Sikh, il diritto alla diversità 6 EURO TARIFFA R.O.C.: POSTE ITALIANE SPA - SPED. IN ABB. POST. D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/04 N.46) ART.1 COMMA 1, DCB
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Confronti | giugno 2017
MENSILE DI RELIGIONI · POLITICA · SOCIETÀ
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ANNO XLIV NUMERO 6 Confronti, mensile di religioni, politica, società, è proprietà della cooperativa di lettori Com Nuovi Tempi, rappresentata dal Consiglio di Amministrazione: Nicoletta Cocretoli, Mariangela Franch, Ernesto Flavio Ghizzoni (presidente), Piera Rella, Ilaria Valenzi. DIRETTORE
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le immagini
Nelle foto di apertura una rappresentazione di alcune delle numerose realtĂ religiose di minoranza presenti oggi nel nostro Paese. Le foto sono di Andrea Sabbadini.
ComunitĂ indiana Sikh nel tempio di Sabaudia (LT)
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VOLTI DI UN DIO MINORE?
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il sommario
il sommario GLI EDITORIALI
Da Riyad a Taormina una lunga linea grigia Luigi Sandri 6
La crisi politica si è mangiata il Venezuela
Mario Pérez Chacín 7
Mantenimento o risarcimeno Giancarla Codrignani 8
I SERVIZI MEDIO ORIENTE 10 “Mission” in Egitto di papa Francesco Luigi Sandri 14 Con al-Sisi, dalla padella alla brace Elisa Ferrero DON MILANI 16 La Chiesa ancora in ritardo
di mezzo secolo? Giuliano Ligabue
18 Don Milani: molto più
che un pedagogo
(intervista a) Alberto Melloni GUERRA DEI SEI GIORNI 20 Diario di una volontaria,
50 anni dopo
Pupa Garribba 22 “Una sconfitta storica su tutti i piani” (intervista a) Samir Al Qariouti SIKH 24 Dovere di conformarsi
o diritto alla diversità Paolo Naso
POLITICA 26 Il decennio perduto Roberto Bertoni
LE NOTIZIE
LE RUBRICHE
LE IMMAGINI
Europa
Diario africano Kenya: elezioni a rischio violenze
Sikh, il diritto alla diversità
39
Informazione 39
Ecumenismo 40
Luterani 40
Enzo Nucci 42
Note dal margine Eden: il peccato originale, un malinteso
Katiuscia Carnà copertina
Volti di un Dio minore?
Andrea Sabbadini 3
Giovanni Franzoni 43
Arte e religioni Arte ebraica ed ebraicità Paolo Yehuda Ruffini 44
Spigolature d’Europa Per Macron Parigi val bene una marcia Adriano Gizzi 46
IMMIGRAZIONE 29 Come favorire la convivenza
nella diversità Paolo Iafrate
POLITICA INTERNAZIONALE 32 Le sfide della diplomazia solidale Fabrizio Lobasso RIFORMA 34 Una libera riflessione
sulla mistica cristiana Marco Vannini
COMUNICAZIONE 36 L’Internet mediterranea
della gente comune Maria Paradiso
ERRATA CORRIGE: Nello scorso numero abbiamo pubblicato una foto errata dell’ambasciatrice del Kosovo in Italia, Alma Lama (intervista a pagina 20). Ce ne scusiamo con l’interessata e con i nostri lettori.
