Atti abreu 2014

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l volume accoglie le relazioni presentate durante la giornata di studio, tenutasi a Foggia il 23 maggio 2014 presso l’Auditorium del Conservatorio “Umberto Giordano”. L’iniziativa, promossa dal Dipartimento di Didattica della musica del Conservatorio dauno, e dedicata al maestro Claudio Abbado, ha riscosso unanimità di consensi e partecipazione. “El Sistema”, fondato da José Antonio Abreu in Venezuela nel 1975, oggi è una realtà consolidata, un modello didattico a cui hanno aderito diversi paesi nel mondo. Anche in Italia, questo fenomeno si va sempre più consolidando ed espandendo grazie ai numerosi nuclei nati negli ultimi anni. La giornata di studio ha riflettuto su questi punti attraverso le relazioni di Mirian Gutierrez Sarpe, Antonio Caroccia, Andrea Gargiulo, Paolo Sullo, Luigia Berti, Cristiano Barbarossa, Salvatore Colazzo, Augusta Dall’Arche, Elena Ferrara e una tavola rotonda, coordinata da Francesco Di Lernia, dal titolo “El Sistema” Abreu in Italia.

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A

ugusta Dall’Arche è ordinario di Pedagogia musicale per Didattica della Musica presso il Conservatorio “Umberto Giordano” di Foggia. Ha collaborato per vari anni con l’IRRSAE Puglia e con l’Università di Bari. Ha progettato e diretto il corso di alta formazione Tecniche di animazione musicale (POR Puglia 2000–2006). È autrice del metodo per pianoforte La suòna–téla (2010) e di contributi riguardanti la didattica musicale: Le sonorizzazioni (1990); Musica, teatro, educazione (2003); Canti, strumenti, ombre cinesi e Parole, immagini e suoni…, in «Musica domani»; Gioco quindi sono, in «Scuola e didattica»; La musica tra accademia e mondo della scuola: percorsi integrati tra progetti e operatività (2003) e co–curatrice del volume Genesi di un musicista: la formazione musicale e le sue storie (2012).

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In copertina Claudio Abbado in visita all'orchestra del Nucleo di Montalban a Caracas (dicembre 2004) — immagine tratta da: Cristiano Barbarossa, A Slum Symphony.

a cura di A. Caroccia, A. Dall’Arche

ntonio Caroccia è professore di Storia della musica per Didattica della Musica presso il Conservatorio “Umberto Giordano” di Foggia e Metodologia dell’Educazione musicale presso l’Università degli Studi di Perugia. È autore della Corrispondenza salvata (2004), I corrispondenti abruzzesi di Florimo (2007) e Lettere di Lauro Rossi a Florimo (2008). È co–curatore di Giuseppe Martucci e la caduta delle Alpi (2008), Mozart Day. Itinerari storici, sociologici ed artistici (2008) e Genesi di un musicista: la formazione musicale e le sue storie (2012). È stato Presidente del collegio dei sindaci della Società Italiana di Musicologia dal 2006 al 2012.

Quando la musica cambia la vita

Quando la musica cambia la vita

ISBN 978-88-548-xxxx-x

ARACNE

euro xx,00

QUANDO LA MUSICA CAMBIA LA VITA: CONOSCERE E INTERAGIRE CON “EL SISTEMA” ABREU ATTI DEL CONVEGNO DI STUDI FOGGIA, 23 MAGGIO 2014

a cura di

Antonio Caroccia Augusta Dall’Arche


A



Sotto l’alto Patronato del Presidente della Repubblica

Quando la musica cambia la vita: conoscere e interagire con “El Sistema” Abreu Atti del convegno di studi Foggia,  maggio  Alla memoria di Claudio Abbado a cura di

Antonio Caroccia e Augusta Dall’Arche Contributi di Cristiano Barbarossa Luigia Berti Antonio Caroccia Salvatore Colazzo Augusta Dall’Arche Elena Ferrara Andrea Gargiulo Mirian Gutierrez Sarpe Paolo Sullo


Copyright © MMXIV ARACNE editrice S.r.l. www.aracneeditrice.it info@aracneeditrice.it via Raffaele Garofalo, /A–B  Roma () 

 ----

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. I edizione: ottobre 


Indice

Presentazione Isaias Rodriguez Diaz

Presentazione Alessandro Romanelli

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Presentazione Francesco Di Lernia

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Introduzione Antonio Caroccia e Augusta Dall’Arche

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“El Sistema Abreu”: un modello didattico musicale Mirian Gutierrez Sarpe

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Il Sistema Abreu: per un approccio cooperativo alla didattica della musica Antonio Caroccia

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“El Sistema” Abreu in Puglia: la didattica reticolare MusicaInGioco come proposta operativa Andrea Gargiulo



Il Sistema Abreu a Napoli: nascita e sviluppo di Sanitansamble Paolo Sullo



La Piccola Orchestra delle Musiche del Mondo: i Suoni, i Segni, i Sogni Luigia Berti 


Indice



A Slum Symphony — Allegro Crescendo: la musica come opportunità di crescita e di cittadinanza Cristiano Barbarossa



Le arti performative per promuovere la comunità Salvatore Colazzo



Quando la vita cambia la musica Augusta Dall’Arche



Il Disegno di legge “Abbado” per fare musica tutti Elena Ferrara

Tavola Rotonda 

“El Sistema” Abreu in Italia Tavola rotonda coordinata da Francesco Di Lernia

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Indice dei nomi

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Tracklist del DVD allegato


Quando la musica cambia la vita ISBN 978-88-548-7597-5 DOI 10.4399/97888548759751 pag. 7–7 (ottobre 2014)

Presentazione

Incrollabile scommettitore sul talento giovanile, Claudio Abbado è stato uno dei direttori di orchestra più straordinari di tutti i tempi. Le sue interpretazioni si sono avvicinate al misticismo. La versatilità del suo dialogo con l’orchestra ha conferito quella magia con cui la bacchetta sembrava fluttuare in aria. Alla sua memoria dedichiamo questa giornata di studi, allo scopo di far conoscere e di interagire con “El Sistema” Abreu. Ma che cosa è “El Sistema”? Si tratta di una rete seminata in Venezuela per cantare con metallo e vento, con corde e legno, con cuoio e cembali, con percussione e voce, la musica di tutti i tempi e di tutti i popoli. Da quella pelle di uccelli, da quelle sirene dimenticate in ciotole di mare ed in bambù; da quegli strumenti, strappati alle nostre radici africane, ed aborigeni; da ogni pezzo di anima sudamericana, sorge “El Sistema” e vengono fuori i cori che danno al mondo la buona novella. Ma “El Sistema” è anche altro: è un’opera sociale, una manifestazione culturale sincretica ed un programma. Per il Maestro Abreu «. . . è una sistematizzazione di conoscenze e pratiche collettive ed individuali della musica che, tramite cori ed orchestre sinfoniche, fungono da strumento all’organizzazione sociale e allo sviluppo umanistico. . . ». In maniera più semplice e meno accademica, oserei affermare che “El Sistema” è la musica diventata amore per salvare l’umanità dall’odio con cui alcuni hanno cercato la distruzione dei popoli. Per coloro che lavorano con “El Sistema”, non è altro che un modello pedagogico, artistico e sociale che cerca, nei bambini e nei giovani, il riscatto dell’etica e della responsabilità collettiva, partendo dalle emozioni e dalla sensibilità. Sia quel che sia, “El Sistema” ha causato un impatto storico nel pianeta ed è una rara ed unica offerta per umanizzare le fasce di età più vulnerabili dei nostri paesi e dei nostri continenti. Da oltre le montagne arriva il vento del nord. Gli italiani lo chiamano tramontana. Soffia nel Mediterraneo e si rifugia nel golfo di Genova. E se scoprissimo che Cristoforo Colombo lo aveva nascosto in una delle tre caravelle, per far suonare un flauto indigeno accompagnato dalla conga e dalla tumbadora, dai ritmi e dalla vita delle nostre donne? E se da lì provenisse “El Sistema” e ora, con la nobiltà dei cavalieri di altri tempi lo restituissimo all’Italia avvolto in cori ed orchestre sinfoniche? E se invocassimo una nuova rinascita della musica, non soltanto per rallegrare e intrattenere, ma per salvare l’umanità dall’odio e dalla guerra? Claudio Abbado ci ha guidato perché ha saputo, da prima e per sempre, che la musica cambia la vita e, nella loro liturgia, gli Dei fungono da strumento all’organizzazione sociale e allo sviluppo umanistico.

Isaias Rodriguez Diaz Ambasciatore della Repubblica Bolivariana del Venezuela in Italia



Quando la musica cambia la vita ISBN 978-88-548-7597-5 DOI 10.4399/97888548759752 pag. 9–9 (ottobre 2014)

Presentazione

Il  giugno Claudio Abbado avrebbe compiuto  anni. Ed invece un lunedì dello scorso gennaio, il , cinque mesi dopo il suo ultimo concerto, se n’è andato. E quel giorno, tutti ci siamo sentiti smarriti ed abitati dalla sensazione che la ‘Musica’ non sarebbe stata più la stessa. Forse, è per questa ragione, che il nostro amato Direttore, il maestro Francesco Di Lernia, ha dato lustro nel maggio scorso alla giornata di studi, intitolata a José Antonio Abreu, dopo aver ricordato nello scorso marzo con un bel concerto la scomparsa di Claudio Abbado, invitando, insieme ad Antonio Caroccia, significativi studiosi e valenti testimoni del suo “Sistema”, per organizzare la bellissima e costruttiva giornata che abbiamo vissuto insieme. Claudio Abbado, infatti, alcuni anni fa, fu l’artefice straordinario di questo importante traguardo, anche in Italia. A Fiesole si svolse un importante convegno su questo tema, che ebbe larga eco informativa su tutti gli organi di stampa nazionali. Lo leggiamo ancora dolcemente, in queste poche righe scritte dallo stesso Claudio (come amava semplicemente farsi chiamare da tutti), prive di ogni retorica, ma ricche di ciò che è oggi insieme un lascito ed una lezione: Penso che l’insegnamento e la pratica della musica siano di fondamentale importanza per la crescita culturale ed umana dei ragazzi. Ritengo che sia necessario aumentare e migliorare la presenza di una adeguata educazione musicale nei programmi scolastici. In Italia, c’è una grande tradizione musicale, che deve essere portata fra le mura scolastiche, come lo è la letteratura o la storia dell’arte, esattamente come avviene in Germania o in Austria. Per non parlare del Venezuela, dove trascorro ogni anno alcuni mesi. Qui si è talmente radicata l’idea che la musica sia un efficace strumento, non solo educativo, ma addirittura di riscatto della povertà, che più di centocinquantamila ragazzi fanno musica, inseriti nelle centinaia di realtà musicali che compongono il famoso sistema, organizzato da José Antonio Abreu; l’Italia, con la sua importantissima tradizione musicale, non deve essere da meno. Gli strumenti ci sono già. Basta farli entrare nelle scuole. Ad esempio, cantare in coro è un modo assai efficace per introdurre i giovani alla musica. Il coro è sempre gratificante e coinvolgente, perché si basa su un’attitudine naturale come il canto. Per questi motivi, ho pensato che un concerto con un grande numero di bambini e ragazzi che cantano tutti insieme fosse un’opportunità per fare qualcosa di concreto in questo senso, ed allo stesso tempo, un modo per dimostrare che il fare musica ad alti livelli nella scuola italiana sia effettivamente possibile. Mi piace pensare questa serata così particolare, come una vera festa in musica per tutti i ragazzi!

