Franco Simeone Viaggio in “Lepenlandia” Nel cuore dell’estrema destra
Collana: I Quaderni
Viaggio in “Lepenlandia” di Franco Simeone ® www.comunedipignataro editore- 2007 via Gramsci, Pignataro Maggiore (CE)
In copertina: ‘‘Railway’’ foto di Shane Atkin (http://www.atkenphotography.co.uk/)
INDICE
PRESENTAZIONE....................................................................................................................4 Benvenuti in Lepelandia.............................................................................................................5 Apartheid alla francese...............................................................................................................7 Strategia della tensione. ...........................................................................................................12 Il Razzismo contemporaneo .....................................................................................................16 Un voto contro l'immigrazione ... e l'ingiustizia. .....................................................................22 Note ..........................................................................................................................................25
PRESENTAZIONE
Tra il dicembre 1995 e l'agosto del 2001 Franco Simeone compie diversi viaggi nel sud est della Provenza, in Francia, tra le “banlieu de l'Hexagone”. A Tolone, Orange, Marignane e Vitrolles viene in contatto tramite Ljlia Odette Jobert, una giovane operaia poco più che trentenne della Elicopter di Marignane e sua amica di cui era ospite a Orange, con esponenti ed associazioni della “società civile” francese, nonchè con movimenti e esponenti della sinistra della “noveaux rive gouche” ed inizia ad interessarsi dell'estrema destra francese . Nasce così “Viaggio in Lepenlandia”, nel cuore dell'estrema destra”, scritto tra il febbraio del 1999 e il il settembre del 2002. Esso compare, per la prima volta, in Francia (tradotto da Serge Pierre Cassen e Claudine De Brie) nel settembre del 2002 sulla rivista “Metropolis”, vicina ai movimenti della sinistra provenzale di ispirazione neo - marxista. “Viaggio in Lepelandia, nel cuore dell'estrema destra” è un repeschage estramemente utile poiche rivela una “maestria” nel penetrare e nello scandagliare l'estrema destra francese, fornendo un intelligente e denso contributo alla conoscenza . Alcune cose di Viaggio in Lepenlandia, come ci ha fatto notare lo stesso Franco Simeone, ci sembrano datate ma, soprattutto, a noi pare che la delicatezza dei temi trattati come il senso della democrazia, la natura del potere politico, il significato del voto, il razzismo nelle società postmoderne o informatizzate rappresentano un momento incacellabile di questo lavoro e di riflessione per tutti.
Capitolo I
Benvenuti in Lepelandia
Jean - Marie Le Pen l'aveva preannunciato: i sindaci “eletti nelle liste del Fn, con il il
programma del Fn, con il patrocinio del Fn e del presidente del Fn” sono sottoposti sotto l'autorità del partito. Le loro città devono diventare “basi e vetrine della
riconquista nazionale” (1). Si sarebbe ben presto capito cosa significava “vivere in Lepenlandia”,
tenuto
conto
del
contesto
locale
e
della
personalità
degli
amministratori eletti. Infatti, le quattro città - Tolone, Orange e Marignane, conquistate con un terzo dei suffragi grazie alla desistenza il 18 giugno 1995 (2), e Vitrolles dove il Fn ha avuto la maggioranza assoluta il 9 febbraio 1997 (3) - abbiano molti punti in comune, esse hanno anche le proprie specificità. Le unisce, anzitutto, il fatto di trovarsi in un angolo di Provenza, questa “periferia dell'Esagono” che, nonostante gli sconvolgimenti degli ultimi trent'anni, “è rimasta
chiusa in un localismo campanilistico” (4). In secondo luogo, una situazione economica e sociale delicata, che colpisce sia le classi medie sia un proletariato precarizzato dalla disoccupazione e dall'assenza di prospettive di città chiuse su sè stesse e prive di un progetto per il futuro. Infine, l'esperienza di decenni di disastrosa amministrazione comunale, segnata dal clientelismo, dal nepotismo e dalla corruzione in una regione dove i partiti, siano di destra o di sinistra, offrono quotidianamente lo spettacolo delle loro divisioni e delle loro incopetenze e delle loro “mercerie”. Da tempo il terreno era proprizio all'arrivo dell'estrema destra sulla scena politica. A Tolone, 175.000 abitanti, molti dei quali rimpatriati dalle colonie, prefettura marittima di un agglomerato di 400.000 abitanti, primo porto militare (la marina dà lavoro a oltre 30.000 persone), la borghesia locale, priva di spirito d'impresa, ha visto svanire redditi da impiego pubblico e coloniale che ne avevano assicurato per anni la
prosperità. Qui, una vecchia figura del partito, politico navigato , Jean - Marie Le Chevallier, ha conquistato il municipio. Ex - capo di gabinetto di Le Pen, dopo esserlo stato del segretario del partito repubblicano Jaques Dominati, Le Chevallier è anche deputato europeo, consigliere regionale e - fino alla sua invalidazione - unico deputato Fn all'assemblea. A Orange, 28.000 abitanti, al confine della Provenza, sonnolenta piazzaforte militare nel cuore di una zona agricola intrisa di romanità e di còtes - du - Rhòne (il vino rosso della Valle del Rodano), priva di attività industriali, dalle tradizioni politiche radical socialiste e di centro moderato, ha vinto un duro dell'estrema destra, Jaques Bompard, ex membro dell'Oas (Organisation armeè secrète) e di Ordine nuovo.
Capitolo II
Apartheid alla francese.
Non hanno nulla in comune Marignane e Vitrolles, le due città conquistate lungo lo stagno di Berre, alla periferia di Marsiglia. La prima, 32.000 abitanti, una cittadina abitata da pieds - noirs e da immigrati magrebini di lunga data, in cui la parte residenziale è ben separata da quella industriale (lì è stato costruito il secondo aeroporto francese e il primo centro europeo di produzione di elicotteri - Europter che danno lavoro a 3.500 persone). Ha eletto alla testa del comune un ex - impiegato di banca, Daniel Simompieri, un “lepenista light”, dicono i suoi avversari. Figlio del paese, ha fatto suo il vecchio sistema clientelare della destra che controllava la città da 45 anni e gli aveva già assicurato un posto nel consiglio municipale. Vitrolles, 45.000 abitanti, ai piedi di un vecchio villaggio dimenticato, un susseguirsi di piccoli caseggiati o di villini che ruotano intorno a un gigantesco centro commerciale. La città è attraversata da nord a sud e da est a ovest dalle autostrade Lione - Marsiglia e Marignane - Aix - en - Provence. Città nuova all'americana, senza identità, popolata da gente di origini diverse, Vitrolles si aspettava negli anni settanta un
grande
futuro
industriale,
mai
concretizzatosi.
