Confronti ottobre 2016 (parziale)

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ottobre 2016

MENSILE DI RELIGIONI · POLITICA · SOCIETÀ

“Sfruttati” 6 EURO TARIFFA R.O.C.: POSTE ITALIANE SPA - SPED. IN ABB. POST. D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/04 N.46) ART.1 COMMA 1, DCB

ott 2016 1


ottobre 2016

ANNO XLIII NUMERO 10 Confronti, mensile di religioni, politica, società, è proprietà della cooperativa di lettori Com Nuovi Tempi, rappresentata dal Consiglio di Amministrazione: Nicoletta Cocretoli, Ernesto Flavio Ghizzoni (presidente), Daniela Mazzarella, Piera Rella, Stefania Sarallo (vicepresidente). DIRETTORE

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Rocco Luigi Mangiavillano, Anna Maria Marlia, Daniela Mazzarella, Carmelo Russo, Luigi Sandri, Stefania Sarallo, Lia Tagliacozzo, Stefano Toppi. COLLABORANO A CONFRONTI

Stefano Allievi, Massimo Aprile, Giovanni Avena, Vittorio Bellavite, Daniele Benini, Dora Bognandi, Maria Bonafede, Giorgio Bouchard, Stefano Cavallotto, Giancarla Codrignani, Gaëlle Courtens, Biagio De Giovanni, Ottavio Di Grazia, Jayendranatha Franco Di Maria, Piero Di Nepi, Monica Di Pietro, Piera Egidi, Mahmoud Salem Elsheikh,

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FOTO/CREDITI Andrea Sabbadini

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e pagine 3, 9, 34, 39).

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le immagini

LAVORARE PEGGIO, NON LAVORARE TUTTI L’economia resta sostanzialmente ferma e – come confermano anche gli ultimi dati dell’Inps – i posti di lavoro non aumentano: nei primi sette mesi dell’anno, il saldo tra nuove assunzioni e cessazioni è stato di soli 76.324 contratti a tempo indeterminato in più. Foto di Andrea Sabbadini 3


il sommario

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il sommario GLI EDITORIALI

I SERVIZI

Fertility day: non viviamo nel “mulino bianco”

AMBIENTE

Giancarla Codrignani 6

Assisi, trent’anni dopo. Le sfide di oggi Confronti 7

Immigrazione: l’invasione immaginaria Maurizio Ambrosini 8

Le eco-guerre e i cambiamenti climatici Ludovico Basili, Walter Nastasi, Roberto Valenti 10

Estrarre le risorse dal cassonetto (intervista a) Rossano Ercolini 14

USA

L’imbarazzo della scelta in un’America in crisi Roberto Bertoni 16

CURDI

Un popolo lacerato tra massacri e deportazioni Enrico Campofreda 18

POLITICA

Dentro le tragedie si può guardare meglio al futuro (intervista a) Gad Lerner 20

BRASILE

Rousseff deposta in modo anticostituzionale Teresa Isenburg 22

FILOSOFIA

Libertà e sicurezza nell’era del pluralismo Frédéric Rognon 25

Per una desacralizzazione del lavoro Elisabetta Ribet 27

CULTURA

Un piccolo scolaro

Giuliano Ligabue 28

Dobbiamo accettare la nostra precarietà

(intervista a) Edoardo Albinati 30

DIRITTI UMANI

La Carta di Algeri quarant’anni dopo

Anna Maria Marlia 32

LE NOTIZIE

LE RUBRICHE

I LIBRI

Pena di morte

Diario africano Sud Sudan, un conflitto infinito

«Ero pressoché solo»

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Diritti umani 35

Sinodo 36

Metodisti 36

Medio Oriente 37

Ebraismo 37

Ambiente 38

Appuntamenti 38

Enzo Nucci 40

Salute e religioni Vivere la vita com’è Roberto Anshin Coslovi 41

Note dal margine Cosa è mancato ai terremotati

Giuliano Ligabue 44

Un ottimo luogo in nessun luogo David Gabrielli 45

Segnalazioni 46

LE IMMAGINI

Sfruttati

Andrea Sabbadini

Giovanni Franzoni 42

Spigolature d’Europa Spagna: dal bipartitismo al caos calmo Adriano Gizzi 43

ERRATA CORRIGE: SE UN “MARIA” FA LA DIFFERENZA Il 15 settembre scorso lo storico Maurilio Guasco mi ha scritto facendomi notare uno spiacevole errore, fatto da me sul numero di ottobre del 2015. Allora, recensendo il IV volume della “Storia del Cristianesimo” (Carocci editore, Roma), curata da Giovanni Vian, precisavo che questi – storico – era anche direttore de “L’Osservatore Romano”. Errore! Infatti, il direttore del quotidiano vaticano, pur storico anche lui, non si chiama semplicemente Giovanni, come appunto l’autore del volume citato, ma Giovanni Maria Vian; e questi non va assolutamente confuso con l’altro. Un “Maria” in più, insomma, fa una grande differenza. Mi scuso, per il mio equivoco, con i due professori. Luigi Sandri


