GIORNALE SCOLASTICO
Dall’Open day alla Settimana scientifica
Salve popolo del Vitruvio ,
È un anno scolastico ricco di novità e il giornale che state leggendo fa parte di queste. Abbiamo deciso di avventurarci in questo progetto per regalare libera voce agli studenti. La redazione è giovane e ambiziosa. Il nostro obiettivo è quello di coinvolgere e divertire tutti i lettori, con la speranza che questa uscita sia la prima di una lunga serie. Il nostro gruppo è nato in un giorno di scuola qualunque, in un corridoio del seminterrato: tra una battuta e l’altra abbiamo deciso di buttare giù tutte le nostre idee, per iniziare a pensare a qualcosa da pubblicare su carta e su web. Dopo poco tempo abbiamo capito che si poteva fare sul serio e ora siamo qui. È il momento di presentarci, siamo Davide Paris, Edoardo Pagliaroli, Alberta Di Renzo e Annalisa Hagi. La nostra passione, anche se tanta, non poteva guidarci da sola senza dei “condottieri”: per questo ci siamo rivolti ai professori Claudia Di Biase e Fabio Iuliano con cui si è creato un bellissimo rapporto, e per questo li ringraziamo veramente tantissimo per i sacrifici e il lavoro che fanno insieme a noi. Ora vi starete chiedendo che cosa significhi YAWP e perché abbiamo scelto questo nome. Il riferimento è naturalmente alla poesia di Walt Whitman tirata in ballo da Peter Weir nell’Attimo fuggente. Un grido libero e “barbarico” che “risuona sopra i tetti del mondo”. Quel grido vuole essere la nostra libera voce, attraverso questo spazio così come attraverso delle finestre che riempiremo sul web. Quella voce che non è solo nostra, ma di chiunque si senta di dire o condividere qualcosa. Tante sono le persone che hanno collaborato a questo numero, ma abbiamo cercato di coinvolgerne molte altre per le prossime uscite. Questa testata è possibile grazie alla volontà di tanti ragazzi e ragazze ma soprattutto grazie alla scuola e alla dirigente scolastica, Marina Novelli, che ha dato subito fiducia a questo progetto mettendoci a disposizione gli strumenti per far sentire la nostra voce non solo dentro le mura, ma anche su tutto il nostro territorio.
Chiunque abbia qualcosa da proporre può scrivere un messaggio privato alla pagina Facebook del Liceo
www.facebook.com/liceopollione
YAWP, periodico a diffusione libera degli studenti del Liceo scientifico Vitruvio Pollione via Aldo Moro 1, Avezzano Al numero 0 hanno collaborato: Ilaria Cordischi, Chiara Segreti, Luisa Tolli, Gaia Sidoni, Claudia Collacciani, Riccardo Di Pangrazio, Massimo Corsini, Federica Di Domenico, Luna Costantini, Lia Pietrosante, Nuri Xhelili, prof. Massimiliano Amicarella, prof.ssa Maria Assunta Di Crescenzo.
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La chimica degli elementi, la fisica delle particelle, ma anche la scienza dei numeri e l’arte delle lettere. Tutto condensato in un pomeriggio in cui lo Scientifico “Marco Vitruvio Pollione” ha aperto i cancelli per far conoscere alla città l’offerta formativa del prossimo anno. Successo dell’Open day, un’occasione per professori e docenti di far conoscere le potenzialità di questa scuola. Una giornata che ha voluto strizzare un occhio a quello che da oltre dieci anni è diventato un appuntamento importante per la scuola e per la città: la Settimana scientifica.
Il gioco della scienza nel Pollione
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partecipanti. La Settimana Scientifica è un’eccellenza in tutta Italia, patria di scienziati come Leonardo e Galilei; nonostante ciò la cultura da laboratorio non è sempre diffusa. Il liceo Vitruvio Pollione è dotato, invece, di un laboratorio autogestito dalle fondatrici e nel 2010 è stato premiato a Torino, insieme ad alcune Università, come istituto presentatore di uno dei cinque progetti di eccellenza in tutta Italia. La Settimana Scientifica è importante sia perché diffonde cultura, sia perché ha un effetto benefico sugli alunni. Crea appartenenza alla scuola, responsabilizza, fa emergere qualità nascoste, unisce il gruppo di lavoro. È per di più una lezione di vita perché gli alunni diventano attori esponendo se stessi ad un pubblico vasto ed eterogeneo. Degli annuali 4000 visitatori, tra cui anche relatori molto quotati, fanno parte infatti bambini, adulti colti e no, anziani. La settimana scientifica è una preziosità del Vitruvio Pollione e va preservata in quanto tale: permette di esprimersi e soprattutto divertirsi.
