MENSILE DI RELIGIONI · POLITICA · SOCIETÀ
6 EURO TARIFFA R.O.C.: POSTE ITALIANE SPA - SPED. IN ABB. POST. D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/04 N.46) ART.1 COMMA 1, DCB
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Confronti | novembre 2017
Cristiani in Iraq dopo l’Isis
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ANNO XLIV NUMERO 11 Confronti, mensile di religioni, politica, società, è proprietà della cooperativa di lettori Com Nuovi Tempi, rappresentata dal Consiglio di Amministrazione: Nicoletta Cocretoli, Mariangela Franch, Ernesto Flavio Ghizzoni (presidente), Piera Rella, Ilaria Valenzi. DIRETTORE
Claudio Paravati CAPOREDATTORE
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Michele Lipori, Rocco Luigi Mangiavillano, Anna Maria Marlia, Daniela Mazzarella, Carmelo Russo, Luigi Sandri, Stefania Sarallo, Lia Tagliacozzo, Stefano Toppi. COLLABORANO A CONFRONTI
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le immagini
Parte da lontano il calvario dei cristiani in Iraq. La guerra del 2003 ha decimato la presenza di questa realtà, costringendola all’esilio. Tra i gravi danni causati dall’Isis, vi è l’incertezza del futuro per una delle più antiche comunità dell’Iraq. Sull’argomento, il servizio a pagina 20 e l’ampio reportage fotografico che illustra il numero, realizzato da Arianna Pagani a Bakhdida/Qaraqosh, Governatorato di Ninawa (Iraq).
Bakhdida/ Qaraqosh, interno della chiesa della Vergine Maria.
Confronti | novembre 2017
TESTIMONIANZE DA QARAQOSH
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il sommario
il sommario GLI EDITORIALI
Ius soli: negare i diritti è una debolezza culturale Enzo Pace 6
Efficienza italiana, creatività tedesca
I SERVIZI
LE NOTIZIE
LE RUBRICHE
I LIBRI
IMMIGRAZIONE 10 Includere rispettando le diversità Confronti
Razzismo
11 Il nuovo volto della società del futuro Idos
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Diario africano In Congo dilagano disordini e violenze
Terra Santa. Guida per pellegrini e viaggiatori
13 Le religioni degli immigrati Mostafa El Ayoubi
Adriano Gizzi 7
15 La Dichiarazione ecumenica
“Scorta mediatica”, per non essere complici
16 La dinamica del capro espiatorio (intervista a) Maurizio Ambrosini
Giuseppe Giulietti 8
di Lampedusa Nev
IRAQ 18 Foto da Qaraqosh Arianna Pagani 20 Il dopo-Isis nella città cristiana
di Qaraqosh
Sara Manisera ISLAM
23 Leggere il Corano
non significa conoscerlo (intervista a) Farid Adly CATALOGNA
25 Referendum illegittimo,
reazione autoritaria Felice Mill Colorni SOCIETÀ
27 L’impegno dei Giovani
musulmani d’Italia Elisa Ferranti
FILOSOFIA 29 L’Io iperproduttivo e depresso Samuele Pigoni RELIGIONI 31 Scientology e le arti Massimo Introvigne 33 L’estetica degli spazi Luigi Berzano
36
Economia Scuola 37
Cdb 37
Chiesa cattolica 38
Enzo Nucci 40
Spigolature d’Europa Che fine ha fatto il socialismo europeo?
