lettera a lenin, sull'estremismo, H.Gorter

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Lettera a Lenin di Hermann Gorter

Materiali sulla rivoluzione e sinistra tedesca


Connessioni Edizioni connessionic@yahoo.it connessioniedizioni.blogspot.it/

2012, Italia

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L’estremismo, risposta a Lenin lettera aperta al compagno Lenin, 1920 Hermann Gorter

Materiali sulla rivoluzione e sinistra tedesca

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INDICE

Presentazione ……………………………………………………………………5 Introduzione alla lettera di Gorter. S.Bricianer ……………………………...12 L’estremismo, lettera a Lenin, H.Gorter ……………………………………..33 La vittoria del marxismo, H.Gorter …………………………………………...89 Il movimento dei Consigli in Germania (1919-1936), C.Mejer …………….91 Il programma del partito, KAPD …………………………………………….109 Tesi di orientamento, AAU-E ……………………………………………….118 La rivoluzione tedesca, Paul Mattick ………………………………………119 Lista ragionata delle principali sigle utilizzate …………………………….133

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Presentazione

Abbiamo deciso di pubblicare questo testo di Hermann Gorter (1), Lettera a Lenin, scritto nel 1920 perché fissa alcuni presupposti del cosiddetto estremismo. E’ un testo storico legato ad uno specifico dibattito, era la risposta al saggio di Lenin Sull’estremismo malattia infantile del comunismo, dove venivano attaccate tutte le componenti radicali del movimento operaio dell’epoca, dalle sinistra tedesche agli IWW americani, compresa la stessa sinistra italiana antiparlamentarista. Per molti versi le sigle, le situazioni che vengono riportare pensiamo possano essere lette da molti lettori come saghe di cartoni animati, belli ma sicuramente datati.. Detto ciò i dubbi che pone, le problematiche che affronta, possono rivivere in tutti coloro che si pongono il problema dalla rivoluzione e dell’essere pro-rivoluzionari oggi.

E’ facile criticare il testo di Gorter, se ci basiamo sul realismo è evidente che le soluzioni e sviluppi che proponeva si sono rilevate fallaci. In retrospettiva, tutte le cause perse appaiono come sforzi irrazionali, mentre quelle che hanno successo sembrano razionali e giustificabili. Gli scopi di una minoranza rivoluzionaria sconfitta sono stati invariabilmente descritti come utopistici e, perciò, indifendibili. Il termine “utopia” non si applica, comunque, a progetti oggettivamente realizzabili, ma a sistemi immaginari, che potrebbero o non potrebbero avere fondamenti materiali concretamente dati che permettono la loro realizzazione. Non c'era niente di utopistico nel tentativo di guadagnare il controllo della società tramite i consigli dei lavoratori e nel finire con l'economia di mercato, per il sistema capitalista sviluppato il proletariato industriale è il fattore determinante nel processo di riproduzione sociale nel suo insieme, che non è necessariamente associato con il lavoro come lavoro salariato. Che una società sia capitalista o socialista, in ogni caso è la classe lavoratrice che permette ad essa di esistere, la produzione può essere portata avanti senza riguardo per la sua espansione in termini di valore e per le esigenze di accumulazione del capitale. La distribuzione e la ripartizione del lavoro sociale non dipendono dalle relazioni di scambio indirette del mercato, ma possono essere organizzate consapevolmente attraverso apposite nuove istituzioni sociali sotto il controllo aperto e diretto dei produttori. Il capitalismo occidentale nel 1918 non era il sistema necessario di produzione sociale, ma solo quello esistente, la cui caduta lo avrebbe semplicemente liberato dai suoi vincoli capitalisti (2).

Lo spegnersi della possibilità di una rottura, dovuta alla capacità del capitale di riattivare un proprio ciclo di accumulazione e sviluppo, rese quindi inefficace ogni possibile rottura rivoluzionaria, tale da rendere l’estremismo una sterile proposizione di minoranze rimaste su posizioni e prassi pro-

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rivoluzionarie. Le stesse componenti sociali che potevano in base ai loro bisogni diretti optare per una scelta di radicale cambiamento diventavano minoritarie nella società nel suo complesso.

Il fallimento della rivoluzione tedesca sembra rivendicare l'affermazione bolscevica che, lasciata a se stessa, la classe operaia non è in grado di fare una rivoluzione socialista e quindi richiede la leadership di un partito rivoluzionario pronto ad assumere poteri dittatoriali. Ma la classe operaia tedesca non ha tentato di fare una rivoluzione socialista e quindi la sua incapacità di farlo non è in grado di dimostrare la validità della proposizione bolscevica. Inoltre, vi era un' "avanguardia" rivoluzionaria che ha cercato di cambiare il carattere puramente politico della rivoluzione. Anche se questa minoranza rivoluzionaria non sottoscrisse il concetto di partito bolscevico, non era meno pronta ad assumere la leadership, ma come una parte, non come dominatore, della classe operaia. Nelle condizioni dell'Europa occidentale, una

rivoluzione

socialista

dipendeva

chiaramente dalla classe e non sulle dalle azioni del partito, perché qui è la classe operaia nel suo insieme che deve prendere il potere politico e dei mezzi di produzione. È vero, naturalmente – ma vale per tutte le classi, la borghesia e il proletariato - che è sempre solo una parte del tutto che si impegna nelle questioni sociali, mentre un'altra parte rimane inattiva. Ma in entrambi i casi, è la parte attiva che è determinante ai fini del risultato della lotta di classe. Non è dunque una questione di tutta la classe operaia che partecipa letteralmente al processo rivoluzionario, ma di una massa sufficiente per contrastare le forze mobilitate dalla borghesia. Questa massa relativa non si è aggregata abbastanza velocemente per compensare il crescente potere della controrivoluzione (3).

La polemica di Gorter quindi era già all’epoca indietro rispetto alla fase che si apriva, tuttavia è naturale che un periodo rivoluzionario produca rivoluzionari i quali non spariscono completamente quando il vecchio sovrasta e ricaccia indietro il nuovo. Per quanto alcuni vengano uccisi, demoralizzati, o altri cambino di campo, rimane sempre una traccia pur minima. Per molti versi è proprio in questo periodo che i pro-rivoluzionari possono sviluppare una teoria, lo stesso marxismo è in fin dei conti una teoria delle contro-rivoluzioni e rivoluzioni future, in quanto può agire solo nel passato o nel futuro, ma mai nel presente perché immediato e diretto. Nel momento in cui la lotta di classe assume connotati radicali, praticando direttamente la critica dell’economia politica, lo stesso marxismo sparisce, gli stessi rivoluzionari intesi come singoli spariscono. Nel momento che non esiste questa condizione, dove i nuovi rapporti sociali sono cosi deboli di fronte ai vecchi, dove il movimento del capitale non presenta crepe, è inevitabile che i pro-rivoluzionari si trovino fuori dal tempo. Ma se è vero che i realisti hanno la meglio è altresì vero che ogni possibilità rivoluzionaria è negata. In questo senso la difesa dell’estremismo di Gorter contro il realismo di Lenin è la dinamica che ancora oggi tutti i pro-rivoluzionari vivono sulla loro pelle.

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Non esistono vie di mezzo, scorciatoie, lo stesso Marx, in modo crudele ricordava che il proletariato o è rivoluzionario o non è nulla.

Il tentativo di Gorter letto in retrospettiva era inchiodato a questa dinamica, era il tentativo disperato di individuare una possibile prospettiva rivoluzionaria comunista in occidente, avendo ben presente le differenze che esistevano rispetto ai diversi contesti spaziali e sociali. Era la comprensione dell’impossibilità e della debolezza del modello bolscevico applicato a livello mondiale, critica che successivamente verrà ampliata dalla corrente che si svilupperà dentro la sinistra comunista tedesco-olandese denominata comunista dei consigli (4). Non era quindi una critica alla rivoluzione, all’assalto al cielo, ma come questa potesse effettivamente svilupparsi e non generare movimento per il capitale.

In fondo la critica di Gorter a Lenin verte su un preciso punto: la contrapposizione tra sviluppo del movimento del comunismo contro lo sviluppo del movimento del capitale. Non è nostra intenzione riprendere i diversi aspetti della polemica e prospettiva di Gorter, e sarebbe riduttivo ridurre unicamente a lui e alla sua componente l’intera sinistra comunista tedesco-olandese. Per molti versi sarà un teorico della propaganda del fatto, di un acceso volontarismo, contrapposto all’interno della stessa sinistra comunista tedesco-olandese ad altri come Otto Ruhle che ponevano al centro la sola lotta autonoma di massa del proletariato (5).

Il contesto in cui era inserito Gorter, la Germania uscita sconfitta dalla prima guerra mondiale, era una società avanzata, che presentava problematiche inedite se viste in rapporto alla Russia. Esistevano una molteplicità di soggetti sociali che componevano la diverse fasce sociali, in un contesto sempre più legato alla dimensione urbana e industriale. Ma dove le componenti sociali radicali rimanevano comunque minoranze, se non nel brevissimo periodo post conflitto nel 1918. Vi era tuttavia in nuce il tentativo nel testo di Gorter di individuare nella figura del lavoratore collettivo l’agente del cambiamento, nel individuare l’impossibilità del proletariato di servirsi degli strumenti e fasce sociali esterne ad esso rispetto ad una possibile prospettiva rivoluzionaria, che veniva vista immanente visto la crisi considerata generale del capitalismo.

Già Marx parlava dello sviluppo del proletariato rivoluzionario, non sulla base della distinzione tra i tipi di lavoro, ma nei cambiamenti che intervengono nei rapporti di classe mentre continua l'accumulazione del capitale e aumenta quindi la divisione della società in due grandi classi con una progressiva proletarizzazione delle masse. In questo senso la stessa categoria di ceti medi non è corretta perché rappresenta semplicemente un periodo reddituale che investe fasce del proletariato o della stessa borghesia. Non è un caso che il termine classe media in paesi come gli USA abbia avuto una caratterizzazione più

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ideologico-sociale che realmente legata a quello che sono in realtà i rapporti di produzione capitalista.

Col termine lavoratore collettivo, intendiamo una massificazione del proletariato a classe universale, questa ovviamente non appare come d’incanto, ma è sicuramente una tendenza insita nello stesso movimento del capitale. La persistenza di svariate stratificazioni sociali indica solamente la capacità del movimento del capitale, di esercitare una concorrenza al suo interno, ma tale da non creare una sua auto-dissoluzione. Il processo integrativo del capitale aveva dato vita ad un “ceto medio” che da un punto di vista ideologico rendeva superfluo il solo parlare della rivoluzione, della sua necessità. In questo senso il proletariato era interno al movimento del capitale e ne rafforzava il suo sviluppo. Non vi quindi tradimento, ma solo sviluppo conseguente del movimento del capitale (in questo senso la categoria di tradimento per la sinistra ufficiale o antagonista è stupida). La difficoltà di Gorter stava nel difendere una ipotesi rivoluzionaria, in assenza di una effettivo processo prolungato di de-integrazione prodotto dal capitale. Solo più tardi, pur esprimendo approcci diversi, i comunisti dei consigli, svilupperanno una analisi delle contraddizioni immanenti alle società capitaliste avanzate e delle tendenze economiche di crisi, superando i tratti volontaristici propri della fase di nascita della sinistra comunista tedesco-olandese(6). Quindi le componenti sociali radicali rimanevano, anche se in un primo periodo numericamente consistenti, comunque minoranze se viste nel complesso della società tedesca. Aveva quindi gioco facile il realismo leninista, ma la sua vittoria sia sotto il profilo teorico che pratico era la dimostrazione dell’impossibilità rivoluzionaria e dall’ennesimo sviluppo del movimento del capitale, prodotto come in Russia dalla sinistra stessa. Abbiamo voluto inserire il testo di H.C. Meijer, Il movimento dei consigli in Germania, che pur limitato nella analisi storica e a tratti apologetico, offre una panoramica di quello che è stata la sinistra comunista tedesco-olandese, tale da rendere possibile ai lettori districarsi all’interno delle diverse componenti e fazioni in campo nel contesto tedesco uscito dalla prima guerra mondiale. Il lettore potrà inoltre trovare una lista ragionata delle principali sigle utilizzate. Sempre come appendice pubblichiamo il testo di P.Mattick, La rivoluzione tedesca. Mattick fu un protagonista diretto di quegli avvenimenti. Riteniamo che sia uno dei più importanti lavori di valutazione critica di quello che è stata la rivoluzione tedesca e della stessa sinistra comunista tedesco-olandese, cogliendone i limiti sia di fase che teorici. L’approccio di Mattick, è radicalmente non apologetico e capace di svelare le dinamiche interne alla “possibilità” e impossibilità rivoluzionaria in Germania.

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Inseriamo un breve saggio dello stesso Gorter scritto nel 1920, La vittoria del marxismo, pubblicato in italiano sulle pagine del “Soviet” diretto da A.Bordiga, che illustra la sua posizione di fronte al marxismo e alla rivoluzione e fa capire quale sensazione di imminenza vivevano i rivoluzionari, tale da giustificare il loro estremismo. E per illustrare, anche se in modo molto sommario, le posizioni della sinistra radicale tedesca pubblichiamo il programma della KAPD e le tesi di orientamento della AAU-E (7). Al testo di Gorter, la risposta a Lenin, abbiamo allegato l’introduzione di Serge Bricianer, uscita nel 1979, per il libro, Herman Gorter, Reponse a Lenin, per l’edizione Spartacus francese. Come curiosità segnaliamo che la prima traduzione del testo in tedesco della lettera di Gorter, usci per opera di un gruppo di comunisti francesi e esuli italiani in Francia nel 1929, vicini alle posizioni dei comunisti dei consigli, attraverso il giornale L’Ouvrier comuniste (8).

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Note 1) Herman Gorter (Wormerveer, 26 novembre 1864 – Bruxelles, 15 settembre 1927) è stato un poeta olandese e uno dei fondatori del Partito Socialista Olandese. Fu un membro importante dei Tachtigers (il "Movimento degli Ottanta"), un gruppo di scrittori olandesi che lavoravano insieme ad Amsterdam negli anni '80 dell'800 e che si esprimevano soprattutto attraverso la rivista De Nieuwe Gids. Il primo libro di Gorter, un poema epico di quattromila versi, Mei (Maggio), fu pubblicato nel 1889 e lo rese celebre. Mei è considerato l'apice della letteratura impressionista olandese. Subito dopo Gorter scrisse la continuazione del poema, Juni (Giugno), e un libro di poesie brevi intitolato semplicemente Verzen (Versi, 1890). Nel 1897 entrò nel Partito Laburista Socialdemocratico (Sociaal-Democratische Arbeiderspartij o SDAP) come avversario del revisionismo e sostenitore dello sciopero di massa. Nel 1909 partecipò alla scissione interna allo SDPA, facendo parte della redazione della rivista Die Tribune (i redattori e la loro componente da allora vennero chiamati tribunisti), che difendeva posizioni antiparlamentariste e antisindacaliste, per formare il Partito Socialdemocratico Neerlandese (Sociaal-Democratische Partij). Nel gruppo Tribunista, oltre a Gorter ne facevano parte Anton Pannekoek e H. Roland Holst. I Tribunisti furono espulsi anche dalla II Internazionale nella riunione del 1909, con una risoluzione che provocò l’intervento in loro favore dello stesso Lenin. Nel 1912 scrisse un nuovo, imponente poema epico intitolato Pan, dove il poeta faceva seguire alla Prima guerra mondiale una rivoluzione socialista globale. Nel 1914 oppositore alla guerra aderisce alla sinistra di Zimmerwald. Nel 1918 il partito Social-Democratico cambiò il suo nome in Partito Comunista Olandese (Communistische Partij Holland) e Gorter e tra i suoi principali fondatori. Sempre nel 1918 si trasferisce in Germania dove diviene uno dei principali teorici assieme a Ruhle della sinistra del KPD(s). Negli ultimi anni in cui è al Bureau di Amsterdam dell’IC, 1919-1920 entra in conflitto con l’esecutivo e con la segreteria di questa. Nell’aprile del 1920 è co-fondatore della KAPD della quale diviene il teorico più importante. Diventò uno dei principali sostenitori dell'Internazionale Comunista Operaia (Kommunistische ArbeiterInternationale, KAI), una delle diverse componenti in cui si era suddivisa la sinistra comunista tedescoolandese nel 1922. Muore in viaggio in Belgio nel 1927. 2) Paul Mattick, Ideologia e coscienza di classe, http://paulmattickarchivio.blogspot.it/ 3) Paul Mattick, Ideologia e coscienza di classe, http://paulmattickarchivio.blogspot.it/ 4) P.Bourrinet, Il comunismo dei consigli, 2012 http://connessioni-connessioni.blogspot.it/2012/09/il-comunismo-dei-consigli-pbourrinet.html 5) Gorter parlava di guerra diffusa di classe, praticata e diretta da minoranze di proletari, anticipando sotto certi aspetti quello che sarebbe stato la pratica di talune organizzazioni combattenti in Europa negli anni 70, mentre dall’altra parte Ruhle, poneva l’accento sull’azione autonoma di massa. Ora questa polarizzazione in realtà era figlia della medesima debolezza, da una parte si cercava tramite il terrorismo di superare i limiti di fase, dall’altra si rimandava alla costituzione di una grande organizzazione di massa politica-economica che avrebbe avuto la capacità di dirigere, proprio per il suo carattere duplice l’intera società. Ora se nel primo caso i tratti terroristici sono evidenti nel secondo caso lo sono quelli sindacalisti-aziendalisti. Stiamo

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ovviamente estremizzando le posizioni, per mettere in luce la medesima debolezza, che non era legata alla strategia, ma alla fase stessa. Nel primo caso esistevano porzioni sociali che non avevano altra possibilità che praticare una guerra totale nel secondo caso esistevano altre porzioni sociali che vedevano la propria forza direttamente sul terreno produttivo diretto. Ma sia le prime come le seconde rappresentavano comunque minoranze, incapaci di incidere sul tessuto sociale complessivo di fronte ad una nuova fase di accumulazione del capitale. E’ evidente che è necessario superare il mero piano aziendale (la questione dell’azione contro lo Stato e delle istituzioni), ma è altrettanto importante capire l’importanza del terreno produttivo-distributivo, come terreno di sviluppo di nuovi rapporti sociali. Nel momento che esistono come elementi separati riproducono le medesime caducità. La capacità di assumere una azione pervasiva su questi aspetti sta nella forza del nuovo, che attraverso la lotta necessaria, si trova di fronte al vecchio in crisi. Non esiste quindi la possibilità di superare questa contraddizione attraverso strutture esterne, simili scorciatoie sono legate alla riproposizione del vecchio, per dirla all’antico alle vecchie concezioni della rivoluzione borghese. 6) Wobbly e Zusammenbruchstheorie, Connessioni, 2012 connessioni-connessioni.blogspot.it/2012/01/wobbly-e-zusammenbruchstheorie-pdf.html 7) Per una antologia di testi della sinistra radicale tedesca rimandiamo a: Enzo Rutigliano, Linkskommunismus e rivoluzione in occidente, Dedalo, 1974 8) L’Ouvrier comuniste, www.collectif-smolny.org/article.php3?id_article=1149 Dino Erba, Ottobre 1917 - Wall Street 1929, la Sinistra Comunista italiana tra Bolscevismo e Radicalismo: la tendenza di Michele Pappalardi, Pagine marxiste, 2011

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Lettera aperta al compagno Lenin di Hermann Gorter: 1920 di Serge Bricianer, 1979

Dettagli e circostanze

La Rivoluzione d'ottobre travolse d'entusiasmo l'estrema sinistra tedesca (tra le altre), soprattutto le sue componenti allora in via di rottura con le pratiche istituzionali. Certo, essa sembrava destinata al disastro se fosse rimasta isolata (Lenin di tanto in tanto lo diceva e ridiceva), ma la Rivoluzione d’ottobre confermava il carattere nefasto, per le azioni di massa, del "patto parlamentare con la borghesia", e la necessità della costruzione di consigli - come indicava Otto Rühle nell'agosto del 1919 (1).

Eppure, due mesi più tardi, Rühle insorgeva contro le manovre scissioniste dei capi del KPD miranti, egli sosteneva, ad instaurare "una dittatura di partito (e non di "classe proletaria") come in Russia". All'origine di questo mutamento si trovava dunque una reazione a delle manipolazioni direttamente avvertite, piuttosto che ad una realtà remota e ancora poco nota. Un anno dopo, nel luglio del 1920, al suo ritorno da Mosca dove il KAPD lo aveva delegato per il II congresso dell'Internazionale Comunista, Rühle descriveva nel nuovo Stato russo, sorto da un "putsch pacifista", un "socialismo politico senza base economica" e sottoposto ad un "ipercentralismo di Partito", a una "burocrazia onnipotente", con "potere dei capi" e "culto della personalità" (2). Secondo lui, questo primato del partito era certamente giustificato nella Russia arretrata, ma non in Germania dove un proletariato più numeroso e più evoluto rendeva necessario "trasformare la nozione di partito in nozione di comunità federativa, nel senso dell'idea dei consigli" (3).

Questa era in quel momento, e tale rimase la tesi innanzitutto antistato e antipartito degli unitari dell'AAU-E. Le analisi kapdiste dovevano in fin dei conti approdare a dei risultati analoghi, ma su basi notevolmente diverse. Infatti, queste analisi non mettevano affatto in causa il principio del partito, nucleo di militanti sperimentati, selezionati nell'azione, piccola formazione di élite, così come Gorter espone nella Lettera. Questo principio, egli ricordava un po' più tardi, non era forse comune "sin dal 1903" a Lenin e alle sinistre olandesi, che rifiutavano di confondere le masse (che "inglobano sia i contadini sia i piccolo borghesi") e il "partito di classe proletario", accanendosi a mantenere la "purezza" di quest'ultimo? Al contrario, egli faceva valere, un'organizzazione che di colpo si vuole partito di massa si apre a non importa quali elementi, contratta per ampliare fatali alleanze e finisce con l'abbandonarsi al governo di burocrati (4). Non è privo di interesse abbozzare la traiettoria seguita da queste analisi su due punti essenziali:

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1) La questione russa (5) : la tattica di alleanza delle classi, che dà l'ascendente alla classe il cui peso sociale è il più alto, aveva avuto come effetto, nelle condizioni russe, di fare dei "contadini poveri", dei piccoli proprietari terrieri, un "fattore decisivo". Giudizio che giunse poco dopo confermare, agli occhi di Gorter, l'insurrezione di Kronstadt, la forza e il peso dei piccolo-contadini, e l'eliminazione del "comunismo di guerra" a vantaggio del capitalismo privato a cui i bolscevichi consentirono con la NEP. La rivoluzione russa, sostenevano allora i rappresentanti teorici del KAPD, aveva assunto un doppio carattere (6): proletario, nella misura in cui aveva avuto come punto d'appoggio i consigli operai, ma anche borghese, perché portata a prendere delle "misure capitaliste-democratiche", essa finiva col dare peso nella vita sociale agli elementi extra-proletari - i contadini, innanzitutto, ma anche agli affaristi e ai burocrati. Ma soprattutto, aggiungeva l'internazionalista Gorter, la "miglior prova" che la rivoluzione russa, malgrado la sua duplice natura, era stata "fondamentalmente non proletaria", era anche il rifiuto opposto dai suoi dirigenti "all'aiuto dei proletari europei" (7). Durante gli anni successivi si rinnovò, con le circostanze, un'analisi che nella sua fase finale poneva l'accento sulla "forma economica della Russia, il capitalismo di Stato, che è coinvolto nell'ingranaggio dell'imperialismo internazionale", in ragione dei patti e obbligazioni che esso contrae con gli altri paesi capitalisti" (8). In quanto al potere di Stato, questo "apparato parassitario" si era "reso indipendente dalle classi che l'hanno sostenuto", reggeva una "forma di produzione statale" fondata sull'estorsione del plusvalore (Helmut Wagner, tesi 57). Oramai, precisava la GIC. olandese (Gruppo dei comunisti internazionalisti), la classe dominante si manteneva mettendo sotto pressione di volta in volta gli operai e i contadini; esercitava "la funzione di gestore dei mezzi di produzione, di acquirente della forza lavoro e di proprietario dei prodotti del lavoro". Questo lento lavoro di chiarificazione porta sicuramente il segno del suo tempo, di un'epoca in cui i grandi tratti del regime nato dalla devitalizzazione dei soviet operai, rimanevano fluidi pur irrigidendosi a poco a poco. Per quanto imperfetto abbia potuto essere, si distingue tuttavia delle teorie che insistono ai nostri giorni nel ritenere l'URSS un "paese socialista" o uno "Stato operaio degenerato", o anche un "ritorno" alle categorie classiche del capitale. Se ne distingue non soltanto per i suoi risultati, ma anche e soprattutto per il metodo che parte dalla situazione dei produttori immediati, e non da postulati che hanno come effetto o di travestire o di rimuovere il reale stato delle cose; 2) La questione del partito: All'inizio, il KAPD si definisce in modo indipendente, ma anche senza contraddire espressamente la definizione che l'I.C. Da partito comunista ("frazione più avanzata, più cosciente, (...) forza organizzatrice e politica che dirige, indirizza verso la giusta via il proletariato e il semi-proletariato") (9). Se ne allontana tuttavia in quanto esorta gli operai a prendere essi stessi in mano la gestione delle loro lotte, e inoltre a rompere con la "politica dei

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capi", che ricercano consensi elettorali a non importa quale prezzo. Da qui la nozione di "autocoscientizzazione del proletariato", e cioè lo sviluppo di una coscienza propria attraverso il dispiegarsi di lotte selvagge, fino al sollevamento armato, e che ha come agente le organizzazioni di fabbrica raggruppate in unioni extrasindacali (10). In seguito il KAPD si considera come l'apparato organizzatore, il "punto di cristalizzazione in cui si compie il processo di conversione della conoscenza storica in volere militante"; intende così "creare le premesse soggettive della presa del potere politico da parte del proletariato" (11). In questa prospettiva, le organizzazioni unioniste erano concepite come dei focolai di agitazione sottoposti all'apparato di partito. Da qui le frizioni e scissioni già menzionate, ed il loro ultimo frutto, la KAUD. Quest'ultima, allo stesso tempo in cui diceva di rompere con "la teoria della lotta finale che trovava la sua espressione nel fatto che l'Unione rimaneva a margine della lotta concreta", si pronunciava per un intervento al contempo politico ed economico nei conflitti salariali (12). Al contrario, il KAPD rimasto proclamava "La rivoluzione russa è stata scatenata dal partito bolscevico, non dai consigli operai" (13). Detto in altro modo, nelle condizioni del momento "Non sono più le fabbriche che costituiscono i punti centrali della lotta di classe, ma gli uffici di collocamento per i disoccupati, le mense popolari, i dormitori notturni (...). Bisogna imparare l'arte dell'insurrezione e militarizzare i militanti" (14). All'interno stesso della KAUD, alcuni rimanevano sostenitori di una "organizzazione capace di colpire forte senza la quale non ci può essere situazione rivoluzionaria, come lo dimostra la rivoluzione russa del 1917 e, in senso opposto, la rivoluzione tedesca del 1918" (15). Ma a coloro che volevano "seminare disordini tra la borghesia e mantenere l'insicurezza dei suoi mezzi di oppressione" (16), altri ricordavano la cosa evidente che "La borghesia può sempre garantire la sua sicurezza attraverso dei mercenari; non è veramente posta in pericolo che per via di movimenti di massa” (17). Queste discussioni, a cui punta a volte l'ideologia dei marginali, non ricorda al lettore qualcosa della fine del 1970?

I gruppi di affinità

Per una differenza di situazione storica, ma anche e soprattutto di orientamento, il gruppo olandese dei "comunisti internazionali" (in opposizione al "nazional-comunismo" più che per segnare una filiazione con gli IKD di un tempo), il GIC., ignorava questo genere di dibattito. Secondo il GIC, il vero realismo consisteva non nel polemizzare sui mezzi per provocare la rivoluzione, ma nell’interrogarsi sui suoi scopi concepibili: l'assunzione da parte dei lavoratori stessi della gestione della produzione e della distribuzione in funzione di regole generali, base dell'associazione di produttori liberi ed eguali (18). Inoltre, si faceva notare, gli indispensabili comitati d'azione non sorgevano su comando o grazie a qualche trucco ma dall'iniziativa stessa degli operai coinvolti, come diversi esempi recenti (1934) l'indicavano una volta di più. Questi movimenti, è vero, rimanevano "ancora troppo legati alle antiche organizzazioni"; da qui

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l'imperiosa necessità di "gruppi di discussione e di propaganda", dei "gruppi di lavoro" ideologicamente omogenei ma dediti verso il dibattito con altri gruppi dello stesso tipo e che, senza evitare lo "studio del movimento delle forze sociali", sfuggirebbero alla tutela dei capi, degli intellettuali. La loro missione era di servire da "organi generali di pensiero" alla classe operaia. Compito colossale in verità, e di cui il preambolo non poteva essere che delle azioni di massa in rottura tendenziale con le vecchie prassi e idee, delle azioni che avrebbero come effetto naturale di moltiplicare questi "punti di irraggiamento dell'idea di autonomia" (19). Il GIC. - gruppo a maggioranza di operai autodidatti - doveva dispiegare un'attività intensa tra il 1926 e il 1940 (riviste teoriche, opuscoli di propaganda, bollettini di informazioni operaie), e dare il primo posto alla discussione, tanto nelle riunioni pubbliche, nei mercati, negli uffici di collocamento che con i diversi gruppi della sinistra radicale tedesca (e il piccolo gruppo americano degli IWW di Chicago, Mattick e i suoi compagni). Malgrado una notorietà apprezzabile all'epoca (20), rimase isolato.

Feticismo delle masse?

Da quanto precede, emerge che in nessun momento i comunisti dei consigli siano approdati in quel "feticismo delle masse" che, da Zinoviev [21], i leninisti, ufficiali o non, bene o mal in arnese, che usavano delle procedure inqualificabili, si compiacevano di denunciare. E anche che malgrado segni di settarismo, evidenti nella pretesa di svolgere le avanguardie dell'insurrezione così come nella propensione a confondere intransigenza e intolleranza, essi hanno saputo evolversi senza abbandonare il grande principio di base, proveniente dalla critica pratico-teorica del vecchio movimento operaio, e orientato in primissimo luogo sullo sviluppo delle coscienze.

Questo sviluppo - per non parlare del corso generale della storia - rende sicuramente caduco ciò che, nella Lettera aperta di Gorter, riguarda sia la questione russa sia la questione del partito (22). Bisogna anche sottolineare, a proposito di quest'ultima, che la problematica della "doppia organizzazione" può molto bene risorgere come tale (durante un'eventuale fase di disgregazione dello Stato e dei valori ricevuti, nel quadro di tensioni sociali esacerbate: non è inconcepibile in questo caso che interi settori dell'edificio sindacale passino, in un paese o in un altro, a un "unionismo" di nuovo genere. Comunque sia, un punto essenziale rimane: "gli operai dovranno fare la rivoluzione da se stessi", "non hanno nulla da aspettarsi dalle altre classi", "più l'importanza della classe aumenta, più quella dei capi diminuisce", e altre formule che Gorter non si stanca di ripetere, nel corso della sua Lettera aperta. Non si tratta qui di "operaismo": Gorter non esita a qualificare le masse operaie come schiavi politici. In piena guerra, aveva già mostrato come "per sopravvivere" l'operaio, "finché non è

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veramente socialista", lega il suo destino a quello del "suo nemico, il capitale nazionale, che lo nutre, gli dà da mangiare", come arriva a credere che "l'interesse del capitale nazionale è il suo" e a battersi per esso. Come infine, in periodo di prosperità, il bisogno di riforma per una classe operaia ancora debole, ignorante e esposta a tutti i colpi della sorte, aveva comportato la continua crescita di una burocrazia incaricata di rappresentare e dirigere una massa ridotta alla passività anche su questo piano. "I capi," dice Gorter, "non facevano che rafforzare il desiderio di guadagni crescenti - non di rivoluzione -, i soli allora ad animare le masse, (...). Gli operai di tutti i paesi avevano la testa piena di belli propositi che i riformisti preparavano per essi. Assicurazioni sociali, imposta sulla ricchezza, riforme elettorali, pensioni, che essi vantavano di poter ottenere con il sostegno dei liberali. Anche se non si arrivava a tutto ciò, si ottenevano comunque dei piccoli progressi... e ora, l'eguaglianza, la democrazia, sì, si avevano, ma nella morte sui fronti di guerra" (23). Questa analisi lucida, Gorter la riprese più tardi, ricordando allora che i proletari si erano trovati per anni armati sino ai denti senza pensare tuttavia a sollevarsi contro i loro padroni e che "quando nel 1918 il proletariato ebbe come mai prima la possibilità di sollevarsi, si mise in movimento ma soltanto per restituire il potere alla borghesia" (24). E tuttavia, senza proletariato, nessuna sovversione sociale. E niente società comunista anche, perché quest'ultima suppone la regolazione generale della produzione e della distribuzione del prodotto sociale totale da parte dei lavoratori stessi. Non, come nei paesi dell'Est, un sistema in cui l'operaismo ufficiale consiste, almeno in un primo tempo, a riservare l'accesso alle funzioni dirigenti a degli operai o figli di operai, e a formare così una nuova élite del potere, ma l'abolizione di queste funzioni. E meno ancora, come fu il recente caso della Cambogia, l'abolizione del salariato e del denaro ai quali gli alti quadri del Partito-Stato sostituiscono la ripartizione dispotica di razioni alimentari (un "comunismo di guerra" 100% rurale, votato ad essere tanto provvisorio quanto il suo predecessore storico), ma la creazione di modalità di ripartizioni "non più arbitrariamente fissate e sulle quali i lavoratori non possono nulla", ma al contrario determinate da essi con l'aiuto soprattutto dello strumento contabile appropriato" (25). Questa è già la visione egualitaria - benché ancora concepita in termini di potere politico esclusivamente, e dunque troppo improntata di centralismo - da cui parte il Gorter nella Lettera quando combatte la nozione di dittatura di partito. Ecco che implica l'emergenza e l'espansione continua di una presa di coscienza dei nuovi mezzi da impiegare. È per questo che Gorter, alla fine della sua Lettera, contesta la tesi oggettivista secondo la quale la crisi economica basterebbe da sola a scatenare una rivoluzione. Quest'ultima esige molto più di la trasformazione radicale dello "spirito, la mentalità delle masse", inconcepibile senza forme di organizzazione che lasciano agli interessati stessi la possibilità di sviluppare la loro iniziativa propria e di cui prima di tutto resta una rottura categorica con le condizioni del capitale e dunque con la tattica democratica borghese, parlamentare e sindacale, che ne deriva.

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Il conflitto che mette allora alle prese con Mosca una minoranza di comunisti europei dell’ovest prende certamente la sua origine nella volontà di indipendenza di quest'ultimi (e dunque nel loro rifiuto di una fusione con l'apparato dell'USPD - deputati, direttori di giornali e altri bonzi). In questo senso, lo si può accostare con le differenza odierne tra gli eurocomunisti e i PC al potere. Ma nel 1920 si trattava di optare per un principio di base contro un altro, non di abbandonare dei frammenti di ideologia (stalinista) diventati obsoleti nell'era dell'economia mista, per meglio preservare il principio di base, il principio del dialogo tra le classi e tutto il resto (26).

I rapporti tra KAPD e III Internazionale

La storia di questi rapporti si trova posta sotto il doppio segno del disprezzo e della manipolazione. Disprezzo per la KAPD quando si rifaceva alla linea strettamente extra-istituzionale alla quale, si pensava, il partito bolscevico si era tenuto nel 1917, e dove si prendevano sul serio le tirate bolsceviche contro il parlamento, i sindacati e l'USPD così come la costituzione detta Sovietica della Russia. Ma anche manipolazione nella misura in cui, malgrado un disincanto crescente, si cercava di beneficiare dell'immagine di prestigio dell'Ottobre rosso e, forse, dei sussidi della Terza Internazionale (27). Disprezzo anche per Mosca dove non si riusciva a credere seriamente a un rifiuto durevole dell'uso elle possibilità legali (28), e dove, viste da lontano, le due linee avendo coabitato all'interno del KPD(s) sembravano essere abbastanza vicine. Ma anche e ancor più manipolazioni nella misura in cui il KAPD e le sue azioni offensive permettevano di disporre di un mezzo di pressione utile nel quadro dei trattati tedeschi-russi (iniziati sin dal 1919 da Radek) sempre rafforzando in Russia anche l'immagine della rivoluzione mondiale in marcia. Considerato retrospettivamente, il giudizio che ognuno dei campi presenti pronunciò sull'altro si è in fin dei conti rivelato fondato. "Ritorno puro e semplice alle pratiche socialdemocratiche" (29) dei PC nazionali burocratizzati e immobilisti; in Russia, crescita di un sistema nuovo di oppressione e di sfruttamento, rigorosa sottomissione delle sezioni della III Internazionale, agli interessi di Stato di questo sistema, si prediceva da una parte. Riduzione delle formazioni "estremiste" allo stato di sette politiche (nel senso di gruppuscoli "senza influenza"), e di cui la maggior parte sarebbe stata recuperata presto o tardi, si diceva dall'altra. Sì, il pragmatico Lenin, come spiegava uno storico (ex bonzo indipendente, poi KPD), "preferiva perdere i 50.000 operai della KAPD piuttosto di accordarsi con esso e perdere così i 5 milioni di sostenitori dell'USPD" (30). Ma, questi milioni, per farne cosa? Ahimè, ahimè! Delle pecore votate a sparire passivamente sotto il rullo compressore del nazismo. Lo stato maggiore russo dell'I.C., l'Esecutivo di Mosca (e Karl Radek, suo messo in Germania) aveva senz'altro favorito sottobanco le manovre scissioniste della cricca di Paul Levi (il capo del KPD-S), ma senza giungere sino ad approvarle pubblicamente. Meglio ancora, aveva senza

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reagire lasciato installarsi un "ufficio" (o "commissione") detta di Amsterdam, a maggioranza "estremista", incaricato di coordinare le attività dei comunisti europei occidentali, un centro più virtuale che reale del resto, in ragione delle sue divisioni interne così come per la mancanza di risorse finanziarie. Tuttavia, il putsch abortito del marzo del 1920, precipitò le cose: dopo diversi indugi, la direzione del KPD(s) garantì, in cambio di una promessa di "democratizzare la vita pubblica", una "opposizione leale" ad un "governo operaio", dichiarò di rinunciare con ciò "a ogni preparativo in vista di un'azione di forza" - mentre era in atto l'insurrezione dei minatori della Ruhr. Di colpo, le sezioni di città e i gruppi espulsi del partito in date diverse tennero un congresso si costituirono nella KAPD (aprile 1920). Questa volta, l'Esecutivo reagì tanto più vivamente in quanto la data fissata per il congresso dell'Internazionale, nel luglio del 1920, si avvicinava. La sua "Lettera aperta ai membri del KAP", pur lamentando le offerte legali della Lega di Spartaco (nome corrente all'epoca del KPD(s)), pose i kapisti a diffidare di "sottomettersi senza discussioni, come va da sé, nelle risoluzioni del II Congresso". Alle unioni viene rimproverato di spingere "gli operai d'avanguardia" ad abbandonare i sindacati in via di radicalizzazione accelerata (e come prova, si porta, l'accesso a posti dirigenziali di indipendenti e di comunisti, e di disprezzare le elezioni ai comitati di impresa istituiti dalla legge (contro l'adozione della quale il KPD aveva chiamato inoltre ad una manifestazione repressa in un bagno di sangue). Che gli unionisti rientrino nei sindacati! È inoltre riaffermato la necessità del parlamentarismo, perché "la nuova epoca, quella della rivoluzione proletaria, formerà dei parlamentari di nuovo tipo". E le campagne elettorali mettono in grado i militanti in grado di "propagandare le loro idee" e di conquistare con le municipalità rurali, "una grande influenza tra la classe dei piccoli e medi contadini"(31) Sin dal mese di aprile, l'Esecutivo aveva dichiarato: "Il mandato dell'ufficio olandese ha perso la sua validità", e ritirato "i poteri affidati ai compagni olandesi". È in questa occasione, tra l'altro, che Pannekoek redasse il testo (32) di cui Gorter riproduce nella sua Lettera i passaggi fondamentali. Allo stesso tempo, Lenin in persona entrava direttamente sulla questione con il suo sin troppo famoso opuscolo L'Estremisno, malattia infantile del comunismo, destinato a diventare sin dal quel momento la bibbia dei PC. Come faceva notare Pannekoek, L'Estremismo "non apportava grandi novità", i suoi argomenti essendo "perfettamente identici a quelli che altri utilizzavano da molto tempo". Senza dubbio si sbagliava un bel po' quando aggiungeva "La novità, è che ora Lenin li mette sul suo conto" (33). Non si trattava in definitiva dell'ideologia delle sinistre della III Internazionale di cui l'Olandese era stato, anch'egli, a modo suo, un rappresentante teorico?

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La Lettera di Gorter

Il grande rimprovero che Lenin faceva agli "estremisti" del 1920 era di "negare la legittimità del compromesso". Per illustrarne la necessità, non contento di delineare la storia del Partito russo al rango di pietra di paragone politica universale, mobilitava anche la sua. Una domenica di gennaio del 1919, la vettura nella quale circolava il nuovo padrone della Russia era stata fermata, nei dintorni di Mosca da dei banditi che fuggirono con l'auto dopo essersi impadroniti, del denaro e dei documenti dei suoi occupanti. "Questa è bella!" esclamò Lenin dopo l'incidente. Incredibile, degli uomini armati che si lasciano rubare la loro vettura. Che vergogna. Ma il suo autista, che raccontò in seguito la storia (34), gli fece osservare, per discolparsi, che uno scambio di armi da fuoco sarebbe stato troppo rischioso, e non tardò a convincerlo della bontà del proprio parere. Quindici mesi più tardi, il padre fondatore del bolscevismo traeva argomento da questo compromesso molto particolare, legato a un rapporto di forze per natura contingente, per proclamare la necessità dei compromessi in generale - dei "buoni" compromessi negoziati da istanze centrali, va da sé, nel quadro del dispositivo politico borghese (35). Gorter procede in tutt'altro modo quando evoca anch'egli un ricordo personale per illustrare la sua visione della politica operaia. Questa volta, ci si trova non in un'automobile, ma ad un congresso del PS olandese. E Gorter testimonia quanto "persuasivo e logico" gli sembrava allora il leader del partito, Pieter Troelstra, mentre celebrava i meriti di compromessi e di alleanze destinate a sfruttare i dissensi interni del campo borghese, e anche quanto lui, Gorter, ne era stato disorientato prima di chiedersi se una simile politica era adatta a consolidare la coscienza di classe presso gli operai, e di rispondere negativamente. Argomenti semplici e diretti, ma tanto rivelatori quanto le asserzioni di Lenin. Dopo tutto, quest'ultimo non faceva a modo suo quanto Bernstein aveva già fatto e detto (36): esprimere in termini cinici - "usare, in caso di necessità, ogni stratagemma, ricorrere all'astuzia, alle procedure d'azione clandestine, tacere, nascondere la verità" (37) - una linea di condotta seguita da lunga data - "in caso di necessità", e cioè sempre - dai capi social-patrioti ma accuratamente ricoperta da declamazioni demagogiche? Redatta in una lingua non polemica, calorosa concreta, benché non esente da un trionfalismo ancora concepibile all'epoca, la Lettera di Gorter era senza alcun dubbio indietro rispetto ad alcune posizioni della KAPD (il KAP-Olanda non si costituì d'altronde ufficialmente che nel settembre del 1921). Apparve comunque a puntate nell'organo berlinese del giovane partito nell'agostosettembre 1920 (38), ed in opuscolo durante il mese di novembre, dunque dopo il II congresso dell'I.C. Quest'ultimo aveva sottoposto l'ammissione dei partiti nell'Internazionale a ventuno condizioni che erigevano a principio l'entrismo nei sindacati, l'azione parlamentare e il centralismo democratico (39). Aprendosi al contempo verso delle formazioni sino ad allora qualificate come

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opportuniste, al primo posto delle quali stavano gli Indipendenti di Germania (USPD), il congresso diceva credere "possibile e desiderabile l'adesione all'I.C."di organizzazioni come il KAPD, gli IWW nord americani e i comitati di base britannici (Shop Stewards Committees) che, per "inesperienza politica", non aderivano ancora ai suoi principi (40) argomento burocratico per eccellenza (41), costantemente ripreso in seguito. Questo è il contesto immediato della Lettera di Gorter.

Dopo la Lettera

Nel novembre del 1920, una missiva dell'Esecutivo venne una volta di più a mettere il KAPD nelle condizioni di dover aderire al KPD. Una delegazione Kapedista - Gorter, Schröder e Rasch (tesoriere dell'organizzazione) - parte per Mosca per spiegarsi davanti all'istanza suprema della III Internazionale. Trotsky, incaricato di rispondere all'intervento di Gorter, che non è stato pubblicato, lo fa con il suo solito brio (42), in cui la canzonatura si coniuga al sofisma. Ostentando di non prendere in considerazione che la persona di Gorter, e non le concezioni del partito di cui quest'ultimo non era che un rappresentante, senz'altro il più prestigioso, gli rimprovera un "aristocratismo rivoluzionario" da "poeta" al quale "si trova immancabilmente associato il pessimismo" che lo conducevano a giudicare "imborghesite" le masse operaie d'Occidente. E anche ad adottare un punto di vista "geografico" che distingue tra colonizzati e coloni, senza tener conto del carattere universale della grande rivoluzione in corso, di dimenticare "il legame della rivoluzione proletaria all'Ovest con la rivoluzione nazional-agraria all'Est”. I kapisti, come si è visto, non contestavano affatto, al contrario, la necessità di questo "legame"; per essi, la "rivoluzione nazional-agraria" passava anche forzatamente attraverso lo stadio della dittatura di partito. Ciò che essi rifiutavano di accettare, era l'estensione all’Ovest industrializzato di questo modello, la creazione di una tattica democratico-borghese chiamata a sfociare un giorno in questa dittatura. Ai loro occhi, importava soprattutto il fattore della coscienza, della "emancipazione degli spiriti" (Gorter) sia per l'azione diretta che per la critica frontale dell'antico movimento operaio. E poiché le lotte di classi non si concepiscono senza forme d'organizzazione e di rappresentazione adattate al loro stadio di sviluppo storico, essi preconizzavano delle forme in rottura categorica con le antiche, dunque con il parlamentarismo, "strumento del primato dei capi", tattica inevitabile, sosteneva Pannekoek, finché "le masse si rivelano incapaci di decidere da se stesse", ma che "le bloccano nella passività, le vecchie abitudini di pensiero e le vecchie debolezze", un colossale fattore di integrazione all'universo borghese. Trotsky si atteggiava anch'egli come critico acerrimo del parlamentarismo, ma per altre ragioni. Gli operai, accordava a Gorter, sopravvalutano il parlamento, questo mezzo per ingannare le masse e farle addormentare, di propagare i pregiudizi, di rafforzare le illusioni della democrazia politica, ecc., ecc. “Ma il parlamento è il solo rispetto a questo caso? I giornali, soprattutto quelli dei

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socialdemocratici, non distillano un veleno piccolo borghese? Dovremmo forse rinunciare alla stampa in quanto strumento dell'azione comunista sulle masse?". Strano ragionamento, si converrà, in bocca di qualcuno che, oltretutto, non cessava di burlarsi dell'insistenza di Gorter e dei suoi amici sulla necessità dell'azione di propaganda, la loro scelta risoluta a favore di un piccolo partito di agitatori selezionati che, Trotsky dixit, "lungi dal dedicarsi a dei compiti così volgari come le elezioni o la partecipazione alla vita sindacale, 'educherebbero' le masse a forza di discorsi e di articoli impeccabili". Aspettando la rivoluzione proletaria nell'Europa dell'Ovest, si doveva utilizzare la tribuna parlamentare per vincere "la superstizione degli operai verso il parlamentarismo e la democrazia borghese". Ma Gorter vi si rifiutava per un "timore delle masse" comparabile alla "paura di un personaggio virtuoso che non mette il naso fuori, nel timore di esporre la sua virtù a qualche sollecitazione". È con l'aiuto di un'immagine così del tutto traballante che egli rimproverava il suo avversario di "non vedere il nucleo del proletariato nascosto sotto la scorza del vertice burocratico privilegiato". Pioggia di metafore che non rispondevano affatto alla questione di sapere se la riproduzione delle forme e comportamenti tradizionali, ma con una fraseologia da avanguardia, non induceva anch'essa un tipo di "educazione" determinata, in cui i "discorsi e articoli impeccabili" avevano del resto il loro posto ma anche il parlamentarismo e tutto ciò che genera apatia di sottomissione, tanto quanto la conversione delle organizzazioni in pedine del gioco politico istituzionale. L'argomento schiacciante di Trotsky era tuttavia che Gorter "parla a nome di un gruppo molto piccolo e sprovvisto di influenza" (43). Linguaggio da arrivista della politica... La delegazione ottiene tuttavia, con grande furore dei capi del KPD(s), l'"ammissione provvisoria" del KAPD nella III Internazionale, in "qualità di partito simpatizzante con voto consultivo" - e invito reiterato a entrare nel KPD(s). L'idea era di isolare dalla base kapdista i dirigenti che si era data. Nel racconto che fece più tardi del loro viaggio comune, Schröder annota l'emozione dell'"Olandese" che camminava nella terra del comunismo, "Piangeva e non lo nascondeva". Ma, al momento di lasciare la Russia, il "vecchio" che "non ha ancora sessanta anni ne dimostrava ora ottanta" [44]. Come dire la profondità del trauma subito da quest'uomo di cuore e non soltanto di testa! Di ritorno a Berlino, Gorter scriveva a una delle sue compagne di partito "Sono rimasto stupito nel vedere che Lenin non aveva in testa che la Russia e considerava tutto il resto esclusivamente dal punto di vista russo. Non è ciò che mi sembrava un tempo cosa ovvia per il leader della rivoluzione mondiale. È l’Washington della Russia [45]". Questo Gorter l'aveva già evidenziato nella sua Lettera, ma la constatazione teorica, per definizione, non potrebbe avere lo spessore umano del contatto diretto.