Dopo
dodici
anni
di
amministrazione socialista di Bernard Tapie, è arrivata Catherine Mégret, diventata sindaco per conto del marito, numero due del partito, un parigino catapultato a Vitrolles. Nè il probabile successore di Le Pen, nè sua moglie vivono sul posto, sicchè la città è in mano al primo assessore, un frontista puro sangue. Al di là delle differenze, il programma del Fn comune a queste città sbandiera quattro
priorità:
preferenza
nazionale,
sicurezza,
alleggerimento
fiscale
e
restaurazione culturale. La preferenza nazionale versione frontista, espressione di un apartheid alla francese, è rivolta anzitutto contro i magrebini e, in secondo luogo, contro i neri, francesi e non. Un esempio: il clamoroso annuncio della signora Mégret, sindaco di Vitrolles, che una sovvenzione di 5.000 franchi (circa 1.500.000 lire) verrà
concessa ai genitori, “nati in un paese europeo”, di un figlio francese. La puntualizzazione “paese europeo” non risponde a un desiderio di rispetto della normativa comunitaria ma tiene conto degli elettori, e anche degli eletti, del Fn, compreso il sindaco di Marignane, Daniel Simopieri, che sono di origine italiana, spagnola o portoghese e si mostrano spesso fra i più attivi nel respingere l'integrazione. Un provvedimento risolutamente demagogico e illegale, contrario al principio di uguaglianza davanti alla legge, destinato a essere annullato in tribunale, del quale, tuttavia, si è potuto accuratemente studiare l'effetto di propaganda in periodo elettorale. Un esempio che le altre tre città si sono ripromesse di seguire ... appena sarà loro possibile. Nel frattempo, a Marignane, sono state soppresse le diete specifiche riservate ai bambini mussulmani nelle mense delle scuole, a Tolone sono aumentate le tariffe per le famiglie numerose, a Orange si sono chiusi i consigli di quartiere, a Vitrolles sono stati licenziati gli educatori sociali, e ovunque vengono negati i certificati di accoglienza per gli immigrati. E se, a parte Tolone, i comuni in mano al Fn non controllano gli uffici delle case popolari (Hlm), anche qui vigono le stesse pratiche di segregazione etnica e sociale presenti altrove e in certi quartieri non si vendono gli alloggi agli immigrati. Senza clamore e come se nulla fosse, la preferenza nazionale si è presto trasformata in preferenza familiare. Gli esempi di nepotismo non mancano: Bruno Mégret e, più recentemente, Jean - Marie Le Chevallier hanno ceduto il loro capitale elettorale alle mogli e i parenti degli eletti lavorano negli uffici municipali. Esempi certo conformi a una tradizione non solo locale, ma che contraddicono il discorso del Fn su “mani pulite”, come del resto dimostrano le vicende di peculato che affiorano qua e là. Seconda priorità: la sicurezza. Poichè la delinquenza in queste quattro città non è particolarmente alta né in sensibile progressione, gli amministratori ne falsificano i dati, drammatizzano il problema e ne denunciano a gran voce una “criminalità” fatta per lo più di assegni rubati o scoperti e di furtarelli negli sconfinati centri commerciali, che costituiscono un invito permanente al saccheggio per i più diseredati. Si tratta di alimentare il fantasma dell'aggressione e della minaccia, che
giustifica il voto al Fn, procedendo a vistosi spiegamenti delle forze dell'ordine. Far paura e rassicurare, questo il ruolo delle polizie comunali, pesantemente presenti con organici rafforzati (5) in queste quattro città. Di giorno simili alla polizia nazionale, con la quale sono spesso in conflitto, le polizie comunali si trasformano di notte in brigate attrezzate con cani, travestite da da “ninjas” (senza cappuccio), con berretti a visiera, rangers e tute nere da combattimento. Reclutate negli ambienti vicini all'estrema destra, le formazioni sono addestrate da gorilla di fiducia, più miliziani che poliziotti. A Vitrolles, a Orange e Marigane, i poliziotti del comune alimentano la paura, provocano i ragazzi e moltiplicano i controlli casuali, a secondo dei tratti somatici della gente. Più che fare un vero lavoro di prevenzione, sfoggiano davanti alla “brava gente” le virtù dell'ordine nuovo. L'alleggerimento delle tasse locali, unico obiettivo del programma economico, costituisce la terza grande promessa dei comuni del Fn. Un tema che trova assai sensibile una clientela elettorale di piccoli proprietari di villini, di commercianti e imprenditori in difficoltà, pesantemente colpiti dalle imposte fondiarie e professionali di comuni spesso fortemente indebitati. In mancanza di investitori e di attività che non si cerca neppure di attirare, la riduzione della pressione fiscale può essere, nel migliore dei casi, soltanto simbolica, e può essere ottenuta solo rinunciando a ogni progetto a lungo termine e lesinando sulle spese, specialmente quelle socio - culturali. La riduzione degli organici è il pretesto che consente di mettere in riga l'amministrazione locale: i dirigenti più indipendenti se ne vanno, oppure vengono sbattuti in qualche ufficio dimenticato, sottoposti a pressioni tali da spingerli al suicidio, come a Orange, o sono vittime di montature pretestuose inventate di sana pianta, come a Tolone: posti di lavoro soppressi, ausiliari licenziati o messi da parte e sostituiti da funzionari zelanti, scelti fra gli iscritti al partito. Questi provvedimenti sono spesso presi in un clima di grande tensione e senza troppo rispetto della legalità. Si taglia su tutto, si risparmia sulle spese di manutenzione e di funzionamento, si rinviano i restauri e i rinnovi delle attrezzature, si abbassa artificialmente la tassa sui
rifiuti domestici o il prezzo dell'acqua. Invece di lasciare ambiziosi interventi come segno del loro passaggio in comune, i sindaci Fn coltivano giorno dopo giorno un clientelismo elettorale spicciolo personalizzando a oltranza i loro interventi, per soddisfare richieste di piccolo cabotaggio: cambiare qua e là qualche lampadina di strada, tappare una buca su un marciapiede o collocare una panchina. All'azione collettiva sostuiscono il trattamento individuale: “Venite da noi, risolveremo i vostri
problemi”. Infine, la politica socio - culturale rimane il tererreno d'azione privilegiato dove l'uso delle risorse disponibili consente la diffusione spettacolare dell'ideologia frontista. Si tratta anzitutto di promuovere miti e valori di stampo petanista: lavoro, famiglia, patria e integralismo. A Tolone, l'ordinanza di divieto per il concerto del gruppo Ntm (gruppo di cantanti rap il cui nome “Nique ta mère” cioè “Ntm” riprende provocatoriamente un'ingiuria popolare nei quartieri di immigrati del sud della Francia che evoca esplicitamente un rapporto sessuale con la madre), arriva otto giorni prima della festa della mamma. Esempi del gusto degli estremisti per il simbolismo pomposo di un passato caricaturale. A Orange, racconta Serge Julien, responsabile del Alerte orange, “si riporta nel centro della città e in pompa magna la