isitatori di tutto il mondo, la scienza bussa alle vostre porte per invitarvi alla dodicesima edizione della Settimana Scientifica, grande esposizione di esperimenti pensati e presentati da alunni Avezzanesi, Danesi, Greci, Islandesi e Sloveni. Come direbbe il vecchio Orazio, tanto caro agli alunni del liceo scientifico Vitruvio Pollione, “Carpe diem”. In questa scuola avviene infatti il connubio perfetto tra cultura scientifica e classica; non a caso anche quest’anno gli alunni del Vitruvio ospiteranno diverse scuole del territorio tra cui il liceo classico Alessandro Torlonia. Anche quest’anno vedrete, quindi, in giro per la città “giovani scienziati” che si distinguono grazie ad una maglietta, simbolo della scuola di appartenenza, che indossano fieramente quasi fosse un camice da laboratorio. Ma come è nato questo evento che è diventato gene dominante del liceo scientifico avezzanese? Tutto è iniziato grazie alla voglia di mettersi in gioco del quintetto fondatore composto dalle professoresse Di Giulio, Rubeo, Ruggeri, Scenna e Sorge. Il Miur aveva proposto il progetto solo alle Università, ma le insegnanti, credendo che gli alunni del Vitruvio sarebbero stati in grado di affrontare tale sfida, decisero di inserire il nome dell’istituto tra i
Chiara Segreti
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Settimana scientifica… tutti i segreti della 12a edizione
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13,00 verrà proiettato un film di grande successo “Agorà”, promosso dai professori B. D’Angeli, e A. Nardis. Dalle ore 11.20 alle ore 13.20 presso il Castello Orsini il professor M. Cerasoli parlerà di “Una stretta di mano tra Bernoulli e Gauss”. Nei giorni 10/11/12 marzo la scuola sarà aperta dalle ore 8.30 alle ore 13.30 e nel pomeriggio dalle ore 14.30 alle ore 18,00 per mostrare e spiegare il lavoro svolto in questi lunghi mesi di preparazione, un viaggio affascinante che ci porterà attraverso la chimica e la genetica, l’arte e la storia, l’astronomia e il mito, a guardare il mondo che ci circonda con occhi diversi e per trovare la bellezza anche nelle piccole cose. Tra le particolari attrazioni ci sarà anche “la città dei bambini”, dai due anni in su. Inoltre anche quest’anno il Liceo ospiterà diverse scuole e associazioni marsicane: • Associazione culturale “Le nostre radici Marsica”: “come riconoscere le piante della marsica attraverso la nuova tecnologia delle App”. • Istituto Comprensivo Corradini - Pomilio: “eppur mi muovo”. • Istituto Comprensivo - A. Vivenza - Giovanni XXIII: “chi semina raccoglie”, “la luce e il suono”, “profumi, sapori, immagini, sensazioni e suoni intorno a noi”, “Material…mente imparando”, “il campo magnetico terrestre nelle calotte polari”. Collaborerà con il Vitruvio anche il Liceo Classico A. Torlonia con: “tessi la via” e “memoria di una cellula” a cura della professoressa C. Salciccia. Ma le sorprese non sono giunte al termine, parteciperanno infatti anche le scuole straniere di Sct. Hans Skole - Odense - Denmark. Al termine di questi giorni intensi, che lasceranno qualcosa in ognuno di noi, sul nostro viso stanco si staglierà comunque un sorriso, per chi ci ha sempre sostenuto, per chi ha creduto in noi fino in fondo, per chi, ogni anno che passa, ci aiuta a crescere. Cosa state aspettando allora? Venite a trovarci e che il conto alla rovescia abbia inizio. Luisa Tolli
a qualche parte, qualcosa di incredibile è in attesa di essere scoperto. Dietro l’attesa c’è tutto: la frenesia dei preparativi, i progetti, le idee, i pomeriggi passati a scuola e la scienza che passo dopo passo prende forma. Anche quest’anno si apriranno le porte del Liceo Scienfico “Vitruvio Pollione” in occasione della dodicesima edizione della settimana scientifica. Tutto il Vitruvio è in continuo fermento, sono mesi ormai che alunni e insegnanti si preparano affinché tutto vada per il meglio. C’è chi esce dai laboratori con strane soluzioni, chi tenta di tutto per far uscire un esperimento, alcuni indaffarati con mille fogli in mano e altri ancora che non vedono l’ora di immergersi nel piccolo- grande mondo della scienza e della tecnologia. Come di consueto da Lunedi 7 Marzo si susseguiranno conferenze e dibattiti che spazieranno su varie tematiche. Dalle ore 9.20 alle ore 11.20 assisteremo a “Difficoltà specifiche di apprendimento: dislessia, disgrafia, discalculia”, che si terrà presso il Castello Orsini tenuta dal professor R. Pulsoni, formatrice Aid.
Dalle ore 11.30 alle ore 13.20. “Per non fare la fine dei dinosauri” illustratoci dal dottor E. Perozzi. Martedi 8 Marzo presso il Castello Orsini dalle ore 9.20 alle ore 11.20 che verrà riproposto anche alle ore 21,00, la professoressa Rina Colangelo promuoverà un tema attuale “l’emancipazione femminile attraverso i giochi olimpici” e dalle ore 11.20 alle ore 13.20 Domenico Cioffi, pilota militare brigadiere generale Csa, direttore dell’istituto di perfezionamento ed addestramento di medicina aeronautica e spaziale dell’Aeronatica Militare ci parlerà dell’ “Approccio Clinico-strumentale nella diagnosi, prevenzione e terapia delle problematiche Cranio-Cervico-Mandibolari”. Mercoledì 9 Marzo presso il Cinema Astra dalle ore 9,00 alle ore
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Il liceo promuove il
Lunedì 7 09.20 - 11.20 Difficoltà specifiche di apprendimento: dislessia, disgrafia, discalculia Learning difficulties: dyslexia, dysgraphia, dyscalculia Prof. R. Pulsoni, formatrice AID - Castello Orsini
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Clil
i è tenuto a gennaio il primo meeting transnazionale del partenariato europeo che ha visto il “Vitruvio” scuola capofila e la partecipazione di istituzioni scolastiche di Austria, Belgio, Grecia, Macedonia, Paesi Bassi e Spagna nell’ambito del progetto ERASMUS+ KA2. Momento saliente del Meeting è stato la Conferenza/Workshop sulla metodologia Clil. I docenti organizzatori sono stati i professori. A. Capuzza, C. Di Giustino, M. Mancinelli, T. Scenna, A. Sterpetti, L. Tabacco. Preziosa è stata la collaborazione del personale amministrativo e Ata e degli studenti Miriam Napolitano, Panichi Paola, Eleonora Oddis, Giorgia D’Ascanio, Claudia De Flaviis, Martina Fasciani (5 M), Camilla Lustri, Alessia Fusarelli, Irene Di Pasquale, Ilaria Incarnati, Giulia Cofini (4 N), Luigi Di Loreto, Ilaria Caroli, Claudia Mengoni (5 B), Ezio Venditti e Nuri Xhelili (5 I), Chiara Terrenzio (5 A), Gaia Sidoni e Erika Rongoni (5G).