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L’azione di marzo

Il grande patronato così come le autorità socialdemocratiche si applicarono, dopo gli avvenimenti di marzo 1920, a perfezionare il "ritorno alla normalità". Le reti di informatori furono rafforzate, le disposizioni legali antisovversione completate, un corpo di soldataglia semi legale (l'Orgesch) fu distaccato su intere regioni. La polizia era instancabile; così le "organizzazioni di lotta" kapdiste, e i loro depositi di armi, furono smantellate a Berlino (autunno 1920), nella Ruhr (inizio marzo 1921). La KAPD, colpita da arresti a catena, si dedicava ad un lavoro di agitazione intensa, spesso nel quadro di scioperi selvaggi, mentre gli elementi assimilati al KAPD si costituivano in "bande armate" (46), o anche si dedicavano nel far saltare in aria con la dinamite monumenti e edifici pubblici. Da una parte e dall'altra ci si aspettava una prova di forza. Quest'ultima ebbe luogo nella Germania centrale, nei distretti rossi di Mansfeld et de HalleMerseburg (bastioni elettorali del VKPD, scaturito dalla fusione USPD- KPD), dove la durezza delle condizioni di vita e le vessazioni dei servizi di sicurezza padronali raggiungevano delle proporzioni senza precedenti, aventi come effetti naturali sabotaggi, appropriazione di materiale e scioperi selvaggi a ripetizione. Tensioni accumulate che l'ingresso di brigate speciali di polizia (sotto autorità socialdemocratica), incaricate di "ristabilire l'ordine", avrebbero portato al punto di esplosione. Il movimento ha come epicentro le fabbriche a Leuna (22.000 lavoratori, unioniste al 40%). Il 21 marzo, un'assemblea generale a maggioranza unionista costituisce un comitato di sciopero (selvaggio) paritario KAPD-VKPD. Il giorno seguente, diciassette centurie composte da giovani operai armati occupano i luoghi, disarmano e espellono la milizia padronale (200 uomini); le unità di polizia locale non si muovono, nell'attesa di rinforzi che arrivano presto (23 centurie di polizia e una batteria da campagna). Coscienti di andare ad un massacro, la maggior parte degli operai evacuano le officine con il favore della notte. Ignorano che un importante distaccamento operaio arriva da Lipsia alla riscossa. Alcune ore appena dopo la loro partenza, questi uomini riescono a forzare i cordoni di polizia e a prendere posizione all'interno del complesso industriale. Il 29, dopo un bombardamento d'artiglieria, le forze di polizia danno all'assalto e riprendono possesso di Leuna. Le operazioni di sostegno lanciate nella regione ("presa di potere" locale, interventi di bande armate) soffriranno anch'esse della mancanza di mezzi di trasmissioni affidabili. (Secondo una fonte "ben informata", vi saranno nel complesso della regione 145 vittime tra i civili e 35 tra la polizia; 3.470 persone incarcerate e 1.346 fucili sequestrati) (47). Il 24, nel momento in cui a Leuna il movimento era al suo apogeo, il VKPD, seguendo un piano la cui esecuzione era prevista per più tardi, lanciava in accordo con il KAPD un appello allo sciopero generale, poco seguito a ragione del veto sindacale (tranne nei cantieri navali di Amburgo e nella Ruhr dove ebbero luogo degli scontri sanguinosi). Il 31, ritirava il suo sostegno allo sciopero e alle azioni nelle strade.

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Le conseguenze dell’azione di marzo

La repressione giudiziaria che seguì aggravò il declino accelerato dall'estate precedente delle diverse organizzazioni kapediste, unioniste e anarco-sindacaliste. (Benché più di un leader di queste ultime avessero condannato un sollevamento che essi dicevano ispirato dal governo sovietico). Non c'è affatto bisogno di spiegare questo declino con l’invocazione di un "esercito di agenti pagati dai bolscevichi" (48). In verità, il ritorno alla normalità della primavera 1920 era dovuto soprattutto alla rapida sparizione di formazioni che, rifiutando per principio le pratiche parlamentari e sindacali, non potevano aspettarsi una ripresa in quanto forze sociali reali che in un rovesciamento della situazione, che non si verificò, malgrado gli sforzi dei kapedisti e simili. Per contro, come appare retrospettivamente, la forma di organizzazione tradizionale del VKPD, aureolata dall'investitura di Mosca ma radicata sulle istituzioni legali, trovava nella vita quotidiana e nell'arena elettorale di che alimentare un'attività che erigeva a regola il minimo sforzo nella lotta e agiva come fattore supplementare d'integrazione mentale degli operai al sistema vigente. Non senza per giunta un adattamento del partito a questo stesso sistema che, tuttavia, lo teneva a margine a al quale serviva utilmente da spauracchio. Più di qualunque altra dello stesso genere, l'azione di marzo doveva accrescere il mito del "complotto comunista internazionale" la dose di realtà di cui aveva bisogno per funzionare. Il 16 marzo, il ministro dell'Interno, proclamava lo stato d'assedio "non militarizzato" nella Germania centrale, dichiarava anche di vedere nelle agitazioni la mano non del PC in quanto tale, ma di "criminali internazionali, forse anche di spie e di provocatori che si fanno passare per dei comunisti" (49), (tesi ripresa oggi mutatis mutandis nella Repubblica Democratica Tedesca i cui ricercatori di Stato incriminano i "putschisti settari del KAP", "operai momentaneamente ingannati" o "provocatori prezzolati"). La base, del VKPD rimase nell'insieme passiva. Ma al vertice, era tutt'altra cosa. L'Esecutivo dell'I.C., benché diviso su questo soggetto, non per questo non appoggiava a fondo i "preparativi pianificati" d'insurrezione. Non avevano forse inviato in Germania tre "tecnici" di alto livello? Moltiplicato istruzioni, incoraggiamenti, spedizione di fondi? Approvato la campagna che toccava il suo culmine nella stampa del VKPD dall'inizio di febbraio? La sua responsabilità nel disastro, la sua volontà di rilanciare il movimento in Germania per far deviare le tensioni che investivano allora il regime, cioè di pesare sul corso delle trattative tedesche-russe, sono cose verificate. Avevano trovato dei sostegni nei circoli dirigenti del VKPD, tra gli adepti della "teoria dell'offensiva". Una frazione del vertice, ma non la maggior parte della base e dei quadri intermedi. Gorter spiegava così "Quando un partito che opta per il parlamento e per i sindacati invece di erigere il proletariato in forza rivoluzionaria, e in tal modo mina questo e indebolisce quell'altro, poi (dopo questi bei preparativi!) passa di colpo all'attacco e decide una grande azione offensiva di

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quel proletariato, che ha egli stesso indebolito, è di un putsch bell'e buono che si tratta sin dall'inizio. Detto in altro modo, da una azione decretata dall'alto in basso, che non è scaturita dalle masse stesse, è votata sin dall'inizio alla sconfitta” (51). Ben diversa, sottolineavano i suoi rappresentanti, era la tattica del KAPD. Per essi, la lotta in fabbrica mirava a "creare il clima necessario allo scatenamento di azioni di massa". Quest'ultime a loro volta dovevano portare all'occupazione dei luoghi di lavoro e, poi, sfociare in insurrezione armata. "Che il corso delle lotte si conformi esattamente a questo schema, è dubbio. Ma è sicuro che senza lotta diretta per le fabbriche, la rivoluzione non vincerà in Germania". La direzione del VKPD (tranne Levi e la sua banda) aveva visto nel sollevamento operaio "l'occasione di montare un'azione ad ogni costo", un "tentativo fittizio" di conquistare il potere politico. L'influenza del SPD e dei sindacati aveva mantenuto le "grandi masse" nella neutralità, persino ostili, verso "l'avanguardia militante". Ma era "vano volere spezzare questa influenza sul suo proprio terreno, quello delle azioni bidone parlamentari sindacali; Una lotta efficace non è possibile che alla radice del male, sul terreno delle fabbriche (52). Questa era la tattica che Gorter (e i kapedisti) (53) intendevano con le parole "propaganda" e "educazione" (54) non gli esercizi di teoria solitaria da camera ai quali Trotsky (e tutti quanti) si sforzava di ridurlo. Naturalmente, i vertici burocratici dell'Internazionale, una volta verificatasi la sconfitta, ne diedero la responsabilità al capo Paul Levi del VKPD e alla sua banda, pur essendo stato avversario frenetico dell'azione di marzo. Conformemente alla linea che fissava in una "lettera aperta" dell'Esecutivo (gennaio 1921), il che non ne costituì mai una contraddizione, il partito unificato tornò alla tattica di preparazione di un fronte unito con gli elementi del SPD che vi si mostravano disposti. Delle aperture in questo senso furono allora tentate ma invano, a livelli regionali. (Esse non diedero frutti che nel 1923 con gli effimeri uffici unitari di Sassonia e di Turingia). Scrive a tal proposito Pannekoek, "così i comunisti del parlamento tedesco si apprestano a cooperare con i partiti socialisti. Così come la fusione della Lega di Spartaco con gli Indipendenti ha necessitato di un adattamento al programma di quest'ultimi, allo stesso modo la cooperazione in corso di preparazione con i socialdemocratici acquisiti esigerà un adattamento e uno slittamento a destra (55)". Come è ben noto, le cose andarono proprio in tal modo. Anche se l'SPD integrato a tutti i livelli dell'apparato di Stato declinò con costanza e disprezzo ognuno delle offerte di alleanza dei suoi rivali comunisti, anche se le concessioni fatte da quest'ultimi comportavano delle ondate di siluramenti e di espulsioni, sino al giorno in cui il KPD si trovò senza anima né energia, integralmente stalinizzato. Storia sinistra, storia destinata a ripetersi mutatis mutandis un po' ovunque nelle sezioni dell'Europa occidentale della III Internazionale.

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Il III congresso dell’Internazionale Comunista

Il III congresso doveva porre fine al dialogo da sordi, iniziato dal 1919. All'improvviso, infatti, Zinoviev, pontefice supremo dell'l. C., fece sapere che l'Internazionale non tollerava l'esistenza di due partiti comunisti in un solo paese. Inoltre, equiparò i kapedisti e gli indipendenti perché non allineati al VKPD. Gli altri portavoce bolscevichi abbondarono nello stesso senso, "semi-anarchici" diceva Lenin (trattato come tale un tempo dai menscevichi), "menscevichi" rincarava la dose Trotsky (trattato come tale un tempo dai bolscevichi), ecc. ecc. Il tutto in mezzo ad un'ilarità comandata presso i congressisti e con grande uso di manipolazioni dell'ordine del giorno o di tante parole e altri vecchi trucchi. In queste condizioni, gli interventi appassionati ma sobri dei delegati kapedisti (56) apparivano soprattutto come un tentativo disperato. Essi non ebbero più successo neppure sull’altro oggetto della loro presenza al congresso: "Il raggruppamento delle tendenze dell'opposizione all'interno dell'internazionale". I delegati della CNT spagnola e quelli dell'IWW nord americani trovavano che c'erano troppi partiti e non abbastanza sindacati. E i diversi gruppi dell'Opposizione Operaia russa non si preoccupavano affatto, senz'altro, di fare causa comune con degli appestati, numericamente deboli per giunta. Da parte della KAPD, la maggioranza dei militanti ritenevano che i contatti con le persone dell'Opposizione avevano dovuto aver luogo in segreto, nel cuore della notte: "Ecco", si diceva, "ciò che dà un'idea della sua forza reale" quando "la disciplina carceraria regna in Russia" (57). Così ci persuademmo che l'Opposizione operaia non poteva fare di meglio della "burocrazia bolscevica", visto "il rapporto di forze tra una enorme massa contadina e un debole proletariato", anche se si approvava di esigere l'attivazione delle masse" (58). E poi come infrangere quel principio della non-ingerenza che si chiedeva al partito russo di rispettare nell'Europa occidentale? Vana discrezione, lo abbiamo visto. Nell'ottobre 1921, per l'ultima volta, il Comitato esecutivo allargato dell'I.C. esortava i kapedisti a rinunciare al loro "settarismo, causa di dispersione delle forze" e gli unionisti a raggiungere i sindacati per "sottrarli all'influenza dei socialdemocratici". Terminava proclamando che era falso vedere, alla maniera dei "teorici del KAPD, teste infantili in politica [nell'Internazionale] uno strumento della politica dei Soviet". E l'Esecutivo rilanciava a proposito: "La Russia è il più potente degli avamposti dell'l.C." (59). La famosa ideologia dell'"internazionalismo proletario, era qui illustrata….

Da parte sua, il Comitato centrale del KAPD, nelle mani degli "intellettuali" del partito, decideva sin da luglio di rompere con l'I.C. (decisione ratificata dal congresso successivo di settembre) e lanciava la parola d'ordine di costituzione di una "Internazionale operaia comunista" (KAI). Quest'ultima era chiamata a "svilupparsi in modo graduale e organico, come ha fatto il KAPD"; sarebbe stata una "creazione della base", non del vertice (60). Cosa contestata dalla maggior parte dei kapedisti, il futuro KAPD-Berlino. In una situazione che non era realmente rivoluzionaria,

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essi sostenevano, i pochi gruppuscoli - bulgari, olandesi, inglesi - che essi erano in grado di riunire e che avrebbero formato una "Internazionale delle illusioni, non dell'azione"; sarebbe stata una "Internazionale dei capi", di "politicanti rapaci" preoccupati di abbellire l'immagine del loro marchio (61). Denigrazione ad oltranza, molto in sintonia nelle polemiche dell'epoca, molto spesso più feroci verso i propri simili che nei confronti di nemici dichiarati. Ma anche la nuova "Internazionale" non visse in fin dei conti che sulla carta e finì con il corrispondere soltanto con l'indirizzo di una libreria di Amsterdam... Gli unionisti, contrariamente agli anarco-sindacalisti, non ebbero mai dei contatti diretti con il Consiglio internazionale delle associazioni di mestiere e delle industrie, la cui costituzione (Mosca, estate 1920) fu il preludio a quella dell'internazionale sindacale rossa (Mosca, luglio 1921). Vide la loro opposizione di principio alla Zellentaktik, la formazione di "frazioni sindacali" interamente subordinate al Partito, ma vi fu anche una situazione fluttuante all'estremo, di numerose unioni che si affiliarono a questa o quella centrale (le più forti finirono tuttavia con l'allinearsi a Mosca).

Conclusione

A cosa serve ragionare - forse si dirà - sugli avvenimenti sopra schematicamente evocati? La prima - e la sola ancora sino ad oggi - convulsione rivoluzionaria proletaria in un paese sviluppato è stata quasi subito svuotata della sua sostanza dagli sforzi congiunti del Capitale in armi e del Lavoro organizzato, le grandi masse rimasero nel mezzo in riserbo, nel peggiore dei casi attivamente ostili. E i suoi sviluppi, per forza di cose più teorici che pratici, non sono scomparsi nelle nebbie della storia? Ma, d'altronde, quella storia, la storia contemporanea non ha dimostrato anche che l'azione parlamentare e/o sindacale, per inerente che essa sia al capitalismo di mercato, era al di fuori dalla possibilità di realizzare nei paesi sviluppati il suo progetto iniziale, la sua versione specifica del socialismo: l'abolizione della proprietà privata dei grandi mezzi di produzione e di scambio? E anche altrettanto chiaramente che, nei paesi meno sviluppati, questa stessa abolizione si accompagnava con la creazione di un nuovo sistema di oppressione e di sfruttamento non appena l'attività propria delle masse veniva ad essere soffocata con le buone o le cattive. Sin da allora, e finché non si può adattarsi al mondo così come va ed alle sue istituzioni, non è meglio impegnarsi in cause più limitate senz'altro rispetto al progetto dei consigli operai, ma anche più realisti di esso? Più realisti, parliamone! Per limitarsi a questo, la lotta anti-imperialista extraparlamentare nelle metropoli non è sfociata, nella stretta misura in cui affrettò la fine delle guerre coloniali, ad un recupero finale da parte dei poteri di Stato coinvolti? Così come d'altronde ad un disinteressamento, ad un'indifferenza passiva, una volta acquisito il risultato almeno apparentemente?

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È la stessa cosa, secondo modalità diverse, per altre cause prese in sé ma anch'esse fondate sin dall'inizio - le donne, i diritti democratici, la difesa dell'ambiente, ecc. Ed accade la stessa cosa, lo abbiamo visto, per la causa del Lavoro, fin quando assume dei canali analoghi, le vie del dialogo interclassista. Non senza evidenti differenze quantitative e qualitative, la lotta di classe racchiude nel suo interno ben più grandi implicazioni. Non ha essa come spazio naturale il luogo di produzione, base stessa della vita sociale, e, per questo motivo, base della sua eventuale ricostruzione?

Anche piccole, le lotte operaie, che aprono delle nuove prospettive non sorgono che in quei rari momenti in cui i lavoratori, superando i loro vecchi riflessi di passività e di timore, si ribellano alla cieca contro se stessi, e cioè contro le organizzazioni, contro i capi che essi si sono dati, per prendere in mano, in modo certamente frammentario e provvisorio, la gestione dello sforzo comune, unitario. Allo stesso modo, ad una scala altrimenti più elevata, le fasi di affondamento parziale dei poteri esistenti, così come lo hanno rivelato più di una volta nel corso di questo secolo delle azioni di forza massicce e spontanee, approdano in forme di organizzazione e di rappresentazione da permettere, nella loro tendenza, l'autodeterminazione operaia, condizione necessaria dell'istituzione di un mondo infine retto da regole di produzione e di distribuzione egualitarie. Qualunque esse siano, queste lotte dette autonome non avvengono, per lo meno prima del ritorno alla normalità, senza distaccare le masse dai valori di sottomissione e di rassegnazione che i movimenti del capitale e le pressioni dei suoi agenti coscienti o non, hanno come effetto di interiorizzare in esse. Allora, è un germogliare di iniziative, di confronti di idee, d'inventiva organizzativa. Uno stadio che è stato già più di una volta raggiunto, in piccolo così come in grande. Però mai superato e di cui nessuno, seriamente, non potrebbe prevedere che lo sarà un giorno. Nessuna potenza al mondo potrebbe creare, con qualsiasi mezzo, "lo spirito generalizzatore e la passione rivoluzionaria" di cui Marx faceva già componenti indispensabili della "rivoluzione sociale" nei paesi sviluppati (62) - è capace di generarli soltanto una lotta accanita senza tener conto di nulla, diffusa in tutto un periodo storico, così come lo testimonia lo sviluppo di tutte le grandi rivoluzioni del passato. Quindi, l'attesa passiva, fosse anche sotto l'aspetto positivo di testimonianze vissute o di descrizioni formali, non porta che alla sottomissione al reale immediato. Allo stesso modo, in certe condizioni, l'intervento pratico delle masse diventa una virtualità di sviluppo - anche se, nel caso in cui esso si concretizzasse, i suoi risultati rimanessero imprevedibili. E l'intervento teorico ne è indissociabile, se si vuole cosciente, pur situandosi fatalmente, in una provvisorietà che dura, a monte della pratica. Nel modo che esprimeva Gorter: "Non possiamo contare sulle condizioni materiali: dobbiamo stimolare l'autocoscientizzazione del proletariato. Per le cause materiali non possiamo fare molto, nemmeno attraverso il sabotaggio. Ma per le cause psicologiche, possiamo

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fare molto" (63). Giudizio non troppo ottimista, il futuro doveva dimostrarlo, ma senza invalidarne la validità generale. "L'uomo in generale è innanzitutto un essere pratico e finché può sopravvivere per mezzo di soluzioni pratiche, non ha bisogno di teorie sovversive per il futuro. Quando le lotte sono molto dure e restano malgrado tutto infruttuose, si è portati a ricercare le cause della sconfitta, il carattere degli ostacoli. Si fanno delle teorie" (64), diceva Canne Meijer, che a volte è stato chiamato "l'anima" del GIC. Ora il lungo periodo di crescita continua delle forze produttive e del progresso capitalista, che sta volgendo al termine, era per definizione inadatto al necessario rinnovamento della teoria operaia, che analizza e generalizza delle pratiche, non sempre immediate senz'altro, prima di venire a sua volta a stimolare, orientare gli spiriti. Dato questo vuoto, e senza dimenticare il primato naturale del presente, conviene confrontarsi alle grandi azioni operaie del passato. Certo, sarebbe assurdo voler restaurare la tradizione del comunismo dei consigli, morta con il periodo che l'ha generato. Ma alcune delle nozioni elaborate da questo movimento conservano malgrado tutto un potere di chiarimento tanto più prezioso in quanto la possibilità di rivedere uno scontro di grandi proporzioni tra il nuovo e il vecchio non è affatto escluso nel periodo storico che si apre ai nostri giorni. In questo senso, e anche se i mezzi di diffusione di queste nozioni rimangono irrisori, la Lettera Gorter, i suoi dettagli e le sue circostanze, permettono di gettare uno sguardo diverso sulle modalità e finalità concepibili di lotte operaie che lascerebbero infine il terreno della difensiva, inerente alle condizioni del Capitale, per occupare quello dell'offensiva.

Nota sul movimento "basista" in Gran Bretagna All'origine dell'interesse per il movimento inglese provato da Lenin nell'Estremismo, malattia infantile del comunismo e da Gorter nella Lettera, si trova non l'importanza pratica di questo movimento, ma il carattere chiave che allora si vedeva nell'Impero britannico e alla sua potenza industriale. Durante la guerra, soprattutto negli arsenali scozzesi e nelle miniere gallesi,si era sviluppato un movimento "di base", il Rank-and-File Movement, le cui forme organizzative comitati di delegati di officina (Shop Stewards Committees), comitati di fabbrica (Shop Committees), comitati operai ed altri - erano di un tipo vicino alle organizzazioni di fabbrica, care agli unionisti tedeschi. Altra parentela dei basiti inglesi, sorti contro le pratiche laburiste, era il "pensare da se stessi, sfuggire alle regole dell'obbedienza passiva, per riattivare il movimento operaio". Ma, nel loro spirito, i comitati dovevano essere "innanzitutto degli organi di lotta di controllo sulle condizioni quotidiane del lavoro" (65), e dunque perseguire gli obiettivi grosso modo cogestionari, centrati sulle questioni di salari, norme, assunzioni, ecc... in vista di superare le carenze dei sindacati di mestiere (e concertativi). Finita la guerra, il Movimento deperì

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rapidamente, insieme alle circostanze che l'avevano fatto nascere. Caduto sotto l'influenza del PC, sostenitore dell'entrismo nei sindacati, sparisce sin dal 1922. Infatti di PC inglesi, ve ne furono due in origine. Il primo, investito da Mosca, proveniva soprattutto da un gruppuscolo socialista di sinistra (il BSP), vicino per linea politica e per ideologia agli indipendenti tedeschi; insieme ad alcuni altri gruppi, si costituì in PC il 1° agosto 1920 e si pronunciò allora, malgrado le esortazioni dell'Ufficio di Amsterdam (marzo 1920), per il parlamentarismo e per una domanda di affiliazione al partito laburista. L'altro partito, fondato il 9 giugno precedente (e di cui Gorter esalta qui sopra la creazione), combatteva a fondo questa linea; detto anche "PC oppositore", proveniva da un piccolissimo gruppo di suffragette, per la maggior parte operaie dell'East End londinese (66). Sosteneva delle lotte di quartiere e di officina e, inoltre, si trovava in contatto con Gorter e il KAPD. La sua figura preminente era quella di Sylvia Pankhurst (1882-1960), ardente femminista, il suo attivismo durante la guerra gli valse più di una condanna per "incitamento alla rivolta". Avendo incontrato Lenin a Mosca, nel luglio del 1920, si allineò alle sue concezioni e raggiunse con il suo gruppo il PC ufficiale (67). Ma avendo rifiutato di sottoporre il suo giornale alla censura del comitato centrale, “che pretende”, diceva lei, "di essere la dittatura del proletariato, mentre esso non ha alcun potere e il proletariato rimane indifferente da esso", fu esclusa dal partito. Senza per questo scoraggiarsi, Sylvia Pankhurst militò in comitati di disoccupati, mentre il suo gruppo, ancora ridotto, serviva da sezione fantasma alla KAI, prima di sparire del tutto allo stesso tempo come il suo organo di stampa nel 1924 (68).

La traduzione è a cura di Ario Libert e della redazione di Connessioni Edizioni

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Note 1) G.Mergner, Arbeitbewegung und Intelligenz, Starnberg, 1973 2) Ibid 3) Ibid 4) H.Gorter, Partei, Klasse und Masse, Proletarier, 1921 5) Documenti tradotti in italiano (abbiamo inserito i testi in italiano, ndt): H.Gorter, L’Internazionale Comunista Operaia (1922), 1973, GdC; GIC, Tesi sul bolscevismo (1934), GdC 1974; Anton Pannekoek, Lenin filosofo (1940), Connessioni Edizioni, 2012; Anton Pannekoek, La rivoluzione russa (1945), Connessioni, 2012; O.Ruhle, Dalla rivoluzione borghese alla rivoluzione proletaria (1924), Connessioni, 2012; O.Ruhle, La lotta contro il fascismo comincia con la lotta contro il bolscevismo (1938), Connessioni, 2012; Paul Mattick, Rosa Luxemburg e Lenin (1935), Connessioni, 2012; P.Mattick, La leggenda di Lenin (1935), Connessioni, 2012; Paul Mattick, Consigli e Partito (1976), Connessioni, 2012. 6) Otto Rühle (Von der bürgerlichen proletarischen zur Rivoluzione, Dresda 1924, p. 17), "date le sue condizioni storiche, la rivoluzione russa non potrebbe che essere una rivoluzione". Per questo alcune sezioni della AAU-E vedevano gli stessi consigli operai come strumento della rivoluzione borghese. Ancora in attesa ... dello "scatenarsi di energie sopite di tutti gli sfruttati" (Die Revolution, Heidenau, 4, 1926). 7) H. Gorter, Die Internationale und die Weltrevolution, Die Aktion, 1924 8) Cf. Sowjetrussland, die Wirtschaftkrise und die Revolution, Proletarier (Amsterdam), 1933. 9) Cf. Résolution du IIe congrès de I'I.C. sur le rôle des PC, in Thèses, manifestes et résolutions... de l'I.C., Paris, 1934 10) Il Programma della KAPD" (1920), in linkskommunismus.blogspot.it 11) Programm und Organisations-Statut der KAPD, Berlin, 1924, Connaissance historique" désigne ici, en premier lieu la théorie de la "crise mortelle" imminente du système capitaliste. 12) Citato da H.M. Bock : Geschichte des "linken Radikalismus" in Deutschland, Suhrkamp Verlag, 13) Citato da Pannekoek in un articolo (maggio 1932) in cui, dimostrando ancora una volta che la presa del potere da parte di un PC (e la "dittatura dei pezzi grossi" che segue) è concepibile in un paese con una debole borghesia e proletariato non nell’Occidente industrializzato, riprendendo la nozione di "gruppi di opinione", cfr. A. Pannekoek, Partij raden, Revolutie (J. Kloostermann ed.), Amsterdam, 1970, 14) Unser Kampf gestern und heute, Proletarier (Berlino stampato clandestinamente), 1933 15) Cf. Rätekorrespondenz, id. 2, nov. 1932 16) Zur Frage des individuellen Terrors; ibid 17) Ibid., 2 18) Cf. H. Canne Meijer, Fondements de l'économie communiste, in Informations Correspondance Ouvrières 19) H. Canne Meijer, L’ascesa del nuovo movimento operaio (1935), Connessioni Edizioni, 2012; Anton Pannekoek, partito e classe, critica del partito rivoluzionario (1936), Connessioni, 2012; Paul Mattick, Socialismo di stato e autonomia operaia, i comunisti dei consigli (1939), Connessioni, 2012 20) Nella fantasia borghese, il gruppo radencommunisten appare sia come una banda di utopisti litigioso come Marx (cfr. F. Kool Die Linke gegen die Parteiherrschaft, Friburgo, 1970), o come un nido di terroristi (vedi H . Schulze Wilde, in Express, 27-2-1958).

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21) Parlando dell’opuscolo di Pannekoek (1920), Zinoviev ha detto che "si trovano le masse stabilite come un feticcio che si tenta di opporre al partito in quanto tale" (cfr Isola del Congresso Int. terzo. Comm., Pietrogrado, 1921, p.67.) 22) Lasciamo da parte qui la tesi troppo superficiale sul "capitale finanziario" come capitale unificante di Gorter, mutata da Hilferding, era alla pari con Lenin (e Kautsky). 23) Vedi il capitolo: Le cause del nazionalismo in seno al proletariato, in H. Gorter, Der Imperialismus, der Weltkrieg und die Sozialdemokratie, Amsterdam, 1915. 24) H.Gorter (discorso al congresso della KAPD), in Kommunistiche Arbeiter-Zeitung, n° 232 (1921) 25) In questa discussione, che non è una novità, si veda ad esempio: H.Canne Meijer, L’ascesa del nuovo movimento operaio (1935), Connessioni Edizioni, 2012; 26) Cf. P.Mattick "Interview à Lotta continua", Spartacus, 1978, e PCF et dictature, in u mio articolo del 1977. 27) Secondo un rapporto di polizia, per il periodo gennaio-marzo 1921, è citata (con le solite precauzioni) da HM von Bock, Syndikalismus und Linkskommunismus 1918-1923 (tesi di laurea), Meisenheim / Glan, 1969. 28) Lenin (10-10-1919), in Opere, vol. 30, pag. 51, aggiunta a parentesi di questo significativo riferimento alle condizioni della Russia zarista: "Come si erano espressi i bolscevichi nel 1910-1913." 29) Cf. Collectif KAPD, Der Weg des Dr Levi, der Weg der KPD, s.l.n.d. (1921), 30) A. Rosenberg Histoire du bolchevisme, Paris, 1936, 31) Cf. La lettre de l'Exécutif (2-6-1920), in l'internationale communiste, 11 (juin 1920) 32) Anton Pannekoek, Rivoluzione mondiale e tattica comunista (1920), Connessioni, 2012 33) Ibid 34) S.K. Guil, in Lénine tel qu'il fut, t. Il, Mosca, 1959 35) Lenin, La malattia infantile del comunismo (1920), www.marxismo.net/estremismo/ 36) K. Korsch, "L'orthodoxie marxiste", Marxisme et contre-révolution... (S. Bricianer éd.), Paris, 1975 37) Lénine op. cit 38) Kommunistische Arbeiter-Zeitung, No. 121. A quel tempo (primi di agosto), l'Armata Rossa, che è entrata nella parte polacca del'Ucraina, ha raggiunto la Vistola (prima di dover ritirarsi a causa della mancanza della logistica e rinforzi). Il KAPD aveva cercato di sostenere con la preparazione di una campagna di propaganda e di azione (sabotaggio e operazioni di commando), denunciati da I'USPD e della KPD tali operazioni sono state interrotte. 39) les Thèses et manifestes de l'l.C., op. cit., 40) Ibid 41) Al quinto congresso dei sindacati tedeschi (1905), ad esempio, i propagandisti della "sciopero generale" sono stati trattati come "anarchici e persone senza esperienza". 42) L. Trotsky: Sur la politique du KAPD, l'internationale communiste, 17 (mai 1921) 43) In realtà, Trotsky designa la nascita del piccolo Partito socialdemocratico olandese (costituito nel PC alla fine 19181, nato dalla scissione del 1909), nella causa immediata della "questione agraria", a cui Lenin (cfr. Opere, vol . 16, pag. 140-144) aveva applaudito (a differenza di Rosa Luxemburg, ansiosa di non "perdere il contatto con le masse") 44) K. Schröder: Die Geschichte Jan Beeks, Berlin, 1929, 45) J. Clinge, Doorenbos: Wisselend Getij, Amsterdam, 1964 46) Annexe I, notices "Plättner" et "Prenzlow"

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47) Drobnig : Der mitteldeutsche Aufstand 1921, Lübeck, 1929 48) O. Rülhe: Fascisme brun, Fascisme rouge (1939), Ed. Spartacus 1975 49) H.M. Mayer : Die politischen Hintergründe des Mitteldeutschen Aufstandes von 1921, Berlin, 1935 50) Kämpfendes Leuna (1915-1945), Berlin-Est, 1961 51) H. Gorter: Les leçons de l'Action de mars. Postface à la "Lettre ouverte à Lénine", J.Barrot, D.Authie, La Gauche communiste en Allemagne ,1918-1921, Payot, 1976 (in italiano La salamandra 1980) 52) Collectif KAPD : op. cit. 53) "Quello che diciamo, ha detto al III Congresso del Comintern., Il ka-pista Appel rispondendo ad un attacco di Radek, non è nato nei Paesi Bassi, nel cervello del compagno Gorter, ma attraverso l’esperienze di lotta che abbiamo condotto fin dal 1919. "(Cfr. Authier raccolta) 54) Si assegna un ruolo di "lavoro di educazione rivoluzionaria su larga scala", il KAPD, tenendo conto, delle rivendicazioni parziali, proponeva di "espandere i movimenti di questo tipo, chiamare alla solidarietà e esacerbare le lotte in modo da renderle rivoluzionarie" (cfr. "Tesi 10 e 11 sul ruolo del partito ... ", presentato al III Congresso in Invariance, No. 8). 55) A. Pannekoek, in De Nieuwe Tijd, 1921 56) J.Barrot, D.Authie, La Gauche communiste en Allemagne ,1918-1921, Payot, 1976 57) l'Unionista Wülfrath, in Ausserordentlicher offentlicher Parteitag des KAPD (11-13 sept. 1921) (dact., BDlC-Nanterre, f° 107-112); il comitato centrale della KAPD, che aveva le sue ragioni, vedeva al contrario L’Opposizone operaia come un movimento di massa (cf. In Invariance, 7); Une IVe Internationale ou une réplique de la IIIe?, Bilan, 1934. 58) Collectif KAPD : Vier Führer, Proletarier, 1921; Questo testo di riflessione sul congresso si concentra su questo aspetto: "Il discorso dei leader russi parla solo di forze materiali, economiche, ma rimase in silenzio sulle forze vive", i "cuori e le menti dei lavoratori paralizzati dalle loro organizzazioni, partiti politici e sindacati." 59) An die Mitglieder der KAPD, Offener Brief der EKKI, Hambourg, 1921. 60) KAI, in Invariance, 7 61) Die KAI. Räte-Internationale oder Führer-Internationale?, Berlin, 1922 62) K.Marx, circolare al consiglio generale dell’AIT (1870) 63) H.Gorter, discorso citato, nota 24 64) H. Canne Meijer: Le problème du socialisme, Internationalisme, 1948 65) J.T. Murphy: The Workers' Committee, Sheffield, 1918. 66) J. Klugmann : History of the CP of G.B., Londres, 1964 67) Di qui le note tristi che Gorter scrive per la lettera aperta 68) David Mitchell : Les Pankhurst. L'ascension du féminisme, Genève, 1971

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Risposta a Lenin (1920) Hermann Gorter

Premessa Vorrei attirare la vostra attenzione, compagno Lenin, la vostra e quella del compagno lettore, sul fatto che questo opuscolo è stato scritto durante la marcia vittoriosa dei russi su Varsavia. Vorrei anche scusarmi con voi e con il lettore per le numerose ripetizioni. PoichÊ la tattica dei "sinistri" è sconosciuta agli operai di quasi tutti i paesi, non ho potuto evitare le ripetizioni. H. G.

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Masse e capi

Caro compagno Lenin,

ho letto il vostro opuscolo sull'estremismo nel movimento comunista. Ne ho tratto molti insegnamenti, come da tutte le vostre opere. Ve ne sono riconoscente, insieme, certamente, a molti altri compagni. Molte tracce e molti germi di questa malattia infantile che, senza dubbio, si trovavano anche in me, sono stati scacciati e certamente lo saranno ancor più nel futuro. La stessa cosa può essere affermata per quello che voi dite sulla confusione che la rivoluzione ha causato in molte teste: si tratta d'un giudizio giustissimo. Lo so: la rivoluzione è arrivata così improvvisa e così imprevista! La vostra opera sarà per me un nuovo stimolo a far dipendere sempre e innanzitutto il mio giudizio su tutte le questioni tattiche, ivi compresa quelle della rivoluzione, soltanto dalla situazione reale, dai rapporti di forza reali tra le classi, quali si manifesteranno politicamente ed economicamente.

Dopo avere letto il vostro opuscolo, ho pensato: tutto questo è giusto. Ma quando, a testa riposata, mi sono domandato a lungo se ora avrei dovuto smettere di sostenere questa sinistra e di scrivere articoli per il KAPD e per il partito dell'opposizione in Inghilterra, sono stato costretto a rispondere negativamente.

Ciò sembra contradditorio. Ma la contraddizione deriva, compagno, dal fatto che il vostro punto di partenza nell'opuscolo non è giusto. Avete torto, secondo me, per quanto riguarda il parallelismo tra la rivoluzione nell'Europa dell'ovest e la rivoluzione russa, per quanto riguarda le condizioni della rivoluzione nell'Europa dell'ovest, in altri termini per quanto riguarda il rapporto di forza tra le classi; a causa di ciò, voi non conoscete il terreno di sviluppo della sinistra, dell'opposizione. E quindi l'opuscolo appare corretto se si adotta il vostro punto di partenza; se lo si respinge (ed è quello che si deve fare), allora l'intero opuscolo è falso. Poiché tutti i giudizi che voi date, gli uni erronei, gli altri radicalmente falsi, confluiscono nella condanna del movimento di sinistra, particolarmente in Germania e in Inghilterra, e poiché io, pur senza essere d'accordo su tutti i punti con questo movimento, come sanno i suoi capi, resto pienamente deciso a difenderlo, credo di agire nel modo migliore rispondendo al vostro opuscolo con una difesa della sinistra. Ciò mi darà l'occasione non soltanto di rivelare il suo terreno di sviluppo, di provare il suo diritto all'esistenza e le sue attuali caratteristiche, qui nell'Europa dell'Ovest, nella fase attuale, ma anche - e questo è forse anche importante - di combattere le rappresentazioni capovolte che prevalgono in merito alla rivoluzione europeo-occidentale, soprattutto in Russia. L'una e l'altra cosa hanno la loro importanza; sia la tattica europeo-occidentale che quella russa dipendono dalla concezione della

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rivoluzione nell'Europa occidentale. Avrei volentieri eseguito questo compito al congresso di Mosca, ma non sono stato in condizioni di parteciparvi.

In primo luogo devo rifiutare due delle vostre critiche che possono fuorviare l'opinione dei compagni e dei lettori. Voi parlate con ironia e con sarcasmo dell'inerzia ridicolmente puerile di questa lotta in Germania a proposito di "dittatura dei capi o delle masse", "del vertice o della base", ecc.

Che problemi del genere non dovrebbero esistere, siamo perfettamente d'accordo. Ma non siamo d'accordo con l'ironia. Perché, disgraziatamente, si tratta di questioni ancora aperte nell'Europa occidentale. In effetti noi abbiamo in Europa occidentale, in molti paesi ancora, dei capi uguali a quelli che c'erano nella Seconda internazionale, siamo ancora alla ricerca di veri capi che non cercano di dominare le masse e non le tradiscono; fino a quando non li avremo, vogliamo che tutto si faccia dal basso verso l'alto, e attraverso la dittatura delle masse stesse. Piuttosto che avere in montagna una guida che mi conduce nell'abisso, preferisco non averne. Quando avremo trovato i veri capi, potrà cadere questa ricerca. Perché allora massa e capo saranno tutt'uno. È questo, e nient'altro, che vogliamo dire, noi, la sinistra tedesca e quella inglese.

E la stessa cosa vale anche per la vostra seconda critica, in base alla quale il capo deve formare con la massa e la classe un tutto omogeneo. Noi siamo completamente d'accordo. C'è solo il problema di trovare e di educare capi simili, che siano veramente uniti alla massa. Trovarli ed educarli, è una cosa che le masse, i partiti politici e i sindacati potranno fare soltanto con una lotta estremamente difficile condotta anche al proprio interno. Ciò vale anche per quanto concerne la disciplina di ferro e il centralismo rafforzato. Noi vogliamo tutto questo ma soltanto dopo aver trovato i veri capi, e non prima. Su questa durissima battaglia che viene attualmente condotta, con il massimo sforzo, in Germania e in Inghilterra, la vostra ironia non può che avere un'influenza nefasta. Con questo sarcasmo voi fate il gioco degli elementi opportunisti della Terza Internazionale. Perché è proprio uno dei mezzi con i quali alcuni elementi della Lega di Spartaco e del BSP in Inghilterra, e anche dei partiti comunisti di numerosi altri paesi, riescono ad ingannare gli operai dicendo loro che tutta la questione della massa e del capo è un non-senso, "è assurda e puerile". Con questa frase della disciplina di ferro e della centralizzazione, essi schiacciano l'opposizione. Voi mascherate il lavoro degli elementi opportunisti.

Non dovete fare questo, compagno. In Europa occidentale siamo ancora nello stadio della preparazione. Si dovrebbe sostenere quelli che lottano e non quelli che comandano. Ma questo lo dico solo en passant. Vi ritornerò sopra ancora nel corso della mia lettera. Esiste una ragione più profonda per la quale non posso essere d'accordo con il vostro opuscolo. È la

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seguente: quando noialtri, marxisti dell'Europa occidentale, leggiamo i vostri opuscoli, i vostri studi e i vostri libri, c'è, in mezzo all'ammirazione e al consenso per tutto quanto avete scritto, un momento in cui quasi sempre diventiamo molto prudenti nella lettura, un momento sul quale attendiamo chiarimenti più dettagliati e successivamente, non avendo trovato questi chiarimenti, non accettiamo le vostre tesi senza grosse riserve. È il punto nel quale parlate degli operai e dei contadini poveri, ne parlate molto, molto spesso. E sempre parlate di queste due categorie come di fattori rivoluzionari nel mondo intero. E mai, stando almeno a quanto io ho letto, fate emergere chiaramente e distintamente la grandissima differenza che esiste in questo campo tra la Russia da un lato (e alcuni paesi dell'Europa orientale) e, dall'altro lato, l'Europa dell'ovest (vale a dire la Germania, la Francia, l'Inghilterra, il Belgio, l'Olanda, la Svizzera e i paesi scandinavi, forse anche l'Italia). E pertanto, secondo me, la base materiale delle divergenze di valutazione che vi separano da quella che viene chiamata la sinistra in Europa occidentale, per quanto concerne la tattica nelle questioni sindacale e parlamentare, sta proprio nella differenza che esiste, su tale punto, tra la Russia e l'Europa dell'ovest.

Conoscete bene, naturalmente, quanto me, questa differenza, ma non ne avete tratto le conclusioni per quanto riguarda la tattica in Europa occidentale, stando almeno a quanto ho letto dei vostri scritti. Avete trascurato di esaminare queste conclusioni e, a causa di ciò, il vostro giudizio sulla tattica in Europa occidentale è sbagliato.

Ciò è stato e resta tanto più pericoloso in quanto ovunque, in Europa occidentale, quella vostra frase è ripetuta meccanicamente in tutti i partiti comunisti, anche da parte di marxisti. Sembrerebbe addirittura, stando ai giornali, riviste e opuscoli comunisti e alle riunioni pubbliche, che, all'improvviso, è imminente in Europa occidentale una rivolta dei contadini poveri. Non si fa notare la grande differenza con la Russia. E di conseguenza il giudizio è falsato, così come è fuorviato il proletariato. Giacché voialtri in Russia avete una immensa classe di contadini poveri e avete vinto con il loro aiuto, presentate le cose come se in Europa occidentale anche noi avremo, in prospettiva, lo stesso aiuto. E giacché voialtri in Russia avete vinto con quell'aiuto, presentate le cose come se soltanto con questo aiuto si possa vincere anche qui. Con il vostro silenzio su questa questione per quel che riguarda l'applicazione di tale tattica all'Europa occidentale, voi presentate le cose come le ho ora esposte, e tutta la vostra tattica scaturisce da questa concezione.

Ma tale concezione non è veritiera. Esiste una formidabile differenza tra la Russia e l'Europa occidentale. In linea generale, l'importanza dei contadini poveri come fattore rivoluzionario, diminuisce passando dall'est all'ovest. In Asia, in Cina e in India, questa classe sarebbe assolutamente determinante se dovesse scoppiare una rivoluzione. In Russia rappresenta per la

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rivoluzione un fattore indispensabile ed essenziale. In Polonia e in qualche altro Stato dell'Europa meridionale e centrale, costituisce ancora un atout importante per la rivoluzione, ma poi, più si va verso l'ovest e più la si vede ergersi ostile di fronte alla rivoluzione.

La Russia aveva un proletariato industriale di sette-otto milioni di operai. Ma i contadini poveri erano circa 25 milioni (mi scuserete le eventuali inesattezze nelle cifre perché ho dovuto basarmi sulla memoria del momento che la lettera era urgente). Quando Kerenskij si rifiutò di dare la terra ai contadini poveri, voi sapevate che costoro sarebbero venuti per forza dalla vostra parte, non appena avessero preso coscienza della situazione. Questo non è e non sarà il caso dell'Europa occidentale; una situazione simile non esiste nei paesi dell'Europa occidentale che ho citato.