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invito alla lettura

Rientro dal mare Claudio Paravati

I

l 3 ottobre è, per la prima volta quest’anno, la Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’immigrazione. Bene, anche se purtroppo questo significa che l’emergenza va vieppiù strutturandosi, e le soluzioni sono di là da venire. Lo sanno bene anche oltreoceano, a Houston, Texas (Stati Uniti), dove poche settimane fa si è tenuto il Consiglio metodista mondiale (vedi la notizia a pagina 36). Muy malo, Muy malo, e mima il gesto di un calcio, la signora delle pulizie dell’albergo, messicana, alla domanda su Donal Trump (vedi servizio a pagina 16). Male, malissimo: lui che proprio su «gli immigrati a casa loro», e sul muro col Messico ha puntato la campagna elettorale. Di messicano c’è molto in Texas: le scritte, le parole, le influenze linguistiche, e il cibo naturalmente. Un altro immigrato, un pastore metodista, sempre dal Messico, di fronte a un burrito non esita a commentare: «Eppure sotto l’amministrazione Obama si è contato il maggior numero di rimpatri della storia americana recente». Mentre il pastore afroamericano, Rudy Rasmus, che guida la chiesa di St. John, non ci pensa due volte: Obama? Fenomenale (l’intervista integrale la troverete prossimamente su Confronti). Prospettive diverse, ma il nodo rimane. Quello tra migranti e politica: l’immigrazione resta la grande sfida di un nuovo equilibrio mondiale che stenta a definirsi. Nel mentre le biografie di milioni di persone sono segnate da un viaggio, spesso disperato, su cui si aggiustano equilibri politici e di voti. Lo sanno i tassisti di Houston, tutti eritrei, e il ragazzo che lavora all’entrata dell’albergo, di origine curdoirachena. Chi voteranno il prossimo novembre? Nel frattempo la giornata del migrante dovrà necessariamente servire da pungolo politico, e non solo da momento commemorativo: chi è il migrante e per quali cause migra? Perché senza la giusta domanda non avremo nessuna buona politica. Che lo scenario stia cambiando ulteriormente lo mostrano dati e ricerche aggiornate, come quella che pubblichiamo in questo numero (nel servizio sul clima e i conflitti a pagina 10). Per intanto da Lampedusa (il 3 ottobre 2013 morirono in quei mari 366 persone per il naufragio dell’imbarcazione salpata dalla Libia) il messaggio è chiaro: l’Europa da lì deve ricominciare. Commemorare sì, ma anche far politica.

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gli editoriali

Fertility day: non viviamo nel “mulino bianco”

N

on che il problema non esista: in tutta l’Unione europea la media del tasso di fertilità risulta, da anni, troppo bassa: 1,55 per ogni donna in età riproduttiva, rispetto a un 2,1 necessario per il riequilibrio generazionale, soprattutto in presenza del progressivo invecchiamento della popolazione. Se tra vent’anni mancherà qualche milione al conto di noi indigeni, ci saranno gli immigrati a colmare questo deficit demografico, piaccia o no a Salvini. In Italia siamo quasi al saldo negativo: 1,35, superati dalla cattolicissima Polonia (1,3), come dire un 30% di bambini in meno rispetto agli anni 1945/1970. Se però la ministra della Salute Beatrice Lorenzin voleva affrontare un problema così complesso – tenendo conto che governa un paese che, dai referendum sul divorzio e l’aborto fino ai matrimoni gay, ha dimostrato di sentirsi responsabile – non doveva inventarsi il film del family day e lanciare una campagna promozionale della fertilità, per giunta in modi cretini: la gente non vive nel “mulino bianco” e farebbe più figli se le condizioni di vita non fossero tali da scoraggiare chi li dovrà mantenere. Il primo “22 settembre” – sperando che sia anche l’ultimo – ha definitivamente bocciato un progetto fallito già alla presentazione. Infatti la pubblicizzazione della campagna aveva ricevuto un’infilata di critiche durissime. Il Sole24Ore registrava i commenti: «ipocrita, GIANCARLA umiliante, CODRIGNANI sessista, fascista, scrittrice, retrograda». giornalista, già parlamentare. Irripetibili

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i commenti dei social alle parole d’ordine “incoraggianti” dei manifesti («darsi una mossa», «preparare culle per il futuro», la fertilità come «bene comune») e alle immagini allusive, tra cui un paio di scarpine da bebè intrecciate con un nastro tricolore in puro regime littorio. Perfino il presidente del Consiglio ha sconfessato l’iniziativa: «Non conosco nemmeno un amico che fa un figlio perché ha visto un cartellone». E aggiungeva (parole sante che noi gli ri-indirizziamo): «Se vuoi creare una società che scommette sul futuro, devi creare le condizioni strutturali, gli asili nido, i servizi, creare lavoro. Nei paesi dove si fanno figli, non credo che sia per effetto di una campagna». Il guaio è che Lorenzin aveva sostenuto il contrario, che «la fertilità è un problema a sé che non dipende dal numero degli asili nido».