Alessandro Romanelli Presidente del Conservatorio di musica ”Umberto Giordano”



Quando la musica cambia la vita ISBN 978-88-548-7597-5 DOI 10.4399/97888548759753 pag. 11–11 (ottobre 2014)

Presentazione

Organizzare la giornata di studi su “El Sistema” di José Antonio Abreu, i cui presenti atti sono la testimonianza cartacea e audiovisiva, non è stato per niente facile. Si trattava di far comprendere ai relatori, ma soprattutto agli operatori del settore, che il Conservatorio “Umberto Giordano” era interessato non tanto a un aspetto meramente speculativo quanto all’approfondimento di un fenomeno ormai globale, nato, come si sa, da un’idea rivoluzionaria nella sua semplicità. Lo scetticismo iniziale generato da questo sia pur lecito sospetto, aggiunto alle giuste perplessità legate alla preoccupazione di non riuscire a far veicolare il giusto messaggio se non in maniera molto riduttiva, si è disintegrato immediatamente qualche minuto dopo le nove del ventitré maggio, alle prime note intonate dal Coro delle Scarpe Sciolte proveniente dall’Art Village di San Severo, una delle numerose realtà italiane che aderiscono al Sistema. A seguito di questo emozionante momento si sono avvicendate numerose e approfondite relazioni, testimonianze, filmati e una vivace tavola rotonda: materiali che sono diventati l’oggetto della presente pubblicazione, realizzata con lo scopo di suggellare questo interessante momento di crescita collettiva, a voler quasi interpretare, ovviamente su un altro piano, il messaggio stesso di Abreu. “Quando la musica cambia la vita” è un titolo altisonante e utopistico, esattamente come lo era inizialmente l’idea dell’economista e musicista venezuelano. I grandi progetti, si sa, non possono realizzarsi senza l’aiuto e il sostegno della politica e Abreu lo trovò nelle istituzioni del suo paese. Da noi aveva tentato più volte di spiegarne l’essenza il grande Claudio Abbado, che da tale fenomeno era rimasto letteralmente folgorato. È a lui, quindi, che abbiamo voluto dedicare questa giornata di studi, a pochi mesi dalla sua scomparsa. Ringrazio i professori Antonio Caroccia e Augusta Dall’Arche, che con il loro impegno e la loro passione hanno reso possibile questo convegno di alto valore artistico, insignito e impreziosito della medaglia del Presidente della Repubblica.

Francesco Di Lernia Direttore del Conservatorio di musica “Umberto Giordano”





Quando la musica cambia la vita ISBN 978-88-548-7597-5 DOI 10.4399/97888548759754 pag. 13–14 (ottobre 2014)

Introduzione

Quando la musica cambia la vita: conoscere e interagire con “El Sistema” Abreu accoglie le relazioni presentate durante la giornata di studio, tenutasi a Foggia il  maggio  presso l’Auditorium del Conservatorio “Umberto Giordano”. L’iniziativa, promossa dal Dipartimento di Didattica della musica del Conservatorio dauno, ha riscosso unanimità di consensi e partecipazione di tutto il corpo docente e di quello amministrativo, che hanno in tal modo colto il senso e l’importanza dell’intera manifestazione. “El Sistema”, fondato da José Antonio Abreu in Venezuela nel , oggi è una realtà consolidata, un modello didattico a cui hanno aderito diversi paesi nel mondo. Anche in Italia, questo fenomeno si va sempre più consolidando ed espandendo grazie ai numerosi nuclei nati negli ultimi anni. A questa nuova forma di educazione musicale collettiva, che tra le sue finalità mira al recupero sociale, il Dipartimento di Didattica del Conservatorio “Umberto Giordano” ha dedicato la giornata di studio e di approfondimento in memoria del maestro Claudio Abbado, il quale aveva sostenuto con convinzione ed entusiasmo il progetto venezuelano contribuendo, con la sua preziosa presenza, alla realizzazione concreta degli scopi musicali e sociali ad esso correlati. La prima parte della presente pubblicazione contiene i testi delle relazioni; ne proponiamo di seguito una breve sintesi. Mirian Gutierrez Sarpe (“El Sistema” Abreu: un modello didattico musicale) ripercorre per grandi linee la genesi del Sistema, sottolineandone la valenza sociale e gli assunti pedagogici di base. Antonio Caroccia (Il Sistema Abreu: per un approccio cooperativo alla didattica della musica) evidenzia le convergenze tra la metodologia del Sistema e il pensiero pedagogico che si ispira ai metodi cooperativi. Andrea Gargiulo (“El Sistema” Abreu in Puglia: la didattica reticolare MusicaInGioco come proposta operativa), oltre a fornire una panoramica della diffusione del Sistema in Puglia, illustra i principi metodologici della didattica reticolare. Paolo Sullo (Il Sistema Abreu a Napoli: il modello Sanitansamble) racconta dell’irruzione e della prorompente forza della “bellezza” in un contesto sociale difficile. Luigia Berti (La Piccola Orchestra della Musiche del Mondo: i Suoni, i Segni, i Sogni) sottolinea, attraverso il resoconto “a più voci” di una sua esperienza didattica, l’importanza 




Introduzione

del far musica insieme. Cristiano Barbarossa (“A Slum Symphomy — Allegro Crescendo: la musica come opportunità di crescita e di cittadinanza) ripercorre i momenti più significativi del suo rapporto col Sistema, vissuti documentando le vite e le emozioni dei reali protagonisti. Salvatore Colazzo (Le arti performative per promuovere la comunità) allarga il focus della riflessione pedagogica suggerendo anche alcuni indicatori che potrebbero definire la figura dell’operatore didattico. Augusta Dall’Arche (Quando la vita cambia la musica) afferma l’importanza di un approccio pedagogico e artistico che accolga le destabilizzanti istanze della vita di tutti i protagonisti come stimoli al rinnovamento dei linguaggi. Elena Ferrara (Il Disegno di legge “Abbado” per fare musica tutti) ripercorre le tappe fondamentali del faticoso cammino di promozione della musica nella scuola e nella società italiana, illustrando infine i contenuti del Disegno di legge citato nel titolo. Segue poi il testo degli interventi relativi alla tavola rotonda coordinata e moderata dal Maestro Francesco Di Lernia dal titolo “El Sistema” Abreu in Italia, alla quale hanno partecipato Paolo Acunzo (Sanitansamble di Napoli), Giorgio Cerasoli (Sistema delle Orchestre e dei Cori giovanili e infantili del Friuli Venezia Giulia), Dario Cusani (Fondazione onlus “Gabriele e Lidia Cusani” di Roma), Tonino D’Angelo (Art Village di San Severo), Bernardo Donati (Scuola di musica di Fiesole), Andrea Gargiulo (MusicaInGioco), Giovanni Pompeo (Laboratorio Arte, Musica e Spettacolo di Matera) e durante la quale sono intervenuti alcuni partecipanti al convegno. Un ringraziamento doveroso va ai colleghi del Dipartimento di Didattica del Conservatorio, al Consiglio Accademico, di Amministrazione e al personale docente e non docente dell’Istituto dauno, al Presidente Alessandro Romanelli e al Direttore Francesco Di Lernia, che hanno accolto e avallato con entusiasmo l’organizzazione di questo importante evento foggiano.

Antonio Caroccia e Augusta Dall’Arche


Quando la musica cambia la vita ISBN 978-88-548-7597-5 DOI 10.4399/97888548759755 pag. 15–18 (ottobre 2014)

“El Sistema Abreu”: un modello didattico musicale M G S

Il Maestro e musicista venezuelano José Antonio Abreu ha fondato il Sistema Nazionale delle Orchestre e Cori Giovanili ed Infantili del Venezuela (conosciuto internazionalmente anche come “El Sistema”) il  febbraio , con l’illuminato e nobile impegno di sistematizzare l’istruzione e la pratica individuale e collettiva della musica attraverso l’istituzione di orchestre sinfoniche e cori come strumenti di organizzazione sociale e sviluppo umanistico. Agli inizi del  otto giovani musicisti si riunirono intorno alla figura del Maestro José Antonio Abreu, nel vecchio Conservatorio Nazionale di Musica “José Ángel Lamas”. Oltre al desiderio di fare musica, li accomunava la necessità di affrontare il problema di una riforma integrale dell’educazione musicale venezuelana, adattando la metodologia e i metodi di insegnamento esistenti in altre nazioni alla realtà sociale del paese. Il programma scaturito dal lavoro di riflessione pedagogica verte sui seguenti obiettivi: — fare della musica una pratica giornaliera e stimolante a tutti i livelli prescolari, infantili e giovanili, generando una complessa rete di ensemble e gruppi musicali; — enfatizzare lo sviluppo del progetto in tutte le regioni venezuelane, promuovendo e consolidando l’identità culturale di ogni regione; — formare umanisticamente e integralmente la personalità dei giovani e dei bambini, attraverso lo sviluppo delle capacità artistiche, per favorirne l’inserimento in una vita sociale vantaggiosa; — realizzare, studiare e comprendere la musica evitando divisioni nette tra musica classica e folkloristica; — favorire la convinzione che la musica sia un pilastro fondamentale della formazione integrale del cittadino; — istituire in tutto il territorio nazionale orchestre (statali, regionali, giovanili e infantili), conservatori, centri audiovisivi e laboratori di liuteria, per raggiungere mete formative che permettessero l’accesso al grado accademico — in passato “Istituto Universitario di Studi Musicali”, oggi “Università dell’Arte” — offrendo la possibilità ai 




Mirian Gutierrez Sarpe

laureati di completare i propri percorsi con la frequenza di master e dottorati. Oggi i frutti del progetto sono ampiamente visibili nelle migliaia di bambini e giovani venezuelani, dall’enorme potenziale artistico, cui è stata offerta una possibilità di riscatto sociale. Musicisti che ogni giorno offrono al loro paese nuove possibilità di crescita ed esempi tangibili di questi risultati sono i componenti delle Orchestre di livello internazionale come la Simón Bolivar, la Giovanile Teresa Carreño, la Giovanile di Caracas (con i suoi magnifici direttori Gustavo Dudamel, Christian Vasquez e Dietrich Paredes, rispettivamente), la Nazionale Giovanile Infantile (con eccellenti direttori come Diego Matheuz, Rafael Payares), il contrabbassista Edicson Ruiz, il trombettista Francisco “Pacho” Flores e tanti altri bravi e giovani musicisti. Sono loro l’esempio vivente della lotta tenace affinché il “miracolo musicale venezuelano” perduri nella volontà e si estenda verso altri confini dell’attività culturale. Oltre la genialità nella composizione di armonie o il virtuosismo degli esecutori, la musica è un riflesso dell’anima dei popoli; in questo caso prodotto ed ispirazione di un progetto educativo che in trentanove anni ha superato frontiere ed aspettative. Oggi più che mai, la missione dell’arte nell’ambito della crescita delle nuove generazioni trascende l’orizzonte dei valori estetici, per proiettarsi con intensità sull’ampio e vitale dominio che va dalla formazione umanistica integrale della personalità, al pieno inserimento del giovane e del bambino in una vita sociale costruttiva e fertile. L’arte ha smesso di essere, in maniera irreversibile, monopolio delle élite, per consolidarsi fermamente quale diritto sociale dei popoli. Come conseguenza, l’educazione artistica del giovane e del bambino si rivela quindi avanguardia e segno di una rivoluzione senza precedenti, che nessun progetto sociale seriamente concepito per un paese in via di sviluppo dovrebbe negare. La democratizzazione dell’arte musicale si impone giorno per giorno con travolgente impeto, in qualità di strumento prodigioso dello sviluppo comunitario. “El Sistema” racchiude una rete di  orchestre pre–infantili, (tra  e  anni),  orchestre infantili (tra  e  anni),  orchestre giovanili (tra  e  anni),  orchestre professionali,  gruppi corali,  corali associate,  laboratori di liuteria e un corpo di  mila professori lungo tutto il territorio nazionale. L’obiettivo essenziale di questo Sistema, che oggi comprende più di . giovani e bambini, non si riferisce esclusivamente all’ambito artistico, piuttosto si inserisce direttamente e profondamente all’interno del contesto globale di una politica di partecipazione, integrazione, prevenzione, formazione e riscatto giovanile.


