KARL KORSCH: IL SUO CONTRIBUTO AL MARXISMO RIVOLUZIONARIO di Paul Mattick, 1962 Karl Korsch nasce nel 1886 a Tostedt nella Brughiera di Luneburgo e muore a Cambridge, Massachusetts, nel 1961. Figlio di una famiglia della classe media frequenta il Gymnasium a Meiningen e studia diritto, economia, sociologia e filosofia a Jena, Monaco, Berlino e Ginevra. Conseguita nel 1911 la laurea in giurisprudenza all’Università di Jena, trascorre gli anni dal 1912 al 1914 in Gran Bretagna studiando e praticando il diritto inglese ed internazionale. La prima guerra mondiale lo riporta in Germania e nell’esercito tedesco per i successivi quattro anni. Ferito due volte, degradato e promosso secondo il mutevole scenario politico, manifesta la propria posizione contro la guerra aderendo al Partito socialista indipendente tedesco. Mentre studia giurisprudenza, Karl Korsch si rende conto della necessità di cominciare dalla sua base sottostante, dallo studio della società. Socialista durante la guerra, diventa un socialista rivoluzionario nel corso dello sfacelo. Con la fusione del partito dei socialisti indipendenti con il partito comunista nel 1921 Korsch diventa un rappresentante comunista nella Dieta della Turingia, ministro della giustizia nell’effimero governo operaio dello stato di Turingia e infine dal 1924 al 1928 membro del Reichstag tedesco. Durante questo periodo scrive diffusamente sulle correnti questioni politiche e teoriche che agitano il movimento operaio radicale del dopoguerra. Diventa direttore dell’organo teorico del partito comunista, Die Internationale, e subito da allora in poi pubblica il giornale dell’opposizione, Kommunistische Politik e vi scrive. L’insoddisfazione per il crescente corso opportunistico dell’Internazionale comunista dopo il 1921, e la conoscenza e comprensione di una teoria come quella marxiana, superiore a quella della maggior parte dei più eminenti teorici di partito, conduce rapidamente Korsch ad un conflitto con l’ideologia ufficiale del partito bolscevico che lo porta nel 1926 a separare le loro strade. Da allora diventa il portavoce della corrente della sinistra radicale del partito comunista (Entschiedene Linke) che rimane ancora all’interno del partito ma, dato il carattere di tale organizzazione, viene subito considerato come un nemico della Terza Internazionale. Dopo il 1928 Korsch prosegue la sua attività politica al di fuori di ogni struttura organizzativa definita. Continua a scrivere per le pubblicazioni a lui accessibili, cura una nuova edizione del primo volume de Il Capitale di Marx, viaggia e tiene conferenze in diversi paesi e scrive uno studio su Karl Marx per la collana di un editore inglese dedicata alla sociologia moderna.(1) Con l’avvento al potere di Hitler nel 1933 Korsch si vede obbligato a lasciare la Germania. Va in Inghilterra, per un breve periodo vive in Danimarca e poi nel 1936 emigra negli Stati Uniti. Oltre a un incarico come insegnante nella Nuova Inghilterra impiega gli anni passati in America nello studio della teoria marxista. Così come in Germania anche in America l’influenza che esercita è principalmente quella di educatore, di Lehrer (maestro), come viene rispettosamente considerato dai suoi amici. Una cultura enciclopedica e una mente acuta lo destinavano a questo ruolo particolare, anche se avrebbe preferito stare ‘in mezzo alle cose’, nelle lotte effettive per i diritti e l’emancipazione della classe operaia, con le quali si era identificato. La qualità delle sue doti intellettuali e la sua integrità morale furono i suoi tratti distintivi e lo tennero lontano dagli affanni opportunistici volti a conseguire posizioni e prestigio, pratiche caratteristiche sia del mondo accademico che del movimento operaio ufficiale. Il fatto che la sua morte passasse quasi inosservata può essere considerato come la convalida definitiva della sua convinzione che il marxismo rivoluzionario può esistere solo insieme con un movimento rivoluzionario del popolo lavoratore. LA CRITICA A KAUTSKY L’impatto della prima guerra mondiale e ancor più la rivoluzione russa portarono la persistente crisi che travagliava il marxismo e il movimento operaio occidentale a una violenta eruzione. Sebbene la socialdemocrazia fosse scissa sul piano teorico in un’ala cosiddetta ‘revisionista’, capeggiata da Eduard
Bernstein, ed un’ala ‘ortodossa’ rappresentata da Karl Kautsky, la guerra rivelò che entrambe queste correnti socialdemocratiche esprimevano una identica pratica caratterizzata dal riformismo, dalla collaborazione di classe e dal socialpatriottismo. Gli elementi radicali residuali del movimento socialista internazionale e i loro esponenti più rappresentativi, Lenin in Russia e Rosa Luxemburg in Germania, troncarono ogni attività all’ombra del marxismo ‘ortodosso’ richiedendo un recupero dell’unità, da lungo tempo smarrita, tra teoria e pratica socialiste. Mentre il ‘revisionismo’, a causa del suo rifiuto totale del marxismo, non poneva problemi ai socialisti radicali, l’ ‘ortodossia’ di Kautsky rendeva necessaria una lotta su due fronti: contro la socialdemocrazia e contro la sua apparente giustificazione in termini marxisti. ‘Ritornare a Marx’ divenne la parola d’ordine di questa lotta, che aveva lo scopo di utilizzare la tradizione radicale del socialismo per le nuove lotte di un rivitalizzato movimento dei lavoratori. Ma ‘che cosa è il marxismo’ era pure una questione pertinente, poiché sia i seguaci che i nemici dell’’ortodossia’ di Kautsky si richiamavano all’opera di Marx. E in che misura e rispetto a cosa era rilevante il marxismo dei tempi di Marx nelle mutate condizioni del nuovo secolo? Le