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combat Comunisti per l’organizzazione di classe Febbraio 2012

Supplemento a pagine marxiste

“MAMMONI”, “BAMBOCCIONI” E SFRUTTATORI “MONOTONI” Ci siamo. Manca solo la definizione esatta delle misure sul “mercato del lavoro”, cioè sui licenziamenti. Seguirà poi un po' di manfrine delle “parti sociali” , per far vedere che c'è stata una trattativa “vera” . Dopo di che si arriverà a siglare questo nuovo tassello di una lunghissima stagione anti operaia in nome della “crisi”. Dove arriveranno? A licenziare più facilmente e pure individualmente per “motivi economici”. Cioè quando e come vorranno i signori padroni. Se proprio gli andrà male, essi potrebbero essere “costretti” a pagare qualche indennità. Ma il posto di lavoro non sarà più “reintegrato”. A dire il vero una bella scrollata in questa direzione l'aveva data anche il ministro Sacconi, in agosto, con la deroga aziendale dell'articolo 18. Ora Monti e Fornero danno il colpo definitivo. Sarà cambiato lo stile, saranno pure usciti di scena i bunga-bunga, il “conflitto d'interessi” non turberà più i sogni dei “democratici” (ma quali?), però il premier Mario Monti, in quanto ad anti operaismo, non ha nulla da invidiare al suo predecessore Berlusconi. I rivoluzionari questo l'hanno sempre sostenuto, e cioè che finché rimane il capitalismo ogni governo ne sarà sempre espressione diretta. Tocca ai finti “oppositori” di ieri, diventati oggi bavosi estimatori della “coesione sociale” (=SFRUTTAMENTO), così ben interpretata dal loro nuovo idolo della finanza, spiegare ai lavoratori italiani dove li stanno portando. Fuori dalla crisi? Balle. Li stanno portando ai livelli più infimi di oppressione e sottomissione politica, sociale, morale, diremmo esistenziale ... E che dire dei cosiddetti “sindacati dei lavoratori”, cioè di Cgil-Cisl-Uil?

La Cisl fa sempre la prima della classe. E' la prima con la penna in mano, pronta a siglare pari pari ciò che viene da Confindustria: sì al licenziamento individuale, purché ci siano “tutele” sugli ammortizzatori sociali … cioè il licenziamento in cambio di una manciata di euro … e non per tutti … e senza nessuna certezza di ricollocazione. Questo sì che è amore vero! La Cgil fa sempre all'inizio la parte della “dura”, ma si “intenerisce” subito: sostiene l'applicazione ai giovani del Contratto dell'Apprendistato: tre anni di prova e puoi essere messo alla porta senza motivazioni ... Non è una presa in giro? Tra i paesi più industrializzati della zona euro, siamo l'unico che non ha istituito un salario garantito di disoccupazione. Eppure anche questa ormai ineludibile questione di “tollerabilità sociale”, che dalle altre parti rimane pur sempre sotto i minimi vitali, viene spudoratamente contrabbandata qui da noi con la demolizione definitiva delle normative sui licenziamenti!!! Dopo che sono saltati centinaia di migliaia di posti di lavoro, dopo migliaia di chiusure, dopo che i salari sono stati ridotti all'osso, dopo che la precarietà E' e SARA' la condizione “normale” di esistenza di milioni di giovani e non più giovani! Vergogna per questa classe di sfruttatori vecchi e nuovi, di ogni collocazione sugli scranni parlamentari, di ogni tinta ideologica … buoni solo a perpetuare, con la violenza e l'inganno, lo schiacciamento del proletariato di ogni settore e provenienza. “Bamboccioni “e “mammoni “saranno i loro rampolli, avvezzi agli agi. Il proletariato è in grado di mettere in campo giovani leve rivoluzionarie.


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Dopo la Grecia...tocca a noi! Rivoluzione! Nonostante le manovre d'austerity portate avanti nel nostro paese dall'attuale governo Monti, non si è ancora creata, in Italia, un'opposizione sociale e politica capace di rispondere all'attacco padronale e di classe. Dopo anni in cui i governi di centro-sinistra e centro-destra hanno aperto la strada per la demolizione del contratto nazionale e dei diritti lavorativi, per la distruzione della scuola pubblica e la privatizzazione di tutti i servizi pubblici come l'acqua e la sanità; adesso questo governo sta dando il colpo finale alla dignità e ai diritti di tutti i proletari. In Grecia continua e si amplifica l'opposizione alle politiche di restrizione del governo "tecnico" Papademos, che ha portato oggi ad un assalto al parlamento che dura tutt'ora! Solidarizziamo con gli studenti, i lavoratori, operai e disoccupati che stanno lottando dietro le barricate ad Atene.

Proletari di tutti i paesi, unitevi!

Un’immagine dell’assedio al Parlamento ad Atene

Come non è automatico il crollo del capitalismo sotto il peso delle sue crisi e delle sue endemiche contraddizioni, così non è automatica la risposta di classe adeguata al livello dell’attacco subito. In ambedue i casi è determinante la presenza attiva dell’organizzazione rivoluzionaria.

SINDACATO ADDIO? Per cominciare a risalire la china, al posto degli appelli e dei rilanci rituali, occorre chiarezza. Bisogna dirsi le cose come stanno. L’attacco borghese, le finanziarie governative, l’integrazione sindacale, la complicità della defunta sinistra di Stato, sono solo alcuni dei motivi delle difficoltà odierne del movimento operaio. Così come il governo Berlusconi non è caduto per mano popolare, l’unica “opposizione” incisiva e visibile la fanno le lobby dei padroncini di ogni ordine e grado. Gli operai, fatti risorgere solo per farli partecipare a qualche truffaldino referendum in perdita, subiscono di tutto, soli, disperati, al punto di auto-carcerarsi o morire di freddo su qualche torre alla ricerca di una improbabile notorietà. I giovani, dal canto loro, indignados a scadenza, quando non provano a forzare la piazza attaccati e repressi da tutta la “società civile”, si rifugiano nel cosiddetto “bamboccionismo”, sommando alla miseria economica dell’eterna precarietà gli spiccioli della famiglia d’origine. Bisogna analizzare e capire fino in fondo questa complessa stratificazione sociale, se si vogliono evitare mitologiche attese messianiche di “autunni caldi” in puntuale ritardo. In definitiva, se da un lato la crisi favorisce la fine del patto socialdemocratico welfare-lotta di classe, approfondendo la scarnificazione sociale e rendendo palesi disu-

guaglianze ed ingiustizie sociali, dall’altra produce una accelerazione individualista, una fuga verso un diffuso welfare privatistico-famigliare, del mattone e del soccorso plurireddituale. Questa dura verità, oltre il ritardo storico-politico nella ricostruzione dell’organizzazione di classe, è alla base dell’odierna risposta operaia episodica, frammentata, oscillante tra ribellismo e spettacolarizzazione, così come era alla base del lungo riflusso succeduto al ciclo di lotte degli anni ’70. Certo, c'è il ruolo nefasto di un sindacalismo confederale da sempre concertativo, trasformatosi in “sportello di servizio” individuale, per poi integrarsi direttamente nell’apparato statuale diventandone uno dei pilastri costitutivi. Certo, c'è l’inadeguatezza di un “sindacalismo di base” immaturo, rissoso, che non ha vinto la propria scommessa sostitutiva di cgil-cisl-uil avviata nei primi anni ’80, che continua a proporre “scioperi generali” di testimonianza scarsamente partecipati, e per nulla incisivi. Certo, c'è anche e soprattutto una oggettiva perdita di peso e rappresentatività sindacale in sé di fronte alle determinazioni, tutte politiche e spesso continentali, delle linee guida governative locali. Anche quest’anno, eravamo partiti dalla necessità e dall’aspettativa di una sicura risposta di classe alla crisi, per giungere adesso alla difesa della “democrazia e