11.30 - 13.20 Per non fare la fine dei dinosauri - Not to meet the fate of dinosaurs Dott. E. Perozzi - Castello Orsini Martedì 8 09.20 - 11.20 L’emancipazione femminile vista attraverso i giochi olimpici The emancipation of women seen through the Olimpic Games Prof. Rina Colangelo - Castello Orsini 11.20 - 13.20 Approccio Clinico-Strumentale nella Diagnosi, Prevenzione e Terapia delle problematiche Cranio-Cervico-Mandibolari The clinical-instrumental approach in the diagnosis, prevention and terapy of cranio-cervico-mandibular problems. Pilota Militare Brigadiere Generale CSA m Domenico Cioffi, Direttore dell’Istituto di Perfezionamento ed Addestramento di Medicina Aeronautica e Spaziale dell’Aeronautica Militare - Castello Orsini 21.00 L’emancipazione femminile vista attraverso i giochi olimpici The emancipation of women seen through the Olimpic Games Prof. Rina Colangelo - Castello Orsini Mercoledì 9 Marzo 09.00 - 13.00 Agorà Prof. B. D’Angeli, A. Nardis - Cinema Astra
Ecco la nuova ala della scuola più grande della Provincia
11.20 - 13.20 Una stretta di mano tra Bernoulli e Gauss A handshake between Bernoulli and Gauss Prof. M. Cerasoli - Castello Orsini 10/11/12 marzo 08.30 - 13.30 • 14.30 - 18.00 Laboratori Aperti Liceo Scientifico Vitruvio Percorsi di scienza con gli studenti del Liceo Scientifico Open labs …with the students
Tanti gli olti alunni coinv nel torneo interclasse di calcio a 5 5
Con 63 aule, laboratori, palestre, biblioteca, uno spazio per il cineforum e una superficie di oltre 9mila metri quadrati il Liceo Scientifico “Vitruvio Pollione” di Avezzano si conferma la scuola più grande della provincia. Il taglio del nastro del terzo lotto ha sancito la fine dei lavori per la ricostruzione della scuola che andavano avanti da quattro anni. Un tempo record per demolire un liceo che ospita 1.600 studenti e ricostruirlo con innovativi sistemi di sicurezza sismica, ampi spazi, attrezzature e arredi di ultima generazione.
Terrorismo e jihad: la storia insegna… Gli attentati di Parigi del 13 novembre scorso, più di altri, più di quello alla sede di Charlie Hebdo – avvenuto all’inizio del 2015 – più delle atroci decapitazioni sul web, hanno puntato l’attenzione sulla rapida ascesa del califfato che in poco tempo è riuscito ad attrarre tantissimi giovani da ogni parte del mondo. Si ritiene che i ragazzi aderenti a quest’organizzazione siano spinti dal desiderio di sentirsi parte di un gruppo e di cercare la propria identità, ignari di ciò cui andranno incontro. L’Isis si sta mostrando abile nel promuoversi via Internet grazie al quale è possibile mettersi in contatto direttamente con i reclutatori jihadisti iraniani e siriani. Sembra che alla base di queste barbarie vi siano degli interessi politici e geopolitici, nascosti dietro motivi religiosi. Un conflitto di interessi che è esploso anche alla luce del recente episodio che ha visto la tortura e la morte di Giulio Regeni in Egitto. Una morte oscura le cui dinamiche sono tutt’altro facili da capire. Abbiamo provato a interpretare quello che accade oggi in Medio Oriente partendo da molto lontano, una prospettiva storica che parte dalla situazione siriana. Fin dal tempo dei Sumeri e dei Babilonesi la zona che si conosce come Medio Oriente è stata considerata la culla della civilizzazione, non a caso è proprio qui che nascono le principali religioni monoteiste ovvero giudaismo, cristianesimo e Islam. Ad esempio, l’attuale Siria è stata ed è tuttora una zona strategica che collega tre continenti (Europa, Africa e Asia). Non a caso, la Siria è sempre stata sotto il dominio degli imperi più imponenti, tra cui quelli persiano, greco e romano. Fu proprio quando quest’ultimo si divise che l’Islam iniziò a costruire il suo impero. Ciononostante, il “popolo europeo” cercò di recuperare quella che fu “la culla della civiltà”, ne sono un esempio le crociate. Dopo queste battaglie fu la volta dei Turchi di penetrare nella zona: riuscirono a conquistare tutto e fondare anche qui l’impero ottomano che riuscì a resistere fino alla fine della prima guerra mondiale. Venne sradicato soprattutto grazie a Edward Laurence, detto anche Laurence d’Arabia, che convinse la popolazione araba che si trovava