Viaggio in San Pietro

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FRANCO SIMEONE

VIAGGIO IN SAN PIETRO



FRANCO SIMEONE

VIAGGIO IN SAN PIETRO

In copertina: Interno della Basilica di San Pietro, Roma ( Foto di F. Simeone)



Nota dell’autore <<Viaggio in San Pietro>> è un poemetto “sperimentale” di matrice neoespressionista. Intentendo, con neoespressionismo, la coscienza rinnovata degli strumenti, delle motivazioni e delle finalità di un lavoro, e del suo carattere storicamente determinato. La scelta del genere “poemetto” ( in accezione non chiusa , ma aperta e stratificata) si muove nella dinamica di un movimento di pensiero, di idee e di ricerca che si dispiega in una misura di ampio respiro e che procede per strette sequenze concatenate di tipo combinatorio e metaminico. Viaggio in San Pietro sul versante dalla tradizione neoespressionista europea attinge e ribadisce il rifiuto della convenzionalità linguistica comunicativa ed estetica; e,su altro versante (quello filosofico), attinge e muove, sulla scia di alcuni frammenti esposti nell’Angelus Novus di Walter Benjamin , l’intento critico di accostare e coniugare la deformazione del “segno” alla sfida e al rovesciamento dei valori ideologici e comportamentali delle società postmoderne del capitale


del capitale postmoderno o informatizzato con uno spirito trasgressivo, straniante e disarmonico. Una scrittura, quindi, pervasa da una cifra di “ragione straniante” che vuol richiamare il lettore a riflettere, a interrogarsi e a prendere posizione su ciò che essa dice o sottende. A questa scelta di campo fa riscontro un linguaggio teso, privo di effetti melodici , sinfonici, costruito per modulazioni paratattiche: un linguaggio che oltre a dare riscontro oggettivo alla matrice neoespressionista, si allaccia anche, in più punti, in totale autonomia, al filone espressivo dei “poeti pensatori” di ispirazione materialistica, facendo pensare ora a Lucrezio, ora all’ ultrafilosofia dell’ultimo Giacomo Leopardi (della Ginestra) per vicinanza teorica, di materialismo ateo e integrale, e per scelta di lingua di pensiero e senza canto, ora a Vladìmir Majakovskij (L’uomo, La guerra e l’universo, Amo, La cimice) per vis polemica sotto forma di disputa dialettica. Sul piano tecnico della versificazione sono incline al “ritmavo le mie poesie mugolando” di Cesare Pavese da cui ho tratto la convizione che il verso libero non ha né metro né rima, ma ha in qualche modo delle sorte di regole idiolettali che impongono un certo


respiro indipendente dal respiro semantico. In Viaggio in San Pietro si narra, a livello immediato di lettura, una visita nella Basilica di San Pietro, a Roma. Nell’intinerario nella chiesa di San Pietro mi sono avvalso della facoltà di seguire il percorso tracciato da Federico Zeri nella cura alla prefazione delle immagini della Mulas ( Antonia Mulas , San Pietro, Einaudi Ed., Torino, 1981), Nel testo Primi movimenti con “muto concerto in fa basso calante e si be molle due calante” ci si riferisce al diapason delle campane. Ho ritenuto doveroso citare, nel testo, Bertel Thorvaldsen (unico artista non cattolico ad aver lavorato per la basilica di San Pietro) autore della tomba di Pio VI. Nel testo La contraddizione generale è dato un richiamo a Dionisio (connesso con l’elemento dell’acqua) senza uso diretto dei frammenti greci dei misteri, né con intento irrazionalistico, ma con intento relativo al rapporto con il naturale e al senso panico (rinascimentale, già del Tommaso Campanella del << De sensus rerum >> che sostiene un certo animismo della materia prima del rigore spinoziano).


La definizione del Cristo, disegnata nelle lineee tematico—scritturali di Veronica , è di stampo hegeliano (e non marxiano duro), anzi con un tocco “neomarxista”. Le due citazioni corsive in Tornano cori di chiesa con echi sono di un frammento di madrigale di Giovanni da Cascià del 1353 e quindi di un mottetto francese del Duecento. Il pezzo Papi e imperatori nasce sulla scia di una intervista rilasciata da Jaques Le Goff che riguarda, peraltro, anche il papa Giovanni Paolo II. E’ chiaro, credo, il gioco sottoso a Invettiva spedita ad ogni mito è l’indignazione. L’indignazione è certamente una musa del canto: indignatio facit versus si trova presso Giovanale, come presso il Belli. In Viaggio in San Pietro ho lanciato uno sguardo alla robotica, e alle nuove tecnologie trattate, però, come strumento di potere. Penso, forse non a torto, che si deve distinguere nettamente (e alcuni versi qua e là ne sono precisazioni) fra il capitalismo col suo modo di


che (per Immanul Wallerstein, risale al Quattrocento—Cinquecento) e l’industria (intendendo questa come organizzazione di lavoro, e così definita quando accenno del trattamento primordiale del ciottolo, che dà la formazione pratica e tecnica umana, anzi decide la figura del corpo) e il capitale postmoderno o informatizzato con l’idea del “lavoro immateriale”, cioè di come sempre meno il lavoro riguardi la materia e sempre più il pensiero. Nel testo Viva la “moltitudine” sociale si scampa, a Roma stessa, esaltando la radice etnica italiana meticcia, mescolata, ibrida.