3 della sovranità nazionale” attaccate dall’odierna “sospensione tecnica”. Quindi, al posto di tentare un dispiegamento della lotta ed una ritirata ordinata di classe, si preferisce, magari con il solito spettro del fascismo e dei particolarismi corporativi, difendere lo status-quo, cioè Monti ed i suoi provvedimenti. Un corto circuito antioperaio quasi perfetto: sciopericchi di poche ore o in competizione l’uno con l’altro per difendere lo stesso sistema oggetto delle presunte “proteste”! Tra crisi e falsi rappresentanti dei lavoratori, il panorama è sconsolante, ed a poco servono gli ululati per un volontaristico “rilancio delle lotte”. I pur lodevoli tentativi di auto-organizzazione settoriale, se non sono supportati da una visione politica complessiva, rimangono relegati nell’episodicità, senza riuscire a collegarsi tra di loro, preda di repressioni e di interessate cooptazioni politiche e sindacali. Ma anche questa situazione così negativa ci lascia qualche spiraglio, ci consente qualche aggancio. Dobbiamo saperlo individuare ed afferrare con forza. La crisi, così come il clima di sfiducia complessiva da parte operaia verso il sistema ed i suoi servi, possono

febbraio 2012 essere un’occasione per l’intervento dei rivoluzionari. Quale migliore dimostrazione della “ingiustizia democratica” per un governo tecnico non eletto da nessuno? E quale migliore conferma verso una sinistra ed un sindacato disponibile e complice delle finanziarie governative e della ferrea legge dell’euro? In questo senso, crediamo, la realtà lavora per noi, perché ci spiana il terreno, ci facilita la strada della denuncia e dell’organizzazione. Senza illusioni ne’ “mitiche scadenze”, oggi è possibile più di ieri lavorare all’organizzazione autonoma di classe. Senza illusioni, certo. Con questi sfavorevoli rapporti di forza tra le classi non possiamo illuderci di travolgere il sistema o di frenare il suo tentativo di uscita dalla crisi, ma possiamo e dobbiamo cogliere le opportunità, le convenienze proletarie strategiche dentro la crisi. Riuscire a lavorare su questo crinale, intervenendo quotidianamente nelle lotte e nelle contraddizioni, con una visione ed una prospettiva generale di trasformazione sociale. Non è una scommessa, ma un impegno fattivo.

PERENNE CRITICITA’! D'inverno c'è la neve, d'estate c'è l'incendio, d'autunno l'alluvione ...

… dov'è finito il diritto alla mobilità? Un ricordo personale. Nel 1980, novello assunto nel personale viaggiante di Roma Termini, spesso mi recavo in servizio da Roma a Pescara, transitando, tra l'altro, sulla tratta limitrofa a Sulmona, a ben 1050 metri di altezza. E' ovvio che d'inverno su questa ( bellissima! ) tratta c'era spesso la neve, e tanta. I treni sembravano dei bob a quattro tra due muri di neve alta fino al metro, MA CAMMINAVANO, camminavano! E sapete perché, perché il locomotore, davanti al suo "muso", aveva una sorta di spaccaneve, il "rostro", che gli permetteva di aprirsi un varco nel ghiaccio e nella neve. Oggi, nel 2012, di "rostri" nemmeno l'ombra, ed itrani rimangono per giorni a Carsoli, sulla stessa linea per Pescara, e ad un'altitudine minore. Quando, sempre nei primi anni '80, un locomotore chiedeva riserva e

doveva essere trainato, l'operazione durava al massimo 2 ore, e quasi mai era necessario alcun trasbordo dei viaggiatori ( allora si chiamavano cosi', prima di diventari clienti! ). Ciò era possibile perchè la locomotiva di riserva, cioè qualla che doveva effettuare il rimorchio del locomotore in panne, era dotata di un GANCIO adeguato alla bisogna, adatto al traino. Oggi, quel gancio non può essere usato per i treni a materiale ETR 450-460-480-500, perché tecnicamente i respingenti dei treni ad A.V. non corrispondono all'altezza ed alla fattura complessiva del gancio di traino. Da qui, la obbligatoria necessità di approntare diverse opzioni di soccorso, con aggravio del tempo necessario e della condizione di cambio treno per i clienti. Al posto del gancio, il trasbordo. Al posto di un paio d'ore, una ventina d'ore!

Quando il sistema di autoriscaldamento ( che negli anni '80 era molto meno presente di oggi ) degli scambi andava in tilt, c'era l'omino ferroviere che li riscaldava a mano, personalmente, permettendo la ripresa della marcia del treno, altrimenti impossibile. Oggi, di omini ferrovieri sulle linee ce ne sono sempre di meno, e sempre di piu' sono i "disguidi" tecnici altrimenti risolvibili in breve tempo. Però, però, volete mettere.... nel terzo millennio abbiamo meno rostri, ganci e ferrovieri,ma abbiamo i freccia-club, i freccia-desk, i treni a.v. exucutive di sola prima classe, carrozze con sala riunione, carrozze del silenzio...etc, etc. Per il resto della "gentile clientela", cui viene costantemente negato il costituzionale diritto alla mobilità, c'e' sempre pronto uno speaker poliglotta a scusarsi per l'ennesimo " disguido". Pino


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ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLE ELEZIONI IN EGITTO All’indomani del terzo appuntamento elettorale in Egitto in base al quale si è determinata la composizione della Camera Bassa, gli scenari politici e le prospettive per le mobilitazioni popolari di cui siamo stati testimoni anche nelle ultime settimane sono tutt’altro che scontati. La vittoria dei Fratelli Musulmani che controllerebbero il 48% dei seggi parlamentari e del fronte salafita formato dai partiti di al-Nur e al-Asala con il 27%, danno anche un’idea chiara di quali saranno le principali forze politiche che negozieranno con l’altro ineludibile protagonista della politica egiziana fin dalla rivoluzione nasseriana del 1952, ovvero l’esercito. Il Blocco Egiziano, una coalizione laica e liberale, portavoce della borghesia avente come punto di riferimento le multinazionali occidentali e degli alti burocrati legati al regime di Mubarak che ha guadagnato il 10% delle preferenze al primo turno calerebbe al 8 %. I risultati elettorali che hanno di fatto continuato a premiare le formazioni che negli anni hanno più o meno coerentemente costituito il principale riferimento dell’opposizione al regime di Mubarak, non hanno però segnato la fine di quella diversificata ondata di proteste che hanno incontrato la repressione del governo guidato da Ganzouri, di fatto poco più che un burattino nelle mani del Supremo consiglio delle forze armate (SCFA). Gli avvenimenti del Cairo degli ultimi giorni, la brutalità poliziesca che ha colpito i principali protagonisti delle mobilitazioni popolari, a cui sono seguite le proteste dei Fratelli Musulmani che già a dicembre avevano invocato un’inchiesta per accertare i crimini del SCFA, sono un segnale evidente di come l’esercito sia ancora in grado di essere una forza tutt’altro che secondaria nella vita politica egiziana. Oltre al tradizionale peso politico e al ruolo di custode della laicità “islamica” dello Stato, l’esercito egiziano come altri della regione ha accumulato negli anni un notevole peso economico. Secondo alcune stime l’esercito avrebbe nelle mani il 30%-40% dell’economia tramite una fitta rete di imprese pubbliche e partecipate connesse alla produzione militare ma anche diverse società che operano dalla costruzione delle infrastrutture e di opere pub-

