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Qui a Monza noi facciamo così

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Anche noi cittadini monzesi abbiamo partecipato il 12 e 13 febbraio alle elezioni regionali per il rinnovo del governo della nostra Lombardia: con il voto nei seggi elettorali abbiamo indicato quale deve essere la composizione del Consiglio e della Giunta regionale.

Non dimentichiamoci che quello che abbiamo compiuto (o avremmo dovuto compiere…) è un atto di pratica della democrazia: un atto importantissimo se vogliamo essere cittadini protagonisti della società e della storia dei nostri territori, un diritto a cui corrisponde anche un preciso dovere.

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Anche il nostro Consiglio Comunale partecipa e contribuisce ad esercitare la democrazia; deve e vuole rappresentare la volontà delle persone a che la nostra Monza sia un luogo dove si possa vivere bene, all’insegna dei diritti e dello sviluppo per tutti quelli che in città vivono, lavorano, partecipano.

E tutto ciò accade ogni volta che in Consiglio ci troviamo a discutere, a confrontarci, a «deliberare», come si dice in termine tecnico: non è la discussione, anche accesa, che ci preoccupa; non è il confronto, che può essere anche vivace ed a tratti aspro; non è il tempo e l’impegno che occorrono per capire, approfondire, studiare gli atti, preparare gli interventi, raccogliere istanze, bisogni e desideri dei concittadini.

Ciò che ci dovrebbe preoccupare sarebbe piuttosto l’assenza di dialogo, l’insufficiente volontà di trovare soluzioni sempre più adeguate, di puntare ad obiettivi forse impegnativi da raggiungere ma importanti per la vita delle nostre comunità. E devo dire che, in questi primi sette mesi di lavoro in Consiglio come Presidente, grazie all’impegno di tutti non ho avuto queste preoccupazioni. Ciò che invece ci interpella è la diminuzione della partecipazione alle occasioni elettorali, rivelata dall’alto numero di chi di noi monzesi non è andato (questo sì ci obbliga a farci domande ed a darci risposte).

Vorrei pertanto chiudere condividendo con voi l’emozione che suscita in me questo testo che da quasi 2500 anni orienta e sostiene chi in una comunità si occupa della cosa pubblica. Si tratta di una piccola parte del «Discorso di Pericle agli ateniesi» scritto da Tucidide nell’anno 431 a.C., da cui il titolo di questa riflessione trae spunto: non dimentichiamolo e cerchiamo di impegnarci sempre di più a farlo «nostro».

«… Qui ad Atene noi facciamo così.

Ci è stato insegnato a rispettare i magistrati e ci è stato insegnato a rispettare le leggi e a non dimenticare mai che dobbiamo proteggere coloro che ricevono offesa.

E ci è stato insegnato di rispettare anche quelle leggi non scritte che risiedono nell’universale sentimento di ciò che è giusto e di ciò che è buon senso.

Qui ad Atene noi facciamo così.

Un uomo che non si interessa allo Stato noi non lo consideriamo innocuo, ma inutile; e benché in pochi siano in grado di dare vita ad una politica, tutti qui ad Atene siamo in grado di giudicarla.

Noi non consideriamo la discussione come un ostacolo sulla via della democrazia.

Noi crediamo che la felicità sia il frutto della libertà, ma la libertà sia frutto del valore.

Qui ad Atene noi facciamo così».

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