L’uomo libero a nessuna cosa pensa meno che alla morte; e la sua sapienza è una meditazione non della morte, ma della vita. (…) Non si dà nulla nella natura che sia contrario a quest’Amore intellettuale, ossia che lo possa distruggere. Baruch Spinoza, Ethica ( parte IV prop. LXVII e parte V prop. XXXVII ).



Primi movimenti

Un ragazzo, dolce forte,o il pilastro col proprio ricciolo:mi guarda, come io sono. E altri più svelti giovani riguarda scherzanti, sulla scale. Io salgo al tempio, al vecchi mondo, vedo muti concerti in fa basso calante e si be molle due calante,misure, statue, Bernini, Michelangelo, Bramante, Canoa, Filarete, Thorvaldsen... E penso. In principio era il buco. Tanto è cresciuto il verde dirupo folto di ginepro che tutto è statico, non nel sud restio ma al centro, Roma. Non solo c’è la gente istruita come in processione, con i cappelli puliti, fra Pietro e Paolo; né solo trombe trombette e fulmini si ascoltano fra i pedoni, le masse, i podisti, e i ragazzi. Né camminano i militari in un correre enorme di foga ordinata, contro natura, come già nei secoli. E’ intasato dal dio, dal produttore,


è un parcheggio il progresso in automobili Toyota, Honda, Fiat, Alfa Romeo, Ford, Kia .... Resta l’attivitĂ , nei corpi mortali, di cellule evolute e percezioni e giochi di lingua: dove sono i linguacciuti italici, campioni ?!?...


La contraddizione generale

Il Vaticano sta sul mancamento puro. L’esperienza che è strana non scandaglia. Ha legale il latino e il dente falso: l’eco all’ingresso canta il buco e il vuoto, mentre è parato con distese d’ori e bronzi. Tra le colonne, nascosto Dionisio l’umido ha il volto che guarda, soffia sugli squilibri, la turbolenza. Leggo a nome tale un papa grosso in medaglione: lo scambio con gli opposti, Dionisio e Mitra, coi dèi beceri , qualcuno occorre, ormai. Cado nel gioco. E qui si frusta il vivo e passionale, quello che pulsa, e la ragione e il fiume, mai lo stesso, il mare. Qui pensare o godere armati della critica per l’edonismo cirenaico o epicureo è l’incontrario, o anche giocare il corpo in uno spazio. E i remi muovere attraverso,


i gorghi brevi, e andarsene... O entrare a salto… E fusi con il più cercare il fondo... L’estate è svanita, ma goduta. Giunge negli occhi un coro, qui a dire che sostanza non si ottiene e il passivo è maggiore. Con un altro bilancio resto al buio, nel centro originale dove si è dato il verbo, il nome come valore, è chiusa la natura.


Dinanzi alle statue di donne

Son belle le pile dell’acqua che dentro stagna. Cala una colomba sulla folla dei corpi in preda a l’oppio dei popoli. Simboli appone un tizio incappellato. Dalla magna cattedra penzola un lembo ritorto, ossesso. C’è un fascio di luce che penetra ma non ricorda la rapida del sole. Qui sagge o demoniesse fra le arcate le donne ammirabili passano... Santa Lucia con aria di tragenda… L’Intrepidezza… Una Santa Luisa a bocca increspata, dolcissima… La mistica Teresa d’Avila e la freccia, invasione d’amore nel cavo, e nel seno… Su questo vaso, il comando del maschio presente col suo peso non può niente. Il vaso è forte come estate, e vale.


Veronica

… E da un pilastro Veronica si eleva a dire il vero. Reca la traccia della faccia del Cristo ucciso dal potere. E come trasformata in voce attiva, le denunce mantiene contro Roma che è la carta, il segreto e la legione. E questa faccia del maestro, l’etico che con l’analisi rovescia il tempo è faccia d’uomo di rottura interiore, implacato con il fuori. E’ viso soffrente di un eretico che i calci ha saputo in anarchia. Veronica ha il sudario sventolante nelle mani, avversaria dei potenti: i nomi, gli astratti, i macri, impero e chiesa, cifre e capitale . Qui la ragione silenziosa e piena ch’è femminile tace, e così parla.