all’interno dell’impero a rivoltarsi contro il potere promettendo loro un sogno: la Grande Arabia. I ribelli erano arabi mentre a governare questo grande territorio erano i Turchi ottomani, per cui Laurence fece leva su queste differenze culturali in modo da convincere gli abitanti. Successivamente, agli inizi del ‘900, questa zona venne divisa in vari stati che vennero spartiti sotto l’influenza di Francia e Inghilterra. Queste zone erano infatti ricche di risorse, in particolare di petrolio. I due Paesi europei, però, dovettero lasciare l’area dopo la seconda guerra mondiale, non prima però di fondare lo Stato di Israele, malvisto dai Paesi vicini. Fu proprio in questo periodo che in Siria iniziarono a verificarsi continui colpi di stato. In aggiunta a ciò, si diffuse un ideale che si estenderà successivamente in tutto il mondo arabo: il “Ba’th”, che mescola il sogno di un’unica nazione con idee socialiste. Il pensiero è però di natura laica e non religiosa. Il “Ba’th” fa sì che la Siria si unisca con l’Egitto. Anche se l’unione poi fallisce, l’accordo rimane e spinge la Siria a nazionalizzare il petrolio. In questi anni il sovrano siriano era Al Hassad, uno sciita. Bisogna specificare che l’Islam si scinde in due rami, quello sunnita e quello sciita che, nonostante sia meno diffuso, è la “religione del potere” poiché professata dai capi di stato. Questo irrita i sunniti, i quali reagiscono con la violenza nei confronti del governo. Gli scontri continuano fino al 2000, anno in cui il figlio dell’ex sovrano prende il potere. A questa politica si presentano però oppositori e in aggiunta George W. Bush isola la Siria, inserendola nel fantomatico “Asse
del Male”. Pochi anni dopo, nel 2011, si diffonde un movimento volto a portare in queste aree maggiori istanze democratiche: la Primavera Araba che, arrivando in Siria, porta però numerosi scontri che sfoceranno in una guerra civile. Ancora oggi la Siria è divisa in diverse fazioni, tra le quali distinguiamo il Governo ufficiale, l’opposizione e gli islamisti radicali, famosi per la loro violenza: Al Quaeda e Isis sono i movimenti più conosciuti. Questi ultimi, controllano la maggior parte della Siria. Gli scontri, però, non si limitano all’interno dello Stato, anzi, si espandono nelle nazioni considerate “nemiche” in nome di una guerra considerata “giusta e legittima” contro gli occidentali. La natura di questa mentalità non è nuova all’uomo, infatti è molto simile al pensiero degli europei durante la Grande Guerra che motivava l’astio tra i vari Stati sulla base di una paura reciproca. Anche durante il Ventennio fascista, Mussolini instaurò un pensiero analogo con la riforma Gentile del 1923 rivolta ai più piccoli. Questo “modo” di imporre un pensiero è l’immagine del Metus Hostilis di Sallustio, tradotto come “timore del nemico”, timore del diverso. Ad aggravare la situazione c’è anche un altro aspetto, legato alla parola “jihad”. Questa parola, presente nel Corano, viene interpretata in due modi. Letteralmente il significato della parola è “sforzo”, come ad indicare uno slancio per raggiungere un determinato obiettivo che può fare riferimento a un impegno individuale e spirituale per migliorare se stessi (jihad interiore o grande jihad); oppure può essere inteso come uno slancio per espandere l’Islam al di fuori dei confini del mondo musulmano (jihad esteriore o piccolo jihad). «Giuro in Colui che nelle mani trattiene l’anima di Maometto che Allah farà entrare in Paradiso chiunque oggi li [i nemici] combatterà e sarà ucciso soffrendo nella dura prova e ricercando il piacimento di Allah, procedendo e non retrocedendo». (Maometto) Non è chiaro a cosa si riferisce il “combattere” di Maometto, infatti la parola jihad assume altre connotazioni. Per le donne infatti è un pellegrinaggio alla Mecca. Alcuni lo interpretano invece come una protezione della famiglia, come ordinò di fare lo stesso Maometto a un ragazzo, anziché unirsi a una campagna militare.
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trova dentro di noi, e soltanto noi possiamo sconfiggerlo. La battaglia sarà anche dura, ma alla fine, quando tutti quanti arriveremo sul tetto del mondo, potremo finalmente gridare il nostro motto.