David Gabrielli 43
Segnalazioni 44
Adriano Gizzi 41
Russia 1917-2017, il secolo lungo Luigi Sandri 42
LE IMMAGINI
Cristiani in Iraq dopo l’Isis Arianna Pagani copertina
Testimonianze da Qaraqosh
Arianna Pagani 3
invito alla lettura
Migrazioni in numeri Claudio Paravati
A
nche quest’anno abbiamo lavorato al Dossier statistico immigrazione, con lo storico gruppo di redazione Idos. Un dossier voluminoso, fatto di dati e di analisi. Mai come quest’anno lo riteniamo un risultato importante e, speriamo, utile affinché quei “dati” parlino il linguaggio della società civile e della politica. Perché – ci sembra – ce n’è bisogno. Non solo preoccupa il ritorno consistente di partiti di destra, numeri elettorali alla mano, che fanno della migrazione uno dei nodi portanti del loro programma. Naturalmente per immaginarne il blocco – tramite muri, divieti o altro. Allo stesso tempo il malumore generale ci presenta nuovamente, come segnalato ormai negli ultimi anni anche sulle pagine di questa nostra rivista, rigurgiti di xenofobia, antisemitismo e islamofobia – accanto a tutte le altre discriminazioni – che non possiamo non leggere come sintomi da tenere a bada di un malessere generalizzato. Su cui la politica deve fondare la propria azione, per metterci mano e porre rimedio. Per questo troverete un lungo servizio proprio sul tema migrazioni, con i dati del Dossier, in questo nostro numero. D’altra parte non è possibile leggere il fenomeno se non inquadrandolo nel più ampio quadro geopolitico. A partire dalla Catalogna e dalle conseguenze del suo referendum, e l’ulteriore sconfitta dell’Isis in Iraq. Impreziosisce questo numero il servizio giornalistico e fotografico di Sara Manisera e Arianna Pagani, che testimoniano il ritorno dei cristiani in quelle terre, e la fatica di una ricostruzione ancora da incominciare. Infine non possiamo dimenticare la pluralità religiosa e filosofica che va emergendo sempre più, anche in Italia (come da dati del Dossier). Ecco il motivo di due servizi, uno su Scientology e l’arte, e uno sul filosofo coreano Byung-Chul Han, che da Berlino dove lavora da anni mette in guardia sul cambiamento del soggetto politico nella società dei nuovi mass media. Argomenti che si tengono insieme nel pluralismo religioso del “post-secolare”, che monitoriamo da tempo con la nostra rivista e col Centro Studi di Confronti. Tanto in questo numero, tutto da leggere e da assaporare, prima del prossimo mese. Buona lettura.
gli editoriali
Ius soli: negare i diritti è una debolezza culturale
Confronti | novembre 2017
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us sanguinis o Ius soli? Si tratta veramente di due criteri diversi e opposti per l’accesso alla cittadinanza? Inoltre, sono ancora strumenti giuridici adeguati a rappresentare il mutato rapporto fra cittadinanza e nazionalità, che le società occidentali (ma non solo) conoscono a seguito dell’elevata mobilità di donne e uomini che emigrano dai loro Paesi di origine facendo famiglia altrove? Se restiamo nel perimetro dell’Unione europea, salvo pochissime eccezioni (Gran Bretagna e Portogallo, pur se con differenti procedure), il regime che regola l’accesso alla cittadinanza per gli stranieri e i loro figli è da tempo un misto di diritto di sangue e diritto di suolo. In molti casi la regola dello ius sanguinis è stata adattata in modo tale da rendere più facile l’accesso a chi non può vantare una discendenza per linea di sangue, fondata sull’equazione fra cittadinanza e nazionalità. Dal 2000 circa, gli stati europei che avevano in prevalenza regolato l’accesso alla cittadinanza in base allo ius sanguinis, infatti, hanno introdotto dei correttivi che, in buona sostanza, riconoscono lo status civitatis anche a quanti sono nati da genitori stranieri, sprovvisti dunque del requisito della nazionalità. Per esempio è quanto è avvenuto in Germania, Irlanda, Spagna e Svezia. Anche in Italia qualcosa è cambiato con la legge 91 del 1992. Il regime dello ius sanguinis è stato integrato dalla procedura che prevede che chi nasce in Italia da genitori stranieri può fare richiesta di cittadinanza al compimento del ENZO PACE sociologo, diciottesimo anno membro di età (entro un del Consiglio anno). Ci sono alper le relazioni tre due strade per con l’islam.
ottenerla: a) per trasmissione da un genitore straniero che nel frattempo l’ha chiesta e acquisita in base a criteri ben precisi (residenza ininterrotta da almeno dieci anni, reddito sufficiente, non precedenti penali); b) dietro domanda di una persona adulta, nata in Italia; il periodo minimo richiesto di residenza continuata, in tal caso, scende da dieci a tre anni. Se restiamo, dunque, al caso italiano, la discussione sullo ius soli è superata da tempo. L’Italia già con la legge del 1992 aveva in qualche modo adeguato i criteri dello ius sanguinis alla mutata situazione di tanti cittadini di fatto non di nazionalità italiana. La riprova è che in Italia cresce il numero di persone che la ottengono (ma sono residenti da almeno quindici-venti anni e hanno atteso un lungo iter procedurale).