condizioni rivoluzionarie seguite alla guerra portavano con sé un rinnovato interesse per la teoria marxista. Dal 1922 al 1925 Korsch scrisse una serie di saggi (2) contro l’ ‘ortodossia’ di Kautsky sollecitando la restaurazione del contenuto rivoluzionario del marxismo. Korsch ritornò a una analisi critica e sistematica (3) del ‘marxismo dottrinario’ in seguito alla pubblicazione de La concezione materialistica della storia di Kautsky, nel quale l’autore stesso abbandona il suo precedente punto di vista. Per quanto la terminologia di Kautsky restasse ampiamente immutata, la sua interpretazione dell’opera di Marx ora contribuiva apertamente all’evirazione del movimento socialista ad opera del revisionismo. Le sue idee intorno allo sviluppo della società, lo stato, la lotta di classe e la rivoluzione, come Korsch sottolineò, erano al servizio della borghesia invece che della classe operaia. Ciò trovò la sua espressione teorica adeguata nel tentativo attuato da Kautsky di rappresentare la concezione materialistica della storia come una ‘scienza’ indipendente, non necessariamente associata con la lotta di classe del proletariato. Per Korsch ciò implicava la trasformazione del marxismo in mera ideologia che, non riconoscendo le proprie precondizioni, immagina se stessa come un ‘pura scienza’. Era in questa forma ideologica che il materialismo dialettico di Marx era pervenuto a dominare il movimento socialista ed era in questa forma che aveva smarrito il suo significato rivoluzionario. Nonostante fosse denominato ‘socialismo scientifico’ in opposizione ai socialisti utopici, il marxismo, secondo Korsch, non è una ‘scienza’, né può divenire una ‘scienza’ nell’accezione borghese del termine. Ad esempio, Il Capitale di Marx non è economia politica ma la critica dell’economia politica dal punto di vista del proletariato. Analogamente per quanto riguarda tutti gli altri aspetti del sistema marxiano, esso non è interessato a sostituire la filosofia, la storia o la sociologia borghesi con una nuova filosofia, storia o sociologia, ma con la critica dell’intera teoria e pratica della borghesia. Esso non intende divenire una ‘pura scienza’ ma smascherare il carattere ‘impuro’, ideologico e classista della scienza e della filosofia borghesi. In gioventù Marx accettò un punto di vista filosofico che lui stesso, in una terminologia sviluppata più tardi, considerò come una posizione ideologica della quale doveva liberarsi. Dalla critica ideologica passò alla ‘critica dell’ideologia’ e da essa alla ‘critica’ dell’economia politica. La concezione materialistica della storia, cioè l’affermazione di Marx secondo la quale “la struttura economica della società … [costituisce] la base reale sulla quale si eleva una sovrastruttura giuridica e politica e alla quale corrispondono forme determinate della coscienza sociale.”, fu ricavata non attraverso un tentativo di tipo scientifico o filosofico volto a scoprire le ‘leggi generali del cambiamento sociale’ ma dalla critica materialista della società borghese e della sua ideologia. Nella visione di Korsch il marxismo non costituisce né una filosofia materialistica positiva né una scienza positiva e tutte le sue affermazioni sono specifiche, storiche e concrete, comprese quelle che sono
evidentemente universali. Finanche la filosofia dialettica di Hegel, la cui critica costituisce il punto di avvio dello sviluppo del marxismo, non può propriamente essere compresa se non in connessione con la rivoluzione sociale e anche allora non come filosofia della rivoluzione in generale, ma solo come espressione concettuale della rivoluzione borghese. In quanto tale non è il riflesso di tutto il processo di tale rivoluzione, ma solo della sua fase terminale, come è rivelato dalla sua riconciliazione con la realtà immediata Con il processo rivoluzionario una cosa del passato, la relazione dialettica tra lo sviluppo reale e lo sviluppo delle idee, per la borghesia perdeva il suo significato, ma non così per la classe proletaria soggetta al suo dominio e sfruttamento. Proprio come la teoria borghese non può trascendere la pratica della società borghese, se non in modo ideologico e idealistico, così essa non poteva oltrepassare ma solo discostarsi dalla filosofia di Hegel. Non poteva scoprire il nocciolo razionale dentro il guscio mistificato , né sottoporla a una critica materialistica che avrebbe messo a nudo, insieme ai rapporti di classe prevalenti, i limiti storici della società borghese. Ciò era possibile solo dal punto di vista del proletariato, a partire dalla sua effettiva opposizione alla società di classe borghese. Il punto di vista della dialettica, quindi, coinvolge l’intero processo storico che inizia con la rivoluzione borghese e culmina nella filosofia idealistica di Hegel, solo per portare avanti il movimento rivoluzionario della classe operaia e la sua espressione teoretica costituita dal marxismo. La teoria del proletariato non si era sviluppata su basi sue proprie, bensì costituiva una teoria che era emersa proprio dalla rivoluzione borghese e che quindi nel contenuto come nella forma porta le stimmate della sua nascita come teoria borghese-rivoluzionaria. Né Marx né Engels negarono il nesso storico che collega le loro teorie materialiste alla filosofia borghese, che inoltre collega rivoluzione borghese e quella proletaria. Ma questa connessione non implica, come dichiara Korsch in Marxismo e filosofia,- che la teoria socialista nel suo ulteriore sviluppo indipendente mantenga il suo carattere filosofico, né che il giacobinismo della teoria borghese-rivoluzionaria rimanga un aspetto della rivoluzione proletaria. Infatti