Noi occidentali consideriamo la parola jihad come “guerra santa”, generalizzando il termine soltanto ad una interpretazione negativa del termine. Questa parola ci intimorisce, ci fa arrabbiare. Ma generalizzare senza capire ci riporta di nuovo a un “metus hostilis del 21esimo secolo”. Una risposta armata alle minacce jihadiste non rappresenta l’unica soluzione. Purtroppo, una paura insensata sta frenando noi occidentali, la paura di un demone che non si trova nel popolo che combattiamo, si
Edoardo Pagliaroli, Annalisa Hagi, Alberta Di Renzo, Ilaria Cordischi, Nuri Xhelili (consulenza storica del professor Massimiliano Amicarella)
La conferenza di Parigi e la nostra terra #Cop21, un punto di svolta? Tante indicazioni, molte proposte, ma solo il tempo dirà se parte degli intenti della conferenza internazionale sui cambiamenti climatici troverà realmente applicazione concreta nella vita di tutti i giorni. Come è andata a Parigi? Cerchiamo di capirlo insieme. L’ecologia come da definizione è quella scienza che studia le interazioni tra gli organismi e il loro ambiente. Spesso il significato proprio del termine viene confuso, ma l’ecologia, come scienza, ci spiega che le risorse naturali e gli organismi viventi, compongono gli ecosistemi che sostengono le funzioni a supporto della vita. Ovviamente, se queste funzioni naturali vengono compromesse, ne vanno a risentire non solo gli ecosistemi, ma anche la sopravvivenza dell’umanità. Come se non bastasse a comprometterle è proprio l’abuso delle risorse, tante le volte non rinnovabili, da parte dell’uomo. Lo sviluppo tecnologico non sempre è stato accompagnato da una consapevolezza sul giusto utilizzo delle risorse. Spesso, specie in anni “bui” come dal 1960 in poi, il livello di inquinamento ha raggiunto misure molto elevate, tanto da far temere che procedendo di questo passo si sarebbe arrivati, nel giro di qualche decade, a un punto di non ritorno. A tale scopo, nel tempo, sono state prese iniziative a sostegno della tutela del nostro pianeta, a partire dal 1972, ma la situazione non sembra migliorata. Neanche il protocollo di Kyoto sembra aver sortito particolari effetti. Stiamo parlando del primo vero accordo internazionale volto a contrastare il riscaldamento climatico, fenomeno ambientale mai messo in dubbio dalla scienza e di cui è assolutamente chiara e comprovata la responsabilità umana. Il trattato, di natura volontaria come ricorda Reteclima.it, è stato sottoscritto l’11 dicembre 1997 durante la Conferenza delle parti di Kyoto (la #Cop3) ma è entrato in vigore solo il 16 febbraio 2005 grazie dalla ratifica del Protocollo da parte della Russia. Arriviamo così a Parigi, dove i rappresentanti di 190 Paesi si sono riuniti nel vertice organizzato dall’Onu con un obiettivo: limitare l’escalation delle emissioni. L’accordo, come spiegato su Wired.it, prevede un obiettivo davvero molto am-
bizioso: contenere l’aumento della temperatura globale del pianeta ben al di sotto dei 2°C, perseguendo idealmente il target di +1,5°C. Promotori di quest’obiettivo sono stati i rappresentanti delle piccole isole e degli altri stati più vulnerabili agli impatti del cambiamento climatico, per i quali quel mezzo grado può fare la differenza tra la vita e la morte. Come ogni potenza mondiale si cimenta a trovare rimedi a quella che sembrerebbe “la fine del mondo”, ogni cittadino fa, o almeno dovrebbe fare la sua parte, partecipando a iniziative organizzate come la costruzione di impianti che sfruttano energie rinnovabili, ad esempio impianti eolici o fotovoltaici, o alla cosiddetta raccolta differenziata, che ci porta al riciclo di materiali riutilizzabili, che così non andranno a inquinare. Anche nel nostro territorio, la Marsica, l’idea dell’eolico, ad esempio, è andata via via diffondendosi da comune a comune: i paesi di Cerchio, Collarmele e Pescina hanno installato impianti in grado di produrre energia assolutamente pulita e rinnovabile, dalla quale ogni anno deriva un introito stimato di circa 400.000 euro, permettendo così ai comuni di garantire i servizi essenziali e di realizzare opere pubbliche. Lo stesso vale per gli impianti fotovoltaici, anche più diffusi di quelli eolici. Il più grande, ad esempio, a Scurcola Marsicana. Una serie di installazioni che comunque non è esente da riserve da parte degli ambientalisti i quali ne criticano l’impatto ambientale. Per quanto riguarda la raccolta differenziata, ormai presente quasi ovunque, la situazione è molto migliorata dal 2012, anno in cui i primi Comuni della Marsica hanno aderito. L’obiettivo resta quello di raggiungere il 65% di raccolta differenziata annuale, una quota che solo alcune amministrazioni locali possono vantare. In una città come Avezzano, attraversata da una pista ciclabile di nuova generazione, l’uso delle due ruote andrebbe incentivato con iniziative mirate sia da parte del Comune sia da parte di associazioni. L’obiettivo è spingere quanta più gente possibile a sfruttare la mobilità sostenibile. Stefania Giancarli
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La città: mille storie su un binario
The Revenant- Redivivo