NON RICONOSCERE LA CITTADINANZA A QUESTI NUOVI (DI FATTO) CITTADINI ITALIANI SIGNIFICA AVERE LO SGUARDO RIPIEGATO SUL PRESENTE E NON PROIETTATO VERSO IL FUTURO. Il problema che il disegno di legge approvato dalla Camera (e fermo per ora al Senato) cerca di affrontare è il riconoscimento dello status civitatis a due categorie di persone non maggiorenni: a) nati in Italia da genitori stranieri lungo-residenti (almeno da cinque anni ininterrottamente e per gli extra-Ue, in più, con prova di avere un reddito sufficiente, un alloggio e di aver superato un esame di lingua) e b) minori arrivati
Enzo Pace
prima di aver compiuto dodici anni e che abbiano frequentato un ciclo scolastico. La Fondazione Leone Moressa calcola che assieme queste due coorti siano costituite da minori, adolescenti e giovani adulti nati e/o cresciuti in Italia, pari in totale a 800mila persone. Dunque, stiamo parlando del nostro futuro, non certo di quello degli stranieri. Fin qui parliamo di cittadinanza formale che consente ad un individuo di esercitare pienamente i diritti civili, sociali e politici. Non è detto, però, che tale condizione assicuri la cittadinanza materiale o effettiva, per sentirsi parte integrante e attiva di una comunità politica. Ciò vale per tutti, ovviamente, ma molto di più per quel segmento della popolazione (di fatto) italiana che però sente di non essere riconosciuta come tale. Avverte di essere considerata ancora straniera. Ogni anno, da qualche anno, sui giornali leggiamo che in una scuola elementare molte prime classi sono «composte da stranieri» o che «ci sono solo due italiani, mentre i loro compagni sono stranieri». Non è detto che sia necessariamente un segno di xenofobia. Parlerei piuttosto di una falsa coscienza, che è condivisa da molti nostri connazionali. Si continua a pensare a queste nuove generazioni come “foreste”, perché su di esse si scarica la paura nei confronti della grande trasformazione delle nostre società: non più omogenee (se lo sono mai state), caratterizzate da un oggettivo pluralismo di culture (in senso antropologico), fedi, lingue, costumi e gusti alimentari. Il non riconoscimento della cittadinanza a questi nuovi, di fatto, cittadini italiani è un segno di debolezza culturale e di sguardo corto, ripiegato sul presente e non proiettato verso il futuro.
gli editoriali
U
n giorno la ballerina Isadora Duncan propose a George Bernard Shaw di fare un figlio assieme, con questa motivazione: «Così avrà la vostra intelligenza e la mia bellezza». Ma si vide declinare l’offerta con questa battuta: «E se poi viene con la mia bellezza e il vostro cervello?». Ci sono sistemi elettorali stabili e sperimentati per molti decenni (come quello francese e quello tedesco) o addirittura per secoli, come quello anglosassone, e volendo adottare un nuovo sistema di voto si può scegliere di “copiarne” uno esistente oppure di crearne uno misto. Era il caso del Mattarellum, con cui eleggevamo il 75% dei parlamentari con il maggioritario, in collegi uninominali, e il 25% con il proporzionale. Anche il Rosatellum bis (la nuova legge elettorale che, proprio mentre mandiamo in tipografia questo numero di Confronti, il Senato sta approvando a colpi di fiducia) è una miscela di proporzionale e maggioritario. Ma, come abbiamo visto, gli ibridi possono dare risultati imprevedibili. Il sistema elettorale tedesco, da molti invocato, ha i vantaggi del proporzionale (la piena rappresentatività, fatto salvo lo sbarramento al 5%), ma allo stesso tempo consente di scegliere direttamente la persona nei collegi uninominali. Il Rosatellum bis invece prende il peggio del proporzionale (la frammentazione, che porta alla tanto temuta ingovernabilità) senza avere almeno i vantaggi dell’uninominale, ossia la possibilità per l’elettore di votare un candidato ben riconoscibile. Alla Camera 232 seggi (quasi il 37%) saranno attribuiti in altrettanti collegi uninominali e i restanti distribuiti in modo proporzionale. Analogo discorso per il Senato, dove la quota eletta con l’uninominale sarà del 35%.