La situazione dei contadini poveri nell'Europa occidentale è completamente diversa da quella della Russia. Benché sia a volte terribile, non lo è da noi altrettanto che da voi. Qui i contadini poveri possiedono un pezzetto di terra come agricoltori o come proprietari. I mezzi di circolazione assai sviluppati consentono ad essi di vendere spesso qualche cosa. Nelle circostanze più difficili hanno spesso di che nutrirsi. Gli ultimi decenni hanno apportato loro qualche miglioramento. Essi ora sono in grado di esigere alti prezzi in periodi di guerra e di dopoguerra. Sono indispensabili perché i generi alimentari possono essere importati soltanto in proporzione assai ridotta. Possono perciò mantenere alti i prezzi. Sono sostenuti dal capitalismo. Il capitale li sosterrà fino all'ultimo. La situazione dei contadini poveri da voi era molto più terribile. A causa di essa, da voi, i contadini poveri avevano anche loro un programma politico rivoluzionario ed erano organizzati in un partito rivoluzionario, nel partito dei socialisti rivoluzionari. Qui non c'è neanche un caso del genere. E oltre a questo, esisteva in Russia una enorme quantità di beni che potevano essere ridistribuiti, grandi proprietà fondiarie, beni della corona, terre demaniali, beni monastici. Ma che cosa i comunisti dell'Europa occidentale possono offrire ai contadini poveri per portarli alla rivoluzione, per legarseli?

C'erano in Germania (prima della guerra) quattro-cinque milioni di contadini poveri (con un massimo di due ettari di terra). Viceversa soltanto otto-nove milioni di ettari venivano sfruttati razionalmente da grandi aziende (con più di 100 ettari). Se i comunisti dividessero tutto ciò i contadini poveri continuerebbero ad essere contadini poveri, perché sette-otto milioni di operai agricoli vorrebbero avere anch'essi qualche cosa. Ma non potrebbero neanche dividerle tutte perché le conserverebbero per una coltivazione di tipo moderno (Le tesi di Mosca sulla questione agraria lo confermano). Quindi i comunisti in Germania non hanno alcun mezzo, a parte alcuni territori relativamente piccoli, per attirare a sé i contadini poveri. Infatti le aziende medie e piccole non saranno certamente espropriate. Del tutto analoga è la situazione dei quattro-cinque milioni di contadini

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poveri della Francia; lo stesso vale per la Svizzera, il Belgio, l'Olanda e in due paesi scandinavi (per la Svezia e la Spagna non possiedo alcun dato statistico. Ovunque dominano le aziende piccole e medie. E anche in Italia la questione è ancora da valutare bene. Per non citare l'Inghilterra dove non ci saranno più di cento o duecentomila contadini poveri.

Le cifre dimostrano che nell'Europa occidentale esiste un numero relativamente piccolo di contadini poveri. Di conseguenza le truppe ausiliare, seppure esistessero, sarebbero di scarsissima consistenza. D'altra parte la promessa che, in regime comunista, i contadini non dovrebbero pagare canoni di affitto e rendite ipotecarie non può allettarli dal momento che con il comunismo essi vedono arrivare la guerra civile, la scomparsa dei mercati e la devastazione. I contadini poveri dell'Europa occidentale, a meno che non giunga una crisi molto più terribile di quella attualmente esistente in Germania, una crisi che per il suo carattere disastroso superi tutte quelle che l'hanno preceduta, resteranno dunque con il capitalismo fino a quando quest'ultimo avrà un filo di vita. Gli operai dell'Europa occidentale sono completamente soli. Infatti soltanto uno strato molto esiguo della piccola borghesia povera li aiuterà. E quest'ultima è economicamente insignificante. Gli operai dovranno portare da soli il peso della rivoluzione. Ecco la grande differenza con la Russia. Forse, compagno Lenin, direte che questo era anche il caso della Russia. Anche in Russia il proletariato ha fatto da solo la rivoluzione. È soltanto dopo la rivoluzione che sono venuti i contadini poveri. Ciò è vero, ma la differenza resta formidabile. Voi sapevate, compagno Lenin, che i contadini sarebbero sicuramente e presto venuti dalla vostra parte. Sapevate che Kerenskij non poteva né voleva dare loro la terra. Sapevate che non avrebbero sostenuto Kerenskij per molto tempo. Avevate la parola d'ordine "la terra ai contadini" con la quale potevate rapidamente trascinarli, in pochi mesi, dalla parte del proletariato. Noialtri, invece, siamo sicuri che ovunque, nei limiti del prevedibile e sul continente dell'Europa occidentale, i contadini sosterranno il capitalismo. Voi forse direte che senza dubbio nella Germania non esiste una grande massa di contadini poveri pronta ad aiutarci, ma che migliaia di proletari attualmente ancora legati alla borghesia, verranno certamente dalla nostra parte. E che di conseguenza il posto dei contadini poveri russi, da noi sarà preso dai proletari. In tal modo giungeranno egualmente dei rinforzi. Questa concezione è ugualmente erronea nel suo insieme. La differenza con la Russia resta enorme. Infatti i contadini russi sono venuti dalla parte del proletariato dopo la vittoria sul capitalismo. Ma quando gli operai tedeschi, ancora influenzati dal capitalismo, verranno al comunismo, allora la lotta contro il capitalismo comincerà per davvero.

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Per il fatto che c'erano contadini poveri, a causa di ciò e soltanto di ciò, i compagni russi hanno vinto. E la vittoria si è consolidata e rafforzata dal giorno in cui i contadini hanno cambiato posizione. Dal fatto che gli operai tedeschi sono collocati ancora nelle file del capitalismo, non se ne può trarre alcunché di utile per la vittoria, e quando essi passeranno a noi, allora la vera battaglia sarà solo all'inizio. La rivoluzione russa è stata terribile per il proletariato durante i lunghi anni della sua preparazione. Precaria resta anche ora dopo la vittoria. Ma essa era facile nel momento stesso in cui aveva luogo, proprio a causa dei contadini. Da noi è tutto diverso; è proprio il contrario. Nella fase preparatoria, la rivoluzione è facile, e dopo sarà facile. Ma la rivoluzione nel suo attuarsi sarà terribile. Probabilmente più terribile di qualsiasi precedente rivoluzione giacché il capitalismo, che era debole da voi, che dominava soltanto da poco la feudalità, il medioevo e la barbarie, da noi è forte, potentemente organizzato e solidamente radicato. Quanto agli strati inferiori delle classi medie, quanto ai piccoli contadini e ai contadini poveri, questi elementi che stanno sempre dalla parte del più forte, sosterranno il capitalismo fino alla sua fine definitiva, all'eccezione di uno strato esiguo senza importanza economica. La rivoluzione in Russia ha vinto con l'aiuto dei contadini poveri. Ciò deve essere ricordato qui, in Europa occidentale e ovunque nel mondo. Ma gli operai nell'Europa occidentale sono soli. Non si deve mai dimenticare questo in Russia. Il proletariato in Europa occidentale è solo. Ecco la verità. E su ciò, su questa verità, deve essere basata la nostra tattica. Ogni tattica che non è basata su tale verità, è sbagliata e conduce il proletariato a gravi disfatte. Anche la pratica dimostra la veridicità di questa affermazione. In effetti non soltanto i contadini dell'Europa occidentale non hanno programma e non rivendicano la terra, ma, ora che il comunismo si avvicina, essi non si muovono per niente. Ma naturalmente questa affermazione non deve essere presa in senso assoluto. Esistono, come ho già detto, alcuni territori dell'Europa occidentale in cui domina la grande proprietà e in cui, di conseguenza, è possibile trovare tra i contadini degli alleati del comunismo. Esistono altri territori in cui, a causa delle circostanze locali, ecc., i contadini potranno essere conquistati. Ma questi territori sono relativamente poco numerosi. Il senso della mia affermazione non è neanche quello per cui perfino nella fase finale della rivoluzione, quando tutto sprofonda, nessun contadino verrà dalla nostra parte. Ma noi dobbiamo determinare la nostra tattica considerando l'inizio e lo sviluppo della rivoluzione. Dunque il modo di essere e la tendenza generale delle circostanze sono, nella situazione specifica, quelle che ho detto. Ed è su di esse soltanto che si può e si deve basare una tattica (Voi, compagno, non cercherete certamente di vincere una battaglia prendendo in considerazione le affermazioni dei vostri avversari in un senso assoluto come fanno gli spiriti meschini. La mia osservazione è dunque destinata soltanto a questi ultimi).

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Ne consegue in primo luogo - e ciò deve essere detto insistentemente e chiaramente - che nell'Europa occidentale la vera rivoluzione, vale a dire il rovesciamento del capitalismo così come la costruzione e il mantenimento stabile del comunismo è attualmente possibile soltanto nei paesi in cui il proletariato da solo è abbastanza forte nel confronto con tutte le altre classi, e chiunque in Germania, in Inghilterra, e in Italia, giacché là è possibile l'aiuto dei contadini poveri. Con la propaganda, l'organizzazione e la lotta. La rivoluzione stessa non potrà aver luogo se non quando l'economia sarà stata talmente rovinata dalla rivoluzione negli Stati più grandi (Russia, Germania, Inghilterra) che le classi borghesi saranno sufficientemente indebolite. Voi sicuramente mi concederete che non possiamo mettere a punto la nostra tattica basandoci su avvenimenti che forse accadranno (aiuto dell'esercito russo), insurrezione indiana, crisi terribile senza precedenti, ecc.). Che voi non abbiate dunque visto questa verità sul ruolo dei contadini poveri, costituisce il vostro grande errore, compagno. Ed è lo stesso errore dell'esecutivo di Mosca e del congresso internazionale.

Andiamo oltre. Che cosa significa attualmente, dal punto di vista della tattica, in questo isolamento del proletariato occidentale (così differente dalla situazione del proletariato russo), il fatto che esso non può aspettarsi un aiuto da nessuna parte, da nessun'altra classe? Ciò significa che da noi gli sforzi richiesti alle masse dalla situazione sono ancora più grandi rispetto alla Russia. E, in secondo luogo, che l'importanza dei capi è proporzionalmente più piccola. Si trovano davanti ad un capitalismo molto più forte di quello che hanno avuto di fronte i russi, e sono senza armi. I russi erano armati. Infatti le masse russe, i proletari, prevedevano con sicurezza e constatavano già durante la guerra - in parte sotto i loro occhi - che i contadini si sarebbero schierati dalla loro parte. I proletari tedeschi, per non parlare che di loro, sanno di aver contro tutto il capitalismo tedesco con tutte le classi. I proletari tedeschi, senza dubbio, erano, già prima della guerra, dai 19 ai 20 milioni su una popolazione di 70 milioni di persone. Ma essi sono soli di fronte a tutte le altre classi.

La rivoluzione esige dunque da ogni proletario tedesco, da ogni individuo, ancora più coraggio e spirito di sacrificio di quanto ne ha chiesto ai russi. Ciò deriva dai rapporti economici, dai rapporti di classe in Germania, e non da una qualunque teoria o fantasia di rivoluzionari romantici o di intellettuali. Nella misura in cui l'importanza della classe aumenta, si riduce in proporzione l'importanza dei capi. Ciò non vuol dire che non dobbiamo avere i migliori capi possibili: i migliori tra i migliori non

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sono ancora abbastanza buoni e noi li stiamo proprio cercando. Ciò significa soltanto che rispetto all'importanza delle masse, quella dei capi diminuisce.

Se, come avete fatto voi, si deve conquistare con sette o otto milioni di proletari un paese di centosessanta milioni di abitanti, allora sì che l'importanza dei capi è enorme. Infatti per vincere con così pochi uomini un numero talmente grande, occorre dare un posto preminente alla tattica. Quando, come avete fatto voi, compagni, si conquista con una truppa talmente ridotta, ma con un appoggio ausiliario, un paese tanto grande, allora, quello che conta è, innanzitutto, la tattica del capo. Quando avete iniziato la lotta, compagno Lenin, con quel piccolo esercito di proletari, è stata soprattutto la vostra tattica che, al momento propizio, ha scatenato le battaglie e conquistato i contadini poveri. Ma in Germania? Là la tattica più intelligente, la massima chiarezza di idee, il genio stesso del capo non è l'essenziale, né il fattore principale. Là, inesorabilmente, le classi sono schierate: una ha contro tutte le altre. Là il proletariato deve decidere da solo, come classe. Con la sua potenza, con il suo numero. Ma la sua potenza, di fronte a un nemico tanto formidabile e a una superiorità di organizzazione e di armamento tanto schiacciante, è fondata soprattutto sulla sua qualità.

Voi eravate schierati davanti alle classi possidenti russe come David davanti a Golia. David era piccolo ma aveva un'arma sicuramente mortale. Il proletariato tedesco, inglese, europeooccidentale è di fronte al capitalismo come un gigante di fronte a un gigante. Per esso tutto dipende dalla propria forza. La forza del corpo e soprattutto quella dello spirito.

Non avete osservato, compagno Lenin, che non esistono dei "grandi" capi in Germania? Si tratta sempre di uomini ordinari. Ciò dimostra già che questa rivoluzione deve essere innanzitutto opera delle masse e non dei capi. Dal mio punto di vista, sarà qualcosa di grandioso, di più grande di qualsiasi cosa sia mai avvenuta fino ad oggi. E sarà un'indicazione di quello che sarà il comunismo. Questo accadrà in Germania, questo accadrà anche in tutta l'Europa occidentale. Infatti ovunque il proletariato è solo. Sarà la rivoluzione delle masse, non perché è bene o bello, o ben ideato da qualcuno, ma perché la cosa è condizionata dai rapporti economici e di classe. (Trascuro qui che, a causa di questa differenza di rapporto numerico (20 milioni su 70 milioni in Germania) l'importanza della massa e dei capi e il rapporto tra masse, partito e capi, anche durante e alla fine della rivoluzione, saranno diversi dalla Russia. Uno sviluppo di questa questione, che di per sé è estremamente importante, mi porterebbe ora troppo lontano).

Da questa differenza tra Russia ed Europa occidentale scaturisce quanto segue:

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1) Quando voi, o l'esecutivo di Mosca, o i comunisti opportunisti occidentali della Lega di Spartaco o quelli del PC d'Inghilterra che sono d'accordo con voi, dite che una lotta sulla questione capo o masse è un non-senso, non soltanto avete torto di fronte a noi che cerchiamo ancora un capo, ma avete torto perché questa questione ha, da noi, un'importanza completamente diversa rispetto a quanto possa avere da voi. 2) Quando venite a dirci: capo e massa devono formare un tutt'uno, non vi sbagliate soltanto perché noi cerchiamo proprio di arrivare a questa unità, ma anche perché questa ha da noi una importanza maggiore rispetto a quanto possa avere da voi. 3) Quando venite a dirci: deve esserci nel partito comunista una disciplina di ferro e una centralizzazione assoluta, militare, non vi sbagliate soltanto in quanto noi cerchiamo effettivamente di arrivare ad una disciplina di ferro e a una forte centralizzazione, ma in quanto questa questione ha, da noi, un significato diverso rispetto a quanto possa avere da voi. 4) Quando venite a dirci: in Russia abbiamo agito in questa o quella maniera (per esempio dopo l'offensiva di Kornilov o in occasione di un altro episodio), in questo o quel periodo noi partecipavamo al parlamento, oppure restavamo nei sindacati, dovete sapere che ciò non vuol dire assolutamente nulla e non implica per niente che tale tattica possa o debba essere applicata qui, giacché i rapporti di classe nell'Europa occidentale, nella lotta e nella rivoluzione, sono completamente diversi da quelli russi. 5) Quando voi, o l'esecutivo di Mosca, o i comunisti opportunisti dell'Europa occidentale, pretendete di imporci una tattica che era perfettamente giusta in Russia - per esempio una tattica basata e calcolata coscientemente o incoscientemente sul fatto che i contadini poveri o altri strati di lavoratori si sarebbero presto schierati dalla vostra parte, sul fatto che, in altri termini, il proletariato non era solo, ebbene, questa tattica che ci prescrivete e che è anche applicata da noi, può condurre il proletariato occidentale soltanto alla sua perdita e a disfatte terribili. 6) Quando voi, o l'esecutivo di Mosca, o gli elementi opportunisti dell'Europa occidentale, quali la centrale della Lega di Spartaco in Germania e il BSP in Inghilterra, volete imporci qui, nell'Europa occidentale, una tattica opportunista (l'opportunismo ha sempre come base degli elementi estranei pronti in qualsiasi momento ad abbandonare il proletariato), commettete uno sbaglio. L'isolamento, la mancanza di rinforzi in prospettiva e, di conseguenza, la maggiore importanza della massa e la minore importanza relativa dei capi, ecco le basi generali sulle quali deve fondarsi la tattica nell'Europa occidentale. Queste basi, né Radek, quando era in Germani, né l'esecutivo dell'Internazionale di Mosca, né voi stesso, se devo stare ai vostri scritti, le avete comprese. Su queste basi (l'isolamento del proletariato e la predominanza delle masse e degli individui) riposa la tattica del KAPD, del partito comunista di Sylvia Pankhurst (almeno sino ad oggi) e della maggioranza del Bureau di Amsterdam dell'IC che è stato nominato a Mosca.

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Per queste ragioni essi tentano soprattutto di elevare le masse come unità e come somma di individui, a un grado molto più alto di maturazione, di educare i proletari, uno ad uno, per farne dei lottatori rivoluzionari mostrando ad essi con chiarezza (non soltanto con la teoria, ma soprattutto con la pratica) che tutto dipende dalle proprie forze, che essi non devono attendersi nulla dall'aiuto esterno di altre classi, e poco soltanto dai loro capi. Teoricamente, dunque, se non si tiene esageratamente conto dei pettegolezzi e delle questioni personali, dei dettagli e delle aberrazioni, come quelle di Wolfheim e di Laufenberg, che sono inevitabili all'inizio di un movimento, la concezione dei partiti e dei compagni prima indicati è del tutto giusta e la vostra offensiva è sbagliata da cima a fondo (Mi ha colpito che nella vostra polemica utilizzate quasi sempre opinioni personali dell'avversario e non le sue posizioni ufficiali).

Se si va dall'est all'ovest dell'Europa, si attraversa, ad un certo punto, una frontiera economica. Questa è tracciata dal Baltico al Mediterraneo, all'incirca da Danzica a Venezia. È la linea di divisione di due mondi. Ad ovest di questa linea il capitale industriale, commerciale e bancario, unificato nel capitale finanziario sviluppato al massimo grado, domina in modo quasi assoluto. Lo stesso capitale è altamente organizzato e si concentra nei più solidi governi e Stati di tutto il mondo. Ad est di questa linea non esiste né questo immenso sviluppo del capitale concentrato dell'industria, del commercio, dei trasporti, delle banche, né il suo dominio quasi assoluto, né, di conseguenza, lo Stato moderno solidamente edificato.

Sarebbe quindi un miracolo se la tattica del proletariato rivoluzionario all'ovest di questa frontiera fosse la stessa che all'est.

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La questione sindacale

Dopo aver fissato queste basi teoriche generali voglio ora tentare di dimostrare anche nell'applicazione alle questioni particolari che la sinistra in Germania e in Inghilterra ha, generalmente, ragione. In particolare nelle questioni sindacale e parlamentare. Innanzitutto vediamo la questione dei sindacati.

"Così come il parlamentarismo esprime il potere intellettuale dei capi sulle masse operaie. Il movimento sindacale incarna il loro dominio materiale. I sindacati costituiscono, in regime capitalista, le organizzazioni naturali per l'unificazione del proletariato, e a tale titolo Marx, fin dall'inizio, ha fatto emergere la loro importanza. Nel capitalismo sviluppato e a maggior ragione nell'epoca imperialista, i sindacati sono diventati sempre di più delle associazioni gigantesche che rivelano la stessa tendenza di sviluppo mostrato in altri tempi dall'apparato statale borghese. In quest'ultimo si è formata una classe di impiegati, una burocrazia che dispone di tutti gli strumenti di governo dell'organizzazione (denaro, stampa, designazione dei sottoposti); spesso le prerogative dei funzionari si estendono ancora più oltre in modo che, da servitori della collettività, essi diventano i padroni e s'identificano con l'organizzazione. I sindacati convergono anch'essi con lo Stato e con la sua burocrazia in quanto, malgrado la democrazia che dovrebbe regnarvi, pongono i loro membri in una situazione in cui non possono far prevalere la loro volontà contro il funzionarismo; contro l'apparato abilmente allestito con regolamenti e statuti, qualsiasi ribellione si spezza prima che possa distruggere le alte sfere.

"È soltanto con una lunga perseveranza, a tutta prova, che un'organizzazione perviene qualche volta, dopo anni, a un relativo successo, dovuto generalmente a un cambiamento di persone. In questi ultimi anni, prima della guerra e dopo, si è così arrivati - in Inghilterra, in Germania, in America - a delle rivolte di militanti che fanno degli scioperi di loro propria iniziativa, contro la volontà dei capi e contro le risoluzioni dell'associazione stessa. Che una cosa del genere possa succedere del tutto naturalmente, e apparire come tale, dimostra che l'organizzazione, lungi dall'essere la collettività dei membri, si presenta come un qualcosa di completamente estraneo. Gli operai non sono sovrani nella loro associazione, ma sono da essa dominati come da una forza estranea contro cui possono ribellarsi, benché questa forza estranea sia uscita da loro stessi. Ecco un altro punto in comune con lo Stato. Poi, quando la ribellione si calma, la vecchia direzione torna in sella e sa mantenersi nonostante l'odio e l'amarezza impotente delle masse perché si appoggia sull'indifferenza e sulla mancanza di chiaroveggenza, di volontà omogenea e di perseveranza di queste masse, e perché si basa sulla necessità intrinseca di un sindacato come unico mezzo che hanno gli operai di trovare, nell'unificazione, le forze per battersi contro il capitale.

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"Lottando contro il capitale, contro le tendenze del capitale assolutiste e generatrici di miseria, limitando queste tendenze e rendendo di conseguenza possibile l'esistenza della classe operaia, il movimento sindacale ha scelto di adempiere ad un compito nel capitalismo ed è diventato lui stesso, per questa via, un elemento della società capitalistica. Ma dal momento che la rivoluzione ha inizio, il proletariato in quanto da membro della società capitalistica si tramuta nel suo distruttore, cozza contro il sindacato come contro un ostacolo.

"Quello che Marx e Lenin hanno detto a proposito dello Stato: e cioè che la sua organizzazione, con tutto quel che può contenere di democrazia formale, lo rende inidoneo a servire come strumento per la rivoluzione proletaria, vale dunque anche per le organizzazioni sindacali. La loro potenza controrivoluzionaria non può essere annientata, Né attenuata con un cambiamento di persone, con la sostituzione dei capi reazionari con uomini di sinistra o con rivoluzionari.

"È la stessa forma organizzativa che rende le masse pressocché impotenti e che non consente loro di fare del sindacato uno strumento obbediente alla loro volontà. La rivoluzione può vincere soltanto distruggendo questo organismo, vale a dire rovesciando da cima a fondo questa forma organizzativa affinché ne esca qualcosa di completamente diverso. "Il sistema del consigli, con il suo specifico sviluppo, è capace di sradicare e non soltanto di far sparire la burocrazia statale, ma anche la burocrazia sindacale, non soltanto di formare i nuovi organi politici del proletariato contro il capitalismo, ma anche le basi dei nuovi sindacati. Durante le discussioni nel partito in Germania, si è voluto prendere in giro chi affermava che una forma di organizzazione possa essere rivoluzionaria col pretesto che tutto dipendeva soltanto dalla coscienza rivoluzionaria degli uomini, degli aderenti. Ma se il contenuto essenziale della rivoluzione consiste nel fatto che le masse prendono nelle loro mani la direzione dei loro affari, la direzione della società e della produzione, occorre conseguentemente dire che qualsiasi forma organizzativa che non permette alle masse di dominare e di dirigere se stesse è controrivoluzionaria e nociva; per questa ragione deve essere sostituta con un'altra forma organizzativa che è rivoluzionaria per il fatto che questa permette agli operai stessi di decidere attivamente su tutto! (Anton Pannekoek).

I sindacati, per loro natura, non sono armi buone per la rivoluzione nell'Europa occidentale. Anche se non fossero diventati strumenti del capitalismo, se non fossero nelle mani dei traditori e se nelle mani di qualunque capo si preferisca - non fossero, per loro natura, destinati a fare dei loro membri degli schiavi e degli strumenti passivi, essi, cionondimeno, sarebbero inutilizzabili.

I sindacati sono troppo deboli per la lotta, per la rivoluzione contro il capitale organizzato al livello più alto quale è quello dell'Europa occidentale, e contro il suo Stato. L'uno e l'altro sono ancora

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troppo potenti per i sindacati. I sindacati sono ancora in parte delle associazioni di mestiere e basterebbe questo fatto a impedire loro di fare la rivoluzione. E nella misura in cui sono associazioni di categoria, non si appoggiano direttamente sulle fabbriche, sulle officine, e ciò provoca la loro debolezza. Infine, sono più delle società di mutuo soccorso - prodotto dell'epoca piccolo-borghese - che dei raggruppamenti di lotta.

La loro organizzazione era già sufficiente per la lotta prima che la rivoluzione non fosse alle porte; per la rivoluzione nell'Europa occidentale tale organizzazione è inidonea a qualsiasi servizio. Infatti le fabbriche, gli operai delle fabbriche, non fanno la rivoluzione nelle associazioni di mestiere o di categoria, ma nelle officine. Per giunta i sindacati sono organi dal lavoro lento, estremamente complicati, buoni soltanto per i periodi di evoluzione . Ed è con questi miserabili sindacati i quali, come si è visto, devono in ogni caso essere distrutti, che si vuol fare la rivoluzione... Gli operai hanno bisogno di armi per la rivoluzione in Europa occidentale. Le sole armi per la rivoluzione nell'Europa occidentale sono le organizzazioni di fabbrica. Le organizzazioni di fabbrica unite in una grande unione.

Gli operai europeo-occidentali hanno bisogno delle armi migliori. Dal momento che sono soli e perché non ricevono alcun aiuto. E per questo hanno bisogno di organizzazioni di fabbrica. In Germania e in Inghilterra, immediatamente, perché là la rivoluzione è più imminente. E anche negli altri paesi al più presto possibile, non appena potremo ottenerle. Non vi serve a nulla dire, compagno Lenin, che in Russia avete agito in questo o quel modo. Infatti, innanzitutto non avevate in Russia organizzazioni così cattive come sono molti sindacati da noi. Voi avevate delle organizzazioni di fabbrica. In secondo luogo lo spirito degli operai era più rivoluzionario. In terzo luogo l'organizzazione dei capitalisti era debole. E così lo Stato. Infine, cosa fondamentale da cui tutto dipende, voi potevate ricevere un aiuto. Non avevate dunque bisogno delle armi migliori tra le migliori. Noi siamo soli e abbiamo perciò bisogno di tutte le armi migliori. Senza di esse non vinceremo e subiremo una disfatta dopo l'altra. Ma ci sono altre basi, morali e materiali, che dimostrano che noi abbiamo ragione.

Immaginatevi, compagno, la situazione esistente in Germania prima della guerra e durante la guerra: i sindacati, unici e troppo deboli strumenti, sono completamente nelle mani dei capi come delle macchine inerti; e questi capi li sfruttano a vantaggio del capitalismo. Poi viene la rivoluzione. I sindacati sono utilizzati dai capi e dalla massa dei membri come un'arma contro la rivoluzione. È con il loro aiuto, con il loro appoggio, con l'azione dei loro capi e in parte anche con quella dei loro membri, che la rivoluzione è assassinata. I comunisti vedono i loro fratelli fucilati con l'aiuto dei sindacati. Gli scioperi a favore della rivoluzione sono spezzati. Credete, compagno, che sia possibile agli operai rivoluzionari di continuare a restare in organizzazioni simili? Se per giunta

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sono anche degli oggetti troppo deboli per servire la rivoluzione! Mi sembra che sia psicologicamente impossibile. Che cosa avreste fatto voi come membro di un partito politico, del partito menscevico, per esempio, se questo si fosse comportato in quel modo nella rivoluzione? Sicuramente avreste fatto la scissione (se non l'avevate fatta prima)... Ma voi direte: si trattava di un partito politico, per un sindacato la cosa è diversa. Io credo che vi sbagliate. Nella rivoluzione, fino a quando dura la rivoluzione, ogni sindacato, perfino ogni gruppo operaio, gioca un ruolo da partito politico per o contro la rivoluzione. Ma, direte ancora - e lo dite nel vostro opuscolo - che questi moti sentimentali devono essere superati a vantaggio dell'unità e della propaganda comunista.

Vi dimostrerò che ciò era impossibile in Germania, durante la rivoluzione. Con esempi concreti. Infatti dobbiamo considerare la questione anche da un punto di vista concreto e unilaterale... Supponiamo che ci fossero in Germania 100.000 portuali, 100.000 metallurgici e 100.000 minatori veramente rivoluzionari. Essi vogliono scioperare, battersi, morire per la rivoluzione. Gli altri milioni, no. Che cosa devono fare i 300.000? Innanzitutto unirsi tra loro, formare una lega per la battaglia. Voi siete d'accordo su questo: gli operai non possono far nulla senza organizzazione. Ma una nuova lega in presenza delle vecchie associazioni equivale a una scissione reale se non formale. Anche nel caso in cui i sostenitori del nuovo raggruppamento dovessero restare membri delle vecchie organizzazioni. Ma ecco poi che i membri della nuova organizzazione hanno bisogno di una stampa, di riunioni, di locali, di funzionari retribuiti. Tutto ciò costa molto denaro. E gli operai tedeschi non possiedono quasi nulla. Per far vivere la nuova associazione essi sono obbligati, anche se non ne avessero voglia, ad abbandonare la vecchia. Considerando dunque le cose in modo concreto, quello che voi prescrivete, caro compagno, è impossibile.

Ma esistono altre e migliori ragioni materiali. Gli operai tedeschi che sono usciti dai sindacati, che vogliono distruggere i sindacati, che hanno creato le organizzazioni di fabbrica e l'Unione operaia, si sono trovati in piena rivoluzione. Bisogna lottare immediatamente. La rivoluzione era arrivata. I sindacati non vollero lottare. A che, dunque, in un momento simile mettersi a dire: restate nei sindacati, propagandate le vostre idee, perché così diventerete sicuramente i più forti e avrete la maggioranza. Tutto ciò sarebbe molto carino se non si tenesse conto che il soffocamento delle minoranze è una regola (cosa questa che la sinistra non domanderebbe di meglio che di dimostrare se soltanto ne avesse il tempo). Ma non c'era tempo da perdere. C'era la rivoluzione, e c'è ancora. Gli operai non possono sopportare sempre di essere fucilati dai sindacati e hanno bisogno di lottare.

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A causa di ciò i sinistri hanno creato l'Unione generale operaia. E poiché ritengono che la rivoluzione in Germania non sia ancora finita e che, anzi, andrà molto più lontano, fino alla vittoria, essi tengono duro. Compagno Lenin! Se nel movimento operaio si formano due tendenze opposte, può esistere una scelta diversa dalla lotta? E se questi orientamenti sono molto diversi, opposti l'uno all'altro, si può forse evitare la scissione? Conoscete forse un'altra via d'uscita? Esiste qualcosa di più contraddittorio della rivoluzione rispetto alla controrivoluzione? Per questi motivi il KAPD e l'Unione generale operaia hanno pienamente ragione.

In ultima analisi, compagno, queste scissioni, queste chiarificazioni non sono sempre state delle buone cose per il proletariato? E non ci si accorge di ciò sempre in un secondo tempo? In questo campo io ho qualche esperienza. Quando eravamo ancora nel partito socialpatriota non avevamo alcuna influenza. Quando ne siamo stati espulsi avevamo, all'inizio, poca influenza. Ma dopo cominciammo ad avere molta influenza e poi, rapidamente, moltissima influenza. E voi, voi bolscevichi, come vi siete trovati, compagno, dopo la scissione? Molto bene mi sembra. Accadde così: prima in pochi, poi in molti. Il fatto che un gruppo, inizialmente piccolo finché si vuole, si trasformi in qualcosa di grande, dipende completamente dallo sviluppo politico ed economico. Se la rivoluzione continuerà in Germania, si può sperare che l'importanza e l'influenza dell'Unione operaia diventeranno preminenti. L'Unione operaia non deve lasciarsi intimidire dai rapporti numerici: 70.000 contro 7.000.000. Gruppi più piccoli di questo sono poi diventati i più forti. E i bolscevichi sono tra questi!

Perché le organizzazioni di fabbrica e dei luoghi di lavoro, e l'Unione operaia che si basa su questa rete organizzativa e che è formata dai suoi membri, sono certamente delle armi eccellenti, insieme ai partiti comunisti? Perché sono le sole buone armi per la rivoluzione nell'Europa occidentale?

Perché in esse gli operai sono infinitamente più attivi che non nei vecchi sindacati; perché in esse gli operai hanno in mano i dirigenti e, quindi la linea politica; e perché gli operai controllano l'organizzazione di fabbrica, e, attraverso di essa, l'intera nazione.

Ogni fabbrica, ogni luogo di lavoro costituisce una unità. Nella fabbrica gli operai eleggono i loro uomini di fiducia. Le organizzazioni di fabbrica sono divise in distretti economici. Attraverso i distretti si possono ancora eleggere uomini di fiducia. E i distretti eleggono a loro volta la Direzione generale dell'Unione per l'intero Stato.

Così tutte le organizzazioni di fabbrica, senza badare a quale industria appartengono, formano insieme una sola unione operaia.

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Si tratta, come si vede, di una organizzazione completamente orientata verso la rivoluzione.

Si può constatare anche che in questo caso l'operaio, ogni operaio, ha in mano un potere. Infatti egli elegge nel suo luogo di lavoro i suoi uomini di fiducia e ha, attraverso costoro, un'influenza diretta sul distretto e sull'unione su scala nazionale. C'è una centralizzazione forte ma senza eccessi. L'individuo, con la sua organizzazione diretta, l'organizzazione di fabbrica, ha una grande potenza. Egli può revocare in qualsiasi momento i suoi uomini di fiducia, sostituirli e costringerli a sostituire immediatamente le istanze più alte. C'è individualismo ma non troppo.

Infatti le istanze centrali, i consigli regionali e il consiglio nazionale hanno una grande autorità. Individuo e direzione hanno proprio la qualità di potere che è necessario e possibile avere nell'Europa centrale, nell'attuale periodo che è quello dell'esplosione della rivoluzione.

Marx scrisse che, in regime capitalistico, il cittadino è, di fronte allo Stato, un'astrazione, una cifra. La stessa cosa può dirsi per le vecchie organizzazioni sindacali. La burocrazia, l'intera essenza dell'organizzazione, forma un universo superiore che sfugge all'operaio passandogli sulla testa come una nuvola nel cielo. L'operaio, di fronte ad essa, è una cifra, un'astrazione. Per essa l'operaio non è neanche l'uomo nella fabbrica; non è un essere vivente che vuole e che lotta. Sostituite, nei vecchi sindacati, una burocrazia consolidata con personale nuovo e in poco tempo vedrete anche quest'ultimo acquisire lo stesso carattere che lo innalzerà, lo allontanerà, lo distaccherà dalla massa. Novantanove su cento saranno dei tiranni schierati a fianco della borghesia. Questo scaturisce dalla natura stessa dell'organizzazione.

Come è diverso nelle organizzazioni di fabbrica! Qui, è l'operaio stesso che decide della tattica e dell'orientamento della sua lotta, e che fa intervenire immediatamente la sua autorità se i suoi capi non fanno quello che lui vuole. Egli è permanentemente al centro della lotta perché la fabbrica, l'officina, sono anche la sua base di organizzazione. Egli è anche, nella misura in cui una cosa del genere è possibile in regime capitalistico, l'artefice e il padrone del suo destino, e poiché ciò vale per tutti, la massa scatena e dirige la sua lotta. Molto di più, infinitamente di più, in ogni caso, di quanto non fosse possibile nelle vecchie organizzazioni economiche sia riformiste che sindacaliste (Naturalmente occorre comprendere che questo nuovo rapporto tra individualismo e centralismo non è dato come un fatto pienamente realizzato, ma come una realtà in formazione, un processo che si potrà sviluppare e completare soltanto attraverso la lotta).

Poiché fanno degli individui e, di conseguenza, delle masse, gli agenti diretti della lotta, i suoi dirigenti e i suoi sostenitori, le nuove organizzazioni di fabbrica e l'Unione operaia sono veramente

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le armi migliori per la rivoluzione, le armi di cui abbiamo bisogno nell'Europa occidentale, per rovesciare, senza ricevere aiuti, il capitalismo più potente di tutto il mondo.

Ma, compagno, questi sono ancora dei deboli argomenti in confronto all'ultima e fondamentale questione che è legata strettamente ai principi cui ho alluso all'inizio. Questa ragione è decisiva per il KAPD e per il partito di opposizione in Inghilterra: questi partiti vogliono elevare di molto il livello di coscienza delle masse e degli individui in Germania e in Inghilterra. Secondo loro per fare questo c'è un solo mezzo. E io vorrei chiedervi ancora una volta se voi conoscete un metodo diverso nel movimento operaio.

Questo mezzo consiste nella formazione, nell'educazione di un gruppo che dimostra nella lotta quello che deve diventare la massa. Indicatemi, compagno, un altro mezzo se lo conoscete. Io, per quel che mi riguarda, non ne conosco altri.

Nel movimento operaio, e soprattutto nella rivoluzione, secondo me, non può esserci che una sola verifica: quella dell'esempio e dell'azione. I compagni della sinistra credono possibile, con il loro piccolo gruppo in lotta contro il capitalismo e i sindacati, condurre i sindacati dalla loro parte o perlomeno, giacché la cosa non è impossibile, spostarli a poco a poco su posizioni migliori. Una cosa del genere può essere realizzata soltanto con l'esempio. Per elevare il livello rivoluzionario degli operai tedeschi, queste nuove formazioni - le organizzazioni di fabbrica - sono dunque assolutamente indispensabili. Come i partiti comunisti si erigono davanti ai partiti socialpatrioti, così anche la nuova formazione, l'Unione operaia, deve schierarsi di fronte al sindacato (La vostra osservazione sarcastica sull'Unione operaia che non può essere neanch'essa senza macchia, non ci fa un grande effetto perché è giusta solo in quanto l'Unione operaia deve lottare per ottenere miglioramenti in regime capitalistico mentre non è giusta per quanto riguarda la lotta rivoluzionaria dell'Unione).

Per trasformare le masse asservite al riformismo e al socialpatriottismo, soltanto l'esempio può servire.

Mi occupo ora dell'Inghilterra, della sinistra inglese. L'Inghilterra è dopo la Germania il paese più vicino alla rivoluzione. Non perché la situazione sia là già rivoluzionaria, ma perché il proletariato inglese è particolarmente numeroso e la situazione economica del capitalismo è sviluppata al massimo livello. Là c'è bisogno soltanto di un forte impulso per far cominciare la battaglia che può concludersi soltanto con una vittoria. È questo quello che pensano, che sanno quasi istintivamente gli operai più avanzati dell'Inghilterra (così come anche noi lo sentiamo); e dal momento che

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avvertono tutto ciò essi hanno fondato là, come in Germania, un nuovo movimento... che si delinea e procede per tentativi, proprio come in Germania: il movimento Rank and File, delle masse autodirette, senza capi o quasi (Gli Shop Committees, Shop Stewards e, in modo particolare nel Galles le Industrial Unions).

Questi movimenti assomigliano molto all'Unione operaia tedesca con le sue organizzazioni di fabbrica. Avete notato, compagno, che questo movimento è sorto soltanto nei due paesi più avanzati? E all'interno della classe operaia stessa? E in diverse località? (Dire che in Germania questo movimento è stato provocato "dall'alto" è una calunnia). Ciò costituisce di per sé la prova di una spontaneità irresistibile.

In Inghilterra questo movimento, questa lotta contro i sindacati è quasi più necessaria che in Germania. Le Trade Unions inglesi non sono soltanto strumenti nelle mani dei dirigenti per sostenere il capitalismo, ma sono attrezzi ancora più inutilizzabili, ai fini rivoluzionari, dei sindacati tedeschi. La loro formazione risale ai tempi della piccola guerra, ciascuno per sé, spesso fino all'inizio del XIX secolo o anche fino al XVIII secolo. In Inghilterra non esistono forse delle industrie che comprendono venticinque unioni sindacali, che si disputano accanitamente i loro aderenti?

Organizzazioni di questo genere bisogna evitare di combatterle, di scinderle, di annientarle? Se si è contro le unioni operaie, si deve essere anche contro gli Shop Stewards, gli Shop Committees e le Industrial Unions. Se si è a favore di quest'ultimi lo si deve essere anche per le prime giacché i comunisti hanno in entrambi gli stessi scopi. Questa nuova corrente nel movimento trade-unionistico potrà essere utile alla sinistra comunista in Inghilterra per annientare i sindacati inglesi, quali sono oggi, e per sostituirli con nuovi strumenti della lotta di classe utilizzabili nella rivoluzione. Le stesse ragioni che abbiamo portato per il movimento tedesco, sono valide anche in questo caso.

Ho letto nella lettera del Comitato esecutivo della Terza Internazionale al KAPD che l'esecutivo è a favore degli IWW d'America a condizione che questa organizzazione non sia ostile alla politica e all'adesione al partito comunista. E questi IWW non sono obbligati ad entrare nei sindacati americani! Tuttavia l'esecutivo è contro l'Unione operaia in Germania, e la vuole costringere a fondersi con i sindacati benché essa sia comunista e collabori con il partito politico.

E voi compagno Lenin, voi siete a favore del Rank and File in Inghilterra (il quale, tuttavia, provoca già una scissione e organizza molti comunisti che vogliono la distruzione dei sindacati!), ma siete invece ostile all'Unione operaia in Germania.

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Io non posso non vedere l'opportunismo nel vostro atteggiamento e in quello del Comitato Esecutivo. E quel che è peggio, un opportunismo sbagliata. Naturalmente la sinistra comunista in Inghilterra, poiché la rivoluzione non ce l'ha ancora davanti, non può spingersi tanto lontano quanto la sinistra in Germania. Non può ancora organizzare il Rank and File Movement in tutto il paese con basi di massa e con finalità immediatamente rivoluzionarie. Ma la sinistra inglese prepara tutto questo. E non appena la rivoluzione sarà arrivata gli operai abbandoneranno in massa le vecchie organizzazioni inidonee alla rivoluzione e affluiranno nelle organizzazioni di fabbrica e d'industria.

Essi vi affluiranno per il fatto stesso che la sinistra comunista si sviluppa innanzitutto nel movimento nella misura in cui si sforza di propagandare le idee comuniste. Sul suo esempio molti operai si sono già innalzati a un livello superiore (Voi ci propinate a questo punto compagno, alla pari di altri che l'hanno fatto tanto spesso, il solito argomento in base al quale i comunisti abbandonando i sindacati perdono il contatto con le masse. Ma il contatto migliore non si realizza forse tutti i giorni nelle fabbriche? E tutte le fabbriche non sono già ora diventate già qualcosa di più di un luogo di contatto, ma qualcosa di simile a un centro decisionale? In che modo, agendo in questo modo, gli "estremisti" potrebbero perdere il contatto con le masse?). E questo è, come in Germania, lo scopo essenziale. L'Unione generale operaia (AAU) e il Rank and File Movement, appoggiandosi entrambi sulle fabbriche, sui luoghi di lavoro, e soltanto su di essi, sono i precursori dei consigli operai, dei soviet. La rivoluzione nell'Europa occidentale sarà molto più difficile e per il fatto stesso che si svilupperà con lentezza, conoscerà un lunghissimo periodo di transizione in cui i sindacati saranno fuori servizio e in cui i soviet non saranno ancora pronti. Questo periodo di transizione sarà caratterizzato dalla lotta contro i sindacati attraverso la loro trasformazione e la loro sostituzione con organizzazioni migliori. Voi non avrete di che essere inquieto su questo punto: noi avremo il tempo per fare questo!

Insisto nel dire che ciò non accadrà perché noi estremisti lo vogliamo ma perché la rivoluzione esige questa nuova forma organizzativa senza la quale non può vincere.

Coraggio, dunque, Rank and File Movement in Inghilterra e Unione operaia in Germania! Voi siete i precursori dei soviet in Europa. Coraggio! Voi siete le prime organizzazioni adatte a condurre la lotta insieme ai partiti comunisti, contro il capitalismo nell'Europa occidentale, la lotta della rivoluzione! Compagno Lenin voi volete obbligarci, volete obbligare noi dell'Europa occidentale - noi che siamo privi di alleati di fronte ad un capitalismo tuttora potente, estremamente organizzato (organizzato in tutte le branche e in tutti i sensi) e bene armato, un capitalismo che può essere battuto solo con le

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armi migliori - a utilizzare armi cattive. Volete imporre i miserabili sindacati proprio a noi che vogliamo organizzare la rivoluzione nelle fabbriche e sulla base delle fabbriche. La rivoluzione in Occidente non può essere organizzata che sulla base delle fabbriche e nelle fabbriche, deve per forza essere così perché è nelle fabbriche che il capitalismo è tanto organizzato in tutti i sensi, economicamente e politicamente, e perché gli operai non hanno (al di fuori del partito comunista) alcuna solida arma (i russi erano armati e avevano con loro i contadini poveri. Quello che le armi e i contadini poveri erano per i russi devono esserlo per noi, al momento attuale, la tattica e l'organizzazione). E in un momento del genere voi siete a favore dei sindacati. Mentre noi siamo obbligati, per motivi psicologici e materiali, in piena rivoluzione, a lottare contro i sindacati, voi volete impedirci di condurre tale lotta. Noi siamo costretti a lottare con la scissione e voi ci ostacolate. Noi vogliamo formare dei gruppi capaci di dare l'esempio come unico metodo per dimostrare al proletariato che cosa vogliamo, e voi ci proibite di dare l'esempio. Noi vogliamo elevare il livello del proletariato occidentale e voi, ci mettete i bastoni tra le ruote.

Non volete la scissione né altre organizzazioni, né, di conseguenza, l'elevazione a un livello superiore. E perché? Perché volete avere nella Terza Internazionale i grandi sindacati e i grandi partiti. Tutto ciò ci appare opportunismo, come opportunismo della peggiore specie (Il seguente esempio può dare un'idea del caos in cui questo opportunismo ci porta: esistono dei paesi in cui a fianco dei sindacati riformisti, esistono delle organizzazioni sindacali che, pur essendo cattive, lottano meglio dei sindacati stessi. Le tesi di Mosca chiedono l'entrata di queste organizzazioni sindacaliste nelle grandi organizzazioni riformiste. In tal modo obbligano spesso i comunisti a trasformarsi in "pompieri", come per esempio in Olanda. Ma c'è di più: l'Unione operaia tedesca è condannata perché si pone sul terreno della scissione. Ma che cosa fa l'internazionale? Essa fonda una nuova Internazionale sindacale...).

Vi comportate ora, nella Terza Internazionale, in modo completamente diverso da quanto facevate nel partito bolscevico. Quest'ultimo fu conservato molto "puro" e forse lo è ancora. Invece nell'Internazionale bisogna accogliere, secondo voi, in tutta fretta quelli che sono comunisti per metà, per un quarto o anche per un ottavo.

È una maledizione che pesa sul movimento operaio: non appena ha ottenuto un certo "potere" esso tende ad aumentarlo con mezzi contrari ai principi. Anche la socialdemocrazia era "pura" all'inizio in quasi tutti i paesi. La maggior parte degli attuali socialtraditori erano dei veri marxisti. Le masse furono conquistate con la propaganda marxista. Ma subito dopo aver raggiunto una certa potenza, i capi abbandonarono le masse.