n viavai di volti, parole, odori. Ogni giorno quello della stazione è un mondo veloce, sfocato, che passa davanti ai nostri occhi senza che sia possibile fermarlo e esaminarlo nei particolari: c’è sempre qualcosa che sfugge, dei passi frettolosi, un discorso colto a metà, un odore appena accennato e subito confuso tra gli altri. Eppure all’alba la stazione sembra un altro luogo: tutto è immobile, come sospeso nella luce quasi bianca del primo mattino, che rende sempre tutto così pulito. A rompere il silenzio soltanto i primi annunci dei treni, seguiti dopo qualche minuto dal loro sferragliare sui binari. Un’altra giornata è iniziata: sulle banchine si riversano i primi pendolari; un uomo in giacca, cravatta e ventiquattrore guarda l’orologio mentre si dirige a passo svelto verso il binario; un ragazzo dall’aria a metà tra l’assonnato e lo stupito, di qualcuno che è nuovo al mondo del lavoro, entra nel bar; una donna di mezz’età, il viso stanco e i capelli legati frettolosamente, in piedi vicino all’ingresso, continua a controllare con impazienza a destra e a sinistra il piazzale deserto. Lo stesso che, da lì a poche ore, diventa affollatissimo: c’è chi cerca un orario in bacheca, chi chiede informazioni, e soprattutto ci sono i ragazzi, che riempiono l’interno e l’esterno della stazione con un fiume colorato. Brandelli di conversazioni su questo o quel professore, sulle interrogazioni e i compiti che anche oggi si abbatteranno funesti su ogni classe, richiami e urla di saluto che si accompagnano allo scatto degli accendini che accendono la prima sigaretta della giornata. Regna una confusione di suoni e odori, dall’immancabile sigaretta all’asfalto umido dopo il freddo pungente della notte appena trascorsa, tutti con lo sguardo fisso sul cellulare, scrivono laboriosamente e ricevono messaggi. Odori che i ragazzi sembrano portarsi via man mano che si avviano a passo lento verso le scuole, mentre nel piazzale rimangono solo quelli che per oggi hanno deciso di prendersi il giorno libero, che si raccolgono nel bar e occupano in pianta stabile il biliardino. Tra il rumore secco della pallina che rimbalza e il grattare delle sedie trascinate un po’ ovunque sopraggiungono anche altri ragazzi più grandi, che si uniscono ai “fuggitivi”; tanti sono stranieri, che si avvicinano e salutano battendo il cinque o il pugno. È a tutti gli effetti un mondo parallelo molto più veloce e vario della città, staccata, caratteristica che rende questo posto una sorta di regno per gli adolescenti che si sentono protetti e invisibili quindi liberi di infrangere qualche regola, andare oltre qualche schema soddisfacendo quel bisogno giovanile di sentirsi parte di “qualcos’altro”. Più avanti nella giornata sembra di osservare un nastro che si riavvolge: il fiume dei ragazzi scende dove la mattina saliva, e gli autobus che arrivavano partono. Commenti sulla mattinata, aspettative sul pomeriggio, stralci di dialoghi colti mentre la folla va a raccogliersi nel piazzale, allargandosi diligentemente durante la discesa in corrispondenza della stazione di polizia, perché sotto alla scritta non si passa
The Revenant, l’ultima opera di Alejandro Iñárritu, è un film western pluripremiato del 2015. Un cinema lontano da quello che solitamente Iñárritu ci aveva raccontato, un universo a parte dall’indimenticabile Birdman, e lontano dagli standard del Di Caprio che tutti conosciamo. È una riscoperta, un nuovo inizio, una nuova vita per il regista in questione e per l’attore tanto discusso. The Revenant è un’avventura, una storia d’amore, di fede, di coraggio. Ambientato negli anni Ottanta nel Nord Dakota, parte con la fuga di un gruppo di cacciatori, dalle frecce degli indiani Arikara, e finisce per diventare il viaggio di un padre – Hugh Glass (Leonardo Di Caprio) – trascinato dalla voglia di vendicare l’assassinio di suo figlio per mano del compagno di squadra, Fitzgerarld (Tom Hardly). Il protagonista principale è il viaggio stesso, un viaggio che comincia nella mente di Glass, nel flashback iniziale, che è uno sguardo tra un bambino salvato per miracolo dalle mani dei coloni e quel cacciatore pronto a tutto per preservargli la vita. Qualsiasi sforzo però sarà vano. Il viaggio continua e i protagonisti fanno i conti con la fede, quella stessa fede che Fitzgerarld ridicolizza con storielle banali. Quella fede che Glass ritrova in sogno, in una cattedrale abbandonata, nelle braccia ormai grandi del suo bambino che è costretto a conoscere la morte prima di suo padre, e lo aspetta alla soglia di un ipotetico paradiso. È questa la grande differenza, il posto in cui ognuno ha riposto la propria fede. I flashback continuano e coinvolgono gli spettatori, con quell’incessante carrello della telecamera, e l’onnipresente luna che dall’alto osserva e nulla può e nulla vuole, e questa donna ci appare davanti, una donna di cui non sappiamo niente, che non fa che ripetere al suo amato Glass «quando c’è una tempesta e tu stai di fronte a un albero, se guardi i suoi rami penseresti che esso cadrà, ma se guardi il suo tronco vedrai stabilità». Ecco il nesso che introduce l’altra grande protagonista, la natura, la vastità degli ambienti e dei paesaggi che Iñárritu sfrutta per farci sentire sempre più piccoli e più impotenti, utilizzando il mezzo del dolore, delle ferite inflitte a Hugh dalla stessa natura, che lo costringono a trascinarsi a stento per le montagne del Nord America, in cerca di vendetta. Sta in ciò la grandezza di Leonardo Di Caprio nel riuscire a concedersi completamente al personaggio. Tutto questo senza dover dire non più di un paio di battute. Ci conquista così, con quella vendetta mutilata lasciata a un Dio lontano, con quel respiro finale, ripetuto, profondo, quell’agonia divenuta riposo. The Revenant non è un vero e proprio western. È un film profondo, dalle sfaccettature più varie che va oltre il limite. Storia di un uomo che lotta contro la natura in nome dell’amore. Quell’amor “che move il sole e l’altre stelle”. Gaia Sidoni