statua, esiliata in parco, di un eroe locale illustratosi nella caccia ai Saraceni durante una crociata del 1096. Per l'occasione si organizza un banchetto medievale aperto a tutti, ma dove si serve solo maiale! “. A Tolone, racconta con umorismo Gérard Estrangon, presidente della Lega dei diritti dell'uomo, “senza avvertire l'artista - che ha intentato un processo - si è
smantellata a colpi di martello pneumatico l'unica opera pubblica d' arte contemporanea della città, la si è sostituita con un ulivo e si è commissionata a uno scultore locale la statua di un concittadino, il grande attore Raimu, dalle note simpatie per il governo di Vichy. Ci siamo ritrovati con una specie di nanetto da giardino mascherato da oste grassoccio, che tuttavia si esita a sistemare nel piazzale del porto, davanti al vecchio municipio, al posto della statua di bronzo del Genio della navigazione dei tolonesi "Culverville" ( culoversolacittà) perchè, il braccio teso verso
il largo, dà le spalle alla città. Personaggio che gli amministratori comunali Fn vogliono far passare per un navigatore del quale vanno cercando le storiche tracce”. A Vitrolles, il consiglio municipale decide di cambiare in “Vitrolles - en - Provence” il nome di una cittadina che sembra trapiantanta direttamente da una periferia di Los Angeles. Si sbandierano ovunque stendardi provenzali e stemmi della città. Ma, soprattutto, si assicura ostentamente la presenza della stampa e della letteratura di estrema destra nelle biblioteche comunali e nei saloni del libro, che solerti censori hanno alleggerito delle opere del libero pensiero universalista e persino dei cartoni animati per bambini che celebrano la fratellanza multirazziale. Il Front national denuncia il rap e il rai ma poi fa marcia indietro per paura di alienarsi i giovani.
Capitolo III
Strategia della tensione.
Non si esita a provocare conflitti aperti con le istituzioni e le associazioni culturali più note, fino al loro smantellamento - Chàteauvallon a Tolone, Chorégies a Orange, il Sous - Marin a Vitrolles. Si tagliano gli aiuti alle associazioni che, nei quartieri di maggior concentrazione della povertà, della disocupazione e dell'esclusione, mantengono qualche attività sociale e allentano le tensioni. “Si chiude tutto quello
che integra, tutti i centri sociali o le associazioni che si occupano dell'inserimento” dice Alain Biot, presidente di Alarme citoyens a Marignane. Quasi si volesse far marcire le situazioni e spingere allo scontro le comunità, i quartieri, le classi sociali e le fasce di età, drammatizzare al massimo i rapporti umani, creare un clima di minaccia di quella guerra civile strisciante che, periodicamente, il Fn annuncia. Nel quartier dell'Aygues, a Orange, proprietà del servizio pubblico delle Hlm (case popolari a basso affitto) una associazione locale, l'Olocausto del l'Aygues, svolge dal 1983 un lavoro di servizio pubblico presso una popolazione in difficoltà in un ambiente degradato e isolato. L' intero complesso è in via di di ghettizzazione, abbandonato
alla
piccola
delinquenza,
con
una
popolazione
composta
prevalentemente da immigrati per la maggior parte disoccupati o che sopravvivono con il reddito minimo assicurato dallo stato (Rmi). Viene lasciato deperire da un comune che respinge ogni richiesta di spesa e non ne garantisce neppure la sicurezza. L'associazione assicura le relazioni fra gli abitanti e con gli uffici degli Hlm, l'asilo infantile, il sostegno scolastico ... e persino il servizio postale. Secondo i responsabili “c'è una volontà di far marcire la situazione, di distruggere i legami sociali, di
chiudere il centro ritenuto indesidererabile. Non riceviamo più alcuna sovvenzione dal comune, e per il momento il centro è mantenuto dai servizi sociali del dipartimento. Qui non esiste una prassi democratica: bisogna assoggettarsi alla municipalità Fn.
L'opposizione non ha dirittto di cittadinanza, ha diritto soltanto alle invettive e agli insulti”. Infatti, alla soppressione degli aiuti municipali segue sistematicamente quella degli aiuti dipartimentali e regionali, che sono condizionati ai primi. Si privano così le associazioni di ogni risorsa condannandole a scomparire, a meno che altre collettività non intervengano, come successo con le Chorégies di Orange, e si alleggerisce di conseguenza il bilancio comunale. Nel contempo, il consiglio municipale sovvenziona associazioni di sicura appartenenza, che incassano i sussidi dipartimentali e regionali e li riversano al comune sotto forma di affitto dei locali. Per l'attuazione del suo programma di “riconquista nazionale”, il Fn dispiega ovunque una strategia della tensione. Non essendo in grado di risolvere i problemi concreti della gente e della città, gli amministratori rinfocolano ed esacerbano i conflitti: fra generazioni, fra immigrati e “nazionali”, fra i dipendenti comunali e con la rete associativa, fra la città e il resto del paese. L'appartenenza è di un'attività municipale febbrile, ridotta nella realtà alla gestione del quotidiano, mentre si alimenta presso seguaci ed elettori il mito della persecuzione. Tutti i mezzi sono buoni: pressioni, minacce, ricatti, diffamazione, provocazioni e intimidazioni, compresi gli atti di violenza. Nella maggior parte dei casi gli avvenimenti conflittuali vengono drammatizzati con la complicità dei media e sfociano in un gran numero di procedure giudiziarie cui ricorrono volentieri le municipalità frontiste, molto cavillose, a spese dell'elettorato. “E' chiarissimo che i
comuni si servono dei media per drammatizzare i conflitti e alimentare la tensione” dice Benoìt Candon, avvocato delle associazioni che resistono al Fn. In mancanza di un numero sufficiente di militanti locali, il Front National li fa arrivare da fuori a ogni occasione per esibire la propria forza e intimidire la gente. “A Vitrolles , racconta Alain Castan che coordina il movimento delle associazioni cittadine, la polizia
municipale dopo le elezioni si è accanita sui tratti somatici della gente, appoggiando la formazione di milizie di quartiere attrezzate con cani, inquadrate da agenti del Dps (dipartimento di protezione e sicurezza), il servizio d'ordine del Fn”.
