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all’Opera

Volti e storie dai cantieri della ricostruzione aquilana



Saluti del Presidente di ANCE L’Aquila

È una iniziativa che ci ha conquistato subito, quella del Presidente Giovani Pierluigi Frezza, di realizzare un libro sull’aspetto più sconosciuto della ricostruzione, quello umano. Un progetto realizzato con entusiasmo ed una lungimiranza che guarda ad un presente che già si fa storia. I giovani costruttori aquilani hanno vissuto prima il dramma del sisma come cittadini e poi, molto precocemente, una durissima palestra come imprenditori edili in un contesto di concorrenza fuori dall’ordinario. Dimostrano ogni giorno di essere all’altezza della sfida, non solo per competenza, ma anche per sensibilità e visione. È anche questo che, in un certo senso, il volume racconta. Buon lavoro, ragazzi. Gianni FRATTALE

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Introduzione del Presidente del Comitato ANCE Giovani L’Aquila

Mai come nel cratere sismico aquilano si era visto, a popolare le vie di una città storica, un tale esercito di imprese, con le sue maestranze, i suoni, i mezzi meccanici, le voci, la polvere. Una tra le più grandi opere di ricostruzione si sta svolgendo dietro il sipario dei ponteggi e dei teloni da cantiere che celano, fino all’ultimo atto, il complesso e prezioso lavoro di recupero di monumenti e abitazioni. All’ufficialità restano i numeri e le statistiche degli osservatori. Chi si incammina oggi, nella fase più viva della sfida, vede tra pochi palazzi tornati a nuova vita, una città fasciata da veli e impalcature, dove tutto brulica e vive al di fuori dello sguardo. Una città invisibile che potrebbe essere stata inventata da Calvino. In questa città transitoria i protagonisti, le ombre che si muovono dietro i teli delle impalcature, rischiano di restare sconosciuti. Come per il teatro, dove resta in mente il nome del regista e degli attori, mai del macchinista, dell’attrezzista o del capocomico. Per questo abbiamo deciso di alzare il sipario e presentarvi, in occasione della ricorrenza della festa del lavoro del 1 maggio 2016, alcune delle facce e delle storie scelti nel campionario variegato di chi ci mette ingegno e sudore per restituire normalità e bellezza alle nostre vite: operai e tecnici di cantiere.

L’ultimo anello della filiera edile indispensabile per trasformare un’idea in materia e forma. Nelle zone rosse di questa terra di gru transitano uomini e donne di tutte le province d’Italia, colori di tutti i continenti, una babele di lingue e identità che sta positivamente contaminando i saperi e le esperienze. In questo volume abbiamo, però, voluto fotografare la fierezza e la passione dei lavoratori locali perché non sfugga la sapienza delle nostre maestranze e delle nostre imprese che spesso si sono fatte le ossa su altre ricostruzioni in Italia e all’estero. Si tratta di migranti di ritorno avvezzi a materiali, tecniche e tecnologie modernissime e imprenditori che, rischiando ogni giorno, muovono le economie dei territori. L’omaggio va, quindi, a questi eroi della fatica e al loro umile stupore davanti all’obiettivo e alla penna che per qualche minuto li hanno voluti protagonisti, prima di riscomparire nel rumore di fondo e tornare, come ogni giorno, all’Opera.

Pierluigi FREZZA

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I protagonisti della ricostruzione A sette anni dal terremoto del 6 aprile 2009, solo nel centro storico dell’Aquila, sono aperti centinaia di cantieri. Spesso della ricostruzione si parla solo in riferimento al suo lato finanziario o per sottolinearne gli aspetti critici. Così facendo, però, si dimenticano le migliaia di operai e tecnici che, ogni giorno, vengono impiegate dalle imprese per mettere le mani su pietre, ferri e mattoni, con l’obiettivo di ritirar su la città. Un’opera immensa, collettiva, unica. La città come verrà vissuta per i prossimi secoli sarà stata rifatta da questo silenzioso esercito di lavoratori, piccoli grandi protagonisti spesso relegati nell’ombra. Quella che abbiamo voluto mettere a fuoco con questa pubblicazione, pertanto, non è la Ricostruzione con la maiuscola ma la ricostruzione con la “r” minuscola: quella di tutti i giorni, poco celebrata e anzi spesso dimenticata. Quella portata avanti da capocantieri, geometri, architetti e ingegneri che lavorano in prima linea, sul campo, e dalla manodopera che vediamo passeggiare, sporca di polvere e di fatica, per il centro storico all’ora della pausa pranzo. La realizzazione di questo libro è stata possibile grazie al contributo di alcune ditte aquilane, aziende dalla storia spesso pluridecennale che stanno materialmente contribuendo a riportare L’Aquila alla sua antica bellezza, quella che abbiamo

conosciuto fino al 6 aprile 2009. Sono imprese che stanno dando lavoro a centinaia di tecnici e operai provenienti dal territorio o che sono arrivati da fuori. E chissà che non siano proprio loro gli abitanti dell’Aquila del futuro. Tutti insieme si sono messi all’opera per ricostruire la città. Nelle pagine che seguono leggerete le storie e vedrete i volti di chi L’Aquila la sta ricostruendo giorno dopo giorno, pezzo dopo pezzo. Sono storie raccontate direttamente dalla viva voce dei protagonisti, raccolte durante un viaggio durato alcuni mesi che ci ha portato in quattordici diversi cantieri, dislocati tra il centro, la periferia e le frazioni. Nel riportarle abbiamo cercato di rispettare l'autenticità della forma linguistica utilizzata dai nostri interlocutori. Sono storie di uomini e di donne, di giovani agli inizi della propria carriera professionale e di navigati professionisti carichi di esperienza. Storie diverse - perché diverse sono le persone e i portati delle loro esistenze - ma accomunate da una costante. In tutti coloro che abbiamo intervistato abbiamo ritrovato non solo la stessa passione e la stessa dedizione per il lavoro ma anche la consapevolezza di essere coinvolti in un processo più grande, di respiro più ampio, uno di quei compiti che non è esagerato definire epocali, il cui raggiungimento è affidato, dalla Storia, solo ad alcune generazioni: far rinascere una città e, con essa, un’intera comunità che si era sentita smarrita e privata del futuro.

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Protagonista: Ezio Lepidi, preposto di cantiere Cantiere: Pianola Luogo: L’Aquila 8


Demolire e ricostruire

“Lepidi Ezio, nato a L'Aquila il 4 maggio 1958”. Si presenta così Ezio, preposto di cantiere. Orgogliosamente aquilano. “Lavoro per Adan Costruzioni oramai da 4 anni. Prima, avevo un'impresa di costruzioni tutta mia. Sono trent'anni che lavoro in questo campo”, racconta. Dirige i giochi, Ezio: “Il preposto di cantiere arriva di prima mattina e organizza il lavoro quotidiano, legge e tiene sotto controllo la progettazione, affida i compiti agli operai. Per dire: ieri, ci siamo occupati delle tamponature. Dunque, abbiamo scaricato i forati, ci siamo attrezzati per il cemento, abbiamo organizzato le lavorazioni”. Niente di eccezionale, lascia intendere. “In vita mia, ho costruito una trentina tra palazzine, villette, bifamiliari, appartamenti. Qui a Pianola siamo impegnati in una sostituzione edilizia: abbiamo demolito il fabbricato e lo stiamo ricostruendo”. Tra qualche mese torneranno a viverci quattro famiglie. “Una lavorazione come questa prende 9-10 mesi di tempo, non di più: sono già tre mesi che siamo sul cantiere, la fine dei lavori, da contratto, è prevista in 700 giorni ma speriamo di consegnare la palazzina prima della fine di luglio”. Le demolizioni e ricostruzioni sono abbastanza semplici, aggiunge.

“Il momento più complicato è la demolizione, in particolare quando, come qui a Pianola, si è vicini ad altri fabbricati. Fatta la demolizione, la ricostruzione funziona sempre allo stesso modo: così come si faceva prima del terremoto, si fa ancora oggi”. E gli aquilani, erano bravi allora e lo sono ancora. “Ne ho fatti una trentina, di interventi come questo”, ribadisce Ezio. “Con questa impresa mi trovo benissimo: è una realtà nostra, aquilana, con operai del territorio”. Adan costruzioni nasce nel 2008: affonda le radici nel gruppo Cicchetti e Cucchiella, che opera da quarant'anni nel territorio aquilano, occupandosi principalmente di edilizia residenziale.

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Nella foto a sinistra La palazzina demolita e ricostruita a Pianola: dove torneranno a vivere quattro famiglie.


Il Protagonista

Nelle foto in alto

"In trent’anni di lavoro, ho costruito una trentina tra palazzine, villette, bifamiliari, appartamenti."

Le impalcature e i ponteggi presenti nel cantiere del nuovo edificio in via di ricostruzione dopo l'abbattimento.