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Attualmente voi e la Terza Internazionale vi comportate come un tempo fece la socialdemocrazia. Naturalmente oggi la cosa non avviene più nei limiti nazionali ma su scala internazionale. La rivoluzione russa ha vinto per la "purezza", per la fermezza nei principi. Attualmente il proletariato dispone di un certo "potere". Occorre ora estendere questo potere su tutta l'Europa. Ed ecco che si abbandona la vecchia tattica! Invece di applicare ora a tutti gli altri paesi questa tattica sperimentata, e di rafforzare così dall'interno la Terza Internazionale, si compie un voltafaccia e, alla pari della socialdemocrazia di una volta, si passa all'opportunismo. Ecco che si fa passare tutto: i sindacati, gli indipendenti, il centro francese, una porzione del Labour Party.

Per salvare le apparenze del marxismo si pongono delle condizioni da sottoscrivere! Kautsky, Hilferding, Thomas ecc. vengono messi all'indice. Ma le grandi masse, il quadro medio, sono accettati, e tutti i mezzi sono buoni per spingerli ad entrare nell'Internazionale. Per rafforzare ulteriormente il centro si escludono gli "estremisti", a meno che non vogliano passare al centro! I migliori rivoluzionari, quali il KAPD, sono così esclusi! E una volta unita la grande massa con una linea centrista, ci si sbrana tutti insieme sotto la disciplina di ferro, sotto capi messi alla prova in un modo tanto straordinario. Per andare dove? Nel baratro. A che cosa servono i principi obbligatori, le brillanti tesi della Terza Internazionale se, nella pratica, si è opportunisti? Anche la Seconda Internazionale aveva i più bei principi ma è sprofondata nella pratica. Noi estremisti non vogliamo che questo accada. Vogliamo innanzitutto formare nell'Europa occidentale, così come fecero un tempo i bolscevichi in Russia, dei nuclei solidissimi, molto coscienti e fortissimi (anche se inizialmente molto piccoli). E quando li avremo formati, li ingrandiremo. Ma su un terreno sempre più solido, sempre più forte, sempre più "puro". Soltanto in questa maniera possiamo vincere nell'Europa occidentale. È per questo che respingiamo tutta la vostra tattica, compagno Lenin.

Voi dite, compagno, che noialtri membri della Commissione di Amsterdam abbiamo dimenticato o non abbiamo imparato le lezioni delle rivoluzioni precedenti. Ebbene! compagno, io mi ricordo benissimo di un fatto che ha caratterizzato le rivoluzioni del passato. È il seguente: i partiti di "estrema sinistra" vi hanno sempre giocato un ruolo eminente, di primo piano. Si ricordino la rivoluzione olandese contro la Spagna, la rivoluzione inglese, quella francese, quella della Comune e le due rivoluzioni russe.

Attualmente nello sviluppo del movimento operaio si presentano, nella fase rivoluzionaria europeooccidentale, due correnti: quella radicale e quella opportunista. Non possono pervenire a una buona tattica, all'unità, se non con la lotta reciproca. Ma la corrente radicale è di gran lunga la

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migliore anche se in qualche faccenda di secondo piano si spinge troppo oltre. E voi, compagno Lenin, sostenete la corrente opportunista! E non è tutto! L'esecutivo di Mosca, i capi russi di una rivoluzione che ha vinto con l'aiuto di un esercito di milioni di contadini poveri, vogliono imporre la loro tattica al proletariato dell'Europa occidentale che invece è solo. E per far questo essi, così come voi, spezzano la migliore corrente dell'Europa occidentale! Quale stupidità bestiale, e soprattutto quale dialettica! Quando la rivoluzione scoppierà nell'Occidente europeo voi vedrete che cosa ne sarà della vostra tattica onirica! Ma il proletariato ne farà allora le spese. Voi, compagno, e l'esecutivo di Mosca, sapete che i sindacati sono delle potenze controrivoluzionarie. Ciò risulta chiaramente dalle vostre tesi. Ciononostante volete conservarli. Sapete anche che l'Unione operaia, e cioè le organizzazioni di fabbrica, il Rank and File Movement sono organizzazioni rivoluzionarie. Dite voi stesso, nelle vostre tesi, che le organizzazioni di fabbrica devono essere e sono il nostro scopo. Ciononostante volete soffocarle. Volete soffocare le organizzazioni nelle quali gli operai, ogni operaio, e di conseguenza la massa, può sviluppare forze e potenza, e volete conservare le organizzazioni in cui la massa è uno strumento passivo nelle mani dei capi. In questo modo volete prendere il controllo dei sindacati, metterli sotto il controllo della Terza Internazionale.

Perché volete questo? Perché seguite questa cattiva tattica? Perché volete avere le masse attorno a voi, quali esse siano e prima di ogni altra cosa. Perché voi ritenete che soltanto alla condizione di avere le masse sottomesse con una disciplina ferma e centralizzata (in modo comunista, semicomunista o per nulla comunista...) voi stessi, cioè i capi, arriverete alla vittoria. In breve: perché conducete una politica da capo. La politica da capo non è la politica che vuole capi e centralizzazione (senza dei quali non si può ottenere nulla così come non si può ottenere nulla senza il partito), ma è la politica che riunisce le masse senza consultarle per sentire le loro convinzioni e le loro opinioni, e che pensa che i capi possono vincere soltanto se hanno le grandi masse attorno a loro. Ma questa politica, che voi e l'esecutivo attualmente portate avanti nella questione sindacale, non avrà successo nell'Occidente europeo. Infatti il capitalismo è ancora troppo potente e il proletariato è troppo ridotto alle sue sole forze. Tale politica fallirà come quella della Seconda Internazionale.

Qui gli operai devono diventare potenti innanzitutto da soli, e solo in seguito grazie a voi capi. Qui il male, la politica da capo, deve essere distrutto alle radici. Con la vostra tattica nella questione sindacale, voi e l'esecutivo di Mosca, avete dimostrato con successo che se non cambiate, la tattica stessa, non potrete dirigere la rivoluzione nell'Europa occidentale.

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Voi dite che la sinistra quando pretende di applicare la sua tattica sa soltanto far chiacchiere. Ebbene, compagno, la sinistra ha finora avuto poche o nessuna occasione di agire in altri paesi. Ma osservate soltanto la Germania, considerate la tattica e l'attivitĂ del KAPD al momento del putsch di Kapp e di fronte alla rivoluzione recalcitrante, e sarete obbligato a ritirare le vostre parole.

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Il parlamentarismo

Resta ancora da difendere la sinistra sulla questione del parlamentarismo (all’inizio pensavo che era questa una questione secondaria. L’atteggiamento opportunista dello Spartakusbund al momento del putsch di Kapp e quello che voi adottare nel vostro opuscolo, anche in questa materia, mi ha persuaso che si tratta invece di una questione importante). La linea di sinistra, anche in questa questione, si basa sulle stesse considerazioni generali e teoriche prese in esame nella questione sindacale: isolamento del proletariato, enorme potenza del nemico, necessità per la massa di elevarsi all'altezza dei suoi compiti, di non fidarsi, inanzitutto, che di se stessa,ecc. Non ho bisogno di esporre un'altra volta tutte queste ragioni. Ma ce ne sono altre ancora più importanti di quelle addotte per la questione sindacale.

Innanzitutto: gli operai, e in generale, le masse lavoratrici dell'Europa occidentale sono completamente sotto l'influsso ideologico della cultura borghese, delle idee borghesi e, di conseguenza, del sistema rappresentativo e del parlamentarismo borghese, della democrazia borghese. E questo a un livello molto più alto rispetto agli operai dell'Europa orientale. Da noi l'ideologia borghese si è impadronita dell'intera vita sociale e, di conseguenza, anche politica; è penetrata profondamente nella testa e nei cuori degli operai. E' all'interno di questa ideologia che gli operai sono stati educati, sono cresciuti già da alcuni secoli. Sono saturi di idee borghesi. Il compagno

Pannekoek descrive

molto

correttamente questa

situazione

nella

rivista

<<kommunismus>> di Vienna. <<l'esperienza tedesca si colloca di fronte al grande problema della rivoluzione nell'Europa occidentale. In questi paesi il modo di produzione borghese e la secolare cultura altamente sviluppata che gli è legata hanno inciso profondamente sul modo di sentire e di pensare delle masse popolari. In tal modo il loro carattere intimo e spirituale è completamente diverso da quello degli operai delle regioni orientali che non hanno mai conosciuto il dominio borghese. Ed è qui che risiede, innanzitutto, la differenza del corso rivoluzionario dell'Est, rispetto all'Ovest dell'Europa. In Inghilterra, Francia, Olanda, Scandinavia, Italia, Germania, fioriva, fin dal Medioevo, una forte borghesia sulla base d'una produzione piccolo-borghese e di capitalismo primitivo. E quando il feudalesimo fu rovesciato, si sviluppò anche nelle campagne una forte ed indipendente classe di contadini, la quale fu anche padrona della sua piccola economia. Su tale base si è sviluppata la vita spirituale borghese, in una solida cultura nazionale. Accadde così innanzitutto negli Stati marittimi come l'Inghilterra, la Francia, che marciarono alla testa dello sviluppo capitalistico. Il capitalismo, mediante l'assoggettamento dell'intera economia alla sua direzione, legando anche le fattorie più sperdute al campo dell'economia mondiale, nel corsi del XIX secolo, ha elevato il livello di questa cultura nazionale, l'ha migliorato, e con le sue armi spirituali di propaganda - la stampa, la scuola e la chiesa - ha forgiato su tale modello il cervello popolare, sia che si tratti della masse proletarizzate da esso attirate nella città sia che si tratti di

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quelle lanciate nelle campagne.

<<Queste considerazioni sono valide non soltanto per i paesi in cui il capitalismo è nato, ma anche, benché con forme un pò diverse, per l'Australia e l'America, dove gli europei hanno fondato nuovi Stati, così come per i paesi dell'Europa centrale quali la Germania, l'Austria e l'Italia, dove il nuovo sviluppo capitalistico ha potuto innestarsi sulla vecchia economia arretrata e sulla cultura piccolo-borghese. Il capitalismo trovò, penetrando nei paesi dell'Europa orientale, un materiale tutto diverso e di altre tradizioni. In Russia, in Polonia, in Ungheria e nei paesi a est dell'Elba, non c'era una classe borghese abbastanza forte da dominare, per tradizione, la vita spirituale. La situazione agraria - grande proprietà fondiaria, feudalesimo patriarcale, comunismo di villaggio dava il tono all'ideologia>>.

In questo brano il compagno Pannekoek, posto di fronte al problema ideologico, ha colpito il bersaglio giusto. Molto meglio di quanto noi avessimo mai fatto, egli faceva emergere sul terreno ideologico la differenza tra l'Europa orientale e quella occidentale, e ha dato, da questo punto di vista, la chiave di una tattica rivoluzionaria per l'Europa occidentale.

Se si stabilisce il legame tra tutto ciò e la causa materiale della potenza nemica, e cioè con il capitale finanziario, allora l'intera tattica diventa chiara. Ma si può dire di più a proposito del problema ideologico. La libertà borghese, la potenza del parlamento, sono state, nell’Europa occidentale, una conquista delle generazioni precedenti, degli antenati nelle loro lotta liberatrice; conquiste utilizzate dai possidenti ma realizzate dal popolo. Il ricordo di queste lotte costituisce ancora una tradizione profondamente radicata nel sangue del popolo. Una rivoluzione, in effetti, è il ricordo più profondo di un popolo. La convinzione che l'essere rappresentati in parlamento costituisce una vittoria, è inconsciamente qualcosa come una forza immensa e tranquilla. Questo è vero in particolare nei paesi più vecchi della borghesia in cui hanno avuto luogo lotte lunghe e frequenti per la libertà; in Inghilterra, in Olanda e in Francia. E anche, ma in misura minore, in Germania, in Belgio e nei paesi scandinavi. Un abitante dei paesi dell'Est non può probabilmente immaginarsi quale forza può avere questa convinzione.

Per di più gli operai qui hanno lottato, spesso per molti anni, per il suffragio universale e lo hanno conquistato nella lotta; o direttamente o indirettamente. Questa vittoria ai suoi tempi ebbe dei risultati. Si pensa e si sente generalmente che avere dei rappresentanti nel parlamento borghese delegare ad essi i propri interessi, costituisca un progresso e una vittoria. Non bisogna sottovalutare la forza di questa ideologia. E infine, la classe operaia dell'Europa occidentale è caduta, con il riformismo, sotto i colpi dei parlamentari che l'hanno portata alla guerra, all'alleanza con il capitalismo. Questa influenza del

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riformismo è anch'essa colossale Per tutte questa cause l'operaio è diventato lo schiavo del parlamento al quale delega ogni cosa. In prima persona non agisce più (Questa grande influenza, tutta questa ideologia dell’Europa occidentale, degli Stati Uniti e delle colonie inglesi non è compresa nell’Europa dell’est, nella Turchia e nei Balcani (per non parlare dell’Asia.).

Viene la rivoluzione. Ora l'operaio deve fare tutto in prima persona. Deve lottare da solo con la sua classe contro il formidabile nemico,deve condurre la lotta più terribile che si sia vista al mondo. Nessuna tattica da capi può aiutarlo. Tutte le classi formano una barriera compatta davanti a lui, e nessuna è dalla sua parte. Se invece si fa rappresentare in parlamento dai suoi capi o da altre classi, è minacciato dal grande pericolo di ricadere nella sua vecchia debolezza lasciando agire i capi, delegando tutto al parlamento, confinandosi nella finzione secondo la quale altri possono fare la rivoluzione al suo posto, perseguendo delle illusioni e restando bloccato nell'ideologia borghese.

Questo atteggiamento delle masse di fronte ai capi è anch'esso molto ben descritto dal compagno Pannekoek:<<Il parlamentarismo è la forza tipica della lotta con uno strumento da capi, che fa giocare alle masse un ruolo secondario. La sua pratica consiste nel fatto che dei deputati, delle personalità particolari, conducano una lotta fondamentale. Essi devono, di conseguenza, destare nelle masse l'illusione che altri possono sostenere la lotta al loro posto. Una volta si credeva che i capi avrebbero potuto ottenere delle riforme importanti per gli operai attraverso la via parlamentare, e aveva anche corso l'illusione che i parlamentari avrebbero potuto realizzare la rivoluzione socialista con misure legislative. Oggi che il parlamentarismo ha un aspetto più modesto, si mette avanti l'argomento che i deputati possono fare una forte propaganda per il comunismo in parlamento. ma sempre l'importanza decisiva è attribuita ai capi. Naturalmente in questa situazione sono i funzionari che dirigono la politica, magari sotto la mascheratura democratica delle discussioni e risoluzioni dei congressi. La storia della socialdemocrazia è, da questo punto di vista, una lezione degli sforzi iniziali fatti affinché i membri del partito determinano da soli la linea politica. Laddove il proletariato lotta sulla via parlamentare, tutto ciò è inevitabile fino a quando le masse non avranno creato delle organizzazioni adatte ala loro azione, vale a dire laddove la rivoluzione deve ancora arrivare. Ma non appena le masse entrano in scena in prima persona, per decidere e per agire, i misfatti del parlamentarismo sovraccaricano la bilancia.

<<Il problema della tattica consiste nel trovare i mezzi per estirpare la mentalità tradizionale borghese che domina sulle masse proletarie indebolendone le forze. Tutto ciò che rafforza nuovamente la concezioni tradizionali è nocivo. Il lato più solido, più tenace, di questa mentalità è proprio costituito dallo stato di dipendenza nei confronti dei dirigenti ai quali gli operai delegano la soluzione di tutte le questioni generali, la direzione dei loro interessi di classe. Il parlamentarismo inevitabilmente tende a paralizzare l'azione delle masse necessarie per la rivoluzione.

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Che si pronuncino dei bei discorsi per ridestare l'attenzione rivoluzionaria! L'attività rivoluzionaria non trae il suo alimento da frasi simili, ma soltanto dalla necessità dura e difficile e quando non c'è altra via d'uscita.

<<La rivoluzione inoltre esige qualcosa di più della lotta delle masse che rovescia un sistema governativo, di una battaglia che sappiamo non poter essere artificialmente provocata ma soltanto originata dai bisogni profondi delle masse. La rivoluzione esige che il proletariato prenda nelle sue mani le grandi questioni della ricostruzione sociale, le più difficili decisioni, che il proletariato entri al completo nel movimento creativo. E ciò è impossibile, se innanzitutto l'avanguardia, poi masse sempre più larghe, non prendano le cose nelle loro mani, non si considerino responsabili, non si mettano a studiare, a fare propaganda, a lottare, a pensare, a osare ed eseguire fino in fondo. Ma tutto ciò è difficile e penso; fino a che la classe operaia è portata a credere alla possibilità di una strada più facile in cui altri agiscono al suo posto conducendo l'agitazione da una tribuna altolocata, prendendo decisioni, dando il segnale per l'azione, facendo leggi, fino ad allora essa esiterà e resterà passiva, sotto il peso della vecchia mentalità e delle vecchie debolezze>>.

Gli operai dell'Europa occidentale devono agire innanzitutto in prima persona e non soltanto sul terreno sindacale ma anche sul terreno politico: occorre ripetere questo mille volte e, se è necessario, anche centomila, un milione di volte (e chi non ha compreso e non ha tratto questa lezione degli avvenimenti seguiti al novembre del 1918 è un cieco anche se si tratta di voi, compagno). Giacché essi sono soli e nessuna astuzia dei capi potrebbe aiutarli. E' da loro stessi che deve uscire la massima forza d'impulso. Qui, per la prima volta a un livello più elevato che non in Russia, l'emancipazione della classe operaia sarà opera degli operai stessi. E' per questo che i compagni della sinistra hanno ragione quando dicono ai compagni tedeschi: non partecipate alla elezioni, boicottate il parlamento; occorre che voi stessi facciate ogni cosa sul piano politico; voi operai non vincerete fino a che non agirete in questo modo; vincerete soltanto se agirete così per due, cinque, dieci anni e se vi sforzerete uno ad uno, gruppo a gruppo, di città in città, di provincia in provincia, e infine in tutto il paese, come partito, come unione, come consigli di fabbrica, come massa, come classe. Attraverso l'esempio e la lotta sempre rinnovata, attraverso le disfatte, succederà che la grande maggioranza di voi formerà un blocco e dopo aver frequentato questa scuola, potrebbe formare una massa grande e omogenea.

Ma i compagni, gli estremisti della KAPD avrebbero commesso un grosso sbaglio se avessero sostenuto questa linea soltanto a parole, come propaganda. In questa questione politica la lotta e l'esempio sono ancora più importanti che nella questione sindacale.

I compagni della KAPD erano nel loro pieno diritto e obbedivano ad una necessità storica quando

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si separarono dalla Spartakusbund, scindendosi da essa o meglio dalla sua Centrale nel momento in cui quest'ultima non voleva più tollerare quel tipo di propaganda. In effetti il proletariato tedesco e gli operai dell'Europa occidentale avevano bisogno, innanzitutto di schiavi politici, che in questo mondo di oppressi dell'Europa occidentale, sorgesse un gruppo che fosse di esempio, un gruppo di liberi lottatori, senza capi, vale a dire senza capi del vecchio tipo. Senza deputati in parlamento.

E ciò ancora una volta non perché sia bello o buono di per sé, o perché è eroico è meraviglioso, ma perché il popolo lavoratore tedesco e occidentale è solo in questa terribile lotta e non può sperare in alcun aiuto dalle altre classi o dall'intelligenza dei capi. Una sola cosa può sostenerlo: la volontà e la decisione delle masse, uomo per uomo, donna per donna, insieme.

A questa tattica fondata su ragioni così profonde, si oppone la partecipazione al parlamento che può solo nuocere a questa giusta linea; e il danno è infinitamente maggiore del piccolo vantaggio della propaganda (attraverso la tribuna parlamentare). E a causa di ciò la sinistra respinge il parlamentarismo. Voi dite che il compagno Liebknecht potrebbe, se fosse vivo, fare un lavoro meraviglioso nel Reichstag. Noi lo neghiamo. Non potrebbe manovrare politicamente laddove i partiti della grande e piccola borghesia formano un blocco contro di noi. E neanche conquisterebbe, per questa via, le masse meglio di quanto potrebbe fare stando fuori del parlamento. Al contrario, una grandissima parte della massa sarebbe soddisfatta dei discorsi e la sua presenza in parlamento sarebbe quindi nociva (L’esempio del compagno Liebknecht prova proprio la correttezza della nostra tattica. Prima della rivoluzione, quando l’imperialismo era all’apogeo della sua potenza e le leggi eccezionali del periodo di guerra soffocavano qualsiasi movimento, egli, con le sue proteste in parlamento, poté esercitare una grande influenza, ma durante la rivoluzione non avrebbe potuto fare altrettanto. Non appena gli operai prendono nelle loro mani i loro destini, noi dobbiamo abbandonare il parlamento).

Senza dubbio un lavoro simile della sinistra durerà anni e le persone che, per qualsiasi ragione, desiderano successi immediati, cifre più alte di aderenti e di voti, grandi partiti e una Internazionale potente (in apparenza), dovranno aspettare ancora per molto tempo. Ma quelli che comprendono che la vittoria della rivoluzione in Germania e nell'Europa occidentale sarà una realtà soltanto se la massa degli operai comincerà a riporre la sua fiducia in se stessa, saranno soddisfatti di questa tattica.

Compagno, conoscete tutto l'individualismo borghese dell'Inghilterra, la sua libertà borghese, la sua democrazia parlamentare, cosi come si sono sviluppate durante sei o sette secoli? Cosi come sono: infinitamente differenti dalla situazione russa? Sapete come queste idee siano

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profondamente radicate in ogni individuo, ivi compresi i proletari, in Inghilterra e nelle sue colonie? Conoscete questa struttura unificata in un immenso complesso? La sua importanza generale nella vita sociale e personale? Io credo che nessun russo, nessun europeo dell'Est, le conosce. Se voi le conoscete, ammirerete allora quegli operai inglesi che osano porsi radicalmente contro questo immenso edificio, contro la più grande costruzione politica del capitalismo nel mondo intero. Per arrivare a questa altezza, se questa è pienamente cosciente, non occorre forse un senso rivoluzionario altrettanto sviluppato di quello di chi ha rotto per primo con lo zarismo? Questa rottura con tutta la democrazia inglese significa già la rivoluzione inglese in embrione.

Infatti questa azione viene compiuta con la massima decisione cosi come deve essere in questa Inghilterra forte di un passato storico gigantesco e di potenti tradizioni. Proprio perché rappresenta la forza maggiore (è proporzionalmente il più forte del mondo) il proletariato inglese si erge all'improvviso davanti alla borghesia più forte del mondo, si erge con tutta la sua forza e respinge subito l'intera democrazia inglese benché nel suo paese non sia ancora giunta la rivoluzione.

Tutto questo è stato già realizzato dalla sua avanguardia, dalla sinistra, cosi come in Germania dall'avanguardia tedesca, la KAPD. E perché lo ha fatto? Perché sa che la classe operaia inglese è isolata, che nessuna classe in tutta l'Inghilterra l'aiuterà e che il proletariato, in prima persona innanzitutto, e non attraverso i suoi capi, deve lottare e vincere con la sua avanguardia (Senza dubbio l’Inghilterra non ha contadini poveri che potrebbero sostenere il capitale. Ma ha, però, una classe media altrettanto importante e legata al capitale.).

Il proletariato inglese mostra, con l'esempio della sua avanguardia, in che modo vuole lottate: da solo contro tutte le classi dell'Inghilterra e delle sue colonie. E ancora come l'avanguardia tedesca: dando l'esempio. Creando un partito comunista che respinga il parlamento, grida a tutta la classe operaia dell'Inghilterra: rompete con il parlamento, simbolo della potenza capitalista. Formate il vostro partito e le vostre organizzazioni di fabbrica. Basatevi soltanto sulle vostre forze. Questo doveva infine venir prodotto in Inghilterra, questa fierezza e questo orgoglio operaio nati all'interno del capitalismo più sviluppato, E ora che questa azione è iniziata, diventa un blocco di granito. Fu una giornata storica, compagni, quella in cui, nell'assemblea del mese di giugno, fu fondato il primo partito comunista che ruppe con tutta la costituzione e l'organizzazione dello Stato in vigore da oltre sette secoli. Avrei voluto che Marx ed Engels fossero presenti. Credo che avrebbero provato un immenso piacere se avessero potuto vedere questi operai inglesi respingere lo Stato inglese, prototipo di tutti gli Stati borghesi del mondo, centro e fortezza del capitale mondiale già da molti secoli, dominatore di un terzo dell'umanità; se avessero potuto vedere gli operai

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respingere questo Stato e il suo parlamento.

Costituisce una ragione di più per l'applicazione di questa tattica in Inghillterra il fatto che il capitalismo inglese è pronto a sostenere il capitalismo in tutti gli altri paesi e che non esiterà certamente a far affluire da tutte le patti del mondo le truppe d'intervento contro qualsiasi proletariato straniero e, in particolare, contro il suo, La lotta del proletariato inglese è dunque una lotta contro il capitale mondiale. Ragione di più perché il capitalismo inglese dia l'esempio più alto e più chiaro, perché sostenga in modo esemplare la causa del proletariato mondiale con la lotta e con l'esempio (Esiste in Inghilterra, più ancora che in altri paesi, il pericolo dell’opportunismo. Sembrerebbe che anche la nostra compagna Sylvia Pankhurst che, pur non avendo forse sufficientemente approfondito le sue idee con lo studio, fu tuttavia una buon precursore del movimento di sinistra grazie al suo temperamento, istinto ed esperienza, abbia cambiato opinione. Ella abbandona la lotta antiparlamentare, e cioè un punto essenziale della sua lotta contro l’opportunismo, per avere il vantaggio immediato dell’unità. Segue così una strada già percorsa da migliaia di dirigenti del movimento operaio inglese: transfuga verso l’opportunismo e, in ultima analisi, verso la borghesia. Ciò non ha nulla di straordinario ma il fatto che voi, compagno Lenin, abbiate trascinato e convinto l’unica dirigente conseguente e coraggiosa dell’Inghilterra, costituisce un colpo duro per la rivoluzione russa e mondiale.).

Dovrebbe sempre esistere un gruppo che trae tutte le conseguenze della sua posizione nella lotta. I gruppi di questo tipo sono il sale dell'umanità. Ma ora, dopo aver difeso sul piano teorico l'antiparlamentarismo, devo occuparmi nei dettagli della vostra difesa del parlamentarismo. Vai lo difendete per l'Inghilterra e la Germania. Ma la vostra argomentazione è applicabile soltanto alla Russia (e a rigore a qualche altro paese dell'Europa orienale), ma non all'Europa occidentale. E su questo punto, come ho già detto, che commettete sbagli. A causa di questa falsa concezione, voi vi trasformate da capo marxista in capo opportunista. A causa di questa concezione, voi, capo marxista radicale per la Russia e probabilmente per qualche altro paese dell'Europa orientale, cadete nell'opportunismo quando c'è di mezzo l'Europa occidentale. E la vostra tattica spingerebbe l'intero Occidente alla sconfitta se venisse accettata. E quello che voglio dimostrare respingendo nei dettagli la vostra argomentazione.

Compagno, mentre leggevo lo sviluppo dei vostri argomenti, ero costantemente perseguitato da un ricordo. Mi sembrava di essere tornato al congresso del vecchio partito socialpatriota olandese e di ascoltarvi un discorso di Troelstra. Quando costui dipingeva agli operai i grandi vantaggi della politica riformista, quando parlava degli operai che non erano socialdemocratici e che avremmo

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dovuto portare a noi mediante compromessi. Quando parlava delle alleanze che potevamo fare (transitoriamente beninteso...) con i partiti di questi operai; quando parlava delle «divisioni» tra i partiti borghesi che bisognava utilizzare. E’ più o meno cosi, anzi esattamente così, parola per parola, che voi, compagno Lenin, parlate a noi dell'Europa occidentale!!!

Dovetti spesso prendere la parola a nome dell'opposizione durante gli anni che hanno preceduto il 1909, anno della nostra espulsione. E mi ricordo come noi, i compagni marxisti, fossimo seduti in fondo alla sala, in piccolo numero, quattro o cinque: Henriette Roland-Holst, Pannekok e alcuni altri. Troelstra si espresse come fate voi, fu persuasivo, trascinante. E mi ricordo anche come in mezzo al tuono degli applausi, delle brillanti frasi riformiste e delle calunnie contro i marxisti, gli operai della sala si girarono per contemplare questi « idioti », questi asini e questi imbecilli infantili, cosi come li aveva qualificati Troelstra, e cosi come fate voi parola più parola meno. E in questo modo che, probabilmente, sono andate le cose al congresso dell'Internazionale di Mosca, quando voi avete parlato contro i marxisti «di sinistra». Lui, Troelstra — alla pari di voi — espose le sue idee con tanta persuasione, tanta logica, che io stesso pensai per un momento che forse aveva ragione.

Ma sapete quello che pensai allora ascoltando quando cominciavo a dubitare di me stesso? Avevo un mezzo che non mi ingannava mai. Si trattava d'un punto del programma del partito: Tu devi sempre agire e parlare in modo da destare e fortificare la coscienza di classe degli operai. Mi chiesi allora la coscienza di classe degli operai viene rafforzata da quello che dice quest'uomo oppure no? E capii subito che la risposta era negativa e che, di conseguenza, avevo ragione io. Ho provato la stessa cosa leggendo il vostro opuscolo. Ascoltavo i vostri argomenti opportunisti a favore dell'alleanza con i partiti non comunisti, del compromesso con i borghesi. Mi sentivo trascinato. Tutto sembrava cosi brillante, cosi chiaro e bello, e cosi logico nella vostra esposizione. Ma poi mi sono ripetuto, come una volta, la domanda che da qualche tempo ho imparato ad opporre agli opportunisti del comunismo: quello che dice questo compagno è fatto per stimolare la volontà delle masse verso l'azione, verso la rivoluzione, quella vera, nell'Europa occidentale, si o no? E la mia testa e il mio cuore hanno risposto contemporaneamente di no al vostro opuscolo. Allora, compagno Lenin, ho saputo immediatamente, con tutta la certezza che un uomo può avere, che voi avete torto. Penso di raccomandare questo mezzo ai compagni della sinistra. Compagni, in tutte le lotte difficili contro i comunisti opportunisti, lotte che ci attendono in tutti i paesi (qui in Olanda durano già da tre anni), se volete sapere se avete ragione e perché, ponetevi la domanda che io mi sono posto. Voi, compagno, vi servite nella vostra lotta contro di noi soltanto di tre argomenti, che appaiono sempre o isolati o mischiati gli uni agli altri, nel vostro opuscolo. Eccoli; 1) utilità della propaganda nel parlamento per la conquista degli operai e degli elementi piccolo-

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borghesi; 2) utilità dell'azione parlamentare per lo sfruttamento delle «divisioni» tra i partiti e per il compromesso con questi o quelli; 3) esempio della Russia in cui questa propaganda e questi compromessi hanno dato cosi eccellenti risultati. Altri argomenti non ne avete. Mi accingo ora a rispondere ai tre punti, nell'ordine. Esaminiamo il primo argomento, quello della propaganda in parlamento. Questo argomento è di peso assai scarso. Infatti gli operai non comunisti, e cioè i socialdemocratici, i cristiani e i sostenitori di altre tendenze borghesi, di solito non sanno nulla attraverso i loro giornali di quelli che possono essere i nostri interventi parlamentari. Noi li tocchiamo soltanto con le nostre riunioni, i nostri opuscoli e i nostri giornali. Noialtri — parlo spesso a nome della KAPD — li influenziamo soprattutto con l'azione (in tempi di rivoluzione, cioè in tempi come quelli che stiamo vivendo). In tutte le città e in tutti i villaggi di qualche importanza, essi ci vedono al lavoro. Vedono i nostri scioperi, le nostre battaglie di strada, i nostri Consigli. Capiscono le nostre parole d'ordine. Ci vedono marciare all’avanguardia. Ecco la migliore propaganda, quella decisiva per eccellenza. Ma essa non si fa in parlamento, Gli operai non comunisti, gli elementi piccolo-borghesi e piccolo-contadini possono dunque essere agevolmente raggiunti, senza ricorrere alla lezione parlamentare. Qui devo confutare in modo particolare un brano dell'opuscolo sulla «malattia infantile» che dimostra chiaramente fino a dove, compagno, vi conduce l'opportunismo. Secondo voi il fatto che gli operai passino in massa al partito degli indipendenti e non al partito comunista, è la conseguenza dell'atteggiamento negativo dei comunisti di fronte al parlamento. Cosi le masse operaie di Berlino sarebbero state pressoché conquistate alla rivoluzione con la morte dei nostri compagni Liebknecht e Rosa Luxemburg, e con gli scioperi coscienti e le battaglie di strada dei comunisti. Non sarebbe mancato altro che un discorso del compagno Levi in parlamento! Se costui avesse pronunciato tale discorso, gli operai sarebbero passati dalla nostra parte e non nel campo equivoco degli indipendenti!! No, compagno, questo non è vero; gli operai sono andati inizialmente verso l'equivoco perché temevano ancora la rivoluzione, quella che non ammette equivoci. Il passaggio dalla schiavitù alla libertà procede con esitazione. Siate prudente, compagno. Guardate dove già vi conduce l'opportunismo. Il vostro primo argomento è senza valore. E se noi riteniamo che la partecipazione al parlamento (durante la rivoluzione in Germania, in Inghilterra e in tutta l'Europa occidentale), rafforza negli operai l'idea che i capi ci sapranno fare, e indebolisce l'idea che gli operai stessi devono fare tutto da soli, vediamo come questo argomento non solo non significa nulla di buono, ma è, addirittura, molto dannoso.

Passiamo al secondo argomento; l'utilità dell'azione parlamentare (in periodo rivoluzionario) per

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approfittare delle divisioni tra i partiti e fare compromessi con questo o quel partito. Per confutare questo argomento (in particolare per quanto riguarda l'Inghilterra e la Germania, ma anche, in generale per l'intera Europa occidentale), devo entrare nei dettagli un po' più di quanto non ho fatto per la prima questione. Una cosa del genere mi rimane difficile di fronte a voi, compagno Lenin; e tuttavia occorre farla. L'intera questione dell'opportunismo rivoluzionario (giacché si tratta qui non più dell'opportunismo nel riformismo ma nella rivoluzione) è per noi dell'Europa occidentale una questione di vita o di morte. In se stessa la confutazione è facile. Abbiamo criticato già cento volte questo argomento quando Troelstra, Henderson, Bernstein, Legien, Renaudel, Vandervelde, ecc..., in una parola, tutti i socialpatrioti se ne servivano. Già Kautsky, quando era ancora Kautsky, l'aveva confutato. Si trattava dell'argomento fondamentale dei riformisti. E mai avremmo pensato di doverlo combattere in voi. E tuttavia dobbiamo tarlo. Cosi sia! Il vantaggio conferito dall'utilizzazione parlamentare delle «divisioni» è insignificante cosi come sono state insignificanti, dopo molti anni e decine di anni, queste stesse «divisioni». Tra i partiti della grande borghesia, come in quelli della piccola borghesia, ci sono soltanto divisioni insignificanti. E’ cosi in Germania e in Inghilterra. Questa realtà non data dalla rivoluzione, ma risale a molto tempo prima, all'epoca dello sviluppo lento. Tutti i partiti, ivi compresi quelli della piccola borghesia e dei piccoli contadini, si sono schierati già da molto tempo contro gli operai. Le divergenze che hanno sull'atteggiamento da assumere verso gli operai (e a causa di cio verso altre questioni) sono diventate minime, sono spesso addirittura scomparse. Ciò è innegabile, in teoria e in pratica. E’ cosi in Europa occidentale, in Germania e in Inghilterra. La teoria ci insegna che il capitale è concentrato nelle banche, nei trust e nei monopoli in modo formidabile. In effetti, in occidente e particolarmente in Inghilterra e in Germania, queste banche, trust e cartelli hanno integrato quasi tutto il capitale dei diversi rami dell'industria, del commercio, dei trasporti, e perfino in gran parte dell'agricoltura. A causa di ciò l'intera industria, piccola o grande, tutti i trasporti, piccoli o grandi, l'intero commercio, piccolo o grande, e la maggior parte dell'agricoltura, di quella grande e di quella piccola, sono diventati completamente dipendenti dal grande capitale. E si incorporano in esso. Il compagno Lenin dice che il piccolo commercio, il piccolo trasporto, la piccola industria e l'agricoltura oscillano tra il capitale e gli operai. Ciò è falso. Era vero nel caso della Russia e una volta anche da noi. Ora però nell'Europa occidentale, in Germania e in Inghilterra essi dipendono cosi completamente dal grande capitale che non oscillano più. Il piccolo bottegaio, il piccolo industriale, il piccolo commerciante, sono del tutto subordinati alla potenza dei trust, dei monopoli, delle banche. Questi ultimi li riforniscono di merci e di crediti. Perfino il piccolo contadino dipende, con la sua cooperativa e le ipoteche, dai trust, dai monopoli e dalle banche. Compagno, questa parte della mia dimostrazione della validità della linea di sinistra è la più

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importante; da essa dipende qualsiasi tattica per quanto riguarda l'Europa e l'America. Compagno, di quali parti sono composti questi strati inferiori che si trovano vicini al proletariato? Da negozianti, artigiani, impiegati subalterni e piccoli contadini. Esaminiamoli dunque nell'Europa occidentale. Venite con me, compagno, non soltanto in un grande magazzino — qui la dipendenza dal grande capitale è evidente — ma in una modesta bottega dell'Europa occidentale, in mezzo ad un quartiere di proletari poveri. Che cosa vedete? Tutte o quasi tutte queste merci, abiti, generi alimentari, attrezzi, combustibili, ecc. non soltanto sono prodotti della grande industria, ma molto spesso sono distribuiti dai trust. E questo non è vero soltanto per le città ma anche nella campagna. I piccoli commercianti sono, già ora per la maggior parte, dei depositari del grande capitale. In particolare del capitale finanziario. Chi sono gli impiegati subalterni? Nell'Europa occidentale sono per la maggior parte dei servitori del grande capitale o dello Stato e degli enti locali i quali ultimi dipendono, a loro volta, dal grande capitale e, dunque, in ultima analisi, dalle banche. La percentuale degli impiegati dello strato più vicino al proletariato, posto direttamente alle dipendenze del grande capitale, è molto grande nell'insieme dell'Europa occidentale, enorme in Germania e in Inghilterra, cosi come negli Stati Uniti e nelle colonie inglesi. Gli interessi di questi strati sono dunque legati agli interessi del grande capitale, e quindi, delle banche. Ho già parlato dei contadini poveri e abbiamo visto che per il momento non sono suscettibili di essere conquistati dal comunismo per via dei motivi che ho già ricordato e anche per il fatto che essi sono alle dipendenze del grande capitale per quanto riguarda i loro macchinari, le loro vendite e le loro ipoteche.

Che cosa ne consegue, compagno? Che la società e lo Stato moderno europeo-occidentale (e americano) formano un grosso complesso strutturato fino alle sue branche e ai suoi rami più lontani, e che è dominato, messo in movimento, e regolato interamente dal capitale finanziario; che la società è qui un corpo organizzato, organizzato sul modello capitalista ma pur tuttavia organizzato; che il capitale finanziario è il sangue di questo corpo che scorre in tutti i membri e li nutre; che questo corpo è un tutto organico e che tutte le sue parti devono a questa unità la loro estrema vitalità in modo che tutte gli restano attaccate fitto alla morte reale. Tutte eccetto il proletariato che è quello che crea il sangue, il plusvalore. A causa di questa dipendenza di tutte le classi dal capitae finanziario e dalla potenza formidabile di cui dispone, tutte le classi sono ostili alla rivoluzione e il proletariato è solo.

E poiché il capitale finanziario è la potenza più elastica e duttile del mondo, e sa centuplicare ulteriormente la sua influenza con il credito, riesce a tenere legati la classe, la società e lo Stato capitalistici, anche dopo questa terribile guerra, dopo la perdita di migliaia di miliardi, e in una

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situazione che ci appare già come la sua bancarotta. Esso, al contrario, riesce a unire più strettamente tutte le classi attorno a sé (con l'eccezione del proletariato) e organizza la loro lotta comune contro il proletariato. Questa potenza, questa elasticità questo mutuo sostegno di tutte le classi, sono capaci di sussistere ancora per molto tempo dopo lo scoppio della rivoluzione. Certamente il capitale è terribilmente indebolito. La crisi arriva e, con essa, la rivoluzione. E io credo che la rivoluzione sarà vittoriosa. Ma esistono due cause che mantengono ancora la solidità del capitalismo: sono la schiavitù spirituale delle masse e il capitale finanziario. La nostra tattica deve dunque prendere per base l'importanza decisiva di questi fattori.

Esiste infine un'altra causa grazie alla quale il capitale finanziario organizzato realizza l'unione di tutte le classi della società di fronte alla rivoluzione. Si tratta del gran numero dei proletari. Tutte le classi pensano che se potessero ottenere dagli operai (che in Germania sono più di venti milioni) giornate lavorative di dieci, dodici e quattordici ore, sarebbe ancora possibile uscire dalla crisi. Anche su questo terreno formano un fronte unico. Questa è la situazione economica dell'Europa occidentale.

In Russia il capitale finanziario non raggiungeva questo livello di potenza e, di conseguenza, le classi borghesi e piccolo-borghesi non erano solidali. Esistevano divisioni al loro interno. E per questo che là il proletariato non era solo. In queste cause economiche risiede la base dei fatti politici. E per questi motivi che nell'Europa occidentale le classi inferiori di cui abbiamo parlato, votano come schiavi sottomessi per i loro padroni, per i partiti della grande borghesia e aderiscono a questi partiti. I ceti medi non hanno, per cosi dire, dei loro partiti in Germania e in Inghilterra, né ce li hanno, in generale, nell'Europa occidentale.

Le cose erano già andate molto avanti, in questa direzione, prima della rivoluzione e prima della guerra. Ma la guerra ha accentuato questa tendenza in una misura formidabile con lo sciovinismo e l'union sacrée. Ma soprattutto con la gigantesca concentrazione di tutte le forze economiche. E la rivoluzione ha cominciato a imprimere a questo sviluppo una estrema intensità: raggruppamento di tutti i partiti della grande borghesia e avvicinamento alla loro politica di tutti gli elementi piccoloborghesi e piccolo-contadini (la rivoluzione russa non è scoppiata per nulla: ora si sa ovunque quello che c'è da aspettarsi). Riassumendo: grande borghesia, agrari, classe media, contadini medi, strati inferiori della borghesia e dei contadini, formano tutti insieme un blocco contro gli operai in Europa occidentale, e soprattutto in Germania e in Inghilterra. Grazie al monopolismo, alle banche, ai trust, all'imperialismo, alla guerra e alla rivoluzione, tutti si sono accordati su questo terreno. La

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proletarizzazione, è vero, ha fatto dei progressi enormi per via della guerra. Ma tutto (quasi tutto) ciò che non è proletario, si aggrappa con forza ancora maggiore al capitalismo, lo difende con le armi alla mano se occorre e combatte il comunismo. Compagno, devo ripetere qui l'osservazione già fatta a proposito della questione contadina (primo capitolo). Io so molto bene che non dipende da voi ma dai poveri uomini del nostro partito il fatto di non avere la forza di orientare la tattica derivante dalle linee generali, di subordinarla a piccole manovre particolari, e di concentrare l'attenzione sui frammenti degli strati in questione che ancora sfuggono alla dominazione, alla malia del grande capitale.

Non contesto che esistano tali frammenti, ma dico che la verità concreta, la tendenza generale nell'Europa occidentale, consiste nell'integrazione di questi strati nella sfera del grande capitale, Ed è su questa verità generale che deve fondarsi la nostra tattica!

Io non contesto neanche che possano ancora verificarsi delle divisioni. Affermo soltanto questo: la tendenza è, e reterà ancora per molto tempo durante la rivoluzione, quel a dell'union sacrée e pretendo che sia meglio, per gli operai dell'Europa occidentale, concentrare la loro attenzione più su questo blocco delle classi nemiche che sulle loro divisioni. Infatti qui spetta a loro, agli operai, in primo luogo, il compito di fare la rivoluzione e non ai loro capi e ai loro delegati nei parlamenti.

Non dico neanche, qualunque sia l'uso che i poveri di spirito possano fare delle mie parole, che ci sia identità tra gli interessi reali di queste classi inferiori e quelli del grande capitale. So bene che le prime sono oppresse da quest'ultimo. Affermo solo questo: queste classi si legano ancora più fortemente di prima al grande capitale perché anche esse vedono ora la rivoluzione proletaria prospettarsi come un pericolo. Per esse il dominio del capitale significa una certa sicurezza, la possibilità di avanzare, di migliorare la loro situazione, o quantomeno, la fede in questa possibilità. Oggi il caos minaccia tutto ciò, ma la rivoluzione significa innanzitutto un caos ancora più completo. E’ per questo che stanno dalla parte del capitale nel suo tentativo di mettere fine al caos con tutti i mezzi, di aumentare la produzione, di obbligare gli operai ad accrescere il lavoro e a subire pazientemente una vita di privazioni. Per queste classi la rivoluzione proletaria nell'Europa occidentale è il rovesciamento e la distruzione di ogni ordine, di ogni sicurezza della vita, per quanto modesta possa essere. A causa di ciò esse sono tutte dalla parte del capitale e ci resteranno ancora per molto tempo, anche durante la rivoluzione.

Devo infatti far notare ancora una volta che sto parlando della tattica da seguire durante l'inizio e il corso della rivoluzione. So che alla fine della rivoluzione, quando la vittoria sarà vicina e il capitalismo frantumato, le classi di cui parlo verranno verso di noi. Ma noi dobbiamo stabilire la

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nostra tattica per l'inizio e per la durata della rivoluzione e non per la sua fine. Dunque, secondo la teoria, tutto quanto ho detto finora, non poteva essere diverso. Secondo la teoria queste classi dovevano restare unite. Questo è certo dal punto di vista teorico. Lo è anche nella pratica: ecco quello che sto ora per dimostrare.

Già da molti anni tutta la borghesia, tutti i partiti della borghesia nell'Europa occidentale, ivi compresi quelli di cui fanno parte i piccolo-borghesi e i piccolo-contadini, hanno smesso di fare alcunché a favore degli operai. Essi si sono tutti schierati come nemici del movimento operaio, a favore dell'imperialismo e della guerra. Già da molti anni non esisteva più alcun partito in Inghilterra, in Germania, nell'Europa occidentale, utile alla causa operaia. Tutti combattevano questa classe e in ogni questione (Non ho spazio per dimostrare questa affermazione nei dettagli. L’ho fatto a fondo in un opuscolo intitolato Le basi del comunismo).

La legislazione del lavoro era abrogata, la regolamentazione peggiorata. Venivano promulgate leggi antisciopero e approvate imposte sempre più alte. L'imperialismo, il colonialismo, il navalismo e il militarismo erano sostenuti da tutti i partiti borghesi, compresi quelli piccolo-borghesi. Le differenze tra liberale e clericale, conservatore e progressista, grande e piccolo borghese, andavano sparendo.

Tutto quello che i socialpatrioti e i riformisti dicevano dei disaccordi tra i partiti, delle divisioni utilizzabili — un piatto che voi, Lenin, riscaldate oggi — era già una barzelletta. Era una barzelletta in tutti i paesi dell'Europa occidentale. E lo si è ben visto nel luglio-agosto del 1914. Fin da allora essi erano tutti d' accordo. E in pratica sono diventati ancora più uniti per via della rivoluzione.