La preferenza nazionale apertamente ostentata ha dato via libera all'espressione della xenofobia e del razzismo. “Nei mercati , spiega Nathalie Julien, del movimento "Ras l'front", si assiste adesso a continue provocazioni. Alcuni osano dire ad alta voce
che ci sono troppi responsabili della insicurezza e della delinquenza, anche se ce n'è meno qui che in altre città. Dietro i dirigenti in doppio petto, gli scagnozzi si incaricano di alimentare le voci e i fantasmi di aggressione non appena una decina di giovani beurs ( giovani magrebini nati in Francia da genitori immigrati) si riuniscono a parlare in strada”. Un americano, William Sheridan Allen, che descrive con precisione la conquista da parte dei nazisti di una cittadina tedesca, Thalburg, negli anni della Repubblica di Weimar, annota: “E' chiaro che, a livello locale, il terreno si prestava particolarmente all'irruzione elettorale dei nazisti e alla presa del potere a opera del partito (....). Ma ha giocato anche la crisi economica. (...) Non c'è dubbio che la disperazione crescente dei senzalavoro, dovuta a periodi sempre più lunghi di disoccupazione, indebolisce il senso democratico di molti cittadini. (...) La violenza e la tensione politica sono stati fattori significativi che hanno preparato l'occupazione della città da parte dei nazisti. Essi furono sfruttati con grande abilità dalla propaganda nazista. Contro l'assurdo balletto della litigiosità politica e dell'incompetenza, i nazisti offrivano l'apparenza di un partito unito, forte, che sapeva dove voleva andare. La loro propaganda giocava sui bisogni di ciascuno e sui timori di tutti: praticamente, incideva su tutti gli incerti, a qualunque gruppo appartenessero. Il terreno era dunque pronto per la presa del potere” (6) La Quinta Repubblica francese non è la Repubblica di Weimar e il Front national non è il partito nazional - socialista operaio tedesco (Nsdap). A quindici anni dal suo arrivo sulla scena elettorale, il Front national raggruppa qualcosa come quattro milioni di elettori, su 40 milioni di iscritti nelle liste elettorali, un risultato già raggiunto con le presidenziali del 1988. In questo lasso di tempo si era già conclusa la parabola nazista della presa del potere al crollo del regime cui erano bastasti quattro anni per passare dal 2,6% dei suffragi nel maggio 1928 al 43,9% nel marzo 1933. Tuttavia sono paragonabili le ragioni del successo. Da un lato, il terreno preparato dalla incapacità dei partiti tradizionali di dominare in particolare i problemi generati
dal perdurare della disoccupazione. Dall'altro, occorre rilevare la capacità dell'estrema destra di rivolgersi simultaneamente alle classi medie e al proletariato assorbendo il loro naturale antagonismo in una comune mobilitazione contro i politicanti, la mondializzazione senza patria e gli immigrati accaparratori di lavoro, responsabili dell'insicurezza e del degrado delle condizioni di vita nelle periferie. In un articolo risalente al 1986, “La preuvue par Vitrolles”, il giornalista Alain Rollat, prendendo spunto dalla ricerca di un gruppo di lavoro locale, spiegava in modo pertinente le ragioni dei successi dell'estrema destra del Front national che, per la prima volta, aveva superato i socialisti con il 22,47% dei suffragi (7). Per le stesse ragioni, il Front national supera a Vitrolles il 50% e, da tempo, il 30% nella regione Provence - Alpes - Cìte d'Azur. La minaccia viene da lontano e ha radici profonde. Con la conquista delle quattro città provenzali, un argine è saltato. I temi del programma Fn si sono banalizzati e ispirano il discorso e l'azione di numerosi responsabili e municipalità: non c'è nulla che assomigli di più all'amministrazione di Tolone di quella di Nizza. Sotto lo stesso sole, “vivere in Lepenlandia” piuttosto che in altri posti, non sembra così strano a molte persone ormai insensibili a ogni critica razionale dell'ideologia di un partito che, lungi dal fare loro paura, le rassicura. Per questa ragione, occorre continuare a prendere sul serio la minaccia che il Front national fa pesare sulla democrazia.
Capitolo IV
Il Razzismo contemporaneo: “La mutata configurazione del razzismo nelle società postmoderne o informatizzate” .
Questo è il tempo dei forni di cui si deve vedere solo la luce. Josè Marti
Il cambio di paradigma che segna il passaggio dalla sovranità moderna alla sovranità postmoderna (che si sviluppa agli estremi limiti della modernità e inaugura la postmodernità) mostra uno dei volti nella mutata configurazione del razzismo nelle società contemporanee. Gli storici, i media e persino i politici continuano a narrarci che, nelle società moderne, dalla fine della schiavitù dopo i movimenti per i diritti civili e le lotte contro il colonialismo, il razziasmo è regredito. Il razzismo, nel senso tradizionale, è senza alcuna ombra di dubbio tramontato, e molti considerano in Sud Africa la fine dell'apartheid come la conclusione simbolica di un'epoca di segregazione razziale. Sembra invece che il razzismo, nelle società contemporanee, non è affatto regredito, al contrario, si è sviluppato ancor di più sia in intensità sia in estensione. Se il razzismo appare ridimensionato è solo perchè sono mutate le sue forme e le sue strategie. Se le pratiche della segregazione razziale dura ( nel Sud - Est degli Stati Uniti d'America, in Palestina, in Sud Africa, ecc. ) e le manichee divisioni costituiscono la forma paradigmatica del razzismo moderno, bisogna chiedersi quali siano le forme paradigmatiche del razzismo postmoderno e quali sono le sue strategie nell'esercizio di potere del dominio della macchina del comando del capitale postmoderno o informatizzato.