“El Sistema Abreu”: un modello didattico musicale



Attraverso la pratica individuale e collettiva della musica, “El Sistema” incorpora bambini e giovani di tutte le condizioni sociali (il % proviene da famiglie con poche risorse economiche o che vivono in condizioni critiche o in zone vulnerabili; l’altro % proviene da zone urbane con migliori possibilità di accesso), divenendo esempio di inclusione di tutti i settori e strati della popolazione venezuelana, senza distinzioni di nessun tipo. “El Sistema” ha creato inoltre il ‘Programma di Educazione Speciale’, che facilita l’inserimento di giovani e bambini con diverse forme di handicap, articolato nei progetti denominati ‘Programma di Orchestre nei Centri Penitenziari’ (che aiuta il reinserimento nella società) e ‘Programma di attenzione Ospedaliera’ (che accoglie bambini e bambine affetti da malattie croniche ricoverati nei diversi ospedali). Nella sua essenza, l’orchestra è in effetti molto più di una compagine artistica; le orchestre giovanili e infantili sono veri e propri modelli di scuola e di vita sociale. Per i giovani e i bambini fare musica insieme significa condividere profondamente le proprie emozioni, in una ricerca comune di “perfezione”, alimentata da una rigorosa disciplina nello studio. È così che la comunità orchestrale raggiunge quel sublime e complesso equilibrio di valori (molteplici, dinamici e sottili) che assicurano la piena comunicazione concettuale, emozionale e sociale del messaggio sonoro. Per loro stessa indole, le attività orchestrali e corali tra giovani e bambini forgiano lo spirito di solidarietà e fratellanza, favorendo un vigoroso sviluppo dell’autostima all’interno dei valori etici ed estetici del fare musica; la mente e la sensibilità si svegliano e di conseguenza si sviluppa il lavoro intellettuale e la capacità di espressione e comunicazione di conoscenze, esperienze e vissuto. Attraverso un innovativo programma chiamato “Musica e Paese”, il Sistema dedica un notevole sforzo diretto a garantire la ricerca, la conservazione, la pratica e la diffusione della musica venezuelana, con lo scopo di rafforzare la coscienza dell’identità nazionale, sociale e storica nelle nuove generazioni. Questo programma prevede l’organizzazione di seminari, tournée di concerti e cicli di recital per la Rete Orchestrale, dedicati ad un pubblico giovanile e infantile con poche risorse economiche, ispirandosi al motto “Per la Musica contro la Droga, la Violenza e i Reati”. La struttura del Sistema è gestita in maniera flessibile, aperta e democratica in modo da favorirne l’adattamento alle esigenze locali di ogni regione, permettendo quindi l’integrazione del maggior numero possibile di bambini e giovani. L’impatto e il significato sociale del progetto orchestrale e corale si evidenzia principalmente in tre ambiti: personale–sociale, familiare e comunitario. Nella sfera personale–sociale concorre allo sviluppo spirituale, morale, intellettuale e affettivo dei bambini e dei giovani coinvolti. Questo obiettivo viene raggiunto attraverso la crescita individuale all’interno di un sano e


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Mirian Gutierrez Sarpe

fecondo ambito di gruppo e attraverso, quindi, l’acquisizione di principi e capacità favorevoli al lavoro collettivo e alla leadership costruttiva: la capacità di aspettare, la disciplina, la costanza, la solidarietà, il compromesso, la responsabilità, il valore dello sforzo personale per raggiungere le mete proposte, così come il valore dell’apporto individuale per il raggiungimento dello scopo collettivo. Tutto ciò conduce a uno sviluppo positivo dell’auto–coscienza, rafforzando autostima, sicurezza e confidenza in se stessi. Nel , l’UNESCO ha nominato il Maestro José Antonio Abreu Ambasciatore di Buona Volontà, un riconoscimento al suo instancabile lavoro dedicato alla musica come strumento di sviluppo umano. Nello stesso anno è stata conferita ai componenti dell’Orchestra Sinfonica Nazionale Giovanile del Venezuela la distinzione di Artisti dell’UNESCO per la Pace; questo riconoscimento viene di solito conferito a personalità internazionali del mondo della letteratura, della musica, della poesia, e delle arti plastiche che offrono il loro contributo nel veicolare i messaggi e i programmi dell’UNESCO. L’impatto mondiale di “El Sistema” ha collocato il Venezuela e i suoi giovani musicisti in prestigiosi scenari artistici, di tutto il mondo. Tra i numerosi riconoscimenti vorrei ricordare il Premio Principe di Asturias delle Arti e il Premio Internazionale di musica UNESCO. “El Sistema” ha ispirato più di  Paesi di Europa, America, Asia, Africa e Oceania, come possibilità reale e sostenibile di educazione, progresso e pace. Questo è avvenuto e avviene in: Argentina, Perù, Cile, Brasile, Uruguay, Colombia, Stati Uniti d’America, Bolivia, Canada, Costa Rica, Ecuador, El Salvador, Guatemala, Haiti, Giamaica, Messico, Cuba, Panama, Porto Rico, Repubblica Dominicana, Francia, Groenlandia, Svezia, Spagna, Portogallo, Italia, Scozia, Inghilterra, Austria, Armenia, Corea del Sud, Giappone, Filippine, India, Taiwan, Vietnam, Uganda, Sudafrica, Ghana, Kenia e Thailandia. L’organo di coordinamento di queste realtà è la Fondazione Musicale Simón Bolívar (Fundación Musical Bolívar), ascritta al Ministero del Potere Popolare dell’Ufficio della Presidenza e Seguimiento della Gestione del Governo della Repubblica Bolivariana del Venezuela. Considero doveroso ringraziare le autorità e la comunità del Conservatorio di Musica “Umberto Giordano” di Foggia, nella persona del suo Presidente, Dottore Alessandro Romanelli, e del Direttore, Maestro Francesco Di Lernia nonché il Dipartimento di Didattica della musica. Mirian Gutierrez Sarpe

. Per informazioni è possibile consultare il sito http://fundamusical.org.ve/ (ultima cons. //).


Coro Manos Blancas.∗

Le foto extra–contributo presenti nel volume sono di Frank Di Polo.



Quando la musica cambia la vita ISBN 978-88-548-7597-5 DOI 10.4399/97888548759756 pag. 21–37 (ottobre 2014)

Il Sistema Abreu: per un approccio cooperativo alla didattica della musica A C

. L’approccio cooperativo Nella lezione “tradizionale” solitamente viene utilizzata una struttura di apprendimento di tipo frontale, dove l’insegnante, detentore della conoscenza, trasmette i contenuti agli studenti, utilizzando quasi esclusivamente un’unica modalità espositiva, senza considerare il ritmo e le modalità di apprendimento, che possono essere diverse per ogni discente. In queste condizioni, i tempi di apprendimento dei singoli studenti e le, eventuali, difficoltà sono ignorate. In genere è l’insegnante a svolgere la maggior parte del lavoro, mentre gli studenti debbono adattarsi rapidamente perché, successivamente, in sede valutativa dovranno dimostrare le conoscenze acquisite. Il metodo di apprendimento adottato in prevalenza nelle scuole è quello competitivo, basato sul confronto tra gli studenti e sull’identificazione del “migliore”. In una struttura di questo tipo, gli studenti, spesso, lavorano uno contro l’altro per emergere e la percezione del successo individuale è legata al fallimento degli altri. Un secondo metodo tradizionale è quello individualistico, che enfatizza il lavoro individuale di ciascuno studente, senza tenere in considerazione gli altri. In tale situazione si verifica un’assenza di interdipendenza ed ognuno persegue il proprio obbiettivo. Le strutture di tipo competitivo ed individualistico registrano tassi di insuccesso scolastico piuttosto consistenti. Un terzo metodo è l’apprendimento cooperativo che si basa sulla centralità dello studente, invogliato ad assumersi la responsabilità dei propri studi e incoraggiato a collaborare in lavori di gruppo. La struttura di apprendimento che si realizza in classe comporta innanzitutto una modificazione dei ruoli insegnante–studente. L’apprendimento cooperativo determina un più elevato livello di ragionamento, un più frequente sviluppo di nuove idee e soluzioni e un maggiore trasferimento di ciò che si è appreso da un contesto all’altro rispetto all’apprendimento competitivo o a quello individualistico. Solo negli ultimi 


Antonio Caroccia



anni si è risvegliato l’interesse verso i metodi cooperativi, come risposta alternativa alle forme di apprendimento cosiddette tradizionali, in cui le relazioni tra i membri sono di tipo “parassitario” senza alcuna condivisione di obbiettivi e relazione di interdipendenza, in cui la pseudo interazione di gruppo non conduce ad alcun processo di crescita individuale, né a livello cognitivo né a livello sociale. Il Sistema Abreu rientra a pieno titolo in questa forma di apprendimento cooperativo, che possiamo annotare come Cooperative Learning, che promuove nel contempo: — un miglioramento delle relazioni interpersonali tra gli studenti, indipendentemente dalle differenze dovute alle capacità e alle caratteristiche di ciascuno; — il rispetto e il riconoscimento di ciascuno quale persona competente; — una maggiore consapevolezza dei punti di vista e delle diverse prospettive; — il pensiero creativo, perché facilita la comunicazione e la condivisione di molte idee; — il successo di tutti gli studenti del gruppo. Diverse sono le varianti e gli approcci al Cooperative Learning. Tra i più conosciuti: ) ) ) ) ) ) )

Learning Togheter; Structural Approach; Group Investigation; Student Team Learning; Complex Instructions; Communities of Learners; Apprendistato cognitivo.

Ciascun metodo si differenzia dagli altri per la valorizzazione di alcuni aspetti specifici: — lo Student Team Learning di R. E. Slavin enfatizza l’importanza della motivazione estrinseca; — i principi fondamentali dello Structural Approach di M. Kagan e S. Kagan sono l’interazione simultanea, l’uguaglianza nella partecipazione, l’interdipendenza positiva e la responsabilità individuale; — la Complex Instruction di Cohen punta sulla modificazione dei pregiudizi negli studenti e nei docenti e sull’attribuzione di ruoli differenti per l’esecuzione di compiti complessi, per prevenire il rischio, insito nella costituzione di piccoli gruppi, di favorire i più capaci.


Il Sistema Abreu: per un approccio cooperativo. . .

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L’insegnante deve scegliere il modello di apprendimento cooperativo più appropriato ai suoi obiettivi, all’argomento, alle risorse disponibili. Le procedure di lavoro devono essere programmate in anticipo e spesso richiedono molto tempo agli insegnanti, in particolar modo a coloro che intendono introdurre per la prima volta il metodo in classe. L’applicazione efficace del Cooperative Learning richiede buone conoscenze nelle varie aree critiche del metodo stesso, una vasta esperienza e un notevole impiego di tempo. Per questi motivi è opportuno, almeno nelle fasi iniziali, che l’insegnante si affidi ad attività cooperative informali, strutture abbastanza consolidate dall’uso e ad una introduzione progressiva e non estesa del metodo. .. L’apprendimento cooperativo: l’approccio strutturale Spencer Kagan è considerato il ‘teorico dell’approccio strutturale all’insegnamento cooperativo’, sia nell’età evolutiva che nella formazione degli adulti. Il primo lavoro di sviluppo della strutture di Kagan nasce circa venticinque anni fa da una ricerca sperimentale sulla motivazione alla socialità e sulla capacità di interazione dei bambini. L’apprendimento cooperativo è il testo in cui sono descritti i principi alla base dell’approccio strutturale. Lo scopo di Kagan era quello di proporre qualcosa di spendibile, di utilizzabile concretamente e immediatamente in classe. Egli si focalizzò fin da subito sullo sviluppo di procedure che potessero essere utilizzate al di là del contenuto e della materia specifica. Per Kagan l’apprendimento cooperativo è una metodologia didattica che si realizza attraverso l’adozione di un set di strategie di progettazione e gestione formativa che valorizzano l’impegno collaborativo, l’interazione e la responsabilità individuale dei soggetti in apprendimento. Tale modello si propone quindi come una struttura che mira all’organizzazione sociale della classe. Lo Structural Approach è caratterizzato, dunque, da quattro componenti: — gli elementi, descrivibili come azioni che possono avere come soggetto l’insegnante, l’alunno, il gruppo, la classe o una coppia e come destinatari a seconda dei casi l’uno o l’altro. Una sequenza di elementi funzionale a qualche scopo costituisce una struttura. Le strutture possono essere numerose e applicabili ad obbiettivi e contenuti diversi: alla costruzione del gruppo, della classe, all’introduzione della lezione, alla padronanza di qualche contenuto cognitivo, ad una buona comunicazione, alla riflessione o all’acquisizione di una competenza . S K, L’apprendimento cooperativo: l’approccio strutturale, edizione italiana a cura di Brigida Angeloni, Roma, edizioni Lavoro,  .