Da più parti sono piovute critiche alla Giornata del 22 settembre ideata dalla ministra della Salute Lorenzin

Resta una domanda: Beatrice Lorenzin che fine intendeva perseguire? Non è l’oca giuliva che non si rende conto di essere collega della Cirinnà: ha messo i bastoni fra le ruote alla fecondazione assistita e non pensa certo di ottenere consenso eliminando l’obiezione di coscienza nelle ginecologie. Fa conto che governi ancora la Dc? Alessandro Rosina, demografo dell’Università Cattolica, in collaborazione con Riccarda Zezza (autrice del progetto formativo “Maam - maternity as a master”) ha prodotto

Giancarla Codrignani

una ricerca, “Generare futuro, cultura e politiche per tornare ad essere un paese vitale”, che sembrerebbe commissionata dal Ministero della Salute. Evidentemente Lorenzin non l’ha letta, altrimenti non avrebbe allestito questo teatrino. Siamo ai soliti tentativi di osteggiare la crescita laica dello Stato – dal difficile riconoscimento delle unioni civili o dei diritti dei gay al casino sul “gender” – che hanno influito anche nelle amministrazioni locali sulle erogazioni per “la famiglia” (rigorosamente al singolare). In Lombardia tali provvidenze spettano a chi certifica di «essere in stato di gravidanza o avere la compagna in stato di gravidanza» (sic), purché almeno uno dei due sia residente da cinque anni (cioè non sia un immigrato). D’altra parte, se ai conservatori sembra un comunista papa Francesco (che certo non ha cambiato il suo parere negativo sui diritti riproduttivi sostenuti dall’Oms, dall’Onu e dal Parlamento europeo), teniamo d’occhio che cosa intende combinare la destra di Parisi. Perfino il Comune di Bologna, di centrosinistra, ha in fretta erogato duemila euro per la fausta data. Le donne hanno riso poco di questa ridicola sortita sulla fertilità (tutta loro), che disconosce il dramma di dover scegliere tra il lavoro o un figlio, interferisce con la libertà di decidere di volere o non volere (altri) bambini, è strumentale alle politiche demografiche. Il governo dice di occuparsi dei giovani, ma in Italia non è obbligatoria nelle scuole l’educazione sessuale per dargli la responsabilità dell’uso del loro corpo, che è anche anima.


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Assisi, trent’anni dopo. Le sfide di oggi

È

consolante se rappresentanti di Chiese e religioni diverse – e, un tempo, magari nemiche – s’incontrano in spirito di amicizia per collaborare alla riconciliazione nel mondo. E così è stato dal 18 al 20 settembre quando nella città del Poverello cinquecento leader religiosi e uomini di cultura sono convenuti per la Giornata mondiale di preghiera per la pace nell’ambito dell’evento “Sete di Pace. Religioni e Culture in dialogo”, promosso dalla diocesi di Assisi, dalle Famiglie francescane e dalla Comunità di Sant’Egidio. All’appuntamento – che nella giornata finale ha visto la presenza del papa – erano presenti personalità delle varie comunità (assente, però, la più numerosa Chiesa ortodossa, quella russa: perché?); e il Dalai Lama – non invitato per non turbare le trattative in atto tra Santa Sede e Cina. L’“Onu delle religioni” – tale, forse troppo in fretta, da alcuni considerato – spera di avere, nel suo ambito spirituale, quella capacità che l’“Onu delle Nazioni” sembra aver perso nel suo ambito politico, come dimostra la sua incapacità di risolvere il dramma della Siria martoriata. Ambirebbe, cioè, a dare l’esempio di una capacità di dialogo che, rispettando i diversificati princìpi teologici delle varie comunità di fede, riesce ad unirle per dare una mano a debellare il flagello della guerra nel mondo e, anche, ad affrontare in modo degno l’enorme problema dei migranti. Nell’Appello conclusivo del “vertice” (si veda il testo completo nel nostro

sito: www.confronti.net) si insiste nel sottolineare un punto decisivo: «La pace è il nome di Dio. Chi invoca il nome di Dio per giustificare il terrorismo, la violenza e la guerra, non cammina nella Sua strada: la guerra in nome della religione diventa una guerra alla religione stessa».

gli editoriali

Confronti

di tremila anni, c’è stato chi vi ha trovato giustificazioni alla violenza. Momenti bui che non cancellano la testimonianza di milioni di seguaci delle tre religioni, che traggono dai testi di riferimento ispirazione e coraggio per favorire giustizia e pace nel mondo.