Alcuni analisti hanno disegnato il mutamento paradigmatico del razzismo nei termini di immagini e passaggi di una transizione teorica dal razzismo di tipo biologico al razzismo culturale. L'essenza della teoria che dominava il razzismo moderno e le pratiche della segregazione razziale sostenevano che vi erano delle differenzazioni biologiche tra le razze. I geni e il sangue giustificavano le differenzazioni del colore della pelle e sono la sostanza di tutte le differenze razziali. I popoli subordinati, almeno implicitamente, venivano rappresentati come non umani nel senso ontologico ristretto - una necessaria, immutabile ed eterna frattura nell'ordine dell'essere. L'antirazzismo moderno opponeva a queste argomentazioni la convinzione che la differenzazione fra le razze era invece costituita da fattori culturali e sociali. Gli antirazzisti moderni erano convinti che il costruttivismo sociale li avrebbe liberati dalla camicia di forza del determinismo biologico: se le differenze razziali sono da ascrivere a fattori culturali e sociali, allora, in linea di principio, tutti gli uomini sono eguali ed appartengono ad una sola natura e ad un ordine unico ontologico. Con il passaggio dal moderno al postmoderno, le differenze biologiche sono state sostituite da significati culturali e sociologici intorno ai quali ruotano e si costituiscono le rappresentazioni della superstizione, dell'odio e della paura della differenza razziale. Il razzismo postmoderno, in tal modo, attacca le teorie antirazziste moderne pugnalandole alle spalle, cooptando e arrualondo tali argomentazioni tra le sue truppe . L'epistemologia del razzismo postmoderno, infatti, ammette che le razze non sono delle unità biologicamente isolabili e che la natura umana non può essere scissa in una serie di razze. Concorda sul fatto, inoltre, che le capacità umane e il comportamento non dipendono dai geni o dal sangue, ma dall'appartenenza a contesti culturali differenti storicamente determinati. (8) In altri termini, le differenze non sono statiche, immutabili e fisse, sono gli effetti contingenti generati dalla storia sociale. Il razzismo e l'antirazzismo postmoderno dicono, all'incirca, le medesime cose, per questa ragione non è facile distinguerli. Poichè le argomentazioni culturaliste e relativiste sono da considerarsi necessariamente antirazziste, l'ideologia dominante nelle nostre società sembra ostile al razzismo e il razzismo postmoderno non pare assolutamente razzista.
Bisogna osservare con maggior lucidità il dispositivo di funzionamento del razzismo postmoderno. L'analisi del dispositivo di funzionamento del razzismo postmoderno deve discendere al livello di questa materialità del dispositivo e decifrafrarvi la trasformazione del paradigma di potere che segna il mutamento della configurazione del razzismo. Per molti aspetti, un filosofo francese, Etienne Balibar, ha preparato il terreno all'analisi del cambio di paradigma di potere definendo “il nuovo razzismo
come un razzismo differenziale, un razzismo senza razza”, o, più esattamente, un razzismo che “non poggia più su un'accezione biologistica di razza” . Per Balibar, la biologia è stata abbandonata nella sua funzionalità di sostegno, di supporto e di fondamento e, infatti, Balibar aggiunge che “la cultura finisce per sostituirsi nel
ruolo che essa svolgeva in precedenza” (9). In tal modo siamo così abituati a ritenere che la biologia e la natura siano qualcosa di immutabile e che la cultura è invece fluida e plastica e che attribuiamo alle culture la facoltà e il potere di mutare mescolandosi storicamente in un indefinito numero di ibridizzazioni. Per il razzismo postmoderno esistono dei limiti fortemente rigidi alla compatibilità e alla flessibilità tra le culture. Le differenziazioni tra le tradizioni e le culture sono, a conti fatti, non sormontabili. Per il razzismo postmoderno si rivela, infatti, inutile se non addirittura nocivo e dannoso concedere alle culture il potere di ibridizzarsi o di sostenere che dovrebbero farlo: i Croati e i Serbi, i Tutsi e gli Hutu, i coreani americani e gli afroamericani debbono restare scissi, divisi e separati. In quanto teoria della differenzazione sociale, il culturalismo non è meno essenzialista del biologismo o, quanto meno, pone una base base teorica forte della segregazione e separazione sociale. E' questa, tuttavia, una posizione teorica “pluralistica” che afferma che, in linea di principio, tutte le identità sono eguali. Il pluralismo, infatti, ammette che tutte le differenziazioni nella misura in cui ognuno accetta di continuare ad agire sul fondamento delle differenzazioni di identità - nella misura in cui, cioè, continuiamo ad agire come aderenti alla nostra razza. Le differenze razziali si rivelano, in linea di principio, come contingenti, ma permangono in linea di fatto necessarie, in quanto significanti della discriminante e della separazione sociale. La sostituzione fra la cultura, biologia e razza “viene trasformata
paradossalmente in una teoria della preservazione della razza” (10).La mutata configurazione del razzismo indica in quale misura la teoria razzista postmoderna sia
in grado di regolare dall'interno, riarticolandola, inseguendola, interpretandola, assorbendola, una posizione antirazzista conservando il principio della rigida separazione sociale. E' in quell'immagine e passaggio del dispositivo di funzionamento che la macchina del comando della sovranità postmoderna viene messa in moto. Se si presta attenzione a quell' immagine e passaggio della messa in moto della macchina salta subito agli occhi che il razzismo postmoderno non è supportato dalla gerarchizzazione, ma dalla teoria della segregazione. Se il razzismo moderno cristallizzava le gerarchie razziali come (pre)condizioni della segregazione, la teoria razzista postmoderna indica che non ha più nulla da dire, in linea di principio, sui gruppi etnici e sulla superiorità o inferiorità delle razze. Questi sono considerati come dati di fatto contingenti. Nella teoria razzista postmoderna la gerarchia razziale non è più concettualizzata come causa, ma è, invece, concettualizzata come effetto delle cause sociali. E' oppurtuno, a tal punto, disegnare la mutata concettualizzazione della gerarchia razziale facendo ricorso ad un esempio, per sgombrare il campo dall'ineffabilità dell'evento. Gli studenti afroamericani, in alcune aree degli Stati Uniti, nei test abitudinali ottengono delle valutazioni molto inferiori a quelle riportate dagli studenti di origine asiatica. Il razzismo postmoderno non attribuisce a questa fenomenologia una inferiorità razziale, ma differenze culturali: la cultura dei cittadini americani di orgine asiatica ha per l'educazione buona considerazione, e incoraggia i gruppi di studio ecc. Questo esempio dimostra chiaramente, qualora ce ne fosse ancora bisogno, che la gerarchia fra le razze viene determinata solo a posteriori, post fastum, come effetto delle loro culture, ossia - sulla base delle loro perfomance. Per il razzismo postmoderno, quindi, la subordinazione e la supremazia delle razze non è una questione teorica, ma si si ricava dalla libera concorrenza, da una sorta di “mercato meritotocratico della