Ora, la seconda generazione di famiglia si occupa di ricostruzione post-sisma. Quanti operai lavorano, in questo cantiere? “Dipende dalle lavorazioni: per il cemento armato ce ne sono 7-8, per le tamponature 4 o cinque, dipende dalle lavorazioni che determinano, quotidianamente, il numero di operai sul cantiere. Per le lavorazioni più specialistiche, invece, abbiamo imprese di fiducia: alcune squadre sono del frusinate, altre aquilane, gli impiantisti per esempio sono tutti aquilani”. Si lavora senza tregua: “Negli anni passati, ci fermavamo un paio di mesi, per il maltempo”, scherza. “Ora, il tempo sta cambiando e, quest'anno,

non ci siamo mai fermati”. Ezio non ha ancora lavorato in un aggregato del centro storico. “Lì, le lavorazioni sono molto più delicate: la maggior parte dei palazzi è sotto vincolo della Soprintendenza e la ristrutturazione è un processo lungo e complesso. Da cittadino, il centro storico mi manca: nessuno poteva immaginare, però, di ricostruirlo in sette anni”. Ci vorrà del tempo. “Sono convinto che si stia ricostruendo bene e che L'Aquila, in futuro, sarà più bella di prima. Ci vuole pazienza”. E rispetto, vorrebbe aggiungere, per chi, come lui, è impegnato in una sfida complessa, eppure entusiasmante.

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Nella foto in basso Adolfo Cicchetti, titolare dell’impresa ‘Adan Costruzioni’.


Protagonista: Nino Tomei, operaio specializzato Cantiere: Vecchio Mulino di Sant’Elia Luogo: Sant’Elia - L’Aquila 12


L’ultima sfida del guru

Lo chiamano il guru. È avanti con l'età ma ancora dispensa consigli, soprattutto ai più giovani e inesperti, perché lui nell'edilizia ci lavora da più di sessanta anni. Dalla metà degli anni Cinquanta, quando le tecniche di costruzione erano diverse e il mondo pure. È Nino Tomei, operaio edile, specializzato grazie a un'esperienza straordinaria che l'ha portato nei cantieri di mezza L'Aquila: “Quelli però dove le case non sono crollate”, ci tiene a specificare. A 75 anni, Nino si ritrova davanti all'ennesima sfida. La ricostruzione post-terremoto e la ristrutturazione di case antiche, come quella che Artedile sta ultimando nei pressi del fiume Aterno, nella frazione di Sant'Elia: un casale del 1700, un vecchio mulino per la macina e la produzione dell'olio di mandorle e noci. Da più di un secolo il mulino è inattivo e fino al 6 aprile 2009 il casale era abitato. Nino, assieme alle altre maestranze di Artedile, aiuterà a ritrovare i vecchi canali di adduzione dell'acqua che servivano alla macina delle mandorle e delle noci. “Cercheremo di capire come funzionava e per quale motivo fu reso inattivo il mulino”, ci dice fiero, mentre guarda con ammirazione la camera a canne, l'intelaiatura di canne di bambù sulle volte: una tecnica

molto antica e altrettanto pregiata, utilizzata per alleggerire il solaio. Nino ne aveva incontrate nella sua vita, neanche a dirlo. Ha lavorato su tutto il lavorabile, ha guardato tutto il guardabile: “Anche se, a dire la verità, nel Settecento ancora non stavo nei cantieri”, sottolinea scherzando. È entrato in un cantiere per la prima volta all'età di 13 anni, nei mesi estivi lontani dalla scuola, con suo zio, il mastro che gli ha insegnato la tecnica e soprattutto la passione per il suo lavoro. Dopo la leva militare è rientrato in cantiere e non ne è più uscito: “È importante disegnare e progettare – racconta – però lo è anche guardare e memorizzare.

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Nella foto a sinistra Una parete esterna del vecchio mulino. Anticamente a fianco all'edificio sorgeva una fabbrica di gessi.


Il Protagonista

Nelle foto in alto

"I ragazzi mi vedono come un padre, mi chiedono consigli. Io oggi mi vedo come quando mio zio, quando ero ragazzino, ricostruiva le case a Roma, subito dopo la seconda guerra mondiale."

Le volte tipiche del casale di Sant’Elia sono state disegnate da quelle che Nino chiama “scienziati veri”, secoli fa, quando risorse e capacità tecnologiche erano più scarse rispetto a oggi.


Sono un artigiano, mi sento come uno scultore che guarda la pietra e sa quale figura può cavarne, è una questione di sensazioni. Dopo sessanta anni di esperienza mi chiedono consigli anche gli ingegneri, perché per me l'edilizia non ha segreti”. Lo sguardo di Nino è fiero e deciso, per nulla stanco. D'altronde, l'artigiano di una volta faceva tutto, ristrutturava tutto, metteva le mani in pasta dappertutto. Una competenza acquisita sul campo, preziosissima nella difficile fase che vive la storia dell'Aquila, con un territorio da ricostruire e una città da rifondare. Nino questo lo sa, e conosce bene la responsabilità che porta sulle spalle negli ultimi anni della sua vita lavorativa. Anche per questo, racconta, è a volte severo con i più giovani. Per responsabilizzarli: “I ragazzi mi vedono come un padre, mi chiedono consigli.

Io oggi mi sento come quando mio zio, quando io ero un ragazzino, mi raccontava delle case che ricostruiva a Roma subito dopo la seconda guerra mondiale”. Il suo è un lavoro estremamente certosino. Una cura dettagliata che utilizza anche con gli attrezzi del lavoro. La “cucchiara”, per esempio, bisogna lavarla bene perché “se diventa arrugginita e rimane sporca, quella non lavora più come dovrebbe lavorare”. Nino dà senso, vita e forma persino agli oggetti. Ma qual è il segreto di sessanta anni di inesauribile entusiasmo in cantiere? “La passione – afferma senza ombra di dubbio – oggigiorno non ci sono giovani con tanta passione, come ne avevo e ne ho ancora io. Mi piacerebbe, prima di smettere, di incontrare un giovane cui trasmettere l'immensa passione che ho per questo lavoro”.

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Nella foto in basso: Il pavimento del piano superiore del vecchio mulino.


Protagonista: Leonella Laurenzi, ingegnere Cantiere: Consorzio Branconio Luogo: Piazza San Silvestro - L’Aquila 16


Una donna tra i cantieri

“Il vicolo delle streghe non ha porte. Un'antica leggenda racconta che sulle facciate della stradina fossero dipinte delle streghe bruttissime: per questo gli aquilani non hanno mai aperto finestre sul vicolo. Speravamo di vederle, le streghe, nella fase di restauro e pulitura degli intonaci, ma non le abbiamo ritrovate”. Il Consorzio San Silvestro guarda la chiesa di San Silvestro, sull'omonima piazza. Di lato, il palazzo affaccia su quel vicolo misterioso, tra le leggende più intriganti che L'Aquila ha saputo raccontare negli anni. “Questo è il primo palazzo della famiglia Branconio, nella fase d'impianto vivevano qui”, spiega l'ingegner Leonella Laurenzi, direttore del cantiere affidato alla Aterno Costruzioni di Emiliano Mililli. “Fino al terremoto del 1703 è stato un palazzo nobiliare, si racconta fosse molto affrescato: il sisma dell'epoca lo ha parzialmente distrutto e, successivamente, non fu mai restaurato ma semplicemente ristrutturato, per ospitare la servitù”. All'inizio del 1800, Leosini scrive di affreschi già deteriorati: “A noi - racconta Leonella - sono arrivate pochissime tracce, rinvenute nel rinfianco di una volta. Stiamo cercando di riportarle alla luce, con l'aiuto della Soprintendenza. Così come stiamo lavorando all'Oratorio dell'abate Branconio: abbiamo

ripristinato la spazialità della stanza che, in realtà, era stata trasformata in un appartamento”. Leonella parla con entusiasmo del suo lavoro. “La giornata del direttore di cantiere non è semplice: faccio continui sopralluoghi nei cantieri dell'impresa, parlo con i capicantiere, organizzo il lavoro, tengo i rapporti con la direzione lavori, sorveglio e controllo le lavorazioni e, alle 17, quando i cantieri stanno chiudendo, torno in ufficio per sbrigare il lavoro amministrativo. È un lavoro bellissimo, certo sacrificato. Un lavoro duro, che richiede energia e forza fisica, tra coperture e ponteggi.

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La Protagonista "Nel 2009 ho chiesto immediatamente di essere trasferita da Firenze: si trattava della mia città ferita dal terremoto e per me era importantissimo partecipare alla sua ricostruzione."


Nella foto a sinistra

Nelle foto in alto

Le volte a botte rinvenute a seguito dei lavori, in una delle sale di Palazzo Branconio.

Nella foto grande uno degli operai dell'Aterno Costruzioni al lavoro sul cantiere. In basso un altro lavoratore si mette in posa durante una pausa.