invito alla lettura
Vivere e morire Claudio Paravati
«F
ilosofare è imparare a morire», disse Michel de Montaigne. Le costellazioni del pensiero oggi insistono su un tema, forse “il tema”, quello della morte, della fine della vita, trascinando con sé analisi, principi e valori che nell’agone pubblico cercano di non soccombere l’un di fronte all’altro. Il fioretto della contesa parla di persona, autodeterminazione, eutanasia attiva, eutanasia passiva, suicidio assistito; e ancora di cure palliative, stati di coscienza e volontà. Una cosa è certa: l’uomo e la donna non hanno sempre avuto lo stesso atteggiamento di fronte alla morte. E oggi non si muore come cento anni fa, e nemmeno come un greco della polis, o un egizio sotto il faraone. Questo è un primo elemento: come si muore oggi? Quale l’idea di morte? La stratificazione è, ancora, anche religiosa e culturale: un cristiano ha nella risurrezione, già avvenuta in Gesù di Nazareth una volta per tutte – salvo ritorno –, il proprio paradigma di vita e morte, eppure il vitalismo cristiano del credente africano è ben differente da quello liberal delle società capitalistiche, eredi tra gli altri di Locke e Hume. Di fatto il male e la sofferenza esistono, e si impongono nelle vite delle persone. Oggi, a differenza di ieri, il grado di intervento medico ci pone di fronte a orizzonti inediti. Quando è possibile decidere della propria morte? È innanzitutto possibile, o lecito? Se sì, a che condizioni? Quali implicazioni avrebbero alcune aperture legislative e politiche su questo tema? Stretti sono i legami tra evoluzione della società liberale – o liberista – e individuo, soggettività, singolarità; libertà e necessità. Parleremo di questo nel prossimo numero monografico della nostra rivista – quello di settembre prossimo – grazie a contributi di religiosi, politici, medici, filosofi, sociologi e giornalisti. Una discussione urgente che vogliamo sostenere, e che sentiamo come necessaria.
gli editoriali
Da Riyad a Taormina una lunga linea grigia
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el pianeta – iniziando dal tormentato Medio Oriente – la pace è più vicina, o più lontana, dopo la cruciale settimana 20-27 maggio, che ha visto il presidente statunitense Donald Trump, nel suo primo viaggio all’estero, visitare Arabia Saudita, Israele e Territori Palestinesi, e poi incontrare a Roma papa Francesco e le autorità italiane, e quindi la sede della Nato a Bruxelles, e infine partecipare a Taormina al vertice dei G7 – i sette Grandi del mondo (ma solo quello occidentale, perché mancava la Russia, l’India e la Cina)? La domanda è inevitabile. A Riyad il capo della Casa Bianca ha firmato con la monarchia regnante un contratto per venderle armamenti del valore di centodieci miliardi (miliardi!) di dollari; è stato creato il Terrorist Financing Targeting Center, un organismo per potenziare il contrasto al terrorismo: insieme a Usa e Arabia Saudita, il Tftc sarà composto da Kuwait, Qatar, Bahrein, Oman ed Emirati Arabi Uniti. E dov’è, oggi, nel mondo, il focolare del terrorismo? In Iran, hanno risposto in coro il presidente, il re saudita Salman, e i governanti dei Paesi del Golfo. Perciò, invece di tentare di favorire un’incipiente intesa tra il mondo musulmano sunnita guidato da Riyad e quello sciita capeggiato dall’Iran, “The Donald” ha deciso che il primo nemico non è l’Isis/Daesh del cosiddetto Califfato, ma l’Iran. Dunque il colossale riarmo saudita servirà soprattutto a minacciare questo paese. Ora, anche il regime teocratico di Teheran ha le sue responsabilità per il caos mediorientale; ma è davvero stridente LUIGI SANDRI che a giudicare si redazione Confronti. erga proprio Sal-