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“ché porta sfiga”. Il pomeriggio scorre, mentre sul palco della stazione si avvicendano altri interpreti: viaggiatori capitati per caso, magari di passaggio tra una grande città e l’altra, personaggi pittoreschi che della stazione fanno la loro “base”, uomini, donne e bambini che salgono e scendono dagli autobus diretti e provenienti da tanti paesi, soprattutto est europei e nord africani. Bus pieni di speranze, di volti vogliosi di ricominciare, ripartire, magari proprio da lì, in un posto così lontano, così diverso, da quella stazione che forse per una notte o più sarà il loro letto, la loro casa. Un caos che è destinato a scemare durante la giornata, i viavai degli autobus che in mattinata solcavano il flusso di studenti che scendevano controcorrente e invadevano piazzale Kennedy diminuisce inesorabilmente, le attività commerciali che la circondano abbassano le saracinesche, la notte torna immobile, ma non è la stessa immobilità della mattina. A questo punto il contorno della loro notte potrebbe essere un paesaggio semi-desertico, silenzioso, noioso con la monotonia di un paesaggio di De Chirico rotta forse da qualche annuncio dall’altoparlante o dall’intermittenza del neon di questo o quel lampione. I pochi attori della notte sono quelli che la rendono per molti un posto poco rassicurante, come nel più classico degli stereotipi. Fa rabbia pensare che tutto ciò accade nel caso della nostra città proprio a pochi metri dalla stazione di polizia. Questa però è un’altra storia, ci teniamo però a mostrare come esista nella città un posto poco considerato da tutti, ma che in realtà è in grado con la sua polisemia di cambiare completamente faccia nel giro di una manciata di ore, un punto di incontro e mescolanza di persone e realtà completamente diverse. Sarà infatti di nuovo la luce dell’alba a rendere ancora una volta tutto pulito, precludendo alla frenesia della giornata, a un nuovo mescolarsi di persone e parole. La stazione è l’emblema di una società varia e composita, vittima di un movimento inarrestabile che riesce a mescolare le giornate di tutti noi. La stazione che riesce a unire le giornate di tutti noi per poi ridividerle con binari diversi destinati a perdersi per tutta la Marsica e oltre. La stazione è un mondo di transito, un limbo moderno in cui nessuno si ferma più del tempo di un caffè o una sigaretta, che si può guardare nel suo insieme, ma sempre con la coda dell’occhio. Niente è messo a fuoco, tutto si sposta e cambia, e quello che rimane sono storie incomplete, suoni indistinti, volti indefiniti, sensazioni inafferrabili e perciò così inspiegabilmente affascinanti. Claudia Collacciani, Massimo Corsini e Riccardo Di Pangrazio
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“L’amor che move il sole e l’altre stelle”
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A lezione di religione da Pasolini È una fedele riproposizione del testo sacro, trattato in maniera antidogmatica, tanto che l’opera fece sensazione e scatenò un aspro confronto intellettuale sulla stampa. Diciamo subito che i silenzi sono la forza del film e le parole la debolezza. I silenzi di Pasolini sono affidati all’organo che è più legato al silenzio: gli occhi dei personaggi. Le sequenze silenziose del Vangelo secondo Matteo sono le più belle, appunto perché il silenzio è il mezzo più sicuro per farci fare il salto vertiginoso all’indietro che ci propone Pasolini con il suo film. La parola è sempre storica; il silenzio si pone fuori della storia, nell’assolutezza delle immagini: il silenzio della Annunciazione, il silenzio che accompagna la morte di Erode, il silenzio degli apostoli che guardano Gesù e di Gesù che guarda gli apostoli, il silenzio di Giuda che sta per tradire, il silenzio di Gesù che sa di essere tradito. Il silenzio nel film di Pasolini non è, d’altra parte, quello del cinema muto, cioè un silenzio per difetto; bensì è il silenzio del parlato, cioè un silenzio plastico, espressivo, poetico, religioso appunto. Mentre i silenzi sono di Pasolini, le parole, ovviamente, sono del Vangelo. Ma che Gesù è quello di Pasolini? Si tratta di un Gesù molto diverso da quello conformistico che predomina ancora oggi. Non vogliamo sprecare troppe parole su un fatto ovvio: è chiaro che la bontà di Gesù ha, in sede storica, un carattere rivoluzionario, e che, nel momento stesso che Gesù diceva: “Ama il tuo prossimo come te stesso”, egli diceva qualche cosa che non era soltanto l’espressione di un sentimento, ma soprattutto, rispetto al mondo di allora, qualcosa di oggettivamente sovvertitore. Per questo, Pasolini ha mirato a darci un Gesù duro, violento, iconoclasta, inflessibile, come appunto doveva apparire ai suoi contemporanei. Inizialmente Pasolini voleva che ad interpretare il Cristo fosse un ragazzo di strada, ma dopo molto cercare si rese conto che Gesù non poteva avere il volto di un proletario, e quando vide il volto “borghese” del ragazzo spagnolo venuto in Italia in cerca di appoggi politici e intellettuali, ne fu folgorato e gli propose la parte, che Enrique Irazoqui accettò dopo non poche remore. (m.d.c) L’appuntamento per il mese di marzo (mercoledì 23) del nostro Cineforum è Il Vangelo secondo Matteo di Pier Paolo Pasolini, uscito nelle sale italiane il 02 ottobre 1964, dopo aver vinto il Leone D’Argento alla XXIV Mostra di Venezia.