cultura”. La pratica razzista, ovviamente, non trova corrispondenza all'autocomprensione del razzismo teorico che abbiamo esaminato . Da quanto finora esposto emerge chiaramente che la pratica razzista postmoderna ha smarrito un cruciale supporto: non esiste più una teoria della superiorità razziale che serve a giustificare le pratiche dell'esclusione razziale moderna. Il “razzismo europeo (...) non ha mai operato per
esclusione, nè per disegnazione di qualcuno come altro (..) Il razzismo procede per determinazione di scarti di devianza in funzione del viso Uomo bianco che pretende di integrare in onde sempre più eccentriche e tardive i tratti non conformi (...) Dal punto di vista del razzismo, non c'è esterno e non c'è gente del di fuori” (11). Il movimento di discorso e di pensiero di Gilles Deleuze e Felix Guattari invita a rifettere e a pensare alla pratica razzista postmoderna non nei termini della divisione binaria, ma bensi nei termini di una “strategia di inclusioni differenziali”. Non esiste più, quindi, nessuna identità da designare come Altro, “nessuno viene escluso in quanto non esiste più un fuori”. Come la teoria razzista postmoderna non può presupporre nessuna essenziale differenza fra le razze, alla medesima modalità, la pratica razzista postmoderna non può iniziare con l'escludere nessun Altro. La “supremazia bianca” (12) agisce , in primo luogo, adoperando l'alterità e, conseguentemente, subordinando le differenzazioni a seconda della gradazione di devianza in rapporto alla chiarezza della pelle. Il razzismo postmoderno non ha più niente a che fare con le rappresentazioni dell'odio e della paura dell'Altro sconosciuto ed estraneo. In altri termini, si tratta di un odio produttivo di gradualità differenziali che nasce nella prossimimità, incubato nei rapporti di vicinanza. Quanto esposto non significa, nel modo più assoluto, che le società postmoderne non conoscono l'esclusione razziale; le forme dell'esclusione razziale, al contrario, si intersecano con le dirittrici delle barriere razziali presenti in ogni contesto urbano e sull'intera scala planetaria. La questione di fondo è che “l'esclusione razziale
postmoderna è, in linea generale, l'effetto dell'integrazione differenziale”. Questo significa che, oggi, sarebbe un errore che, peraltro, diviene un errore di prospettiva se si cerca di comprendere attraverso di esso il passato - considerare le leggi di Jim Crown e l'apartheid come i paradigmi della gerarchia razziale. La differenziazione non è sancita nelle leggi e l'imposizione dell'alterità
non si spinge fino agli estremi
dell'Alterità assoluta. Il postmodernismo non pensa le differenzazioni come un qualcosa di assoluto, ma , sempre, come le differenziazioni di grado, sempre accidentali e mai necessarie. La subordinazione è, quindi, in un regime delle pratiche quotidiane più flessibili e mobili, in cui si determinano gerarchie brutali e rigide.
Le strategie e la forma del razzismo postmoderno aiutano, per molti versi, a capire la didderenziazione e l'opposizione tra la macchina della sovranità moderna e la macchina della sovranità postmoderna. Il razzismo della sovranità moderna, - quello “coloniale” (13), par execellence - ; radicalizzava al massimo, se riflettiamo, la differenza e recuperava, conseguentemente, in qualità il fondamento negativo del Sé. Da ciò si può astrarre che il popolo non è definito solo dalla condivisione con il passato e da potenziali o reali aspirazioni comuni ma, a priori, dalla relazione dialettica con gli altri che lo guardano più da vicino, ossia dal suo fuori. Inoltre, un popolo, più o meno disperso in mille rivoli, è sempre individuato da un “luogo”, reale o virtuale.
L'ordine prodotto dal comando della macchina della sovranità
postmoderna non ha nulla a che vedere con questa dialettica. Il razzismo postmoderno, che è un “razzismo differenziale”, integra gli altri nel suo ordine e, conseguentemente, li orchestra in un dispositivo di controllo. Le rigide identità della precedente accezione della biologia si sono dissolte in una amorfa e fluida “moltitudine” sociale (14). La moltitudine sociale, in tal modo, viene dilaniata da antagonismi e conflitti, ma nessuno di questi antagonismi e conflitti ha come progetto la restaurazione di confini eterni. Lo spazio della superficie del comando della macchina della sovranità postmoderna si muove in modalità convulsa, destabilizzando qualsiasi nozione di luogo, - il “non luogo come luogo”, l' “onniluogo”. Il razzismo postmoderno può essere collocato sul confine o, più esattemente, nel punto dell'antitesi complessiva fra il dentro e il fuori. Più di un secolo fa, Du Bois affermava che la questione del XX secolo era quella del colore. In opposizione, il razzismo postmoderno, lanciato verso il XXI secolo e oltre, si muove nel gioco delle differenziazioni e nell'amministrazione delle microconflittualità che nascono in continuum nell'espansione della sua sovranià e del suo dominio.
Capitolo V
Un voto contro l'immigrazione ... e l'ingiustizia. L'inchiesta svolta nel novembre 1997 sulle motivazioni del voto al Front national nel dipartimento di Seine - Saint - Denis, che ha dato vita a un documentario di quaranta miniuti, Si je vote Front national .., suscista vive risposte presso tutte le persone politicizzate o meno - che lo hanno visto (15). Ciò che colpisce, in quasi tutte le ottanta persone intervistate nel documentario, è la sofferenza, la terribile difficoltà di vivere giorno dopo giorno. Parole semplici, di una dura autenticità, che esprimono un sentimento d'ingiustizia crescente e il timore di perdere l'identità. Tre insegnamenti si possono trarre da questo documentario. In primo luogo, il Front national ormai è strutturato e destinato a durare. E' significativo di per sé che una pensionata di Drancy, un operaio disoccupato di Pinay, un'impiegata o un giovane che si batte in cerca di piccoli lavori quotidiani, ammettano senza batter ciglio e pubblicamente di votare Front national. Anzi, più della metà delle persone sanno che, così facendo, sostengono, come dicono esse stesse, un partito di “estrema destra”, “vicino al nazismo”, “che alimenterà l'odio” o “che non farà nulla”, “che ha, tuttavia,
certe idee interessanti”. Colpisce ancora più profondamente il fatto che il legame fra il livello locale vecchio d'intervento del Fn (l'immagine di un partito vicino alla gente ) e le sue tematiche nazionali (“caccia agli immigrati”, “mistica dell'ordine”, e “tutti i
politici sono marci”) si faccia con naturalezza. Seconda osservazione: ciò che prevale in queste persone intervistate è un sentimento d'ingiustizia: “Si fa di più per gli immigrati che per noi” - un'allusione, in particolare, alle attribuzioni di alloggi e agli aiuti sociali - “Viviamo in paese dove, sempre di più,
chi non fa niente riceve maggiori aiuti di chi lavora”.