Marx ed Engels cessarono di considerare filosofica la loro posizione materialistica e dichiararono la fine di tutte le filosofie. Ma ciò che essi intendevano, in tal modo, secondo Korsch, non era manifestare semplicemente una preferenza per le varie scienze positive rispetto alla filosofia. Invece la loro posizione materialistica era l’espressione teoretica di un processo rivoluzionario effettivamente in atto che avrebbe abolito la scienza e la filosofia borghesi abolendo le condizioni materiali e le relazioni sociali che trovano la loro espressione ideologica nella scienza e nella filosofia borghese. Sebbene una delle Tesi su Feuerbach dichiarasse che “i filosofi hanno soltanto interpretato il mondo in maniera diversa, ma ciò che importa è cambiarlo”, questo stesso cambiamento è sia teoretico che pratico. Nell’interpretazione di Korsch è quindi impossibile ignorare la filosofia e ugualmente impossibile eliminare gli elementi filosofici del marxismo. La lotta contro la società borghese è anche una lotta filosofica, anche se la filosofia rivoluzionaria non svolge altra funzione che quella di partecipare al cambiamento del mondo esistente. Korsch ritiene che il materialismo di Marx, diversamente dal materialismo astratto, in quanto naturale, di Feuerbach, era ed è sempre rimasto un materialismo storico e dialettico, cioè un materialismo che include, spiega e trasforma la totalità delle condizioni sociali storicamente date. La relativa noncuranza per la filosofia da parte del Marx maturo non influenzò la sua consapevolezza di come l’ideologia e la filosofia siano forze sociali reali che devono essere sconfitte sia sul loro proprio terreno che cambiando le condizioni alle quali sono collegate. LA RIVOLUZIONE RUSSA E I SUOI ESITI La nuova attenzione manifestata da Karl Korsch per il rapporto tra filosofia e marxismo non scaturiva da un interesse specifico per la filosofia ma piuttosto dal bisogno e dal desiderio di liberare la forma egemone di marxismo dalle sue zavorre ideologiche e dogmatiche. Questa era una conseguenza teoretica della nuova
tendenza rivoluzionaria scatenata dalla guerra e dalla rivoluzione; poiché il marxismo, che illumina la relazione dialettica tra la coscienza sociale e la sua base materiale, può essere applicato al marxismo stesso e al movimento dei lavoratori. Non vi è nulla di sorprendente nel fatto che il marxismo del 1848 e del Manifesto Comunista fosse qualcosa di diverso dal movimento marxista che si era sviluppato in concomitanza con un capitalismo in espansione – in un periodo non-rivoluzionario di lunga durata che terminò provvisoriamente solo con i moti rivoluzionari della prima guerra mondiale. Il ‘revisionismo’ marxista fu semplicemente la teoria di una pratica non-rivoluzionaria e il marxismo ‘ortodosso’ era una teoria separata dalla pratica, che così si poneva come sostegno ideologico indiretto del riformismo borghese. Il nuovo movimento rivoluzionario iniziato con la rivoluzione russa si considerò il restauratore del marxismo originario. Agli occhi di Korsch questa poteva essere solo una restaurazione apparente e ideologica che non avrebbe eliminato la necessità di un ulteriore sviluppo della teoria e della pratica marxiste in accordo con la specifica situazione storica nella quale si trovava il movimento rivoluzionario. Tuttavia come primo tentativo di combattere la pratica non-rivoluzionaria, quindi controrivoluzionaria, del movimento riformista, il marxismo di Marx era in anticipo poiché sollevava nuovamente la questione della rivoluzione e della dittatura del proletariato. Il movimento rivoluzionario combatteva con la parola d’ordine ‘tutto il potere ai consigli operai’. Per quanto le idee dietro la parola d’ordine fossero vaghe, essa esprimeva la volontà di un proletariato, dotato di coscienza di classe, di farla finita con la società capitalista. Anche se, riguardo la Russia, là esisteva fin dall’inizio un ampio ed evidentemente incolmabile divario tra l’idea di soviet e la possibilità della sua realizzazione, non vi era ragione per non tentare una soluzione rivoluzionaria in nazioni più fortunate sotto questo aspetto. Se le rivoluzioni proletarie in occidente avessero avuto successo, ciò avrebbe fornito, forse, le condizioni adeguate per uno sviluppo socialista nelle nazioni meno avanzate industrialmente. Come tutti i rivoluzionari di quel tempo Korsch parteggiava per la rivoluzione bolscevica parteggiando per gli operai rivoluzionari in Germania e altrove. Tuttavia nel 1921 l’ondata rivoluzionaria postbellica cominciò a calare e con essa la speranza di una rivoluzione mondiale. La controrivoluzione in occidente era destinata a influenzare il carattere della rivoluzione russa, i cui limiti nazionali, qualunque fossero le sue primitive aspirazioni internazionaliste, restringevano le sue potenzialità rivoluzionarie e infine la trasformarono in un aspetto particolare della controrivoluzione internazionale. In Russia il regime bolscevico poté mantenersi solo compiendo concretamente ciò che era ideologicamente obbligato a negare, cioè espandere ed estendere il modo di produzione capitalistico. Poiché questo non era stato l’obbiettivo originario del bolscevismo, questo stesso obbiettivo ora si rivelava nel suo semplice carattere ideologico, cioè slegato dalla struttura economica del paese e dai rapporti di forza tra le classi al suo interno, e continuava ad esistere come tale. Il marxismo come ideologia era al servizio di una pratica non-marxiana di trasformazione della Russia in uno stato capitalista moderno. Date le circostanze non è sorprendente che il saggio di Korsch Marxismo e filosofia