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L’export a misura di Pmi Dati, mercati ben studiati e inglese

Jacopo Brioschi, coordinatore dell’area innovazione e sviluppo di Artser, ci aiuta a capire come è meglio muoversi sui mercati esteri: «Vanno studiati la dimensione geografica, le caratteristiche dei canali distributivi e logistici, le barriere all’ingresso, le normative, le fiere, i media, i potenziali clienti, partner e competitor, con una particolare attenzione alle business habits»

La vocazione internazionale è fondamentale per la sopravvivenza delle imprese? E le piccole aziende sono troppo piccole per internazionalizzarsi?

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Il tema è di grande attualità e più complesso di quanto non sembri, ma secondo Jacopo Brioschi, coordinatore dell’area innovazione e sviluppo di Artser, il dimensionamento non è un impedimento. «Semmai la piccola dimensione ha un impatto sulla capacità di investimento di una impresa, che pertanto dovrà scegliere in maniera oculata i mercati e la strategia di penetrazione da adottare».

Premessa: i dati del rapporto annuale ITA (Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane) dicono che l’80% delle aziende esportatrici per un valore di oltre il 50% della quota export italiana sono micro, piccole e medie imprese; pertanto, la piccola dimensione non appare come una causa ostativa all’avvio di un processo di sviluppo internazionale.

Va anche ricordato che i due pilastri in termini di valore dell’export italiano restano le macchine utensili e la sub fornitura meccanica, prima dei tre rami del Made in Italy: food, fashion e forniture.

Cosa vuol dire internazionalizzarsi? Non vuol dire solo vendere all’estero. È un percorso di cambiamento dell’impresa che per raggiungere l’obiettivo deve comprende- oltre i confini items re i contesti in cui si vuole inserire. Vanno studiati la dimensione geografica, le caratteristiche dei canali distributivi e logistici, le barriere all’ingresso, le normative, le fiere, i media, i potenziali clienti, partner e competitor, con una particolare attenzione alle business habits, ovvero a quell’insieme di abitudini formali e informali che aiutano a sviluppare relazioni positive con i partner locali.

Un aspetto fondamentale è la volontà/disponibilità dell’impresa a cambiare per sviluppare la propria presenza su un nuovo mercato. Per internazionalizzarsi è necessario avviare un cambiamento organizzativo. Ad esempio, possono essere necessari la presenza in azienda di un back office commerciale che parli inglese, un supporto logistico adeguato, o lo sviluppo di packaging dedicato.

Dove internazionalizzarsi?

Per le Pmi la scelta del mercato è un fattore critico. Per motivi strutturali è importante pianificare gli investimenti con attenzione e in modo razionale, affrontando lo sviluppo internazionale passo a passo, un mercato alla volta.

Prima di scegliere il mercato bisogna informarsi. Non bastano i dati, di cui siamo inondati. È necessario che i dati diventino informazioni, ovvero indicazioni chiare per l’azienda. Oltre ad appoggiarsi a consulenti che hanno conoscenza diretta del mercato che si sta valutando, a volte è utile e ne- cessario farsi un’idea diretta, partecipando o visitando una fiera, per esempio, per verificare come funziona il proprio settore con interviste a potenziali clienti e l’analisi accurata di strategie e peculiarità dei competitor.

Una Pmi deve stare molto attenta alla valutazione corretta di dati apparentemente attraenti, perché spesso un mercato con numeri interessanti ha costi di ingresso alti, strutturali o dovuti alla concorrenza. Nei mercati grandi spesso operano anche aziende grandi con la possibilità di investire capitali importanti o di fare pricing aggressivi grazie alle economie di scala.

Un buon punto di partenza per un percorso di internazionalizzazione può essere la valutazione attenta dei mercati vicini. Il mercato europeo, con la sua omogeneità normativa e la facilità di relazione, si può considerare il target principale per una Pmi. Meglio iniziare da aree in cui la concorrenza è meno serrata. I mercati di dimensioni ridotte spesso non giustificano grandi investimenti, di conseguenza in questi contesti si riduce la sproporzione tra piccole e grandi imprese e la concorrenza locale può essere strutturalmente meno aggressiva. Per le grandi imprese lo sforzo organizzativo non sarebbe giustificato dal fatturato potenziale, mentre per una piccola impresa si possono aprire opportunità rilevanti in termini di fatturato.

Di Marco

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