Uniti contro la rivoluzione e, per questo, in ultima analisi, contro gli operai, perché soltanto la rivoluzione può recare un miglioramento reale a tutti gli operai. Contro la rivoluzione tutti i partiti si mettono d' accordo senza divisioni.

E poiché in seguito alla guerra, alla crisi e alla rivoluzione, tutte le questioni sociali è politiche sono praticamente legate con quella della rivoluzione, queste classi sono finalmente d'accordo su tutte le questioni, e si erigono contro il proletariato su tutti i terreni, nell’Europa occidentale. In breve, anche praticamente, il trust, il monopolio, la grande banca, l'imperialismo, la guerra, la rivoluzione, hanno saldato tutte le classi di grandi e piccoli borghesi e tutte le classi contadine dell'Europa occidentale, in un blocco antioperaio (Sappiamo molto bene tutto ciò noi olandesi. Abbiamo visto sparire queste –divisioni-. Da noi non esistono più partiti democratico-cristiani o altri.

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Benchè siamo soltanto degli olandesi, possiamo giudicare meglio di un russo che, disgraziatamente, sembra giudicare l’Europa occidentale con un parametro russo.).

Si tratta dunque di una certezza, nella pratica cosi come nella teoria. Nella rivoluzione nell'Europa occidentale, e soprattutto in Inghilterra e in Germania, non c'è da fare affidamento sull'esistenza di «divisioni» di qualche importanza tra le classi in questione. Devo qui aggiungere qualche cosa di personale. Voi criticate il Bureau di Amsterdam; citate un tesi del Bureau. Tra parentesi tutto quello che ne dite è inesatto. Ma voi dite anche che prima di condannare il parlamentarismo il Bureau di Amsterdam aveva il dovere di fare un'analisi dei rapporti di classe e dei partiti politici in modo da giustificare questa condanna. Scusatemi, compagno, ma questo non rientrava nei doveri del Bureau. Il fatto su cui si basa la nostra tesi, il fatto cioè che tutti i partiti borghesi, dentro e fuori del parlamento, sono da molto tempo e continuano a restare i nemici unanimi degli operai, che essi non manifestano divisioni interne su questo punto, è già da lunga data una cosa provata e generalmente ammessa dai marxisti, almeno in Europa occidentale. Non dovevamo perciò metterci ad analizzare una cosa del genere.

Al contrario: spettava a voi il compito di provare che esistono «divisioni» importanti e tra questi partiti politici, a voi che volete portarci all'opportunismo. Volete portarci a fare dei compromessi nell'Europa occidentale. Quello che Troelstra, Henderson, Scheidemann, Turati ecc., non hanno realizzato ai tempi dell'evoluzione, voi volete farlo nell'epoca della rivoluzione. Siete voi che dovete provare che ciò è possibile.

Dovete dare non delle prove russe, cosa che in verità è troppo comoda, ma prove europeooccidentali. Voi avete soddisfatto questo dovere nella maniera più penosa. Nulla di sorprendente giacché avete assimilato, quasi esclusivamente, la esperienza della Russia, cioè di un paese molto arretrato, e non l'esperienza moderna europeo-occidentale. Non trovo in tutto il vostro opuscolo, che ha per contenuto proprio la questione della tattica, oltre agli esempi russi dei quali mi occuperò presto, che due esempi europeo-occidentali: il putsch di Kapp in Germania, e, in Inghilterra, il governo di Lloyd George-Churchill con l'opposizione di Asquith. Pochissimi esempi e tra i più penosi, veramente, quando si tratta di dimostrare che esistono realmente delle divisioni tra i partiti borghesi, e in particolare tra i partiti socialdemocratici.

Se ci fosse mai stato bisogno di dimostrare che non esistono divisioni importanti tra i partiti borghesi (qui si tratta anche dei partiti socialdemocratici) di fronte agli operai, dutante la rivoluzione, il putsch di Kapp darebbe questa dimostrazione. I kappisti si guardarono bene dal compiere rappresaglie, dall'uccidere o imprigionare i democratici, i centristi e i socialdemocratici. E

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quando costoro tornarono al potere, si astennero rigorosamente dal castigare, uccidere o imprigionare i kappisti, I due partiti anzi rivaleggiarono in ardore nell'uccidere i comunisti.

Il comunismo allora era ancora troppo debole: solo per questo i due partiti non organizzarono un dittatura comune. La prossima volta, quando il comunismo sarà più forte, essi organizzeranno una dittatura comune. Spettava o spetta ancora a voi, compagno Lenin, di dimostrare come i comunisti avrebbero potuto utilizzare le divisioni (?) in parlamento: naturalmente in modo da procurare vantaggi agli operai. Era vostro dovere indicare che cosa i deputati comunisti avrebbero dovuto dire per mostrare questa divisione agli operai e per utilizzarla; naturalmente con lo scopo di non fortificare i partiti borghesi. Voi non potete farlo perché non esiste alcuna seria divisione tra questi partiti durante la rivoluzione. Ora è proprio di questo che stiamo parlando. Ed era vostro dovere dimostrare che, se si fossero manifestate divisioni del genere in casi particolari, sarebbe stato più vantaggioso attirare l'attenzione degli operai su di esse anziché sulla tendenza generale all’union sacrée.

Era ed è vostro compito, compagno, prima di dirigerci, di dirigere noi nell'Europa occidentale, dimostrare dove sono queste «divisioni» in Inghilterra, nell'Europa occidentale.

Neanche questo potete fare. Parlate di una «divisione» tra Churchill, Lloyd George ed Asquith, che gli operai dovrebbero utilizzare. Ciò è completamente penoso. Non voglio neanche discuterne con voi. Perché ognuno sa che da quando il proletariato industriale ha una qualche forza in Inghilterra, le «divisioni» di questo genere sono state e sono quotidianamente provocate artificiosamente dai partiti e dai capi della borghesia per ingannare gli operai, per attirarli da una parte all'altra e viceversa, all'infinito, mantenendoli cosi eternamente deboli e subordinati. A tale fine qualche volta fanno addirittura entrare due avversari (?) nello stesso governo. Lloyd George e Churchill. E il compagno Lenin si lascia catturare in questa trappola quasi centenaria! Vuole persuadere gli operai inglesi a basare la loro tattica su questo inganno! All'epoca della rivoluzione! ... Ma domani i Churchill, Asquith e Lloyd George si uniranno contro la rivoluzione e allora voi, compagno, avrete ingannato e indebolito il proletariato inglese con una illusione. Voi, compagno, avevate il dovere di dimostrare, non con un linguaggio generico, magnifico e brillante (come fate nel vostro ultimo capitolo), ma esattamente, concretamente, con degli esempi, con fatti molto dettagliati e molto chiari quali sono in fin dei conti i conflitti e le differenziazioni -non russi, né insignificanti o artificialima reali, importanti, europeo-occidentali. Questo non lo fate in nessun punto del vostro opuscolo. Fino a quando non ci darete queste prove noi non vi crederemo.

Quando ce le darete, vi risponderemo. Fino a quel momento vi diremo: si tratta di pure illusioni che servono soltanto a ingannare gli operai e a portarli su una strada sbagliata. La verità è, compagno,

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che voi sbagliate nel porre sullo stesso piano la rivoluzione russa e la rivoluzione nell'Europa occidentale. A vantaggio di chi? E dimenticando che esiste negli Stati moderni, vale a dire europeo-occidentali (e nordamericani), una potenza che è al di sopra delle diverse categorie di capitalisti— proprietari fondiari, industriali e commercianti — il capitale finanziario. Questa potenza, che è identica all'imperialismo, unisce in un sol blocco tutti i capitalisti e con essi i piccolo borghesi e i contadini.Ciononostante vi resta ancora qualcosa da rispondere. Voi dite: «Esistono divisioni tra i partiti operai e i partiti borghesi. E da queste noi possiamo trarre profitto». Ciò è esatto.

Bisogna innanzitutto riconoscere che le divisioni tra socialdemocratici e borghesi erano ridotte quasi a zero durante la guerra e la rivoluzione, tanto che, generalmente, sono scomparse. Ciò detto, è e resta possibile l'esistenza di una divisione del genere. E forse si presenterà ancora. Dobbiamo perciò parlarne. Tanto più che a questo proposito voi invocate il governo inglese «puramente» operaio Tomas-Henderson-Clynes, ecc., contro Sylvia Pankhurst in Inghilterra, e il governo eventuale «puramente socialista» di Ebert-Scheidemann-Noske-Hilferding-Crispien-Cohn contro il Partito comunista operaio tedesco (Si pone ancora il problema di sapere se questa tappa dei governi –puramente operai è obbligatoria da noi. Qui voi vi lasciate indurre in errore dall’esempio russo Kerenskij. In quanto segue, io dimostrerò che quand’anche questa tappa si presentasse, come durante le giornate di marzo in Germania, non c’è egualmente nessuna possibilità di sostenere il governo –puramente- socialista.)

Voi dite che la vostra tattica, che valorizza agli occhi dei proletari i governi operai e che stimola la loro formazione, è la tattica chiara e vantaggiosa, mentre la nostra che si oppone alla loro formazione è la tattica dannosa. No, compagno! La nostra posizione di fronte all'eventualità di un governo «puramente» operaio, oppure del governo di coalizione tra partiti operai e borghesi — lo spiraglio si allarga in crepa — è anch' essa molto chiara e molto vantaggiosa per la rivoluzione. E’ possibile che noi lasceremmo in piedi un governo del genere per qualche tempo. Ciò potrebbe essere necessario e costituire un progresso del movimento. In questo caso, se non ci è ancora possibile andare oltre, noi lo lasceremo sopravvivere, lo criticheremo col massimo di severità e lo rovesceremo, non appena possibile, per sostituirlo con un governo comunista.

Ma non collaboreremo a instaurare un simile governo con l'azione parlamentare ed elettorale, non lo faremo proprio noi, nell'Europa occidentale e in piena rivoluzione. Non collaboreremo con un governo del genere perché nell'Europa occidentale gli operai sono soli nella rivoluzione. per questo che tutto — ascoltate bene — tutto, dipende qui dalla volontà d'azione degli operai, e dalla loro chiarezza di idee. Ora la vostra tattica, questo compromesso a favore degli Scheidemann, degli Henderson, Crispien, e di questi o di quelli dei vostri amici — che si tratti

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di un indipendente inglese, di un comunista opportunista dello Spartakusbund o di un membro del British Socialist Party, fa lo stesso — la vostra tattica nel parlamento, e fuori del parlamento, è buona soltanto a confondere le idee degli operai facendo loro eleggere qualcuno che essi sanno già in anticipo essere un furbo; al contrario, la nostra tattica li illumina indicando il nemico come nemico. E per questo che nell'Europa occidentale, nella nostra situazione, noi adottiamo questa tattica e respingiamo la vostra, anche se dovessimo, a causa di ciò, passare nell'illegalità, perdere la rappresentanza in parlamento e sacrificare per una volta la possibilità di utilizzare le «divisioni » (nel parlamento?! ). Il vostro consiglio è ancora uno di quei consigli che provocano confusioni e determinano illusioni.

Ma allora, e i membri dei partiti socialdemocratici? Degli Indipendenti? Del Labour Party? Dell'Indipendente Labour Party? Non bisogna cercare di conquistarli? Ebbene gli operai e i membri piccolo-borghesi di questi partiti noi, la sinistra, vogliamo conquistarli (nell’Europa occidentale) con la nostra propaganda, le nostre riunioni e la nostra stampa; e, più ancora, col nostro esempio, le nostre parole d'ordine e la nostra azione nelle aziende. Ciò nel corso della rivoluzione. Quelli che non saranno conquistati in questo modo, attraverso Ia stampa, l'azione, la rivoluzione, sono perduti fin da ora, in qualsiasi modo e devono soltanto andare al diavolo.

Questi partiti socialdemocratici, partiti indipendenti, partiti laburisti e simili, in Inghilterra e in Germania sono formati da operai e da piccolo-borghesi. Noi possiamo far venire dalla nostra parte i primi, conquistare poco a poco tutti gli operai. Ma non avremo che un numero ristretto di piccoloborghesi, e i piccolo-borghesi, al contrario dei piccolo-contadini, non hanno una grande importanza economica. Quei pochi che verranno a noi, saranno stati conquistati con la propaganda, ecc... Ma il maggior numero — ed è su questo che si basano Noske e consorti — è parte integrante del capitalismo e si stringe sempre di più attorno ad esso a mano a mano che la rivoluzione avanza.

Siamo divisi dai partiti operai, dagli indipendenti, dai socialdemocratici, dal Labour Party, ecc., abbiamo spezzato il contatto con essi, perché non li sosteniamo alle elezioni? No, al contrario; cerchiamo di stabilire un contatto con questi partiti ogni volta che sia possibile. Ad ogni occasione li invitiamo all'azione comune: allo sciopero, al boicottaggio, all'insurrezione, alle battaglie di strada e soprattutto alla formazione di consigli operai, di organizzazioni di fabbrica. Li cerchiamo ovunque. Ma non più, come accadeva prima, sul terreno parlamentare. Quest'ultima tattica appartiene, nell'Europa occidentale, ad un'epoca superata. Noi li cerchiamo nell’officina, nelle organizzazioni e nella strada. E là che li si può oggi raggiungere; è là che noi conquistiamo gli operai. Questa è la nuova tattica che succede alla pratica socialdemocratica. E’ la pratica comunista. Voi, compagni, pretendete di spingere i socialdemocratici, gli indipendenti ed altri nel parlamento e

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nel governo per dimostrare che sono dei furbi. Volete utilizzare il parlamento per dimostrare che esso non è buono a nulla.

Ciascuno alla sua maniera: voi prendete gli operai con un modo pieno di malizia; li spingete verso il nodo scorsoio e li lasciate impiccare. La nostra maniera, invece, è quella che li aiuta ad evitare la corda. Facciamo questo perché qui è possibile farlo. Voi seguite la tattica dei popoli contadini, noi quella dei popoli industriali. Non c'è in queste parole alcuna ironia, né sarcasmo. Io ammetto che la vostra via è stata corretta da voi. Ma soltanto voi non dovete imporci — sia nelle piccole questioni, sia in quelle grandi come le questioni dei sindacati e del parlamentarismo — l'applicazione di ciò che è buono in Russia ma disastroso qui. Devo infine farvi un'altra critica: voi dite e sostenete ad ogni occasione che la rivoluzione nell'Europa occidentale è impossibile fino a quando le classi inferiori vicine al proletariato non saranno state sufficientemente scosse, neutralizzate o conquistate. Poiché ho ora dimostrato che esse non possono essere scosse, neutralizzate o conquistate nella prima fase della rivoluzione, quest'ultima risulterebbe impossibile, se si ammettesse che la vostra tesi è corretta (questa osservazione mi è già stata rivolta da parte vostra e, tra gli altri, dal compagno Zinov'ev). Ma per fortuna la vostra affermazione in questa questione di estrema importanza — in questa alternativa che decide della rivoluzione — non si basa su alcunché di serio. Prova soltanto, una volta di più, che voi vedete ogni cosa con gli occhi dell'Europa dell'est. Dimostrerò questo nell'ultimo capitolo.

Credo di aver cosi dimostrato che il vostro secondo argomento a favore del parlamentarismo scaturisce in massima parte dall'ingegno opportunista e che da questo punto di vista anche il parlamentarismo deve essere sostituito con un'altra forma di lotta, sprovvista di certi inconvenienti e dotata dei massimi vantaggi. Ammetto infatti che la vostra tattica possa dare qualche vantaggio. Il governo operaio può recare qualcosa di buono, e anche una maggiore chiarezza. Anche in un regime di illegalità la vostra tattica, può risultare vantaggiosa. Lo riconosciamo. Ma cosi come un tempo dicevamo ai revisionisti e ai riformisti: -Mettiamo lo sviluppo della coscienza degli operai al di sopra di ogni altra cosa, anche al di sopra dei vantaggi immediati-, oggi diciamo a voi, Lenin, e ai vostri compagni e alla destra: -Mettiamo al di sopra di ogni altra cosa la crescita delle masse nella volontà d'azione-. E’ a questo fine, come un tempo a quell'altro, che tutto deve essere indirizzato nell'Europa occidentale. E guardiamo allora se ha ragione la sinistra... o Lenin! Non ho alcun dubbio. Noi avremo la meglio su di voi e, al tempo stesso, dei Troelstra, Henderson, Reandel e Legien.

Mi occupo ora del vostro terzo argomento: gli esempi russi. Li citate varie volte. Un tempo li ho ammirati. Sono sempre stato con voi, fin dal 1903. Anche quando non conoscevo i vostri obiettivi precisi — le comunicazioni erano impedite — come al tempo della pace di Brest-Litovsk, vi ho

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difeso con i vostri argomenti. La vostra tattica fu certamente notevole per quanto riguarda la Russia ed è grazie ad essa che i russi hanno vinto. Ma ciò significa qualcosa per l'Europa occidentale? Nulla, o molto poco, secondo me. Siamo d'accordo per quel che riguarda i soviet, la dittatura del proletariato, come strumenti per la rivoluzione e l'edificazione. E anche la vostra tattica verso gli Stati stranieri è stata — almeno fino ad oggi — un esempio per noi. Ma diverso è il discorso per la vostra tattica nei paesi europeo-occidentali. E ciò è naturale.

Come potrebbero essere mai identiche la tattica da applicare nell'Europa orientale e quella per l'Europa occidentale? La Russia è un paese provvisto di una agricoltura largamente preponderante, di un capitalismo industriale che solo in parte è altamente sviluppato e che, nel suo insieme, resta relativamente molto piccolo. Per giunta era in gran parte alimentato dal capitale straniero. Nell’Eurapa occidentale, soprattutto in Germania e in Inghilterra, è vero il contrario. Da voi le vecchie forme del capitale sussistono sulla base del capitale usurario; da noi si registra la preponderanza quasi esclusiva del capitale finanziario altamente sviluppato. Da voi: residui feudali, vestigia addirittura dell'epoca delle tribù e della barbarie. Da noi, soprattutto in Inghilterra e in Germania: un insieme — agricoltura, commercio, trasporti, industria — diretto dal capitalismo più avanzato, Da voi: enormi sopravvivenze della schiavitù, contadini poveri, classe rurale media pauperizzata. Da noi: relazioni dirette dei contadini poveri con la produzione moderna, con i trasporti, la tecnica e gli scambi; classi medie della città e della campagna — anche negli strati più bassi — in contatto diretto con i grandi capitalisti.

Voi avete ancora delle classi con le quali il proletariato in ascesa può collegarsi. La semplice esistenza di queste classi è già un aiuto. E la stessa cosa, naturalmente, è vera sul terreno dei partiti politici. Da noi nulla di tutto questo. La conseguenza naturale di queste differenze sta nel fatto che il compromesso, la contrattazione in tutte le direzioni, cosi come voi le descrivete in modo tanto suggestivo, l'utilizzazione delle divisioni perfino tra i liberali e gli agrari, avevano il loro valore da voi. Da noi queste manovre sono impossibili. Da qui la differenza tra la tattica dell'Est e quella dell'Ovest. La nostra tattica si adatta alle nostre condizioni. E’ valida qui come la vostra lo è da voi. Trovo gli esempi russi soprattutto in sette pagine. Quale sia il significato di questi esempi per la questione sindacale russa, occorre dire che non ne hanno alcuno per la stessa questione nell'Europa occidentale giacché qui il proletariato ha bisogno di armi molto più forti. Per quanto concerne il parlamentarismo, i vostri esempi o sono tratti da un'epoca in cui la rivoluzione non era arrivata (e questi non hanno importanza per la questione che stiamo trattando) oppure sono tanto differenti dalla nostra situazione — essendo stabilito che voi potevate servirvi dei partiti piccolocontadini e piccolo borghesi — che non possono trovare da noi alcuna applicazione. Mi sembra, compagno, che la erroneità totale del vostro giudizio — sia quello dell'opuscolo che

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quello della tattica applicata dall'esecutivo di Mosca in accordo con voi — derivi soltanto dal fatto che voi non conoscete sufficientemente la nostra situazione o, per meglio dire, che non traete le conclusioni giuste dalle vostre conoscenze e che le giudicate troppo dal punto di vista russo. Ma bisogna concluderne, e questo deve essere qui ripetuto con tutta la chiarezza possibile — perché ne dipende la salvezza o la disgrazia del proletariato occidentale, del proletariato mondiale e della rivoluzione mondiale — che né voi né l'esecutivo di Mosca siete in condizione di dirigere la rivoluzione in Europa occidentale e, di conseguenza, la rivoluzione mondiale, se insistete in questa tattica.

Voi chiedete: non potete dunque neanche formare una frazione parlamentare voi che volete trasformare il mondo? Noi rispondiamo; questo opuscolo, questo vostro opuscolo, è già una prova del fatto che chi si attacca a una cosa del genere conduce il movimento operaio su una strada sbagliata, lo conduce alla sconfitta.

Il vostro libro fa credere agli operai dell'Europa occidentale delle fantasmagorie, delle cose impossibili: fa loro credere ai compromessi con i borghesi durante la rivoluzione. Presenta loro qualcosa che non esiste: le divisioni in seno alla borghesia occidentale durante la rivoluzione. Fa loro credere che un compromesso con i socialpatrioti e gli elementi esitanti (?) del parlamento può recare qualcosa di buono mentre in realtà apporta soltanto disastri. Il vostro libro riconduce il proletariato europeo-occidentale nel marasma dal quale, con una pena estrema, senza esserne ancora veramente uscito, cerca tuttavia di uscire.

Ci riconduce nel marasma in cui gli Scheidemann, Renaudel, Kautsky, Macdonald, Longuet, Vandervelde, Branting e Troelsta ci avevano condotto (e ciò non può non far scoppiare in costoro una grande gioia, così come nei borghesi che ci capiranno qualcosa). Un libro simile è per il proletariato comunista rivoluzionario quello che il libro di Bernsteihi fu per il proletariato prerivoluzionario. E il vostro primo libro cattivo; ma per l'Europa occidentale non può essercene uno peggiore. Noi, i compagni della sinistra, dobbiamo serrare i ranghi con energia, ricominciare tutto dalle fondamenta ed esercitare la critica più severa contro tutti coloro i quali, nella Terza Internazionale, non indicano la strada giusta. Se dovessi tirare ora la conclusione da tutte queste considerazioni sul parlamentarismo, la formulerei cosi: i vostri tre argomenti a favore del parlamentarismo significano molto poco o sono completamente sbagliati. Su questo punto come sulla questione sindacale la vostra tattica è nefasta per il proletariato. L’opportunismo della Terza Internazionale

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La questione dell’opportunismo nelle nostre file è di tale importanza che voglio parlarne ancora nei dettagli. Compagno, l’opportunismo non è stato ucciso, neanche a casa nostra, con la semplice costituzione della Terza Internazionale. E’ quanto constatiamo già in tutti i partiti comunisti, in tutti i paesi. In effetti sarebbe stato un miracolo, una contraddizione a tutte le leggi dell’evoluzione se il male per cui è morta la Seconda Internazionale non sopravvivesse nella Terza!. E invece così come la lotta tra la socialdemocrazia e l’anarchismo fu la base profonda della Seconda Internazionale, la lotta tra l’opportunismo e il marxismo rivoluzionario sarà quella della Terza. Vedremo così di nuovo, fin da ora, dei comunisti andare in parlamento per diventare dei capi, e sostenere i sindacati e i partiti laburisti per avere dei voti nelle elezioni. Invece di fare i partiti per fare il comunismo, si utilizzerà il comunismo per fare i partiti. Tornerà in vigore l’abitudine ai cattivi compromessi parlamentari con i socialdemocratici e i borghesi, dando per scontato che la rivoluzione nell’Europa occidentale sarà una rivoluzione lenta. La libertà di parola sarà soppressa all’interno dei partiti e dei buoni comunisti saranno espulsi. In breve, riavremo la pratica della Seconda Internazionale.

Contro tutto questo la sinistra deve ergersi ed essere pronta a lottare così come ha già fatto nella Seconda Internazionale. Essa deve essere appoggiata in questa battaglia da tutti i marxisti e da tutti i rivoluzionari, anche se costoro pensano che ha torto su alcuni punti particolari. Infatti l’opportunismo è il nostro nemico più pericoloso. Non soltanto fuori, come dite voi, ma anche dentro le nostre file. Il fatto che l’opportunismo penetra nuovamente –con le sue conseguenze disastrose per la coscienza e la forza del proletariato- costituisce un pericolo mille volte peggiore di un eccesso di radicalismo da parte della sinistra. La sinistra, anche quando si spinge oltre, resta sempre rivoluzionaria. Essa può cambiare la sua tattica constatando che questa tattica non è giusta. La destra opportunista è destinata a diventare sempre più opportunista, a infognarsi sempre più nel marasma e a provocare sempre la sconfitta degli operai. Non è per nulla che abbiamo imparato questa verità durante una lotta di venticinque anni. L’opportunismo significa la sconfitta del movimento operaio, la morte della rivoluzione. E’ per colpa dell’opportunismo che è venuto tutto il male: il riformismo, la guerra, la disfatta e la morte della rivoluzione in Ungheria e in Germania. L’opportunismo è la causa del nostro annientamento. E esso è presente nella Terza Internazionale… Perché sprecare tante parole? Guardatevi attorno, compagno. Via dunque, guardate voi stesso. Guardate nel Comitato esecutivo! Guardate in tutti i paesi dell’Europa!

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Leggete il giornale del Partito socialista inglese (British Socialist Party) che è ora il giornale del partito comunista. Leggete dieci, venti numeri di questo giornale. Osservate questa critica debole dei sindacati, del Labour Party, dei parlamentari, e fate il confronto con un giornale di sinistra. Confrontate il giornale dell’organizzazione che aderisce al Labour Party con quello degli avversari del Lbour Party, e constaterete che l’opportunismo invade a grandi ondate la Terza Internazionale. Tutto ciò serve soltanto a conquistare nuovamente una forza in parlamento (grazie all’aiuto degli operai controrivoluzionari)… vale a dire una forza alla maniera della Seconda Internazionale!

Pensate anche al Partito socialista indipendente di Germania che verrà presto a bussare alla porta della Terza Internazionale; e presto verranno anche altri partiti centristi altrettanto numerosi! Credete che se costringerete questi partiti ad espellere Kautsky, ecc…, ognuno di questi traditori non sarà sostituito da masse di traditori identici: ogni opportunista espulso, da diecimila opportunisti? Tutti questi provvedimenti di espulsione sono infantili?. Una massa innumerevole di opportunisti si avvicina. Che cosa accadrà dopo che avrete loro offerto questo opuscolo, il vostro opuscolo? Guardate dalla parte del Partito comunista olandese, dalla parte di quelli che un tempo venivano chiamati i bolscevichi dell’Europa occidentale. Potrete leggere in un opuscolo sul partito olandese come esso sia già completamente corrotto dall’opportunismo socialdemocratico. Durante la guerra, dopo la guerra e ancora di recente, esso si è abbandonato all’Intesa. Un partito che era così lucido un tempo, è diventato un esempio di equivoci e di inganni.

Ma guardate dunque in Germania, compagno, nel paese in cui la rivoluzione è scoppiata! La vive e cresce l’opportunismo. Abbiamo appreso con sorpresa che avete difeso l’atteggiamento del Partito comunista tedesco (KPD) durante le giornate di marzo. Per fortuna abbiamo capito, dal vostro opuscolo, che non conoscevate lo svolgimento dei fatti. Avete approvato l’atteggiamento della Centrale della KPD che offriva un’opposizione leale a Ebert, Scheidemann, Hilferding e Crispien, ma non sapevate ancora, evidentemente, quando scrivevate l’opuscolo, che nel momento stesso in cui ciò si verifica, Ebert ammassava truppe contro il proletariato tedesco, che in quel momento lo sciopero delle masse era ancora generale nella maggior parte della Germania, che le masse comuniste, nella loro grande maggioranza, erano pronte a condurre la rivoluzione se non alla vittoria immediata (che era forse impossibile) almeno a uno sviluppo della sua potenza.

Ma mentre le masse proseguivano la rivoluzione con scioperi e con la insurrezione armata (nulla è mai stato più formidabile e più ricco di speranze dell’insurrezione nella Ruhr e dello sciopero generale), i capi offrivano compromessi parlamentari! In questo modo sostenevano Ebert contro la rivoluzione nella Ruhr. E se c’è mai stato un esempio che dimostra come l’uso del parlamentarismo durante la rivoluzione è una cosa maledetta nell’Europa occidentale, è proprio

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questo tedesco. Guardate compagno: l’opportunismo parlamentare, il compromesso con i social patrioti e gli indipendenti, ecco quello che non vogliamo e quello che voi mettete in azione.

E dunque, compagno, che cosa sono diventati, già ora, i consigli di fabbrica in Germania? Voi e l’esecutivo della Terza Internazionale avete suggerito ai comunisti di entrare nei sindacati insieme a tutte le altre tendenze per strappare la direzione grazie all’influenza nei consigli di fabbrica. E che cosa è accaduto? Il contrario. La Centrale dei consigli di fabbrica è diventata poco a poco quasi uno strumento dei sindacati. Il sindacato è una piovra che strangola qualsiasi cosa vivente che giunge alla sua portata. Compagno, leggete e informatevi, su tutto quanto accade in Germania e nell’Europa occidentale. Io conservo la piena speranza che verrete dalla nostra parte e anche che l’esperienza porterà la Terza Internazionale ad accettare la nostra tattica. In caso contrario, l’opportunismo che marci così rapido in Germania, con quale passo avanzerà in Francia e in Inghilterra?

Osservate, compagno, quali sono in capi che non vogliamo. Quale è l’unità di masse e di capi che non desideriamo. Quale disciplina di ferro, l’obbedienza militare, il servilismo cadaverico di cui non vogliamo saperne. Che una parola sia qui detta al Comitato esecutivo e particolarmente a Radek. Il Comitato esecutivo ha avuto la faccia tosta di esigere dalla KAPD (Partito comunista operaio tedesco) l’espulsione di Wolffheim e di Laufenberg invece di lasciare al partito il diritto di giudicare sulla questione. Ha ricevuto la KAPD con minacce, e i partiti centristi, come il Partito socialista indipendente (USPD) con lusinghe. Non ha mai preteso dal Partito comunista tedesco di espellere la centrale che, con le sue trattative, è stata solidale con la fucilazione dei comunisti nella Ruhr. Non ha preteso dal partito olandese l’espulsione di Wijnkoop e di Van Ravestyn i quali offrirono delle navi all’Intesa durante la guerra… (non che io reclami l’espulsione di questi compagni! Penso che i compagni onesti si sono sbagliati soltanto per via delle terribili difficoltà presentate dall’inizio e dallo sviluppo della rivoluzione nell’Europa occidentale. Noi, come tutti, commettiamo molti grandi errori!). D’altra parte queste espulsioni non servirebbero a nulla al punto in chi è questa Internazionale.

Faccio notare ciò soltanto per dimostrare ancora con un altro esempio fino a che punto l’opportunismo fa danni nelle nostre fila. Infatti la Centrale di Mosca ha commesso una ingiustizia nei confronti della KAPD soltanto perché non vuole, vista la sua tattica mondiale opportunista, dei veri rivoluzionari, ma si rivolge invece verso gli indipendenti e altri opportunisti. Ha giocato intenzionalmente questa carta di Wolffheim e di Laufenberg contro la KAPD, benché la KAPD fosse in disaccordo con la tattica –nazional bolscevica- di questi due leaders, e soltanto per

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obiettivi opportunisti tra i più miserevoli. Si tratta per la Centrale di ammassare sia i sindacati che i partiti per avere innanzitutto delle masse, siano o no comuniste.

Due altre azioni della Terza Internazionale dimostrano ugualmente con chiarezza in quale direzione essa si muove. La prima è la destituzione del Bureau di Amsterdam, l’unico gruppo di marxisti e teorici rivoluzionari che, nell’Europa occidentale, non ha mai vacillato. La seconda è il tradimento inflitto alla KAPD, l’unico partito che, come organizzazione, nella sua interezza, nell’Europa occidentale, a partire dalla sua creazione fino ad oggi, abbia sempre condotto la rivoluzione nella direzione giusta. Mentre i partiti del centro, gli indipendenti, i centristi francesi, inglesi, eterni traditori della rivoluzione, sono stati corteggiati con tutti i mezzi, la KAPD, il partito veramente rivoluzionario è stato trattato come un nemico. Questi sono brutti sintomi, compagno.

Riassumendo: la Seconda Internazionale opportunista sopravvive o rivive tra noi. E l’opportunismo porta al disastro. Poiché ci porta al disastro, poiché esiste tra noi, forte, fortissimo, più forte di quanto avessi potuto immaginare, la sinistra deve essere presente. Anche se le altre buone ragioni per la sua esistenza non fossero valide, essa dovrebbe essere presente come opposizione, come contrappeso all’opportunismo.

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Conclusioni

Devo ancora dire qualcosa a proposito del vostro ultimo capitolo Conclusioni finali, che è forse il più importante del vostro libro. L'ho letto di nuovo rievocando con entusiasmo la rivoluzione russa. Ma a ogni brano e senza interruzione ho dovuto ripetermi: «Questa tattica, cosi brillante in Russia, non vale nulla qui; porta alla disfatta». Voi spiegate a questo, punto, compagno, che a un dato stadio dello sviluppo, dobbiamo conquistare le masse a milioni e a decine di milioni. Allora la propaganda per il comunismo «puro» che ha raggruppato ed educato l'avanguardia diventa insufficiente. Ormai si tratta... — ed ecco che a questo punto riappaiono i vostri metodi opportunisti già combattuti prima — di utilizzare le divisioni-, gli elementi piccolo borghesi, ecc...

Compagno, anche questo capitolo è sbagliato nel suo insieme. Ragionate da russo, non da comunista internazionale che conosce il vero capitalismo, il capitalismo occidentale. Quasi ogni parola di questo capitolo, ammirevole per la conoscenza della vostra rivoluzione, cade in errore quando è in questione il capitalismo altamente sviluppato, il capitalismo dei trust e dei monopoli. E’ quello che voglio ora dimostrare. Innanzitutto nelle piccole cose.

Voi scrivete a proposito del comunismo nell'Europa occidentale: «L'avanguardia del proletariato occidentale è già conquistata». Ecco una cosa sbagliata, compagno! «E’ finito il tempo della propaganda»: altra controverità! «L'élite proletaria è conquistata alle nostre idee»: errore completo, compagno, e che ha la stessa natura di quell'altro prodotto di recente da Bucharin: «Il capitalismo inglese ha fatto bancarotta». Ho trovato anche in Radek simili fantasmi che nascono nel mondo dell'astrologia ma non in quello dell'astronomia. Nulla di tutto ciò è vero; salvo in Germania, non esiste da nessuna parte una vera avanguardia. Non esiste in ogni caso in Inghilterra, né in Francia, né in Belgio, né in Olanda, né — se devo credere alle informazioni di cui dispongo— nella maggior parte dei paesi scandinavi. Esistono soltanto alcuni esploratori ancora in disaccordo sulla via da seguire. E un'illusione fatale quella di credere che «il tempo della propaganda è passato».

No, compagno, questo tempo comincia appena nell'Europa occidentale. Ovunque ci manca un nucleo solido. E quello di cui abbiamo ora abbisogno è proprio un nucleo resistente come l'acciaio, come il cristallo anche. Ed è da qui che occorre iniziare, è su questa base che si deve costruire una grande organizzazione. Da questo punto di vista siamo qui allo stesso stadio in cui voialtri eravate nel 1903 e forse anche un po' prima, nel periodo dell'«Iskra». Compagno, la situazione, le condizioni oggettive sono molto più mature del nostro movimento; una ragione di più per non lasciarci trascinare senza assicurare quello che è indispensabile.

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Se noialtri dell'Europa occidentale, partiti comunisti d'Inghilterra, di Francia, Belgio, Olanda, paesi scandinavi, Italia ecc., e anche Partito comunista operaio di Germania, abbiamo il dovere di consolidarci per un po' di tempo con un piccolo numero, non è perché proviamo per questa situazione una particolare predilezione, ma perché dobbiamo attraversare questa fase per diventare forti.

Una setta, allora? dirà il Comitato esecutivo... Precisamente una setta, se intendete con questa parola il nucleo iniziale di un movimento che pretende di conquistate il mondo! Compagno, il vostro movimento bolscevico è stato, un tempo, una cosetta da niente. E proprio perché era piccolo, perché era ristretto e voleva esserlo, si è conservato puro durante un periodo di tempo abbastanza lungo. A questa condizione, a questa sola condizione, è diventato potente, E quello che anche noi vogliamo fare. Tocchiamo qui una questione estremamente importante, dalla quale dipende non soltanto la rivoluzione europeo-occidentale, ma anche la rivoluzione russa. Siate prudente, compagno! Sapete che Napoleone, quando ha tentato di diffondere il capitalismo moderno per l'Europa, si è infine rotto il muso e ha dovuto lasciare il campo alla reazione, perché era arrivato al punto in cui non soltanto aveva a che fare con troppo Medioevo ma, soprattutto, con troppo poco capitalismo ancora.

Anche le vostre affermazioni secondarie, sopra citate, sono sbagliate. Mi occuperò ora di quelle più importanti, della cosa più importante di tutte. Secondo voi è giunto il momento di abbandonare la propaganda per il comunismo «puro» e di marciare alla conquista delle masse con la tattica opportunista che avete descritto. Compagno, anche se voi aveste ragione nelle affermazioni secondarie e se i partiti comunisti fossero veramente pervenuti qui ad avere una forza sufficiente, non resterebbe men vero che quest'ultima pretesa è sbagliata dalla A alla Z.

La propaganda puramente comunista, per un comunismo rinnovato, è qui una cosa indispensabile — come ho già più volte ripetuto — dall'inizio alla fine della rivoluzione. Nell'Europa occidentale sono gli operai, gli operai soltanto che devono introdurre il comunismo. Essi non hanno nulla da aspettarsi (nulla d'importante) da nessun'altra classe fino alla fine della rivoluzione.

Voi dite: il momento della rivoluzione è giunto non appena è stata conquistata l'avanguardia e si sono realizzate le seguenti condizioni: 1) tutte le forze di classe che ci sono ostili sono sufficientemente colpite, trascinate in divisioni intestine e indebolite in una lotta. che supera le loro forze; 2) tutti gli elementi intermedi, vacillanti, in ceti cioè piccolo-borghesi, democratici piccolo-

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borghesi ecc., sono stati sufficientemente smascherati davanti al popolo, sono stati messi abbastanza a nudo dalla loro bancarotta.

Ma, compagno, tutto questo è russo! Nello sfasciamento dell'apparato statale russo, queste erano le condizioni della rivoluzione. Ma negli stati moderni del vero capitalismo maturo, le condizioni sono radicalmente diverse. Di fronte al comunismo i partiti della grande borghesia faranno blocco (invece di entrare in conflitto) e la democrazia dei piccolo borghesi si metterà a rimorchio. Non sarà cosi in modo assoluto, ma abbastanza generalizzato perché la nostra tattica ne sia condizionata. Dobbiamo aspettarci nell'Europa occidentale una rivoluzione che sarà, da entrambe le parti, una lotta fermamente risoluta, e particolarmente ben organizzata da parte della borghesia e della piccola borghesia. Ciò mi è dimostrato dalla pesantezza delle formidabili organizzazioni in cui sono inquadrati il capitalismo e gli operai. Ciò dimostra che anche noi, da parte nostra dobbiamo ricorrere alle armi migliori, alle migliori forme di organizzazione, alle più forti, e non alle più insinuanti! E qui, non in Russia, che avrà luogo il vero duello tra il capitale e il lavoro. Perché è qui che si trova il vero capitale. Compagno, se pensate che esagero (senza dubbio per mania di chiarezza teorica), osservate dunque la Germania. Là si trova uno Stato totalmente destinato alla bancarotta, privato di ogni speranza. Ma al tempo stesso tutte le classi, grandi e piccolo-borghesi, contadini ricchi e poveri, resistono tutti insieme contro il comunismo. Da queste parti sarà la stessa cosa dappertutto.

Certamente, alla fine dello sviluppo rivoluzionario, quando la crisi imperverserà nel modo più terribile, quando saremo molto vicini alla vittoria, allora forse sarà spezzata l'unità delle classi borghesi e vedremo qualche frazione della piccola borghesia e dei contadini poveri venire al nostro fianco. Ma a che serve pensare a questo ora? E poiché si può vincere soltanto nel modo che diciamo noi, la propaganda del comunismo «puro», al contrario di ciò che è vero per la Russia, è qui necessaria fino alla fine...

Senza questa propaganda dove, andrebbe il proletariato europeo-occidentale e, di conseguenza, il proletariato russo? Alla sua sconfitta. Chi, dunque, vuole, qui, nell'Europa occidentale, realizzare, cosi come fate voi, dei compromessi, delle alleanze con elementi borghesi e i piccolo-borghesi; chi, in altri termini, vuole l'opportunismo, qui, nell'Europa occidentale, è uno che persegue illusioni invece di realtà, è uno che inganna il proletariato, è (mi servo della stessa parola che avete usata contro il Bureau di Amsterdam) un traditore del proletariato.

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E la stessa cosa vale per tutto l'esecutivo di Mosca. Mentre scrivevo queste ultime pagine, ho ricevuto la notizia che l'Internazionale ha adottato la vostra tattica e quella dell'esecutivo. I delegati dell'Europa occidentale si sono lasciati accecare dal fulgore della rivoluzione russa. Ebbene, ci prenderemo l'incarico di condurre la lotta anche nella Terza Internazionale.

Compagni, noialtri, cioè i vostri vecchi amici Pannekoek, Roland-Holst, Rutgers e io stesso — e non potreste averne di più sinceri — ci siamo chiesti, quando abbiamo conosciuto la vostra tattica per l'Europa occidentale, che cosa poteva averla determinata. Ci sono state opinioni diverse. Uno diceva: la situazione economica della Russia è cosi cattiva che Lenin ha bisogno della pace prima di ogni altra cosa; per questo motivo il compagno Lenin vuole riunire in Europa la più grande forza possibile: indipendenti, Labour Party, ecc..., per essere aiutato nella conquista della pace. Un altro diceva: egli vuole accelerare la rivoluzione generale in Europa; ha quindi bisogno dell'immediata partecipazione di milioni di uomini. Da qui il suo opportunismo.

Quanto a me, io credo, come ho detto, che voi non conoscete la situazione europea. Sia come sia, quali che siano i motivi che vi hanno indotto ad adottare una simile tattica, voi andrete incontro alla più terribile delle disfatte, e porterete il proletariato alla più terribile delle disfatte se non abbandonerete questa tattica. Perché se quello che voi volete è in realtà la salvezza della Russia e della rivoluzione russa, al tempo stesso, con la vostra tattica, riunite gli elementi non comunisti, li fondete con noi, i veri comunisti, quando noi non abbiamo neanche un nucleo consolidato? Ed è con queste cianfrusaglie dei sindacati mummificati, uniti a una massa di semicomunisti e di comunisti al 20, al 10 e allo zero per cento, nella quale non abbiamo neanche un buon. nucleo, che pretendete di combattere contro il capitale più altamente organizzato del mondo, al quale sono alleate tutte le classi non proletarie? E’ ovvio che non appena comincia la battaglia, le cianfrusaglie vanno in pezzi e la grande massa piega le ginocchia.

Cercate di capire, compagno, che una disfatta folgorante del proletariato tedesco, per esempio, è il segnale per un attacco generale contro la Russia. Se il vostro scopo è quello di fare qui la rivoluzione, vi avviso che con questo intruglio di Labour Party, indipendenti, centro francese, partito italiano, ecc... — e con i sindacati — non si potrà avere che una disfatta. I governi non avranno paura, nemmeno una volta, di questo ammasso di opportunisti. Se invece costituite dei raggruppamenti radicalmente comunisti, interiormente solidi, solidi anche nel loro piccolo numero, questi gruppi metteranno paura ai governi perché essi soli sono capaci di

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trascinare le masse a grandi azioni in periodo rivoluzionario; così ha dimostrato la Lega di Spartaco ai suoi esordi. Partiti di questo genere obbligheranno i governi a lasciare tranquilla la Russia, e alla fine, quando si saranno formidabilmente sviluppati alla maniera «pura», verrà la vittoria. Questa tattica, la nostra tattica «di sinistra» è per la Russia come per noi, non soltanto la migliore, ma la sola via di salvezza. Qui, in Europa occidentale, c'è una sola tattica: quella della sinistra che dice la verità al proletariato e non fa balenare davanti ad esso delle illusioni. Quella che, anche se tale lavoro dovesse durare molto tempo, saprà fornirgli le armi più forti, o piuttosto le sole armi valide: le organizzazioni di fabbrica (e la loro unione in una sola organizzazione), e i nuclei — inizialmente ristretti, ma sempre puri e solidi — dei partiti comunisti. Quella che, quando sarà giunto il momento, saprà estendere queste due organizzazioni a tutto il proletariato. Deve essere cosi non perché noi lo desideriamo, ma perché le condizioni della produzione, i rapporti di classe, lo esigono.

Giunto alla fine delle mie considerazioni, voglio riassumerle in alcune formule d'assieme, in qualche sintesi capace di essere colta con un solo sguardo, affinché gli operai vedano tutto più chiaramente con i loro occhi. Si può trarre, credo, un quadro chiaro dei motivi della nostra tattica e della tattica stessa: il capitale finanziario domina il mondo occidentale. Mantiene ideologicamente e materialmente un proletariato gigantesco nella schiavitù più profonda, e realizza l'unione di tutte le classi, la grande e la piccola borghesia. Da qui scaturisce la necessità per queste masse gigantesche di saper fare da sole. Una cosa del genere è possibile soltanto attraverso le organizzazioni di fabbrica e la soppressione del parlamentarismo in un periodo rivoluzionario. In secondo luogo confronterò qui alcune frasi della tattica della sinistra con alcune di quelle della Terza Internazionale, affinché la differenza tra l'una e l'altra emerga con assoluta chiarezza, e affinché gli operai non si scoraggino se la vostra tattica — come è molto probabile — li condurrà alle peggiori disfatte, ma scoprano piuttosto che ne esiste una diversa.

La Terza Internazionale crede che la rivoluzione nell'Occidente seguirà le leggi e la tattica della rivoluzione russa. La sinistra crede che la rivoluzione nell'Europa occidentale produrrà e seguirà le sue leggi specifiche. La Terza Internazionale crede che la rivoluzione europeo-occidentale potrà concludere dei compromessi e delle alleanze con i partiti piccolo-borghesi e dei contadini poveri, e perfino della grande borghesia.