Ogni mattina, però, mi sveglio felice”. Una donna, in un ambiente ancora molto maschile: “Mi trovo benissimo. È stata dura, comunque: se fossi partita dall'Aquila, come direttore cantiere, forse non ce l'avrei fatta perché la mentalità è ancora un po' limitata. Partendo da Firenze, invece, è stato molto più semplice: ho imparato, mi sono fatta le ossa e, così, tornare in città con una esperienza e una competenza consolidata mi ha aiutato moltissimo”. Dopo la laurea, Leonella ha lavorato a Roma e a Firenze, come direttore di cantiere di edifici vincolati per un'importante società del settore, specializzandosi in restauro strutturale e dell'apparato decorativo. Nel 2009 però, il richiamo della sua città è stato irresistibile ed è tornata a L'Aquila. “La società per cui lavoravo ha deciso di aprire un ufficio a L'Aquila e ho chiesto immediatamente di essere trasferita: si trattava della mia città ferita dal terremoto e per me era importantissimo partecipare alla sua ricostruzione. Non solo. Il mio pallino fisso - fin dall'università - sono le costruzioni in zona sismica che rappresentano qualcosa di molto particolare: abbiamo ancora tanto da studiare ma, con il progredire della ricerca, stiamo andando sempre meglio e stiamo cancellando parte degli interventi di recupero riferibili agli anni '80. In passato sono stati commessi alcuni errori”. “Quando abbiamo aperto il cantiere, ci siamo ritrovati a dover consolidare le murature. Spicconando l'intonaco,

però, non abbiamo praticamente trovato i muri: la situazione peggiore era ai piani superiori, per le canne fumarie e gli scarichi costruiti nel corso degli anni dentro le murature stesse e soprattutto per il passaggio degli appartamenti da un proprietario all'altro che ha determinato continue modifiche interne, con l'apertura di porte senza che venissero chiuse strutturalmente le vecchie. All'ultimo livello, le murature erano ridotte a piccoli pilastri. Sono sconvolgenti i danni causati dal terremoto, così come i danni generati dai rimaneggiamenti successivi”. Murature, consolidamento delle volte, rifacimento delle coperture e dei solai. I lavori procedono senza sosta e riservano anche sorprese: “Facendo le demolizioni preliminari per le lavorazioni successive, abbiamo ritrovato dei piccoli presidi antisismici dell'epoca, tipici del 1600, delle slitte sulle quali poggiavano le capriate delle coperture, libere di scorrere, con un perno che ne impediva movimenti eccessivi”. Si possono ancora vedere. Tra dieci anni, il centro storico dell'Aquila sarà bellissimo, sussurra Leonella: “Non l'abbiamo mai visto come lo vedremo tra qualche anno. Alcuni particolari, alcuni elementi decorativi dei palazzi storici non li abbiamo mai notati, altri ne stiamo scoprendo con il progredire dei lavori e, in molti casi, si sta lavorando alla loro valorizzazione. L'Aquila sarà una città bellissima”.

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Protagonista: Sandro Di Carlantonio, preposto di cantieri Cantiere: Consorzio San Martino Luogo: Via San Martino - L’aquila 20


Un lavoro di squadra

"Il cantiere è come un figlio, per me". Un figlio da crescere, accudire, seguire passo dopo passo. Sandro Di Carlantonio è il preposto del cantiere 'Consorzio San Martino', nel cuore del centro storico dell'Aquila, all'angolo tra via Cascina e via San Martino. I lavori - affidati all'impresa aquilana Edilfrair - sono iniziati nel maggio 2013: durata presunta, 40 mesi. Qui, Sandro segue la realizzazione delle opere, giorno per giorno, "in tutto e per tutto" spiega. "Sono responsabile delle lavorazioni, degli operai, della normativa vigente in materia di sicurezza, della eventuale contabilità, del rapporto con i subappaltatori". Di Carlantonio è aquilano, orgoglioso di vivere da protagonista la ricostruzione della sua città. "In particolare - racconta - quando si chiude una porta, si chiude un cantiere, è emozionante, qualche giorno dopo, ripassare davanti al palazzo ricostruito. Anche pensando a quando, da giovani, tra queste strade trascorrevamo le nostre serate. Certo, è difficile perché rinfreschiamo, ogni giorno, una ferita ancora aperta, quella lasciata dal terremoto del 6 aprile". L'aggregato 'San Martino', in parte, è già stato terminato e sta per essere riconsegnato ai proprietari.

Una soddisfazione certo, sottolinea Sandro, "ma lavorando in centro, oramai, ci si conosce con tutti gli operai e con tutte le imprese e, dunque, ogni cantiere chiuso e ogni palazzo riconsegnato è come se fosse il tuo”. Anche perché, potrebbe non sembrare, ma la ricostruzione del centro storico è un lavoro di squadra. "Abbiamo un piano di coordinamento gestito dal Comune dell'Aquila: per esempio, c'è un piano di interferenze gru, vista la movimentazione, con un ponte radio, numeri di telefono, ogni gruista deve sapere se e quando si sta muovendo un'altra gru.

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Nella foto a sinistra Il cantiere San Martino, nel cuore del centro storico dell’Aquila, all’angolo tra via Cascina e via San Martino.


Il Protagonista

Nelle altre foto

"Il cantiere è come un figlio, per me. Un figlio da crescere, accudire, seguire passo dopo passo."

In alto, le pietre di un antico portale vengono recuperate. A sinistra un operaio mentre sistema il nuovo riscaldamento a pavimento.


E poi, si instaura un rapporto di 'buon vicinato' con gli altri cantieri, d'altra parte siamo tutti qui per lavorare: “se un collega, un giorno, ha bisogno di scaricare o movimentare materiali, attrezzature, mi avverte che magari farò fatica a passare con il camion e, così, organizzo diversamente la giornata di lavoro, e viceversa”. Sul palazzo di via San Martino, un classico edificio del centro storico realizzato con una muratura mista, pietrame e mattoni, “i lavori consistono principalmente nella rimozione degli intonaci, con la rimessa a nudo l'edificio, per poi iniziare il così detto 'cuci e scuci' che non è altro che andare a risarcire le lesioni con mattoni o materiali affini; dunque si procede con il vero e proprio rinforzo strutturale: qui, abbiamo usato reti di basalto per una porzione di fabbricato e fasce in

acciaio per un'altra porzione”. Poi, si torna – quasi – a svolgere un lavoro 'normale', scherza Sandro. “Anche se qui, non si tratta mai di un lavoro normale: quando rimuovi gli intonaci, infatti, trovi sempre qualche sorpresa, un vecchio camino, piuttosto che una canna fumaria che aveva sventrato un muro, oppure piattabande, architravi sopra le finestre eseguiti in maniera molto superficiale”. “I palazzi storici - sospira Sandro - a prescindere dal terremoto, nel corso degli anni avrebbero dovuto essere revisionati, perché eravamo arrivati ad un punto di negligenza e abbandono. Venivano eseguiti lavori di restauro, si aggiustava il bagno, restauravo l'appartamentino ma non si guardava al complesso dell'edificio”. E forse, il sisma del 6 aprile, in questo senso, ci ha insegnato molto.

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Nella foto in basso: Un altro operaio mentre lavora alle mura del palazzo storico.


Protagonista: Lionello Rotelli, operaio Cantiere: Condominio Via Tradardi Luogo: Via Tradardi - L’Aquila 24


Sotto il balcone del Roxy

Una volta, qui c'era il Roxy. L'Aquila, via Tradardi, zona Stazione per intenderci. Al piano terra di una palazzina, oggi in ricostruzione, è stata scritta la storia della movida aquilana. Entriamo in cantiere: le ampie stanze attraversate dai muratori sembrano risuonare, ancora, della eccentrica follia degli anni a cavallo tra gli '80 e i '90. Lì c'erano i bagni, in fondo il bancone. Qui, si ballava. "A quanto ne sappiamo, allestiranno i locali ad uso commerciale", ci spiega Lionello Rotelli, operaio della Edil 2000, da 16 anni. Aquilano, "di Aragno" tiene a precisare. È il 6 aprile 2016, la notte del ricordo alle spalle, la giornata del lutto cittadino. Una giornata particolare, anche sul cantiere. "Non è una cosa bella, lavorare in un giorno così. Ma che cosa dobbiamo fare? Se il sindaco avesse emesso una ordinanza…" È anche un segno di speranza, e di rinascita, però: "Certamente, dobbiamo correre per terminare i lavori nei tempi previsti", sottolinea Lionello. "Per restituire la città agli aquilani". Agli aquilani come lui, come Lionello, orgoglioso di come procedono i lavori nel cantiere più grande d'Europa. "La città, in futuro, sarà molto più sicura".