“
È meglio bruciare in fretta
che spegnersi lentamente*
C
”
La maledizione dei 27
orreva l’anno 1892, e un pianista moriva all’età di 27 anni. Era Alexandre Levy. Forse, “La maledizione dei 27” parte da qui. Quest’espressione, coniata negli anni ’70, indica quel gruppo di giovani artisti legati da un talento ineguagliabile, ma allo stesso tempo uniti da un destino crudele che ha stroncato loro la vita alla prematura età di 27 anni. Di fatto, questo numero divenne il simbolo maledetto del rock. Ed è proprio negli anni ’70 che alcune di queste anime maledette vennero a mancare creando un vuoto incolmabile nel cuore dei loro fan e di tutti coloro che apprezzavano, e ancora apprezzano, la loro musica; insieme a quel vuoto, li travolse un’inquietudine inarrestabile. Uno dei nomi più importanti è senza dubbio quello di Janis Joplin, icona indiscussa del rock anni ’60-’70. Riconosciuta per l’intensità delle sue interpretazioni, fu inserita nella “Rock and Roll Hall of Fame” e posta nella classifica dei 100 cantanti più importanti di tutti i tempi. Ventisette anni, morta per overdose di eroina. In seguito ricordiamo Jimi Hendrix, considerato il più grande chitarrista di tutti i tempi: si rese precursore del sound e di strutture che sarebbero state le future evoluzioni del rock. La “Rock and Roll Hall of Fame” ricorda anche lui. Ventisette anni, morto per soffocamento causato da vomito, sopraggiunto in seguito ad un cocktail di alcool e tranquillanti. Troviamo poi il “Dioniso” degli anni ’60, Jim Morrison, uno dei più importanti esponenti della rivoluzione culturale nonché uno dei massimi simboli dell’inquietudine giovanile, per questo soprannominato anche “il poeta maledetto”. È stato inserito al 22° posto nella classifica dei “50 più grandi cantanti del rock”. Ventisette anni, morto a Parigi per probabile arresto cardiaco, in circostanze mai del tutto chiarite.
Ancora Kurt Cobain, il frontman tormentato dei Nirvana. Sebbene non amasse essere definito “il portavoce di una generazione”, ne divenne un idolo vero e proprio arrivando a influenzare sia la sua generazione, quella cosiddetta “grunge” degli anni ’90, sia quelle successive. Ventisette anni, fucile calibro 20, un colpo in testa.
Diceva Amy Winehouse “Tutto mi dà ispirazione… Tutto ciò che accade nella vita”. Una vita breve, magari, ma che non le ha impedito di diventare l’anima soul del XX secolo. Ventisette anni, premiazioni, canzoni indimenticabili, morta per presunto abuso di alcool. Ventisette anni e tante storie. Storie di artisti che sono stati e sono tutt’ora pilastri della musica, ma che, forse, hanno bruciato il loro dono più importante: la vita. Quella vita che gli ha regalato la gioia di fare della musica il loro lavoro e di lasciare un testamento fatto di note. Luna Costantini, Lia Pietrosante e Federica Di Domenico
PILLOLE DI LETTURA P Scopo di questa rubrica è quello di proporre qualcosa da leggere, perché non c’è niente di meglio che passare del tempo di un buon libro.
ensiamo al nuovo lavoro di Alessandro Bertante, “Gli ultimi ragazzi del secolo”, Giunti 2015. È la storia di un viaggio estivo in Croazia che porta il protagonista, insieme a un amico, fino a Mostar e a Sarajevo, nei luoghi dove da poco si è conclusa una guerra che ha fatto strage di vittime civili. Attraversando con una Panda le montagne bosniache, così simili ai nostri Appennini, Bertante racconta con pagine toccanti e di grande impatto narrativo le devastazioni e le paure del conflitto balcanico, una storia che ci riguarda più di quanto siamo in grado di capire. Questo avventuroso percorso di formazione serve da perno per mettere in relazione, come una specie di correlativo oggettivo, il conflitto nei Balcani con la generazione del protagonista, cresciuta nei favolosi anni ‘70 e ‘80 con le canzoni, i film, l’abbigliamento, l’esplosione della tv commerciale, Drive In e i paninari, la new wave e i centri sociali, fino alla mattanza delle droghe pesanti e alla tragedia dell’Aids. Un buon romanzo di formazione che permette ai più giovani di conoscere anche la generazione dei loro padri. Il secondo libro che proponiamo è il nuovo lavoro di Luis Sepulveda, “Storia di un cane che insegnò ad un bambino la fedeltà”, una favola moderna sul valore della fedeltà e della solidarietà, e sul rispetto per la terra che abitiamo e per tutti gli esseri viventi che la popolano. Il protagonista è un bambino mapuche, fiera popolazione cilena che da sempre abita quelle terre; il cane è il suo compagno di giochi, e il piccolo stringe con lui un intenso legame di amicizia… Un racconto avvincente, interessante e coinvolgente, scritto in uno stile fluido e piacevole alla lettura. E soprattutto un libro adatto a tutte le età... E per finire, suggeriamo la lettura di un classico della letteratura mondiale: “Narciso e Boccadoro”, di Herman Hesse. Un romanzo antico e moderno allo stesso tempo, capace di farci porre le domande più scomode e indurci a indagare il nostro inconscio alla scoperta del nostro vero io. Ricordando che l’importante è leggere, leggere, leggere. Leggete ciò che volete e buona lettura a tutti. Maria Assunta Di Crescenzo professoressa di Lettere
* (Parole di Neil Young menzionate nel messaggio di addio di Kurt Cobain)
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