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specifica. Unite ad un contenuto, danno luogo ad un’attività e a loro volta varie attività consentono di strutturare o progettare una lezione. Elementi dell’azione cooperativa sono la riflessione individuale, la discussione in gruppo, la condivisione con la classe; — la struttura, strumento utile a progettare percorsi formativi, è una modalità di organizzazione e strutturazione delle relazioni tra persone in gruppo in grado di ottenere o consentire esiti prevedibili. Ogni struttura è composta da più elementi, cioè da alcune unità di lavoro cooperativo, delimitate nel tempo e circoscritte ad attività e compiti specifici. Sono modi di interazione di gruppo quali la riflessione in coppia o con la classe; — le attività quali per esempio i giochi di conoscenza, di rafforzamento dell’identità di gruppo e di valorizzazione delle differenze individuali; — la progettazione della lezione. L’interazione di questi elementi permette di progettare in maniera efficace la lezione cooperativa. La proposta di Kagan riconosce ed esplicita pienamente il ruolo strategico del docente. Egli, infatti, afferma: la differenza essenziale tra l’approccio strutturale e tutti gli altri è che questi ultimi prevedono che gli insegnanti progettino o usino lezioni complesse, laddove l’approccio strutturale è basato su strategie didattiche molto semplici. Gli altri approcci prevedono che i docenti insegnino lezioni di apprendimento cooperativo, l’approccio strutturale prevede che i docenti facciano dell’apprendimento cooperativo parte di ogni lezione attraverso l’uso di semplici strutture.

È compito del docente riempire di contenuti significativi le strutture e gli elementi cooperativi, scelti secondo il tipo di obbiettivo e del grado di complessità, e proporre delle attività. Kagan è un sostenitore delle intelligenze multiple, per questo suggerisce la progettazione di lezioni multi strutturali, che includano al loro interno un ampio numero di strutture, in grado di stimolare le diverse intelligenze e i diversi sensi degli allievi. L’input deve essere multi–modale, deve interessare i diversi sensi perché alcuni studenti sono più portati per l’apprendimento visivo, altri per quello uditivo, altri per quello cinetico.

Tra le strutture proposte, alcune servono per incoraggiare relazioni che favoriscono le intelligenze multiple, le intelligenze emozionali, le competenze cognitive di alto livello. La disponibilità e la capacità di uso di un ampio repertorio di strutture dovrebbero consentire al docente di intervenire in . Ivi, p. . . Ivi, p. .


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modo specifico nelle situazioni di apprendimento del gruppo modificando se opportuno le strutture già note o creandone delle nuove. Per Kagan, infatti, è opportuno offrire una gamma di esperienze di apprendimento la più ampia possibile: Io vorrei che gli studenti diventassero flessibili così da cooperare, competere o andare avanti per conto loro secondo la situazione. Sarei contento se fornissimo agli studenti una gamma di esperienze di apprendimento la più ampia possibile, così che siano ben preparati ad adattarsi al loro ambiente e a modificarlo.

.. Group Investigation Il Group Investigation nasce in ambiente israeliano ad opera di Yael e Shlomo Sharan e di Rachel Hertz–Lazarowitz come metodo per l’istruzione in cui gli studenti lavorano in modo collaborativo in piccoli gruppi per esaminare, fare esperienza e capire il loro argomento di studio. Tale metodo cerca di cambiare il modello interattivo, secondo cui l’insegnante pone le domande e lo studente risponde, ridefinendo i ruoli di insegnante e allievi, e assegnando all’insegnante il compito di rispondere alle domande piuttosto che di farne più degli allievi stessi. Il Group Investigation pone l’accento sull’attività di apprendimento che implica il lavorare in gruppo per la realizzazione di una ricerca di studio. La motivazione all’apprendimento o il desiderio di conoscere deve essere sollecitato dalla presenza di un problema che l’insegnante presenta e che diventa oggetto della ricerca dei diversi gruppi, promuovendone la collaborazione. Gli obiettivi della ricerca di gruppo sono: — creare le condizioni che consentono allo studente, in collaborazione con altri, di identificare i problemi, programmare le procedure per capirli, raccogliere le informazioni rilevanti; — far percepire agli studenti di essere una comunità di apprendimento in cui la conoscenza si costruisce in modo cooperativo; — promuovere la discussione di gruppo facendo emergere le domande significative per la risoluzione di un problema (focalizzando l’attenzione soprattutto sulle cosiddette domande aperte che permettono di accertare le risposte e danno all’allievo la certezza che ogni sua risposta è degna di attenzione); — modificare il ruolo tradizionale dell’insegnante il cui compito non è più quello di fare domande ma suscitarle negli altri; . Ivi, p. .


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— valorizzare gli aspetti emotivi dell’apprendimento: l’impegno di ciascuno, l’aumento dell’autoconsapevolezza, la ricerca del significato personale. Per Sharan il gruppo è una struttura ideale per raccogliere i bisogni personali — ansia, dubbi, desideri privati — degli allievi, ma anche uno strumento insuperabile per la risoluzione di problemi sociali. Gli allievi, impegnati in una ricerca assieme ai propri compagni di gruppo, acquistano consapevolezza di diversi punti di vista che permettono loro di capire veramente chi sono, vedendo se stessi proiettati contro i punti di vista degli altri. .. Student Team Learning Lo Student Team Learning, ideato da Robert Slavin, pone l’accento sul sistema di incentivazione, di valutazione, di responsabilità individuale, aiuto reciproco e pari opportunità di successo, attraverso l’elargizione di incentivi e ricompense il cui conseguimento stimola il gruppo all’impegno e all’aiuto vicendevoli. Le ricompense possono essere di vario genere a seconda dell’età o della situazione, ma rappresentano sempre un riconoscimento pubblico dei risultati raggiunti. Ogni componente del gruppo è responsabile del raggiungimento di questi risultati attraverso il proprio impegno e l’aiuto dei compagni: la condizione di interdipendenza assicura a tutti la possibilità di successo se progrediscono rispetto alla prestazione precedente. L’insegnante organizza i gruppi in modo eterogeneo, presenta delle ricompense stimolanti, compila ed approva le classifiche di gruppo. Slavin descrive diversi metodi di apprendimento cooperativo che prevedono la competizione fra gruppi omogenei di abilità. L’enfasi è sul conseguimento degli obbiettivi del gruppo, ma è anche importante la responsabilità individuale in termini di miglioramento del proprio rendimento, alla quale sono preparati tutti i componenti del gruppo. Anche gli studenti meno bravi vengono sfidati a migliorare le loro prestazioni. Le componenti principali dello Student Team Learning sono tre: . la premiazione di gruppo; . la responsabilità individuale per sé e per gli altri; . pari opportunità di successo. . Cfr. Y S, S S, Gli alunni fanno ricerca: l’apprendimento in gruppi cooperativi, Trento, Erickson, .


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Per la valutazione, gli studenti compilano delle prove quando i compagni del team si sentono pronti. Gli studenti ricevono certificati di riconoscimento basati sul risultato medio di tutti i membri del gruppo. .. Complex Instruction La Complex Instruction di Elisabeth Cohen è un programma dell’Università di Stanford, che si prefigge di realizzare l’equità in classe, studiando le cause sociali delle disuguaglianze di base e costruendo pratiche educative basate soprattutto sulla cooperazione, capaci di mettere in questione tali elementi di disuguaglianza e iniquità. Ciò è possibile solo se l’interazione tra gli studenti avviene sulla base di un’eguaglianza di status, per ottenere la quale è assolutamente necessario modificare in profondità tante cattive abitudini delle scuole, nonché abbandonare la chiacchiera sulle differenze culturali per potere lasciare spazio al sospetto che le disuguaglianze sociali si traducono nelle classi in differenze di status scolastico, con ripercussioni assai nocive sullo sviluppo delle capacità e delle competenze degli allievi. È una modalità che muove dal riconoscimento della pluralità delle intelligenze da attivare attraverso un lavoro di ristrutturazione dei rapporti nelle classi. Dà molta rilevanza ai processi sociologici, all’uguaglianza delle opportunità educative, alle dinamiche d’appartenenza di status e alle conseguenze che ne derivano, quando esse influenzano sia la vita scolastica dei singoli alunni sia quella del gruppo classe. La Complex Instruction parte dalla constatazione che la formazione dei piccoli gruppi favorisce i migliori anche se esiste l’intenzione da parte dei membri di aiutare i più deboli, poiché i soggetti con elevato status d’appartenenza tendono ad emergere e ad avere una forte influenza sul gruppo, anche se realmente non posseggono quelle competenze che i compagni e l’insegnante attribuiscono loro. L’eterogeneità non costituisce uno svantaggio, ma diventa occasione di crescita sia a livello cognitivo sia sociale. La Complex Instruction indica le strategie da seguire affinché sia data a tutti i membri di un gruppo la stessa opportunità di esprimersi e di apprendere e lo fa suggerendo cinque fasi: — correggere i pregiudizi sulle abilità sia degli studenti sia dell’insegnante; — educare gli studenti all’interazione e alle specifiche competenze secondo il compito richiesto; — l’insegnante ha l’incarico di individuare compiti complessi che implichino l’applicazione di una svariata serie di atti; . Cfr. E C, Organizzare i gruppi cooperativi: ruoli, funzioni, attività, Trento, Erikson, .


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— organizzare compiti complessi; — valutare il lavoro di gruppo per poterlo migliorare. .. Communities of Learners Nel modello pedagogico delle Communities of Learners la classe è immaginata come una vera e propria comunità, dove tutti possono giocare diversi ruoli, scambiandosi compiti e responsabilità. Tutti sono apprendisti: imparano nuove cose, mettendo in discussione le proprie conoscenze, accedono a nuove informazioni, utilizzano canali e strumenti di comunicazione originali, discutono con gli altri sia conoscenze già acquisite, sia dubbi, idee, problemi e quesiti. Non esiste più la figura dell’insegnante come depositario unico della conoscenza e trasmettitore ufficiale del sapere, anche se continua a fungere da utile modello del “come fare a sapere”, a cercare informazioni e a valutarle. Gli studenti non sono più solo ricevitori, più o meno passivi, delle informazioni a loro trasmesse, sono considerati costruttori attivi della propria conoscenza piuttosto che recipiente passivo di esperienze e competenze altrui. L’obbiettivo didattico più importante perseguito è quello di permettere agli studenti di padroneggiare strategie di apprendimento attivo. Ogni membro è al tempo stesso apprendista ed insegnante, condividendo con tutti gli altri le proprie conoscenze. Ciascun membro della comunità è considerato come fonte consultabile per ottenere informazioni, risposte a quesiti, stimoli per riflettere e ognuno condivide con tutti gli altri le proprie conoscenze. Particolare attenzione è rivolta alle abilità di auto–controllo, auto–direzione e auto–valutazione dell’apprendimento. Allo studente si riconosce un grande potere introspettivo e questo riconoscimento incide e determina sia l’organizzazione dei curricula, sia la rielaborazione dell’approccio teorico. .. L’apprendistato cognitivo Il modello dell’apprendistato cognitivo nasce dalla constatazione del fallimento della scuola tradizionale, che non consente agli studenti una piena padronanza degli utensili cognitivi che essa introduce: si tratta allora di realizzare un’integrazione tra i caratteri della scuola formale e dell’apprendistato, dominante in tutte le società prima dell’avvento della scolarizzazione. L’apprendistato tradizionale impiega quattro importanti strategie per promuovere la competenza esperta: — modelling (l’apprendista osserva ed imita il maestro che dimostra come fare);