man, sovrano assoluto di un paese dove non esiste uno straccio di democrazia, e ove cresce un islam, quello wahabita – esportato in molti paesi – chiuso e oltranzista. E, invece, nei giorni in cui Trump era in Arabia Saudita il popolo iraniano ha rieletto presidente Hassan Ruhani che, pur tra contraddizioni, ha aperto strade nuove tra le maglie strette degli ayatollah. In Israele Trump ha riaffermato la saldissima alleanza con questo paese e con il governo di Benjamin Netanyahu; ma – per ora dimenticando le promesse fatte in campagna elettorale – non ha annunciato lo spostamento dell’ambasciata statunitense da Tel Aviv a Gerusalemme: un ripensamento dovuto, finalmente, alla consapevolezza che i palestinesi hanno dei diritti sulla parte Est della città, o invece perché “costretto” dai sauditi, che non potrebbero – dato il loro ruolo – lasciare interamente in mani ebraiche la terza Città santa dell’islam? D’altronde, sui problemi nodali The Donald è stato vaghissimo: non ha adombrato la Two-State solution (pure invocata da quindicimila persone scese in piazza a Tel Aviv, il 27 maggio), né ha proposto ipotesi alternative; a Betlemme ha chiesto al presidente Mahmud Abbas (Abu Mazen) di stroncare le violenze dei palestinesi contro Israele, ma non ha criticato i crescenti insediamenti israeliani nei Territori, occupati dal giugno 1967, cioè da cinquant’anni, in seguito alla Guerra dei sei giorni; e, malgrado la sollecitazione di Abbas, ha ignorato il massiccio sciopero della fame, in atto dal 17 aprile (e che sarebbe cessato, ottenendo qualche risultato, il 27 maggio), di un migliaio di prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane, primo fra tutti Marwan Barghouti.
Luigi Sandri
Anche con il papa Trump ha “duellato”, respingendo le tesi del pontefice sul “come” affrontare i problemi ecologici del pianeta.
GLI INCONTRI DI TRUMP IN MEDIORIENTE E IN EUROPA, COMPRESO IL VERTICE DEL G7 DI TAORMINA, HANNO EVIDENZIATO LE ASPRE DIVERGENZE CON GLI ALTRI “GRANDI” OCCIDENTALI. MA, INTANTO, RIMANGONO INEVASI I MAGGIORI PROBLEMI DEL PIANETA. E a Taormina? Conclusioni in chiaroscuro: vi è stato accordo sulla lotta al terrorismo (ma accorrerà vedere in concreto!); un barlume di accordo, forse, è stato trovato con i paesi sub-sahariani per controllare le migrazioni; sul problema dei migranti è stato varato un fragile compromesso, non all’altezza di una soluzione politica adeguata e compartecipata; infine, dato il contrasto tra The Donald e i rappresentanti degli altri sei “G” (Angela Merkel ha definito Trump “inaffidabile”), per l’attuazione degli accordi di Parigi sul clima, è naufragata l’intesa sperata. Da parte sua, il premier Paolo Gentiloni ha commentato: a Taormina si è ottenuto il massimo possibile, dato il difficile contesto. Forse è vero; il problema è se questo “massimo”, assai “minimo”, sia una risposta adeguata al groviglio di problemi incombenti sul mondo.
gli editoriali
[dal Venezuela]
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osa succede in Venezuela? Una rottura della continuità costituzionale. Perché? Perché il massimo tribunale della Repubblica, il Tribunale supremo di giustizia (alleato all’esecutivo nazionale), ad aprile ha emesso una sentenza che lasciava completamente senza potere l’Assemblea nazionale, eletta con il 70% dell’elettorato venezuelano (approssimativamente 14 milioni di voti) che aveva favorito i candidati dell’opposizione. Per questo i cittadini venezuelani si sono riversati nelle strade, con proteste continuative nelle principali città del paese. Non solo la rottura della continuità costituzionale è la causa delle rivolte civili, infatti a questa si sommano anche una gran quantità di decisioni autoritarie da parte del governo, l’inflazione più alta del pianeta, gli alti indici di insicurezza (che vedono non meno di 15mila persone assassinate dalla violenza negli ultimi cinque anni), la scarsità di alimenti e medicinali di base per mancanza di materie prime (o semplicemente per la paralisi dell’importazione delle materie necessarie per fabbricare quei prodotti), la mancanza di liquidità nella valuta straniera per imprese private e persone e il crollo del prezzo del petrolio (da cui proviene il 95% delle entrate venezuelane che mantengono l’economia). Tutto questo ha creato la tempesta perfetta che ha reso la popolazione estremamente arrabbiata. Secondo la maggior parte dei sondaggi, vi è un rifiuto completo (attorno all’80%) della gestione del presidente Nicolás Maduro. Pochi cittadini venezuelani riescono a vivere bene, alcuni di questi sono dipendenti statali (docenti, medici, personale amministrativo e qualificato) e guadagnano il 30% in più del salario minimo, oggi circa 65.021,04 bolivar venezuelani al mese (circa 92 dollari).