“La Giornata mondiale di preghiera per la pace nel mondo, appena celebrata, conferma il cammino aperto nel 1986, ma pone anche alcuni interrogativi„ Da parte sua, nella messa a Santa Marta, prima di partire per la città del Poverello, Bergoglio aveva detto: «Non esiste un Dio di guerra». E, ad Assisi: «Solo la pace è santa». Queste affermazioni riassumono quella che è oggi, in moltissimi credenti, una profonda convinzione. È però anche vero che – nelle narrazioni bibliche, o coraniche, ad esempio – vi sono, attribuite al Signore altissimo, parole e ordini per agire con estrema violenza contro i propri nemici o contro gli “infedeli”. Gli esegeti ci ricordano che quelle affermazioni vanno lette avendo consapevolezza del contesto storico e culturale in cui sono nate. Tuttavia ci sono, e bisogna farci i conti. D’altronde – a dimostrazione che le parole dei testi sacri sono incise nel marmo – in duemila anni di storia il cristianesimo, e in millequattrocento l’islam, non rare volte hanno fatto guerre e violenze in nome di Dio o di Allah (il nome arabo per dirLo). E anche dalle Scritture ebraiche, antiche

E, tuttavia, quel chiaroscuro rimane. Forse, nell’Appello, sarebbe stato appropriato un cenno di mea culpa per infedeltà di Chiese e religioni alla profezia della pace. Immaginiamo, ovviamente, difficoltà diplomatiche, controverse interpretazioni storiche o teologiche e, chissà, obiezioni politiche da superare per esprimersi in quel senso. Eppure... è possibile presentarsi al mondo immacolati e “imparati”, se così non è? L’attuale “Giornata” si è svolta a trent’anni, dalla prima – singolarissima – voluta da Giovanni Paolo II nel 1986. Il seme ha germinato, e ora s’intravvede una primavera. Ma perché questa non sia gelata da improvviso inverno, occorre che i credenti “dialoganti” contrastino, sul piano teologico e operativo, quegli altri credenti che persistono nel giustificare violenze e terrorismo (di singoli gruppi, o di Stato) agganciandosi ad antiche parole dette da un Dio che, grazie a Dio, oggi va “reinterpretato” come custode della vita e mai come amante del sangue sparso in guerre pur “benedette”. 7


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Immigrazione: l’invasione immaginaria

I

l discorso pubblico e mediatico ripete pressoché ogni giorno che siamo di fronte a flussi migratori giganteschi, in tumultuoso aumento, che proverrebbero principalmente dall’Africa e dal Medio Oriente e sarebbero composti in grande prevalenza da maschi musulmani. I dati disponibili ci dicono invece che l’immigrazione in Italia, dopo anni di crescita, è sostanzialmente stazionaria, intorno ai 5,5 milioni di persone, arrivate per lavoro in un primo tempo, poi sempre più per ragioni familiari, con circa un milione di minori e 2,3 milioni di occupati regolari. Come se non bastasse, le statistiche dicono che l’immigrazione è prevalentemente europea, femminile e proveniente da paesi di tradizione cristiana. Le cause prevalenti dell’immigrazione sono innanzitutto il lavoro e poi la famiglia: l’asilo riguarda solo 180mila persone su 5,5 milioni. Per ragionare in modo sensato sull’immigrazione occorre quindi superare la divaricazione tra realtà e rappresentazione, l’attenzione selettiva verso una sola componente dei processi migratori, per di più largamente minoritaria, la confusione tra asilo e immigrazione in generale. Arrivi molto visibili, certo drammatici ma anche drammatizzati, hanno occupato il centro della scena, MAURIZIO AMBROSINI offuscando le docente altre componenti, di sociologia molto più delle migrazioni rilevanti, di all’Università di Milano. un universo

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complesso e sfaccettato come quello delle migrazioni internazionali. Nella realtà, le migrazioni verso l’Italia sono da anni quasi stazionarie, a motivo soprattutto della crisi economica e della diminuzione della domanda di manodopera. Gli stessi ricongiungimenti familiari sono rallentati, ma rimangono la prima causa dei nuovi ingressi registrati. Anche il caso italiano, pur tenendo conto dell’aumento delle richieste di asilo negli ultimi anni, segue una tendenza generale da anni individuata dagli studi sulle migrazioni internazionali: arrivano dapprima giovani adulti soli, per ragioni di lavoro, non soltanto maschi. In un secondo tempo, quando si stabilizzano, molti immigrati ricongiungono la propria famiglia o se ne formano una nella società ricevente. Alcuni, soprattutto le donne, formano alleanze matrimoniali con persone native. La nascita e la crescita di seconde generazioni nel paese ricevente avvia nuovi processi, sia di mescolanza e fusione sia di persistente segregazione delle popolazioni di origine immigrata. La rappresentazione drammatizzante e distorta dell’immigrazione ha a che fare con le ansie e le paure che attraversano le nostre società. Qui entrano in gioco gli accresciuti timori per la sicurezza nazionale sprigionati dalla fine della Guerra fredda, dall’avvento di scenari geo-politici più fluidi e instabili, dalla crescente insofferenza di varie popolazioni del Sud del mondo nei confronti della supremazia del Nord globale. Su

gli editoriali

Maurizio Ambrosini

questo piano, la comparsa sulla scena politica dell’islamismo radicale e la data emblematica dell’11 settembre 2001 hanno segnato, se non uno spartiacque, di certo l’innesco di un’escalation nelle restrizioni, che gli attentati in questi due anni in Europa