inquietasse non solo Kautsky e i suoi seguaci ma anche gli ideologi bolscevichi. Applicare la concezione materialistica della storia al marxismo stesso significava smascherare il divario tra la teoria e la pratica dell’intero movimento socialista esistente. Il fatto che prontamente si formasse un fronte comune contro lo scritto di Korsch rese manifesto che il movimento leninista era tuttora parte organica dell’ ‘ortodossia’ di Kautsky. E proprio come l’adesione ideologica di Kautsky allo ‘scopo finale’ del socialismo era solo funzionale al riformismo ’privo di scopo’ di Bernstein, così il dogmatismo di Lenin poteva solo essere funzionale alla falsa coscienza di una pratica controrivoluzionaria. Gli ideologi della Terza Internazionale dichiararono Marxismo e filosofia una eresia riformista. Poiché accettavano l’ ‘ortodossia’ di Lenin e Kautsky come il vero marxismo essi avevano ovviamente ragione. Il
dibattito intorno il testo di Korsch, (4) che era manifestamente di contenuto strettamente teorico, assunse rapidamente un carattere più politico. La strategia comunista nel mondo postbellico, che ammetteva la partecipazione a governi socialisti quando possibile e a sollevazioni rivoluzionarie quando fossero opportune, subì una sconfitta decisiva in Germania nel corso degli avvenimenti politici del 1923. Ciò condusse a nuove crisi interne nel movimento comunista. Si manifestarono tendenze di destra e di ultradestra come anche di sinistra ed ultrasinistra, tutte in competizione per il controllo delle varie organizzazioni nazionali e della Terza Internazionale. Le deviazioni dalla linea ufficiale del partito, anche se mutevole, da parte di questo o quel gruppo venivano attaccate non solo come differenze tattiche ma come digressioni dal marxismo stesso. Le critiche portate da Korsch alle politiche comuniste dopo gli eventi del 1923 furono considerate come conseguenza delle posizioni eretiche esposte in Marxismo e filosofia. Ma Korsch e il suo gruppo non vennero espulsi prima del 1926. Dal punto di osservazione del 1926 le sommosse rivoluzionarie della prima guerra mondiale apparivano deboli così quanto lo erano state effettivamente. Ma il capitalismo era lungi dall’essersi stabilizzato ed una nuova ondata rivoluzionaria rimaneva un evento possibile. Prepararsi per questo richiedeva, nella visione di Korsch, (5) un inasprimento, non un allentamento, della lotta di classe e una maggiore determinazione nella conquista del potere politico. Ma mentre la possibilità di una nuova sollevazione non era esclusa, la controrivoluzione guadagnava forza. Tutte le forze anticomuniste, dalla destra reazionaria alla sinistra riformista si coalizzavano contro una soluzione rivoluzionaria dell’esistente condizione di crisi. Essi trovarono nella necessità che condizionava i bolscevichi di mantenere e consolidare il potere del partito in Russia, e in generale nel mondo, un alleato indesiderato ma effettivo. Il movimento comunista internazionale divenne uno strumento politico dello stato russo e così cessò di essere una forza rivoluzionaria nell’accezione marxiana del termine. Subordinare il comunismo internazionale alle necessità nazionali della Russia, così ciò appariva a Korsch, significava reiterare lo spettacolo offerto dalla Seconda Internazionale alla vigilia della prima guerra mondiale – il sacrificio dell’internazionalismo proletario all’imperialismo nazionale. Ora non ha più senso criticare nei particolari la politica bolscevica, in quanto ciò che determinò tale politica non fu un errore nel leggere la reale situazione in relazione alle aspirazioni del proletariato, o l’assenza di tali aspirazioni; né fu determinata da una teoria errata che potesse essere corretta per via discorsiva. Piuttosto essa trovò la sua fonte diretta nelle necessità specifiche e concrete dello stato russo, nella sua economia, nei suoi interessi nazionali e in quelli della sua classe dominante, cioè i dirigenti bolscevichi e il loro seguito. Il comunismo proletario doveva dissociarsi dalla Russia e dalla Terza Internazionale, come in precedenza dovette rompere con il socialriformismo e la Seconda Internazionale. Naturalmente con ciò, per il momento, il comunismo proletario stesso fu condannato. La combinazione del potere ideologico ed effettivo del capitalismo tradizionale, dei suoi sostenitori socialriformisti e del capitalismo di stato russo in travestimento marxiano, era più che sufficiente per liquidare una minoranza rivoluzionaria ancora incapace di riconoscere la sconfitta. Nessun tentativo venne messo in atto da Korsch o dai suoi nuovi amici dei cosiddetti gruppi comunisti dell’ultrasinistra (6) di sostenere la conquista o la riforma dell’organizzazione della Terza Internazionale o di schierarsi con l’una o l’altra delle fazioni bolsceviche in lotta per il controllo dell’apparato statale russo, sostenendo l’una o l’altra mossa tattica finalizzata a salvaguardare il regime bolscevico. D’altronde, ciò che era importante per Korsch era una opposizione proletaria emergente alla nuova forma bolscevica di produzione capitalista nella forma di capitalismo di stato, o di capitalismo socialista di stato. Riguardo la Russia, questa fu l’ opposizione operaia conosciuta con il nome di uno dei suoi fondatori, Sopronov, con la quale Korsch stabilì dei contatti in quanto essa accentuò il carattere di classe della lotta proletaria contro il Partito comunista russo. Questo gruppo comprese che la sua lotta doveva essere condotta fuori dal partito, tra gli operai in generale. Ma insieme con tutti gli altri gruppi di opposizione l’opposizione operaia cadde vittima dell’incipiente terrore staliniano.