Tornano cori di chiesa con echi

Tornano cori di chiesa con echi. E a modo mio sussurro un testo antico: “per un gran sire in bel giardino adorno di bianchi gigli di sotto e d’intorno”… Ma così non accade. Mai si vide !... Poi senza gioco penso, e sussurro: “Dieus ! Je ne puis la nuit dormir, Rien ne puet ma grant folie destorner”… E uso un’altra lingua, il francese, che non serve. La salvazione media è data ripetendo, quale qui passa o degli anni viene alla memoria di ragazzo la litania, lo slancio in forma di catena: “ Vas electum. Vas honoris. Vas celesti gratie. Vas provi sum. Vas insigne. Vas excisum”… E’ la materna terrena fortezza e materia. Il male è il sogno invece, il sogno che lo spirito sia il vero e che sia nome puro, e puro nome.


Invettiva spedita ad ogni mito

Intorno il logos ch’è divino sta a ripetersi stridulo, cigolante. Incalzano i beati in teoria e i veggenti, a frotte, sorveglianti, stretto crinale. Le loro qualità grandeggiano, così dicono. Giovanni di Dio è bello come divo fra sequele di fanatici e mendicanti. E’ Bruno medio e rasato vaticinante con garbo e fastidio. E’ sottile Pietro di Alcantara con piselli di corda e croce e libro immane, reticolo e teschio. Ignazio è ghigno acuto, voltola chioma che spira regolamento in forma d’invenzione. Un leone è animale ceco con solo gengive. E i buchi nei cieli sono segni trionfanti. Come nuca tra le colonne ad elica del baldacchino viene un Pio, cranio e voce di un tondo pronunciato, che pregando ha l’impero. Ha livore un altro Pio recente a mano dettante senza orazione,


enorme di orpello sul carattere tristo tipo di occhialuto moderno. Insorge a contrasto con lui il sollievo unico dispensando una forma di baldracca con baschetto, dalla canonica : lei porge orgasmo a nome di caritĂ . L’offre serena. Ma la Giustizia ha vesti distorte e fa giustizia e festa travolgendo la bacca, i fori, le tende, le magagne, gli alberi, i fiori. Viene schiacciato il mondo come turibolante ingenuo genere umano. Va sotto i manti la parola del vuoto, con la porta ch’è chiusa, con il numero di legge fissa, a parete dinanzi ai mali.


Papi e imperatori

Usciti dal portale di chiesa, allo splendore l’aria di fuori non ariosa sembra. Là si affaccia il comizio con il diadema del pescatore di bianco vestito. Malaticci italiani giungono alla sedia nel blocco di parti, frequente. E’ pericolo un papa, dopo un gerarca . Per un bel delitto, non a sparo, manca un eletto sbagliato, fanciullesco, e sale il campione di fede con stretta dottrina che oggi regna, e canterella e disputa. E bacia la terra, scendendo a passeggio sulle distese di poveri. Il matrimonio ha sacro, il sesso al suo posto. E ai vescovi latini impone gli incensi... Le storie toglie di scomparsi e di fame. All’indietro torniamo, all’altra età ?... Ma l’automobile al papa è cara in latino, italiano, tedesco, polacco, americano, giapponese, cinese, spagnolo, arabo... L’analisi si mescola di avvenire e di prima:


come fatto inevitabile nei documenti, e tale si elabora il mutamento che la fabbrica svuoti: si assemblano pezzi ovunque prodotti, senza file di proletari. L’immaginario sceglie la spada e la saga. E un allungato salto si prepara con pannelli operanti e schermi familiari. Controllati per schede, niente giochi , c’è un no ? Che resta a noi ?...


Sul nominalismo Se le strutture sono segni, e i fatti nell’esperienza non danno conferma, in questo campo non decide il verbo: ma da logici e sofisti, o da scettici, il reale è in questione. Altro il sapere di chiesa, che ribatte il basso, i ribelli, gli astri, le materie mutanti… O c’è una affinità fra le barre, tra gli scarti di percezione del vivo… E nel duemiladieci può stupire lo spettacolo di cerimonie forse con preziosi uniformi e paramenti, con belvedere, cappelle e stanze ? E’ solo la prova che tutti i numeri ha chi regge la banca fruttuosa del compenso ai delusi di storia. E io non sono tale… Rimanga ai delusi di storia, ai carrieristi, e ai più il qui rispondere… E solo il prete ha risorse nei loro disastri...