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— coaching (il maestro assiste continuamente secondo le necessità: dirige l’attenzione su un aspetto, dà feedback, agevola il lavoro); — scaffolding (è un aspetto particolare del coaching: il maestro fornisce un appoggio all’apprendista, uno stimolo, pre–imposta il lavoro); — fading (il maestro elimina gradualmente il supporto, in modo da dare a chi apprende uno spazio progressivamente maggiore di responsabilità). L’apprendistato cognitivo si differenzia però dall’apprendistato tradizionale, per la maggior attenzione alla dimensione metacognitiva, agli aspetti del controllo, ed alla variazione dei contesti di applicazione. Si introducono allora altre strategie, quali: — articolazione (si incoraggiano gli studenti a verbalizzare la loro esperienza); — riflessione (si spinge a confrontare i propri problemi con quelli di un esperto); — esplorazione (si spinge a porre e risolvere problemi in forma nuova). Gli esseri umani sono esseri sociali. Si radunano in gruppi, trovano terapeutico essere ascoltati, traggono energie l’uno dall’altro e cercano reciprocità. Nei gruppi, viene dedicato tempo ed energie a compiti che stancherebbero velocemente se si dovesse lavorare da soli. Infatti, una delle forme più crudeli di punizione che si può infliggere a un individuo è lasciarlo in totale solitudine. L’elemento caratteristico del cooperative learning è dato proprio dalla modalità del lavorare in gruppo degli allievi (e anche dei docenti). Come avviene perlopiù nel Sistema Abreu. La riuscita ed il successo del lavorare in gruppo sono comunque legati ad un insieme di competenze ed atteggiamenti che vanno a costituire gli aspetti fondamentali della professionalità docente (team teaching). Il livello e la qualità del funzionamento di un gruppo scolastico vengono valutati e misurati in riferimento a una variabile specifica: la capacità di costituirsi come gruppo di lavoro. I compiti dell’insegnante e del team sono: — rendere trasparente ai singoli e al gruppo, sia all’inizio del lavoro che in itinere, il progetto e il percorso operativo; — fornire il sostegno per il lavoro dei singoli e per il lavoro e l’equilibrio del gruppo. Quando gli studenti lavorano in gruppo e si esprimono oralmente realizzano tre benefici:


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. gli studenti più dotati mostrano metodi appropriati per affrontare un problema (come analizzano il materiale nei suoi contenuti, come formulano argomentazioni e giustificazioni al loro approccio); . un gruppo affronta un problema da una prospettiva più ampia e considera molte più opzioni, quali possibili soluzioni, di quante potrebbe pensare un individuo che lavora da solo; . discutendo vari aspetti della soluzione di un problema e chiedendo aiuto agli studenti più dotati, i principianti del gruppo possono effettivamente partecipare alla risoluzione del problema e alla fine imparare a risolvere un problema senza l’aiuto dei loro coetanei. Inoltre le funzioni di un gruppo possono essere relative a: . i ruoli di gestione: controllo dei toni di voce, dei rumori, dei temi; . i ruoli di funzionamento: spiegare idee e procedure, registrare, incoraggiare la partecipazione, osservare i comportamenti, fornire guida e sostegno, chiarire e illustrare; . i ruoli di apprendimento: ricapitolare, precisare, verificare la comprensione, fare ricerche, comunicare, elaborare, approfondire; . i ruoli di stimolo: criticare le idee e non le persone, chiedere motivazioni, distinguere, sintetizzare, sviluppare, verificare, sviluppare opzioni, valutare. Creare situazioni di apprendimento cooperativo significa allora considerare e mettere in pratica alcuni principi essenziali, che si differenziano da ciò che tradizionalmente viene considerato lavoro di gruppo. I principi che caratterizzano i gruppi cooperativi sono: il principio della leadership distribuita, il principio del raggruppamento eterogeneo, il principio dell’interdipendenza positiva, il principio dell’acquisizione delle competenze sociali e il principio dell’autonomia del gruppo. . La competenza comunicativa L’interdipendenza positiva, fondamento del Cooperative Learning, necessita di una interazione efficace. Per conseguire risultati è necessaria una buona capacità comunicativa interpersonale. Anche se il cooperative learning non presume che tutti la possiedano, ritiene che essa, prima che sia insegnata, debba essere attentamente esaminata. L’analisi della competenza comunicativa va distinta nel saper inviare un messaggio e saper comprendere un messaggio. Perché un messaggio sia chiaro e venga accolto è indispensabile che:


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— la comunicazione sia accompagnata da specifiche precondizioni; — la comunicazione sappia esprimere il messaggio in modo chiaro; — controlli la comprensione e risponda in modo efficace agli interventi dell’interlocutore e, in modo specifico, a situazioni di richiesta d’aiuto. ) precondizioni della comunicazione: possono essere psicologiche e contestuali, accompagnano ogni comunicazione e possono determinare l’interpretazione, che si deve dare ad una comunicazione o aiutare a comprendere l’effetto constatato. A livello psicologico ciò significa: — — — — — —

accettare il rischio di aprirsi all’altro; essere il più aperti possibile; sviluppare un’accettazione reciproca; condividere idee, sentimenti, emozioni; partecipare con esperienze positive e personali; rispettare le condizioni di appropriatezza dell’apertura di sé (i limiti dell’apertura di sé dipendono dal tipo di relazione che intercorre tra i comunicanti, dall’argomento oggetto della comunicazione, dalla sensibilità e dalla valutazione del comportamento reciproco).

A livello di credibilità: — essere attendibili presso il proprio interlocutore; — essere attendibili rispetto al contenuto dell’informazione. A livello di pragmatica comunicativa: — essere accettati dall’interlocutore (condizione di sincerità); — fare talune supposizioni sull’adeguatezza del proprio interlocutore (condizioni preparatorie); — essere riconosciuto e accettato come interlocutore (condizioni essenziali). ) competenze per comunicare in maniera efficace: sul versante espressivo chi comunica, per essere compreso, deve personalizzare il proprio messaggio ed anche essere capace di organizzare le informazioni in modo corretto nella quantità, nella qualità e nel tipo di relazione, senza essere ambiguo o oscuro. Sul versante recettivo per far sì che la comunicazione non sia erroneamente o falsamente interpretata, colui che comunica deve cercare di essere “eterocentrato”, cioè capace di organizzare il messaggio tenendo presenti gli schemi di conoscenza


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del ricevente, essere ridondante per evitare di risultare ambiguo, abile ad anticipare e controllare le possibili inferenze del suo interlocutore, saper esprimere sentimenti ed emozioni, organizzare linguaggio verbale e non verbale in modo congruente. ) in relazione al processo di risposta è necessario avere la capacità di: — controllare il significato del messaggio ricevuto o sintetizzando, o richiedendo la riformulazione del messaggio, o la conferma dell’intenzione; — controllare la percezione dei sentimenti dell’altro; — rispondere non aggiungendo, né sottraendo, né minimizzando il significato di ciò che viene comunicato; — evitare risposte di tipo valutativo, interpretativo o comunicanti atteggiamenti di superiorità; — creare e mantenere un clima di accettazione della richiesta di aiuto; — formulare domande precise che richiedono un’elaborazione delle conoscenze; — rispondere in modo chiaro ed esplicativo senza altri messaggi incongruenti. . Il gruppo nel contesto educativo–musicale Imparare è compiere un’esperienza, è un processo continuo, è il risultato dell’interazione di un individuo con l’ambiente fisco che lo circonda, con il contesto sociale in cui vive e con se stesso. Nell’insegnamento–apprendimento della musica è necessario tener presente che quest’ultima, in quanto arte, costituisce di per sé un’esperienza: un’esperienza capace di educare i discenti in primo luogo come persone. Ed è proprio nel gruppo che lavora attraverso la modalità del Cooperative Learning che si può imparare con gli altri: l’apprendimento collettivo del gruppo è importante nella classe, così come lo è in un’orchestra che impara ad eseguire un brano. Il compito di ciascun componente è diverso dagli altri, molte delle abilità richieste per l’esecuzione vengono apprese individualmente: durante la performance ognuno esegue il proprio compito ma deve sincronizzarsi strettamente con il resto del gruppo. L’apprendimento individuale è il risultato dell’attività svolta dal singolo all’interno del gruppo stesso. Va sottolineato che generalmente è la struttura del compito che determina l’organizzazione del lavoro: un compito può ad esempio essere scomposto in una serie di sotto compiti che possono essere assegnati ai singoli gruppi di lavoro. Collaborare, lavorare insieme in musica,


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costituisce un’aggiunta di valore alla tradizionale routine quotidiana di vita e crea qualcosa di nuovo o differente in un processo strutturato e collaborativo, agli antipodi del semplice scambio di informazioni o esecuzione di istruzioni. Un esempio di tutto ciò viene proprio dal “Sistema Abreu”. Fare musica insieme con i diversi approcci individuali a vantaggio del gruppo che diviene un tutt’uno. Il desiderio di interazione, ascolto e valorizzazione delle risorse presenti nel gruppo è una scelta progettuale che caratterizza fortemente lo stile didattico adottato. Il docente in grado di sostenere una dinamica interattiva all’interno della sua lezione riuscirà a far tesoro di tutte le sollecitazioni che verranno fornite dalle risposte del gruppo stesso. Questa metodologia, fortemente presente nel “Sistema Abreu” può costituire un vero e proprio metodo di ricerca caratterizzato da un approccio cooperativo alle proposte didattiche: il fare ‘musica insieme’ con più ricca comprensione della realtà ed una progressiva e conseguente maturazione sul piano della cognitività e dell’affettività può contribuire a raggiungere: — lo sviluppo dell’intelligenza musicale e quindi della musicalità e dell’identità musicale dell’individuo, consentendogli la partecipazione attiva e consapevole alla vita musicale del gruppo; — l’educazione della percezione uditiva che deve essere considerata quale fondamento di ogni esperienza musicale; — l’educazione alla motricità con la quale l’esperienza sonora è collegata strettamente grazie al ritmo che le compone entrambe; — la maturazione di una consapevolezza critica rispetto ai condizionamenti dei media: la musica deve assumersi il compito di trasformare in esperienza di comunicazione quella che il non educato subisce invece come un condizionamento; — lo sviluppo e l’affinamento della dimensione affettiva: il fare musica con la voce, con gli strumenti, permette al discente di esplorare, attraverso l’emotività della musica, anche la sua emotività; — l’accesso ad un’eredità culturale fondamentale: fornire ai discenti gli strumenti necessari a comprendere ed analizzare questa eredità; — la maturazione di un atteggiamento di interesse e di rispetto per le altre culture. . L’apprendimento imitativo attraverso il metodo Suzuki .. Premessa Il metodo Suzuki del violinista e maestro Shinichi Suzuki è una delle metodologie che sta alla base del “Sistema Abreu”.