AUTODETERMINAZIONE OPERAIA Ciò che la Seconda Internazionale non riuscì a realizzare completamente, cioè trasformare il movimento dei lavoratori in organizzazioni che controllassero gli operai venne ora completato dalla Terza Internazionale. L’autodeterminazione proletaria avrebbe dovuto farsi valere contro tutte le organizzazioni dei lavoratori di carattere economico o politico. Il partito tradizionale della democrazia borghese, come anche il sindacalismo nella sua forma fondata sul mestiere o in quella industriale, erano ormai strumenti di manipolazione nelle mani di enormi burocrazie del lavoro che identificavano i loro interessi particolari con lo status quo sociale o erano diventate istituzioni statali di controllo e dipendenza. Era ovvio che le forme di organizzazione nelle quali Marx ed Engels, in condizioni completamente diverse, avevano riposto le loro speranze di uno sviluppo della coscienza di classe proletaria, non potevano più essere considerate come forze di emancipazione. Al contrario, esse erano divenute nuove e ulteriori forme di asservimento del proletariato. Sebbene riluttante - a causa dell’assenza di nuove e più adeguate forme organizzative della lotta di classe proletaria – Korsch giunse a riconoscere che la fine del capitalismo implica la fine delle tradizionali organizzazioni dei lavoratori. Nella misura in cui queste organizzazioni incontrano l’adesione degli operai, questo fatto stesso indica fino a che punto la coscienza di classe del proletariato sia carente. Le manifestazioni di autonomia proletaria attuate attraverso azioni dirette su obbiettivi della classe operaia, per quanto fugaci e localizzate, ora Korsch le percepiva come altrettanti segni che indicavano un risveglio della coscienza di classe proletaria all’interno di una espansione totalitaria del un controllo autoritario di ambiti sempre crescenti della vita sociale. Laddove azioni indipendenti della classe operaia dovessero essere tuttora rinvenute, il marxismo rivoluzionario non era morto. Non una adesione ideologica ad una dottrina marxista ma azioni condotte dalla classe operaia a proprio nome costituivano il momento decisivo per una rinascita del movimento rivoluzionario. Questo tipo di azione era ancora in una certa misura la pratica del movimento anarcosindacalista. Korsch si volse verso gli anarchici senza rinunciare alle sue concezioni marxiste: non verso l’ideologia del laissez faire degli anarchici piccolo borghesi, ma verso gli operai e i contadini poveri della Spagna, anarchici che non avevano ancora ceduto alla controrivoluzione internazionale, che ora contava fra i suoi simboli anche il nome di Marx. L’anarchismo trovò posto nella dottrina marxista se non altro, come talvolta si pretende, per placare gli elementi anarchici che presero parte alla costituzione della Seconda Internazionale. L’enfasi che gli anarchici ponevano nella libertà, nella spontaneità, nell’autodeterminazione e quindi nel decentramento, nell’azione piuttosto che nell’ideologia, nella solidarietà piuttosto che nell’interesse economico, erano esattamente le qualità che erano state perdute dal movimento socialista nella sua ascesa verso l’influenza e il potere politico nelle nazioni a capitalismo in espansione. A Korsch non importava se la sua interpretazione, influenzata dall’anarchismo, del marxismo rivoluzionario fosse fedele a Marx oppure no. Ciò che importava, nelle condizioni del capitalismo del ventesimo secolo, era recuperare questi comportamenti al fine di avere un effettivo movimento dei lavoratori. Korsch evidenziò come vi fosse la connessione più stretta tra il totalitarismo russo e la convinzione di Lenin che la spontaneità della classe operaia fosse da paventare, non da incoraggiare; che fosse compito degli strati non proletari della società – l’ intelligentsia - portare la consapevolezza rivoluzionaria nelle masse, che sarebbero incapaci di diventare classe cosciente di propria iniziativa. Ma Lenin semplicemente esplicitava e adattava alle condizioni russe ciò che da lungo tempo, sebbene tacitamente, era stato accettato nel movimento socialista, cioè il dominio dell’organizzazione sugli organizzati e il controllo dell’organizzazione da parte della gerarchia dirigente. LA BORGHESIA E LE RIVOLUZIONI PROLETARIE Le idee della rivoluzione borghese – libertà e indipendenza, ragione e democrazia – non potevano essere realizzate nella società borghese. Pertanto la critica della politica economica di Marx fu immediatamente un programma di rivoluzione proletaria verso l’abolizione delle relazioni sociali di classe. Non importava che la
maggior parte del mondo avesse ancora da sperimentare, o si trovasse, nelle doglie delle rivoluzioni borghesi. Dove tali rivoluzioni avevano avuto successo crearono pure la loro negazione nelle aspettative del proletariato industriale. La rivoluzione borghese non è la fine ma l’inizio di una rivoluzione sociale ‘permanente’, cioè fintanto che cessi di essere strumento di sviluppo sociale verso la società senza classi. Quanto tempo durasse questo processo non era prevedibile. Ciò dipendeva dallo sviluppo della coscienza di classe e dall’intensità delle effettive lotte di classe. Ma l’esistenza di tale coscienza e della lotta proletaria per obbiettivi della classe operaia perfino entro i confini della rivoluzione borghese, giustificava la previsione di una rivoluzione proletaria come prodotto finale dello sviluppo capitalista. Tuttavia nel frattempo il mondo appartiene alla borghesia e la funzione rivoluzionaria del proletariato, in rapporto alla teoria e alla pratica, era strettamente ed esclusivamente di carattere critico – critica perfino verso le insufficienze della rivoluzione borghese, in quanto il capitalismo era considerato una precondizione del socialismo. Ma lo sviluppo del capitalismo veniva accelerato e la durata della sua vita abbreviata dalla concomitante crescita dell’iniziativa della classe operaia e delle azioni della classe proletaria. Quando fu necessario sostenere le rivoluzioni borghesi, ciò accadeva solamente allo scopo di acquisire un punto di partenza per la rivoluzione proletaria. E fare questo senza essere