Viva la “ moltitudine” sociale … Sui larghi e i vicoli i mercati sorridono del terrestre: peperoni, cipolle, angurie, sostanze, pere, zucchine, pomodori, colori ... E’ visione eccellente, i grumi scioglie. A frequentare gli strati degli italiani, degli umani, il dio si dimentica e la figura staccata dal senso. Zac e tric, tret e blablà e mille o berlo… Vociacce o vocette tali, il gutturale e il sennato o il dolce, ripassando per la rabbia sull’ente e l’esistente, vivono, arrivano. Dal suono del cibario si va al gorgoglio al sesso, ecco il parlato, è la babele di “molti “ pacifica più vecchia della Roma vecchia vecchia. Latini e Falisci, e Volsci e Equi


nel Lazio vero di nord e di est, di sud e di ovest... Poi l’umbro e l’osco, i Sabini... Marsi e Peligni, giunti dal Fucino fondale arcaico abitato da caverne … I Petruzi e i Picenti, presso Ancona; Maruccini e Vestini, c’è Pescara; e Campani e Sanniti tutti ai golfi, Frentani nel Molise, poi Lucani, Salentini e Pugliesi e altri colori, i Bruzi nelle selve di Calabria, i Sicani e i Siculi, i Sardi e i Corsi ... Oh,quante forme di nasi ! Quante lingue !... E improperi diversi e fuochi identici … I greci servono un ostrogoto termine, i liguri una strizza di limone per delizia: e la ventraglia è buona in bocca e ha sapore di padre, madre,o merce a rivoli. E i toschi, i galli e i giuli sono tra i tanti parolieri i divi. Ecco gli italici, i figli di omniade africano diffuso, nell’origine


spaccatore di ciottoli del fiume. Essi ristavano con palafitta, terramaricoli, tra le paludi, a spiazzi. Asciutti, quindi, e attivi nei campi e nei villaggi con turpiloquio orribile preparano contro chi accumola e chi guerreggia la “moltitudine” sociale sulla terra… Ed è quella che fu sempre fregata alle sue mosse e ridotta nel bagno, fino a qui o all’inferno ch’è rapido dritto, salvate le famiglie con la grazia e messe al popoloso luogo a palafitta. A ritornare a capo.



Appendice

Un grande futuro. Ma il presente ? … Appunti e tendenze di ricerca sulla modernità : << Potere e secolarizzazione. Le categorie del tempo >>.

Tre concetti della modernità possono essere posti in discussione: progresso, liberazione e rivoluzione. Il movimento di idee di pensiero e di ricerca che ha per oggetto questi tre concetti della modernità si configura come una diagnosi del fenomeno della “ temporalizzazione della storia”, consistente nella crescita del fattore tempo nella modernità. Il senso del discorso si afferra,in pieno,se si ricorda Ludwig Wittgenstein quando afferma che: << La nostra Zivilisation è caratterizzata dalla parola Progresso >>. Sul fondamento di queste premesse si può porre in discussione tutta la filosofia del progresso e, quindi, della liberazione e della rivoluzione sulla quale


L’universo di discorso di pensiero e di ricerca prende le mosse con il termine << Secolarizzazione >> o, se si vuole, << discesa >> (Max Weber, Karl Lowith) del bene eterno nella vita terrena, o secolo. Per molti versi, il termine Secolarizzazione si può articolare in modo più ampio e, conseguentemente, si ha la facoltà di svilupparlo fino in fondo ponendo, così, a nudo quella filosofia della pianificazione del futuro mediante un disegno di bene eterno che ha invaso il presente e lo ha annullato, annichilito. Il presente viene sacrificato dalla prassi umana che estende il tentativo di dominio dalla natura alla storia. La progettazione, la futurizzazione e l’accelerazione consumano, così, il presente, che è sempre tempo perduto o mai vissuto, se non come tempo di sacrificio: sacrum facere , compiere un rito sacrificale. E il rito sacrificale, come si sa, è sempre un rito cruento. La riflessione (ri)conduce non solo al tempo perduto di cui parla Marcel Proust, che è il tempo presente, ma anche al tempo e alla sorte toccati a noi tutti nella modernità: una consumazione, una dissipazione, del presente, nell’orizzonte della realizzazione di un disegno di perfezione nella storia, posto sempre al di


L’annichilimento del presente non conduce alla liberazione, al regno eterno nella vita terrena, ma al sacrificio dell’esistenza stessa e delle esistenze individuali. Non si cerchi qui, in questi brevi appunti e tendenze di ricerca sul moderno, un risvolto positivo e consolatorio … Da queste argomentazioni si tre la convinzione che una critica della filosofia del progresso sia intanto essa stessa un recupero del presente: di un presente sottratto alla cruenta schiavitù del superare, del continuare a crescere verso “mete del tempo”, della quale ha parlato Elias Canetti .



Indice Nota dell’autore Primi movimenti La contraddizione generale Dinanzi alle statue di donne Veronica Tornano cori di chiesa con echi Invettiva spedita ad ogni mito Papi e imperatori Sul nominalismo Viva la “moltitudine” sociale Appendice Un grande futuro. Ma il presente ? … Appunti e tendenze di ricerca sul moderno : << Potere e secolarizzazione. Le categorie del tempo >>.


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