Lionello e i suoi colleghi stanno restaurando il palazzo, "un lavoro nient'affatto facile, non credere", sorride. L'intervento sul costruito, infatti, comporta molti problemi, legati anche alla organizzazione stessa del cantiere. Sul palazzo sono stati eseguiti interventi importanti a livello strutturale: è stata costruita una platea di fondazione al di sotto del fabbricato, il ringrosso di tutti i pilastri con una nuova armatura che ha rinforzato gli esistenti, così come il rinforzo delle travi, i nodi e i pilastri con fibra di carbonio e fibra di acciaio.

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Nella foto in basso Operaio intento a ripavimentare.


Il Protagonista

Nelle altre foto

"Dobbiamo correre per terminare i lavori nei tempi previsti e restituire la cittĂ agli aquilani."

La posa dei balconi sui terrazzi del condiminio di via Tradardi, parte del quale guarda verso le mura medievali che circondano il centro storico dell'Aquila.


Inoltre, sono stati eseguiti dei rinforzi su tutti i solai, per migliorarne la resistenza, con la realizzazione di pali di fondazione a ridosso di alcuni muri esistenti, per il sostegno alle pareti controterra. E poi, ovviamente, l'adeguamento degli impianti termici, idrici e elettrici, con l'inserimento di pannelli fotovoltaici e solari, nel sottotetto. Tempo di esecuzione, 24 mesi. "Siamo al pieno degli interventi - spiega Lionello - con i due anni che scadono a settembre 2016. In un paio di mesi, però, saremo in grado di restituire il fabbricato agli operai. Dobbiamo correre", ripete. Anche se l'intervento è complicato,

come detto: È stato un lavoro parecchio complicato: meglio abbattere e ricostruire che operare sul restauro. C'è molto più lavoro da fare, ci vuole molta più accortezza". Accortezza, usa spesso questa parola Lionello. La stessa che mostra montando la ringhiera su uno dei balconi, ai piani superiori. A qualche giorno dal balcone crollato al progetto Case di Cese di Preturo: "Qui stiamo facendo il lavoro rispettando i normali tempi di un cantiere. Chiaro che quando hai molta fretta per una situazione eccezionale, aumentano le possibilità di commettere errori."

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Protagonista: Florindo Di Nicola, geometra Cantiere: Via della Parrocchia Luogo: Colle di Roio - L’Aquila 28


Imparando dalla ricostruzione

La ricostruzione è anche un laboratorio di tecniche, materiali, risorse. Con la mole di lavoro in corso su tutto il territorio gli stessi operai e le altre figure, possono apprendere nuove tecniche, aumentare il proprio know how. Florindo Di Nicola nel cantiere è partito da manovale “portando le carriole”, poi si è fatto strada grazie al suo diploma da geometra, all’ impegno, alla voglia di emergere e alla sua curiosità: “Sono diventato un po’ il geometra che tutti vorrebbero perché non so stare fermo e mi piace ancora lavorare con le mani, in mezzo agli operai”. Il suo accento spiccatamente romano rivela in un attimo la sua origine. Ma la vita lo ha portato con la famiglia ad Avezzano ormai da 19 anni. “Prima lavoravo soprattutto nella capitale partendo dalla Marsica il lunedì e tornando a casa il venerdì. Così mi sono perso un po’ la vita con i miei bimbi. Ora che dopo il sisma lavoro a L’Aquila, torno a casa tutte le sere ma adesso i bimbi sono cresciuti…”. “Qui - ammette Florindo - ho ampliato le mie conoscenze soprattutto sui materiali. A Roma era il classico cantiere di edilizia con forati, cemento e finiva lì. Nella ricostruzione invece ho visto addirittura murature esterne a secco fatte in cartongesso, quando io ero titubante sulla cosa. Invece sono nuovi materiali di alleggerimento.

Poi ho visto che hanno rafforzato il ferro e aumentato i pilastri. Ora anche gli ingegneri evidentemente sono più attenti”. Non solo. Florido che ha 46 anni, sotto suggerimento della ditta Equizi per cui lavora, ha preso parte anche a dei corsi di aggiornamento tenuti all’Ance: “L’ultimo - racconta - sulla sicurezza dell’impiantistica di cantiere, su come va fatta veramente. Ho appreso cose nuove, che fino ad oggi davo per scontato. Il corso mi è servito molto perché per i prossimi cantieri so già come operare”.Insomma il capoluogo culturale d’Abruzzo si sta probabilmente confermando tale anche nel campo della cultura edilizia, dopo i tragici crolli del 6 aprile. Per Florindo questo di Roio Piano, dove ci troviamo, è già il terzo

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Nella foto a sinistra L’impalcatura dell’abitazione in ricostruzione in Via della Parrocchia. Sullo sfondo, la collina di Roio.


Il Protagonista

Nelle altre foto

"Quando lavoravo a Roma era il classico cantiere di edilizia con forati, cemento e finiva lÏ. Nella ricostruzione invece ho visto addirittura murature esterne a secco fatte in carton gesso, quando io ero titubante sulla cosa‌"

In alto un momento della vita del cantiere: la posa del materiale necessario per completare il tetto. PiĂš in basso, in primo piano, la pietra che caratterizza il territorio di Roio.


cantiere. Oggi arriveranno i coppi da mettere sul tetto. E proprio il tetto è l’elemento che contraddistingue quest’abitazione, con una splendida vista sulla valle, che è stata demolita e completamente rifatta. “E una bella struttura complessa e lavorata. Questi tetti in legno vedo che vengono utilizzati molto perché sono sicuri in quanto pesano di meno”. Per Florindo l’importante è che si faccia tutto a regola d’arte. Per questo controlla in continuazione gli operai stando tra di loro: “Li controllo ma qualche pecca ce l’ho pure io. Diciamo che i cazziatoni li prendo e li faccio. Ma il cantiere per me deve essere un famiglia in cui c'è armonia. Sì è vero a volte è necessario essere un po’ cattivi, ma fa parte del gioco”. “Con i subappaltatori ammette il geometra – sto con gli occhi aperti e il controllo è maggiore: per esempio sul cemento vedo se mettono i ferri dovuti, che il materiale che entra

in cantiere sia tutto certificato...Non possiamo permetterci che qualcosa non vada”. Per quanto riguarda l'andamento della ricostruzione, Florindo è convinto che si possa fare ancora meglio: “Vedo tanti cantieri, ma tanti altri devono ancora partire. Mi dispiace vedere il centro ancora in fase di ricostruzione. Io mi sarei preoccupato subito del centro per ridar vita alla popolazione e alla città. Le periferie stanno andando bene. Comunque Roma non si è costruita in un giorno, e prima o poi si ricostruirà anche L’Aquila”. Florindo lavora da una vita in edilizia: “L’Aquila è stata una grossa opportunità di lavoro per molti e di lavoro c'è ne e ce ne sarà ancora. Questo lo dico senza speculare sul dramma. Uno viene dove c’è lavoro. Se domani qua non c’è più, vado da un’altra parte. Si fa quello che si deve per portare un pezzo di pane a casa”.

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C O S T R U Z I O N I S . r. l .

Nella foto in basso: Il tetto in legno è sicuramente l’elemento più bello, complesso ed originale che caratterizza la struttura.


Protagonista: Renzo Ioannucci, geometra Cantiere: Villa Palitti Luogo: Roio Poggio - L’Aquila 32


Il gioiello sulla collina

Sulla piana di Roio svetta da assoluta protagonista, in tutto il suo signorile aspetto, Villa Palitti. Una tenuta immensa con più di mille metri quadri calpestabili, costruita a partire dal '700 dall’agiata famiglia Palitti, attiva nella pastorizia e con proprietà anche nel centro storico dell’Aquila a San Marciano. Gravemente danneggiata dal terremoto del 6 aprile, la villa è stata vincolata dalla sovrintendenza e i lavori di ristrutturazione affidati all’Ati di cui fa parte l’impresa dei Fratelli Chiodi. Sono presenti anche zone adibite a stalle dove i Palitti tenevano i cavalli ed altri capi di bestiame. Fuori si trovano dei pozzi per la raccolta delle acque piovane che "già allora" sfruttavano per irrigare il terreno d’estate tramite delle canalizzazioni. Sopra quella che doveva essere una specie di gigante caldaia invece, affianco ad un piccolo forno, è ancora incisa sull’intonaco la data “1848”, che adesso - nel 2016 - coesisterà insieme al nuovissimo riscaldamento a pavimento. Ad accompagnarci in questo intrigante labirinto di saloni, corridoi, sagrestie, affreschi, terrazzi, scale e giardini - tra storia e futuro, tradizione e innovazione - un geometra “di cantiere” attento e scrupoloso: Renzo Ioannucci. “Sono stati fatti lavori di consolidamento - ci aggiorna il

geometra - sopratutto sulla parte a valle che è stata la più colpita dal terremoto con crolli del tetto e dei solai sottostanti. Nei piani inferiori sono crollate anche delle volte: le abbiamo ricostruite e consolidate con dei cerchiaggi di acciaio e interventi con fibre di carbonio. Anche la volta della cappella presente all’interno della villa era crollata: l’abbiamo riportata così com’era all’origine e ora ci saranno da integrare degli affreschi e dei dipinti dell’epoca che abbiamo trovato”. Il grosso del lavoro strutturale è stato fatto e il cantiere sarà riconsegnato già a metà del 2017 quando, secondo le intenzioni della proprietà, Villa Palitti tornerà ad essere la struttura ricettiva che era giusto prima del sisma, tra bed&breakfast e ristorazione.