Terzo dato essenziale; dopo l'esigenza di giustizia, l'elemento strutturante del voto al Fn è il rifiuto dell'immigrazione. La sensazione più diffusa tra le persone interrogate è quella di subire un'invasione straniera che provoca la perdita dell'identità nazionale. “Presto, noi francesi saremo una minoranza. E ci sarà la
rivolta”, spiega un operatore commerciale di Sant - Denis che, come gli altri, respinge ogni idea di una Francia mista. La società mista, che ormai è realtà quotidiana, viene percepita come un'aggressione. La presenza rilevante di origine straniera, spesso giovani, è interpretata come una prova, tanto più che la loro condizione è occultata dai partiti politici, compresi quelli di sinistra: questi giovani sono francesi, si o no ? La timidezza o l'essenza, sia a livello locale che nazionale, di una definizione chiara dei principi e delle regole (diritti e doveri di ognuno, cittadinanza e comunità, riaffermazione della Repubblica, identità della nazione, ecc...) crea un vuoto e contribuisce ad alimentare un'angoscia amplificata dalle innumerevoli difficoltà della vita quotidiana. Si può scommettere che la frattura radicale in atto, nelle periferie, fra i giovani (spesso di origine straniera) e gli adulti provocherà sbilanciamenti verso il Front national. Il radicamento del voto al Fn viene ulteriormente confermato dalle risposte che gli intervistati nel documentario danno a questa domanda: “Cosa la spingerebbe a
cambiare il suo voto ?” Più o meno tutti dichiarano: “Cambiarei se i partiti tradizionali facessero proprio l'insieme o parte delle idee del Fn”. Soltanto una infima minoranza (ex - elettori del Pc) invoca “risultati nel campo della disoccupazione
giovanile” come uno dei fattori suscettibili di indurla a modificare il proprio punto di vista. Infine, ultima osservazione, gli elettori Fn, che vivono duramente la crisi, non si aspettano molto dal futuro. Il pessimismo domina, anche nel caso vincesse il Front national. “La faccia nascosta dei militanti del Fn” : questo il titolo del settimanale Le Point , mentre Philippe Mchet, responsabile delle analisi politiche alla Sofres, la società di ricerca con la quale è stata svolta l'indagine, ne evidenziava la lezione di fondo: “Ciò
di cui questa gente ha bisogno è, prima di tutto, un legame sociale”.
Ascoltare questi elettori rischia talvolta di diventare doloroso. L'Associazione delle città del dipartimento Seine - Saint - Denis, committente del documentario, ha preso spunto dall'idea che “si combatte bene solo ciò che si conosce”. Resta da capire come mai questa realtà banale, che abbiamo percepita da tempo in occasione delle nostre ricerche, sia così poco nota, per non dire occultata dai media. Quasi non riuscisse a risalire, o ben poco, la catena gerarchica dei partiti, dagli eletti locali fino ai responsabili nazionali. Il Front national chiama in causa i partiti politici assenti sul campo, si nutre con il vuoto e le carenze di “proposta politica”. Come spiega un militante al termine della proiezione: “Questa gente è stata scaricata, con tutti i suoi problemi. Non sa più in
quale società vive. Aspetta che i politici le spieghino quale sarà il suo futuro, ma non vede arrivare nulla”. Tutti quelli interrogati si dicono non razzisti. Essi non hanno “nulla a che vedere con
i nazisti che fanno vedere alla tv”. Uno di loro, di origine beur (giovani magrebini di seconda generazione, nati in Francia), che voleva quasi votare per il Front national e che forse lo farà, afferma: “Nel Fn, ci sono idee che meritano di essere esaminate da
vicino, come, ad esempio, il controllo dell'immigrazione”! Il cerchio si chiude ...
Note: (1) Le Monde, 31 ottobre 1995. (2) Al secondo turno delle elezioni municipali del 1995, il Fn ha ottenuto il 37,2% dei suffraggi a Tolone, il 45,93% a Orange e il 37,27% a Marignane. (3)La lista Fn ha vinto con il 52, 04% dei voti. (4) Jean Viard, “Le Sud Est, banlieu de l'Hexagone”, Le Monde, 21 giugno 1995. (5) Create dalle municipalità precedenti, hanno addirittura raddoppiato i loro organici dopo l'arrivo del Fn. (6) Willialm Sheridan Allen, Une petite ville nazie, Robert Laffont, Parigi, 1967. (7) Alain Rollatt, “La prevue par Vitrolles”, Le Monde, 11 giugno 1986. (8) E'tienne Balibar, “Esiste un "Neorzzismo?", in Immanuel Wallerstein - E'tienne Balibar, Razza nazione classe, tr.it., Edizioni Associate, Milano 1996, pp. 31 - 45 (in particolare p. 36). In termini molto simili, Avery Gordon e Christopher Newfield parlano di un “razzismo liberale”, caratterizzato principalmente da “un atteggiamento antirazzista che consiste nel sostegno dato a iniziative razziste”; “Whithe Mythologies”, Critical Inquiry, 20, n 4 (estate 1994), pp. 737 - 757 (la citazione è tratta da p. 737). 9) Ètienne Balibar, “Esiste un Neorazzismo?”, cit., pp 36 - 37. 10) Walter Benn Michaels, Our America: Nativism, Modernism, and Pluralism, Dike University Press, Durham 1995: e “Race into Culture: A Crirical Henealogiy of Cultural Identity”, 18, n. 4 (estate 1992). Benn Michaels critica una tipologia di razzismo che emerge in una situazione di pluralismo culturale, ma lo fa in un modo che sembra sostenere un nuovo razzismo liberale; si veda, a questo proposito, la critica acuta che gli viene rivolta da Gordon e Newfueld in “White Mythologies”. 11) Gilles Deleuze - Félix Guattari, Mille piani: capitalismo e schizzofrenia, Istituto della Enciclopedia italiana, Roma 1987, cit., vol. I, pp. 258 - 259. 12) “Di fatto la negritudine sembra essere la battuta in levata di uno sviluppo dialettico: l'affermazione teoretica e pratica della supremazia bianca è la tesi: la posizione della negritudine come valore antitetico è il momento della negatività. Tuttavia, questo momento negativo non è in se stesso sufficiente, e questi neri che se ne servono lo sanno benissimo; essi sanno, cioè, che il suo scopo è preparare la sintesi,
ossia la realizzazione dell'essere umano in una società senza razze. Pertanto, la negritudine esiste in vista del proprio superamento; è un momento di passaggio, non un punto di arrivo, è un un mezzo e non un fine” Jean Paul Sartre “Black Orpheus”, in “What Is Literature? and Other Essays”, Harvard University Press, Cambridge, Mass. 1988, cit. p. 327. 13) Pur non essendo questa la sede dove esaminare la genealogia della concezione di sovranità dalla prospettiva del colonialismo è bene tener presente che, sin dall'inizio, la crisi della modernità è stata in continua e profonda relazione con la colonizzazione e la subordinazione razziale. Se al suo interno lo stato - nazione e le strutture ideologiche che lo sostenevano si muovevano senza posa lavorando alla creazione e riproduzione dell'integrità etnica del popolo, al suo esterno lo stato - nazione è una macchina che produce gli Altri, erige barriere e crea differenze razziali che sostengono e delimitano il soggetto della sovranità moderna. Queste barriere e frontiere servono, piuttosto, a regolare il duplice flusso tra l'Europa e l'esterno e, quindi, non sono impermeabili. Gli amerindi, gli africani e gli orientali sono soltanto alcune
