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E-COMMERCE PER MOLTI MA NON PER TUTTI. CRONACA DI UNA RIVOLUZIONE MANCATA

Il 39,6% delle imprese fino a tre dipendenti non ha adottato misure per contrastare l’emergenza e non ha fatto nulla il 34% delle attività fra tre e 10 dipendenti

Enrico Marletta

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Come in ogni grande crisi, accanto agli elementi negativi, esiste una dimensione legata all’opportunità del cambiamento. Così sta accadendo anche ora con la digitalizzazione delle imprese che, nei mesi del lockdown e del post, ha conosciuto un’improvvisa accelerazione. In questo contesto, uno degli ambiti che più si è sviluppato è stato l’e-commerce. «Sviluppato sì ma non quanto ci si poteva aspettare – spiega però Andrea Vaccarella, ingegnere informatico – i dati Istat ci dicono ad esempio che il 39,6% delle imprese sino a 3 dipendenti non ha adottato misure per contrastare l’emergenza e allo stesso modo non ha fatto nulla il 34% delle attività tra 3 e 10 dipendenti: la crisi sembra avere stimolato più le aziende grandi, meno le piccole che pure avrebbero grande necessità di attrezzarsi con le tecnologie digitali».

L’altra faccia della medaglia ci dice però che più del 60% delle micro imprese non è stata ad aspettare che passasse la tempesta…

Sì, certo, questi mesi ci raccontano anche un grande dinamismo delle piccole imprese che si sono attrezzate per vendere on line o che hanno deciso di sviluppare canali che in precedenza avevano sottovalutato, mi riferisco in particolare all’utilizzo dei social come strumento di supporto alle vendite: al di là di Facebook e Instagram penso, nel caso delle imprese che operano nel B2C, ai servizi di delivery o ai quei servizi che permettono di avere un’offerta online anche senza disporre di un proprio canale. Si è inoltre diffuso quello che si definisce un e-commerce di prossimità, soprattutto nella fase in cui ai cittadini era limitata la possibilità di uscire di casa: non sono stati rari i casi di negozietti di alimentari che mettendo l’offerta on line e raccogliendo l’ordine al telefono per poi effettuare la consegna a domicilio, hanno addirittura incrementato il fatturato rispetto al pre-emergenza.

ciali del settore alimentare?

No, giusto qualche giorno fa ho raccolto la testimonianza di un piccolo imprenditore che realizza gioielli e bijoux. Nel pre Covid la sua struttura commerciale era divisa tra e-commerce su alcuni dei principali marketplace e per un 20% del fatturato fiere di settore. Bene, con il lockdown ha azzerato la componente di fatturato legata alle fiere ma ha più che recuperato sull’e-commerce focalizzandosi in particolare sui social.

Questa storia cosa ci insegna?

Penso che chi si è voluto applicare e ovviamente ha valore nel prodotto, è riuscito a vedere come trasformare la perdita in nuove opportunità. È una strategia vincente: se queste imprese continueranno a recuperare sui canali digitali ciò che hanno perduto sui canali tradizionali, è immaginabile che in prospettiva avranno un segno più e non un pareggio, quando perlomeno in parte torneranno a funzionare anche le vendite sui canali tradizionali.

affrontare una piccola attività che ha desiderio di affacciarsi sul web?

Principalmente tre. Il primo è la mancanza di informazione, di conoscenza, il non sapere cosa c’è da fare per approcciare il tema. Tante imprese rinunciano in partenza magari perché hanno paura di costi eccessivi o del tempo che bisognerà dedicare allo strumento o delle norme da osservare, penso per esempio al Gdpr. Un altro ostacolo è di natura culturale: in Italia, ad esempio nel settore turistico, tante imprese sono riuscite a sopravvivere continuando a rimandare l’incontro con il digitale. “Perché cambiare se le cose vanno comunque abbastanza bene?” ci si sente dire da tanti imprenditori. E non è un caso se la digitalizzazione delle piccole imprese coincide molto spesso con il momento di passaggio generazionale. Il terzo ostacolo è legato alla diffusa convinzione, oggi non più vera, che il digitale sia una materia complessa: dal punto di vista tecnico avviare un e-commerce è un’operazione semplice, lo stesso dal punto di vista burocratico.

Quali sono gli errori commessi più di frequente dalle piccole imprese?

Anche qui ne cito tre. In assoluto, il più frequente è quello di allocare le risorse per il

Tre ostacoli all’inversione di tendenza: la mancanza di informazione, la propensione al cambiamento e la convinzione che il digitale sia una materia complessa

digitale in modo non equilibrato, nello specifico si tende a spendere tutto ciò che si ha per la realizzazione del sito. E’ un errore, è un po’ come spendere tutti i propri soldi per un’auto fuoriserie e non pensare alle spese per la benzina, il bollo e l’assicurazione: se hai una Ferrari in garage ma non la puoi usare a cosa può essere utile? Tornando all’e-commerce: meglio un sito un poco meno bello se questo consente di spendere una parte del budget per le attività di sviluppo, promozione, comunicazione e gestione. In fondo meglio un sito brutto ma frequentato da utenti che comprano anziché un sito bellissimo ma poco conosciuto.

E gli altri due errori?

Un altro equivoco diffuso è legato all’idea che basti affidarsi a un’agenzia esterna specializzata per cogliere tutte le potenzialità del digitale. Costruire un sito è semplice, meno banale interpretare i dati, capire ad esempio qual è il tasso di conversione (la quota di visitatori che diventa cliente, ndr) e come migliorare le performance. Il terzo errore classico è legato all’idea che basti la qualità dei contenuti per avere buoni risultati di vendita, non è così: molto più importante capire quali informazioni servono all’utente.

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