semplicemente al servizio della borghesia richiedeva una costane e chiara coscienza di classe che non perdesse di vista l’obbiettivo del socialismo. Il fatto che Marx stesso sostenesse e favorisse i movimenti borghesi di carattere nazionalista e democratico non contraddiva la sua teoria della rivoluzione proletaria ma semplicemente indicava che esiste ancora una differenza tra rivoluzione borghese e rivoluzione proletaria, tra la formazione della classe operaia e la sua emancipazione. Il fallimento delle rivoluzioni del 1848 ed il conseguente sviluppo del capitale sotto gli auspici della controrivoluzione non impedì la nascita del movimento dei lavoratori. Questo movimento, che ebbe origine all’interno della rivoluzione borghese si adeguò alle condizioni non rivoluzionarie che risultavano da un compromesso tra la classe capitalista in ascesa e uno stato ancora semifeudale. Ma finanche in quei paesi nei quali lo stato era semplicemente l’esecutore della classe dominante capitalista il movimento dei lavoratori in via di sviluppo non manifestava un carattere rivoluzionario secondo le aspettative di Marx. Il programma politico del Marx del 1848 non ebbe nessun effettivo riscontro nelle relazioni tra capitale e lavoro nella società borghese avanzata. Esso creò lo spazio per una programma socialriformista ornato con l’ideologia marxista dovunque le tradizioni del 1848 fossero onorate. Il sostegno di Marx alle rivoluzioni borghesi non era una mossa tattica finalizzata ad acquisire il controllo di queste rivoluzioni per trasformarle in rivoluzioni e socialismo proletari, ma era un sostegno effettivo ad una classe progressiva che con la sua ascesa dava origine anche alla sua controparte, la classe proletaria, rendendo certa così una nuova rivoluzione in virtù del proprio successo. Questo sostegno era legato alle condizioni esistenti nell’Europa occidentale del 1848 e non aveva significato al di fuori di tali condizioni. Il Marx de Il Capitale e della Prima Internazionale non considerava più la classe operaia come la punta di lancia della rivoluzione borghese ma la considerava interessata esclusivamente ai propri obbiettivi in quanto classe operaia in lotta contro una borghesia, che non si poneva più in opposizione ai residui feudali ma aspirava solo ad assumerne il controllo. In Russia ciò chiaramente non era vero. Qui le condizioni sociali sembravano analoghe a quelle prevalenti nell’Europa occidentale del 1848. Sia la borghesia che il proletariato avevano davanti non solo le condizioni semifeudali dello zarismo ma anche le aspirazioni non socialiste delle masse contadine. Nondimeno una rivoluzione socialista era a portata di mano. Ma essa non era né una rivoluzione socialista in senso marxiano né una rivoluzione borghese secondo la tradizione della rivoluzione francese. Sebbene contenesse elementi di entrambe essa era prima di tutto una rivoluzione contadina in una nazione capitalisticamente arretrata ma già sotto il controllo del mercato mondiale capitalistico e pertanto coinvolta e partecipe di tutte le attività e
sollevazioni capitalistiche e imperialistiche, come anche socialiste, che costituiscono la politica nazionale ed internazionale. Sebbene Lenin concepisse l’attesa rivoluzione russa come democratico-borghese, l’effettiva rivoluzione del 1917 venne definita come ‘proletaria’ in quanto i bolscevichi riuscirono ad acquisire il controllo dello stato e i bolscevichi erano un partito marxista. Il dominio totalitario del partito, che lentamente venne instaurato su tutta la società, venne presentato come la ‘dittatura del proletariato’, sebbene il proletariato come classe dominante doveva prima essere creato mediante le trasformazione forzata dell’arretrata Russia in uno stato industriale. L’intervallo tra lo scoppio della rivoluzione e la presa del potere da parte dei bolscevichi venne considerato come la transizione dalla rivoluzione democratico-borghese a quella proletaria o piuttosto come la compressione della rivoluzione borghese e quella proletaria in una sola rivoluzione, cioè come l’eliminazione di una intera fase di sviluppo sociale con mezzi politici, come la creazione del proletariato e delle precondizioni del socialismo non attraverso i rapporti di classe capitalistici, ma per mezzo dell’ideologia marxista e il potere diretto dello stato. Questa era una posizione integralmente non-marxista, che tuttavia poteva essere giustificata considerando la rivoluzione russa non come una questione nazionale ma come parte di un processo rivoluzionario mondiale il quale, se coronato da successo, avrebbe abbracciato le regioni del mondo meno sviluppate insieme ai paesi socialisti, proprio come in precedenza il capitalismo aveva portato tutte le nazioni, nonostante tutte le loro differenze, in una economia mondiale determinata capitalisticamente. Quindi, fintanto che esisteva la possibilità di una sua estensione verso occidente, il tentativo operato da Lenin di condurre la rivoluzione russa oltre i suoi limiti oggettivi era coerente con i requisiti di una rivoluzione proletaria in occidente. Tuttavia senza rivoluzione questo non è più vero. Ma movimenti della portata della rivoluzione bolscevica possono essere distrutti ma non possono essere reiterati. Una volta al potere questo potere deve essere garantito a tutti i costi, in quanto l’alternativa non è ritirarsi ma morire. E rimanere al potere significava accettare il principio marxista secondo il quale le forze produttive sociali determinano i rapporti sociali di produzione e con ciò la sovrastruttura politica, e non il contrario. Ciò che in altri paesi era stato realizzato dalla borghesia ora doveva essere compiuto dai marxisti russi, cioè la creazione di capitale per mezzo della ‘accumulazione primitiva’ e lo sfruttamento del proletariato. Che ciò fosse realizzato senza rinunciare all’ideologia marxista non suscita meraviglia, in quanto anche nel capitalismo l’ideologia dominante non rispecchia le condizioni effettivamente esistenti. La funzione svolta dalle ideologie è occultare e giustificare una pratica sociale intollerabile. Lo scopo di questa digressione è una sintesi delle idee e delle