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Nella foto a sinistra Uno degli affreschi presenti sui muri di Villa Palitti. La tenuta, risalente al '700 è vincolata dalla Sovrintendenza.


Il Protagonista

Nelle altre foto

"Io non mi muovo mai dal cantiere, giro di continuo quotidianamente e tengo tutto sotto controllo. Un domani, se mi fanno una domanda, io posso dare subito la risposta perchĂŠ il cantiere lo vivo, perchĂŠ il cantiere bisogna viverlo."

Operai a lavoro nel cantiere di Villa Palitti. Nella residenza è presente anche una cappella privata.


Quando Renzo è arrivato all’inizio sul cantiere, la villa era completamente puntellata: “La prima cosa che abbiamo fatto è stata sgombrare i locali da tutte le cose inutili e poi ci siamo messi a lavoro. La cosa a cui ho pensato di più in quel primo periodo di lavorazione è stata decisamente la sicurezza. In quelle condizioni anche un piccolissimo errore avrebbe potuto essere fatale”. Per Renzo, originario di Pizzoli, dopo il sisma ci sono stati già una decina di cantieri e, dopo Roio, sta già per iniziare una nuova avventura a “piedi Piazza”, nel centro storico. “Io non mi muovo mai dal cantiere” spiega Renzo per far capire come intende il suo lavoro, “giro di continuo quotidianamente e tengo tutto sotto controllo. Un domani, se mi fanno una domanda, io posso dare subito la risposta perché il cantiere lo vivo, perché il cantiere bisogna viverlo. Se non lo vivi non riesci a tenerlo in pugno”. “A volte -

continua mentre passeggiamo - nel mio mestiere bisogna essere prima psicologi che altro. Bisogna capire tutte le maestranze, con quell’operaio che dice che non va d’accordo con l’altro e quindi devi cercare di fare al meglio possibile gli accoppiamenti… Insomma è anche un lavoro sulla materia umana”. Per il geometra la ricostruzione sta andando per la sua strada “contrariamente a quello che dicono gli aquilani”. “Se ci stai dentro - afferma Renzo convinto - si nota e come che si sta lavorando. Anzi il problema è un altro: la densità. Quando lavori in un aggregato circondato da tre vie ed un piazza come il prossimo che prenderò, le lavorazioni creano dei problemi. La localizzazione di un impianto di betonaggio, di una platea per la gru, di un posto per gli scarrabili per il recupero dei calcinacci e dei vari rifiuti, diventa problematica. Non è che si hanno a disposizione sempre gli spazi di Villa Palitti”.

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Nella foto in basso: Un operaio lavora su una volta riconsolidata con un cerchiaggio in acciaio.


Protagonista: Clemente Di Clemente, geometra Cantiere: Consorzio Santospago Luogo: Via Fortebraccio - L’Aquila 36


Un ponte tra generazioni

“È un intervento su un palazzo vincolato, stiamo mettendo in pratica nuove tecniche di consolidamento e restauro, come ad esempio quelle basate sull'uso della fibra di vetro. È un lavoro molto interessante, diverso da quello che eravamo abituati a fare prima del terremoto”. Clemente Di Clemente lavora con l'azienda Ettore Barattelli e figli da una vita. 58 anni, geometra, Clemente è nato a L'Aquila ma è cresciuto lontano dall'Abruzzo. A L'Aquila è tornato dopo il diploma e da allora non è più andato via. L'idea di lasciare la città non lo ha sfiorato nemmeno dopo il 6 aprile: “Cerco di dare una mano alla città per vederla di nuovo ricostruita. Ci siamo dentro e cerchiamo di fare quello che possiamo nel migliore dei modi”. Se fai qualcosa molto bene anche tutto il resto andrà bene, sembra voler dire Clemente; che, mentre parla, ricorda un po' uno dei personaggi di Hemingway. Così come il tipico eroe hemingwayano “vuole identificarsi nelle azioni che compie, essere se stesso nella somma dei propri gesti, nell'adesione a una tecnica manuale, nel non aver altro impegno, altra preoccupazione se non quella di riuscire a fare bene il proprio mestiere”, così anche per Clemente l'unica cosa che conta è svolgere al meglio, con precisione e concretezza,

il proprio lavoro: “Con il senno di poi tutto si può fare diversamente ma è facile parlare dopo. A dispetto di chi dice che L'Aquila è morta e bisogna andar via, io rimango. Anche se quello che ci ha colpito è stato terribile, io aspetto fiducioso”. Gioiello architettonico databile alla metà del XVI secolo, palazzo Santospago ha l'ingresso principale su via Fortebraccio e il lato minore che affaccia su piazza Bariscianello. Costruito dalla famiglia Santospago attiva nel commercio delle nocciole - e appartenuto anche ai Dragonetti - che erano soliti utilizzarlo come residenza estiva – oggi il palazzo porta il nome degli attuali proprietari, i Berti-De Marinis.

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Nella pagina a sinistra L'altana in legno del cortile interno. Da notare le colonne dai capitelli finemente scolpiti. Nella foto in basso Ettore Barattelli all'interno di Palazzo Santospago..


Il Protagonista

Nelle foto in alto e a sinistra

“Cerco di dare una mano alla città per vederla di nuovo ricostruita. Ci siamo dentro e cerchiamo di fare quello che possiamo nel migliore dei modi.”

Altri particolari del cortile interno. La costruzione di Palazzo Santospago risale alla metà del XVI secolo.


È, questo, uno dei palazzi più belli dell'Aquila, dotato di un porticato al pian terreno e di un'altana architravata al primo piano che costituisce la parte più suggestiva e originale del cortile. L'aggregato Santospago è il tipico esempio di commistione architettonica aquilana. Accanto all'edificio del 1500, infatti, sul lato che dà su piazza Bariscianello, ce n'è un altro più recente, risalente al 1800. La natura composita dell'aggregato ha richiesto due interventi diversi. La parte storica è stata consolidata con l'utilizzo di tecniche tradizionali: cuci/scuci, iniezioni di miscele consolidanti nelle mura e via dicendo. L'altra ala, invece, che aveva danni meno importanti, ha richiesto per lo più interventi fatti con rete in fibra di vetro, un materiale che ormai ha sostituito quasi del tutto la vecchia rete elettrosaldata.

Il palazzo è stato rifunzionalizzato anche dal punto di vista impiantistico: sono stati tolti i vecchi termosifoni di ghisa e installati i riscaldamenti a pavimento, e si è provveduto a rifare anche i solai e i tetti. Molto importante è stata l'opera di restauro dei colonnati, dei manufatti in pietra, dei capitelli e anche quella del vecchio chiostro, fatto con legno di castagno massello. L'impresa di Ettore Barattelli proviene da una storia secolare. E per chi discende da una dinastia di costruttori tra le più importanti dell'Aquila, la ricostruzione diviene anche un filo per continuare a tessere un racconto di famiglia. Mettere a confronto le tecniche usate dai vecchi capomastri con quelle moderne, constatando il valore ancora attuale delle prime, vuol dire costruire un immaginario ponte storico tra generazioni.

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Nella foto in basso: particolare della facciata dell'edificio, tra via Fortebraccio e piazza Bariscianello.


Protagonista: Mauro Nicosia, muratore specializzato Cantiere: Consorzio Via dei Sali Luogo: Via ed Arco delle Terziarie - L’Aquila 40


Lassù perché...

A Mauro Nicosia, muratore specializzato di 57 anni, la cosa che piace fare di più nel suo lavoro sono i tetti. Una passione che gli ha trasmesso il padre, operaio come lui. “Prima di fare il tetto la casa non è completa, sembra ancora un rudere. Col tetto è finita”. Sarà per questo che in un giorno di pioggia, grandine e vento - un giorno d’inverno aquilano, in cui le gru sono ferme e oscillano su sé stesse - ci porta subito in alto nel cantiere di Via ed Arco delle Terziarie, una traversa di Via Castello. Da lassù la cupola di San Bernardino spunta in tutta la sua bellezza. “Oggi che piove abbiamo coperto con i teli tutta la parte del tetto già rifatta col nuovo tavolato in castagno”. Quello che colpisce di più di Mauro è la passione, l’impegno e la cura che mette nel lavoro. Una cura paziente ed esperta, paterna. Per un lavoro che ha scelto lui sin da ragazzino: “Vivo nel cantiere, arrivo la mattina presto ed esco verso le 17. Vedo crescere questa struttura come se rinascesse dal vecchio al nuovo”. “Ed è nel congiungere il vecchio col nuovo che sta la bravura del muratore”, aggiunge Mauro, mostrandoci praticamente cosa significhi indicando la parete riportata a nudo davanti ai nostri occhi: “Qui la parte nuova in mattoni si aggancia dentro i vecchi muri tramite dei connettori in ferro”.