bliche all’industria alimentare. È facile capire quindi come i generali, abbiano interesse ad avere chiare garanzie del mantenimento dei privilegi acquisiti, e possano essere un punto di riferimento per la borghesia laica che dopo aver assistito al crollo del regime di Mubarak, è tra i principali agitatori dello spauracchio islamista della trasformazione dell’Egitto. Per offrire degli elementi che aiutino a ragionare freddamente su quest’ultimo argomento all’ordine del giorno ogniqualvolta si registri una avanzata delle forze che abbiano un richiamo religioso nel proprio programma politico è necessario prima di tutto comprendere cosa siano il fronte salafita e i Fratelli Musulmani. Se il radicamento e il consenso popolare dei Fratelli Musulmani (FM) era un dato ampiamente riscontrato, sul fronte politico islamista la vera sorpresa è stata senza dubbio il successo del fronte salafita. Al-Nur e al-Asala, sono due formazioni che, sebbene fondate nel 2011, sono di fatto rappresentative di una corrente che trae origine dal dissidio tra i FM e le jamaat “associazioni” studentesche islamiste durante gli anni ’70. Queste ultime in particolare avevano criticato l’atteggiamento conciliante dei FM nei confronti del regime di Sadat, che aveva temporaneamente allentato la stretta repressiva sulle organizzazione religiose per concentrarsi principalmente sui comunisti e i nasseriani di sinistra. Equiparando l’intervento politico con la collaborazione con lo Stato “ateo” egiziano, il movimento salafita negli anni ’80 e ’90 si è radicato tramite un’intensa attività assistenziale svolgendo attività che vanno dall’educazione alla costruzione di abitazioni per le fasce più povere di aderenti al movimento, beneficiando anche dei finanziamenti provenienti dalle monarchie del Golfo e in particolare dall’Arabia Saudita. I Fratelli Musulmani dal canto loro, un’organizzazione fondata nel 1928 e che negli anni ha conosciuto un radicamento esponenziale grazie alle numerose attività sociali e assistenziali, rappresentano un vero e proprio “partito di massa” all’interno della società egiziana. Spesso semplicisticamente interpre-

tati come sostenitori di una interpretazione rigida dell’Islam, i Fratelli Musulmani sono oggi rappresentativi di un vasto ed eterogeneo blocco sociale che riunisce sezioni della piccola borghesia commerciale ma anche settori consistenti del ceto medio (ingegneri, insegnanti, professionisti) e delle fasce povere della popolazione, penalizzati negli anni precedenti nella distribuzione della ricchezza in favore degli alti burocrati e della borghesia industriale cresciuta sotto l’ala protettiva dello Stato. I FM sono quindi un movimento capace di porsi come punto di riferimento non solo per l’elettorato tradizionalmente religioso ma per chiunque porti avanti istanze “democratiche” e “antimonopolistiche”. Da questo punto di vista è indicativo l’atteggiamento del Partito della Giustizia e della Libertà, ovvero il braccio politico dei FM, che si presenta come un partito “nazionale” rassicurante sia sul fronte delle prospettive dell’industria turistica, sia riguardo i rapporti con la minoranza cristianocopta. Come spesso accade è sul piano economico e sociale che emergono le contraddizioni del fronte salafita e dei FM. Nonostante la propaganda islamica si sia mostrata molto attenta a tematiche sociali, tentando di intercettare il disagio del proletariato egiziano e ponendo ad esempio tra le priorità l’accesso gratuito ai servizi sanitari, le ricette economiche che i due movimenti propongono non sono altro che il completamento delle privatizzazioni già avviate da Mubarak negli anni ’90 e 2000, mascherato dietro formule come “lotta ai monopoli” e ai “poteri forti” nelle aree economiche in cui c’è ancora una forte presenza dello Stato. Nel complesso i dirigenti delle due organizzazioni islamiche sembrano mirare più al liberismo “islamico” di Erdogan e al compromesso con i militari piuttosto che a scenari più radicali, e cercano quindi di legittimarsi come un referente responsabile, in grado di tutelare gli interessi del capitale occidentale. Il terzo fattore che da comunisti ci interessa di più e di cui bisogna tenere conto anche in un’analisi sommaria come questa, è il ruolo della classe operaia egiziana, che negli ultimi anni e negli ultimi mesi ha conosciuto una crescita progressiva in termini di consapevolezza. Dallo sciopero generale dell’aprile 2008 fino alle recentissime mobilitazioni degli ultimi giorni, i lavoratori egizia-


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ni hanno iniziato ad opporsi con sempre maggiore combattività alle privatizzazioni, che il governo-fantoccio di Ganzouri continua a portare avanti, e a lottare per il miglioramento delle proprie condizioni materiali reclamando l’innalzamento del salario minimo e la rinazionalizzazione delle fabbriche privatizzate, obiettivi che sebbene nell’attuale fase non siano certo segni inequivocabili della volontà generalizzata di superamento del capitalismo denotano comunque la fermezza della classe operaia egiziana nella difesa dei propri interessi contingenti. Un esempio tra tanti è il caso della vittoria di appena qualche settimana fa’ dei lavoratori della “Shebin El-Kum Textile” e della “Tanta for Flax and Oil”, che sono riusciti ad imporre la rinazionalizzazione delle due fabbriche , per non parlare degli scioperi selvaggi che da settembre si susseguono senza sosta nel paese. All’interno dello scenario politico egiziano inoltre si sta assistendo all’emer-

gere di una sinistra rivoluzionaria che, rifiutando lo schema “o i Fratelli Musulmani o i generali”, si accinge a riempire il vuoto lasciato dal Tagammu. Quest’ultimo, un tempo punto di riferimento per i nasseriani di sinistra e per i socialisti egiziani durante gli anni ’70 nella lotta contro il regime di Sadat, negli anni ’80 ha conosciuto un’involuzione che ne ha fatto poco più che “un’opposizione del re” di fatto supina al Partito Nazionale Democratico (PND), in virtù dell’alleanza contro il comune nemico “islamista”. Basti pensare che quello che rimane di quest’organizzazione ha accettato di correre alle elezioni insieme ai rottami del PND nel Blocco Egiziano. Attualmente il panorama della sinistra egiziana, che ha conosciuto una moltiplicazione di organizzazione politiche, dal 25 gennaio 2011 è articolato e tutt’altro che uniforme, contando un vasto numero di gruppi, dai partiti che hanno dato vita al "Socialist Popular Alliance Party”(SPA) o l’ “Egyptian Socialist Party”, alle organizzazioni come i Socialisti Rivoluzionari e Democratic Wor-

kers’ Party che hanno formato l’alleanza di al-Thawra al-Mustamirra “La Rivoluzione Continua”. Sebbene sia assurdo pensare che queste forze esercitino un ruolo egemone all’interno degli scioperi o nelle sollevazioni a cui abbiamo assistito negli ultimi giorni, non è da trascurare il potenziale che queste organizzazioni possono avere nella prospettiva dell’unificazione delle lotte operaie e degli altri settori di lavoratori egiziani. È essenziale che gli episodi di rivolta e di lotta odierni crescano, e canalizzino la rabbia sociale cresciuta nell’ultimo ventennio nella prospettiva di un’alternativa di sistema al capitalismo. Ed è per questo che oltre a dare la nostra solidarietà attiva ai proletari e ai comunisti egiziani, auguriamo loro di riuscire a costituire un blocco rivoluzionario autonomo, capace di contrastare i tentativi dell’imperialismo di inquinare e dirigere le rivolte in Medio Oriente e di opporsi ai propri sfruttatori siano essi legati al capitale transnazionale siano essi parte della “patriottica” “laica” oppure “religiosa” borghesia nazionale.

NOVITA’ EDITORIALE

GRAZIANO GIUSTI

LA RIVOLUZIONE DAL BASSO Dagli Industrial Workers of the World ai Comunisti dei Consigli (1905-1923)

Quaderni di Pagine Marxiste IV serie blu All’inizio del ‘900 negli Stati Uniti un esercito di straccioni, vagabondi, disertori, ladri di polli, precari, senzatetto va all’attacco del capitalismo più forte con l’obiettivo di riscattare la classe operaia. In senso canzonatorio vengono chiamati wobblies, e loro per tutta risposta quel nome se lo affibbiano addosso. In Germania, nel primo dopoguerra, i lavoratori lottano sul terreno rivoluzionario per conquistare "tutto il potere ai Consigli Operai". Verranno sconfitti solo dalla reazione concertata dello Stato borghese e della socialdemocrazia. Una pagina indimenticabile della lotta di classe internazionale.

