: Sabbadini - Caselli 1998 (A)

Fonte (B): Plaja, M. - Gurnari, A. (2012), Padova, Libreriauniversitaria.it.

Sigla di citazione: Plaja - Gurnari 2012 (B)

Fonte (C): Centro Medico Santagostino - Disfasia

https://www.santagostino.it/it/santagostinopedia/disfasia

Sigla di citazione: CMS 2023 (C)

Termine Disfasia

Categoria morfosintattica N

Lexica Presente in IATE, ICD 10 ; assente in DSM 5

Definizione

Contesto 1 La diagnosi e la valutazione di quei bambini che oggi definiamo con Disturbo Specifico del Linguaggio (DSL) ha avuto per molti anni come punto di riferimento le afasie degli adulti. Questi soggetti sono stati descritti soprattutto da neurologi e spesso definiti in termini di presunte «lesioni cerebrali» ovvero di «disfunzioni» cerebrali.

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Dalla metà del 1900 si assiste ad un cambiamento di prospettiva: si inizia a sottolineare la contraddizione del termine «afasia infantile di sviluppo» (fino ad allora spesso usata) e si introduce il termine «disfasia di sviluppo» o «disfasia evolutiva». […] Nonostante ancora oggi i termini di disfasia di sviluppo o disfasia evolutiva siano molto usati in Europa, nei paesi anglosassoni sono stati ormai da tempo sostituiti con i termini DLD-Developmental Language Disorders- e SLI-Specific Language Impairment. I criteri clinici per definire e classificare tale sindrome sono comunque a tutt’oggi criteri per esclusione così come viene ribadito sia dal DSM3 (1981) che dall’ICD 10 (1992).

Leonard e altri ricercatori e clinici anglo-americani, hanno definito Specific Language Impairment (SLI) il disturbo di quei bambini che «pur non mostrando un comportamento linguistico troppo bizzarro, presentano un linguaggio che non è né uguale a quello di bambini normali, né vistosamente diverso e tuttavia neanche semplicemente in ritardo rispetto alla norma. Infatti, nel loro profilo linguistico essi tendono a dimostrare un moderato deficit in un largo spettro di caratteristiche linguistiche ed un più marcato deficit che si applica selettivamente a determinate aree». Condividendo questa definizione, useremo il termine di Disturbo Specifico del Linguaggio (DSL) per riferirci al problema di linguaggio mostrato da bambini di lingua italiana.

Fonte Sabbadini - CaSelli 1998 (A)

Contesto 2 Rientra in questo gruppo [DSL= Disturbi primitivi o specifici o dello sviluppo] la disfasia evolutiva, disturbo che compromette vari aspetti dello sviluppo del linguaggio: la comprensione, la produzione e l’uso. È questo un disturbo grave, specifico e persistente dello sviluppo del linguaggio caratterizzato da un ritardo di tutte le tappe linguistiche per cui il linguaggio rimane a livello di parole singolo fino a 3-4 anni.

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Le prime espressioni di più parole combinate compaiono intorno a 4 anni e hanno la caratteristica telegrafica, con scarso uso dei verbi, omissione di funtori, articoli, preposizioni. Frasi complesse quasi assenti e difficoltà in compiti di ripetizione. Talvolta i deficit lessicali permangono in forma di anomie (difficoltà di ritrovamento delle parole), di parafasie semantiche (sostituzione di un termine con un altro), di circonlocuzioni, di giri di parole e di parafasie fonetiche, cioè distorsioni della forma della parola per difficoltà a fissare in memoria e recuperare la fonologia corretta. Inoltre, la difficoltà del linguaggio orale crea turbe secondarie nell’apprendimento del linguaggio scritto in età scolare.

Fonte Plaja - Gurnari 2012 (B)

Contesto 3 Con il termine disfasia s’intende un disturbo neuropsichiatrico, caratterizzato dalla difficoltà a comprendere e utilizzare il linguaggio correttamente e dall’incapacità di ordinare le parole secondo uno schema logico.