posizioni di Korsch, esposti un certo numero di articoli, sul rapporti tra la rivoluzione russa, quella borghese e quella proletaria. Proprio come Marx aveva dovuto adattarsi alla realtà della rivoluzione borghese e dei suoi risultati, sebbene considerasse il capitalismo solo come una fase transitoria di un processo rivoluzionario che avrebbe trovato la sua soluzione nel socialismo, così Korsch, come chiunque altro, doveva prendere posizione sulle questioni poste dalla rivoluzione bolscevica a dal suo particolare carattere non marxiano. Fintanto che le condizioni resero possibile sperare in una rivoluzione in occidente – un periodo che coincide con il cosiddetto periodo ‘eroico’ della rivoluzione russa, con il comunismo di guerra e la guerra civile – la posizione da prendere era ovvia. Opporsi al regime bolscevico significava aderire alla controrivoluzione non solo in Russia ma ovunque. Quali che fossero le riserve mentali, sostenere la rivoluzione russa era una necessità per i rivoluzionari della Germania. Solo quando i bolscevichi stessi si volsero contro i propri rivoluzionari e quelli dell’occidente – e indirettamente ma effettivamente sollecitarono la pace con il mondo capitalista - diveniva possibile volgersi contro il regime sovietico senza aiutare al contempo la controrivoluzione internazionale. Sebbene il marxismo sia in grado di spiegare condizioni come quelle che esistevano nella Russia prebolscevica e in altri paesi capitalisticamente arretrati, esso non poteva fornire ai loro movimenti rivoluzionari un programma di ricostruzione della società. La sua pertinenza era limitata alla rivoluzione
proletaria in paesi capitalisticamente avanzati e qui la rivoluzione non si era destata e dove lo era aveva fallito. Ma dove una rivoluzione sociale ha successo, per quanto non sia di carattere proletario, essa prende la sua ideologia dal marxismo, in quanto l’idea di rivoluzione è irreversibilmente connessa al socialismo marxiano. Pertanto diveniva necessario dissociare queste rivoluzioni dal socialismo proletario e a tal fine delimitare il vero e ristretto significato della dottrina marxista. L’ECONOMIA POLITICA MARXISTA Korsch mette in rilievo il fatto che tutte la proposizioni marxiste “rappresentano un profilo storico della nascita e dello sviluppo del capitalismo in Europa occidentale e possiedono una validità generale oltre questa solo nello stesso modo in cui ogni conoscenza integralmente empirica di tipo naturale e storico (7) si applica ad altri casi oltre al caso individuale considerato.” Quindi il marxismo opera a “due livelli di generalità; come legge generale dello sviluppo storico nella forma del cosiddetto materialismo storico e come legge particolare dello sviluppo dell’attuale modo di produzione capitalistico e della società borghese che da esso prende origine.”(8) E qui esso non è interessato alla “società capitalista esistente nel suo aspetto positivo, ma alla società capitalista in declino come viene rivelato dalle tendenze concretamente dimostrabili manifestate dalla sua frammentazione e decomposizione.”(9) Essendo una effettiva critica della politica economica, Il Capitale di Marx rappresenta ovviamente anche un contributo alla scienza economica. Ma alla luce del materialismo storico l’economia politica non è solo un sistema teorico di proposizioni vere o false ma esprime una parte della realtà storica, cioè la totalità della società borghese e la sua storia. Poiché questa totalità costituisce l’oggetto de Il Capitale, esso è una teoria sia storica che sociologica ed economica. Essendo subordinata al meccanismo del mercato concorrenziale e ai rapporti di sfruttamento tra capitale e lavoro la scienza dell’economia borghese svolge solo una funzione descrittiva ed ideologica. Nonostante si sforzi di apparire applicabile praticamente, la sua effettiva struttura di scienza ‘indipendente’ gli impedisce di realizzare ciò. Nonostante il suo carattere socioeconomico la teoria marxista non si propone di arricchire la scienza economica ma intende distruggerla attraverso la distruzione dei rapporti sociali che questa scienza tenta di giustificare e difendere. Il marxismo vuole comprendere l’economia capitalista solo nella misura in cui tale comprensione contribuisce alla distruzione del capitalismo; esso non è mai ‘operativo’ nell’accezione borghese del termine. Neppure è possibile che questa scienza economica “che la classe proletaria ha ereditato dalla borghesia, sia trasformata in un’arma teorica per la rivoluzione proletaria mediante la semplice eliminazione delle sue intrinseche tendenze borghesi e un coerente sviluppo delle sue premesse.” (10) Per porre termine allo sfruttamento del lavoro “non si deve applicare una diversa interpretazione dell’economia borghese ma piuttosto, mediante una reale trasformazione della società, costruire una situazione pratica in cui le sue leggi economiche cesseranno di valere e pertanto la scienza economica diventerà vuota di contenuto e infine svanirà del tutto.” (11) Secondo Korsch l’analisi economica di Marx è applicabile solo alle condizioni borghesi. La produzione capitalista non è un rapporto tra uomini e natura, “ma un rapporto tra uomini e uomini fondato su di un rapporto tra uomini e natura.” L’ indagine economica e sociale di Marx, che infine trascende tutte le forme e le fasi dell’economia borghese, dimostra come “le idee e i principi più generali dell’economia politica siano semplici feticci che mascherano gli effettivi rapporti sociali prevalenti tra individui e classi nell’ambito di una definita epoca storica della formazione socioeconomica.” (12) Non vi è modo per giungere ad una società senza classi fuorché superando le feticistiche relazioni sociali della produzione capitalista ed una società veramente socialista non può essere fondata sulla ‘legge del valore’. L’esatta delineazione operata da Korsch delle teorie economiche e sociali di Marx costituiva una operazione che si oppose sia ai tentativi di guardare al marxismo come ad una semplice fase di una ininterrotta continuità della teoria economica, come anche agli sforzi di utilizzare l’ ‘economia marxista’ per il socialismo.