E’ la rivoluzione dal basso. Lotte ed insegnamenti di ieri, per il proletariato di oggi, per costruire il mondo di domani. Per saperne di più sui singoli quaderni e tutte le nostre pubblicazioni: www.paginemarxiste.it Ordina i quaderni scrivendo a: abbonamenti@paginemarxiste.it


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Risultati elettorali in Russia

Dal gelo su Putin nuove prospettive di cambiamento Quello che segue è un breve report delle recenti elezioni in Russia. Questo paese era imperialista già dai tempi di Stalin e dei suoi epigoni. E lo è naturalmente rimasto anche nella nuova versione “liberista”. Esso vede al suo interno confliggere gruppi monopolisti del vecchio capitalismo di stato con i nuovi oligopoli proiettati verso nuove alleanze ed avventure internazionali. Sfruttando magari la crisi dell’euro e le dinamiche alterne dell’estremo e del medio oriente. In tale rimescolamento di carte sono possibili sia rivolte interne di un proletariato che paga per tutti, sia il risorgere di appetiti nazionali nel “cortile di casa” grande russo. Comunque sia l’unica parola d’ordine comunista è: “PROLETARI DI TUTTI I PAESI UNITEVI!”. Mosca. Nonostante l'anomala temperatura primaverile del dicembre moscovita, cala un freddo gelido sulla consultazione elettorale che si è conclusa ieri in Russia. Che si trattasse di elezioni farsa lo si sapeva da prima che iniziasse la propaganda del voto; anzi per caratteristiche proprie della storia russa, che si debba eleggere i deputati alla Duma, come in questo caso, o il Presidente, le tornate elettorali vengono vissute dalla popolazione con molto disincanto. I dati parlano chiaro: ad andare alle urne sono stati il 60% dei 110 milioni di aventi diritto, tenendo conto che diverse formazioni politiche hanno invitato a votare per il solo fatto che, tra le numerose denunce di brogli, figura esserci il voto automatico per Russia Unita di chi non si presenta al seggio. Detto questo, il volto della Russia è cambiato in questi quattro anni che sono passati dalle ultime consultazioni, il Cremlino ha deciso di giocare la carta dello sviluppo economico in quanto paese membro dei Bric, dando come riferimento lo stile di vita occidentale ad un numero sempre crescente di Russi, ed il formarsi della classe media nata della rendita di materie prime non è una trasformazione che si può attuare senza contraccolpi anche qui, dove i cambiamenti epocali si susseguono in breve successione, e anche perché certe promesse non sembrano possibili da mantenere. Russia Unita, il partito di Putin, ha perso il 15% rispetto alla volta scorsa, attestandosi al 50. Male, molto male per la classe dirigente se si pensa che questo paese si trova in una congiuntura storico sociale sull'orlo del disastro, perché se è vero che cresce annualmente ancora del 5% del P.I.L., è l'ultimo dei Bric in quanto a sviluppo industriale, le disparità sociali sono un'evidenza insormontabile e la crisi economica dell'occidente qui è alle porte e tutti la sentono bussare e ne hanno

paura; al contrario della Cina che per ora sembra avvantaggiarsene, non a caso il leit motiv che sentiamo ripetere incessantemente da queste parti è quello di un sommovimento analogo a quello dei paesi arabi degli ultimi mesi, prospettiva che data l’instabilità politica che si respira qui non fa che prendere maggiormente corpo. Gli argomenti appena riportati sono alla base della campagna elettorale del vero vincitore politico di queste elezioni: il Partito Comunista della Federazione Russa. Con una percentuale di poco superiore al 20, il PCFR raddoppia i deputati presenti alla duma, sfruttando elettoralmente il profondo malessere sociale, nel pieno della crisi finanziaria internazionale, in un paese da sempre protagonista della scena mondiale come la Russia. Era dai tempi dell'unione sovietica che i nostalgici del passato regime non avevano un peso del genere nella vita del paese: presentati come un partito di vecchi rottami da bancarella "sovietica", hanno però saputo fare una politica di avvicinamento dei giovani (un laureato su diciassette in Russia lavora) e dei ceti medio-bassi più colpiti dall’instabilità economica e affamati di giustizia sociale. Comunque, si sta parlando di un partito nato dalla vecchia nomenklatura del Pcus, cresciuta nella fase discendente del vecchio regime a capitalismo di stato (spacciato per socialismo), disgregatosi definitivamente nell' '89. Ricordiamo, infatti, che tale sistema è imploso ed ha aperto alle banche estere e al sistema liberista, anche grazie al cambiamento di rotta di chi era al potere durante il crollo, basti pensare come il premier, il presidente e quasi tutti gli oligarchi siano uomini del vecchio PCUS o dell'ex-KGB, saltati in tempo sull' "occidentale" carro dei vincitori. In più pesano ancora sul PCFR scandali come l'abdicazione del sindaco di Volgograd e la sua entrata nelle fila di Russia

Unita, i rapporti con teorici Eurasisti come Dugin, voci mai smentite ufficialmente di un coinvolgimento di Zjiuganov, il segretario del partito, in finanziamenti fatti sul suo conto personale da industriali del settore della produzioni di armi, nonché l'atteggiamento del suo partito che, almeno fino ad adesso, ha indubbiamente fatto l’“opposizione di sua maestà”. “Tattica” od opportunismo? Vero è che, dal partito nazional-liberale dell'oligarca Zirinovskij al liberaldemocratico Jablaka, i risultati sono stati deludenti anche perché nella società sembrano svanire le illusioni economicosociali veicolate nel periodo di Eltsin, ed a farsi portatori delle istanze dei delusi dal "capitalismo reale" adesso sembrano essere i pseudo-comunisti, con tutte le contraddizioni che in Russia con la sua storia possono portare. Da segnalare, inoltre, è sicuramente la manifestazione organizzata nella piazza Rossa dal fronte della sinistra, che ha provocato 70 arresti in loco e ben 150 preventivi la sera prima dell'apertura dei seggi, con chiare connotazione astensioniste, che ha raccolto la simpatia dei passanti, che in alcuni casi sono intervenuti in difesa dei manifestanti durante l'arresto. Le elezioni che abbiamo sommariamente descritto fanno da risonanza ad una situazione politica assai instabile dell'imperialismo russo, pur nel ribadimento della forma "liberista" di Putin. Nel paese si susseguono scioperi e manifestazioni che vedono alla base un imperialismo che non riesca a dotarsi di una forma politica in grado di tenere insieme gli affari dei grandi gruppi fornitori di energia e di altre materie prime, con la crisi dell'euro ed il rallentamento asiatico. Su questa "impasse" imperialistica potrebbero innestarsi scontri sociali e nazionali "interni" di proporzione ed intensità notevoli.