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Suzuki aveva compreso che l’imitazione è alla base del processo di apprendimento di ogni bambino già dai primi stadi della vita e, attraverso il metodo che egli chiamò “della madre lingua”, dimostrò che si poteva insegnare a suonare ad un bambino così come si insegna a parlare. Come un bambino impara parole, ascoltandole ripetutamente nell’arco della giornata dai genitori, così impara a suonare ascoltando la melodia e il ritmo. Nel metodo Suzuki troviamo fattori essenziali, che lo rendono differente da altri metodi tradizionali; innanzitutto si rivolge a bambini di una fascia d’età piccola, dai tre, quattro anni in poi. L’ambiente che richiede questo metodo, deve essere favorevole, ossia pieno di stimoli e va creato intorno al bambino; è fondamentale, poi, approcciare i bambini già dalla tenera età all’ascolto. Un ascolto graduale, che parte da brani semplici per poi arrivare a brani più articolati, organizzato nell’arco della giornata, creando dei momenti, da parte dei genitori, che catturino l’attenzione del bambino. Nel metodo Suzuki i genitori rivestono un ruolo di grande importanza, si mettono in gioco, sono motivati e seguono con interesse i loro figli. A differenza dei metodi tradizionali, il metodo Suzuki non cerca bambini già con talento; perché per Suzuki è errato credere che il talento è innato, ma esso va educato e sviluppato nel modo corretto. A tal proposito, risulta molto utile lo schema proposto da Antonio Mosca, ideatore dell’Orchestra Nazionale Suzuki di Torino ove compaiono ben chiare le differenze tra il metodo tradizionale, il Suzuki e il “Sistema Abreu”. .. Definizione del metodo e obiettivi Il metodo dell’“Educazione del talento”, concepito e sviluppato da Suzuki non è uno dei tanti metodi per violino, bensì un sistema educativo che si propone di sviluppare tutti i talenti o le disposizioni creative latenti, nella loro irripetibilità e al di là della loro predominanza o limitazione, nell’individuo. Egli stesso citava che il talento non era innato, ma doveva soltanto essere creato, educato’. Il metodo nasce per lo studio degli strumenti ad arco, in particolare per il violino, ma oggi viene applicato a tutti gli strumenti. Rispetto ad altre metodo. A M, Riflessione sull’applicazione del Metodo “El Sistema” del maestro Abreu in Italia e altre considerazioni sulla realtà del Metodo Suzuki e sull’insegnamento della musica con il metodo tradizionale, in Musica e Società: per un sistema nazionale delle orchestre sinfoniche e dei cori infantili e giovanili. Atti del Convegno Internazionale (Fiesole, – novembre ), a cura di Maria Grazia Martelli, [Fiesole, Scuola di musica, ], pp. –: . Consultabile in rete al seguente indirizzo: http: //www.scuolamusica.net/Convegno%Musica%e%Societa’/%Atti%pagina%singola% ligth.pdf (ultima cons. //). . M G, L’educazione del talento, filosofia, metodologia e pratica musicale, sviluppate dal Dr. Shinichi Suzuki, Milano, Ed. M. Giubileo, , p. . . Viene data particolare attenzione al violino in quanto Suzuki era un violinista, e visto le piccole


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Il metodo tradizionale

Il metodo Suzuki

“El Sistema” Abreu*

Sceglie bambini con talento

Sviluppa il talento presente in ogni bambino

Non è questione di talento, ma di considerare che ogni bambino può essere ‘salvato’ attraverso la scuola e la musica dalle difficoltà del vivere quotidiano

Inizia all’età di 9–10 anni

Inizia all’età di 3–4 anni

Inizia dai 3 anni ai 18 anni

Non è previsto il coinvolgimento della famiglia

Al centro del metodo c’è la famiglia

Al centro del metodo c’è la volontà di fornire agli allievi una ‘nuova famiglia’ attraverso la socializzazione del far musica

Si utilizzano strumenti con dimensioni standard

Si utilizzano strumenti proporzionati al corpo del bambino

Si utilizzano tutti gli strumenti della tradizione popolare e colta: percussioni, archi, fiati, sempre a misura di bambino

Prima si suona e poi forse si ascolta

Prima si ascolta e poi si suona

Prima l’orchestra e poi la teoria

Prima si legge e poi si suona In genere ciascun insegnante tiene segreto il suo metodo

Prima si suona e poi si legge Gli insegnanti ricercano, scoprono e condividono i risultati del loro lavoro

Prima si suona e poi si legge Gli insegnanti sono gli stessi allievi divenuti grandi che aiutano i più piccoli

Fin dagli inizi viene dato rilievo alla tecnica

La tecnica e gli esercizi vengono posticipati

La tecnica e gli esercizi vengono dopo la pratica in orchestra

L’obiettivo è l’istruzione musicale

L’obiettivo è l’educazione globale

L’obiettivo è favorire attraverso la musica l’accoglienza, evitando l’emarginazione culturale e sociale

L’accento è posto sui risultati

L’accento è posto su come si ottengono i risultati

L’accento viene posto sul valore della musica, come riscatto sociale e il risultato è conseguente

* M OSCA, Riflessione sull’applicazione del Metodo “El Sistema” cit., p. 130.

logie, il metodo Suzuki si approccia già alla tenera età e c’è da subito il contatto diretto con lo strumento mettendo in secondo ‘piano’ la teoria, permettendo così al bambino di non sentirsi imprigionato in uno studio meramente teorico. Suzuki si trasferì in Germania per studio, e qui nacquero le sue prime riflessione su quanto fosse per lui difficile imparare il tedesco, a differenza invece dei bambini tedeschi che in breve tempo imparavano con facilità a parlare correttamente la loro lingua madre. Osservando e meravigliandosi delle eccezionali capacità dei bambini di imparare e parlare in modo corretto la loro lingua, decide di elaborare un sistema per apprendere un nuovo linguaggio di sensibilità e capacità. Chiamò il suo sistema il metodo “della madre lingua”, perché aveva compreso dimensioni dello strumento era considerato adatto ai bambini e all’impiego in orchestra, favorendo la socializzazione.


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che l’imitazione è alla base già dai primi stadi della vita e dimostrò attraverso questo metodo, che si poteva insegnare ad un bambino a suonare, così come si insegna a parlare. Infatti, come un bambino apprende parole dette, ripetute continuamente dai genitori, così impara a suonare ascoltando e ripetendo un frammento musicale, un ritmo, una melodia proposta dai genitori e guidato dall’insegnante. In questo modo la musica entra a far parte della vita quotidiana del bambino e della sua famiglia; e tutto ciò permette al bambino di imparare a coltivare, grazie a questo strumento di crescita, il buon gusto e la sensibilità nei confronti degli altri. Rispetto ad altri metodi tradizionali, il metodo Suzuki si rivolge a bambini a partire dai tre anni di età, sino ai quattordici anni, mentre i metodi tradizionali sono rivolti ad una fascia di età più elevata, si rivolgono ai bambini di nove dieci anni. Il bambino sviluppa nel percorso Suzuki, attraverso l’imitazione e l’ascolto, oltre alle capacità musicali, altre capacità come: l’attenzione, la concentrazione, la coordinazione ed inizia ad affrontare la lettura musicale intorno ai sei anni, appena inizia l’età scolare. L’obiettivo principale del metodo è la crescita globale del bambino attraverso lo studio musicale, e non quello di creare dei geni della musica costringendoli allo studio dello strumento contro la loro volontà. L’obiettivo è rivolto verso l’arricchimento della personalità, che si rispecchia in un’esperienza vitale costitutiva. Si cerca, dunque, di facilitare la disposizione a una qualità di vita più ricca, più felice con maggiore pienezza di valori, e in una crescita armoniosa, più utile alla edificazione della società umana. l’uomo è figlio del suo ambiente — si può fare molto se c’è amore — se hai un bel suono, hai cuore — le corde non hanno anima, esse vivono attraverso quella di chi le fa vibrare — non c’è bambino senza talento, tutto dipende dall’educazione — l’arte esprime l’uomo.

In questi aforismi è racchiuso tutto il pensiero di Suzuki. La sua speranza viene espressa quasi come fosse un atto di fede: “che la musica possa rendere migliore l’uomo, gli dia la pace, la gioia di vivere”. Né più e né meno di ciò che sta alla base del “Sistema Abreu”.

Bibliografia Cacciamani S. (), Imparare cooperando: dal Cooperative Learning alle comunità di ricerca, Carocci, Roma. . G, L’educazione del talento, cit., p. .


Il Sistema Abreu: per un approccio cooperativo. . .

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Antonio Caroccia


Particolare del Coro Manos Blancas.


Quando la musica cambia la vita ISBN 978-88-548-7597-5 DOI 10.4399/97888548759757 pag. 39–54 (ottobre 2014)

“El Sistema” Abreu in Puglia: la didattica reticolare MusicaInGioco come proposta operativa A G

. Premessa L’orchestra è una società che pratica per definizione l’interdipendenza, l’orchestra è un’impresa collettiva in cui tutti sono d’accordo nella voglia di affrontare brani sempre più difficili, e questo forma la personalità di ogni ragazzo: previene la droga, previene la violenza, ed è uno strumento insuperabile di sviluppo sociale. La musica opera questo miracolo: costruttivo, seduttivo, creatore, nel bambino e nell’adolescente.

Con queste parole José Antonio Abreu, musicista ed ex ministro della cultura del Venezuela, piccolo e minuto come un giunco ricurvo, soprannominato “papa–dio” in patria, dove lo considerano un mito vivente, sintetizza il sistema di orchestre che, nell’arco di un trentennio e con sovvenzioni pubbliche, ha organizzato una rete d’istruzione musicale che coinvolge oltre  mila ragazzi, di cui il % arriva da famiglie disagiate. Il suo “Sistema”, afferma Gustavo Dudamel, direttore della Los Angeles Philharmonic Orchestra formatosi in tale ambito, «ha un prodigioso potere salvifico e aggregante. Non smette di stupirmi per la quantità di bambini e adulti che sa coinvolgere e per le sue implicazioni politiche, sociali e umanitarie. Oggi, nel mio paese, sono  le orchestre giovanili,  le infantili e oltre  quelle di adulti, di cui almeno  create nei penitenziari. In più ci sono i complessi preinfantili, con strumentisti dai quattro ai sette anni, e grazie al suo sistema sono nate anche trenta formazioni professionali. Per non parlare dell’Orchestra Chorros, formata da orfanelli raccolti sui marciapiedi o dei cori Manos Blancas. . . ». . http://www.radio.rai.it/filodiffusione/auditorium/view.cfm?Q_EV_ID=&Q_PROG_ ID= (ultima cons. //).

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. “El Sistema” Abreu in Italia Nonostante una tradizione musicale eccelsa, l’Italia non riconosce espressamente la musica come elemento essenziale dell’educazione e risulta tra i Paesi europei più arretrati sotto il profilo dell’educazione musicale. Inoltre, nel nostro Paese, a causa delle diverse riforme dell’organizzazione scolastica, la musica è sempre più marginale tra le materie di insegnamento, fino a non accompagnare più il processo di crescita dei giovani, mentre l’accesso alla formazione musicale professionale è riservato ad un numero ristretto di ragazzi attraverso i Conservatori. Gli investimenti pubblici in questo settore, soprattutto per gli aspetti educativi, sono praticamente inesistenti. Intanto, il disagio giovanile è un fenomeno in preoccupante crescita, soprattutto nei grandi centri urbani ed è stato ormai ampiamente verificato come un coinvolgimento in una fondamentale esperienza creativa e culturale possa costituire un momento di rivalsa e di crescita sociale. Per tutte queste considerazioni, proprio dallo stimolo proveniente dall’emblematica esperienza del modello venezuelano è nata l’idea di dare inizio anche in Italia a una nuova stagione di rinnovamento sociale basato sulla fondamentale esperienza della musica. Con il progetto italiano delle Orchestre e Cori giovanili si vuole, infatti, avviare un’azione di sistema volta a offrire a livello nazionale opportunità di accesso gratuito alla musica a un numero sempre maggiore di ragazzi. Il  dicembre  è nato il Comitato Sistema delle Orchestre e dei Cori Giovanili e Infantili d’Italia attraverso la costituzione di un Comitato Onlus guidato da Federculture e dalla Scuola di Musica di Fiesole, di cui è Presidente Roberto Grossi e presidenti onorari i maestri Claudio Abbado e José Antonio Abreu. In ogni regione sono nati, o stanno nascendo, i Nuclei ossia centri didattici distribuiti su tutto il territorio che, avvalendosi anche dell’esperienza di iniziative affini sviluppatesi autonomamente in Italia negli ultimi decenni, coinvolgeranno bambini di età compresa fra i  e i  anni nell’apprendimento della musica, secondo il “metodo” venezuelano di Abreu. Il Comitato Sistema delle Orchestre e dei Cori Giovanili e Infantili d’Italia, basato sul valore di inclusione socio–culturale della musica, si pone l’obiettivo di emancipare bambini e ragazzi dal disagio, offrendo loro un’opportunità di riscatto sociale tramite l’accesso gratuito allo studio della musica. La rete italiana promossa da Federculture insieme alla Scuola di Musica di Fiesole ha ricevuto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica. Lo scorso mese di febbraio è stato sottoscritto un protocollo d’intesa con il Ministero dell’Istruzione, Università e ricerca per realizzare orchestre nelle scuole primarie e negli istituti penitenziari minorili, dove dallo scorso novembre l’associazione culturale MusicaInGioco realizza  orchestre negli IPM di Bari e Lecce.