La questione più controversa riguarda il fatto che l’elettore si troverà di fronte a un’unica scheda per ciascun ramo del Parlamento, nella quale sarà costretto a scegliere in blocco il candidato dell’uninominale e quelli (da 2 a 4) della quota proporzionale. Un “prendere o lasciare”, quindi: chi vuole votare il candidato di un certo partito nell’uninominale ma non è convinto da quelli del proporzionale, non ha scelta: o li vota tutti o li rifiuta tutti. Può anche illudersi di votare solo il candidato dell’uninominale, barrando soltanto quel nome, ma poi il voto verrà comunque trasferito a tutte le liste che lo appoggiano. Non solo non sono previste le preferenze, ma ci si può presentare in ben cinque collegi proporzionali: il candidato illustre “trombato” nel collegio uninominale verrà ripescato nel proporzionale. Il fatto che il Consiglio d’Europa si fosse raccomandato di non cambiare la legge elettorale nell’anno che precede le elezioni – cosa che avvenne anche con il Porcellum – non ha minimamente impensierito i nostri legislatori. Pensando probabilmente di recuperare un po’ di “fuoriusciti”, il Pd ha reintrodotto le coalizioni: un regalo soprattutto per il centro-destra (che è diviso in più partiti, ma coalizzato potrebbe arrivare in testa) e uno sgambetto al Movimento 5 stelle, che rifiuta di allearsi. Ma, indipendentemente da chi favorisce o penalizza, questa legge non introduce alcun obbligo di fedeltà per le forze politiche che si coalizzano (né poteva farlo, stante il divieto di mandato imperativo previsto dall’articolo 67 della Costituzione), quindi le alleanze serviranno solo a guadagnare più seggi possibile, per poi tornare con le mani libere il giorno dopo le elezioni.
Adriano Gizzi
Per confondere ancora di più le idee all’elettore, si sono introdotte soglie di sbarramento differenti: una del 3% (sia alla Camera che al Senato) per entrare in Parlamento e una dell’1% che non dà diritto a una lista di eleggere propri parlamentari, ma consente alla coalizione di cui fa parte di aumentare la propria quota complessiva.
GLI IBRIDI POSSONO PRODURRE BUONI RISULTATI, ANCHE NELLE LEGGI ELETTORALI, A PATTO PERÒ CHE DA OGNI SISTEMA SI PRENDA IL MEGLIO. NON PARE IL CASO DEL ROSATELLUM BIS. Se un partito non prende neanche l’1% i suoi voti vengono buttati via, come fossero schede nulle, ma se prende più dell’1% e meno del 3% favorisce comunque le altre liste della coalizione di appartenenza, pur non vedendosi assegnare nessun seggio. Già si prevede il proliferare di “liste civetta”, utili a raccogliere voti preziosi a esclusivo vantaggio dei partiti maggiori. E comunque, ancora una volta, avremo un esercito di nominati senza voce che obbedisce a Renzi, un altro a Grillo, uno a Salvini e uno a Berlusconi.
ADRIANO GIZZI redazione Confronti.
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Efficienza italiana, creatività tedesca
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gli editoriali
“Scorta mediatica”, per non essere complici
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on lasciateci soli, non dimenticate che oltre centro cronisti sono ancora nelle carceri di Erdogan». Questo è uno dei tanti appelli che arrivano ogni giorno dalla Turchia. «Se la Turchia è il più grande carcere per giornalisti, la Siria è diventata il più grande cimitero per chiunque voglia raccontare la strage infinita», ci raccontano gli ultimi blogger che ancora abitano quella terra. In Egitto, «chiunque abbia tentato di indagare su Giulio Regeni, avvocato o giornalista che sia, è stato messo in galera», ci ricorda Amnesty international. Appelli simili arrivano dal Messico, dalle Filippine, dalla Somalia, dallo Yemen, dalla Cina, per citare solo alcuni dei paesi dove la libertà di informazione è a rischio, anzi è già gravemente compromessa, sino al punto che, da quelle terre, chiedono a ciascuno di noi di non dimenticarli, di non oscurarli, di diventare noi la loro voce, di dare forza e sostegno alle loro denunce, alle loro battaglie per la libertà e la dignità. Parole simili arrivano anche da alcuni cronisti italiani impegnati in una quotidiana lotta contro malaffare, corruzione e mafie. Alcuni di loro, a causa delle loro inchieste, sono costretti a vivere sotto scorta per proteggersi dalle possibili ritorsioni di chi considera la libertà di informazione uno dei nemici più insidiosi e temibili. «I mafiosi odiano la libertà di informazione», hanno più volte ribadito i magistrati nelle loro sentenze, esaltando il ruolo e la funzione di chi “illumina”i territori occupati dalla criminalità. «Per contrastare GIUSEPPE davvero la corruGIULIETTI presidente zione ci vorrebbero della Federazione più inchieste e più nazionale della cronisti capaci di stampa italiana, farle, la libertà dei già portavoce di Articolo 21. giornalisti è una
condizione essenziale per combattere le mafie», ha ricordato questa estate (in una lettera su la Repubblica) il giudice Cantone, presidente dell’Autorità contro la corruzione. Sarà stata una casualità, ma questo è stato il suo intervento pubblico meno applaudito e meno citato dai rappresentanti del governo, dalla politica tutta, dalle istituzioni di sorveglianza e di garanzia.