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Grecia, appello da ospedale occupato L'ospedale della cittadina di Kilkis in Grecia è stato occupato dai lavoratori che hanno organizzato una conferenza. Pubblichiamo il loro appello. Al di là dei limiti, riteniamo che sia un passaggio importante, che esprime un salto di qualità nelle mobilitazioni in Grecia, dove i lavoratori iniziano a capire la loro effettiva forza. Inoltre proprio per il settore sanitario coinvolto, e il suo ruolo nella società nel suo complesso e la sua dimensione corporativa rappresenta un’importantissima dimostrazione di come si può oggi generalizzare la lotta. Redazione Connessioni

http://connessioni-connessioni.blogspot.com/2012/02/occupato-un-ospedale-in-grecia.html

I lavoratori dell’ospedale di Kilkis: medici, infermieri e il resto del personale che ha partecipato alla Assemblea Generale ha concluso che: 1. Riconosciamo che i problemi attuali e persistenti del Ε.Σ.Υ (il sistema sanitario nazionale greco) e delle organizzazioni correlate non possono essere risolti con richieste specifiche e isolate o richieste che servono i nostri interessi particolari, dal momento che questi problemi sono il prodotto di una più generale e anti-popolare politica di governo e del neoliberismo globale. 2. Riconosciamo, inoltre, che, insistendo nel sostenere questo tipo di rivendicazioni contribuiamo al gioco spietato dell'autorità. Tale autorità, che, al fine di affrontare il suo nemico - cioè il popolo, indebolito e frammentato, vuole impedire la creazione di un fronte unito dei lavoratori ad un livello nazionale e globale con interessi e rivendicazioni comuni contro l'impoverimento sociale a cui porta la politica. 3. Per questo motivo, mettiamo i nostri interessi particolari all'interno di un quadro generale delle rivendicazioni politiche ed economiche che vengono poste da una larga parte del popolo greco, che oggi è sotto il più brutale attacco capitalista; rivendicazioni che per essere feconde devono essere sostenute fino alla fine, in collaborazione con le classi medie e inferiori della nostra società. 4. L'unico modo per raggiungere questo obiettivo è mettere in discussione, nell’azione, non solo la sua legittimità politica, ma anche la legalità dell’arbitrario potere autoritario e anti-popolare e della gerarchia che si sta muovendo verso il totalitarismo a larghi passi. 5. I lavoratori dell'ospedale generale di Kilkis rispondono a questo totalitarismo con la democrazia. Occupiamo l'ospedale pubblico e lo mettiamo sotto il nostro controllo diretto e assoluto. L’ospedale di Kilkis d'ora in poi sarà autogovernato e gli unici mezzi legittimi del processo decisionale amministrativo sarà l'Assemblea Generale dei lavoratori. 6. Il governo non è sollevato dai suoi obblighi economici verso personale e forniture per l'ospedale, ma se continuerà a ignorare questi obblighi, saremo costretti ad informarne il pubblico e a chiedere al governo locale, ma soprattutto alla società, di sostenerci in ogni modo possibile per: (a) la sopravvivenza del nostro ospedale (b) la difesa globale del diritto per l'assistenza sanitaria pubblica e gratuita (c) il rovesciamento, attraverso una lotta comune popolare, dell'attuale governo e qualsiasi altra politica neoliberista, non importa da dove proviene (d) una democratizzazione profonda e sostanziale, vale a dire, una società responsabile (piuttosto che un terzo partito) nel prendere le decisioni per il proprio futuro. 7. Il sindacato dell’ospedale di Kilkis, comincerà dal 6 feb-

braio il blocco del lavoro, fornendo solo il servizio di emergenza, fino al completo pagamento per le ore lavorate, e all’aumento del nostri salari ai livelli a cui era prima dell'arrivo della troika (UE -BCE-FMI). Nel frattempo, ben sapendo qual è la nostra missione sociale e quali sono i nostri obblighi morali, proteggeremo la salute dei cittadini che vengono in ospedale, fornendo assistenza sanitaria gratuita a chi ha bisogno, chiamando il governo ad accettare finalmente le proprie responsabilità. 8. Decidiamo che una nuova assemblea generale si terrà , lunedì 13 febbraio, nell'aula magna del nuovo edificio dell'ospedale alle ore 11, per decidere le procedure necessarie per attuare in maniera efficace l'occupazione dei servizi amministrativi e per realizzare con successo l'auto-gestione della struttura ospedaliera, che partirà da quel giorno. Le assemblee generali si svolgeranno tutti i giorni e saranno lo strumento fondamentale per il processo decisionale per quanto riguarda i dipendenti e il funzionamento dell'ospedale. Chiediamo la solidarietà del popolo e dei lavoratori provenienti da tutti i campi, la collaborazione di tutti i sindacati dei lavoratori e le organizzazioni progressiste, così come il supporto di qualsiasi organizzazione dei media che sceglie di dire la verità. Siamo determinati a continuare fin a quando i traditori che vendono il nostro paese e la nostra gente lasceranno. O loro o noi! Le decisioni di cui sopra saranno rese pubbliche attraverso una conferenza stampa a cui tutti i mass media (locali e nazionali) saranno invitati mercoledì 15/2/2012 alle ore 12.30. Le nostre assemblee quotidiane partiranno dal 13 febbraio. Informeremo i cittadini su ogni evento importante che si svolge nel nostro ospedale per mezzo di comunicati stampa e conferenze. Inoltre, useremo tutti i mezzi disponibili per pubblicizzare questi eventi al fine di rendere questa mobilitazione un successo. Chiamiamo a) i nostri concittadini, a mostrare solidarietà al nostro sforzo, b) ogni cittadino greco ingiustamente vessato, alla contestazione e all’opposizione, con azioni contro i suoi oppressori, c) i colleghi di altri ospedali, a prendere decisioni analoghe, d) i dipendenti in altri settori del settore pubblico e privato e i partecipanti alle organizzazioni sindacali e progressiste a fare lo stesso, al fine di aiutare la nostra mobilitazione ad assumere la forma di una resistenza e di una rivolta popolare e universale dei lavoratori, fino alla nostra vittoria finale contro la élite economica e politica che oggi opprime il nostro paese e il mondo intero. Lunedi 6 febbraio


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Da “CONNESSIONI” di Bologna

Emilia Romagna: la fine del piccolo mondo antico … note sulla crisi (parte I) Gli effetti della crisi in Italia, pur mantenendo un tratto omogeneo, assumono caratteristiche peculiari se rapportate ai diversi territori. Proveremo ad analizzare l’Emilia, un territorio metropolitano omogeneo, che attraverso la sua arteria stradale principale sviluppa un contesto urbano unitario, arrivando a costituire una vera e propria area metropolitana (1). Partiamo da questa considerazione di area metropolitana in quanto oggi le diverse aree metropolitane del paese assumono tratti indipendenti, in quanto hanno un diverso legame con le sovrastrutture nazionali e sovra-nazionali (Italia, UE) (2). Le attuali dinamiche della crisi stanno investendo e mandando in pezzi anche gli ultimi echi di quello che fu il “modello emiliano”, fiore all’occhiello della politica delle sinistre, una applicazione regionale di una economia mista fondata su meccanismi di integrazione sociale orizzontale e verticale. Il modello emiliano, partito negli anni ’50, si innestava dentro una tradizione di sinistra che vedeva in questa regione l’apparizione delle prime amministrazioni socialiste ad inizio ’900 con una forte impronta mutualistica. Tutto questo parallelamente alla nascita di una rete industriale e artigianale molto specializzata, che veniva coadiuvata da una serie di scuole tecniche professionali all’avanguardia per l’epoca. Non è un caso che le forme acute di lotta di classe si troveranno al di fuori del socialismo legalitario, e interesseranno soprattutto le campagne e il proletariato agricolo. Vale la pena ricordare che l’Emilia Romagna sarà una delle regioni dove il sindacalismo rivoluzionario si svilupperà maggiormente e in molte città nasceranno Camere del Lavoro direttamente legate all’Unione Sindacale Italiana. Il proletariato agricolo, legato principalmente alla figura del bracciante, che si può definire un precario ante litteram, sarà la figura principale del ciclo di lotte che investirà la regione dall’inizio ’900 fino alla fine degli anni ’20. Sarà però negli anni ’50 che si innesterà quel modello ispirato dallo stesso Togliatti, che vedrà al centro lo sviluppo di una società fondata sui ceti medi produttivi, che riusciva dentro un meccanismo integratore a ordinare le sinergie tra borghesia (legata alla piccola media industria e agricoltura) lavoratori e amministrazione, di fatto inglobando la maggioranza della popolazione.(3) Vi era forse una delle più radicali applicazione keynesiane, che facevano del modello emiliano, un parente stretto del socialismo scandinavo, intriso tuttavia nelle mitologia iconografica sovietica. Questo meccanismo tagliava fuori chi si poneva in modo antagonista, e chi aveva vissuto il fenomeno della Resistenza non solo come liberazione nazionale, ma come lotta di classe. Non va dimenticato che proprio in Emilia il confine tra guerra civile e guerra sociale in alcuni fenomeni si era sovrapposto. Al di là del giudizio di merito sulla lotta partigiana e sul ruolo anti-classista dell’antifascismo è significativo osservare come tutta una serie di figure politiche che avevano provato a praticare la guerra sociale verranno dileggiate, rinnegate o colpite. La crisi partita negli anni ’70 non avrà un impatto così massiccio se rapportato alle ristrutturazione che investì il vecchio triangolo industriale. La già avviata flessibilità produttiva propria dell’industria emiliana (basata su un produzione con un livello tecnologico medio-alto e con una dimensione aziendale contenuta, ma a rete sotto il profilo dell’organizzazione del lavoro), la maggiore capacità di autofinanziamento (un sistema