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. MusicaInGioco, Art Village, il LAMS e il “Coordinamento dei nuclei di Puglia” L’Associazione culturale “MusicaInGioco” è nata a luglio del  con l’obiettivo di diffondere la musica come metodo educativo e di riscatto sociale, ispirandosi a “El Sistema” di A. J. Abreu. L’associazione aderisce, ed è tra i riferimenti didattici nazionali, al Sistema Nazionale di Orchestre Giovanili, promosso da Claudio Abbado, con sede presso la Scuola di Alto Perfezionamento Musicale di Fiesole, e coordinata da Federculture. Il suo presidente, maestro Gianlorenzo Sarno, è docente di Violoncello presso il Conservatorio di Musica “N. Piccinni” di Bari, così come il suo direttore artistico maestro Andrea Gargiulo, titolare di Esercitazioni corali e docente a contratto dell’Università di Lecce. Gli altri soci sono musicisti professionisti impegnati da sempre nel sociale. Dopo la prima parte della sperimentazione metodologica terminata a dicembre  presso il MoMart, ex discoteca sequestrata alla mafia e presidio dell’Associazione “Libera”, di Adelfia (Bari), finanziata dagli sponsor privati, che ha permesso ai ragazzi di avere gratuitamente strumenti e lezioni collettive, i nostri piccoli musicisti sono stati impegnati in numerose lezioni/concerto: l’ ottobre  al Kismet alla presenza dell’Assessore alla Cultura, Prof.ssa Silvia Godelli, del Console dei Venezuela dottor Borges, del Presidente dell’Associazione “Simon Bolivar” di Bari dottor Bellomo, del delegato di Federculture maestro Dinko Fabris e dell’Assessore all’istruzione del Comune di Bari maestro Fabio Losito, il  dicembre  presso l’auditorium della Scuola Secondaria di I grado Galilei/Massari di Bari e il  dicembre al Teatro Kismet. Dal gennaio , grazie ai finanziamenti di Puglia Sound, l’attività musicale d’insieme è stata arricchita con lezioni strumentali collettive (da  a  ragazzi) mentre da settembre  il progetto è finanziato e sostenuto in maniera convinta dall’Assessore Nicola Fratoianni, tramite l’assessorato regionale alle Politiche giovanili. I concerti e le partecipazioni ai Festival ormai non si contano, Teatro Petruzzelli e Piccinni, Auditorium di Roma, Festival è, Leo Kinder Festival, ecc. così come la nascita di nuovi nuclei MusicaInGioco ha impiantato in tutto il territorio. A Palese (Bari) dal  vive grazie per opera di puro volontariato degli operatori Andrea Gargiulo (direttore artistico dell’associazione) ed Anna Fasanella (violoncello) e alla collaborazione dell’Associazione “Continente Sommerso”; Bitonto, Gioia del Colle e Turi — interessante quest’ultimo luogo in quanto i ragazzi sono per la maggior parte segnalati dai servizi sociali — altra espressione sinergica della proficua collaborazione con il Teatro Kismet nell’ambito del progetto Bandeapart, con il supporto tecnico del Gianfranco Ironico; con l’ART Village di San Severo è gemmazione e frutto della struttura sociosanitaria dell’Asl di Foggia–San Severo. MusicaInGioco ha curato la formazione dei Docenti e contribuito allo dei nuclei che il LAMS di Matera


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avviato presso i comuni di Ferrandina — Grassano — Montescaglioso (Matera) e, successivamente, Taranto. La collaborazione tra MusicaInGioco, Art Village e LAMS ha portato — quasi una quadratura del cerchio dell’attività di questi due anni — alla costituzione del “Coordinamento regionale dei nuclei di Puglia” la creazione di un’orchestra regionale infantile costituita da oltre  bambini che frequentano le scuole elementari della regione Puglia. Un circolo didattico di ogni provincia pugliese ha aderito a quest’iniziativa — promossa dalla Regione Puglia — Assessorato al diritto allo studio — nell’entusiastica figura propositrice dell’Assessore Alba Sasso — fornendo supporto logistico e pratico. Dopo un ciclo di trenta lezioni a cadenza settimanale l’intera popolazione musicale di queste sei scuole (una per provincia) il  giugno  si è tenuto un concerto all’interno del teatro Petruzzelli con  bambini e ragazzi dei nuclei “Abreu” di Puglia divisi in due orchestre da  musicisti l’una. Dal gennaio  l’associazione MusicaInGioco ha iniziato un progetto di orchestra Jazz “Abreu” sperimentale, con uso della didattica reticolare e della collaborative learning, presso la casa circondariale di Matera  detenuti che in soli  incontri sono riusciti, senza alcuna conoscenza musicale pregressa, ad imparare a suonare sax tenore, clarinetto, chitarra, basso, tastiera e percussioni in organico Jazz con un concerto finale con ben  brani del repertorio Jazz e Blues quali C Jam blues, Watermelon man, ecc. arrangiati per loro da Andrea Gargiulo. L’entusiasmo profuso dagli operatori e dai detenuti–musicisti coinvolti, ha portato all’aggiunta di numerose performance a titolo totalmente gratuito in cui l’unico scopo era quello di creare la bellezza che, come ben diceva Peppino Impastato, combatte la paura, l’omertà e la rassegnazione: «Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà. All’esistenza di orrendi palazzi sorti all’improvviso, con tutto il loro squallore, da operazioni speculative, ci si abitua con pronta facilità, si mettono le tendine alle finestre, le piante sul davanzale, e presto ci si dimentica di come erano quei luoghi prima, ed ogni cosa, per il solo fatto che è così, pare dover essere così da sempre e per sempre. È per questo che bisognerebbe educare la gente alla bellezza: perché in uomini e donne non si insinui più l’abitudine e la rassegnazione ma rimangano sempre vivi la curiosità e lo stupore». La collaborazione con la casa circondariale di Matera ha offerto a MusicaInGioco la possibilità di conoscere il mondo delle carceri, con tutti i problemi relativi alla sicurezza e alla poca motivazione iniziale dei soggetti coinvolti, che hanno spinto a sintetizzare una didattica estremamente efficace e basata sulla compresenza di tutti i detenuti–musicisti. Infatti, lo studio tecnico dello strumento, con la lettura, l’improvvisazione, la tecnica . http : / / www . labellezzacontrolemafie . rai . it / dl / radio /  / programmi / Page-ed-be--af-dff.html (ultima cons. //).


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esecutiva, è stato affrontato con la collaborative learning, che ha dimostrato sul campo di poter superare tutti i limiti delle didattiche tradizionali. L’Art Village di San Severo, struttura polivalente del Dipartimento “Dipendenze patologiche” della ASL Foggia, è dedita allo sviluppo delle attività educative, artistiche e culturali e della promozione sociale e ha per scopo statuario, e svolge concretamente da anni, un intenso lavoro di diffusione della cultura, promozione di politiche culturali a favore di soggetti in stato di svantaggio, realizzazione di progetti e programmi destinati a favorire la partecipazione alla cultura e alla vita civile di comunità, organizzazioni, scuole e cittadini. Da anni collabora, per le attività educative e di consultorio psicologico, con il Carcere di Foggia, dove attuerà, in collaborazione con MusicaInGioco, il progetto “Carceri ”. Altro partner del coordinamento è il LAMS di Matera, cooperativa sociale senza scopo di lucro e con la personalità giuridica riconosciuta con DPRG n. /, che opera nel campo socioeducativo e della cultura ed è federato con il sistema nazionale dei cori e orchestre giovanili ed è conduttore delle orchestre per Taranto e provincia. Dopo la splendida esperienza che ha visto l’Orchestra Regionale Interscolastica Puglia, esibirsi il  Giugno  al Teatro Petruzzelli, divisa in due gruppi di  bambini ciascuno, per eseguire, interamente dal vivo, una fiaba musicale sui testi di Antonio Aprile e musiche di Andrea Gargiulo e narrata dal noto attore Paolo Comentale, fondatore del teatro di figura di rilevanza nazionale “Casa di Pulcinella”, il coordinamento pugliese, ha realizzato il  giugno  un evento che ha coinvolto circa mille bambini del coro e orchestra regionale di Puglia, che si sono esibiti a Taranto, nell’arena concerti di Villa Peripato, eseguendo totalmente dal vivo una fiaba su testi di Maria Giustina Martino, musiche e direzione di Andrea Gargiulo con la voce recitante di Luigi Minischetti. Nato dal nuovo progetto del coordinamento regionale dei nuclei, l’orchestra e coro regionale di Puglia, è formata da oltre  bambini di cui molti in condizione o a rischio di disagio sociale e/o personale e diretta dal maestro Andrea Gargiulo, promossa dall’Assessorato regionale all’Istruzione e al diritto allo studio, nella persona di Alba Sasso, in  scuole elementari delle  province e integrata dalle Orchestre dell’Art Village di San Severo, struttura polifunzionale del ASL Foggia, diretta dal lungimirante dottor Tonino D’Angelo, del LAMS di Matera con la “Piccola orchestra di Taranto”, condotta dalla cooperativa citata, diretta artisticamente dal maestro Giovanni Pompeo, in collaborazione con il Comune di Taranto e l’Istituto superiore di studi musicali “Paisiello”, dalle Orchestre MusicaInGioco–AdelfiaMomART, fortemente voluta e finanziata fino allo scorso anno, dall’Assessorato regionale alle politiche giovanili trasparenza e legalità, nella persona di Guglielmo . Traccia n.  del dvd allegato alla presente pubblicazione. . Traccia n.  del dvd allegato alla presente pubblicazione.


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Minervini, e condotte da MusicaInGioco in collaborazione con il Teatro Kismet, da MusicaInGioco–Palese nata esclusivamente dal volontariato del direttore artistico, Andrea Gargiulo, dei docenti volontari Anna Fasanella, Gabriella Altomare, Daniela Zurlo e Silvia Scarnera e dell’Associazione di promozione sociale Continente Sommerso. La compagine è arricchita delle nuove orchestre e cori, fortemente volute dalle lungimiranti amministrazioni comunali di Capurso, con un investimento cospicuo, voluto dal Sindaco Francesco Crudele dall’Assessore Michele Laricchia e dalla consigliera all’Istruzione Maria Squeo, ha dato la possibilità ad oltre  bambini condizione di disagio di intraprendere la meravigliosa esperienza orchestrale, e i cori di Bari e Molfetta. Il nuovo “Coro interscolastico regionale di Puglia” è così formato da oltre  bambini ed è nato grazie alla volontà diretta dei Dirigenti delle scuole primarie dell’ICS “San Giovanni Bosco” di Molfetta, grazie al finanziamento del Comune fortemente voluto dal vice–sindaco Bepi Maralfa, dell’ICS “S.Giovanni Bosco–Marconi di Bari”, dell’ICS Japigia di Bari, del II circolo didattico “Prof. Arc. Caputi “Bisceglie, dell’ICS Polo  di Galatina (LE), dell’ICS di Cisternino, dell’ICS “S.Francesco/Petrarca” di San Severo e dei nuclei corali di Art Village di San Severo e di MusicaInGioco di Adelfia. Anche il privato sociale è stato coinvolto grazie alla nuova MusicaInGioco fondata con la Caritas di Terlizzi, centro diurno “La Casa di Santa Luisa” a gennaio  ha iniziato le attività didattiche. Il progetto sarà condotto con consulenza pedagogica del professore Salvatore Colazzo, titolare della cattedra di Pedagogia Sperimentale dell’Università del Salento.