Il disturbo è spesso associato a un ritardo nello sviluppo del linguaggio e, nello specifico, comporta difficoltà nella:

— produzione di suoni linguistici

— formazione di frasi grammaticalmente corrette — comprensione del linguaggio parlato o scritto

È possibile distinguere tra:

— disfasia espressiva o motoria: se la persona ha difficoltà a esprimersi, ma una buona comprensione della lingua parlata

— disfasia recettiva o sensoriale: se, al contrario, la persona riesce a formulare molte parole, seppure incomprensibili, ma ha difficoltà a comprendere il linguaggio.

La disfasia è un disturbo complesso, che può presentarsi con diverso grado di severità da persona a persona. I fattori scatenanti non sono a oggi noti, anche se il disturbo sembra avere una componente genetica.

Fonte CMS 2023 (C)

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Figura 2. Scheda terminologica(parziale) per la lingua italiana

Per il termine francese presentiamo le citazioni dalle seguenti fonti:

Fonte (A): Piérart, B. (2013), ‘Compétences langagières lexicales et phonologiques des dysphasiques : délai ou différences ?’, Développements 15, pp. 4-15.

Sigla di citazione: Piérart 2013 (A)

Fonte (B): De Weck, G. - Rosat, M.C. (2003), Troubles dysphasiques. Comment raconter, relater, faire agire à l’âge préscolaire, Paris, Masson.

Sigla di citazione: De Weck - Rosat 2003 (B)

Fonte (C): Glover Bondeau, A.-S. (2018), ‘Dysphasie’, [https:// www.passeportsante.net/

[https://www.passeportsante.net/fr/Maux/Problemes/ Fiche.aspx?doc=dysphasie]

Sigla di citazione: Glover Bondeau 2023 (C)

Termine Dysphasie

Categoria morfosintattica N

Lexica Presente in IATE, ICD 10 ; assente in DSM 5

Definizione

Contesto 1 Le champ des troubles spécifiques du développement du langage n’est pas structuré de manière homologue dans les pays francophones (France, Belgique, Suisse romande et Québec) et dans les pays anglo-saxons (Piérart, 2004a). Dans les pays francophones, on distingue deux entités nosologiques :

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les dysphasies d’une part, les retards simples de langage d’autre part. Les dysphasies sont des troubles graves et persistants du développement du langage qui comportent différents sous-types (Rapin & Allen, 1986 ; Gérard & Brun, 2003). Le handicap de l’enfant dysphasique est très manifeste. La compréhension, la production, voire la répétition des structures phonologiques, lexicales, sémantiques, morphosyntaxiques et syntaxiques sont atteintes à des degrés divers, selon les sous-types de dysphasie. Le diagnostic de dysphasie repose sur deux critères : le degré de sévérité des troubles d’une part, l’âge de l’enfant d’autre part, la borne des six ans étant retenue comme le seuil diagnostique. On a postulé longtemps que le langage de l’enfant dysphasique se développait selon une logique de déficit, par des mécanismes différents du langage des enfants tout-venant. Cette assertion est actuellement remise en cause (Maillart, 2006 ; Bishop, 2006) au vu de l’évolution des enfants dysphasiques.

Fonte Piérart 2013 (A)

Contesto 2 La dysphasie est un trouble de développement du langage durable qui peut s’observer sous des formes variables d’un enfant à l’autre ou pour un même enfant d’une période à l’autre. Nous proponons maintenant de faire le point sur les critères utilisés, dans les comparaisons entre enfants avec et sans troubles du langage, pour définir les diverses formes de dysphasie. Cette définition peut alors être qualifiée par inclusion, par opposition à la définition dite par exclusion évoquée précédemment. De manière générale, que ce soit dans le cadre des études scientifiques ou dans le cadre clinique, les évaluations des capacités langagières sont relisées sur la base d’épreuves standardisées ou de tests d’une part, et d’analyses du langage dit spontané d’autre part.

Fonte de WeCk - roSat 2003 (B)

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Contesto 3

Fonte

La dysphasie ou trouble primaire du langage oral est un trouble neurodéveloppemental du langage oral. Ce trouble entraîne un déficit sévère et durable du développement de la production et/ou de la compréhension de la parole et du langage. Ce trouble qui débute dès la naissance est présent tout au long de la vie, de manière plus ou moins prononcée selon la prise en charge durant l’enfance.