già integrato tra sistema di credito bancario e aziende su base regionale) e un’ampia rete di servizi permetterà a questo modello di rilanciarsi e di svilupparsi ulteriormente fino alla fine degli anni ’90. Se in questi ultimi anni abbiamo assistito ad un lento declino, provocato dai meccanismi di crisi internazionale, che ha messo a dura prova gli assetti produttivi e dei servizi in Emilia, è solo recentemente che si assiste a meccanismi inediti di deintegrazione sociale, con un aumento costatante della disoccupazione (e una sempre più evidente difficoltà a fare carico al monte ore della cassa integrazione), con una crisi del sistema industriale e della stessa rete di servizi. La compattezza sociale che faceva da cornice a quel modello è messa a dura prova, e quindi di fatto si manda in pezzi gran parte di quelle utopie inter-classiste proprie della tradizione politica di sinistra di questa regione. Non stiamo parlando di una catarsi, ma di crepe che iniziano a farsi più evidenti. Esiste ancora una tenuta sindacale, la stessa FIOM nel settore industriale sta crescendo, ed esiste ancora quella sovrastruttura politico-sociale legata ai vari corpi intermedi della sinistra che permette un controllo capillare del territorio. Ma è evidente che oggi assistiamo ad un aumento costante di una porzione sociale che viene deintegrata con processi legati ad una generale precarizzazione del lavoro che si riversa nel sociale (abitazioni, servizi alla persona, ecc. …). Nella 2010 le persone in cerca di lavoro hanno raggiunto la cifra di 117 000, un valore che supera di circa 19 000 unità (pari a +19,1%) il dato del 2009 e che appare circa doppio rispetto a quelli rilevati nel corso del biennio 2007-2008. Sul piano generale si può parlare di una disoccupazione che oscilla tra il 7-10%. In queste statistiche ufficiali (Banca d’Italia) non sono conteggiati i lavoratori scoraggiati (simpatica definizione borghese per definire chi è escluso) e quelli in CIG. Oggi in regione vi è un disoccupato di lunga durata su ogni tre disoccupati mentre un giovane su tre è disoccupato a livello complessivo. La probabilità per i giovani di trovare lavoro subisce anche in questo caso una polarizzazione, aumenta in modo significativo con la laurea ma diminuisce verticalmente se si è solamente in possesso di un diploma d’istruzione superiore (è da due anni che si assiste ad un drastico calo delle iscrizioni all’Università, se si prende il dato bolognese). L’aumento della disoccupazione femminile nel solo primo trimestre del 2010 raggiunge le 24 000 unità. I dati censiti dello scorso anno 2010 parlano nella sola Bologna di 22 milioni e 369mila ore di cassa integrazione autorizzate, il 53% in più rispetto al 2009, che del resto aveva visto moltiplicarsi per 6 le ore di CIG rispetto al 2008. Si arriva a parlare oggi di impossibilità di utilizzo della stessa CIG se per il 2012 si avranno questi meccanismi di crescita esponenziale. L’attuale recessione, provocata dalla crisi, non ha fatto altro che acuire la quantità di lavoro fornita individualmente dai lavoratori (aumento dei ritmi) con una riduzione delle retribuzioni per occupato. I lavoratori con meno di 20 anni vedono la paga della loro giornata di lavoro ridursi nel corso del 2009 da 44,33 a 43,83 euro (-1,1% in termini nominali e -1,9% in termini reali), quelli di età compresa tra i 20 e i 24 anni da 56,17 a 55,92 euro (-0,4% in termini nominali, -1,2% in ter-


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mini reali). Utilizzando i microdati ISTAT sulle retribuzioni, risulta che, rispetto al 2009, sono diminuite drasticamente le retribuzioni d’accesso dei giovani alla ricerca della prima occupazione. Le rilevazioni INPS disponibili fino al 2009 confermano che la soglia che divide i lavoratori che hanno dovuto fronteggiare serie difficoltà occupazionali e retributive durante la recessione e i lavoratori che sono stati colpiti in misura più tenue si situa intorno ai 35 anni. Sotto i 35 anni gli occupati sono passati da 118mila a 96mila. Nella pratica in due anni 30mila posti di lavoro sono andati letteralmente in fumo. Non solo. Quei pochi che vengono assunti entrano nel mercato del lavoro direttamente come precari. Ormai solo il 14% dei

nuovi contratti sono a tempo indeterminato. Contro il 30% del 2007. Un dimezzamento che di fatto rende il tempo indeterminato un miraggio per tutti, giovani e vecchi che siano. A fare la parte del leone sono i contratti a termine, 1 su 2, per il resto si tratta di co.co.co, co.co.pro o altre forme contrattuali marginali. E se il lavoro diminuisce, ad aumentare sono le persone che cercano lavoro per la prima volta, magari dopo anni di inattività. Nel 2010 sono state più di 7mila i nuovi iscritti agli uffici di collocamento. Segno che la crisi sta spingendo chi prima non ne aveva bisogno a cercare di arrotondare le entrate familiari.

1) Si deve comunque escludere la costa romagnola, che ha caratteristiche peculiari visto il mercato legato al turismo. 2) La crisi italiana nel mondo globale, economia e società del Nord, Einaudi, 2010 3) P. Togliatti, Ceto medio e Emilia rossa, Edizioni La lotta, 1953

La lotta ai magazzini Esselunga di Pioltello La lotta in corso al magazzino centrale dell’Esselunga è un esempio da manuale dell’uso padronale del sistema “negriero” delle cooperative per imporre il dispotismo aziendale, e di utilizzo delle forze dell’ordine a sostegno di tale sistema. Esselunga è uno dei maggiori gruppi della grande distribuzione italiana, con oltre 6,5 miliardi di fatturato, 360 milioni di risultato operativo (quasi 20mila euro per ognuno dei 19 mila dipendenti), e 213 milioni di utile netto (oltre 11mila per dipendente) nel 2010. In realtà i dipendenti sono più dei 19 322 dichiarati a fine 2010 perché non si contano gli operai della logistica. Ce ne sono più di mille a Pioltello (MI), dove sono i magazzini che smistano i prodotti per tutti i supermercati Esselunga del Nord Italia; anche più numerosi sono quelli di Biandrate (Novara), addetti soprattutto alla preparazione di pesce, verdure ecc. Questi lavoratori per le cui mani passano tutti i prodotti Esselunga, per Esselunga non esistono, perché sono dati in appalto a delle cooperative. E sì che con il suo libro Falce e Carrello il padrepadrone di Esselunga, Bernardo Caprotti (ora 86enne) sta conducendo da anni una battaglia contro i privilegi delle cooperative (Lega Coop), che oltre ad avere vantaggi fiscali starebbero bloccando l’espansione di Esselunga nelle regioni dove esse hanno forte influenza sulle amministrazioni locali (tramite il PD, in Emilia, Tosca-