delle
componente
indispensabili
alla
costituzionalizzazione
negativa
dell'identità europea e della sovranità nel significato moderno. Per l'Illuminismo l'Altro
dalla
pelle
scura
costituisce
un
punto
nevralgico
della
sua
costituzionalizzazione, così come la relazione produttiva con il “continente nero” è il dispositivo di funzionalità costituzionalizzante europeo degli stati nazione. La conflittualità razziale che è propria dell'Europa è indicativa di uno dei sintomi che caratterizza la sovranità nel suo stato di crisi permanente. Nei confronti della modernità le colonie sono in opposizione dialettica, come un duplice irriducibile e necessario antagonismo. La sovranità coloniale si rivelerà, tuttavia, come uo dei tentantivi falliti di risolvere la crisi della modernità. 14) La nozione di “moltitudine” sociale è molto diversa da quella di popolo. Scrive Hobbes, nel XVII secolo, rendendosi conto di questa differenza: “E' contrario al governo civile e, in particolare, a quello monarchico, che gli uomini non distiguano bene tra popolo e moltitudine. Il popolo è un che di uno, che ha una volontà unica, e cui si può attribuire un'azione unica. Nulla di ciò si può dire della moltitudine. Il popolo regna in ogni stato, perchè anche nelle monarchie il popolo comanda: infatti, il popolo lo vuole attraverso la volontà di un solo uomo (...) il re è il popolo”. La nazione può soltanto mascherare ideologicamente la crisi, differendone e spostandone gli
effetti. E' il carburante che alimenta la storia, il “genio” che muove la storia: la nazione sostiene la sovranità perchè la anticipa. L'origine vera della sovranità e del potere politico è nella vittoria di una parte sulle altre, che rende la prima sovrana e le altre suddite, schiave. La violenza e la forza creano la sovranità. La pienezza del potere o, meglio, la “plenitudo potestatis”, sostiene le determinazioni fisiche del potere. Questa è l'essenza vera dell'unità e della pienezza del potere, perchè se l'unità dipende dall'unione di tutti i numeri, che assumono forma e vita se non dall'unità, il sovrano non può dar forma e vita al suo potere in tutte le sue membra. Questa è la cerniera su cui ruota l'impalcatura teorica della sovranità, perfezionandone la sovranità territoriale nella sua esperienza. La nazione anticipa la sovranità e il risultato è comunque la coercizione, che si tratti di governi oppressivi o di filosofi illuminati che il sovrano sia il re o il popolo. C'è una testimonianza “esplosiva” di tutto questo: la “filosofia dell'immanenza” di Spinoza: la “democrazia della moltitudine” come forma assoluta della politica. Il passaggio nevralgico di Hobbes è formato da un contratto, ed è un contratto implicito che precede qualsiasi scelta sociale e azione, con il quale i poteri della moltitudine sono trasferiti a un potere sovrano che la domina e la sovrasta. Per Hobbes, dunque, la sovranità viene definita al medesimo tempo dalla trascendenza e dalla rappresentanza, collegando la nozione di sovranità in un dispositivo contrattuale della rappresentanza con cui vene legittimato, ad a priori, il potere sovrano. E' questo l'atto di nascita della concezione moderna di sovranità nel suo stato trascendentale di purezza. Il contratto dell'associazione è interno e inscindibile dal contratto di soggezione. La teoria hobbesiana della sovranità è un dispositivo di funzionamento necessario della monarchia assoluta e, nonostante ciò, lo schema trascendentale hobbesiano del dispositivo si può egualmente applicare alle altre forme di governo: dalla monarchia assoluta alla monarchia costituzionale, dall'oligarchia alla democrazia. Non è un caso che il repubblicanesimo moderno di Jean Jacques Rosseau somiglia al dispositivo hobbesiano. Il “contratto sociale” di Rosseau, che è il dispositivo di funzionamento che garantisce e tutela l'accordo fra le volontà individuali, viene sublimato e sostenuto nella costituzionalizzazione della volontà generale, che trae origine e nasce dall'alienazione delle volontà singole in favore dello stato. Dalla prospettiva della sovranità,
cioè
come
modello
di
dispositivo
della
sovranità,
l'
“assoluto
repubblicanesimo” di Jean Jacques Rosseau non è, nella realtà, diverso dal “Dio in
terra” di Hobbes, ossia - dal “monarca assoluto”. La nozione di Rosseau di “rappresentanza diretta”, in particolare, risulta completamente in distorsione e questo comporta, in ultima analisi, che tale nozione viene mangiata e digerita dalla rappresentanza della totalità e questo conferma, come dimostrato, che essa risulta compatibile alla perfezione con la concezione hobbesiana della rappresentanza. Le forme democratiche, popolari e plurali, potranno anche essere proclamate, ma la sovranità moderna presenterà per sempre una sola configurazione politica: un unico potere trascendentale, e solo e soltanto “nella modernità il diagramma disciplinare diventa il diagramma della sua stessa amministrazione”. Donna Hareway, per esempio, quando si batte per la necessità di demolire gli ostacoli che sono stati eretti tra l'uomo, l'animale e la la macchina conduce avanti, ai nostri giorni, la battaglia combattuta da Spinoza trecento anni prima. 15) Il campione è stato scelto sulla base di una indagine preliminare condotta da due consulenti - giornalisti, Gilles Trichard e Phlippe Meunier, in dieci città rappresentantive del panorama politico del dipartimento. Oltre 300 persone sono state contattate, di età, sesso, professione e situazioni diversi: 8é di esse hanno alla fine dichiarato di aver votato o di aver fermamente intenzione di votare il Fn. Il campione rappresenta tutte le tipologie d'origine degli elettori Gn: ex - Rpr, ex - Udf, ex Ps, o ex Pc. Tutti gli intervistati hanno risposto a queste tre domande: “...1) Racconti il tuo intinerario politico. Come è giunto a votare il Fn; 2) Cosa potrebbe spingerla a cambiare il suo voto ? ; 3) Come vede il futuro entro 4 - 5 anni ? ...”.