Glover bondeau 2023 (C)

Figura 3. Scheda terminologica (parziale) per la lingua francese

Le schede terminologiche consentono di elaborare grafi concettuali per termini delle diverse lingue che abbiamo preso in esame. Una volta individuati i termini e i concetti pertinenti rendiamo esplicite le relazioni tra di essi e il grafo concettuale è l’insieme di nodi (rappresentati dai termini/concetti) e di relazioni che li legano. Le relazioni sono quelle classiche (sinonimia, iperonimia/iponimia, meronimia/olonimia ed eventualmente la relazione generica di Related Term) o relazioni più specifiche che sostituiscono la relazione generica (ad esempio, la relazione di causa)13.

Dalle schede e dalle citazioni dei lavori che abbiamo presentato in precedenza possiamo notare che in italiano si ha una sinonimia tra disfasia e disfasia evolutiva, sinonimia spesso implicita poiché il riferimento è sempre a disturbi dello sviluppo del linguaggio. La citazione di Sabbadini-Caselli (1998) è interessante perché indica lo sviluppo diacronico della terminologia italiana fino ad arrivare alla preferenza di Disturbi Specifici del Linguaggio al posto di disfasia evolutiva. È da notare che la preferenza è condivisa e in molti testi tecnici successivi i termini disfasia e disfasia evolutiva non compaiono. In francese dysphasie mostra una potenziale sinonimia

13. In Lorenzi-Bonucci-Peppoloni (2023) abbiamo presentato un primo esempio di grafo per alcuni termini italiani a partire da disturbi del linguaggio

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con trouble primaire du langage e un rapporto di iponimia/iperonimia con trouble developpemental du langage.

La raccolta estensiva della documentazione, in corso, confermerà o meno queste relazioni. Il nostro progetto prevede che le schede siano implementate in una base di dati elettronica, per consentire un’adeguata consultazione in Rete, e la generazione di grafi terminologici.

6. A conclusione di questo breve articolo vogliamo mettere in evidenza un aspetto delle ricerche terminologiche sui disturbi del linguaggio che riveste una notevole importanza per il lavoro che stiamo conducendo. Nell’elaborazione delle categorie descrittive del progetto CATALISE, Bishop (2017) ha considerato esplicitamente il rapporto di determinatezza legato all’uso dei termini:

However, labels influence how we think about constructs, with words dividing the world into distinct entities such as cats, dogs, desks and tables. Yet, in practice, some of these entities are not clearly demarcated: the boundary between desk and table, for instance, is not sharp. Diagnostic terms can create an insidious problem whereby the label is taken to mean that the child has a clear-cut disorder with distinctive ‘symptoms’, which can be distinguished from both typical development and other developmental disorders. In fact, there is no support for a sharp dividing line between language disorder and normality. Children develop language at different rates, and some will have problems severe enough to cause lifelong problems. But the differences between children appear to be quantitative rather than qualitative, and can take many different forms (Leonard 1991, Dollaghan 2011). Much research literature has focused on limitations of expressive syntax in children with DLD, but as our assessments become

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more fine-grained, it is evident that problems often affect understanding as well as production of complex language, and can involve phonology, semantics and pragmatics as well as grammatical structure. (Bishop 2017: 673)

Un’analisi approfondita delle evidenze empiriche porta i ricercatori a considerare in modo sfumato le categorie descrittive, proprio per cogliere la complessità dei disturbi e comprendere in modo più adeguato la sintomatologia:

It is all too easy for a label to become a master rather than a servant, if we over-interpret its significance, rather than regarding it as a useful shorthand. It is therefore important that if we use labels, we do so with full awareness of their limitations, and recognizing that our terms are socially constructed and historically specific. The term we agreed on, ‘DLD’, is defined in terms of behaviours that are complex, multifactorial and which vary on a continuum. It is an umbrella term that includes a wide range of problems, and the boundaries between DLD and typical development are fuzzy. (Bishop 2017: 673)

Il richiamo dell’autrice, largamente condiviso nella comunità scientifica, è quello a considerare i termini un fondamentale strumento di lavoro, ma non una sorta di gabbia in cui rinchiudere il ragionamento scientifico, considerando quindi la terminologia proprio nella prospettiva dello sviluppo delle conoscenze. Inoltre, le conclusioni su DLD - Developmental Language Desorders portano alla visione cognitiva a cui più volte abbiamo fatto riferimento in questo volume. I disturbi che il termine denota sono differenziati per quanto riguarda i livelli linguistici e il rapporto tra normalità e patologia, per cui richiedono una rappresentazione non univocamente determinata, ma continua, in particolare sul modello del cerchio di cui abbiamo parlato nell’Introduzione. Secondo