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La sinistra crede che ciò sia impossibile. La Terza Internazionale crede che si verificheranno, nell'Europa occidentale, durante la rivoluzione, delle –divisioni- e delle scissioni tra i borghesi, piccolo-borghesi e contadini poveri. La sinistra crede che i borghesi e i piccolo-borghesi formeranno un fronte unico praticamente fino alla fine della rivoluzione. La Terza Internazionale sottovaluta la potenza del capitale europeo-occidentale e nord-americano. La sinistra assume questa grande potenza come base per la sua tattica. La Terza Internazionale non riconosce nel grande capitale, nel capitale finanziario, la potenza unificatrice di tutte le classi borghesi. La sinistra assume questa potenza unificatrice come base per la sua tattica. Poiché non crede all'isolamento del proletariato in Occidente, la Terza Internazionale trascura lo sviluppo della coscienza del proletariato — che tuttavia vive ancora profondamente sotto l'influenza dell'ideologia borghese in tutti i campi — e adotta una tattica che comporta il mantenimento della schiavitù e della subordinazione davanti alle idee della borghesia. La sinistra sceglie la sua tattica in modo tale da far maturare innanzitutto lo spirito del proletariato. La Terza Internazionale, poiché non basa la sua tattica sulla necessità di elevare le coscienze, né sull'unità di tutti i partiti borghesi e piccolo-borghesi, ma invece su prospettive di compromesso e di «divisioni», lascia sussistere i vecchi sindacati e cerca di farli entrare nella Terza Internazionale. La sinistra, poiché vuole come prima cosa la elevazione delle coscienze e crede nell'unità dei borghesi, sa che i sindacati devono essere distrutti e che il proletariato ha bisogno di armi migliori. Per le stesse ragioni, la Terza Internazionale lascia sopravvivere il parlamentarismo. La sinistra, per le ragioni già esposte, sopprime il parlamentarismo. La Terza Internazionale conserva la schiavitù delle masse nella situazione in cui era al tempo della Seconda. La sinistra vuole rovesciarla da cima a fondo. Essa distrugge il male alle radici. La Terza Internazionale, poiché non crede alla necessità prioritaria di elevare le coscienze in Occidente, né all'unità di tutti i borghesi davanti alla rivoluzione, raccoglie le masse attorno a se stessa, senza cercare i veri comunisti, e senza scegliere una tattica atta a crearne, ma si contenta solo di avere delle masse. La sinistra vuole formare in tutti i paesi dei partiti composti soltanto da comunisti e determina la sua tattica su questa base. Con l'esempio di simili partiti, per quanto possano essere piccoli all'inizio, essa vuoi fare della maggior parte dei proletari, e cioè delle masse, dei comunisti. La Terza Internazionale prende dunque le masse come mezzo. La sinistra come fine. Attraverso la sua tattica (che era molto giusta in Russia) la Terza Internazionale conduce una politica da capi. La sinistra fa una politica da masse.

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Mediante la sua tattica, la Terza Internazionale conduce la rivoluzione nell'Europa occidentale e, in primo luogo, la rivoluzione russa alla sconfitta. Mentre la sinistra conduce il proletariato mondiale alla vittoria.

Per concludere, allo scopo di esprimere i miei giudizi nella forma più sintetica possibile davanti agli occhi degli operai i quali devono acquisire una concezione chiara della tattica, li riassumerò in alcune tesi:

1) la tattica della rivoluzione occidentale deve essere completamente diversa da quella della rivoluzione russa; 2) perché il proletariato qui è completamente solo; 3) il proletariato, qui, deve fare da solo la rivoluzione contro tutte le classi; 4) l'importanza delle masse proletarie è dunque relativamente maggiore, quella dei capi minore, rispetto alla Russia; 5) e il proletariato, qui, deve avere tutte le armi migliori per la rivoluzione; 6) poiché i sindacati sono armi difettose, occorre sopprimerli o trasformarli radicalmente, e sostituirli con organizzazioni di fabbrica riuniti in un'organizzazione generale; 7) poiché il proletariato deve fare da solo la rivoluzione, e non dispone di alcun aiuto, deve elevare molto in alto la sua coscienza e il suo coraggio. Ed è preferibile, in periodo rivoluzionario, l'abbandono del parlamentarismo.

Fraterni saluti

Hermann Gorter

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La vittoria del marxismo (1920) Hermann Gorter

Il proletariato si trova ad una svolta della sua storia, in un periodo di transizione definitiva. L'epoca dell'evoluzione, dello sviluppo relativamente pacifico è terminata. L'epoca della rivoluzione, l'epoca della sostituzione del capitalismo con il comunismo è giunta. Nel periodo di sviluppo del proletariato industriale si distinguono tre fasi. Durante la prima il socialismo appare come Utopia. Durante la seconda il socialismo passa dall'Utopia alla Scienza. Nella terza fase, nella quale noi viviamo attualmente, esso si evolve dalla scienza alla Realtà (diventa Movimento Reale) e incomincia l'azione. Marx fu il creatore del secondo periodo che segna il passaggio dalla Utopia alla Scienza, durante il quale, egli stesso e la sua dottrina incontrarono violenta opposizione da tre parti; da parte della borghesia, da parte degli anarchici e da parte degli opportunisti, (revisionisti e riformisti). La borghesia constatò soprattutto la concentrazione del capitale, l'impoverimento dei lavoratori, la lotta di classe e il materialismo storico. Gli anarchici negarono la necessità dell'impiego della potenza dello stato come mezzo rivoluzionario così come la necessità della centralizzazione del proletariato. Marx volle impiegare la potenza dello stato per la rivoluzione, mentre gli anarchici volevano sopprimere questa potenza nell'indomani di essa. Gli opportunisti combattevano prima di tutto la teoria marxista della rivoluzione violenta. Essi la sostituivano con una teoria di evoluzione progressiva del capitalismo al socialismo. I tre gruppi avversari di Marx hanno riempito tre biblioteche intere dei loro scritti. Ma ora, nel 1917, '18, '19, tutti questi avversari di Marx sono smentiti dai fatti della storia e dagli atti degli uomini stessi. Le biblioteche non hanno più che un significato storico. La guerra mondiale e la rivoluzione russa e tedesca, la rivoluzione mondiale hanno dimostrato in una maniera decisiva la verità di tutte le teorie di Karl Marx. La concentrazione del Capitale, già considerevole prima della guerra, e aumentata smisuratamente per la guerra. Il trust, il monopolio, il capitale bancario dominano il mondo intero. I governi imperialisti non sono che dei fantocci nelle mani del capitale concentrato. L'impoverimento delle masse si estende al mondo intero. Milioni di proletari sono stati abbattuti, sono stati fatti milioni di orfani e di vedove, milioni di disoccupati. L'impoverimento non è soltanto sociale, ma fisiologico e biologico. Che vi sia una lotta di classe questo è indiscutibile ora che una parte del proletariato ha trionfato nella lotta e ha schiacciato la borghesia. E come prova decisiva del materialismo storico: la rivoluzione per l'abbattimento del capitalismo e l'instaurazione del socialismo è sbocciata dal conflitto tra le forze produttive capitaliste e i rapporti di produzione o di proprietà capitalista. Nella rivoluzione russa lo Stato, nelle mani del proletariato, è apparso in una maniera evidente, il mezzo necessario per l'abbattimento del capitalismo. La centralizzazione delle forze economiche e politiche nelle mani del proletariato centralizzato si è mostrata il solo mezzo di edificare il

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comunismo. La rivoluzione violenta, e non l'evoluzione, si è mostrata in Russia, come in Germania ed Ungheria, il solo mezzo di reprimere e sottomettere la borghesia e di annientare il capitalismo. Tutte queste questioni, non sono più questioni. Esse sono tutte risolute nella realtà. L'insegnamento di Marx ha vinto teoricamente, e gli opportunisti e gli anarchici e la borghesia. In rapporto con la politica che essi prendono di fronte al marxismo trionfante, nessuno dei partiti che volevano condurre la classe lavoratrice al comunismo ha raggiunto questo fine. Le tendenze anarchiche, pseudo-marxiste (Kautsky e consorti) hanno fatto fallimento tanto quanto le tendenze socialdemocratiche. I loro adepti sono diventati traditori del socialismo o non hanno trovato la via che conduce ad esso.

La guerra mondiale e la rivoluzione che essa ha generato hanno mostrato in una maniera evidente che non vi è che una sola tendenza nel movimento operaio che mena realmente i lavoratori al comunismo. Solo l'estrema sinistra dei partiti social-democratici, le frazioni marxiste, il partito di Lenin in Russia, di Bela Kun in Ungheria, di Rosa Luxemburg e di Karl Liebknecht in Germania hanno trovato il buono ed unico cammino. La tendenza che ha avuto sempre per fine l'abbattimento del capitalismo colla violenza. La tendenza che all'epoca dell'evoluzione, dello sviluppo pacifico faceva uso della lotta politica e dell'azione parlamentare per la propaganda rivoluzionaria e per l'organizzazione del proletariato. La tendenza che ora fa uso della forza dello Stato per la rivoluzione. LA medesima tendenza che ora ha anche trovato il mezzo di spezzare lo stato capitalista e di trasformarlo, in stato socialista, il mezzo per cui si costruisce il comunismo: i Consigli Operai, che richiudono in se stessi tutte le forze politiche ed economiche.

La tendenza che infine ha scoperto ciò che la classe operaia ignorava fino ad ora e che ora è stabilito per sempre: l'organizzazione per la quale il proletariato può vincere e sostituire il capitalismo.

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Il movimento dei consigli in Germania (1919-1936) di H.C. Meijer, 1938

Il testo che segue non è l’opera di uno storico di Stato. Non ha quindi lo scopo di far ricordare dei fenomeni contingenti, di accumulare dei dettagli legati ad una situazione particolare, ma di mettere in evidenza alcuni grandi tratti storici particolarmente significativi. Si sforza ugualmente di mostrare come il fallimento del movimento dei consigli nella Germania degli anni ‘20 fu imputabile in primo luogo all’influenza che i concetti tradizionali continuavano ad esercitare sulla mentalità operaia e quanto sia grande la necessità di proporre delle idee nuove in stretto rapporto con l’epoca in cui viviamo. Infine, mettendo in evidenza la estrema difficoltà di questo compito – perfino per dei militanti decisi e dalle idee avanzate – sottolinea implicitamente che la ricerca degli elementi di novità nella lotta di classe e la propaganda per il mondo nuovo, sono uno dei rari mezzi di cui i partigiani della Rateidee (idea dei consigli) dispongono, per agire nei confronti di un movimento generale autonomo di classe, quando esso si manifesta.

LA RIVOLUZIONE

Nel novembre 1918 il fronte tedesco crollò: i soldati disertarono a migliaia e l’intera macchina bellica rovinò. Nondimeno, a Kiel, gli ufficiali della flotta decisero di impegnarsi in un’ultima battaglia, per salvare 1′onore. Allora i marinai rifiutarono di servire. Questo non era il loro primo sollevamento, ma i tentativi precedenti erano stati repressi dai proiettili e addomesticati dalle belle parole. Questa volta non v’erano più ostacoli immediati e la bandiera rossa si alzò prima su una nave da guerra, poi sulle altre. I marinai elessero dei delegati che si costituirono in Consiglio. Ormai i marinai erano costretti a fare di tutto per generalizzare il movimento. Essi non avevano voluto morire in combattimento contro il nemico; ma se fossero rimasti isolati, le truppe “lealiste” sarebbero intervenute e, di nuovo, ci sarebbe stata una sanguinosa repressione. Così i marinai sbarcarono e marciarono sul grande porto di Amburgo, e di là con il treno e con qualsiasi altro mezzo si sparsero per la Germania. Il gesto liberatore era compiuto. Gli avvenimenti si susseguivano ora tumultuosamente. Amburgo accolse i marinai con entusiasmo; soldati ed operai solidarizzarono con loro e a loro volta elessero dei Consigli. Benché questa forma di organizzazione fosse fino ad allora sconosciuta nella pratica, una vasta rete di Consigli Operai e di Consigli di Soldati, rapidamente, nel giro di quattro giorni, ricoprì il paese. Forse si era già inteso parlare dei Soviet russi del 1917, ma fino ad allora, in verità, pochissimo; la censura vigilava. In ogni caso, nessun partito, nessuna organizzazione aveva mai proposto questa nuova forma di lotta.

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I PRECURSORI DEI CONSIGLI

Tuttavia, durante la guerra in Germania, organismi analoghi avevano fatto la loro apparizione nelle fabbriche. Essi si erano costituiti nel corso degli scioperi, formati da responsabili eletti, i cosiddetti uomini di fiducia. Incaricati di svolgere piccole funzioni sul posto, questi ultimi, coerentemente con la tradizione sindacale tedesca, dovevano assicurare un legame tra la base e le centrali sindacali, cioè trasmettere alle centrali le rivendicazioni degli operai. Durante la guerra queste lagnanze erano numerose (le principali vertevano sull’intensificazione del lavoro e sull’aumento dei prezzi). Ma i sindacati tedeschi – come quelli degli altri paesi – avevano costituito un fronte unico con il governo, facendosi garanti della pace sociale, in cambio di piccoli vantaggi per gli operai e della partecipazione dei dirigenti sindacali a diversi organismi ufficiali. Le “teste dure” erano, prima o poi, spedite nell’esercito, nelle unità speciali. Era dunque difficile prendere pubblicamente posizione contro i sindacati. Ben presto gli “uomini di fiducia” smisero d’informare le centrali sindacali: non ne valeva la pena; ma la situazione, e di conseguenza le rivendicazioni operaie, non mutavano per questo; allora essi presero a riunirsi clandestinamente. Nel 1917, bruscamente, un’ondata di scioperi selvaggi investì l’intero paese. Del tutto spontanei, questi movimenti non erano diretti da un’organizzazione stabile e permanente; e se si svolgevano con una certa coerenza, è soltanto perché erano stati preceduti da discussioni e accordi tra le diverse fabbriche, contatti preliminari all’azione presi dagli uomini di fiducia di queste fabbriche. In questi movimenti, provocati da una situazione intollerabile, in mancanza di un’organizzazione alla quale accordare una seppur limitata fiducia (fosse essa socialdemocratica, cristiana, liberale, anarchica, ecc.), gli operai dovettero far fronte alle necessità del momento; le masse lavoratrici erano obbligate a decidere autonomamente, su una base di fabbrica. Nell’autunno 1918, questi movimenti, fino ad allora sporadici e più o meno separati gli uni dagli altri, assunsero una forma precisa e generalizzata. A fianco delle amministrazioni classiche (polizia, rifornimenti, ecc.) e talvolta, in parte, prendendone il posto, i Consigli Operai si appropriavano del potere nei centri industriali più importanti: Berlino, Amburgo, Brema, Ruhr, Germania centrale e Sassonia. Ma i risultati furono in verità scarsi. Per quale ragione?

UNA FACILE VITTORIA

Questa carenza di risultati fu dovuta in primo luogo alla facilità stessa con la quale i Consigli Operai si costituirono. L’apparato statale aveva perduto ogni autorità; se esso crollava, qua e là, non era in conseguenza di una lotta accanita e cosciente dei lavoratori. Il loro movimento incontrava soltanto il vuoto e si estendeva dunque senza difficoltà, senza cioè che fosse necessario combattere e riflettere sulla lotta. Il solo obiettivo di cui si parlava era quello dell’insieme della popolazione: la pace.

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In questo vi era una differenza essenziale rispetto alla rivoluzione russa. In Russia la prima ondata rivoluzionaria, la Rivoluzione di Febbraio, aveva spazzato via il regime zarista; ma la guerra continuava. Il movimento unito dei lavoratori trovava così una ragione per accentuare la sua pressione e mostrarsi sempre più ardito e deciso. Ma in Germania l’aspirazione principale della popolazione, la pace, fu immediatamente appagata; il potere imperiale lasciava posto alla Repubblica. Di che tipo di Repubblica si sarebbe trattato? Prima della guerra su questo punto non v’era alcuna divergenza tra i lavoratori. La politica operaia, nella pratica come nella teoria, era condotta dal Partito Socialdemocratico e dai sindacati, e fatta propria e approvata dalla maggioranza dei lavoratori organizzati. Per i membri del movimento socialista, formatosi nel corso della lotta per la democrazia parlamentare e per le riforme sociali, nutrito da questa lotta, lo Stato democratico borghese un giorno sarebbe divenuto la leva del socialismo. Sarebbe bastato conquistare la maggioranza in Parlamento ed i ministri socialisti avrebbero nazionalizzato, passo a passo, l’intera vita economica e sociale; la realizzazione di questo obiettivo veniva identificata con il socialismo. Senza dubbio vi era anche una corrente rivoluzionaria, di cui Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg erano i rappresentanti più conosciuti. Tuttavia questa corrente non sviluppò mai delle concezioni nettamente opposte a quelle del socialismo di stato: essa costituiva soltanto un’opposizione in seno al vecchio partito; dal punto di vista della base questa corrente non si distingueva chiaramente dall’insieme.

LE NUOVE CONCEZIONI

Tuttavia delle nuove concezioni videro la luce durante i grandi movimenti di massa del 1918-1921. Esse non erano espressione di una pretesa avanguardia, ma delle masse stesse. Nella pratica, l’attività autonoma degli operai e dei soldati aveva prodotto la sua forma organizzativa: i Consigli, dei nuovi organismi che agivano in un senso di classe. E poiché vi è uno stretto legame tra le forme assunte dalla lotta di classe e le concezioni dell’avvenire, va da sé che, qua e là, le vecchie concezioni cominciarono ad essere rovesciate. Adesso, i lavoratori organizzavano le proprie lotte al di fuori degli apparati dei partiti e dei sindacati; così prendeva corpo l’idea che le masse dovessero esercitare un’influenza diretta sulla vita sociale per mezzo dei Consigli. Allora si sarebbe realizzata la “dittatura del proletariato”, come si diceva; una dittatura che non sarebbe stata esercitata da un partito, ma sarebbe stata l’espressione dell’unità infine realizzata di tutta la popolazione lavoratrice. Certo, una tale organizzazione della società non sarebbe stata democratica nel senso borghese del termine, poiché la parte della popolazione non partecipante alla nuova organizzazione della vita sociale, non avrebbe avuto voce né nelle discussioni né nelle decisioni.

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Come si diceva, le vecchie concezioni cominciavano ad essere stravolte. Ma presto divenne evidente che la tradizione parlamentare e sindacale erano troppo profondamente radicate nelle masse per poter essere estirpate nel breve periodo. La borghesia, il Partito Socialdemocratico e i sindacati fecero appello a quelle concezioni tradizionali per battere in breccia le nuove concezioni. Il partito, in particolare, a parole si felicitava di questo nuovo modo che le masse avevano trovato per imporsi nella vita sociale; arrivava perfino ad esigere che questa forma di potere diretto fosse approvata e codificata da una legge. Ma se in questo modo testimoniava loro la sua simpatia, il vecchio movimento operaio, nel suo insieme, rimproverava ai Consigli di non essere rispettosi del principio democratico – pur giustificandoli, in parte, per via della loro mancanza di esperienza, dovuta chiaramente alla loro nascita spontanea. Di fatto le vecchie organizzazioni rimproveravano ai Consigli di non riservare loro un posto sufficientemente importante e addirittura di far loro concorrenza. Proclamandosi a favore della democrazia operaia, i vecchi partiti e sindacati reclamavano che tutte le correnti del movimento operaio fossero rappresentate nei Consigli, proporzionalmente alla loro rispettiva importanza.

IL TRANELLO

La maggior parte dei lavoratori era incapace di confutare questo argomento: esso corrispondeva troppo alle loro vecchie abitudini. Così i Consigli Operai finirono col riunire rappresentanti del partito socialdemocratico, dei sindacati, dei socialdemocratici di sinistra, delle cooperative di consumo, ecc., allo stesso titolo dei delegati di fabbrica. E’ evidente che simili organismi non erano più espressione di gruppi di lavoratori, legati tra di loro dalla vita della fabbrica, ma diventavano formazioni assimilabili al vecchio movimento operaio ed operanti in favore della restaurazione capitalistica sulla base di un capitalismo di Stato democratico. Tutto questo significò la rovina degli sforzi operai. Infatti, i delegati ai Consigli non ricevevano più le direttive dalla massa, ma dalle loro differenti organizzazioni. Essi invitavano i lavoratori a rispettare e a far rispettare “l’ordine”, proclamando che “nel disordine, non vi può essere socialismo”. In queste condizioni i Consigli persero rapidamente ogni valore agli occhi degli operai. Le istituzioni borghesi si rimisero a funzionare, senza naturalmente preoccuparsi del parere dei Consigli; tale era precisamente lo scopo del vecchio movimento operaio Il vecchio movimento operaio poteva essere fiero della sua vittoria. La legge votata dal Parlamento fissava nel dettaglio i diritti ed i doveri dei Consigli. Essi avrebbero avuto come compito di sorvegliare l’applicazione delle leggi sociali. Detto altrimenti, i Consigli divenivano degli ingranaggi dello Stato; anziché demolirlo, dovevano partecipare al suo buon funzionamento. Cristallizzate nelle masse, le tradizioni si rivelavano più potenti dei risultati dell’azione spontanea. Malgrado questa “rivoluzione abortita”, non si può dire che la vittoria degli elementi conservatori sia stata facile. Il nuovo orientamento degli spiriti, nonostante tutto, era abbastanza forte perché

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centinaia di migliaia di operai lottassero con accanimento, affinché i Consigli conservassero il loro carattere di nuove unità dell’organizzazione di classe. Furono necessari cinque anni di conflitti incessanti, talvolta di combattimenti armati, e il massacro di 35.000 operai rivoluzionari, perché il movimento dei Consigli fosse definitivamente sconfitto dal fronte unico della borghesia, dal vecchio movimento operaio e dalle “guardie bianche” costituite dai signorotti prussiani e dagli studenti reazionari.

LE CORRENTI POLITICHE

A grandi linee si possono distinguere, sul versante operaio, quattro grandi correnti politiche: a. I socialdemocratici. Essi intendevano nazionalizzare gradualmente le grandi industrie utilizzando la via parlamentare. Tendevano ugualmente a riservare ai sindacati soltanto il ruolo di intermediari tra i lavoratori ed il capitale di Stato. b. I comunisti. Ispirandosi più o meno all’esempio russo, questa corrente preconizzava un’espropriazione diretta dei capitalisti ad opera delle masse. Secondo loro, gli operai rivoluzionari avevano il dovere di “conquistare” i sindacati e di “renderli rivoluzionari”. c. Gli anarco-sindacalisti. Essi si opponevano alla conquista del potere politico e alla sopravvivenza di qualsivoglia Stato. Nella loro concezione, i sindacati rappresentavano la formula dell’avvenire; bisognava lottare affinché i sindacati acquistassero un’estensione tale da renderli capaci di gestire l’intera vita economica. Uno dei più conosciuti teorici di questa corrente, nel 1920, scriveva che i sindacati non dovevano essere considerati come un prodotto transitorio del capitalismo, bensì come i germi della futura organizzazione socialista della società. Proprio all’inizio nel 1919, sembrò che l’ora di questo movimento fosse finalmente venuta. I sindacati anarchici iniziarono a gonfiarsi, a partire dal crollo dell’Impero. Nel 1920, essi contavano circa 200.000 membri. d. Tuttavia, quello stesso anno, gli effettivi dei sindacati rivoluzionari iniziarono a diminuire. Una gran parte dei loro aderenti si volgeva ora verso un’altra forma di organizzazione, più adatta alle nuove condizioni della lotta: l’organizzazione rivoluzionaria di fabbrica. Ogni fabbrica aveva, o avrebbe dovuto avere, la sua propria organizzazione, agente indipendentemente dalle altre – che, in un primo stadio, non era nemmeno collegata alle altre. Ogni fabbrica assumeva dunque l’aspetto di una “repubblica indipendente”, ripiegata su sé stessa. Senza dubbio, questi organismi di fabbrica erano una realizzazione delle masse; tuttavia, bisogna sottolineare che essi facevano la propria apparizione nel quadro di una rivoluzione, se non già sconfitta, quantomeno stagnante. Divenne presto evidente che gli operai non potevano, nell’immediato, conquistare ed organizzare il potere economico e politico per mezzo dei Consigli. Bisognava dunque innanzitutto sostenere una lotta senza quartiere contro le forze che si opponevano ai Consigli. Gli operai rivoluzionari cominciarono dunque a raccogliere le proprie forze

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in tutte le fabbriche, al fine di restare in stretto contatto con la vita sociale. Con la loro propaganda, essi si sforzavano di risvegliare la coscienza degli operai, li invitavano ad uscire dai sindacati e ad aderire all’organizzazione rivoluzionaria di fabbrica: gli operai nel loro insieme avrebbero potuto in tal modo dirigere essi stessi le proprie lotte e conquistare il potere economico e politico su tutta la società. In apparenza, la classe operaia faceva così un grande passo indietro sul terreno dell’organizzazione. Mentre prima, infatti, il potere degli operai era concentrato in alcune potenti organizzazioni centralizzate, ora si disgregava in centinaia di piccoli gruppi, che riunivano alcune centinaia o migliaia di aderenti, secondo l’importanza della fabbrica. In realtà, quella forma si rivelava la sola che permettesse di porre le basi di un potere operaio diretto. Così, benché relativamente

piccole,

queste

nuove

organizzazioni

spaventavano

la

borghesia,

la

socialdemocrazia ed i sindacati.

LO SVILUPPO DELLE ORGANIZZAZIONI DI FABBRICA

Tuttavia non era per principio che queste organizzazioni si tenevano isolate le une dalle altre. La loro apparizione era avvenuta in modo spontaneo e separato, nel corso degli scioperi selvaggi che caratterizzarono il periodo (quello dei minatori della Ruhr, nel 1919, per esempio). Una nuova tendenza si fece strada, allora, con l’obiettivo di unificare tutti questi organismi e di opporre un fronte coerente alla borghesia ed ai suoi accoliti. L’iniziativa partì dai grandi porti, Amburgo e Brema. Nell’aprile 1920, una prima conferenza, alla quale parteciparono delegazioni provenienti dalle principali regioni industriali della Germania, si tenne ad Hannover. La polizia intervenne e disperse il congresso. Ma arrivava troppo tardi. In effetti, un’organizzazione generale, unitaria, era già stata fondata e aveva potuto stilare i suoi più importanti princìpi d’azione. Questa organizzazione si era data il nome di AAUD – A1lgemeine Arbeiter Union-Deutschlands (Unione Generale dei Lavoratori di Germania). L’AAUD annoverava tra i suoi princìpi essenziali la lotta contro i sindacati e i Consigli di impresa legali e il rifiuto del parlamentarismo. Ciascuna delle organizzazioni membre dell’Unione aveva diritto alla massima autonomia ed alla più grande libertà di scelta nella sua tattica. A quell’epoca in Germania, i sindacati contavano più membri di quanti non ne avessero mai avuti e di quanti dovessero averne poi. Così, nel 1920 i sindacati di osservanza socialista raggruppavano quasi 8 milioni di persone, che versavano le rispettive quote nelle casse delle 52 associazioni sindacali; i sindacati cristiani contavano più di un milione di aderenti; i sindacati padronali, i “gialli”, ne riunivano quasi 300.000. Inoltre, vi erano alcune organizzazioni anarco-sindacaliste (FAUD) ed altre organizzazioni che, più tardi, avrebbero aderito all’ISR (Internazionale Sindacale Rossa, legata a Mosca).

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All’inizio l’AAUD non riuniva che 80.000 lavoratori (aprile 1920); ma la sua crescita fu rapida e, alla fine del 1920, questo numero salì a 300.000 aderenti. Alcune delle organizzazioni che la componevano esprimevano, è vero, un’eguale simpatia per la FAUD o l’ISR. Ma nel dicembre 1920, divergenze politiche in seno all’AAUD provocarono una grave scissione; numerose associazioni aderenti se ne staccarono per formare una nuova organizzazione, detta unitaria: l’AAUD -E. Dopo questa rottura, all’epoca del suo IV Congresso (giugno 1921), l’AAUD dichiarava di contare più di 200.000 membri. In realtà, queste cifre erano gonfiate: nel mese di marzo 1921, il fallimento dell’insurrezione nella Germania centrale e la conseguente repressione avevano letteralmente decapitato e smantellato l’AAUD. Ancora debole, l’organizzazione non aveva potuto resistere in modo efficace ad un enorme ondata di repressione poliziesca e politica.

IL PARTITO COMUNISTA TEDESCO (KPD)

Prima di esaminare le diverse scissioni verificatesi nel movimento delle organizzazioni di fabbrica, è necessario parlare del Partito Comunista (KPD). Durante la guerra, il Partito Socialdemocratico si era posto al fianco delle classi si dirigenti e aveva fatto il possibile per mantenere la “pace sociale”; con l’eccezione tuttavia di una piccola frangia di militanti e di funzionari del partito, tra i quali i più conosciuti erano Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht. Questi ultimi avevano fatto propaganda contro la guerra e criticato violentemente il Partito Socialdemocratico. Essi non erano completamente soli: oltre alla loro “Lega di Spartaco”, vi erano altri gruppi, come ad esempio gli “Internazionalisti” di Dresda e di Francoforte, i “Radicali di Sinistra” di Amburgo o “Politica Operaia” di Brema. A partire dal novembre 1918, con la caduta dell’Impero, questi gruppi, formatisi alla scuola della “Sinistra” socialdemocratica, si pronunciarono per una lotta “di strada”, destinata a forgiare una nuova organizzazione politica, che in una certa misura si sarebbe orientata sul modello della rivoluzione russa. Finalmente, un Congresso d’unificazione si tenne a Berlino e, già il primo giorno, vide la luce il Partito Comunista (30 dicembre 1918). Quest’ultimo diventò immediatamente un punto di riferimento per numerosi operai rivoluzionari, che reclamavano “tutto il potere ai Consigli Operai”. Bisogna notare che i fondatori del KPD andarono a formare, in una certa maniera e per una sorta di diritto di nascita, i quadri del nuovo partito; essi spesso vi introdussero così lo spirito della vecchia socialdemocrazia. Gli operai che affluivano ora nel KPD, e pragmaticamente si preoccupavano delle nuove forme di lotta, per lo più non osavano, per rispetto della disciplina di partito, affrontare i loro dirigenti e, frequentemente, si piegavano a delle concezioni superate. “Organizzazioni di fabbrica”: questa espressione effettivamente include nozioni molto dissimili. Essa può designare, come pensavano i dirigenti del KPD, una semplice forma d’organizzazione, sottomessa a direttive provenienti dall’esterno – si trattava in questo caso della vecchia concezione. Oppure può rimandare ad un insieme completamente diverso di atteggiamenti e di

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mentalità. In questo senso nuovo, la nozione di organizzazione di fabbrica implica un rovesciamento delle idee ammesse fino ad allora in fatto di: a) unità della classe operaia; b) tattica di lotta; c) rapporti tra le masse e la loro direzione; d) dittatura del proletariato; e) rapporti tra Stato e società; f) comunismo in quanto sistema economico e politico. Questi problemi si ponevano nella pratica delle nuove lotte; era necessario tentare di risolverli pena la propria scomparsa in quanto forza nuova. La necessità di un rinnovamento delle idee si faceva quindi urgente; ma i quadri del partito, se avevano avuto il coraggio di abbandonare i loro vecchi posti [di funzionari del Partito Socialdemocratico], ora non pensavano che a ricostruire il nuovo partito sul modello del vecchio, epurandolo degli aspetti negativi di quest’ultimo e dipingendo i suoi scopi di rosso e piuttosto che di rosa e di bianco. D’altra parte, va da sé che le nuove idee mancavano di elaborazione e di chiarezza, che non si presentavano come un tutto armonioso, piovuto dal cielo o partorito da un singolo cervello. Più prosaicamente, esse provenivano in parte dalla vecchia base ideologica: il nuovo stava accanto al vecchio e vi si mescolava. In breve i giovani militanti del KPD non si opponevano in modo massiccio e risoluto alla loro direzione, ma erano deboli e divisi su molte questioni.

IL PARLAMENTARISMO

Il KPD, fin dalla sua fondazione, si divise sull’insieme dei problemi sollevati dalla nuova nozione delle “organizzazioni di fabbrica”. Il governo provvisorio, diretto dal socialdemocratico Ebert, aveva annunciato le elezioni in vista della formazione di un’Assemblea costituente. Il giovane partito doveva partecipare a queste e elezioni, fosse anche soltanto per denunciarle? Questa questione provocò discussioni assai vivaci al Congresso del partito. La grande maggioranza degli operai esigeva il rifiuto di ogni partecipazione alle elezioni. Al contrario, la direzione del partito, inclusi Liebknecht e Luxemburg, si pronunciava a favore della partecipazione alla campagna elettorale. Ai voti la direzione fu battuta, la maggioranza del partito si dichiarò antiparlamentarista. Secondo quest’ultima, la Costituente aveva come solo obiettivo quello di consolidare il potere della borghesia, conferendogli una base “legale” Al contrario, gli elementi proletari del KPD tendevano soprattutto a “stimolare” e rendere più attivi i Consigli operai già esistenti o che dovevano nascere; essi volevano dunque valorizzare la differenza tra democrazia parlamentare e democrazia operaia, diffondendo la parola d’ordine: “Tutto il potere ai Consigli operai!”. La direzione del KPD vedeva invece nell’antiparlamentarismo, non un rinnovamento, ma una regressione verso concezioni sindacaliste-anarchiche, come quelle che si erano manifestate agli

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inizi del capitalismo industriale. In verità, l’antiparlamentarismo della nuova corrente non aveva granché in comune con il “sindacalismo rivoluzionario” e “l’anarchismo”. Sotto molti aspetti esso ne rappresentava persino la negazione. Mentre l’antiparlamentarismo degli anarchici poggiava sul rifiuto dell’idea della conquista potere politico, ed in particolare della “dittatura del proletariato”, la nuova corrente considerava l’antiparlamentarismo come una condizione necessaria alla presa del potere politico. Si trattava dunque d’un antiparlamentarismo “marxista”.

LA QUESTIONE SINDACALE

Sulla questione dell’attività sindacale, la direzione del KPD esprimeva, naturalmente, un punto di vista molto diverso rispetto a quello della corrente delle “organizzazioni di fabbrica”. Ciò diede luogo a grandi discussioni, subito dopo il Congresso (e anche dopo l’assassinio di Karl e di Rosa). I sostenitori dei Consigli portarono avanti la parola d’ordine: “Uscite dai sindacati! Aderite alle organizzazioni di fabbrica! Formate i Consigli operai!”. Ma la direzione del KPD dichiarava: “Rimanete nei sindacati!”. Essa non pensava, è vero, di “conquistare” le Centrali sindacali, ma credeva possibile assumere la direzione di alcune branche locali. Se questo progetto avesse preso corpo, allora si sarebbero potute riunire quelle organizzazioni locali in una nuova centrale che, questa volta, sarebbe stata rivoluzionaria. Anche in questo caso la direzione del KPD dovette subire una sconfitta. La maggior parte delle sue sezioni rifiutarono di applicarne le direttive. Nonostante ciò essa decise di mantenere le proprie posizioni, anche al prezzo dell’esclusione della maggioranza degli iscritti; essa fu sostenuta, in questa scelta, dal partito russo e dal suo capo, Lenin, che nell’occasione redasse il suo nefasto opuscolo: L ‘estremismo, malattia infantile del comunismo. Questa operazione fu portata a termine al Congresso di Heidelberg (ottobre 1919) in cui, con diverse macchinazioni, la direzione riuscì ad escludere in modo “democratico” più della metà del partito. Ormai il Partito Comunista Tedesco era nella condizione di condurre la sua politica parlamentare e sindacale (con risultati alquanto pietosi). L’esclusione dei rivoluzionari gli permise di unirsi, un poco più tardi (ottobre 1920) con una parte dei socialdemocratici di sinistra [USPD]e di quadruplicare il numero di propri iscritti, anche se soltanto per tre anni. Allo stesso tempo, il KPD perdeva i suoi elementi più combattivi e doveva sottomettersi incondizionatamente alla volontà di Mosca.

IL PARTITO COMUNISTA OPERAIO (KAPD)

Qualche tempo dopo, gli esclusi formarono un nuovo partito: il KAPD. Questo partito manteneva dei rapporti molto stretti con l’AAUD. Nei movimenti di massa, che ebbero luogo nel corso degli anni seguenti, il KAPD ebbe un certo peso. Si temevano tanto la sua volontà e la sua pratica fatta di azioni dirette e violente, quanto la sua critica dei partiti e dei sindacati, la sua denuncia dello

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sfruttamento capitalistico in tutte le sue forme, in primo luogo quello di fabbrica. La sua stampa e le sue diverse pubblicazioni diedero spesso un contributo a ciò che di meglio la letteratura marxista offriva in quell’epoca di decadenza del movimento operaio marxista, e ciò benché il KAPD fosse ancora influenzato dalle vecchie concezioni.

IL KAPD E LE DIVERGENZE IN SENO ALL’AAUD. L’AAUD-E.

Lasciamo ora i partiti, e ritorniamo al movimento delle “organizzazioni di fabbrica”. Questo giovane movimento dimostrava che importanti cambiamenti si erano prodotti nella coscienza del mondo operaio. Ma queste trasformazioni avevano avuto conseguenze diverse. Differenti correnti di pensiero emergevano molto distintamente nell’AAUD. L ‘accordo era generale sui seguenti punti: a. la nuova organizzazione doveva cercare di crescere; b. la sua struttura doveva essere concepita in modo da evitare la costituzione di una nuova cricca di dirigenti; c. questa organizzazione avrebbe dovuto realizzare la dittatura del proletariato, quando avesse raccolto milioni di membri. Due punti provocarono degli antagonismi insormontabili: 1. necessità o meno di un partito politico al di fuori dell’ AAUD; 2. gestione della vita economica e sociale . All’inizio, l’AAUD non aveva che dei rapporti abbastanza vaghi con il KPD e queste divergenze non avevano avuto una portata pratica. Le cose cambiarono con la fondazione del KAPD. L’AAUD cooperò strettamente con il KAPD e ciò contro la volontà di un gran numero dei suoi aderenti, soprattutto in Sassonia, a Francoforte, Amburgo, ecc. (non bisogna dimenticare che la Germania era ancora estremamente decentralizzata, e questo frastagliamento si ripercuoteva anche sulla vita delle organizzazioni operaie). Gli avversari del KAPD denunciarono la formazione in seno all’organizzazione di una “cricca di dirigenti” e, nel dicembre 1920, costituirono l’AAUD-E (dove E sta per Einheitsorganisation, Organizzazione Unitaria), che respingeva l’isolamento di una parte del proletariato in un’organizzazione “specializzata”, in un partito politico.

LA PIATTAFORMA COMUNE

Quali erano gli argomenti delle tre correnti in questione? Vi era un’identità di vedute nell’analisi del mondo moderno. In generale, tutti riconoscevano che la società era cambiata: nel XIX secolo il proletariato formava solo una ristretta minoranza nella società; esso non poteva lottare solo e doveva quindi cercare di allearsi con altre classi, donde la strategia democratica di Marx. Ma quei tempi erano finiti una volta per sempre, almeno nei paesi sviluppati d’occidente. Qui il proletariato costituiva ormai la grande maggioranza della popolazione, mentre gli strati della borghesia si

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unificavano dietro al grande Capitale, a sua volta ormai unificato. La rivoluzione era compito esclusivo del solo proletariato. Essa era inevitabile, poiché il capitalismo era entrato nello stadio della sua crisi finale (non si dimentichi che quest’analisi data dagli anni ‘20 e ‘30). Se la società era cambiata, almeno in occidente, allora anche la stessa concezione del comunismo doveva cambiare. D’altronde era evidente che idee applicate dalle vecchie organizzazioni rappresentavano esattamente il contrario di una emancipazione sociale. E’ per esempio ciò che sottolineava, nel 1924, Otto Rühle, uno dei principali teorici dell’AAUD-E: “La nazionalizzazione dei mezzi di produzione, che continua ad essere il programma della socialdemocrazia e, nello stesso tempo, quello dei comunisti, non è la socializzazione. Attraverso la nazionalizzazione dei mezzi di produzione, si può arrivare ad un capitalismo di Stato fortemente centralizzato, che forse avrà una certa superiorità sul capitalismo privato, ma ciò nondimeno sarà sempre capitalismo”. Il comunismo è prodotto dall’azione degli operai, dalla loro lotta autonoma. Perciò, era innanzitutto necessario che si creassero delle nuove organizzazioni. Ma in cosa consistevano queste organizzazioni? Su questo punto le opinioni divergevano e questi antagonismi sfociarono in svariate scissioni. Mentre la classe operaia cessava progressivamente di esprimere un’attività rivoluzionaria, mentre le sue formazioni ufficiali non portavano avanti che un’azione tanto spettacolare quanto derisoria, coloro che volevano agire non facevano che esprimere, con l’azione disperata, la decomposizione generale del movimento operaio. Nondimeno non è inutile ricordare qui le divergenze in questione.

LA DOPPIA ORGANIZZAZIONE

Il KAPD respingeva l’idea di partito di massa, secondo lo stile leninista che prevalse dopo la Rivoluzione russa, e sosteneva che un partito rivoluzionario è necessariamente il partito di una élite, piccolo, dunque basato sulla qualità e non sul numero. Il partito, raccogliendo gli elementi meglio educati del proletariato, avrebbe dovuto agire come un lievito nelle masse, cioè diffondere la propaganda, mantenere la discussione politica, ecc. La strategia che esso raccomandava era la strategia del classe contro classe, basata contemporaneamente sulla lotta nelle fabbriche ed il sollevamento armato; e talvolta anche, come preliminare, sull’azione terroristica (attentati, espropri di banche, di gioiellerie, ecc. frequenti agli inizi degli anni ‘20). La lotta nelle fabbriche, diretta dai Comitati d’azione, avrebbe creato l’atmosfera e la coscienza di classe necessarie alle lotte di massa e condotto masse di lavoratori sempre più larghe a mobilitarsi per le battaglie decisive. Herman Gorter, uno dei principali teorici di questa corrente, giustificava cosi la necessità di un piccolo partito politico comunista: “La maggioranza dei proletari vive nell’ignoranza. Essi hanno delle deboli nozioni di economia e di politica, non sanno granché degli avvenimenti nazionali e internazionali, dei rapporti che esistono

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tra questi ultimi e dell’influenza che essi esercitano sulla rivoluzione. Essi non possono accedere al sapere in ragione della loro situazione di classe. E’ per questo che essi non possono agire al momento giusto. Essi agiscono quando non dovrebbero e non agiscono quando dovrebbero. Cosi sbagliano molto spesso”. Dunque il partito avrebbe avuto una missione educatrice, sarebbe servito da catalizzatore a livello delle idee. Ma il compito di raggruppare progressivamente le masse, di organizzarle, sarebbe spettato all’AAUD, che poggiava su una rete di organizzazioni di fabbrica, ed il cui obiettivo essenziale sarebbe stato quello di ridurre l’influenza dei sindacati; con la propaganda, certo, ma anche e soprattutto con azioni determinate, quelle “di un gruppo che mostra nella sua lotta ciò che deve divenire la massa”, diceva ancora Gorter. Finalmente, nel corso della lotta rivoluzionaria, le organizzazioni di fabbrica si sarebbero trasformate in Consigli Operai, comprendenti tutti i lavoratori e direttamente sottoposti alla loro volontà e al loro controllo. In breve, la “dittatura del proletariato” non sarebbe stata null’altro che una AAUD estesa all’insieme delle fabbriche tedesche.

GLI ARGOMENTI DELL’AAUD-E

Contraria ad un partito politico separato dalle organizzazioni di fabbrica, l’AAUD-E intendeva invece edificare una grande organizzazione unitaria, che avrebbe avuto il compito di condurre la lotta pratica diretta delle masse e anche di assumere la gestione della società sulla base del sistema dei Consigli Operai. La nuova organizzazione avrebbe avuto dunque obiettivi al contempo economici e politici. Da un lato, questa concezione differiva da quella del “vecchio sindacalismo rivoluzionario”, ostile alla costituzione di un potere politico specificamente operaio e alla dittatura del proletariato. Dall’altro, l’AAUD-E, pur ammettendo che il proletariato è debole, diviso e ignorante, e che un insegnamento continuo gli è dunque necessario, non vedeva tuttavia l’utilità di un partito di élite come il KAPD. Le organizzazioni di fabbrica bastavano a questo ruolo d’educazione, poiché la libertà di parola e di discussione vi era assicurata. E’ caratteristico che l’AAUD-E indirizzasse al KAPD una critica nello “spirito KAP”: secondo l’AAUD-E, il KAPD era un partito centralizzato, dotato di dirigenti professionali e di redattori stipendiati, che si distingueva dal Partito Comunista ufficiale solo per il suo rigetto del parlamentarismo; la “doppia organizzazione” non era niente altro che l’applicazione di una politica della “doppia mangiatoia”, a vantaggio dei dirigenti. La maggior parte delle tendenze presenti in seno all’AAUD-E, respingeva l’idea di remunerazione: “né tessere, né statuti, nulla di tutto questo”, si diceva. Alcuni giunsero perfino a fondare delle organizzazioni anti-organizzazioni… Grosso modo, dunque, l’AAUD-E sosteneva che se il proletariato è troppo debole o troppo cieco per prendere delle decisioni nel corso delle sue lotte, non è una decisione presa da un partito che

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potrà porvi rimedio. Nessuno può agire al posto del proletariato ed esso deve, da sé stesso, superare i suoi propri limiti, senza di che sarà sconfitto e pagherà pesantemente il prezzo del proprio fallimento. La doppia organizzazione (partito politico e sindacato) era dunque, per l’AAUDE, una concezione superata, retaggio della tradizione. Questa separazione tra le tre correnti – KAPD, AAUD e AAUD-E – ebbe conseguenze importanti sul piano della pratica. Così, durante l’insurrezione della Germania centrale, nel 1921, scatenata e condotta in gran parte da elementi del KAPD (allora ancora riconosciuto come simpatizzante della III Internazionale), l’AAUD-E rifiutò di partecipare alla lotta, destinata, secondo essa, a camuffare le difficoltà della Russia sovietica e la repressione di Kronstadt. Nonostante lo sgretolamento continuo, accelerato da polemiche molto vivaci e molto spesso rese ingarbugliate da questioni personali, e ad onta degli eccessi provocati da una delusione e da una disperazione profonde, “lo spirito KAP”, cioè l’insistenza sull’azione diretta e violenta, la denunzia appassionata del capitalismo e dei suoi luogotenenti “operai”, di qualsivoglia colore politico e sindacale (inclusi “i padroni del palazzo” di Mosca), esercitò per lungo tempo una sensibile influenza tra le masse. Bisogna aggiungere che tutte queste tendenze disponevano di organi di stampa importanti[1], generalmente finanziati con denaro di provenienza illegale; e che spesso i loro membri, ridotti alla disoccupazione a causa del loro comportamento sovversivo, erano estremamente attivi, nelle strade, nelle riunioni politiche, nelle assemblee pubbliche, ecc..

IL DISINGANNO

Si era creduto che la repentina crescita delle organizzazioni di fabbrica, tra il 1919 e il 1920, sarebbe continuata con la stessa cadenza nel corso delle lotte successive. Si pensava che le organizzazioni di fabbrica sarebbero potute diventare un grande movimento di massa, raggruppando “milioni e milioni di lavoratori coscienti”, i quali avrebbero controbilanciato il potere dei sindacati sedicenti operai. Partendo dall’ipotesi che il proletariato non può lottare e vincere se non come classe organizzata, si credeva che i lavoratori avrebbero elaborato, strada facendo, una nuova e sempre più forte organizzazione permanente. Soltanto dalla crescita dell’AAUD e dell’AAUD-E si poteva misurare lo sviluppo della combattività e della coscienza di classe. Dopo un periodo di accelerata espansione economica (1923-1929), si aprì un nuovo periodo di lotte, che doveva portare, nel 1933, alla presa del potere per via legale da parte degli hitleriani. Intanto l’AAUD, il KAPD e l’AAUD-E erano sempre ripiegate di più su sé stesse. Alla fine non rimasero che alcune centinaia di aderenti, vestigia delle grandi organizzazioni di fabbrica del periodo precedente; sopravvivevano soltanto alcuni piccoli gruppi dispersi, di contro a un totale di venti milioni di proletari. Le organizzazioni di fabbrica non erano più delle organizzazioni generali dei lavoratori, ma dei nuclei di comunisti consiliari coscienti. Da allora, sia l’AAUD che l’AAUD-E, acquistarono il carattere di piccoli partiti politici, anche se la loro stampa pretendeva il contrario.