Chi si oppone a questo governo, chiede solo la convocazione delle elezioni di governatori e legislatori regionali che continuano a essere rinviate, l’apertura di un canale umanitario per l’ingresso di alimenti e medicinali, il rispetto dei diritti umani e la liberazione dei prigionieri politici. Queste condizioni, a cui le orecchie del governo sono ancora sorde, hanno già lasciato un bilancio drammatico di circa 60 persone assassinate direttamente e indirettamente nelle proteste; bilancio prodotto dal livello di violenza esistente negli scontri, principalmente dovuti alla repressione dei corpi di sicurezza dello Stato, così come dall’utilizzo di civili armati che agiscono come gruppi paramilitari contro i gruppi dell’opposizione. Nel mezzo delle violenze, il governo di Maduro scommette su un processo costituente per cambiare la Carta costituzionale che anche il suo predecessore Chavez aveva modificato nel 1999. Ma la manovra di Maduro, invece di raccogliere consensi, ha fatto aumentare il rigetto anche da parte di altri settori del paese che si sono pronunciati contro l’iniziativa.
IL BILANCIO DELLE PROTESTE NEL PAESE AMMONTA GIÀ A UNA SESSANTINA DI MORTI. LE OPPOSIZIONI ACCUSANO MADURO DI AGIRE CONTRO LA COSTITUZIONE. L’opposizione, rappresentata dai partiti democratici della coalizione denominata Tavola dell’Unità democratica (Mesa de la unidad democratica - Mud), continua a sollecitare il Consiglio nazionale
Mario Pérez Chacín
elettorale, che è un potere autonomo, affinché convochi elezioni corrette per i processi elettorali arretrati e allo stesso tempo imponga al governo di rispettare la Costituzione, invece di cambiarla. Per quanto l’opposizione possa trarre vantaggio da un’eventuale manifestazione di buona volontà da parte del governo, lo scenario continua ad essere cupo per il Venezuela se le politiche economiche non aiuteranno ad uscire dal modello di rendita nel quale si è vissuto per più di 100 anni dalla comparsa del petrolio. Oltre 150 organizzazioni non governative, ad esempio il Programma venezuelano di educazione-azione per i diritti umani - Provea, denunciano che il Venezuela vive sotto un governo dittatoriale e contemporaneamente la Chiesa cattolica venezuelana, nell’ultima esortazione dei vescovi dell’Assemblea episcopale venezuelana, sottolinea che la proposta di convocare un’Assemblea nazionale costituente, «non è necessaria e risulta pericolosa per la democrazia venezuelana, per lo sviluppo umano e integrale e per la pace sociale». Il Venezuela sta giocando contemporaneamente su vari fronti e non si sa dove vincerà e dove perderà. Molti concordano sul fatto che tutto questo finirà nel momento in cui Maduro comincerà a negoziare il tempo che gli resta, per giungere a una transizione politica, come è già successo in altri conflitti. Altrimenti, sarebbe preoccupante se tutto peggiorasse per la testardaggine delle parti nel mantenere la difesa dei propri interessi particolari in- MARIO PÉREZ CHACÍN vece di quelli della giornalista nazione. Venezuela.