La tecnica di restauro - nota a chiunque abbia avuto a che fare anche lontanamente con la restaurazione di immobili storici - è quella dal nome evocativo di “cuci e scuci”. “Restauriamo mantenendo quello che era. Il tetto è lo stesso, i muri sono tutti uguali. Anche la malta è simile a quella di una volta ma ovviamente più resistente”. Pari attenzione è prestata al consolidamento: “Nell’altra stanza abbiamo appena sostituito gli architravi in legno con quelli in acciaio per consolidare tutte le parti portanti del fabbricato. I muri portanti vengono consolidati con la rete fibranet. Le volte vengono svuotate e riconsolidate con fibre di carbonio, vengono inseriti nuovi tiranti”.

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Nella foto a sinistra In fondo al ponteggio un operaio trasporta una carriola nel cantiere di Via ed Arco delle Terziarie.


Il Protagonista

Nelle foto in alto

"Ora L’Aquila sta iniziando a tornare qui, dov’era. Certo ci vogliono anni dopo una tale distruzione, ci vuole pazienza e l’arte di chi fa. Non è facile, ma noi ci stiamo riuscendo."

Due momenti della dura vita del cantiere: sopra un operaio scarica i calcinacci, più in basso un altro lavoratore è alle prese con un frullino per tagliare il ferro.


Mauro ci tiene a sottolineare una cosa: “Per riqualificare ci vuole tempo”, un aspetto che probabilmente a qualcuno sfugge. “Sarebbe più facile infatti abbattere tutto e ricostruire ma per gli edifici storici la scelta più facile non è quella da prendere”. Sono 25 anni che Mauro lavora con la ditta Armido Frezza e questo è il terzo cantiere a cui lavora nel centro storico dopo il sisma: “È una soddisfazione perché sono nato proprio in questa città e sono la bellezza di 57anni che ci vivo e l’ho vista crescere nel tempo. Ora L’Aquila sta iniziando a tornare qui, dov’era. Certo ci vogliono anni dopo una tale distruzione, ci vuole la pazienza e l’arte di chi fa. Non è facile ma noi ci stiamo riuscendo”. La vita nel cantiere non è una passeggiata, ma è fatta anche di molta solidarietà: “Ci parliamo, viene spiegato ad ogni singolo operaio quello che bisogna fare, ognuno ha il suo ruolo: chi carpentiere, chi muratore,

chi ferraiolo ognuno fa la sua parte come una squadra compatta. Con molti ci conosciamo da tempo e stiamo sempre insieme. Passiamo più ore insieme tra di noi che con la famiglia: mangiamo insieme, andiamo al bar a prendere un caffè insieme, spesso discutiamo del lavoro che stiamo facendo e che continueremo a fare dopo pranzo. C’è coinvolgimento e impegno perché questo è un lavoro che ti prende”. Mauro ha un figlio, neanche a dirlo lavora anche lui nei cantieri della ricostruzione, fa l’elettricista. “È un’altra tipologia di lavoro rispetto a quella che faccio io ma parlo spesso con lui del nostro lavoro. Lui mi racconta le stesse cose che vivo io anche se sta in un altro cantiere. Io gli parlo anche per trasmettergli la mia esperienza a lui che è più giovane. Tutti insieme stiamo dando il volto alla città che sarà. Ogni singolo sforzo presente è importante per il futuro”.

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Nella foto in basso Nei lavori è stata dedicata particolare attenzione al consolidamento delle mura portanti.


Protagonista: Andres Zucchi Brewer, ingegnere Cantiere: Consorzio Sotto la Piazza Luogo: Via Roma - Fossa (L’Aquila) 44


Il giovane ingegnere e l’anziano signore

Per un lavoratore che passa la gran parte delle sue giornate nei cantieri della ricostruzione post-sisma, la parola "rapporto" assume un senso vero, autentico e reale. Quotidiano. La vita del cantiere è un continuo rapporto: con i colleghi, con il luogo che si ricostruisce, con il contesto che si guarda alla mattina e prima del tramonto. Con i proprietari delle abitazioni che si contribuisce a ricostruire. E il senso del rapporto con il luogo è evidente quando ci si reca nel primo cantiere aperto nel centro storico di Fossa, comune confinante con L'Aquila capoluogo, e centro da sempre denso di vita, di arte e di storia. Andres è un giovane ingegnere, direttore tecnico del cantiere nel cuore di Fossa. Da aquilano sa bene cosa significa entrare, per la prima volta, sulla via principale del paese, per ricostruirlo: “È una bella responsabilità. Per persone che amano il proprio lavoro, come me, è importantissimo cercare di consegnare le abitazioni alle persone che qui vivevano. Dare loro, nel proprio piccolo, una speranza per l'immediato futuro”. L'apertura del cantiere che affaccia su via Roma è stata una notizia per tutta la comunità di Fossa, in primis per i residenti che lì vivevano la maggior parte della loro giornata.

L'edificio poggia sulla roccia come la maggior parte delle abitazioni del borgo, ma nel corso dei decenni è cresciuto in altezza, sviluppandosi con altri materiali e altre tecniche, ma mantenendo comunque le murature in pietra. Sono le prime pietre che saranno ricostruite nel centro del paese: “Mi ricordo la sagra della bistecca che veniva organizzata a pochi metri da qui, ricordo le cene a casa di amici, ricordo un ristorante lì dietro, vicino la piazza principale del paese, dove si mangiava benissimo. E poi ricordo anche il primo giorno in cui sono entrato in questo cantiere, ho pensato che lavorare qui per me è uno stimolo in più a far bene”.

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Nella foto a sinistra Quello di Via Roma è il primo cantiere aperto nel centro storico di Fossa. Un evento accolto con soddisfazione da tutta la comunità del paese.


Il Protagonista

Nelle altre foto

"Mi ricordo la sagra della bistecca, che veniva organizzata a pochi metri da qui, mi ricordo le cene a casa di amici. Ricordo un ristorante lĂŹ dietro, vicino la piazza principale del paese, dove si mangiava benissimo."

Sopra il signor Mario Gentile parla con uno degli operai che sta ricostruendo la sua casa. Nella foto a sinistra un operaio è alle prese con un'intelaiatura.


Tra vecchie cantine e antiche dispense, l'edificio è attraversato da una vera e propria strada, dove un tempo si lavoravano i maiali, come vuole la tradizione, tra Natale e Capodanno. Sotto quel portico tante volte ha dato fuoco alla paglia anche il signore che ogni giorno, tutte le mattine poco prima di mezzogiorno, si reca al cantiere per “sorvegliare i lavori”, come racconta Andres. Il giovane ingegnere l'ha conosciuto appena arrivato e gli ha persino dovuto dire che non poteva entrare nelle aree di lavoro per una questione di sicurezza. tanta era la voglia di tornare a casa sua. Il signore, 76 anni e una vita intera a Fossa, ancora ricorda quell'episodio, con il sorriso sulla bocca: “Vengo qui

ogni giorno, a meno che non abbia visite, mi faccio una camminata – racconta – rimango mezz'ora e poi torno il giorno dopo. Mia madre mi ha partorito proprio in questo palazzo e, a parte una parentesi nel Cerro, un'altra zona del paese, ho vissuto sempre qui, con mia moglie che ho sposato quando avevo solo 19 anni. Qui ho vissuto, qui arrivavo con la mia Fiat 127, qui avevo i miei animali, compravo le stoffe, facevo la spesa qui fuori. Non a caso via Roma prima si chiamava via del Commercio. Qui tornerò”. Poi guarda Andres e gli sorride ancora. Parlano dello stato di avanzamento dei lavori, della primavera che arriva, della sua casa e del suo paese. Sembrano avere un bel rapporto, da sempre.

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Nella foto in basso: Lavori in una delle stanze della casa, che si affaccia su una strada dove - come vuole la tradizione - un tempo si lavorava il maiale tra Natale e Capodanno.