“Contrariamente a quanto

molti italiani credono, l’immigrazione in Italia è oggi sostanzialmente stazionaria

hanno esacerbato. In realtà gli attentati terroristici hanno rilanciato l’antica paura del legame tra flussi migratori e minaccia alla sicurezza nazionale che ha diversi precedenti nella storia contemporanea. Più profondamente, hanno dato vigore a inquietudini che non riguardano soltanto elementi di fatto, ma minacce ontologiche, concernenti i valori morali, le identità collettive e l’omogeneità culturale della società. In questo senso l’inquadramento dell’immigrazione come un fattore di pericolo, con il rafforzamento dei controlli e quindi della visibilità degli immigrati, con l’implicita separazione tra “noi” e “loro”, sta di fatto rendendo manifesto, incrementandolo, lo scontro di civiltà teorizzato da Huntington: la securitizzazione delle politiche migratorie rinforza stereotipi e contrapposizioni che il discorso politico ufficiale nega. È ciò che l’Isis auspica. Dobbiamo invece scongiurare questa minacciosa spirale.


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i servizi

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i servizi | AMBIENTE

Le eco-guerre e i cambiamenti climatici Ludovico Basili - Walter Nastasi - Roberto Valenti

Sono oltre cento, negli ultimi settant’anni, i conflitti che hanno tra i principali fattori scatenanti le crisi ambientali. Molti di essi sono tuttora in corso e la situazione non accenna a migliorare, se pensiamo che nei prossimi anni aumenteranno ancor di più le persone che vivono in aree dove l’acqua è una risorsa scarsa.

S

econdo quanto rilevato dal rapporto Taking Action on Climate and Fragility Risks commissionato dai Paesi del G7 nel giugno 2015 all’istituto tedesco Adelphi (www.adelphi.de), dal dopoguerra a oggi sono stati 111 i conflitti determinati da fattori di natura ambientale. Di questi, 79 sono attualmente in corso e 19 di essi sono classificati come conflitti ad alta intensità (livello 4 in una scala da 1 a 4). Il legame tra i cambiamenti climatici e l’emergere di conflitti, in particolare nelle aree maggiormente vulnerabili del pianeta, è stato evidenziato anche dal World Watch Institute, (www.worldwatch.org), che ha sottolineato come «l’alterazione delle precipitazioni potrebbe accrescere le tensioni rispetto all’uso dei corpi idrici condivisi e aumentare la probabilità di conflitti violenti sulle risorse idriche». Sempre secondo lo studio, «si stima che circa 1,4 miliardi di persone già vivono in aree sotto stress idrico. Un numero che al 2025 potrebbe salire fino a 5 miliardi di persone. Gli impatti diffusi dei cambiamenti climatici potrebbero portare a progressive ondate migratorie, minacciando la stabilità internazionale. Un’ulteriore stima prevede che entro il 2050 ben 250 milioni di persone dovranno abbandonare aree rese vulnerabili dall’innalzamento del mare, da inondazioni, o dall’aridità». Una delle “eco-guerre” in corso, o quanto meno direttamene collegata a fattori climatici, è certamente il conflitto siriano. Un recente studio, condotto dalla Columbia University, sostiene che tra i differenti fattori che hanno provocato la guerra in Siria, va menzionata l’ondata di siccità straordinaria che tra il 2007 e il 2010 ha visto l’area della mezzaluna fertile ridurre progressivamente la propria disponibilità di risorse. Scrive Richard Seager, AMBIENTE L.Basili, W.Nastasi, R.Valenti Rossano Ercolini (intervista)

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p.10 p.14

climatologo e coautore dello studio: «Non stiamo dicendo che la siccità abbia provocato la guerra; quello che pensiamo è che, insieme a tutti gli altri fattori scatenanti, abbia aiutato a spingere gli eventi oltre la soglia di non ritorno, fino a scatenare il conflitto. Un’ondata di siccità così grave, inoltre, è sicuramente stata resa possibile, o quanto meno molto più probabile, dall’inaridimento della regione proL’ISTITUTO vocato dall’attività umana». Durante la Seconda conferen- ECOAMBIENTALE za globale sul clima (Parigi, 6 L’Istituto e 7 luglio 2016), l’Organizza- Ecoambientale zione mondiale della sanità (istitutoeco ha presentato dei dati da cui ambientale.it) un ente non si evince che il cambiamento èprofit. climatico comporterà ogni anno 250mila decessi a cau- Si occupa sa di malaria, diarrea, stress di analisi, da caldo e malnutrizione, in elaborazioni, ricerche e studi particolare tra i bambini, le per lo sviluppo donne e la popolazione più sostenibile. povera e più debole. L’ECO-GUERRA SIRIANA

Come in altre aree geografiche in conflitto, anche in Siria è incontestabile un elemento di base comune: la continua diminuzione delle precipitazioni e la progressiva impossibilità di produrre cereali a sufficienza per la richiesta interna. I dati elaborati dall’Istituto Ecoambientale sono inconfutabili: la diminuzione delle precipitazioni meteoriche negli ultimi venti anni (pari a circa il 75/80%) e la conse-

L’appellativo ecoambientale significa “divulgazione e comunicazione” in merito alle questioni ecologiche, alla conservazione e al miglioramento della qualità della vita della nostra casa, il Pianeta Terra.