La manifestazione del 10 dicembre

na, Liguria …). Il libro è stato sequestrato dietro ricorso della Lega Coop, con l’accusa di contenere falsità, poi è stato riammesso sul mercato da un’altra sentenza. Non ci interessa qui questa lotta tra potentati; quel che è curioso è che, nonostante la sua foga contro le cooperative, Caprotti sia ricorso proprio a delle cooperative per gestire il suo “retrobottega”, i grandi magazzini di Pioltello e Biandrate. Perché? Non aveva uomini che se ne intendono di logistica? Non è credibile, anche per chi non abbia visto “Il mago dell’Esselunga”, l’apoteosi di Caprotti e del sistema Esselunga nel CD commissionato al regista Tornatore e distribuito gratuitamente alla clientela. Non aveva uomini qualificati per dirigere questo personale? Suvvia, Caprotti è l’ideatore di un sistema di amministrazione del personale “da manuale” dal punto di vista del controllo e della funzionalità capitalistica. Caprotti è ricorso alle cooperative perché “così fan tutti”, per ridurre i costi con un sistema schiavistico e di illegalità. A Pioltello ha appaltato la gestione della manodopera a tre cooperative. Una sola avrebbe permesso ai lavoratori di unirsi. Con tre si dividono i lavoratori, e le si può mettere in concorrenza le une contro le altre. Se una cooperativa ruba dei soldi ai lavoratori con vari sotterfugi, e allo Stato con altri, Esselunga non rischia nulla, e “risparmia” milioni, sulla pelle degli operai. Esselunga ha fatto buon uso della crisi. Le sue vendite


10 non sono diminuite, ma ha fatto lasciare a casa parte dei lavoratori delle cooperative dicendo che c’era la crisi. Gli altri hanno dovuto così aumentare i carichi di lavoro … Al posto di 1000 colli al giorno, 1500, o anche di più! Operai trentenni e quarantenni con la schiena spezzata. Persone consumate nel giro di tre o quattro anni per aumentare i profitti. Capi che telefonano a operai a letto con la febbre di tornare a lavorare …Diverse migliaia di euro sottratti alle buste paga a ogni operaio. Basta! In ottobre gli operai della cooperativa Safra hanno scioperato, organizzati nel SI Cobas, per avere la paga giusta, un orario regolare e non secondo l’arbitrio del capo, e carichi di lavoro umani. La Safra ha lasciato a casa 16 operai che si erano esposti in prima fila come delegati. Prima “perché non c’è lavoro”, poi erano stati messi in “ferie” non retribuite, poi gli hanno contestato “scarso rendimento”, per dare una patina legale al successivo licenziamento. Una operazione terroristica nei confronti della massa degli operai (circa 300 per la Safra), mentre all’interno hanno allentato sui ritmi, e rimosso un capokapò, per evitare esplosioni. La lotta, da offensiva è divenuta difensiva e politica: far rientrare i licenziati e affermare il diritto a scioperare e organizzarsi sindacalmente. Di fronte ai nuovi scioperi Safra era disponibile a mediare, ma Esselunga ha posto il veto. Non importa se si perdono soldi, l’importante è che non si consolidi una organizzazione operaia non controllabile. Polizia e carabinieri non hanno lesinato uomini e mezzi per impedire i blocchi dei camion, per favorire il crumiraggio contro i picchetti. Altri sette operai che hanno partecipato agli scioperi sono stati licenziati. Un operaio che aveva denunciato un’aggressione per strada da parte di un capo è stato estromesso senza motivazione. Esselunga ha contrastato gli scioperi alla Safra prima facendo arrivare squadre di crumiri, poi assegnando ad altre cooperative parte del lavoro che prima era di Safra. Da oltre due mesi davanti al magazzino è stato installato un presidio permanente, 24 ore su 24, tenuto dagli operai

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licenziati. La lotta oltre che dal SI Cobas è sostenuta da numerosi compagni di varie organizzazioni, tra cui il centro sociale Vittoria. Una manifestazione a dicembre per le strade di Pioltello ha visto un’ampia partecipazione, come poi una successiva assemblea. È stata costituita una cassa di resistenza per permettere ai licenziati di sopravvivere; diverse organizzazioni hanno tenuto iniziative per raccogliere fondi. Sono stati fatti volantinaggi davanti a diversi negozi Esselunga per informare i clienti e il personale, chiedendo di sostenere la lotta. Presso il presidio si tengono assemblee settimanali e sono stati fatti sforzi per collegare questa lotta con quella della vicina Jabil, della Wagon Lits e della Elnagh (in provincia di Pavia) tutti in lotta contro i licenziamenti, anche se qui sono i sindacati CGIL a organizzarle. Ma pesano le divisioni tra sigle e il fatto che a Pioltello la CGIL ha promesso a dei licenziati il rientro al lavoro se avessero preso tessera CGIL. Sono stati coinvolti il Consiglio comunale e quello provinciale, ma dopo le prime dichiarazioni di solidarietà hanno tirato i remi in barca: Esselunga è potente. Anche la maggior parte dei mass media, dietro pressioni di Esselunga (un importante committente di pubblicità) ha boicottato la lotta. Il primo assalto è stato respinto da un’azienda forte di mezzi e sostenuta dagli apparati dello Stato, che non ha esitato a ricorrere a pratiche illegali come i licenziamenti anti-sindacali. Il 14 febbraio si tiene la prima udienza per i ricorsi contro i licenziamenti, ma non saranno le sentenze a decidere della vertenza. Solo se si riuscirà a unire i lavoratori di tutte le cooperative sarà possibile vincere. Intanto questa vertenza è diventata una lotta politica, che ha unito lavoratori di diversi settori e militanti di diverse organizzazioni nei picchetti, nelle assemblee, nei cortei, facendo cadere gli steccati di molti orticelli e parrocchie della sinistra. Il nostro impegno è contribuire a che questo esempio non rimanga un episodio isolato.

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Registrazione 713 del 1.12.2003 del Tribunale di Milano Direttore Responsabile: Monica Bacis Stampato in proprio, Milano, Piazza Nigra 1, 20 febbraio 2012 E-mail: redazione@paginemarxiste.it Sito internet: www.paginemarxiste.it


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GENNAIO 1921: NASCE IL PCd'I Il 21 gennaio 1921 nasce a Livorno il Partito Comunista d'Italia, sezione della III Internazionale, da una scissione del Partito Socialista. Il contesto storico è di forte contrapposizione fra proletariato e borghesia (basti solo ricordare il movimento di occupazione delle fabbriche del 1920), che vide il vecchio partito, conteso fra massimalismo e riformismo, non esserne all'altezza. Da ciò l'esigenza delle sue correnti di Sinistra di rompere e di dare alla luce un organismo realmente rivoluzionario. Ci sembra, allora, significativo riproporre i dieci punti su cui si è costituito, basati sulle ventuno condizioni di adesione all'Internazionale Comunista, come sintesi della sua breve ma intensa vita, in netta contrapposizione con quello che è stato dopo la liquidazione della Sinistra. Grazie, infatti, all'appoggio esterno di un'Internazionale sempre più degenerata nello stalinismo, con basse manovre burocratiche il Centro del Partito riesce a prenderne le redini, gettando le basi della sua trasformazione in partito frontista e democratico, quindi stalinista e patriottico, infine socialdemocratico. Ma i dieci punti, anche alla riprova dell'odierna crisi capitalistica, dimostrano ancora oggi tutta la loro validità ed attualità. Il Partito Comunista d'Italia (Sezione dell'Internazionale Comunista) è costituito sulla base dei seguenti principi:

tra le masse lavoratrici ed il potere degli Stati borghesi.

1. Nell'attuale regime sociale capitalistico si sviluppa un sempre crescente contrasto fra le forze produttive ed i rapporti di produzione, dando origine all'antitesi ed alla lotta di classe tra il proletariato e la borghesia dominante.