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LE FUNZIONI

E’ soprattutto il piccolo numero di aderenti, che trasformò, alla lunga, le organizzazioni di fabbrica in partito politico? No, si è trattato piuttosto di un cambiamento di funzioni. Benché le organizzazioni di fabbrica non avessero mai avuto il compito dichiarato di dirigere uno sciopero, di negoziare con i padroni, di formulare delle rivendicazioni (questo era compito degli scioperanti), l’AAUD e l’AAUD-E erano delle organizzazioni di lotta pratica. Si limitavano a svolgere attività di propaganda e di sostegno. Tuttavia, incominciato lo sciopero, le organizzazioni di fabbrica si occupavano in gran parte della sua organizzazione: la stampa dell’organizzazione era la stampa dello sciopero, essa organizzava le assemblee degli scioperanti e gli oratori erano spesso membri dell’AAUD o dell’AAUD-E. Ma il compito di negoziare con i padroni spettava al Comitato di sciopero, in cui i membri delle organizzazioni di fabbrica non rappresentavano il loro gruppo come tale, ma gli scioperanti che li avevano eletti e davanti ai quali essi erano responsabili. Il KAPD, in quanto partito politico, aveva invece un’altra funzione. Il suo compito consisteva soprattutto nella propaganda e nell’analisi economica e politica. Al momento delle elezioni esso faceva propaganda anti-parlamentare per denunciare la politica borghese degli altri partiti, faceva appello alla formazione di comitati d’azione nelle fabbriche, nei mercati, tra i disoccupati, ecc. – il cui compito doveva essere quello di spingere le masse, “istintivamente alla ricerca di nuovi orizzonti”, a liberarsi delle vecchie organizzazioni.

IL MUTAMENTO DI FUNZIONI

Ma di fatto, dopo la sconfitta e la repressione sanguinosa del 1921, e poi con l’ondata di prosperità che non tardò a manifestarsi, queste funzioni divennero puramente teoriche. Da allora l’attività di queste organizzazioni fu ridotta alla pura propaganda e all’analisi, cioè ad un’attività da raggruppamento politico. Scoraggiati dall’assenza di prospettive rivoluzionarie, la maggior parte degli aderenti abbandonò l’organizzazione. La diminuzione degli effettivi ebbe anche come conseguenza il fatto che la fabbrica non costituì più la base dell’organizzazione. Ci si riuniva in base al quartiere, magari in una birreria, dove qualche volta si cantava alla tedesca, in coro e lentamente, i vecchi canti operai di speranza e di rabbia. Non vi era più grande differenza tra il KAPD, l’AAUD e l’ AAUD-E. Praticamente i membri dell’AAUD e del KAPD erano gli stessi in riunioni nominalmente diverse e quelli dell’AAUD-E erano membri di un gruppo politico, anche se lo chiamavano con un altro nome. Anton Pannekoek, il marxista olandese che fu uno dei loro ispiratori teorici, scriveva a questo proposito (1927): “L’AAUD, come il KAPD, costituiscono essenzialmente un’organizzazione che ha come scopo immediato la rivoluzione. In altri tempi, in un periodo di declino della rivoluzione, non si sarebbe assolutamente potuto pensare di fondare una tale organizzazione. Ma essa è sopravvissuta agli

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anni rivoluzionari; i lavoratori che un tempo la fondarono e combatterono sotto le sue bandiere non vogliono che l’esperienza di queste lotte si perda e la conservano come un germoglio per gli sviluppi futuri”. Tuttavia, con tre partiti politici dello stesso colore, ce n’erano due di troppo. Con l’aumento dei pericoli, mentre si affermava la viltà senza nome delle vecchie e sedicenti potenti organizzazioni operaie, mentre i nazisti intraprendevano trionfalmente il cammino che doveva portarli dove tutti sappiamo, l’AAUD nel dicembre 1931, già separata dal KAPD, si fuse con l’AAUD-E; solo pochi elementi restarono nel KAPD, mentre alcuni militanti dell’AAUD-E passarono ai gruppi anarchici. Ma la maggior parte delle rimanenti organizzazioni di fabbrica si riunirono in una nuova organizzazione, la KAUD (Kommunistische Arbeiter Union: Unione Comunista Operaia), esprimendo così l’idea che la nuova organizzazione non fosse più un’organizzazione generale (come lo era stata la AAUD, per esempio) che riuniva tutti i lavoratori animati da volontà rivoluzionaria, ma soltanto un’organizzazione di lavoratori comunisti coscienti.

LA KAUD E LA “CLASSE ORGANIZZATA”

La KAUD esprimeva dunque il cambiamento sopravvenuto nelle concezioni dell’organizzazione. Questo cambiamento aveva un senso; non bisogna infatti dimenticare ciò che aveva significato sino ad allora la nozione di “classe organizzata”. L’AAUD e l’AAUD-E avevano creduto in un primo tempo che sarebbero state esse stesse ad organizzare la classe operaia, che milioni di operai avrebbero aderito alla queste organizzazioni. Era in fondo un’idea molto vicina a quella dei sindacalisti rivoluzionari di altri tempi, che si aspettavano di vedere i lavoratori aderire alla propria organizzazione: allora la classe operaia sarebbe stata infine una classe organizzata. Ora, la KAUD invitava gli operai ad organizzarsi da sé, a costituire i comitati d’azione e a creare dei legami tra questi comitati. In altre parole, la lotta di classe “organizzata” non dipendeva più da un’organizzazione costruita preliminarmente alla lotta. Secondo questa nuova concezione la “classe organizzata” non era altro che la classe operaia in lotta sotto la propria stessa direzione. Questo cambiamento delle concezioni aveva naturalmente conseguenze in numerose questioni: la dittatura del proletariato, per esempio. Infatti, dato che la “lotta organizzata” non era più compito esclusivo di organizzazioni specializzate nella sua direzione, queste ultime non potevano più essere considerate gli organismi della dittatura del proletariato. Contemporaneamente scompariva il problema che, fino a quel momento, era stato causa di molteplici conflitti: chi, fra il KAPD e l’AAUD avrebbe dovuto esercitare o organizzare il potere? La dittatura del proletariato non sarebbe più stata appannaggio di organizzazioni specializzate, si sarebbe trovata nelle mani della classe in lotta, che si sarebbe impadronita di tutti gli aspetti, di tutte le funzioni della lotta. Il compito della nuova organizzazione, la KAUD, si riduceva dunque alla propaganda comunista, alla chiarificazione degli obiettivi, all’incitamento alla lotta contro i capitalisti e le vecchie

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organizzazioni, soprattutto per mezzo dello sciopero selvaggio, che avrebbe mostrato la forza e la sua debolezza della classe operaia. Questa attività non era meno indispensabile. La maggior parte dei membri della KAUD continuavano a pensare che “senza un ‘organizzazione rivoluzionaria capace di colpire duro, non può esserci una situazione rivoluzionaria come hanno dimostrato la rivoluzione russa del 1917 e, in senso contrario, la rivoluzione tedesca del 1918″ [2].

LA SOCIETA’ COMUNISTA E LE ORGANIZZAZIONI DI FABBRICA

Questa evoluzione nelle idee doveva necessariamente accompagnarsi ad una revisione dei presupposti concernenti la società comunista. In linea di massima l’ideologia dominante, negli ambienti politici e tra le masse, era plasmata sul modello del capitalismo di Stato. Beninteso, vi erano parecchie sfumature, ma nel complesso questa ideologia poteva essere riportata ad alcuni principi molto semplici: lo Stato, per mezzo delle nazionalizzazioni, dell’economia controllata, delle riforme sociali ecc., sarebbe stato il tramite che avrebbe permesso di realizzare il socialismo, mentre l’azione parlamentare e sindacale rappresentavano l’essenziale dei metodi di lotta. Su questa base i lavoratori non lottavano affatto come una classe indipendente, mirante prima di tutto a realizzare i propri fini, e dovevano affidare la gestione e la direzione della lotta di classe a capi parlamentari e sindacali. Va da sé che in questa ideologia partito e sindacato apparivano agli occhi degli operai come degli elementi costitutivi dello Stato, a cui spettava la gestione e la direzione della futura società comunista. Durante una prima fase, quella che seguì la repressione dei tentativi rivoluzionari in Germania, questa tradizione impregnava ancora fortemente le concezioni dell’AAUD, del KAPD e dell’AAUDE. Tutti e tre si pronunciavano per un’organizzazione che raggruppasse “milioni e milioni” di aderenti, con lo scopo di esercitare la dittatura politica ed economica del proletariato. Così l’AAUD dichiarava, nel 1922, di essere in grado di assumere, per quanto la riguardava, sulla base dei propri effettivi, la gestione del 6% delle fabbriche tedesche. Ma ora queste concezioni vacillavano. Fino ad allora le centinaia di organizzazioni di fabbrica, riunite e coordinate dall’AAUD e dall’ AAUD-E, reclamavano il massimo di autonomia riguardo alle decisioni da prendere, e facevano del loro meglio per evitare la formazione di “una nuova cricca di dirigenti”. Sarebbe stato possibile tuttavia conservare questa indipendenza in seno alla società comunista? La vita economica è altamente specializzata e tutte le imprese sono strettamente interdipendenti. Come si sarebbe potuta gestire la vita economica, se la produzione e la ripartizione delle ricchezze sociali non si fossero ricollegate a qualche istanza centralizzatrice? Lo Stato, in quanto regolatore della produzione e organizzatore della ripartizione delle ricchezze, non sarebbe stato pur sempre indispensabile? Su questo punto vi era una contraddizione tra le vecchie concezioni della società comunista e le nuove forme di lotta che ora si preconizzavano. Si temevano la centralizzazione economica e le

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sue conseguenze, chiaramente dimostrate dai fatti; ma non si sapeva come premunirsene. La discussione verteva sulla necessità e il grado più o meno grande di “federalismo” o di “centralismo”. L’ AAUD-E tendeva piuttosto verso il federalismo; KAPD e l’AAUD inclinavano verso il centralismo. Nel 1923 Karl Schroder [3], teorico del KAPD proclamava che “più la società comunista sarà centralizzata, meglio sarà”. Infatti, fino a che si restava sulle vecchie concezioni di “classe organizzata” questa contraddizione restava insolubile. Da una parte ci si ricollegava più o meno alle vecchie concezioni del sindacalismo rivoluzionario, “presa di possesso” delle fabbriche da parte dei sindacati; d’altra parte, come i bolscevichi, si pensava che una struttura centralizzatrice, lo Stato, dovesse regolare il processo di produzione e ripartire il “prodotto nazionale” tra gli operai. Nondimeno, una discussione sulla società comunista, partendo dal dilemma “federalismo o centralismo”, è assolutamente sterile. Questi problemi sono dei problemi di organizzazione, dei problemi tecnici, mentre la società comunista è, prima di tutto, un problema economico. Al capitalismo deve succedere un diverso sistema economico, in cui i mezzi di produzione, i prodotti, la forza-lavoro non siano rivestiti dalla forma-valore, e in cui lo sfruttamento della popolazione lavoratrice a profitto di settori privilegiati sia soppresso. La discussione su “federalismo” o “centralismo” è priva di senso se non si é mostrato prima quale sarà la loro base economica. Infatti, le forme di organizzazione di una economia, non sono, in generale, forme arbitrarie; esse derivano dai principi stessi di questa economia. Così per esempio, il principio del profitto e del plusvalore, della sua appropriazione privata o collettiva, si trovano alla base di tutte le forme assunte da un’economia capitalista. Perciò non è sufficiente presentare l’economia comunista come un sistema negativo: niente denaro, niente mercato, niente proprietà privata o statale. E’ necessario mettere in luce il suo carattere di sistema positivo, mostrare quali saranno le leggi economiche che succederanno a quelle del capitalismo. Ciò probabilmente dimostrerà che l’alternativa “federalismo o centralismo” è un falso problema.

LA FINE DEL MOVIMENTO IN GERMANIA

Prima di esaminare più a fondo questo problema, non è inutile ricordare il destino, sul piano della pratica, della corrente nata dalle organizzazioni rivoluzionarie di fabbrica. L’AAUD si era separata dal KAPD alla fine del 1929. La sua stampa preconizzava allora una “tattica flessibile”: il sostegno alle lotte operaie che avessero come unico scopo le rivendicazioni salariali, il riordinamento delle condizioni o dell’orario del lavoro. Più rigido, il KAPD vedeva in questa tattica l’inizio di uno scivolamento verso la collaborazione di classe, la “politica del mercanteggiamento”. Dopo l’espulsione del proprio dirigente Scharrer[4], colpevole di aver “patteggiato” con il nemico pubblicando un romanzo con la casa editrice del partito comunista tedesco, il KAPD finì per esaltare il ricorso al terrorismo individuale come mezzo per portare le

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masse alla coscienza di classe. Marinus van der Lubbe, l’incendiario del Reichstag, era legato a questa corrente. Dando fuoco allo stabile in cui si riuniva il Parlamento, egli voleva con un gesto simbolico incitare i lavoratori ad uscire dal loro letargo politico Entrambe queste tattiche non diedero risultati. La Germania era attraversata allora da una crisi economica estremamente profonda, i disoccupati si moltiplicavano; non vi erano scioperi selvaggi, dato che nessuno si curava delle direttive sindacali, e i sindacati collaboravano strettamente con i padroni e con lo Stato. La stampa dei comunisti consiliari era frequentemente sequestrata; e in ogni caso i suoi appelli alla formazione di comitati d’azione autonomi non avevano alcuna eco. Per somma ironia, la sola grande lotta selvaggia di quel periodo, quella dei trasporti berlinesi (1932), fu organizzata da bonzi staliniani e hitleriani, in contrapposizione con i bonzi socialisti dei sindacati. Dopo l’ascesa legale di Hitler al potere, i militanti delle varie tendenze furono arrestati e chiusi nei campi di concentramento, dove la maggior parte di loro morì. Nel 1945 alcuni sopravvissuti furono giustiziati su ordine della GPU, al momento dell’entrata in Sassonia delle truppe russe. Ancora nel 1952, a Berlino-ovest, un vecchio capo dell’AAUD, Alfred Weiland, fu prelevato in piena strada e trasportato all’Est, per vedersi condannato ad una pesante pena detentiva. Oggi non vi è più traccia, in Germania, delle diverse correnti di consiliari. La liquidazione degli uomini ha causato quella delle idee di cui erano portatori, mentre l’espansione e la prosperità orientavano gli spiriti verso altre direzioni.

Note 1) Si considerava nel KAPD che la redazione dei giornali dovesse essere “mutevole”, vale a dire presa in carico a turno dalle differenti sezioni locali del partito; ciò al fine di evitare la formazione di una “cricca” specializzata nella manipolazione. Ma mancano dettagli su quest’esperienza del più alto interesse, che fu effettivamente messa in pratica. Bisogna riconoscere tuttavia che la lettura dei diversi numeri di Ratekommunismus, in generale, non permette di scoprire delle differenze sensibili di idee, di presentazione, ecc. 2) Ratekorrespondenz n. 2, novembre 1932 (organo clandestino ciclostilato della KAUD, la cui stampa, in quel periodo, era regolarmente sequestrata dalle autorità socialdemocratiche prussiane). [3] Karl Schroeder (1844-1950) combattente spartachista, sul cui capo fu messa una taglia, poi dirigente professionista del KAPD, da cui fu espulso nel 1924; divenne in seguito funzionario del partito socialista. Fu uno dei rari dirigenti di questo partito ad organizzare una resistenza al nazismo. Condannato nel 1936 con altri vecchi della KAPD, ha oggi un posto onorevole nel “martirologio” del socialismo. [4] Adam Scharrer (1889-1948) fabbro, poi combattente spartachista. In seguito dirigente professionista del KAPD dal quale è espulso nel 1930. Come Schroeder, è un romanziere, ma si orienta nell’altra direzione: a partire dal 1934 risiede a Mosca. Era considerato in Germania orientale un “pioniere della letteratura proletaria”. Va da sé che certi aspetti del suo passato restano nascosti al pubblico.

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Programma del partito operaio comunista tedesco (1920) Introduzione

La fondazione del partito operaio comunista tedesco ebbe luogo proprio nel vortice della rivoluzione e della controrivoluzione. Ma la data di nascita del nuovo partito non è la Pasqua 1920, quando si concluse organizzativamente l'unione dei "partiti di opposizione" che si erano trovati finora solo in vago contatto. La data di nascita della KAPD coincide temporaneamente con quella fase di sviluppo della KPD (Lega Spartachista), in cui una cricca dirigente irresponsabile, che poneva i propri interessi al di sopra di quelli della rivoluzione proletaria, incominciò ad imporre il suo personale punto di vista riguardo alla "morte" della rivoluzione tedesca alla maggioranza di partito che si era posta energicamente in posizione di difesa contro questa concezione personale e interessata; e che in base ad una siffatta concezione privata seppe trasformare la tattica del partito, rivoluzionaria fino ad allora, in una tattica riformistica.

Questo atteggiamento proditorio di Levi, Posner & Co. giustifica ancora una volta la consapevolezza, che la rimozione radicale di ogni politica di tipo autoritario deve formare la premessa per la avanzata rapida della rivoluzione proletaria in Germania. Questa infatti è la radice dei contrasti che sono sorti tra noi e la Lega Spartachista, contrasti di tale profondità, che l'abisso che ci separa da essa è più grande del contrasto tra Levi, Pieck, Thalheimer, ecc. da una parte e Hilferding, Crispien, Stampfere e Legien dall'altra. Il pensiero di sollevare la volontà rivoluzionaria della massa quale fattore determinante nella impostazione tattica di una organizzazione veramente proletaria, è il leit-motiv della costruzione organizzativa del nostro partito. Esprimere in tutti i casi l'autonomia dei suoi membri è il principio basilare di un partito proletario che non è un partito in senso tradizionale.

Perciò è per noi naturale, che il programma di partito affidato con ciò alla nostra organizzazione, e la stesura scritta è avvenuta tramite la commissione programmatica incaricata di ciò dal Congresso del Partito, debba valere come progetto di programma, fino a che il prossimo Congresso ordinario del partito non si sarà dichiarato d'accordo con la presente formulazione. Del resto dovrebbe appena sussistere la possibilità di proposte di modificazione, qualora esse si dovessero estendere ai principi basilari e tattici del partito, poiché il programma nella sua versione attuale non fa altro che esprimere fedelmente, in un quadro più ampio, il contenuto della dichiarazione programmatica accettata all'unanimità dal Congresso del Partito.

Eventuali modificazioni formali non potranno però nuocere allo spirito rivoluzionario, che il programma emana da ogni riga. Una luce inamovibile è per noi il riconoscimento marxista della necessità storica della dittatura del proletariato, irremovibile rimane la nostra volontà di condurre la

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lotta per il socialismo nello spirito della lotta di classe internazionale. Sotto questa insegna la vittoria della rivoluzione proletaria è certa.

Berlino, metà maggio 1920. La commissione esecutiva I.A.: Erdmann - Friedrich – Stahl Programma

La crisi economica mondiale sorta dalla Guerra Mondiale con le sue mostruose ripercussioni economiche e sociali, il cui quadro generale produce la costernante impressione di un unico campo di rovine di colossale estensione, non indica altro se non che il "crepuscolo degli dei" dell'ordinamento del mondo capitalistico-borghese è cominciato. Oggi non si tratta di una delle crisi economiche tipiche del modo di produzione capitalistico e ricorrenti in maniera periodica, ma è la crisi del capitalismo stesso quella che ora si annuncia quale miseria di massa all'interno dei più vasti strati sociali e quale segno premonitore per la società borghese, tra spasmodici sussulti di tutto l'organismo sociale, tra lo scontro più terribile dei contrasti sociali, di violenza ancora mai vista. Sempre più chiaramente si mostra, che il contrasto crescente di giorno in giorno tra sfruttatori e sfruttati, che la contraddizione tra capitale e lavoro sempre più lampante anche agli strati finora indifferenti del proletariato, non può essere risolta all'interno del sistema economico capitalistico. Il capitalismo ha esperimentato il suo fiasco completo, si è confutato storicamente nella guerra di rapina imperialistica, ha creato un caos, la cui durata insopportabile pone il proletariato internazionale davanti all'alternativa storica di portata mondiale: ricaduta nella barbarie o costruzione di un mondo socialista. Fra tutti i popoli della terra finora solo il proletariato russo è riuscito con una lotta eroica a superare vittoriosamente la sua classe capitalista e ad assumere da sè il potere politico. Con eroica resistenza esso ha respinto con successo l'attacco concentrato dell'esercito mercenario organizzato dal capitale internazionale e si pone ora di fronte al compito straordinariamente difficile di ricostruire su base socialista l'economia totalmente rovinata dalla Guerra Mondiale e dalla guerra civile che ne seguì, durata più di due anni. Il destino della repubblica sovietica russa dipende dallo sviluppo della rivoluzione proletaria in Germania. Dopo la vittoria della rivoluzione tedesca ci sarà un blocco economico socialista, che, per mezzo del vicendevole scambio di prodotti industriali ed agricoli, sarà in grado di erigere un modo di produzione veramente socialista, senza essere più obbligati a concessioni economiche e dunque anche politiche verso il capitale mondiale. Se il proletariato tedesco non adempirà in

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brevissimo tempo al suo compito storico di portata mondiale, per anni, se non per decenni, verrà messa in discussione l'avanzata della rivoluzione mondiale. La Germania rappresenta infatti attualmente il punto cruciale della rivoluzione mondiale. Tra i paesi "vincitori" dell'Intesa la rivoluzione potrà incominciare solo, quando sarà spezzata via la grande barriera nell'Europa centrale. Naturalmente le premesse economiche per la rivoluzione proletaria in Germania sono incomparabilmente più favorevoli che nei paesi "vincitori" dell'Europa occidentale. L'economia tedesca completamente saccheggiata sotto il suggello della pace di Versailles ha mostrato un tal depauperamento, che porterà necessariamente in breve tempo alla soluzione violenta di una situazione catastrofica. A ciò si aggiunga che la pace proletaria di Versailles non solo pose in Germania dei vincoli estremamente pesanti per un sistema di produzione capitalistico e insopportabili per il proletariato: il suo aspetto più pericoloso sta nel fatto che tale pace mina le fondamenta economiche della futura economia socialista tedesca, e anche in questo senso mette dunque in forse lo sviluppo della rivoluzione mondiale. Per uscire da questo dilemma serve solo il rapido sviluppo della rivoluzione proletaria tedesca. La situazione economica e politica in Germania è oltremodo matura per lo scoppio della rivoluzione proletaria. In questo stadio di sviluppo dello sviluppo storico, in cui il processo di disgregazione del capitalismo viene mascherato artificialmente solo attraverso lo scenario di apparenti posizioni di potenza, tutto dipende dall'aiutare il proletariato ad avere la consapevolezza, che occorre solo un energico intervento per fare efficace uso di quel potere, che in effetti esso già possiede. In un tal periodo della lotta di classe rivoluzionaria, in cui è iniziata l'ultima fase della lotta tra capitale e lavoro ed è già in atto la vera e propria lotta decisiva, non ci può essere alcun compromesso col nemico mortale, bensì una lotta fino alla distruzione. In particolare è valido l'attacco a quelle istituzioni, tendenzialmente orientate al superamento dei contrasti di classe, che vanno cioè a finire in una sorta di associazione politica ed economica tra sfruttatori e sfruttati. Al momento, in cui esistono le condizioni oggettive per lo scoppio della rivoluzione proletaria, senza che la crisi permanente subisca un acuto inasprimento o poi, qualora ne subentri una catastrofica acutizzazione, che non sarà capita né utilizzata dal proletariato fino alle ultime conseguenze, devono esistere dei motivi di natura soggettiva che ostacolano, quali fattori di inibizione, l'avanzata veloce della rivoluzione. In altre parole: l'ideologia del proletariato si trova ancora in parte in balìa di elementi di rappresentazione borghese o piccolo borghese. La psicologia del proletariato tedesco nella sua composizione attuale porta anche troppo chiaramente le tracce della secolare schiavitù militare e contemporaneamente anche i segni di una carente autocoscienza, come del resto si doveva necessariamente sviluppare quale conseguenza del cretinismo parlamentare del vecchio partito socialdemocratico e dell'USP da una parte e dell'assolutismo della burocrazia sindacale dall'altra. I momenti soggettivi hanno un ruolo decisivo nella rivoluzione tedesca. Il problema della rivoluzione tedesca è il problema dello sviluppo dell'autocoscienza del proletariato tedesco. Cosciente di questa situazione e della necessità di

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accelerare il ritmo di sviluppo della rivoluzione mondiale, e fedele allo spirito della III Internazionale, la KADP lotta per l'esigenza massimalista dell'eliminazione immediata della democrazia borghese e per la dittatura della classe operaia. Essa rifiuta nella concezione democratica il principio doppiamente assurdo e insostenibile nel periodo attuale, di voler accordare diritti politici alla classe capitalista sfruttatrice e di concederle il diritto di disporre in maniera esclusiva dei mezzi di produzione. Conseguentemente alle sue intenzioni massimaliste, la KAPD si pronuncia anche per il rifiuto di tutti i metodi di lotta riformistici ed opportunistici, nei quali essa vede solo una deviazione da lotte serie e decisive contro la classe borghese. Essa non vuole evitare queste lotte, essa addirittura le provoca. In uno stato, che presenta tutti i segni del sopravvenuto periodo della caduta del capitalismo, anche la partecipazione al parlamentarismo appartiene ai metodi di lotta riformistici e opportunistici. Animare il proletariato in un tale periodo a partecipare ad elezioni parlamentari, significa risvegliare ed alimentare nel proletariato la pericolosa illusione che si possa superare la crisi con mezzi parlamentari, significa usare mezzi borghesi di lotta di classe in una situazione in cui possono avere un effetto decisivo solo mezzi proletari di lotta di classe impiegati decisamente e senza riguardi. La partecipazione al parlamentarismo borghese in mezzo all'avanzante rivoluzione proletaria significa infine nient'altro che il sabotaggio dell'idea dei consigli. L'idea dei consigli sta, nel periodo della lotta proletaria per il potere politico, al centro dello sviluppo rivoluzionario. L'eco più o meno forte che di volta in volta l'idea dei soviet risveglia nella coscienza delle masse, è lo strumento di misura dello sviluppo della rivoluzione sociale. La lotta per il riconoscimento di consigli di fabbrica rivoluzionari e di consigli politici operai, nell'ambito di una certa situazione rivoluzionaria si trasforma logicamente in una lotta per la dittatura del proletariato contro la dittatura del capitalismo. Questa lotta rivoluzionaria, di cui il progetto consiliare forma la vera e propria asse politica, si orienta con necessità storica contro tutto l'ordinamento sociale borghese e di conseguenza contro la sua forma di espressione politica, cioè il parlamentarismo borghese. Sistema dei consigli o parlamentarismo? Questo è il problema di importanza storica mondiale. Costruzione di un mondo comunista-proletario o tramonto nel fango dell'anarchia capitalisticoborghese? In mezzo a una situazione in tutto e per tutto rivoluzionaria come attualmente in Germania, la partecipazione al parlamentarismo significa dunque non solo il sabotaggio dell'idea dei consigli, ma inoltre la galvanizzazione del mondo capitalista borghese in decomposizione e con ciò il ritardo più o meno voluto della rivoluzione proletaria. Accanto al parlamentarismo borghese i sindacati rappresentano il principale baluardo contro il progresso della rivoluzione proletaria in Germania. Il loro atteggiamento nella guerra mondiale è noto. Il loro influsso decisivo sulla presa di posizione tattica e di principio del vecchio partito social-democratico portò alla proclamazione della "tregua"

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con la borghesia tedesca, la qual cosa fu sinonimo di dichiarazione di guerra al proletariato internazionale. Il loro effetto socialmente proditorio trovò logica continuazione allo scoppio della rivoluzione di novembre in Germania, quando documentarono il loro modo di pensare controrivoluzionario con la stipulazione di una associazione di lavoro con la classe imprenditoriale tedesca che andava in rovina. La loro tendenza controrivoluzionaria l'hanno conservata durante tutto il periodo della rivoluzione tedesca fino ad oggi. E' stata la burocrazia sindacale ad opporsi più fortemente all'idea dei consigli, che metteva radici sempre più profonde nella classe operaia tedesca e che si propose di paralizzare le tendenze politiche sorte conseguentemente dalle agitazioni economiche di massa con lo scopo della presa politica del potere da parte del proletariato. Il carattere controrivoluzionario delle organizzazioni sindacali è così palese, che in Germania numerosi imprenditori fanno dipendere l'assunzione di operai dalla loro appartenenza ad una associazione sindacale. Con ciò è svelato a tutto il mondo, che la burocrazia sindacale partecipa attivamente alla conservazione artificiosa del sistema capitalistico che si sta sfasciando in ogni parte. Con ciò i sindacati sono, accanto alle fondamenta borghesi, uno dei pilastri principali dello stato capitalista di classe. Che questa struttura controrivoluzionaria non possa essere trasformata dall'interno in senso rivoluzionario, è dimostrato ampiamente dalla storia del sindacato dell'ultimo anno e mezzo. Il rivoluzionamento dei sindacati non è un problema personale. Il carattere controrivoluzionario di queste organizzazioni sta nella loro struttura peculiare e nel loro stesso sistema. Da questa consapevolezza sorge la logica conseguenza, che soltanto la distruzione stessa dei sindacati sgombra il campo anche al progresso della rivoluzione sociale in Germania. Per la costruzione socialista è necessario ben altro che queste organizzazioni fossili. Dalla lotta di massa è sorta l'organizzazione di fabbrica; non nuova, nel senso che essa emerge come qualcosa che non sia neppure similmente esistito, ma nuova nel senso che durante la rivoluzione emerge dappertutto come un'arma necessaria della lotta di classe contro il vecchio spirito e contro il fondamento che sta alla sua base. Essa è conforme all'idea dei consigli perciò non è affatto una pura forma od un nuovo gioco organizzativo, oppure un artistico prodigio, bensì è il mezzo espressivo che cresce organicamente nel futuro e che forma il futuro per la rivoluzione di una società che tende alla società senza classi. Essa è una organizzazione di lotta puramente proletaria. Non disperso dalla professione, lontana dal suo campo di battaglia, il proletariato può essere organizzato per il crollo totale della vecchia società; ma questo deve avvenire all'interno della fabbrica. Qui ognuno sta accanto all'altro come compagni di classe, qui ognuno deve stare con gli stessi diritti, qui la massa sta come motore della produzione e spinge ininterrottamente per comprendere e dirigere autonomamente, qui, la lotta ideale, il rivoluzionamento della coscienza passa da uomo a uomo, da massa a massa in un attacco incessante.

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Tutto è diretto al più elevato interesse della classe, non alla mania di associazione, l'interesse professionale è limitato alla minima misura. Una simile organizzazione, spina dorsale dei consigli di fabbrica, diventa uno strumento di lotta di classe continuamente trasformabile, un organismo che ribolle sempre di nuova vita per mezzo di rielezioni e revoche sempre possibili. Crescendo dentro e con le agitazioni di massa, la organizzazione di fabbrica si dovrà procurare naturalmente quella sintesi centrale che corrisponda al suo processo rivoluzionario. La sua preoccupazione principale sarà il progresso rivoluzionario e non programmi, statuti e piani dettagliati. Essa non è una cassa di mutuo soccorso o una assicurazione sulla vita, anche se naturalmente non ha paura di raccogliere fondi per qualche eventuale sovvenzione di sciopero. Continua propaganda per il socialismo, riunioni di fabbrica, discussioni politiche, ecc., si contano tra i suoi compiti; in breve, la rivoluzione nella fabbrica. Lo scopo dell'organizzazione di fabbrica è, in generale, doppio. Il primo è rivolto alla distruzione dei sindacati, del loro substrato generale e di tutta l'ideologia non proletaria concentrata in essi. Non esiste alcun dubbio che in questa lotta l'organizzazione di fabbrica cozzerà contro tutte le strutture borghesi come avversario accanito, ma anche contro tutti gli aderenti alla USP e alla KP, che o si muovono ancora inconsapevolmente nella scia della vecchia SP (anche se hanno accettato un altro programma politico, sono in fondo solo dei critici di errori politico-morali) oppure che sorgono consciamente come avversari, poiché per il loro mercanteggio politico, l'arte diplomatica, di tenersi sempre a galla, stanno più in alto della lotta per la dimensione sociale. Di fronte a tale amarezza non ci deve essere alcun scoraggiamento. Non ci potrà mai essere un accordo stretto con la USP, prima che essa non riconosca la giustificazione di tali formazioni proletarie, certamente ancora bisognose di trasformazione e capaci di trasformarsi, uscite dall'essenza dell'idea dei consigli. Gran parte delle masse la riconosceranno prima dei capi politici. Buon segno. Più sicuramente e più velocemente l'organizzazione di fabbrica smaschererà e annienterà lo spirito controrivoluzionario dei sindacati, col provocare e allestire politicamente scioperi di massa, basandosi di volta in volta sulla situazione politica. Il secondo grande scopo dell'organizzazione di fabbrica è la preparazione alla costruzione della società comunista. Membro dell'organizzazione di fabbrica può diventare ogni operaio che parteggia per la dittatura del proletariato. Di ciò fa parte il rifiuto risoluto dei sindacati, e il risoluto distacco dalla loro linea di pensiero. Questo distacco dovrà essere la pietra di paragone per l'ingresso nell'organizzazione di fabbrica. Viene così chiarito il riconoscimento della lotta di classe proletaria e dei suoi metodi; non è invece necessario il riconoscimento di un più stretto programma di partito. Sta nell'essenza e nella volontà dell'organizzazione di fabbrica servire al comunismo e portare alla società comunista. La sua essenza sarà sempre dichiaratamente comunista e la sua lotta spingerà tutti nella stessa direzione. Ma mentre un programma di partito serve e deve servire in gran parte al Congresso (naturalmente in senso ampio), mentre si richiede ai membri del partito

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una acuta intellettualità, mentre un partito politico come il Partito Operaio Comunista (anche se subisce un'involuzione fino al suo annientamento) che progredisce e muta in fretta, in rapporto al processo

rivoluzionario

mondiale,

non

può

mai

essere

quantitativamente

grande,

nell'organizzazione di fabbrica le masse rivoluzionarie si uniscono per mezzo della coscienza della loro solidarietà di classe, della loro solidarietà proletaria: qui si prepara organicamente l'unità del proletariato, che non è mai possibile nel campo di un programma di partito. L'organizzazione di fabbrica è l'inizio di una formazione comunista e sarà il fondamento della futura società comunista. L'organizzazione di fabbrica svolge i suoi compiti in stretta collaborazione con la KAPD. L'organizzazione politica ha come compito la raccolta degli elementi progrediti della classe operaia in base al programma di partito. Il comportamento del partito verso l'organizzazione di fabbrica deriva dalla natura stessa dell'organizzazione di fabbrica. Con propaganda instancabile la KAPD lavorerà all'interno dell'organizzazione di fabbrica. Devono essere concordate strategie di lotta. I quadri di fabbrica diventano un'arma mobile del partito. Oltre a ciò è naturalmente necessario che anche il partito assuma sempre più un carattere proletario, un espressione di classe proletaria che corrisponda alla dittatura dal basso. Con ciò si allarga l'ambito dei suoi compiti ma contemporaneamente viene appoggiato sul piano della potenza. Si deve ottenere (e l'organizzazione di fabbrica offre la garanzia di questo) che con la vittoria, cioè con la conquista del potere da parte del proletariato, possa subentrare la reale dittatura del proletariato e non di alcuni capi del partito e della loro cricca. La fase della presa del potere politico da parte del proletariato richiede la più severa neutralizzazione di ogni spirito capitalistico-borghese. Si otterrà ciò per mezzo della costituzione di una organizzazione consiliare che gestisca tutto il potere politico e economico. L'organizzazione di fabbrica sarà in questa fase essa stessa un membro della dittatura proletaria, attuata in fabbrica attraverso i consigli elevantisi sopra l'organizzazione di fabbrica. Compito dell'organizzazione di fabbrica in questa fase è di tendere a diventare, in un secondo luogo, il fondamento del sistema economico dei consigli. Per la costruzione della comunità comunista l'organizzazione di fabbrica è una premessa economica. La forma politica di tale organizzazione è il sistema dei consigli. L'organizzazione di fabbrica si fa perciò garante che il potere politico venga esercitato sempre e soltanto dall'Esecutivo dei consigli. La KAPD lotta perciò per la realizzazione del programma rivoluzionario massimalista, le cui richieste concrete sono contenute nei seguenti due punti.

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I. In campo politico 1. Immediata unione politica ed economica con tutti i paesi proletari vittoriosi (Russia sovietica, ecc.) nello spirito della lotta di classe internazionale allo scopo di una comune difesa contro le tendenze aggressive del capitale mondiale. 2. Armamento della classe lavoratrice rivoluzionaria organizzata politicamente, formazione di comitati di difesa locale, formazione di una armata rossa, disarmo della borghesia, di tutta la polizia, dei singoli ufficiali, dei comitati civici di difesa, ecc. 3. Scioglimento di tutti i parlamenti e consigli comunali. 4. Formazione di consigli operai come organi del potere legislativo ed esecutivo. Elezione di un comitato centrale scelto tra i delegati dei consigli operai della Germania. 5. Riunione del Congresso dei consigli tedeschi con l'istanza politica di costituire il Soviet supremo della Germania. 6. Consegna della stampa alla classe lavoratrice sotto la direzione dei soviet politici locali. 7. Distruzione dell'apparato di giustizia borghese e immediato insediamento di tribunali rivoluzionari. Assunzione del potere giudiziario borghese e del servizio di sicurezza da parte di organi proletari corrispondenti. II. In campo economico, sociale e strutturale 1. Annullamento dei debiti statali e di altri debiti pubblici, così come dei singoli prestiti di guerra. 2. Espropriazione di tutte le banche, miniere, ferriere, così come di tutte le imprese industriali e commerciali da parte della repubblica dei consigli. 3. Azione di confisca di tutti i patrimoni a partire da una certa quota, che deve essere stabilita dal comitato centrale dei consigli operai tedeschi. 4. Trasformazione della proprietà privata di possedimenti terrieri in proprietà comune sotto la direzione dei corrispondenti consigli agricoli locali. 5. Assunzione di tutti i trasporti pubblici da parte della repubblica dei soviet. 6. Regolazione e direzione centralizzata di tutta la produzione da parte dei supremi consigli economici da nominarsi dal Congresso dei consigli economici. 7. Orientamento di tutta la produzione al fabbisogno in base ai calcoli economici e statistici più accurati. 8. Decisa e ferma applicazione dell'obbligo al lavoro. 9. Assicurazione della singola esistenza per quanto riguarda l'alimentazione, il vestiario, la casa, la vecchiaia, le malattie, l'invalidità, ecc. 10. Soppressione di tutte le differenze di classe, ordine e titoli. Completa equiparazione giuridica e sociale dei sessi. 11. Immediata trasformazione radicale delle istituzioni preposte all'alimentazione, all'abitazione e alla sanità, nell'interesse della popolazione proletaria.

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12. Mentre la KAPD dichiara la lotta più decisa al sistema economico capitalista e allo stato borghese, essa rivolge il suo attacco anche a tutta l'ideologia borghese e si eleva a propugnatrice di una concezione del mondo proletario rivoluzionario. Un fattore decisivo per l'acceleramento della rivoluzione sociale sta nel rivoluzionamento di tutto il mondo spirituale del proletariato. In base a questa convinzione la KAPD appoggia tutte le tendenze rivoluzionarie nella scienza e nelle arti, il cui carattere corrisponda allo spirito della rivoluzione proletaria. In particolare la KAPD promuove tutti gli sforzi seriamente rivoluzionari, che la gioventù di entrambi e sessi esprime da sè. La KAPD rigetta invece ogni tutela paternalistica della gioventù. Mediante la lotta politica la gioventù stessa viene costretta alla massima esplicazione del suo vigore che ci dà la certezza che adempirà con tutta chiarezza e decisione ai suoi grandi compiti. E' compito del KAPD - anche in nome della rivoluzione - di dare alla gioventù nella sua lotta ogni possibile appoggio. Il KAPD è cosciente che alla gioventù, anche dopo la conquista del potere politico da parte del proletariato resta un grande campo di azione nella costruzione della società comunista, come: la difesa della repubblica dei soviet da parte dell'armata rossa, la trasformazione del processo di produzione, la creazione della scuola di lavoro comunista che esplica i suoi compiti creativi in stretto collegamento con la fabbrica. Questo è il programma del Partito operaio comunista tedesco. Fedele allo spirito della Terza Internazionale la KAPD è saldamente legata al pensiero dei fondatori del socialismo scientifico, che cioè la conquista del potere politico da parte del proletariato ha lo stesso significato dell'annientamento politico della borghesia. La distruzione di tutto l'apparato statale borghese con il suo esercito capitalista guidati da ufficiali junker-borghesi, della sua polizia, dei suoi capi carcerieri e giudici, preti e impiegati statali, è il primo compito della rivoluzione proletaria. Il proletariato vittorioso deve essere perciò corazzato contro gli assalti della controrivoluzione borghese. Il proletariato deve tentare di concludere vittoriosamente e con ferma violenza la guerra civile, qualora essa gli venga imposta dalla borghesia. La KAPD è cosciente che la lotta finale tra capitale e lavoro non può essere risolta all'interno di confini nazionali. Come il capitalismo non si ferma davanti ai confini nazionali e nella sua scorribanda piratesca attraverso il mondo, non si lascia frenare da qualche scrupolo nazionale, allo stesso modo il proletariato non deve perdere d'occhio, sotto l'ipnosi di ideologie nazionali, il pensiero fondamentale della solidarietà internazionale di classe. Quanto più acutamente viene compreso dal proletariato il pensiero della lotta di classe internazionale e quanto più di conseguenza esso viene elevato a leit-motiv della politica mondiale proletaria, tanto più rapidamente e violentemente i colpi della rivoluzione mondiale ridurranno in pezzi il capitale mondiale in fase di disfacimento. Alto sopra tutti i particolarismi nazionali, alto sopra tutti i confini nazionali, alto sopra tutte le patrie, per il proletariato internazionale brilla con eterno splendore il faro: Proletari di tutto il mondo unitevi!

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Le linee di orientamento dell'AAU-E estratti da "Die Action" n. 41/42 1921

1) l'AAU è l'organizzazione unitaria politica ed economica del proletariato rivoluzionario. 2) L'AAU lotta per il comunismo, la socializzazione della produzione, così come dei beni di consumo che ne sono il prodotto. L'AAU vuole fissare la produzione e la ripartizione secondo un piano al posto della produzione e ripartizione capitalista attuale. 3) Lo scopo finale dell'AAU è la società ove tutti i poteri sono aboliti, il cammino verso questa società passa per la dittatura del proletariato. E' la volontà degli operai che determina esclusivamente

l'organizzazione

politica

ed economica

della

società

comunista

grazie

all'organizzazione in consigli. 4) I compiti più urgenti dell'AAU sono: a) la distruzione dei sindacati e dei partiti politici, ostacoli principali all'unificazione della classe proletaria e all'ulteriore sviluppo della rivoluzione sociale, la quale non può essere né un affare di partito, né un affare di sindacati.; b) l'unione del proletariato rivoluzionario nelle fabbriche, cellule della produzione, fondamento della società che viene; c) lo sviluppo della coscienza di se' e della solidarietà fra lavoratori; d) la preparazione di tutte le misure che saranno necessarie per l'edificazione politica ed economica. 5) L'AAU rigetta tutti i metodi di lotta riformisti ed opportunisti, s'oppone ad ogni partecipazione al parlamento e ai consigli di fabbrica legali; perché questa partecipazione significa il sabotaggio dell'idea dei consigli. 6) L'AAU rigetta fondamentalmente tutti i capi di professione. La rivoluzione non può essere questione di sedicenti capi come di consiglieri. 7) Tutte le funzioni dell'AAU sono volontarie. 8) L'AAU considera la lotta di liberazione del proletariato non come un affare nazionale, ma come un affare internazionale. Per questo l'AAU si sforza di arrivare al raggiungimento dell'insieme del proletariato mondiale in una internazionale dei consigli

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La rivoluzione tedesca Il comunismo anti-bolscevico in Germania Paul Mattick, uscito postumo nel 1983

Il processo di concentrazione di potere capitalistico e politico impone a ogni movimento di qualche importanza sociale l’obbligo o di distruggere il capitalismo o di porsi coerentemente al suo servizio. Il vecchio movimento operaio tedesco non poteva optare per la per la seconda alternativa, né voleva né era in grado di realizzare la prima. Esso non agì coerentemente alla sua ideologia originaria né in accordo con i suoi interessi reali e immediati. Per un certo periodo servì da strumento di controllo nelle mani della classe dominante. Perdendo prima la propria indipendenza, doveva ben presto perdere la sua effettiva esistenza. Essenzialmente la storia di questo movimento è la storia del mercato capitalistico considerata da un punto di vista ‘proletario’. Le cosiddette leggi di mercato dovevano essere utilizzate a vantaggio della merce forza lavoro. Le azioni collettive dovevano portare ai più elevati salari possibili. Il ‘potere economico’ conquistato in tal modo doveva essere difeso mediante riforme sociali. Anche i capitalisti accrebbero il controllo organizzato sul mercato. Da entrambi i lati si favorì la riorganizzazione monopolistica della società capitalista sebbene, senza dubbio, dietro le loro attività coscientemente concepite in ultima analisi non vi erano altro che le esigenze di sviluppo del capitale stesso. Le loro politiche e le loro aspirazioni, per quanto fondate su concrete considerazioni di fatti e di necessità particolari, erano tuttora determinate dal carattere feticistico del loro sistema di produzione. A parte il feticismo della merce, qualunque sia il significato che le leggi di mercato possano assumere rispetto ad arricchimenti o perdite particolari e per quanto possano essere manovrate da questo o quell’altro gruppo di interesse, in nessuna circostanza possono essere utilizzate a vantaggio della classe operaia considerata nel suo complesso. Non è il mercato che controlla gli individui e determina le relazioni sociali prevalenti ma piuttosto il fatto che nella società un gruppo separato possiede o controlla i mezzi di produzione e gli strumenti di repressione. Per sconfiggere il capitalismo sono necessarie azioni esterne alle relazioni di mercato tra lavoro e capitale, azioni che aboliscono entrambi, il mercato e le relazioni di classe. Limitando le azioni all’interno del perimetro capitalistico il vecchio movimento operaio doveva autodistruggersi o ad essere distrutto dall’esterno. Era destinato o ad essere scisso internamente dalla propria opposizione rivoluzionaria, che avrebbe dato origine a nuove organizzazioni, o condannato ad essere distrutto dalla trasformazione capitalistica di una economia di mercato in una economia di mercato controllata, e dai concomitanti mutamenti politici.