LUDOVICO BASILI WALTER NASTASI ROBERTO VALENTI Istituto Ecoambientale


i servizi | AMBIENTE

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guente scarsità di accesso all’acqua e frammentazione dei raccolti di cereali hanno di fatto costituito dei “moltiplicatori di rischio” della protesta antigovernativa, che è poi sfociata in conflitto insurrezionale a carattere spiccatamente religioso. La Siria ha una percentuale di circa il 75% di aree agricole, ciò significa che la propria vocazione è prevalentemente agricola. Se nella tabella 1 si osserva il dato del 2009 riferito alla popolazione rurale, e si seguono poi i dati sui flussi migratori interni, si nota che indipendentemente dall’attuale conflitto nel solo periodo 2009-2013 circa duecentomila persone avevano già abbandonato le aree agricole per trasferirsi nelle aree urbane. I dati demografici, legati a flussi migratori interni, assumono contorni interessanti quando collegati ai dati climatici. Nella tabella 2 si noti la forte incidenza dell’inasprimento delle condizioni di aridità registrate per tutto il corso del decennio 2000-2010. In un precedente e ampio studio dedicato al conflitto siriano e ai fattori scatenanti, l’Istituto Ecoambientale era partito proprio dal dato di queste due città, le prime a essere scosse da rivolte che all’inizio nascevano come proteste antigovernative per l’interruzione dei flussi idrici. Tutto ciò non sarebbe stato così determinante se la Siria fosse stata una società prevalentemente urbana, ma circa il 45% dei suoi abitanti, ossia 9 milioni di persone, apparteneva al mondo rurale prima che si intravedessero le proteste del 2011. Società in gran parte urbane, come gli Emirati Arabi Uniti, non sono state così terribilmente colpite dalla grave siccità, perché la maggioranza dei loro abitanti ha bisogno di acqua potabile solo per uso domestico. Ma il punto focale è che il 90% dell’acqua siriana viene utilizzata per l’irrigazione e una scarsità di piogge diventa un vero e proprio disastro ambientale e sociale. Si osservi ora attentamente anche la tabella 3, tenendo in considerazione che i dati relativi alle produzioni sono espressi attraverso “Gross Production Index Number (2004-2006=100)”, ossia in base alla percentuale 100 indicata come base di riferimento rispetto alla produzione del 2004-2006. Nello stesso periodo il Prodotto interno lordo è sceso dai 54,11 miliardi del 2009 ai 35,16 miliardi del 2013, un calo del 35%, e la percentuale di terre coltivabili è passata dal 51,25% al 33,26%. Ciò che colpisce di questi dati è la generale diminuzione di tutte le produzioni e il crollo relativo delle terre arabili, oltre a: diminuzione della produzione di grano del 27,99%; diminuzione delle produzioni agricole del 23,77%; perdita di capi di bestiame pari al 15,59%; diminuzione della produzione di cibo del 17,82%; crollo della percentuale di terre arabili rispetto ai dati del 2006. Associando a tali dati i risultati delle forniture d’acqua per irrigazione, anch’esse crollate sen-

TAB. 1 - SIRIA: POPOLAZIONE RURALE E URBANA

Popolazione rurale Popolazione urbana

2009 9.603

2010 9.544

2011 9.519

2012 9.501

2013 9.448

11.682 11.988 12.224 12.358 12.450

(Fonte: Faostat / unità: abitanti in migliaia)

TAB. 2 - SIRIA: CONDIZIONI CLIMATICHE TEMPERAT.

PRECIPITAZ.

GIORNI

MEDIA (°C)

MEDIA (MM.)

DI PIOGGIA

18,4

196,87

38

1997

19,2

np

17

1999

19,6

43,92

12

2008

21,3

19,83

16

2010

17,6

185,42

38

1997

18,5

252,49

24

1999

Np

147,54

25

2008

19,9

121,06

21

2010

Raqqa (nord Siria)

Dara’a (sud Siria)

ANNO

(Fonte: Wired)

TAB. 3 - SIRIA: PRODUZIONE ALIMENTARE

Cereali Coltivazioni Capi di allevamento Cibo

2009 81,82 93,48 96,26

2010 67,46 88,14 90,26

2011 84,01 99,43 96,18

2012 79,67 88,16 91,33

2013 72,01 76,23 84,41

96,32

91,70

102,52

93,60

82,28

(Elaborazioni: Istituto Ecoambientale)

sibilmente negli anni 2006-2010 (per poi interrompersi del tutto dopo l’inizio del conflitto), si intuisce molto bene come i devastanti impatti del cambiamento climatico prima, e gli altrettanto devastanti impatti provocati dalle sanguinose guerre civili poi, abbiano di fatto “imbalsamato” le politiche agricole della Siria e conseguentemente abbiano impoverito una larga fascia della popolazione rurale che ieri si è vista costretta alla migrazione interna ed oggi, qualora fosse stata indenne al richiamo dei vari gruppi ribelli, a quella esterna. I COSTI DEI CAMBIAMENTI CLIMATICI