PER NON LASCIARE SOLI I GIORNALISTI MINACCIATI. LA PRIMA CAMPAGNA, PROMOSSA DA ARTICOLO 21 E AMNESTY, È DEDICATA A REGENI. L’insieme di questi appelli, le voci che arrivano dalle carceri, dalle periferie del mondo, dai luoghi occupati dalla criminalità, ci ha spinto a promuovere la campagna che ha assunto la definizione di “Scorta mediatica” e che si propone di non lasciare isolati ed oscurati coloro che sono a rischio per aver cercato di essere i nostri occhi e le nostre orecchie nei territori dove si consumano veri e propri massacri di vita, di speranza, di vite umane. Garantire la “Scorta mediatica” significa riprendere, amplificare, firmare collettivamente quelle inchieste che hanno procurato minacce e aggressioni nei confronti dei cronisti o comunque di chi ha spezzato i muri dell’omertà e delle complicità. Corrotti, mafiosi, commercianti di armi e di morte e loro complici debbono sapere che ogni qual volta minacceranno o colpiranno un cercatore di verità, dovranno fare i conti con la “Scorta mediatica” e cioè con l’amplificazione della denuncia, con l’illuminazione a giorno dei territori da loro abusivamente occupati
Giuseppe Giulietti
ed umiliati. Non si tratta, solo o soltanto, di proteggere il diritto ad informare del singolo giornalista,ma anche di tutelare il diritto ad essere informata che appartiene ad ogni singola persona. Chi colpisce il diritto di cronaca ferisce l’articolo 21 della Costituzione e vuole impedire alla comunità nazionale di conoscere chi e perché attenta alla sicurezza e alla dignità nazionale. Sono queste le ragioni che hanno portato alla definizione della cosiddetta “Carta di Assisi”, un Decalogo che fissa obiettivi e impegni comuni, sottoscritto da credenti e non credenti, accomunati dalla condivisione dei valori costituzionali e dalla necessità di garantire il pluralismo delle opinioni per salvaguardare un ordinamento democratico fondato sull’inclusione di ogni differenza e diversità. Il Decalogo ha recepito, ed è la prima volta che accade, la proposta della “Scorta mediatica” e la necessità di dare voce a chi rischia di essere condannato al silenzio a causa del colore della pelle, oppure per le sue scelte politiche, etiche, religiose. La prima campagna nazionale, promossa proprio durante l’assemblea di Assisi, da Articolo 21 e da Amnesty, è stata dedicata a Giulio Regeni e, per riprendere le parole di mamma Paola e di papà Claudio, ai tanti Giulio e Giulia d’Egitto che, ogni giorno, scompaiono senza aver diritto neppure ad una “breve” nelle pagine di cronaca. Allo stesso modo tenteremo di riaccendere i riflettori su Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, uccisi in Somalia 23 anni fa; ennesimo delitto restato senza mandanti ed esecutori. Non sappiamo se riusciremo mai ad ottenere verità e giustizia, ma continuare a battersi e mettersi a disposizione di chi ha subito una ferita ci sembra una scelta doverosa, etica ancor prima che politica o deontologica.
Bakhdida/ Qaraqosh. I preti hanno ricollocato alcuni dettagli sui muri ancora distrutti della chiesa di Giovanni Battista.
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i servizi
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i servizi
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IMMIGRAZIONE
Includere rispettando le diversità Confronti
Presentato a fine ottobre il Dossier statistico immigrazione 2017 Idos/Confronti, realizzato con il sostegno dell’Otto per mille della Chiesa valdese - Unione delle Chiese metodiste e valdesi.