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La prima guerra mondiale rivelò più di ogni altra cosa che il movimento operaio era parte e componente passiva della società borghese. Le varie organizzazioni di ogni nazione dimostrarono di non avere né l’intenzione né i mezzi per lottare contro il capitalismo, di essere interessate solo ad assicurare la propria esistenza all’interno delle struttura del capitale. In Germania ciò era particolarmente facile poiché nel movimento internazionale le organizzazioni tedesche erano le più grandi e le più unitarie. Al fine di tenersi aggrappati a quanto era stato costruito fin dall’epoca della legislazione anti-socialista di Bismarck, la minoranza di opposizione all’interno del partito socialista mostrò un’attitudine all’autolimitazione di una portata sconosciuta in altri paesi. Ma a quel tempo l’opposizione russa in esilio aveva meno da perdere; inoltre essa aveva rotto con i riformisti e i collaborazionisti di classe un decennio prima dello scoppio della guerra. Ed è molto difficile scorgere nei blandi argomenti pacifisti del partito laburista indipendente una qualsiasi opposizione reale al patriottismo socialista che aveva impregnato il movimento operaio britannico. Ma dalla sinistra tedesca ci si aspettava di più che da ogni altro gruppo della Internazionale e il suo comportamento al momento dello scoppio della guerra fu quindi particolarmente deludente. Oltre che della condizione psicologica degli individui questo comportamento fu il risultato del feticismo per l’organizzazione dominante nel movimento. Il feticismo esige disciplina e una stretta adesione alle regole della democrazia – la minoranza deve sottomettersi alla volontà della maggioranza. E sebbene risulti evidente che nelle condizioni del capitalismo tali prescrizioni ‘democratiche’ semplicemente occultano i fatti con il loro contrario, l’opposizione non riesce a rendersi conto che nel movimento operaio la democrazia non differisce dalla democrazia borghese in generale. Una minoranza ha la proprietà e il controllo delle organizzazioni allo stesso modo in cui la minoranza capitalista possiede e controlla i mezzi di produzione e l’apparato dello stato. In entrambi i casi le minoranze in virtù di questo controllo determinano il comportamento delle maggioranze. Ma, forzata da procedure tradizionali, in nome della disciplina e dell’unità, a disagio e contro le sue migliori convinzioni, la minoranza che si opponeva alla guerra finì per appoggiare lo sciovinismo dei socialdemocratici. Nell’agosto del 1914 vi fu solamente un uomo nel Richstag tedesco – Fritz Kunert - che non se la sentì di votare in favore dei crediti di guerra, ma che pure non seppe votare contro di essi e così, per tacitare la propria coscienza, si astenne affatto dalla votazione. Nella primavera del 1915 Liebknecht e Ruhle furono i primi a votare contro la concessione di crediti di guerra al governo. Essi rimasero isolati per un bel po’ di tempo e trovarono nuovi aderenti solo nella misura in cui le prospettive di una pace vittoriosa sfumavano in una situazione di stallo militare. Dopo il 1916 la corrente di opposizione radicale alla guerra venne appoggiata e presto fagocitata da un movimento borghese alla ricerca di un negoziato di pace, un movimento che infine doveva ereditare il bilancio fallimentare dell’imperialismo tedesco. Poiché avevano violato la disciplina di partito Liebknecht e Ruhle vennero espulsi dal gruppo socialdemocratico del Reichstag. Insieme a Rosa Luxemburg, Franz Mehring e altri, ora più o

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meno dimenticati, essi organizzarono il gruppo Internationale, pubblicando una rivista dello stesso nome, al fine di sostenere in un mondo in guerra l’idea dell’internazionalismo. Nel 1916 organizzarono la Spartakusbund che cooperò con altre formazioni di sinistra come la Internationale Socialisten, il cui portavoce era Julian Borchardt, e il gruppo che si raccoglieva attorno a Johann Knief e il giornale radicale di Brema Arbeiterpolitik. Retrospettivamente sembra che il gruppo citato per ultimo fosse il più avanzato, cioè avanzato in quanto lontano dalla tradizione della socialdemocrazia e rivolto verso un nuovo modo di rapportarsi con la lotta di classe proletaria. Quanto la Spartakusbund aderisse ancora al feticismo dell’organizzazione e dell’unità che dominava il movimento operaio tedesco divenne chiaro con il loro incerto comportamento rispetto ai primi tentativi di riorientamento del movimento socialista internazionale che ebbero luogo a Zimmerwald e Kienthal. Gli spartachisti non erano favorevoli ad una rottura netta con il vecchio movimento operaio, nella direzione mostrata dal precedente esempio bolscevico. Essi speravano ancora di conquistare il partito alle loro posizioni ed evitarono scrupolosamente linee politiche non mediabili. Nell’aprile del 1917 la Spartakusbund si fuse con i Socialisti indipendenti, che costituivano il centro del vecchio movimento operaio, ma che non era più disponibile a fornire una copertura allo sciovinismo della maggioranza conservatrice del partito socialdemocratico. Relativamente indipendente ma ancora all’interno del partito socialista indipendente, la Spartakusbund uscì da questa organizzazione solo alla fine del 1918. La posizione di Liebknecht e della Luxemburg all’interno della Spartakusbund era stata attaccata dai bolscevichi definendola incoerente. E incoerente era realmente ma per motivi pertinenti. A prima vista, il motivo principale sembrava riferirsi alla illusione che il partito socialdemocratico potesse essere riformato. Con un mutamento delle circostanze, così si sperava, le masse avrebbero cessato di seguire i loro dirigenti conservatori e avrebbero appoggiato la sinistra del partito. E sebbene tali illusioni esistessero realmente, prima rispetto al vecchio partito e più tardi riguardo i Socialisti indipendenti, esse non spiegano completamente l’esitazione mostrata dalla dirigenza spartachista nell’adottare la linea dei bolscevichi. Effettivamente gli spartachisti da qualsiasi parte si muovessero si trovavano di fronte a un dilemma. Non tentando - al momento giusto - di rompere risolutamente con la socialdemocrazia, persero l’occasione di costituire una forte organizzazione in grado di svolgere un ruolo decisivo nelle auspicate rivolte sociali. Tuttavia considerando la reale situazione della Germania e la storia del movimento operaio tedesco, era molto difficile credere nella possibilità di costituire rapidamente una organizzazione alternativa alle organizzazioni operaie dominanti. Ovviamente sarebbe stato possibile costituire un partito alla maniera leninista, un partito di rivoluzionari professionali, intenzionati a usurpare il potere, se necessario, contro la volontà della maggioranza della classe operaia. Ma questo era esattamente ciò cui la gente intorno a Rosa Luxemburg non ambiva. In tutti gli anni della loro

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opposizione al riformismo e al revisionismo non avevano mai ridotto la distanza che li separava dalla ‘sinistra’ russa, dall’idea leninista di organizzazione e rivoluzione. Nel corso di aspre controversie Rosa Luxemburg aveva evidenziato che i concetti di Lenin erano di carattere giacobino e inapplicabili nell’Europa occidentale, dove non una rivoluzione borghese ma una proletaria era all’ordine del giorno. Sebbene anch’essa parlasse di dittatura del proletariato, per lei ciò significava, a differenza di Lenin, “il modo in cui la democrazia viene applicata, non la sua abolizione: - deve essere opera di tutta la classe, non di una piccola minoranza in nome della classe.” Pur salutando entusiasticamente il rovesciamento dello zarismo, gli spartachisti non smarrirono le loro capacità critiche, né dimenticarono il carattere del partito bolscevico né i limiti storici della rivoluzione russa. Ma al di là delle realtà immediate e dell’esito finale di questa rivoluzione essa doveva essere difesa in quanto prima incrinatura nello schieramento imperialista e precorritrice della attesa rivoluzione tedesca. Di quest’ultima molti segnali erano apparsi come scioperi, sommosse della fame, ammutinamenti e ogni genere di resistenza passiva. Ma la crescente opposizione alla guerra e alla dittatura di Ludendorff non riusciva a trovare sbocchi organizzativi di portata significativa. Invece di volgersi a sinistra le masse seguivano le loro vecchie organizzazioni, le quali erano allineate con la borghesia liberale. Le sommosse nella flotta tedesca e infine la ribellione di novembre erano continuate nello spirito della socialdemocrazia, cioè nello spirito della borghesia tedesca sconfitta. La rivoluzione tedesca apparve più significativa di quanto lo fosse nella realtà. L’entusiasmo spontaneo degli operai era rivolto più a terminare la guerra che a cambiare i rapporti sociali esistenti. Le loro rivendicazioni, espresse tramite consigli di operai e soldati, non trascendevano le possibilità della società borghese. Anche la minoranza rivoluzionaria, e qui in particolare la Spatakusbund, non riuscì a sviluppare un programma rivoluzionario coerente. Le sue richieste politiche ed economiche erano di duplice natura: erano formulate da una parte per servire come richieste sulle quali trovare un accordo con la borghesia e i suoi alleati della socialdemocrazia, e dall’altra come parole d’ordine di una rivoluzione con la quale farla finita sia con la borghesia che con i suoi difensori. Naturalmente, dentro quell’oceano di mediocrità politica rappresentato dalla rivoluzione tedesca vi furono correnti rivoluzionarie che scaldavano i cuori dei radicali e li spingevano a intraprendere azioni storicamente del tutto fuori luogo. Successi parziali, dovuti ad un temporaneo stordimento della classe dominante e alla generale passività delle grandi masse – esauste come erano da quattro anni di fame e guerra – alimentarono la speranza che la rivoluzione potesse sfociare in una società socialista. Solo che nessuno sapeva che cosa fosse una società socialista, quali passi si doveva compiere per portarla all’esistenza. “Tutto il potere ai consigli degli operai e dei soldati,” per quanto attraente come parola d’ordine, lasciava tuttavia aperte tutte le questioni essenziali. Le lotte rivoluzionarie successive al novembre 1918 furono così determinate non da piani coscientemente

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elaborati dalla minoranza rivoluzionaria, ma furono sospinte a ciò da un controrivoluzione che si sviluppava lentamente ed era sostenuta dalla maggioranza del popolo. Il fatto era che le grandi masse tedesche dentro e fuori il movimento operaio non guardavano avanti verso l’istituzione di una nuova società ma indietro verso la restaurazione del capitalismo liberale senza i suoi aspetti negativi, le sue diseguaglianze politiche, il suo militarismo e l’imperialismo. Essi semplicemente desideravano il completamento delle riforme iniziate prima della guerra che erano concepite per l’instaurazione di un capitalismo benevolo. L’ambiguità che caratterizzò la politica della Spatakusbund fu in gran parte il risultato del conservatorismo delle masse. I dirigenti spartachisti erano pronti, da una parte, a intraprendere il chiaro percorso rivoluzionario auspicato dalla cosiddetta ‘ultrasinistra’, e dall’altra erano persuasi che tale politica non poteva avere successo considerando l’orientamento prevalente delle masse e la situazione internazionale. Gli effetti della rivoluzione russa sulla Germania difficilmente si possono considerare degni di nota. Né vi era motivo di attendersi che una svolta radicale in Germania avrebbe causato maggiori ripercussioni in Francia, Inghilterra e America. Se era stato arduo per gli Alleati intervenire in modo decisivo in Russia, avrebbero incontrato minori difficoltà a schiacciare una insurrezione comunista in Germania. Uscito vittorioso dalla guerra, il capitalismo di queste nazioni si era enormemente rafforzato: non vi era alcuna indicazione che le loro masse patriottiche avrebbero rifiutato di combattere contro una debole Germania rivoluzionaria. In ogni caso, non vi era motivo di credere che le masse tedesche, impegnate a sbarazzarsi delle loro armi, avrebbero rincominciato una guerra contro il capitalismo al fine di liberarsi del proprio capitalismo. La politica che era apparentemente la più realistica per gestire la situazione internazionale e che doveva essere presto proposta da Wolfheim e Lauffenberg con il nome di nazionalbolscevismo, era tuttavia irrealistica considerando i reali rapporti di forza esistenti nel dopoguerra. Il piano di riprendere la guerra contro il capitalismo degli Alleati con l’aiuto della Russia era inadeguato in quanto non prendeva in considerazione il fatto che i bolscevichi non erano preparati né in grado di partecipare ad una tale avventura. Naturalmente i bolscevichi non avversavano la Germania e qualsiasi altra nazione che suscitasse difficoltà all’imperialismo vittorioso, tuttavia non incoraggiavano l’idea di una di nuova guerra di equilibrio per portare avanti la ‘rivoluzione mondiale.’ Essi desideravano l’appoggio per il loro regime, la cui permanenza era ancora posta in dubbio dai bolscevichi stessi, ma non erano interessati a sostenere rivoluzioni in altri paesi con mezzi militari. Sia il perseguimento di una deriva nazionalistica, indipendente dal problema delle alleanze, sia la prospettiva di unirsi una volta ancora con la Germania per una guerra di ‘liberazione’ dall’oppressione straniera furono alternative fuori discussione per il motivo ulteriore che quegli strati sociali che i ‘rivoluzionari nazionali’ dovevano coinvolgere nella loro causa erano precisamente la gente che mise fine alla guerra prima della sconfitta completa delle armate tedesche allo scopo di prevenire una ulteriore diffusione del ‘bolscevismo.’ Incapaci di divenire i padroni del capitalismo internazionale, avevano preferito mantenere il ruolo dei suoi servitori più

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fedeli. Tuttavia non vi era modo di trattare i problemi internazionali della Germania che non implicasse una politica estera definita. Pertanto la rivoluzione tedesca radicale venne sconfitta anche prima che potesse iniziare, ad opera sia del proprio che del capitalismo mondiale. Tuttavia la necessità di considerare seriamente le relazioni internazionali non si presentò mai alla sinistra tedesca. Forse questo fu il più chiaro segno della sua irrilevanza. Neppure venne posta concretamente la questione di cosa fare del potere politico, una volta conquistato. Nessuno sembrava credere che a queste domande sarebbe stato necessario rispondere. Liebkneekt e la Luxemburg davano per certo che il proletariato tedesco dovesse fronteggiare un lungo periodo di lotta di classe senza alcuna prospettiva di una prossima vittoria. Essi vollero scegliere la soluzione migliore possibile, proponendo un ritorno in parlamento e all’attività sindacale. Tuttavia nella loro pratica precedente avevano già oltrepassato i confini della politica borghese; non potevano ritornare nella prigione della tradizione. Avevano radunato attorno a sé gli elementi più radicali del proletariato tedesco, i quali erano ora determinati a considerare ogni battaglia come lo scontro finale contro il capitalismo. Questi operai interpretavano la rivoluzione russa secondo le proprie esigenze e la loro mentalità; ad essi importava meno delle difficoltà celate nel futuro che di distruggere il più possibile le forze del passato. Di fronte ai rivoluzionari si aprivano solo due vie: o soccombere con forze la cui causa era persa in anticipo, oppure ritornare nell’ovile della democrazia borghese e svolgere attività sociale a vantaggio della classe dominante. Per un vero rivoluzionario naturalmente esisteva solo una strada: soccombere con i lavoratori in lotta. Per questo Eugene Levine parlò dei rivoluzionari come di ‘morti in licenza’ e per questo Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht andarono incontro alla morte quasi come sonnambuli.

Il fatto che la borghesia internazionale potesse concludere la sua guerra con nulla di più che la perdita temporanea dell’area russa determinò l’intera storia del dopoguerra fino alla seconda guerra mondiale. Retrospettivamente la lotta del proletariato tedesco dal 1912 al 1923 appare come un attrito marginale concomitante il processo di riorganizzazione capitalistica successivo alla crisi bellica. Ma è sempre esistita la tendenza a considerare i sottoprodotti di mutamenti violenti nella struttura capitalistica come espressione della volontà rivoluzionaria del proletariato. Tuttavia i radicali ottimisti stavano semplicemente fischiando nel buio. Certamente l’oscurità era reale e lo schiamazzo incoraggiante, tuttavia a quell’ora tarda non era il caso di prendere ciò sul serio. Per quanto sia entusiasmante richiamare alla memoria i tempi delle azioni del proletariato in Germania – le assemblee di massa, le manifestazioni, gli scioperi, i combattimenti per le strade, le discussioni accalorate, le speranze, le paure e le delusioni, l’amarezza della sconfitta e le sofferenze della prigione e della morte – tuttavia da tutte queste imprese non si possono ora trarre che insegnamenti negativi. Tutta l’energia e tutto l’entusiasmo non erano sufficienti a provocare un

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cambiamento sociale o a modificare la mentalità corrente. La lezione appresa fu quella di come non si deve procedere. Ma il come realizzare i bisogni del proletariato non era stato scoperto. Lo sconvolgimento emotivo fornì un inesauribile incentivo alla ricerca. La rivoluzione, che così a lungo era stata una semplice teoria e una vaga speranza era apparsa per un momento come una possibilità pratica. L’occasione era stata mancata, nessun dubbio, ma sarebbe ritornata per essere meglio utilizzata la prossima volta. Se non gli individui almeno i ‘tempi’ erano rivoluzionari e le prevalenti condizioni che portavano alla crisi avrebbero presto o tardi rivoluzionato le menti degli operai. Se le azioni erano state bloccate dai pompieri della polizia socialdemocratica, se una volta ancora l’iniziativa degli operai era stata vanificata attraverso l’evirazione dei loro consigli mediante la legislazione, se i loro dirigenti stavano nuovamente operando nelle diverse istituzioni capitalistiche non con la classe ma ’in nome della classe’– nondimeno la guerra aveva chiarito che le contraddizioni capitalistiche fondamentali non potevano essere risolte e che le condizioni della crisi erano ora le condizioni ‘normali’ del capitalismo. Nuove azioni rivoluzionarie erano probabili e avrebbero trovato i rivoluzionari meglio preparati. Sebbene le rivoluzioni in Germania, Austria e Ungheria fossero fallite rimaneva ancora la rivoluzione russa a ricordare al mondo la realtà delle rivendicazioni proletarie. Tutte le discussioni gravitavano attorno a questa rivoluzione, ed a ragione, perché questa rivoluzione doveva determinare il corso futuro della sinistra tedesca. Nel dicembre del 1919 venne fondato il Partito comunista tedesco. Dopo l’assassinio di Liebknecht e della Luxemburg venne diretto da Paul Levi e Karl Radek. Questa nuova dirigenza venne subito attaccata da una opposizione di sinistra a causa della sua tendenza a sostenere il ritorno alle pratiche parlamentari. Al momento della fondazione del partito i suoi elementi radicali erano riusciti a conferirgli un carattere antiparlamentare e un ampio controllo democratico, a differenza del tipo di organizzazione leninista. Venne adottata anche una politica contraria al sindacalismo. Liebknecht e la Luxemburg subordinarono i loro diversi punti di vista a quelli della maggioranza radicale. Non altrettanto fecero Levi e Radek. Già nell’estate del 1919 manifestarono chiaramente l’intenzione di scindere il partito al fine di partecipare alle elezioni del parlamento. Al contempo essi si prodigarono a diffondere l’idea di un ritorno all’attività sindacale, non tenendo conto del fatto che il partito era già impegnato nella formazione di nuove organizzazioni non più fondate su i mestieri o anche sulle industrie ma sulle fabbriche. Queste organizzazioni di fabbrica erano unite in un’unica organizzazione di classe, l’Unione generale del lavoro (AAU). Nell’ottobre del 1919, al congresso di Heidelberg, furono espulsi tutti i delegati che erano in disaccordo con il nuovo comitato centrale e mantenevano la posizione adottata alla fondazione del Partito comunista. Il febbraio seguente il comitato centrale decise di sbarazzarsi di tutti i distretti controllati dall’opposizione di sinistra. L’opposizione aveva dalla sua parte l’ufficio di Amsterdam

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dell’Internazionale comunista, ciò che portò allo scioglimento di quell’ufficio da parte dell’Internazionale al fine di sostenere il gruppo Levi-Radek. Infine nell’aprile del 1920 la sinistra fondava il Partito comunista dei lavoratori. Il Partito comunista operaio (KAPD) non aveva ancora compreso che lo scontro con il gruppo di Levi e Radek era la ripresa del vecchio conflitto della Sinistra tedesca contro il bolscevismo, e in senso lato contro la nuova struttura del capitalismo mondiale che stava lentamente prendendo forma. Esso decise di entrare nell’Internazionale comunista. Appariva più bolscevico dei bolscevichi stessi. Ma per l’Internazionale comunista non era necessario prendere nuovamente posizione contro l’ ‘ultrasinistra’; i suoi dirigenti avevano preso la loro decisione già vent’anni prima. Nondimeno il comitato esecutivo dell’Internazionale comunista tentava tuttora di mantenere i rapporti con il Partito comunista dei lavoratori, non solo perché esso comprendeva la maggioranza del vecchio Partito comunista, ma anche perché sia Levi che Radek, sebbene portassero avanti in Germania la politica bolscevica, erano stati i discepoli più vicini non a Lenin ma a Rosa Luxemburg. Al secondo congresso mondiale della Terza Internazionale del 1920 i bolscevichi russi erano già nella condizione di imporre la politica dell’Internazionale. Le reazioni del Partito comunista dei lavoratori sono riassunte nella ‘Lettera aperta a Lenin’ di Herman Gorter, che è la risposta a ‘L’estremismo, malattia infantile del comunismo’ di Lenin. Le azioni dell’Internazionale contro l’ ‘ultrasinistra’ furono i primi tentativi di intervento e controllo sulle varie sezioni nazionali. Le pressioni esercitate sul Partito comunista dei lavoratori perché ritornasse al parlamentarismo e al sindacalismo

crebbero

costantemente,

ma

il

Partito

comunista

dei

lavoratori

uscì

dall’Internazionale dopo il suo terzo congresso.

Al secondo congresso mondiale i dirigenti sovietici, allo scopo di assicurarsi il controllo dell’Internazionale, proposero l’istituzione di ventuno condizioni di ammissione all’Internazionale comunista. Poiché controllavano il congresso non ebbero difficoltà a far adottare queste condizioni. Da quel momento lo scontro sulle questioni di organizzazione, che venti anni addietro aveva suscitato tante polemiche tra la Luxemburg e Lenin, fu ripreso apertamente. Dietro il dibattito sulle questioni organizzative vi erano naturalmente le fondamentali differenze che dividevano la rivoluzione bolscevica e gli operai dell’occidente. Queste ventun condizioni conferivano all’esecutivo dell’Internazionale, cioè ai dirigenti del partito russo, il controllo integrale e un’autorità completa su tutte le sezioni nazionali. Secondo l’opinione di Lenin non era possibile realizzare una dittatura su scala internazionale “senza un partito rigorosamente centralizzato, disciplinato, in grado di guidare e amministrare ogni branca, ogni sfera, ogni aspetto dell’attività politica e culturale.” Questo atteggiamento – che consisteva nell’ostinarsi ad applicare l’esperienza russa all’Europa occidentale, dove prevalevano condizioni

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del tutto differenti – appariva all’opposizione di sinistra come un errore, un fraintendimento politico, una mancanza di comprensione delle peculiarità del capitalismo occidentale, e il risultato della fanatica preoccupazione di Lenin per i problemi della Russia. La politica di Lenin sembrava essere determinata dall’arretratezza dello sviluppo capitalistico in Russia, e sebbene dovesse essere combattuta nell’Europa occidentale poiché tendeva a favorire la restaurazione capitalistica, non poteva essere considerata una forza completamente controrivoluzionaria. Questo benevolo giudizio verso la rivoluzione bolscevica doveva essere presto liquidato dalle ulteriori azioni dei bolscevichi stessi. I bolscevichi passarono da piccoli ‘errori’ ad ‘errori‘ sempre maggiori. Sebbene il Partito comunista tedesco, affiliato alla Terza Internazionale, crescesse costantemente, soprattutto dopo la sua unificazione con i Socialisti indipendenti, la classe proletaria, già sulla difensiva, perdeva una posizione dopo l’altra a vantaggio delle forze della reazione capitalista. Trovandosi a competere con il partito socialdemocratico, che rappresentava parte della classe media e della cosiddette aristocrazia operaia sindacalizzata, il partito comunista non poteva non crescere, poiché questi strati si impoverivano nella depressione permanente nella quale si trovava il capitalismo tedesco. Con una disoccupazione in crescita costante anche l’insoddisfazione verso lo status quo e i suoi più fedeli sostenitori, i socialdemocratici, aumentava. Solo il lato eroico della rivoluzione russa venne propagandato; il reale carattere della quotidianità sotto il regime bolscevico venne occultato sia dai suoi amici che dai nemici. Ciò in quanto, a quell’epoca, il capitalismo di stato, che stava dispiegandosi in Russia, era ancora sconosciuto alla borghesia, indottrinata dall’ideologia del laissez-faire, quanto il socialismo autentico. E il socialismo era concepito dalla maggioranza dei socialisti come una forma di controllo statale dell’industria e delle risorse naturali. La rivoluzione russa divenne un mito potente ed abilmente incoraggiato, accettato dai settori impoveriti del proletariato tedesco per compensare la loro crescente miseria. Il mito venne rafforzato dai reazionari per accrescere nei loro seguaci l’odio per gli operai tedeschi e in generale verso tutte le tendenze rivoluzionarie. Contro il mito, contro il poderoso apparato propagandistico dell’Internazionale comunista che costruiva il mito, accompagnato e sostenuto dalla offensiva del capitale contro il lavoro in tutto il mondo – contro tutto questo la ragione non poteva prevalere. Tutti i gruppi radicali alla sinistra del Partito comunista passarono dalla stagnazione alla disintegrazione. Non servì a nulla che questi gruppi avessero la linea politica ‘giusta’ e il Partito comunista quella ‘errata’ in quanto qui non erano in gioco questioni di strategia rivoluzionaria. Ciò che emergeva era che il capitalismo mondiale stava attraversando una fase di stabilizzazione e si stava sbarazzando di quei turbolenti elementi proletari che durante le condizioni di crisi della guerra e del collasso militare avevano tentato di affermarsi. La Russia, che fra tutte le nazioni era quella che più necessitava di essere stabilizzata, fu il primo paese a distruggere il suo movimento operaio mediante la dittatura del partito bolscevico. Tuttavia

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nelle condizioni dell’imperialismo la stabilizzazione interna è possibile solo perseguendo una politica di potenza verso l’esterno. Il carattere della politica estera russa sotto il bolscevismo fu determinato dalle peculiarità della situazione europea postbellica. L’imperialismo moderno non si limita più ad affermarsi semplicemente esercitando una pressione militare ed effettive operazioni belliche; la ‘quinta colonna’ è un’arma apprezzata da tutte le nazioni. Tuttavia quella che è oggi una virtù imperialistica per i bolscevichi, i quali stavano tentando di reggere il confronto in un mondo dominato dalla competizione imperialistica, era ancora una assoluta necessità. Non vi era nulla di contradditorio nella politica bolscevica che consisteva nel prendere tutto il potere ai lavoratori russi e allo stesso tempo tentare di costruire forti organizzazioni operaie nelle altre nazioni. Naturalmente i bolscevichi non consideravano le varie sezioni della loro Internazionale come semplici legioni straniere al servizio della ‘patria dei lavoratori’ ; credevano che ciò che era d’aiuto alla Russia favoriva il progresso anche altrove. Essi credevano, e a ragione, che la rivoluzione russa aveva dato inizio a un movimento generale e di portata mondiale dal capitalismo monopolistico al capitalismo di stato, e ritenevano che questo nuovo stato di cose costituisse un passo verso il socialismo. In altre parole, se non nella loro tattica almeno nella teoria essi erano ancora socialdemocratici e da loro punto di vista i dirigenti socialdemocratici erano realmente dei traditori della loro stessa causa quando favorivano la conservazione del capitalismo del laissez-faire di ieri. Nei confronti dei socialdemocratici si percepivano come i veri rivoluzionari, in rapporto all’ ‘ultrasinistra’ si ritenevano realisti, i veri rappresentanti del ‘socialismo scientifico’. Ma quello che pensavano di se stessi e quello che erano realmente sono due cose differenti. Nella misura in cui essi continuavano a fraintendere la loro missione storica essi operavano continuamente per il fallimento della loro causa; nella misura in cui erano obbligati ad essere all’altezza delle necessità oggettive della loro rivoluzione, divenivano la più grande forza controrivoluzionaria del capitalismo moderno. Lottando come veri socialdemocratici per l’egemonia nel movimento socialista del mondo, identificando gli angusti interessi nazionalistici della Russia del capitalismo di stato con gli interessi del proletariato mondiale, e tentando di mantenere a tutti i costi le posizioni di potere che avevano conquistate nel 1917, essi stavano semplicemente preparando la loro rovina, che si realizzò drammaticamente in numerose lotte tra fazioni, al culminando nei processi di Mosca e concludendosi nella Russia stalinista attuale - una nazione imperialista fra le altre. In considerazione di questo sviluppo, ciò che fu più importante della critica delle effettive politiche dei bolscevichi, in Germania e nel mondo in generale, fu il riconoscimento della reale portata storica del movimento bolscevico, cioè della socialdemocrazia militante. Quello che il conservatore movimento socialdemocratico era in grado di fare o non fare, i partiti in Germania, Francia e Inghilterra lo avevano rivelato fin troppo chiaramente. I bolscevichi mostrarono che cosa costoro

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avrebbero fatto se fossero stati ancora un movimento sovversivo. Avrebbero tentato di organizzare il capitalismo disorganizzato e sostituito gli imprenditori individuali con burocrati. Essi non avevano altri piani e perfino questi erano solo una estensione del processo di cartellizzazione, trustificazione e centralizzazione in corso in tutto il mondo capitalistico. Nell’Europa occidentale i partiti socialisti non potevano più agire seguendo il bolscevismo, in quanto la loro borghesia stava già istituendo tale genere di ‘socializzazione’. Tutto quello che i socialisti potevano fare era dargli una mano; cioè ‘crescere lentamente’ nella ‘società socialista emergente’. Il significato del bolscevismo venne svelato completamente solo con la comparsa del fascismo. E alla luce del presente i gruppi dell’ ‘ultrasinistra’ in Germania e in Olanda devono essere considerati le prime organizzazioni antifasciste, avendo anticipato nella loro lotta contro i partiti comunisti la futura necessità per la classe operaia di combattere la forma fascista del capitalismo. I primi teorici dell’antifascismo sono da rintracciare tra i portavoce delle sette radicali: Gorter e Pannekoek in Olanda, Ruehle, Pfempfert, Broh e Fraenkel in Germania; ed essi possono essere considerati tali in ragione della loro lotta contro il concetto del partito-guida e del controllo statale, dei loro tentativi di attuare i contenuti del movimento dei consigli verso la determinazione diretta del proprio destino, per il loro sostegno alla lotta della Sinistra tedesca contro la socialdemocrazia e insieme contro la sua articolazione leninista.

I soviet russi e i consigli degli operai e dei soldati tedeschi rappresentavano l’elemento proletario sia nella rivoluzione russa che in quella tedesca. In entrambe le nazioni questi movimenti vennero prontamente soppressi con strumenti militari e legislativi. Ciò che rimaneva dei soviet russi dopo lo stabile radicamento della dittatura del partito bolscevico fu semplicemente la versione russa del posteriore fronte del lavoro nazista. Il movimento dei consigli tedesco venne legalizzato e si tramutò in una appendice dei sindacati e presto in una forma di controllo capitalistico. Finanche i consigli formatisi spontaneamente nel 1918 erano – la maggioranza di questi – lungi dall’essere rivoluzionari. La loro forma di organizzazione, fondata sulle esigenze della classe e non e non sui vari interessi particolari determinati dalla divisione capitalistica del lavoro, fu tutto ciò che di radicale vi era in essi. Ma qualunque fossero le loro carenze, va detto che non vi era nient’altro su cui fondare le speranze di una rivoluzione. Sebbene si volgessero frequentemente contro la sinistra, tuttavia c’era da attendersi che le necessità oggettive di tale movimento l’avrebbero portato inevitabilmente a confliggere con i poteri tradizionali. Questa forma di organizzazione doveva essere mantenuta nel suo carattere originario e costruita in preparazione delle lotte che si prospettavano. Considerando la situazione nella prospettiva di una continuazione della rivoluzione tedesca, l’ ‘ultrasinistra’ era impegnata in una lotta all’ultimo sangue contro i sindacati e contro i partiti parlamentari esistenti; in breve contro tutte le forme di opportunismo e di compromesso.

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Considerando la situazione nella prospettiva di una probabile coesistenza a fianco delle vecchie potenze capitaliste, i bolscevichi russi non potevano pensare a una politica scevra da compromessi. Gli argomenti di Lenin a difesa delle posizioni bolsceviche in rapporto ai sindacati, al parlamentarismo e in generale all’opportunismo elevavano le esigenze del bolscevismo a falsi principi rivoluzionari. Tuttavia ciò non dimostrerebbe il carattere illogico delle argomentazioni dei bolscevichi, poiché per quanto tali argomenti siano illogici da un punto di vista rivoluzionario, questi scaturivano logicamente dal ruolo peculiare svolto dai bolscevichi all’interno dell’emancipazione capitalistica della Russia, e dalla politica internazionale bolscevica che sosteneva gli interessi nazionali della Russia. Una parte del movimento dell’ ‘ultrasinistra’ andò un passo al di là dell’antibolscevismo del Partito comunista operaio (KAPD) e dei suoi aderenti all’interno della Unione generale del lavoro (AAU). Essa riteneva che la storia dei partiti socialdemocratici e le pratiche dei partiti bolscevichi provavano a sufficienza quanto fosse futile tentare di sostituire dei partiti reazionari, ciò per il motivo che il partito stesso come forma di organizzazione era divenuta inutile persino pericolosa. Il movimento si spaccò: una parte abbandonò del tutto la forma partito, l’altra restò come ‘organizzazione economica’ del Partito comunista dei lavoratori. La prima si avvicinò ai sindacati ed ai movimenti anarchici, senza tuttavia abbandonare la sua Weltanschauung marxiana. L’altra si considerò l’erede di tutto quanto vi era stato di rivoluzionario nel movimento marxista del passato. Tentò di realizzare una Quarta Internazionale (KAI), ma riuscì solo a creare una cooperazione più stretta con gruppi analoghi in pochi paesi europei. La storia passò a lato di entrambi i gruppi; essi discutevano nel vuoto. Né il Partito comunista operaio, né la frazione antipartitica della Unione generale del lavoro superò la loro condizione di essere sette dell’ ‘ultrasinistra’. I loro problemi interni divennero del tutto artificiosi poiché, per quanto concerne l’attività pratica non esistevano differenze effettive tra loro. Queste organizzazioni – residui del tentativo proletario di giocare un ruolo nelle sommosse del 1918 – tentarono di indirizzare le loro esperienze nell’ambito di uno sviluppo che si stava muovendo costantemente nella direzione opposta a quella in cui queste esperienze avevano avuto origine. Solo il Partito comunista, grazie al controllo russo, poteva realmente crescere nell’ambito di una situazione che andava verso il fascismo. Ma rappresentando il fascismo russo, non quello tedesco, doveva anch’esso soccombere al movimento nazista emergente il quale, riconoscendo ed accettando le tendenze capitaliste prevalenti, ereditò infine il vecchio movimento operaio tedesco nella sua totalità. Dopo il 1923 il movimento dell’ ‘ultrasinistra’ tedesca cessa di costituire un serio fattore politico nel movimento operaio della Germania. Il suo ultimo tentativo di forzare la linea di tendenza dello sviluppo nella sua direzione venne dissipato nell’effimera azione del marzo del 1921, intrapresa sotto la guida popolare di Max Hoelz. I suoi militanti, costretti a darsi alla clandestinità, introdussero nel movimento pratiche cospiratorie ed espropriatorie, accelerandone così la

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dissoluzione. Sebbene organizzativamente i gruppi dell’‘ultrasinistra’ continuassero ad esistere fino all’inizio della dittatura di Hitler, la loro attività si restrinsero a quelle di gruppi di discussione che tentavano di capire i propri fallimenti e quello della rivoluzione in Germania.

Il declino del movimento dell’ ‘ultrasinistra’, i cambiamenti in Russia e nella composizione dei partiti bolscevichi, la nascita del fascismo in Italia e in Germania avevano ripristinato i vecchi rapporti tra economia e politica, che erano stati turbati durante e posteriormente la prima guerra mondiale. In tutto il mondo il capitalismo si era stabilizzato in misura sufficiente a determinare la linea di tendenza principale. Fascismo e bolscevismo, prodotti delle condizioni della crisi, erano – come la crisi stessa – anche gli strumenti per una rinnovata prosperità, per una nuova espansione del capitale e una ripresa delle lotte concorrenziali dell’imperialismo. Ma proprio come ogni grande crisi appare a coloro che più soffrono come la crisi ‘finale’, così i concomitanti cambiamenti politici apparivano come sintomi del crollo del capitalismo. Ma il divario . tra apparenza e realtà presto o tardi trasforma un eccessivo ottimismo riguardo le possibilità rivoluzionarie in eccessivo pessimismo. Allora a un rivoluzionario rimangono aperte due strade: può capitolare di fronte ai processi politici dominanti, oppure può ritirarsi in una vita contemplativa e attendere un cambiamento di prospettiva. Fino al collasso definitivo del movimento operaio in Germania, la ritirata dell’ ‘ultrasinistra’ apparve come un ritorno all’attività teorica. Le organizzazioni esistevano nella forma di pubblicazioni settimanali e mensili, opuscoli e libri. Le pubblicazioni garantivano l’esistenza delle organizzazioni, le organizzazioni quella delle pubblicazioni. Mentre le organizzazioni di massa erano la servizio di ristrette minoranze capitalistiche, le masse dei lavoratori erano rappresentate da individui. La contraddizione tra le teorie dell’ ‘ultrasinistra’ e le condizioni dominanti diveniva insostenibile. Più ognuno pensava in termini collettivi e più si trovava nell’isolamento. Il capitalismo, nella forma del fascismo, appariva come il solo collettivismo reale, e l’antifascismo un ritorno al precedente individualismo borghese. La mediocrità dell’uomo capitalista, e quindi del rivoluzionario nelle condizioni del capitalismo, diveniva dolorosamente evidente nelle piccole organizzazioni stagnanti. Sempre più persone, partendo dalla premessa che le ‘condizioni oggettive’ erano mature per la rivoluzione, spiegavano la sua assenza con ‘fattori soggettivi’ quali la carenza di coscienza di classe e la mancanza di comprensione e di carattere da parte degli operai. Queste carenze stesse necessitavano a loro volta di essere spiegate mediante ‘condizioni oggettive’, perché tale inadeguatezza del proletariato era senza dubbio un prodotto della sua particolare posizione all’interno delle relazioni sociali del capitalismo. La necessità di limitare l’attività ad un intervento didascalico divenne virtù: sviluppare la coscienza di classe degli operai venne considerato come il più essenziale dei compiti rivoluzionari. Ma il vecchio motto socialdemocratico che ‘sapere è potere’ non era più persuasivo in quanto non vi è un rapporto diretto tra la conoscenza e la sua

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applicazione. Il trionfo del fascismo in Germania mise fine al lungo periodo di scoraggiamento, disinganno e disperazione rivoluzionarie. Tutto divenne una volta ancora estremamente chiaro; il futuro immediato venne delineato in tutta la sua brutalità. Il movimento operaio comprovò per l’ultima volta che la critica che gli veniva ad esso dai rivoluzionari era più che giustificata. La lotta dell’ ‘ultrasinistra’ contro il movimento operaio ufficiale si dimostrò essere stata la sola lotta coerente contro il capitalismo fin allora intrapresa

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Lista delle principali sigle utilizzate

AAU: Unione generale operaia Organizzazione operaia rivoluzionaria antisindacale, fondata nel primo dopoguerra in Germania su questi due criteri: - gli operai si uniscono su base di impresa (e non su quella di mestiere come nei sindacati classici, sia riformisti che rivoluzionari) - le organizzazioni di impresa si raggruppano per regione industriale (e non per categorie) Di fatto le AAU si propongono come embrioni dei consigli operai rivoluzionari AAUD: Unione generale operaia di Germania Fondata nel febbraio del 1929. Il suo programma e le sue linee d’orientamento sono definite nella conferenza di Leipzig (dicembre 1920), dopo la scissione della corrente AAU-E sul problema del rapporto con la Russia e la III Internazionale. Di fatto l’AAUD diviene l’organizzazione economica della KAPD, alla fondazione raccoglie circa 100.000 membri. AAU-E: Unione generale operaia – organizzazione unitaria Corrente più radicalmente “unionista industriale”, cioè contraria alla separazione, in qualsiasi forma, fra organizzazione economica ed organizzazione politica della classe. Ha come modello gli IWW americani. Raccoglie, alla fondazione, circa 100.000 aderenti.

FAUD: Unione libera dei lavoratori di Germania Organizzazione anarcosindacalista che con la crisi dei consigli si riorganizza in quanto tale alla fine del 1918. Questa corrente esisteva già prima della guerra con il nome di FVDG (Unione libera dei sindacati tedeschi), nome che modifica in FAUD nel dicembre del 1919. partecipa a tutte le lotte più radicali del periodo. Nel 1922 partecipa alla costituzione dell’AIT (Associazione Internazionale dei Lavoratori) a Berlino, assieme alle altre organizzazioni anrcosindacaliste (CNT spagnola, USI italiana, FORA argentina, ecc.) ISD: Socialisti Internazionali di Germania Nome di alcuni gruppi radicali di sinistra dell’SPD, costituitisi durante la guerra, in contatto con la Lega di Spartaco ma su posizioni più radicali. I loro principali nuclei erano a Brema, Brunswick e Berlino ed erano in stretta relazione con un gruppo di Amburgo. Già durante la guerra iniziano a sviluppare, anche se confusamente, l’idea dell’organizzazione unitaria. IKD: Comunisti internazionali di Germania Nuovo nome dell’ISD dopo il novembre 1918

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IWW: Lavoratori industriali del mondo Organizzazione operaia rivoluzionaria americana, costituita nel 1905, in contrapposizione al sindacalismo di mestiere dell’AFL col fine di organizzare tutti i lavoratori su base di industria indipendentemente da divisioni di razza, sesso, nazionalità, ecc. Nonostante alcuni aspetti dell’esperienza IWW siano connessi alla tradizione anarcosindacalista e sindacalista rivoluzionaria europea (azione diretta, antiparlamentarismo, federalismo), gli IWW il sviluppano in maniera originale e li adeguano alla lotta contro una struttura capitalista assai più matura. KAPD: Partito Operaio Comunista di Germania Partito che riunisce la sinistra del KPD(s) espulsa nell’ottobre del 1919 dalla direzione del partito, ad eccezione del gruppo di Amburgo che evolve su posizioni “nazional bolsceviche” (Laufenberg e Wolffheim) e di quello di Brema (Becker e Frohlich) rientrato nel KPD dove formano una corrente di sinistra. La scissione si sviluppò sulla questione sindacale e parlamentare ma la direzione preferì condurre la battaglia interna sull’accusa di anarcosindacalismo di sinistra. Il KAPD è diviso in tre tendenze, quella nazional-bolscevica che se ne stacca immediatamente, quella maggioritaria favorevole a un dualismo organizzativo (KAPD e AAU) e quella favorevole a uno scioglimento del KAPD nelle AAU (tendenza AAU-E) KPD(s): Partito comunista tedesco – lega spartaco Fondato alla fine del 1918 si iniziativa dell’IKD e con la partecipazione della Lega di Spartaco, la maggior parte dei suoi membri viene da iniziative e raggruppamenti di base esterni all’esperienza delle minoranze di sinistra dell’SPD. Sin dall’inizio vede una divergenza fra i radicali di sinistra e la direzione luxemburghiana più legata alla tradizione del movimento operaio tedesco e timorosa degli effetti della rottura radicale con l’USPD. Nel marzo del 1919 conta circa 90.000 aderenti. Nazional bolscevici Raggruppamento di Amburgo che partecipa alla costituzione del KPD(s) e poi del KAPD, per un breve periodo. Viene sviluppando l’idea che il primo nemico del proletariato tedesco sia l’Intesa contro la quale sia opportuna un’alleanza con la stessa borghesia tedesca. Sulla questione sindacale e parlamentare mantiene posizioni simili a quelle del KAPD. I suoi esponenti o abbandoneranno la politica (Laufenberg) o evolveranno su posizioni di sinistra nazionalsocialista come Wolffheim che morrà in un campo di concentramento nazista. Lega di Spartaco Raggruppamento della sinistra dell’SPD prende questo nome nel 1916 dopo essersi chiamato nel 1915 “Die Internationale” dal nome del giornale che edita clandestinamente. Raccolgie gli

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esponenti più prestigiosi della sinistra dell’SPD (Rosa Luxemburg, Liebknecht, Mehring, Pieck, Levi, Meyer). Aderisce poi all’USPD da cui si staccherà nel novembre del 1918, per partecipare alla formazione del KPD(s) SPD: Partito Social democratico tedesco

SDAP: Partito operaio socialdemocratico olandese Partito riformista sulle posizioni dell’SPD SDP: Partito socialdemocratico olandese Scissosi nel 1909 dall’SDAP, su posizioni marxiste radicali, i suoi esponenti detti anche tribunisti dal loro organo “Die tribune” svolgeranno un importante ruolo teorico a livello internazionale. I più noti sono Pannekoek, Gorter ed Henriette Roland Holst. Nel 1918 si trasformerà in Partito Comunista dei Paesi Bassi (KPN) USPD: Partito social democratico indipendente di Germania Fondato nell’aprile 1917, raggruppa degli importanti settori dell’SPD, che erano già usciti in maniera autonoma dal partito. L’USPD contesta la politica di guerra della direzione dell’SPD ma conserva le posizioni socialdemocratiche classiche. Può essere definito un partito centrista con una sinistra che sviluppa un lavoro di agitazione (Lega di spartaco) e una destra parlamentarista.

VKPD: Partito comunista unificato di Germania Partito sorto alla fine del 1920 dall’unificazione del KPD(s), dopo l’espulsione del KAPD, con la sinistra (tendenza proletaria) dell’USPD. KAI: Internazionale Comunista Operaia Organizzazione internazionale costituita nel 1922. Di fatto la costituzione della KAI comporta la scissione del KAPD fra una maggioranza (tendenza Berlino) favorevole a centrare gli sforzi dell’organizzazione sulle lotte salariali e una minoranza (tendenza di Essen) che raccoglie la maggior parte degli intellettuali del KAPD che darà vita alla KAI. Di fatto raccolse il Partito Comunista Operaio bulgaro, quello olandese e qualche piccolo gruppo e si dissolse velocemente. KAUD: Unione comunista operaia tedesca Fondata nel 1931 da una fusione fra AAU-E e AAUD separatasi dal KAPD. Entrambi sono ormai dei piccoli gruppi (qualche centinaio di membri) che conducono un’attività illegale di propaganda dei principi comunisti dei consigli. La scissione fra KAUD e AAUD deriva dalla diversa valutazione che si dà delle lotte economiche in questa fase. Di fatto la KAUD è abbastanza simile, dal punto di

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vista dei principi, all’AAU-E, anche se non crede alla possibilità di diventare un’organizzazione di massa, mettendo al centro maggiormente la categoria di autonomia proletaria.

Sinistra risoluta Gruppo uscito nel 1927 dal KPD e confluito nel KAPD (tendenza di Berlino) dopo aver denunciato le collusioni fra l’esercito tedesco e l’Unione Sovietica. Il suo esponente più noto è Karl Korsch GIC: Gruppi comunisti internazionali La GIKH fu un raggruppamento nato alla metà degli anni 20 in Olanda (interruppe la sua attività nel 1938), La GIKH non era un partito, ma un rete di gruppi comunisti che si ponevano su un piano di analisi/inchiesta sul piano internazionale, non disdegnando tuttavia l’intervento attivo dentro le lotte quando questo era possibile. Assieme ai gruppi comunisti dei consigli negli Usa, rappresenterà il centro di sviluppo delle teoria comunista dei consigli. Opposizione Operaia L’Opposizione operaia era una fazione del Partito comunista russo che emerse nel 1920 come risposta alla percepita eccessiva burocratizzazione che stava avvenendo nella Russia sovietica. Tra i suoi principali animatori, Alessandro Shlyapnikov, presidente del Sindacato dei Metalmeccanici russi e la femminista Alexandra Kollontaj. Divenne forza irrilevante e si sciolse nel periodo della NEP in Russia.

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“…KAPD si costituisce avendo come fine immediato la Rivoluzione. In altri tempi, in un periodo di declino della Rivoluzione, non si sarebbe assolutamente potuto pensare di fondare una tale organizzazione; ma essa sopravvisse agli anni rivoluzionari…” Anton Pannekoek, 1927

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