Cerchiamo però ora di aggiungere un ulteriore elemento di riflessione spesso disatteso o peggio ignorato nell’affrontare i cambiamenti climatici. I costi effettivi e i costi reali che in termini quantitativi suggerirebbero di agire immediatamente per ridurne gli impatti dovrebbero implementare le azio11


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ni di adattamento e mitigazione per eliminare un evidente moltiplicatore di rischio, e infine per una altrettanto evidente logica di risparmio generale. Nel 2006 il Rapporto Stern (commissionato dal governo inglese di Tony Blair a sir Nicholas Stern, ex economista della Banca mondiale), oltre a spiegare quanto i cambiamenti climatici minaccino gli elementi di base della vita d’intere popolazioni intorno al mondo (l’accesso all’acqua, la produzione alimentare, il diritto alla salute e l’uso suolo), approfondisce anche i danni che essi provocano all’economia globale. In assenza di azioni dirette a mitigare l’impatto dei cambiamenti climatici, il Rapporto Stern valuta i danni all’economia globale equivalenti a una perdita anche fino al 15% del Pil, a fronte di costi pari all’1% del Pil mondiale che invece servirebbero per far fronte all’emergenza. Un altro elemento da tenere in considerazione è che l’impatto dei cambiamenti climatici non sarà negativo per tutti i paesi, ce ne saranno alcuni che avranno addirittura effetti positivi, quali la Russia e il Canada per esempio, che con il surriscaldamento del pianeta avranno temperature più miti e più terra coltivabile, mentre gli effetti catastrofici sui paesi del Sud del mondo sembrano ormai accertati. L’Istituto Ecoambientale ha effettuato un’elaborazione su dati forniti dal Centro di ricerca sull’epidemiologia dei disastri (Cred) della Lovanio University, in Belgio (www.emdat.be), classificando i disastri legati al clima (siccità, temperature estreme, incendi, tempeste, inondazioni, frane e valanghe) per il periodo 2010/2015. I risultati dell’elaborazione sono evidenti: i disastri climatici a livello globale (si veda la tabella 4) hanno colpito quasi 873 milioni di persone, privandone di una casa circa 6,16 milioni, e sono globalmente costati oltre 535 miliardi di dollari (oltre 476 miliardi di euro). L’Italia è in qualche modo nel mezzo, il nord sarà molto meno colpito mentre le regioni del sud ne risentiranno maggiormente. I dati forniti dal Cred, ed elaborati, dimostrano che i costi umani ed economici sono già troppo alti. Utilizzando gli stessi criteri e applicandoli all’Italia, emerge che nel periodo 2010-2015 (vedi tabella 5) i disastri climatici hanno colpito 12.660 persone, ne hanno lasciate senza casa 1.700 e sono costati alla collettività oltre 5,76 miliardi di dollari (quasi 5,13 miliardi di euro). Affrontare il tema dei cambiamenti climatici è diventato dunque improcrastinabile. Non è più possibile far finta di niente o aspettare che la natura faccia tutto da sola. L’impatto antropico sul pianeta è da qualche anno diventato una preoccupazione per gli scienziati, ma anche e soprattutto lo sta diventando per gli economisti e i governi. Alle preoccupazioni dei governi, tuttavia, non sembrano far seguito politiche concrete in grado di contrastare o mitigare tali cambiamenti e quindi i rischi da questi derivanti. 12


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TAB. 4 - DISASTRI CLIMATICI NEL MONDO ANNO

2010 2011 2012 2013 2014 2015 TOT.

NUMERO EVENTI

NUMERO MORTI

PERSONE COLPITE

NUMERO FERITI

NUMERO SENZA TETTO

TOTALE COLPITI

TOTALE DANNI

250 256 232 236 213 265 1.452

30.763 9.635 7.209 19.436 5.670 8.308 81.021

244.702.346 207.981.057 106.654.300 87.162.686 134.644.486 91.761.046 872.905.921

12.919 37.040 12.563 97.334 28.380 41.553 229.789

1.450.808 1.754.220 911.523 312.342 1.330.334 400.946 6.160.173

246.166.073 209.772.317 107.578.386 87.572.362 136.003.200 92.203.545 879.295.883

54.564.397 130.139.303 128.900.517 83.373.778 82.835.472 56.103.266 535.916.733

EVENTI NATURALI

TOTALE DECESSI

PERSONE COLPITE

PERSONE FERITE

NUMERO SENZA TETTO

TOTALE COLPITI

TOTALE DANNI

3 4 3 1 5 4 20

3 29 49 18 15 9 123

300 500 2.700 8.610 550 12.660

5 1 -

700

1 7

1.000 1.700

305 1 1.200 2.700 9.611 550 14.367

872.000 545.000 1.337.601 780.000 1.087.000 1.143.000 5.764.601

(X1000 US$)

TAB. 5 - DISASTRI CLIMATICI IN ITALIA ANNO

2010 2011 2012 2013 2014 2015 TOT.