Confronti Confronti | novembre | novembre 2017 2017
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immigrazione è una realtà relativamente recente rispetto ad altri Paesi europei, come la Francia, la Germania, la Gran Bretagna, il Belgio, che durante il boom economico degli anni ’50 dovettero attingere, per il loro fabbisogno industriale, dalla manodopera di Paesi terzi, in particolare quelli che erano sotto il dominio coloniale. Ma anche l’Italia “esportava” lavoratori. Fino alla fine degli anni ’60, l’Italia era un Paese di emigrazione: molti italiani si trasferirono e si insediarono in altri Paesi europei (oltre che nelle Americhe) per lavorare nelle fabbriche e nelle miniere. Vi sono oggi nel mondo 60 milioni di persone di origine italiana. Solo all’inizio degli anni ’70 l’Italia si trasformò in Paese di immigrazione. Secondo dati Istat, nel 1970 gli immigrati in Italia erano solo 180mila, nel 2007 erano diventati 2 milioni. Negli ultimi 10 anni il numero è più che raddoppiato: poco più di 5 milioni nel 2016, come attesta il Dossier Statistico immigrazione 2017 Idos/Confronti. Gli italiani residenti all’estero oggi sono circa 5,4 milioni. In Italia, oggi, gli stranieri (comunitari e non) incidono per l’8,3% della popolazione. Mentre l’incidenza degli alunni e degli studenti di origine straniera sul totale della popolazione scolastica ha superato il 9% (anno 2015-2016). Questi dati sono significativi, perché dimostrano che l’immigrazione è ormai una realtà strutturale che andrebbe affrontata con adeguate misure. La sfida che l’Italia ha oggi di fronte alla questione migratoria è quella dell’integrazione, intesa come IMMIGRAZIONE Confronti Idos Mostafa El Ayoubi Nev Mauro Ambrosini (intervista)
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processo giuridico e culturale che mira all’inserimento dei migranti nel tessuto sociale, nel rispetto dei dettami costituzionali e delle leggi ordinarie dello Stato, senza però cancellare le specificità religiose e culturali delle nuove comunità cittadine (assimilazionismo francese) e neanche cadere nel relativismo culturale (il multiculturalismo inglese e olandese). In Italia, a partire dalla legge Turco-Napolitano del 1998, l’approccio legislativo all’immigrazione è sempre stato di tipo sicuritario/repressivo e discriminatorio: si è dato poco spazio alle politiche di inserimento sociale. Secondo il Dossier succitato, oltre alla discriminazione che gli immigrati subiscono nell’ambito allocativo, lavorativo e nel vivere quotidiano, vi è anche un costante razzismo istituzionale nei loro confronti, sia in Italia che in altri Paesi europei. Il fenomeno del terrorismo internazionale di matrice islamista che ha colpito l’Europa a partire dal 2015 (Charlie Hebdo) ha ulteriormente rafforzato questa tendenza securitaria. La legge 46/2017 (“Minniti-Orlando”) dell’aprile scorso è nata con quello spirito ed è stata votata senza grossi problemi, mentre una norma di inclusione sociale come lo ius soli stenta a trovare consenso tra le forze politiche. La proposta di legge sulla cittadinanza, uscita dal cilindro politico a ridosso della scadenza dell’attuale legislatura, ha scatenato accesi scontri ideologici, spesso per fini elettorali: un biglietto da visita dell’attuale maggioranza per conquistare gli indecisi che votano (o non votano più) a sinistra; un’occasione ghiotta per la destra per parlare del pericolo che l’immigrazione rappresenta per l’identità religiosa e culturale del Belpaese. In controtendenza è la proposta di legge di iniziativa popolare “Ero straniero”, promossa da Radicali italiani e diverse associazioni del volontariato, alla quale Confronti ha aderito. L’iniziativa intende valorizzare la presenza degli immigrati per consentire il loro inserimento reale nella società, perché solo attraverso una politica di inclusione si possono ridurre al minimo le questioni legate alla sicurezza e favorire la pace sociale.