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La crisi politica si è mangiata il Venezuela
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gli editoriali
Mantenimento o risarcimento
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l portafoglio sta dalla parte del cuore e nessun divorziato paga volentieri il “mantenimento” della un tempo amata consorte. Approfittando di una sentenza della Cassazione ritenuta liberatoria, ci ha provato anche Berlusconi, a cui brucia dare due milioni mensili a una moglie che in pubbliche interviste ha definito la sua condotta «ciarpame senza pudore»; ma la sentenza declassava solo l’assegno divorzile, non le separazioni, e Veronica Lario ha conservato il suo lauto assegno. La sentenza, comunque, ha fatto rumore e illuso molti ex-mariti e reso ansiose molte ex-mogli. Immotivatamente, perché la norma riguarda le coppie facoltose e donne che rischiano di essere danneggiate per la perdita non solo del consorte, ma anche del ricco tenore di vita matrimoniale. Infatti queste divorziate, se economicamente autosufficienti, potranno veder sfumare l’assegno “di mantenimento”. Ci guadagneranno gli avvocati, che non perderanno l’opportunità di consentire ai clienti maschi di provarci e alle signore di tirare fuori le unghie; ma la gente normale non conosce lussi o traumi del genere. Quindi i maschi comuni si rassegnino: non ci sono stati grandi cambiamenti ed eventuali tentativi rischiano di far perdere anche le spese del ricorso. Tuttavia la sentenza della Cassazione è significativa perché esplicita la parità del possesso patrimoniale e ribadisce che, se la/il divorziato/a non svolge un’attività che consenta di vivere autonomamente né possiede rendite proprie, resta tutelato il suo diritto GIANCARLA a ricevere il “manCODRIGNANI tenimento” di cui, scrittrice, come sempre, il giornalista, già parlamentare. giudice fisserà la
consistenza caso per caso. È anche bene ricordare che nulla è cambiato per quanto riguarda la responsabilità dei figli, qualunque sia il livello sociale delle famiglie.
LA RECENTE SENTENZA DELLA CASSAZIONE IN MATERIA DI ASSEGNO DI DIVORZIO IN REALTÀ CAMBIA LA SITUAZIONE MOLTO MENO DI QUANTO SI CREDA. Ma nessuna parità cancella mai la differenza. E dalla parte delle donne il discorso diventa più complesso. È molto importante che la scelta matrimoniale, ai fini del «mantenimento divorzile», sia definita «atto di libertà e autoresponsabilità»: esclude così che sia mezzo di sistemazione. Forse non è ancora un principio ben introiettato, ma la parità dei coniugi non può prescinderne, se vogliamo finirla con il principe (o la principessa) azzurro e ricco da considerare quel “buon partito” che, se non ti va più bene, poi chiedi il divorzio e ti fai mantenere. Si suppone, infatti, che il matrimonio avesse unito un uomo e una donna liberi e responsabili. Se, dunque, i divorziati a cui si riferisce la norma avevano contratto un matrimonio e non stipulato un’assicurazione sulla vita e sono in possesso di propria indipendenza economica, non c’è ragione che il coniuge più facoltoso compensi economicamente la mancanza di gioielli e toilettes da esibire dal palco della Scala che frequenterà con un altra/o partner. La legione delle donne che, in quanto “madri sole”, sono capofamiglia, non ha
Giancarla Codrignani
nulla da temere. Ma molte di loro conoscono la mortificazione di un marito che non vuole (o non può) pagare gli alimenti; succede anche che smettano di chiedere quel che spetta loro di diritto ed entrino in grande sofferenza se debbono ricorrere di nuovo al giudice per contestare l’inadempienza dell’ex-consorte. Anche per loro, di cui la nuova norma non fa menzione, resta aperta la questione di principio che riguarda le altre. Come mai la legge obbligava al mantenimento del livello di vita matrimoniale anche dopo separazione e divorzio? Evidentemente perché l’uomo, per tradizione proprietaria, deve “mantenere” la “sua” donna. Non si tiene conto che è sempre la donna che fornisce al marito un supporto che gli consente di essere un professionista, un manager, un uomo che, pur sposato, vive “libero”. Non tutte gli preparano anche i calzini ogni mattina come faceva la mamma, ma tutte gli evitano di pensare come gestire la vita quotidiana, seguire i figli nella scuola o dal medico, occuparsi di questioni famigliari e regolare gli impegni sociali. Non sono solo le casalinghe a sapere la mattina che cosa metteranno in tavola la sera quando tutti rincasano; anche la donna manager, l’universitaria, la giudice, che può contare su aiuti domestici, predispone la mente a “curare” i beni della vita comune. Non sempre l’uomo se ne rende conto, perché non sono questi i suoi pensieri più o meno dominanti. E, infatti, nemmeno lo Stato valorizza la cura della famiglia, ritenuta ancora un ammortizzatore sociale, mentre sta sulle spalle, ricche o povere, delle donne. Forse c’era un equivoco iniziale: le donne hanno diritto non al mantenimento, ma al “risarcimento”.