(X1000 US$)

(Fonte: elaborazioni dell’Istituto Ecoambientale su dati del CRED)

Negli ultimi 5 anni sono scoppiati o si sono riaccesi 15 conflitti costringendo decine di milioni di persone a fuggire 11.598.000 Siria 4.104.000 Iraq 4.039.000 Rep. Dem. del Congo 2.465.000 Sud Sudan 1.832.000 Pakistan 1.491.000 Repubblica Centrafricana 1.379.000 Nigeria 1.076.000 Ucraina 907.000 Myanmar 427.000 Mali 425.000 Yemen 371.000 Libia 335.000 Burundi 122.000 Costa d’Avorio 4.000 Kirghizistan

UCRAINA

SIRIA

IRAQ

PAKISTAN

LIBIA

MALI COSTA D’AVORIO

YEMEN NIGERIA REPUBBLICA CENTRA- SUD FRICANA SUDAN

BURUNDI

Fonte: UNHCR

REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO = PROPORZIONALE ALLE CIFRE RIPORTATE

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Estrarre le risorse dal cassonetto Rossano Ercolini

[intervista a cura di Mostafa El Ayoubi]

P

roprio in questo periodo si discute della necessità di accelerare la ratifica del Trattato di Parigi sul clima. Qual è il suo punto di vista sullo stato attuale della questione ambientale? La crisi ambientale globale è sicuramente lo scenario più rilevante che condiziona i paesi e le società che abitano questo nostro pianeta. In questo momento sono particolarmente colpito dal fenomeno della plastica negli oceani: ogni minuto è come se venisse scaricato un camion pieno di plastica nei mari. Gli scienziati dicono che, se continua così, entro il 2050 avremo più plastica che pesci: la biomassa marina sarà inferiore ai rifiuti gettati in acqua dall’uomo, che sta Nostra quindi trasformando il proprio ambiente intervista in un’enorme discarica.

a uno dei protagonisti dell’incontro Ambiente, patrimonio comune, che si è tenuto nell’ambito dei Dialoghi di Trani

Uno dei nodi ecologici principali è quello dei rifiuti. Qual è il loro impatto sull’ambiente? L’esempio che ho appena fatto toglie ogni dubbio: l’impatto è insostenibile dal punto di vista dell’alterazione degli equilibri che il pianeta ha conosciuto in questi milioni di anni e naturalmente colpisce anche la qualità della vita degli esseri umani in termini sanitari e in termini di migrazioni: non dobbiamo infatti dimenticare la crisi legata alla perdita di fertilità dei suoli, alla desertificazione. Le migrazioni planetarie sono indotte per la maggior parte dalle crisi climatiche e le stesse guerre che avvengono sul nostro pianeta (e che muovono milioni di persone a cercare destinazioni più sicure) sono mosse dall’accaparramento di risorse primarie, fossili e non fossili: si pensi al coltan del Congo per i telefonini, alle “terre rare” (il 90% le commerciaROSSANO ERCOLINI lizza la Cina) o alla scarsità di maestro risorse prime, che colpisce in elementare, particolar modo il continente esperto di europeo, tanto è vero che ora questioni ambientali. è proprio l’Unione europea a

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promuovere le politiche legate all’economia circolare, ossia all’estrazione dei metalli e delle materie prime dal cassonetto (che finora è stato l’elemento insostenibile di questa civiltà basata sullo spreco). Lo spreco quindi non è più sostenibile, occorre muovere dall’era dei rifiuti all’era delle risorse. In che modo si ripensano i modelli economici e produttivi non in termini lineari ma circolari? Il modello lineare muove dall’estrazione del materiale alla manifattura, alla distribuzione, al consumo e poi allo smaltimento dei cascami derivanti dal consumo, per poi ripartire in una linea insostenibile, frontalmente confliggente con gli equilibri naturali, che invece agiscono per percorsi di circolarità al pianeta. Abbiamo quindi l’obbligo di venir fuori in modo graduale – attuando una exit strategy – dal modello di economia lineare a quello circolare; questo ci permetterà di riconciliare i nostri sistemi ambientali ma anche i nostri sistemi economici, perché l’Europa non è in grado, dal punto di vista dei giacimenti naturali, di mantenere i livelli dell’industria manifatturiera se non riuscirà ad estrarre, da ciò che fino a ieri stupidamente ha chiamato “rifiuti”, le risorse il cui fabbisogno si prevede aumenterà, nei prossimi venticinque anni, del 75%. Nel momento in cui l’economia globale coinvolge, oltre all’America del Nord, l’Europa, l’India, la Cina, l’Indonesia, il Brasile e gli altri paesi cosiddetti “emergenti”, non è più possibile pensare di non dover fare i conti con la limitatezza delle risorse. Come si passò dall’era della pietra alla civiltà dei metalli, così oggi dobbiamo passare dalla stupidità dell’era dei rifiuti e dello spreco alla saggezza dell’era delle risorse. Ma assistiamo sempre di più alla formazione di oligopoli dell’agroalimentare della distribuzione e le multinazionali dettano legge. Come si esce da questa situazione? Certamente, da un lato c’è il modello planetario delle multinazionali, che presuppone di avere la disponibilità nei prossimi anni di almeno altri tre


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