Protagonista: Alessandro Coccagna, geometra Cantiere: Condominio Navarra Luogo: Via Peltuinum - L’aquila 48


La ricostruzione addosso

“Tra dieci o venti anni potrò dire che anche io ho ricostruito L'Aquila”, afferma con lo sguardo serioso, ma intenso e fiero Alessandro Coccagna, giovane geometra della Sema Costruzioni che coordina tecnicamente il condominio Navarra: sei appartamenti su via Peltuinum che danno le spalle a monte Pettino e aprono gli occhi ad una vista favolosa su tutta L'Aquila. Pettino è uno dei quartieri più popolosi della città, dove vivevano e vivono migliaia di persone. Alessandro ha 36 anni, lavora nell'edilizia da almeno quindici anni e gli ultimi dieci li ha vissuti a fianco alla Sema: “Ho conosciuto i proprietari della Sema nel cantiere della nuova facoltà di Scienze politiche a Teramo, ne è nata un'amicizia e poi una collaborazione professionale”, ricorda. È nato e cresciuto proprio a Teramo: “Ma ormai sono diventato aquilano – scherza – passo l'ottanta per cento della mia vita qui all'Aquila, arrivo in città alle 8:30 del mattino e me ne vado alle 18. Mi sono integrato perfettamente nel tessuto, io me la sento addosso questa ricostruzione”. Alessandro è figlio d'arte. Anche suo padre, infatti, è un geometra, ma si è sempre occupato più di perizie e progettazioni. Alessandro, invece, ha da sempre la passione per il cantiere. Nel periodo immediatamente

precedente al sisma, la Sema era attiva in alcuni cantieri soprattutto a Pescara ed Avezzano. Poi, ovviamente, gli sforzi dell'azienda aquilana si sono rivolti alla propria città: “Dopo il terremoto ho sentito il titolare Alberto Valentini e il giorno successivo ero qui a L’Aquila a lavorare”. L'edificio in via Peltuinum è stato demolito e ricostruito, con lavori avviati nell'ottobre del 2015 e in via di ultimazione. Oltre ai sei appartamenti, ci sono garage e cantine: una volta terminato, sarà più bello e più sicuro, oltre che di nuova generazione dal punto di vista dell'efficienza energetica.

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Nella foto a sinistra Alessandro Coccagna sulle scale del condominio Navarra. A causa del terremoto i ballatoi sono crollati, e ora sono stati ricostruiti


Il Protagonista

Nelle foto in alto

"Passo l’ottanta per cento della mia vita qui all’Aquila. Arrivo in città alle 8:30 del mattino e me ne vado alle 18. Mi sono integrato perfettamente nel tessuto."

Gli operai del condominio Navarra mentre camminano in quella che sarĂ la corte esterna del palazzo. Lavorano guardando da lontano il centro storico pieno di gru.


“Mi sento parte del processo di ricostruzione – sottolinea guardando quasi con ammirazione lo skyline delle decine di gru nel centro storico – quando sento al telegiornale che si parla dell'Aquila, è come se si parlasse anche di me. Ho molta passione per il mio lavoro, ti deve piacere quello che fai, altrimenti non riesci a farlo bene. Paradossalmente mi aiuta anche il viaggio che ogni giorno compio tra Teramo e L'Aquila: è lì che ho il tempo per pensare. Anche quando sono a casa, insieme ai miei amici, loro mi chiedono spesso dell'Aquila, perché quello che è successo qui è unico”. E in effetti dalle terrazze del palazzo Navarra si gode di un panorama estremamente peculiare: “Da qui

si vede tutto il centro, lavorare di fronte a questo panorama ti carica di responsabilità, perché non esiste in nessuna parte del mondo una città con tutte quelle gru. Questo è sicuro: solo da qui se ne vedono una settantina. Questo panorama oggi fa parte della città, speriamo che inizino a diminuire e inizi ad aumentare la gente anche in centro”, sottolinea il giovane geometra, con la voce piena di speranza. Alessandro è sposato ed ha due figli, Michela e Filippo: “A Michela, che ha tre anni, inizio a raccontare che faccio le case, lei vuole sapere di che colore le faccio”. Chissà, forse un giorno, tra dieci o venti anni, Michela e Filippo abiteranno nella città ricostruita dal loro papà.

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Nella foto in basso: Un momento di confronto durante i lavori. Spesso tra gli operai si crea una forte collaborazione che va oltre il cantiere.


Protagonista: Giuseppe Suffoletta, ingegnere Cantiere: Condominio Via dei Sali Luogo: Via dei Sali - Piazza Regina Margherita, L’Aquila 52


Nuove fondamenta

Fare il progetto per la riparazione di un edificio del centro storico – uno di quelli moderni, classificati, a suo tempo, B; iniziare l'abbattimento di muri e tamponature; arrivare alle fondamenta e scoprire che queste ultime, in realtà, non ci sono. Succede anche questo, nell'Aquila post terremoto. L'edificio in questione si trova in via dei Sali - “la via dietro il Boss”, come dicono tutti gli aquilani e affaccia su piazza Regina Margherita. È un palazzo in cemento armato, costruito nel Secondo Dopoguerra, che “poggia” su un vicino edificio vincolato. Uno dei tanti esempi di abbinamento antico/moderno, tipico della struttura urbana del centro storico dell'Aquila, fatta di stratificazioni secolari, ibridazioni, inserti e ampliamenti novecenteschi. A spiegare la storia del tutto singolare di questo cantiere è Giuseppe Suffoletta, ingegnere: “Questo edificio era stato classificato, a suo tempo, B, ossia con danni importanti ma senza lesioni strutturali. Abbiamo seguito l'iter per avere il contributo, ottenuto il quale sono partiti i lavori. Quando siamo andati a scavare per scoprire le fondamenta, però, a un certo punto ci siamo accorti che queste non c'erano. O, meglio, non è che non ci fossero; diciamo che i pilastri poggiavano direttamente su alcuni muri in pietra, resti delle precedenti

fondamenta. A quel punto si è bloccato tutto, abbiamo dovuto rifare il progetto, cambiare classificazione, istruire la procedura per la demolizione e ripercorrere da capo tutto l'iter presso la Soprintendenza. Tutto questo ci ha fatto stare fermi due anni, passati i quali siamo riusciti finalmente a partire. Col nuovo progetto abbiamo abbattuto il vecchio edificio e, dopo aver scavato sotto le vecchie fondamenta, le abbiamo tolte, mettendo al loro posto una piastra in cemento armato che è stata la base su cui abbiamo ricostruito”.

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Nella foto a sinistra Operaio al lavoro sul tetto del condominio “Via dei Sali”. Il palazzo è un edificio moderno innestato in un contesto architettonico storico.


Il Protagonista

Nelle foto in alto e a sinistra

“Per il centro storico, invece del com'era dov'era, si poteva guardare al modello Berlino.�

Operai al lavoro nel cantiere. Il condominio di via dei Sali è stato completamente abbattuto e ricostruito e dotato di nuove fondamenta.


Il lavoro di demolizione è stato particolarmente delicato, per via della presenza degli edifici adiacenti, uno dei quali sottoposto a vincolo: “Prima di procedere, abbiamo dovuto mettere in sicurezza i palazzi circostanti, puntellandone le facciate e i solai. La demolizione è avvenuta poco alla volta, è stato un lavoro certosino. Non potevamo demolire come avremmo fatto in un palazzo di periferia”. Una volta terminato, il palazzo – una struttura di 5 piani che ospitava 12 appartamenti più alcuni locali commerciali al piano terra e garage sotterranei – riacquisterà esattamente la stessa fisionomia che aveva prima del terremoto. È il principio del com'era dov'era, scelto da Comune, Soprintendenza e Uffici speciali come criterio guida per ricostruire il

centro storico. Un approccio molto dibattuto, sul quale i pareri favorevoli non sono stati unanimi. Molti giovani tecnici, come l'ingegner Suffoletta, sono convinti che sarebbe stato meglio adottare un'altra filosofia, quella del dov'era ma non com'era, guardando, mutatis mutandis, a un modello ben preciso, quello di Berlino.“Il com'era dov'era forse non era la soluzione giusta. Per palazzi moderni come questo, situati tra edifici storici, io avrei puntato a fare qualcosa di nuovo, cambiando qualcosa a livello estetico sempre nel rispetto del contorno. Sì, l'idea era di rifarsi al modello Berlino, con un contrasto tra vecchio e nuovo ma sono scelte che non dipendono da noi. Così invece avremo i palazzi così com'erano, edifici nuovi e moderni ma a livello prospettico uguali a prima”.

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Nella foto in basso: Il condominio di via dei Sali è stato completamente abbattuto e ricostruito e dotato di nuove fondamenta.