6. Dopo l'abbattimento del potere borghese, il proletariato non può organizzarsi in classe dominante che con la distruzione dell'apparato statale borghese e con la instaurazione dello Stato basato sulla sola classe produttiva ed escludendo da ogni diritto politico la classe borghese.

2. Gli attuali rapporti di produzione sono protetti dal potere dello Stato borghese, che, fondato sul sistema rappresentativo della democrazia, costituisce l'organo per la difesa degli interessi della classe capitalistica.

7. La forma di rappresentanza politica nello Stato proletario è il sistema dei Consigli dei lavoratori (operai e contadini), già in atto nella rivoluzione russa, inizio della rivoluzione proletaria mondiale e prima stabile realizzazione della dittatura proletaria.

3. Il proletariato non può infrangere né modificare il sistema dei rapporti capitalistici di produzione, da cui deriva il suo sfruttamento, senza l'abbattimento violento del potere borghese.

8. La necessaria difesa dello Stato proletario, contro tutti i tentativi contro-rivoluzionari, può essere assicurata solo col togliere alla borghesia ed ai partiti avversi alla dittatura proletaria ogni mezzo di agitazione e di propaganda politica, e con l'organizzazione armata del proletariato per respingere gli attacchi interni ed esterni.

4. L'organo indispensabile della lotta rivoluzionaria è il partito politico di classe. Il Partito comunista, riunendo in sé la parte più avanzata e cosciente del proletariato, unifica gli sforzi delle masse lavoratrici, volgendoli dalle lotte per gli interessi di gruppi e per risultati contingenti alla lotta per la emancipazione rivoluzionaria del proletariato; esso ha il compito di diffondere nelle masse la coscienza rivoluzionaria, di organizzare i mezzi materiali d'azione e di dirigere nello svolgimento della lotta il proletariato. 5. La guerra mondiale, causata dalle intime insanabili contraddizioni del sistema capitalistico, le quali produssero l'imperialismo moderno, ha aperto la crisi di disgregazione del capitalismo, in cui la lotta di classe non può ché risolversi in conflitto armato

9. Solo lo Stato proletario potrà sistematicamente attuare tutte quelle successive misure d'intervento nei rapporti dell'economia sociale con le quali si effettuerà la sostituzione del sistema capitalistico con la gestione collettiva della produzione e della distribuzione. 10. Per effetto di questa trasformazione, economica e delle conseguenti trasformazioni di tutte le attività della vita sociale, eliminandosi la divisione della società in classi, andrà anche eliminandosi la necessità dello Stato politico, il cui ingranaggio si ridurrà progressivamente a quello della razionale amministrazione delle attività umane.


Lotte nella logistica

Abolire le cooperative del caporalato! Le lotte nella logistica in Lombardia ed Emilia pongono all’ordine del giorno la necessità di abolire il sistema di sfruttamento selvaggio della forza lavoro tramite il subappalto di manodopera che viene attuato sotto la forma giuridica delle cooperative. L’istituto delle cooperative fa parte della storia del movimento operaio, nasce dall’esigenza di autoorganizzazione e di reciproca solidarietà tra lavoratori, nel tentativo di sottrarsi allo sfruttamento capitalistico (cooperative di produzione) o di attenuarne gli effetti (cooperative di consumo); nella finanza sono servite soprattutto alle piccole imprese agricole o artigianali ad ottenere finanziamenti attingendo a un comune fondo depositi (banche cooperative). Sono forme di collegamento e auto -organizzazione, anche se non è associandosi su scala aziendale o locale che i lavoratori possono emanciparsi dalla schiavitù salariata, ma solo abbattendo il potere statale della borghesia e sopprimendo il sistema del lavoro salariato. Col tempo le cooperative sono state assorbite dentro il sistema capitalistico, con il supporto dello Stato che in Italia ha loro concesso vantaggi fiscali (ad es. minore tassazione degli utili, minore tassazione degli interessi sui depositi) e altre agevolazioni (ad es. non si applica l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori …!). Si sono così costituite diverse centrali cooperative, in simbiosi con i maggiori partiti politici (fino agli anni ’90: PCI, DC, PSI-PSDI-PRI, che nulla hanno da invidiare alle grandi multinazionali, soprattutto nel settore della distribuzione e delle costruzioni, ma anche nella finanza (la UNIPOL ha prima acquistato la BNL, e ora la Fondiaria SAI). Ma negli ultimi vent’anni circa la forma cooperativa è stata utilizzata soprattutto dalle grandi imprese, della logistica e non solo, per intro-

durre sistemi di flessibilità e sfruttamento selvaggio della manodopera, violare le norme contrattuali, sottopagando i lavoratori, evadere fisco e contributi, abbassare i costi e innalzare i profitti. Anche in settori produttivi (ad es. l’alimentare, vedi Galbani) spesso la quasi totalità dei lavoratori in produzione non è assunta direttamente dall’azienda, ma viene fatta assumere da cooperative, con il risultato di dividere i lavoratori tra più cooperative, e di mettere un filtro tra chi possiede e gestisce gli impianti e la manodopera. Un filtro costituito da “caporali” che hanno il solo compito di disciplinare, e nessun ruolo produttivo. Nella maggior parte dei casi viene assunta manodopera immigrata, più ricattabile e più facile da dividere tra diverse nazionalità. Questo sistema ha permesso un grande sviluppo dei gruppi della logistica, che hanno potuto fornire alle grandi imprese industriali e commerciali la movimentazione delle merci a prezzi ultracompetitivi. Le grandi e “rispettabili” multinazionali del settore, come la DHL, TNT, UPS, GLS, CEVA hanno conquistato il mercato italiano usando i vecchi metodi dei negrieri, dati spesso in appalto a ex sindacalisti o a personaggi attigui ad ambienti mafiosi. Ma negli ultimi 3 anni proprio in questi settori è cresciuta una forte opposizione a questo sistema: gli operai hanno cominciato a organizzarsi e scioperare, chiedendo almeno il rispetto del contratto e la cacciata dei capi che mancavano di rispetto alla dignità dei lavoratori. I primi successi (alla DHL di Corteolona (PV) e alla Bennet di Origgio (VA), conquistati con dure

lotte, hanno scoperchiato un sistema generalizzato e incoraggiato i lavoratori di altri magazzini a organizzarsi, trovando sostegno e collegamento nello SLAI Cobas, poi SI Cobas. Il movimento si è esteso a oltre 50 unità produttive. Nel panorama abbastanza tetro del movimento operaio italiano del nuovo secolo, in cui le poche e sporadiche lotte sono per salvare il posto di lavoro o per attenuare i peggioramenti normativi, in cui i giovani subiscono un peggioramento generalizzato delle condizioni di sfruttamento rispetto a quelle dei loro genitori, gli scioperi in diverse decine di magazzini della logistica per conquistare diritti e dignità sono aria fresca, cui tutti i lavoratori dovrebbero ispirarsi a pieni polmoni. Basterebbero queste lotte per dare il benvenuto in Italia ai lavoratori venuti da Pakistan, Bangladesh, Sri Lanka, Ucraina, Romania, Egitto, Marocco, Somalia, Sudan, Senegal, Nigeria, Ghana, Perù, Colombia – chiediamo scusa per le nazionalità omesse – che stanno insegnando ai lavoratori italiani quello che dopo 40 anni hanno dimenticato: che solo la lotta paga, che senza lotta il proletariato non solo non va avanti, ma non vi è limite nel peggioramento. In diversi casi lo Stato è intervenuto con la violenza dei manganelli a proteggere gli interessi di grandi gruppi, anche se questo significa proteggere l’illegalità e l’evasione fiscale e contributiva. Nel contempo il governo Monti spinge per varare l’ennesima “riforma del mercato del lavoro”.

Assieme all’abolizione degli istituti della precarietà e alla richiesta del salario garantito per chi è senza lavoro, rivendichiamo l’abolizione per legge dell’appalto di manodopera (col sistema delle cooperative o altro)!


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