i servizi
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IMMIGRAZIONE
Il nuovo volto della società del futuro a cura dell’équipe del Dossier statistico immigrazione
l Dossier statistico immigrazione 2017, curato da Idos e Confronti, ponendosi l’obiettivo di far prevalere l’oggettività dei dati sulle percezioni, fornisce una fotografia a 360° delle caratteristiche della presenza immigrata in Italia, nonché il polso dell’andamento delle politiche migratorie. La posta in gioco di queste ultime, infatti, riguarda non solo l’accoglienza dei richiedenti asilo e l’impegno per promuovere l’occupazione dei migranti, ma anche altri aspetti dell’integrazione. E in questo senso, citando il volume, «l’Italia appare come un cantiere in cui i lavori risultano in ritardo e talvolta neppure avviati». Al 31 dicembre 2016 il numero dei cittadini stranieri residenti in Italia (5.047.028) è aumentato di appena 20.875 persone rispetto al 2015; eppure tra sbarchi, registrazioni degli altri flussi in arrivo e cancellazioni anagrafiche, i movimenti migratori hanno interessato quasi 1 milione di persone. L’aumento contenuto dei residenti è stato anche determinato dal gran numero di stranieri che hanno acquisito la cittadinanza italiana. Tenuto conto del divario tra arrivi e registrazioni anagrafiche, che riguarda anche i cittadini comunitari, la presenza regolare complessiva è – secondo il Dossier – di 5.359.000 persone. Sono poco meno di 200 le nazionalità degli stranieri residenti in Italia. I cittadini comunitari sono il 30,5% (1.537.223, di cui 1.168.552 romeni, che hanno in Italia il loro maggiore insediamento), mentre 1,1 milioni provengono dall’Europa non comunitaria. Africani e asiatici sono, rispettivamente, poco più di 1 milione. Gli arrivi in Italia via mare sono passati dai 153.842 del 2015 ai 181.436 del 2016 (+17,9%) e le richieste d’asilo da 84.085 a 122.960 (+46,2%) secondo Eurostat. L’Italia, secondo l’Unhcr, si colloca a livello mondiale subito dopo la Germania, gli Stati Uniti, la Turchia e il Sudafrica per domande d’asilo ricevute. Sono, inoltre, sbarcati 25.843 minori non accompagnati, dei quali 6.561 non presenti in strutture di accoglienza in quanto irreperibili. Tuttavia, l’immigrazione è rappresentata non solo da quei migranti che arrivano in condizioni disperate attraverso gli sbarchi, ma da un complesso di
oltre 5 milioni di persone che cercano di costruire in Italia le condizioni per un’esistenza stabile. La tendenza alla stabilità è attestata, infatti, dal numero di famiglie con almeno un componente straniero (2.470.000, in 7 casi su 10 si tratta di nuclei con soli stranieri) e dal crescente aumento tra i soggiornanti non comunitari dei titolari di un permesso Ue di lungo periodo (pari al 63% del totale), come anche dal numero delle nuove nascite da genitori stranieri (69.379, un settimo di tutti i nati nell’anno), dai ricongiungimenti familiari (50mila visti richiesti), dall’incidenza complessiva dei minori (20,6% tra i residenti stranieri e 21,9% tra i soggiornanti non comunitari) e dagli oltre 800mila bambini iscritti a scuola (di cui oltre la metà nati in Italia).
IL DOSSIER STATISTICO IMMIGRAZIONE IDOS/CONFRONTI METTE A DISPOSIZIONE DEGLI ADDETTI AI LAVORI – MA NON SOLO – UNA FOTOGRAFIA DETTAGLIATA DELLA SITUAZIONE, CON ANALISI APPROFONDITE SUI VARI ASPETTI TOCCATI DAL FENOMENO DELL’IMMIGRAZIONE. Significativo è anche l’ulteriore aumento degli stranieri che hanno acquisito la cittadinanza italiana, più per naturalizzazione (che presuppone 10 anni di residenza previa per i non comunitari) che a seguito di matrimoni con cittadini italiani (17.692 nel 2015). Tali acquisizioni, appena 35.266 nel 2006, sono salite a 201.591 nel 2016. L’ulteriore rinvio della riforma della legge 91/1992 sulla cittadinanza risulta ancora più inescusabile se si tiene conto dell’elevata quota di giovani stranieri nati in Italia. Sarebbe invece opportuno abituarsi al nuovo volto della società del futuro, con persone straniere o di origine straniera impiegate nei ministeri, negli enti locali, negli altri uffici pubblici e nella scuola, così IDOS come previsto dalla legge Centro studi 97/2013, che in applicazione e ricerche.
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