LA ‘FILOSOFIA’ MARXIANA Il principio di specificazione si applica ugualmente bene alla ‘filosofia’ marxiana. Nonostante l’accettazione indiscussa da parte di Marx della priorità genetica della natura esterna rispetto tutti le manifestazioni storiche ed umane, il marxismo, secondo Korsch, è interessato in primo luogo solo ai fenomeni e alle interrrelazioni delle vita storica e sociale – dove esso può entrare come forza attiva e pratica. L’ampliamento del materialismo dialettico in una legge eterna dello sviluppo cosmico, avviato da Friedrich Engels e completato da Lenin, è del tutto estraneo al marxismo. Ma il fatto che fosse introdotto da Engels indica la precoce trasformazione della teoria della rivoluzione proletaria in una Weltanschauung indipendente dalla lotta di classe proletaria. In questa forma ideologica poteva essere usata per fini diversi da quelli del proletariato e venne quindi usata da Lenin e dalla ‘intelligantsia’ nella loro lotta per la modernizzazione della società russa. Inoltre, poiché il principale interesse di Marx all’epoca della sua attività rivoluzionaria era rivolto alla creazione di un partito rivoluzionario, l’enfasi posta da Lenin sul partito rispetto al proletariato appariva in armonia con il marxismo rivoluzionario. E sebbene Marx parlasse della definitiva distruzione della feticistica produzione capitalista per mezzo di una organizzazione del lavoro diretta e pienamente cosciente, le sue dichiarazioni in proposito rimasero opache. Esse potevano essere intese in modi diversi specialmente perché Marx definisce la trasformazione dal capitalismo non come un singolo atto rivoluzionario ma come un processo rivoluzionario che per un certo periodo avrebbe mostrato molte delle caratteristiche della società borghese. L’economia pianificata controllata dall’alto, il nuovo apparato statale che realizzava la dittatura del partito – tutto ciò, quando sia considerato come successione di fasi transitorie verso una società socialista senza stato e autodeterminata, poteva apparire conforme alla teoria marxiana. Ciò in quanto a questo punto il materialismo scientifico di Marx si trasforma in un insieme di aspettative utopiche. Il fatto che l’ ‘ortodossia’ di Lenin e la sua applicazione alla rivoluzione potesse essere posta al servizio di una rivoluzione capitalista che, per quanto storicamente modificata, era nondimeno tale, indicava che il marxismo così come era stato sviluppato da Marx ed Engels e dal primo movimento dei lavoratori non era stato capace di liberarsi della sua eredità borghese. Ciò che frequentemente nella teoria e nella pratica marxiana appariva antiborghese si dimostrò assimilabile dal modo capitalista di produzione. Ciò che sembrava una strada verso il socialismo conduceva a un nuovo tipo di capitalismo. Ciò che nella prospettiva marxiana sembrava trascendere il capitalismo si rivelava essere un nuovo modo di perpetuazione del sistema capitalista di sfruttamento. La critica di Korsch all’ ‘ortodossia’ marxiana e al leninismo in particolare diveniva così una critica al marxismo stesso, quindi ovviamente una autocritica. In generale la reazione da parte dei marxisti accademici al fallimento del marxismo fu di cessare di essere marxisti. Alcuni si consolarono considerando la sparizione del marxismo come una distinta scuola di pensiero e l’assorbimento delle sue parti assimilabili nelle varie scienze sociali borghesi, un grande trionfo del genio di Marx. Altri semplicemente dichiararono antiquato il marxismo, insieme al capitalismo del laissez faire ed altri aspetti dell’età vittoriana. Ovviamente ciò che essi trascurarono, come Korsch mette in rilievo, era che l’analisi marxiana delle dinamiche del modo capitalista di produzione e del suo sviluppo storico è pertinente come sempre, e che i problemi sociali che affliggevano il mondo di Marx non hanno cessato di affliggere il mondo odierno e stanno visibilmente portandolo verso la distruzione. Essi semplicemente osservano che in questa congiuntura non vi è prova dell’esistenza di un proletariato rivoluzionario nel senso marxiano e che quindi tale proletariato non esisterà domani. Ma il proletariato non solo esiste ma aumenta in tutto il globo attraverso l’industrializzazione dei paesi finora sottosviluppati. Esso cresce insieme alla ulteriore polarizzazione delle classi nei paesi avanzati in seguito ad una incessante concentrazione e centralizzazione del capitale, processo politicamente imposto. Anche se in alcuni paesi per il momento le conseguenze sociali di questo processo possono ancora essere attenuate da
uno straordinario incremento della produttività, indispensabile per la stabilità sociale, questo incremento della produttività è esso stesso limitato dai rapporti di classe prevalenti. In breve, tutte le contraddizioni capitalistiche permangono intatte e richiedono soluzioni diverse da quelle capitaliste. Tutto ciò che l’attuale periodo di controrivoluzione dimostra, per quanto riguarda Korsch, è che quando il capitalismo liberale e il socialismo riformista erano pervenuti ai limiti delle loro possibilità rivoluzionarie l’evoluzione della società capitalista non aveva raggiunto i suoi limiti estremi. Per Korsch, le imperfezioni della teoria rivoluzionaria di Marx, che sono spiegate retrospettivamente dalle circostanze nelle quali esso è sorto, non cambiano il fatto che il marxismo resta anche oggi superiore a tutte le altre teorie sociali, nonostante il suo evidente fallimento come come movimento sociale. E’ questo fallimento che richiede non un rifiuto del marxismo ma una critica marxiana del marxismo, cioè una ulteriore proletarizzazione del concetto di rivoluzione sociale. Nella mente di Korsch non vi era alcun dubbio che il periodo della controrivoluzione fosse storicamente limitato, come ogni altro – che le nuove forze produttive sociali incorporate in una rivoluzione socialista si sarebbero riaffermate e trovato una teoria rivoluzionaria adeguata ai loro compiti pratici. NOTE (1) Chapman e Hall, 1938 (2) I saggi sono raccolti sotto il titolo Marxismus und Philosophie, Leipzig, 1930 (tr. it. Marxismo e filosofia, Sugar Editore, 1970). (3) Die Materialistische Geschichtsauffassung, Eine Auseinandersetzung mit Karl Kautsky, Leipzig, 1929. (4) Il dibattito investe anche History and Class Consciousness, 1923, di George Lukacs che, come il testo di Korsch, era considerato una deviazione idealistica dal marxismo. (5) K. Korsch, Der Weg der Komintern, Berlin, 1926. (6) Kommunistische Arbeiter Partei, Allgemeine Arbeiter Union, e altri gruppo politici collegati a F. Pfempfert, O. Rühle, e alla rivista Die Aktion. (7) Introduzione a Das Kapital, Berlin, 1933, p.33. (8) Ibid. (9) K. Korsch, Why I am a Marxist, Modern Monthly, New York, Vol. IX, No. 2, p.88. (10) K. Korsch, Kari Marx, London, 193 8, p.90. (11) Ibid., p.91. (12) Ibid., p.114.