Culto Pentecostale della ComunitĂ Evangelica di Valmontone (RM)
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i servizi
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i servizi
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MEDIO ORIENTE
“Mission” in Egitto di papa Francesco dal nostro inviato al Cairo - Luigi Sandri
L’auspicio della pace nella regione, la denuncia del terrorismo, la proclamazione del diritto “intangibile” alla libertà religiosa, il rilancio del dialogo interreligioso con i musulmani e quello ecumenico con la Chiesa copta, l’attenzione ai migranti: questi i temi maggiori del pellegrinaggio al Cairo, il 28 e 29 aprile, di Bergoglio.
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e audaci speranze del viaggio di Francesco al Cairo erano già preannunciate dal logo Pope of peace in Egypt of peace che commentava un idilliaco manifesto, appeso lungo i viali che dall’aeroporto portavano l’ospite ad Heliopolis, residenza ufficiale del presidente della Repubblica: sullo sfondo la sfinge e le piramidi sovrastate da una mezzaluna e una croce, e in primo piano un pontefice sorridente che lancia nel cielo una colomba. EGITTO Per riassumere un pellegrinaggio intenso e complesso – sepPopolazione: 94 milioni pur breve, dalle 14 di venerdì 28 Tasso di crescita aprile alle 17 di sabato 29 – sedella popolazione: guiamo gli incontri di Bergo2, 5% glio con le quattro personalità Popolazione che lo avevano invitato, tutte urbana: 43% da lui già ricevute in Vaticano: Alfabetizzazione: il presidente Abdel-Fattah al74% Sisi; lo shaykh Ahmad Al-TaReligione: yeb, Grande imam di al-Azhar, 90% musulmana la più alta istituzione teologica e sunnita, di istruzione religiosa dell’islam 10% cristiana (in maggioranza nel mondo e la più antica Uniortodossa versità islamica; Tawadros II, copta) papa di Alessandria e patriarca Reddito procapite: copto ortodosso della Sede di 12mila dollari san Marco; Ibrahim Isaac Si(in Italia è 36mila) drak, patriarca copto cattolico Popolazione sotto di Alessandria. Incontri diversi, la soglia della povertà: 25% uniti però dallo stesso filo rosso: favorire nel paese rispetto dei Spesa per l’istruzione: diritti umani, pace, unità contro 3,8% del Pil il terrorismo, buoni rapporti in(in Italia è il 4%) terreligiosi ed ecumenici. MEDIO ORIENTE Luigi Sandri Elisa Ferrero
p.10 p.14
«L’ISLAM È RELIGIONE DI PACE»
Ricevuto con tutti gli onori dovuti ad un capo di stato ad Heliopolis, e qui calorosamente salutato da al-Sisi, il papa ha avuto con lui un incontro privato e, poi, ha raggiunto al-Azhar ove il Grande Imam lo ha “presentato” ai partecipanti (tra essi anche Bartolomeo I, patriarca di Costantinopoli) alla Conferenza internazionale per la pace, là in atto, insistendo sulla «nostra responsabilità storica collettiva come leader religiosi e studiosi che operano per la pace e per dare sollievo alle povere popolazioni, che sfuggono dalle guerre nei vasti deserti». E, dopo aver ipotizzato che, dietro a queste tragedie, ci siano anche «il commercio e la vendita delle armi», al-Tayeb si è domandato come mai oggi la pace «sia diventata un paradiso perduto»; ciò è avvenuto – ha spiegato – perché la civiltà moderna «ha ignorato le religioni divine e le loro etiche immutabilmente stabilite, che rimangono le stesse a prescindere dagli interessi e dai fini