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Lancaster-Camarata (2019) questa rappresentazione porta a definire DLD come uno spettro continuo:

Past research on the subtype and individual differences models provides initial indirect support for a continuum/spectrum approach. The continuum/spectrum model combines aspects of the subtype and individual differences models by hypothesizing that there is an underlying commonality among children with DLD, but that each child will have a slightly different presentation within the broader spectrum condition. Specifically, a continuum/spectrum model includes key shared features for all members of the posited clinical typology (e.g., DLD), but includes the assumption that there are not consistently identifiable profiles shared by homogeneous subgroups within the broader clinic population (Lancaster-Camarata 2019: 83)

Il modello è rappresentato dallo spettro dei colori (McGregorLancaster 2021), in cui sono presenti passaggi sfumati da un colore all’altro e nelle diverse tonalità possiamo identificare una base comune, ma appunto sfumature diverse. Questa visione ci consente di giudicare la presenza del disturbo e contemporaneamente di vederne la complessità, di cogliere le differenze tra i soggetti che presentano il disturbo stesso:

Our judgement is guided by what we know to be DLD, but we must acknowledge that, “at the edges,” these judgements can be tricky.

Because DLD is a spectrum disorder, any two people with DLD may have different language problems (McGregor-Lancaster 2021).

In questo senso, la terminologia mostra di adattarsi alla costruzione dei sistemi concettuali e alle esigenze della comunicazione scientifica, confermando la sua funzione e la sua utilità.

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(2017) ‘Linguistica e medicina’, in Dovetto (2017a), pp. 313-330.

(2023) (a cura di), Le lingue della malattia. Seconda serie, Milano, Mimesis.

Silvestri, D. (2000), ‘Logos e logonimi’, in Vallini (2000), pp. 21-37.

Stemberger, J.P. (1993), ‘Spontaneous and Evoked Slips of the Tongue’, in Blanken et al. (1993), pp. 53-65.

Vallini, C. (a cura di) (2000), Le parole per le parole. I logonimi nelle lingue e nel metalinguaggio. Atti del Convegno - Istituto Universitario Orientale - Napoli, 18-20 dicembre 1997, Roma, Il Calamo.

Zanola, M. T. (2018), Che cos’è la terminologia, Roma, Carocci.

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DIANA PEPPOLONI - PAOLA BONUCCI - FRANCO LORENZI

Opera di Carlo Carnevali (Perugia) ideata e realizzata per la Collana di Linguistica

La linguistica contemporanea ha rivolto un interesse crescente al metalinguaggio e alla capacità metalinguistica, in ambito sia teorico che applicato. Le attività metalinguistiche quali citare, parafrasare, spiegare o sintetizzare sono costanti nella prassi comunicativa, e fra di esse definire ha tradizionalmente un posto di grande rilievo. La definizione, risultato di questa attività, rappresenta uno dei problemi più complessi e più interessanti nelle ricerche sul linguaggio, in particolare in lessicologia, lessicografia e terminologia, oltre che, naturalmente, in filosofia e logica.

Il libro affronta il problema della definizione nella prospettiva di analisi linguistica e lessicologica legata al DLM - Dizionario generale plurilingue del Lessico Metalinguistico (http://dlm.unipg.it), un grande repertorio elettronico, ispirato da Cristina Vallini, che mira a raccogliere la più ampia documentazione sul metalinguaggio della linguistica e delle scienze del linguaggio in tutto l’arco dello sviluppo storico del pensiero linguistico.

Partendo da testi teorici contemporanei, il libro presenta e discute i problemi legati all’individuazione e alla scelta delle definizioni. Il risultato è una tipologia, basata su una riflessione metodologica, che possa avere insieme una funzionalità teoretica ed operativa; completa la ricerca una proposta di ricostruzione dei percorsi definitori che i diversi autori seguono all’interno di un’opera.

ISBN 978-88-98870-21-9
(IVA inclusa)
€ 24,99

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