Protagonista: Valerio Scarsella, operaio Cantiere: Consorzio Filomusi Guelfi Luogo: Corso Federico II - L’aquila 56


Dal cielo alla terra

“Prima del 6 aprile 2009 facevamo solo case nuove e, per costruire, iniziavamo dalle fondamenta. Ora invece partiamo dal tetto per poi venire giù”. Un terremoto non capovolge solo la vita delle persone ma mette in discussione anche verità lapalissiane, principi dati per acquisiti. Come quello che, a scuola, insegnanti sempre troppo dotati di realismo e senso pratico erano soliti ripetere, per riportarli con i piedi per terra, a studenti viceversa sempre un po' troppo distratti o dall'immaginazione sempre troppo vivace: per fare le case si parte dalle fondamenta, non dal tetto!. Per fare le case, tutto ciò è certamente vero. Ma per rifarle, per rimetterle in sesto e curarne le ferite, non si deve rimanere attaccati alla terra ma iniziare stando aggrappati alle nuvole. Vittorio Scarsella ha 56 anni. Per metà è aquilano, per l'altra metà campano (di Salerno). Ha una moglie e un figlio di 27 anni e da 30 lavora con la Soalco come operatore di macchine complesse: escavatori, bobcat, ruspe, camion, macchine tagliamuri. “Faccio demolizioni, porto via calcinacci e macerie, eseguo gli scavi necessari a posizionare le gru, manovro le macchine che servono per abbattere i muri. Ho sempre avuto queste mansioni ma è la prima volta che lavoro in una ricostruzione post terremoto. Mi piace quello che faccio

ma mi manca la città com'era prima: le passeggiate per il corso, i portici, i negozi. Se non fosse per i cantieri, non credo che verrei in centro molto spesso. Abito a Sassa. Quando non lavoro, rimango a casa oppure prendo la macchina e, insieme a mia moglie, me ne vado fuori città, al mare oppure a Roma. L'alternativa sono i centri commerciali o il bar del paese ma non mi piace quella vita. Mi fa male venire in centro perché so che non lo rivedrò più com'era”. Rispetto ad altre figure di cantiere, quella del manovratore di macchine è, forse, la meno conosciuta e appariscente. Eppure è un ruolo fondamentale: sono gli operai come Vittorio che, letteralmente, spianano la strada agli altri operai specializzati e preparano il terreno per gli interventi successivi. “Prima del terremoto le demolizioni erano rare. Non si demoliva, si costruiva. Tante cose ho dovuto impararle strada facendo”. La vita di cantiere è dura: si lavora tutti i giorni dal lunedì al venerdì, spesso anche con il freddo e la neve, e c'è da fare in fretta perché bisogna rispettare i tempi di consegna, che sono tassativi. Ma rispetto a qualche anno fa, i ritmi si sono fatti meno frenetici: “Subito dopo il terremoto non potevamo permetterci pause né giorni di festa, non c'erano sabati né domeniche.

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Nella foto a sinistra Operai al lavoro sul tetto. L'aggregato del consorzio Filomusi Guelfi abbraccia ben quattro vie.


Nelle foto in alto e a sinistra

Il Protagonista

Altri operai in una giornata di lavoro. Il consorzio Filomusi Guelfi si trova su Corso Federico II, subito dopo piazza Regina Margherita.

“Sono addetto alle macchine complesse. E' la prima volta che lavoro in una ricostruzione post terremoto. Mi piace quello che faccio ma mi manca la cittĂ com'era prima.â€?


Sapevamo a che ora cominciavamo ma non a che ora finivamo. Non poteva essere altrimenti, c'era tanto da fare. Fummo noi, ad esempio, insieme ad altre ditte aquilane, a riconsegnare i primi cento posti letto all'ospedale S. Salvatore. Ora le cose sono cambiate, c'è meno stress anche se il lavoro non manca”. Se, come diceva Primo Levi ne La chiave a stella, “l'amare il proprio lavoro, che purtroppo è privilegio di pochi, costituisce la migliore approssimazione concreta alla felicità sulla terra”, allora Valerio può dirsi una persona felice. Certo, c'è la nostalgia per la vita che il terremoto ha interrotto e che non tornerà più e la preoccupazione per l'avvenire di un figlio che forse,

per costruirsi la sua, di vita, dovrà andarsene dall'Aquila, come hanno fatto e stanno facendo tanti suoi coetanei. Ma, pur essendo arrivato ormai alla soglia della pensione, Valerio non sembra essere per niente stanco. Agli altri operai, tutti più giovani di lui, offre ancora tutta la sua voglia e la sua tecnica. E la fatica e i sacrifici sono compensati e in parte anche alleviati dalla consapevolezza di avere quasi una missione da compiere e portare a termine. “Fosse per me, rimarrei a lavorare anche più a lungo. A casa, tanto, cosa farei? Prima avevo un pezzo di terra ma me lo hanno espropriato. È sempre meglio lavorare che andare a rinchiudersi in qualche centro commerciale”.

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Nella foto in basso: Vittorio Scarsella sotto una delle raffinate soffittature in legno decorato che contraddistinguono il palazzo.


Protagonista: Fabio Berardi, muratore specializzato Cantiere: Consorzio Domus Mea Luogo: Roio - L’Aquila 60


Il ghiaccio e la Madonna delle neve

Quello che sorge tra Via Roma, Via della Cutrettola e Via Madonna delle neve è un aggregato composto da due “corpi”, uno dei quali, quello vincolato, è praticamente terminato e riportato all’antico splendore. Risalente al 1700, al suo interno ha un piccolo cortile come molte altre abitazioni nel centro storico. È qui che si trova ancora una neviera, un tempo utilizzata per la conservazione del ghiaccio. “Per questo si chiama Madonna delle neve” ci dice Fabio Berardi, il muratore specializzato che lavora a questo cantiere da più di due anni e ormai da una ventina con la ditta Walter Frezza che sta eseguendo i lavori. “Ho letto che il ghiaccio che si faceva qui veniva venduto in tutta la città e anche all’ospedale” ci informa, ormai appassionato della storia della casa che sta ristrutturando. Oggi invece, dentro quel pozzo, a lavorare, troviamo un suo collega dell'Europa dell'Est, Adnan. Giovane, esile e dallo sguardo vivace ma allo stesso tempo timido, la sua immagine vista dall'alto rimanda a quella pirandelliana di Ciàula, che scopre la luna. È lì perché la proprietà ha deciso di ristrutturare e valorizzarle questa neviera, tappandola con del vetro e illuminandola da dentro.

“Adesso si iniziano a vedere i frutti del lavoro quotidiano” afferma con un certo orgoglio l’operaio aquilano. “Abbiamo fatto tanto, quasi tutto è stato smontato consolidato e rimontato. Della scala ad esempio è stata demolita la parte interna e poi fatto un rinforzo in acciaio. Per questo le pietre non riuscivano a ritornare a quota…è stata dura ma alla fine ce l’abbiamo fatta. È stata forse la cosa più difficile. Smontare una scala del 700’ e rimontarla alla fine dà una bella soddisfazione”. A Fabio piace pensare al passato e a chi prima di lui ha messo le mani su quelle stesse pietre: “A volte viene da chiedermi chissà quante persone hanno contribuito a lavorare prima di me per fare questa scala.

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Nella foto a sinistra Un operaio è all’opera dentro il pozzo utilizzato un tempo come neviera.


Nelle altre foto

Il Protagonista

In alto la gru del cantiere fotografata dal cortile interno. Nelle foto in basso due scatti presi dal secondo corpo che costituisce l'aggregato e che richiederà tempi di rifacimento più lunghi.

"Al piano di sotto ci sono le volte un paio delle quali sono cadute. Un pezzo l’ho fatto io e un altro Adnan. Sono volte fatte a mattoni, come si facevano un tempo e c’è un certo sistema particolare per rimontarle, altrimenti i mattoni non si riescono a reggere."


E le persone di prima non avevano gli stessi mezzi che abbiamo noi, le persone di prima facevano tutto a mano. Ora proviamo a migliorare le cose ma per il loro tempo erano già molto bravi. Adesso anche quest’intervento durerà per secoli. Speriamo non faccia un altro terremoto, ma comunque il lavoro che abbiamo fatto terrà bene”. Fabio è appassionato in generale dell’antichità: “Al piano di sotto ci sono le volte un paio delle quali sono cadute. Un pezzo l’ho fatto io e un altro Adnan. Sono volte fatte a mattoni, come si facevano un tempo e c’è un certo sistema particolare per rimontarle, altrimenti i mattoni non si riescono a reggere”. “Con Adnan - continua Fabio - ci conosciamo da tre anni, lavoriamo bene, senza rivalità. Se lui ritiene di saper fare una cosa meglio di come

dico io, mi fido di lui senza problemi. Si bada solo alla qualità del lavoro sfruttando i contributi di ognuno a prescindere dalla specializzazione. C’è cooperazione!” Non potrebbe essere altrimenti: “Sono otto ore di lavoro giornaliero, si attacca alle otto e si stacca alle cinque, si lavora costantemente, non ci sono tempi morti, né si perde tempo in chiacchiere. Siamo una squadra compatta, non discutiamo”. Anche perché, come in ogni cantiere, la cosa più importante per chi lavora resta la sicurezza: “Se si sta facendo un lavoro e ci si rende conto che c’è un pericolo, per prima cosa mettiamo in sicurezza e poi lavoriamo. Questo già prima di entrare nel cantiere: se qualcosa può farti male, prima va sistemato il pericolo, poi si fa il lavoro. E qui, infatti, non si è fatto male nessuno”.

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Foto Luca Bucci Testi Nello Avellani Roberto Ciuffini Mattia Fonzi Alessandro Tettamanti (Associazione L’Aquila che cambia) Progetto grafico Studio Comunico - L’Aquila

Finito di stampare Maggio 2016


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