terreni, per non parlare del predominio dei desideri e dei piaceri. La prima di queste etiche è la fraternità umana e la compassione reciproca». «Non dobbiamo dare alla religione la responsabilità dei crimini di un piccolo gruppo... Se spalancassimo le porte alle accuse così come vengono spalancate contro l’islam – ha aggiunto – nessuna religione, nessun regime, nessuna civiltà e nessuna storia sarebbe innocente riguardo alla violenza». Poi al-Tayeb ha ringraziato Francesco per gli interventi «a sostegno della verità e in difesa dell’islam contro le accuse di violenza e di terrorismo». Lui e il papa si sono allora dati un forte abbraccio: gesto che molti hanno interpretato come un superamento definitivo dell’ira di al-Azhar contro il Vaticano per il discorso di Benedetto XVI a Ratisbona (12 settembre 2006), da molti musulmani considerato un attacco frontale all’islam. Ha preso quindi la parola Ber- LUIGI SANDRI goglio, notando che la «gloriosa redazione storia» dell’Egitto dimostra che Confronti.
i servizi
esso è «terra di civiltà e terra di alleanze». Nel paese «si è levata alta la luce della conoscenza, facendo germogliare un patrimonio culturale inestimabile». Per proteggere, oggi, tale patrimonio, sono necessari l’educazione delle nuove generazioni e il dialogo: «Proprio nel campo del dialogo, specialmente interreligioso, siamo sempre chiamati a camminare insieme, nella convinzione che l’avvenire di tutti dipende anche dall’incontro tra le religioni e le culture». In proposito, il papa ha ricordato che Francesco d’Assisi incontrò in Egitto il sultano Malik al Kamil (fu nel 1219: nel contesto della quinta crociata, a Damietta il Poverello si allontanò dai litigiosi militari cristiani occidentali e, “armato” solo di un bastone e del Vangelo, si incamminò verso gli accampamenti del sultano, che lo accolse con benignità). E, in questo paese – ove sorge il Sinai, «il Monte dell’Alleanza»: là risuonarono le «dieci parole» dell’Altissimo – «lungo i secoli, fedi diverse si sono incontrate e varie culture si sono mescolate, senza confondersi ma riconoscendo l’importanza di allearsi per il bene comune [...]. Al centro delle “dieci parole” risuona, rivolto agli uomini e ai popoli di ogni tempo, il comando “non uccidere” (Esodo 20,13). Ad attuare questo imperativo sono chiamate, anzitutto, le religioni perché, mentre ci troviamo nell’urgente bisogno dell’Assoluto, è imprescindibile escludere qualsiasi assolutizzazione che giustifichi forme di violenza». Dunque, «siamo tenuti a denunciare le violazioni contro i diritti umani, a portare alla luce i tentativi di giustificare ogni forma di odio in nome della religione e a condannarli come falsificazione idolatrica di Dio: il suo nome è Santo, Egli è Dio di pace, Dio salam. Perciò solo la pace è santa e nessuna violenza può essere perpetrata in nome di Dio,
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MEDIO ORIENTE
perché profanerebbe il suo Nome... Senza cedere a sincretismi concilianti, il nostro compito è quello di pregare gli uni per gli altri domandando a Dio il dono della pace, incontrarci, dialogare». I presenti hanno applaudito a lungo. Quindi il papa, in altra sede, ha incontrato i rappresentanti delle istituzioni, del corpo diplomatico e della società civile egiziana. Qui al-Sisi si è rivolto così all’ospite: «La accogliamo con gioia in Egitto che nei secoli ha scritto capitoli illuminanti nella storia dell’umanità, una cultura che ha saputo mescolare i messaggi del Cielo con le conquiste umane della cultura. Una terra di tolleranza in cui si crede che la religione è per Dio e la pace per tutti». Il mondo sta vivendo «giorni in cui è alta la voce del terrorismo e dell’odio. I terroristi colpiscono i nostri cuori, le nostre famiglie e i nostri affetti... Il vero islam non invita mai a uccidere gli innocenti e a terrorizzare le persone. L’islam invita alla misericordia e alla tolleranza... L’Egitto è in prima fila contro il terrorismo e paga per questo suo atteggiamento». Da parte sua, Bergoglio, dopo aver ricordato che Giovanni Paolo II nel 2000 aveva visitato il paese, ha lodato l’Egitto, terra che custodisce «vestigia che, nella loro maestosità, sembrano voler sfidare i secoli. Questa terra rappresenta molto per la storia dell’umanità e per la Tradizione della Chiesa, anche perché tanti Patriarchi [ebrei] vissero in Egitto o lo attraversarono… Sul suolo egiziano trovò rifugio e ospitalità la Santa Famiglia: Gesù, Maria e Giuseppe [...]. L’Egitto, quindi, è una terra che, in un certo senso, sentiamo tutti come nostra! E come dite voi: “Misr um al dugna / L’Egitto è la madre dell’universo”. Anche oggi vi trovano accoglienza milioni di rifugiati provenienti da diversi Paesi, tra cui Sudan, Eritrea, Siria e Iraq, rifugiati che con
Le tensioni politico-religiose che percorrono l’Egitto sono aggravate anche dalla crisi economica provocata dalla drastica riduzione di turisti (tra essi, molti italiani e molti russi, che riempivano gli hotel di Sharm el-Sheik sul Mar Rosso e del Cairo), spaventati dagli attentati dei miliziani del “Califfato” che, tra l’altro, nell’ottobre 2015 sono riusciti a far esplodere sul Sinai un aereo russo (oltre duecento vittime). Anche l’instabilità dei governi – nel 2011 il rovesciamento di Hosni Mubarak dopo trent’anni di potere assoluto; l’anno dopo le prime elezioni libere per la presidenza, vinte
da Muhammad Morsi, dei “Fratelli musulmani”; nel 2013 il colpo di Stato del generale Abdel-Fattah alSisi che l’anno seguente vince le elezioni per la presidenza – ha indotto molti a cancellare dalle mete desiderate per le vacanze l’Egitto, che pure vanta monumenti antichissimi e stupefacenti, come le piramidi. Jeune Afrique del 3 gennaio scorso documentava, con dati ufficiali: dal 2010 al 2016 il numero dei turisti è calato del 58%; nel 2015 le entrate per biglietti (musei, ecc.) sono state 38,4 milioni di dollari, contro i 220 milioni del 2010; nello stesso periodo, il numero dei turisti è sceso da
15 a 6,3 milioni l’anno; una tendenza confermata nel 2016. Questo calo aumenta la disoccupazione e la povertà di molta parte del popolo egiziano. Le entrate del turismo, infatti, sono decisive per il bilancio dello Stato e per il sostentamento di migliaia e migliaia di persone. Sperando di invertire il declino, il Ministero del Turismo, per attirare pellegrini cristiani dall’Europa e dalle Americhe, sta approntando la “Strada della Sacra Famiglia”, che segnerà le numerose tappe che essa avrebbe fatto in Egitto, prima di tornare in patria. L. S.
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L’IMPRESSIONANTE CALO DI TURISTI PROVOCATO DAL TERRORISMO
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