. La didattica reticolare MusicaInGioco come proposta operativa .. La didattica reticolare, fondamenti epistemologici e pratiche operative Le metodologie tradizionali d’insegnamento della musica basano la strategia didattica sulla linearità dell’apprendimento, proponendo argomenti con difficoltà crescente e tentando di trasferirli segmentandoli e graduandoli per livelli di difficoltà. La nostra proposta, invece, partendo dalla struttura reticolare dell’informazione musicale, pensa ai concetti teorici e pratici della musica come tasselli interconnessi da trasferire non per imposizione di un percorso prestabilito, ma grazie ad una progettazione che sposta l’attenzione al modo con cui ogni studente percepisce ed elabora le informazioni. La difficoltà di questo approccio è l’apparente caoticità di una progettazione che, rinunciando alla segmentazione dei materiali da insegnare, tipica della programmazione didattica lineare, fonda l’intera didattica sull’interazione che dai singoli elementi giunge al fenomeno complesso non come


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somma delle caratteristiche dei singoli elementi, ma come elaborazione personale di dati processati e, appunto, interattivi. Quindi per il docente vige l’assoluta regola della personalizzazione dei processi di apprendimento, da ramificare e articolare senza gerarchizzazioni o parcellizzazioni, ma legando la verifica dei risultati — e quindi la bontà della progettazione — al modo in cui ciascun allievo li percepisce e li rielabora. Rinunciare alla sicurezza di una valutazione che misuri i risultati in termini univoci — es. Mario conosce le note, quindi è bravo, Andrea non riesce a leggere velocemente quindi è un cattivo musicista — potrebbe sembrare voler sostituire una certezza per la maggior parte degli insegnanti con un’ingestibile anarchia didattica. Eppure nella didattica reticolare il principio fondamentale è proprio quello delle “incertezze pertinenti”, cioè la sostituzione di una verifica precisa dei risultati con un modello di didattica che, rifuggendo dalla tradizionale verifica dei risultati, apre ad un modello di conoscenza provvisoria, aperta a successive integrazioni o modificazioni, ma mai unico e imposto tassativamente. Nella pratica delle orchestre giovanili, il nostro modello didattico privilegia la musica d’insieme anche nella trasmissione delle conoscenze teoriche come la tecnica strumentale, la lettura e la teoria musicale potenziando la motivazione degli studenti grazie anche all’uso del gioco e delle innovazioni tecnologiche, in grado di esercitare una virtuosa “seduzione estetica”. L’integrazione della pratica orchestrale con la body percussion o l’uso delle percussioni didattiche, lo studio della vocalità corale come mezzo per completare la propria musicalità così come l’uso dell’improvvisazione, della conduction e della visione di video musicali definiscono una programmazione didattica che completa il musicista stimolandone ogni possibilità creativa e tecnica. Puntando sul fattore “motivazione”, la progettazione della lezione con lo sviluppo delle attività didattiche legate a giochi musicali che sviluppino tutte le componenti del musicista, dalla tecnica strumentale alla lettura, dall’improvvisazione all’interazione in orchestra, deve rinunciare alla ripetizione pedissequa di una singola attività, ma essere incentrata sulla seduzione estetica che diviene così l’elemento determinante per l’apprendimento, come già dimostrato dagli studi di Sloboda. .. Programmazione o progettazione? Due metodi a confronto L’idea di rinunciare alle sicurezze della programmazione didattica per una progettazione fondata sull’incertezza pertinente, potrebbe sembrare una . J S, Is everyone musical?, «The Psychologist» , , pp. –.


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follia, così come potrebbe spaventare un metodo che tenta di insegnare qualcosa senza segmentarla né scindere i singoli aspetti della disciplina in unità didattiche monotematiche. Eppure spesso sentiamo dire che le nuove generazioni sono molto più veloci nell’apprendere perché iperstimolate dalla onnipresente multimedialità ma tendono facilmente a disinteressarsi e a perdere attenzione. Il continuo ostinarsi della didattica tradizionale nella monodimensionalità e nella demonizzazione della multimedialità crea di fatto una barriera generazionale che separa noi dai nostri figli, accusati di non riuscire più a trovare interesse in nulla che non sia un videogioco o un cartone animato in D. Il vantaggio della didattica progettuale consiste proprio nell’innovatività e nel costante aggiornamento della metodologia e degli strumenti didattici operativi, che possono essere tranquillamente multimediali se riescono a rispettare la natura reticolare della progettazione e conseguire l’obiettivo. Infatti se si pensa all’obiettivo “suonare in orchestra” e lo si vuole realizzare secondo il modello standard adottato in conservatorio, cioè lo studio tecnico dello strumento fino al compimento inferiore (° anno per molti strumenti), lo studio della teoria e della lettura musicale per  anni (quella che nel vecchio ordinamento si chiamava licenza di teoria e solfeggio), uno studente vede iniziare la realizzazione dello stesso dopo  anni circa. Con la didattica reticolare lo studente suona in orchestra dal primo giorno, vivendo l’acquisizione della tecnica strumentale, il miglioramento della lettura musicale, l’ascolto del repertorio e la conoscenza della prassi esecutiva come mezzi per migliorare il proprio rendimento orchestrale. La difficoltà della progettazione consiste nella condizione di apparente caoticità e di mancanza di un parametro di controllo oggettivo che, rinunciando allo “ipse dixit” del progresso didattico conseguente alla verifica della precedente nozione, viene sostituito con l’abilità del docente nel modulare la lezione in modo sempre nuovo e seduttivo, usando come parametro di verifica del progresso unicamente la crescita dell’interesse, e quindi della qualità musicale, dello studente. Nel nostro caso il modello progettuale di massima è definito in un format “MusicaInGioco”, che organizza di massima le attività creando un della lezione non vincolante ma utile per orientare le attività da utilizzare. .. Il format “MusicaInGioco” L’organizzazione di massima delle attività è fondamentale per evitare il rischio di dispersione delle energie del docente come dello studente; i diversi format usati da MusicaInGioco nelle diverse realtà in cui opera (orchestre e/o cori di bambini, cori di persone con disagio psichiatrico, orchestre di detenuti, ecc.) hanno una radice comune negli strumenti operativi usati:


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Body percussion, improvvisazione vocale e/o strumentale, vocalità, giochi di tecnica strumentale, vocale, di lettura, concertazione ed esecuzione corale e orchestrale, visione di video o ascolto. Di massima, nella progettazione della lezione il docente dovrebbe saper percepire lo strumento più adatto al contesto del momento, contesto magari creato da un evento “casuale” — un ragazzo che chiede chiarimenti su un elemento spiegato, una creazione estemporanea dovuta ad un “errore”, ecc. — per decidere di concentrare l’attenzione su una pratica piuttosto che su un’altra. Dovrebbe anche evitare di marginalizzare uno degli strumenti operativi, magari evitare di non proiettare video per molte lezioni piuttosto che insistere sulla lettura invece che sull’improvvisazione creativa, ecc. Nei paragrafi successivi spiegherò sommariamente l’uso e gli obiettivi prevalenti dei diversi strumenti operativi per poi indicare alcuni esempi “schematici” (sigh) di organizzazione di format per diversi contesti: MusicaInGioco–orchestra, MusicaInGioco–coro, MusicaInGioco–corodellescarpesciolte, MusicaInGioco–orchestrasoul, MusicaInGioco–violinistaperungiorno, MusicaInGioco–jazzistaperungiorno. .. Il gioco musicale come seduzione motivante: il gioco della tecnica, il gioco della lettura Il modo più efficace per sedurre un bambino (. . . o anche un “ex bambino”) è il gioco. La progettazione della lezione deve tener conto dell’età del ragazzo ma anche degli stimoli di ritorno dalle attività svolte, che devono essere modulate o addirittura modificate, in caso di calo d’interesse. La “comoda abitudine” di ripetere fino all’eliminazione “dell’errore” è una delle prime cause di disinteresse e di “stasi seduttiva”. Anche la reiterata abitudine, di noi insegnanti, di chiedere uno studio quotidiano di tecnica prima ancora che lo studente ne senta il reale bisogno slega il progresso tecnico dal reale amore per lo strumento e per la musica. La tecnica e la lettura devono essere senz’altro studiate ma come mezzo per pervenire alla migliore esecuzione della musica, quindi lo studente deve voler suonare bene. Secondo la didattica reticolare la correzione dell’errore, almeno nella prima fase dello studio, rischia di fare più danni dell’errore stesso; in effetti sarebbe utile sostituire il concetto di errore in musica con quello di decontestualizzazione, visto che raramente si verifica un errore “puro”: una nota — o un ritmo — è sbagliata rispetto ad un contesto (una composizione o un momento della stessa) ma diviene giusta in un altro esattamente come negli sport. Nel calcio prendere il pallone con le mani, con l’esclusione del portiere nell’area di rigore, è identificato come un fallo di gioco mentre nel basket lo stesso fallo avviene se si tocca la palla con i piedi. Sfatare la paura dell’errore significa diminuirne l’effetto di insicurezza che ognuno di noi ha cristallizzato con l’uso della didattica


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lineare e quindi evitarne tutti gli effetti negativi. L’errore quindi potrà essere usato per creare estemporaneamente nuovi esercizi, creando con l’orchestra il contesto che trasforma una nota sbagliata in nota giusta. Vedremo come la creazione estemporanea di background sonori su cui improvvisare, sarà molto utile in tal senso. Ancora una volta la motivazione diviene la molla per indurre nel ragazzo la voglia di studiare e di migliorare tecnicamente; durante la lezione trasformare la tecnica o la lettura in un gioco, significa catturare l’attenzione e nel contempo unire il mezzo all’obiettivo. Infatti i giochi di lettura e di tecnica, eseguiti in orchestra, dovranno sempre raggiungere un risultato musicale o comunque dimostrare allo studente che la lettura musicale è un mezzo per arrivare con facilità all’esecuzione di repertori a lui graditi. .. La body percussion: lettura ritmica, creazione e interazione con i suoni del corpo, la pratica della scrittura ritmica, la conduction, l’incertezza pertinente nella creazione estemporanea La body percussion è una disciplina che ormai conquista sempre più consensi tra i docenti di musica e gli studenti. In effetti, riesce a coniugare diverse esigenze ottenendo il miglioramento del senso del ritmo, della lettura ritmica, ma anche della percezione ritmica e più in generale all’ascolto “cosciente”. Interagire con i suoni del corpo significa, di fatto, scoprire nuove possibilità comunicative e nel contempo esercitarsi a ricercare “il bello” ovunque e con ogni mezzo. Creare un ritmo in body percussion o semplicemente ripeterlo, leggerlo o scriverlo, significa rapportarsi con l’intero universo musicale e non solo con quello ritmico soprattutto quando, grazie alla conduction o all’improvvisazione si usa il corpo come strumento creativo per raccontare, sonorizzare o descrivere un racconto o un testo letterario in genere. In questi casi l’incertezza pertinente ci spingerà a ricercare nelle direzioni che i ragazzi stessi ci indicheranno, che potranno essere di tipo timbrico, dinamico, ritmico o di scoperta di nuovi suoni del corpo. Consiglio di cercare sul web e su youtube video e informazioni sul metodo Bapne, che sperimenta l’uso della body percussion nelle cure di diverse patologie o come prevenzione e/o riabilitazione nelle malattie degenerative. .. L’orchestra di percussioni: percussioni e/o strumenti autocostruite e principi di sonorizzazione, l’uso delle percussioni scolastiche, la conduction Le stesse considerazioni fatte per la body percussion valgono per l’utilizzo delle percussioni didattiche anche auto costruite. In questo caso sarà fondamen-


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tale insistere sull’esplorazione delle sonorità lasciando che ogni strumento divenga cuore di un’attività nei diversi usi timbrici. Anche l’autocostruzione e l’uso di strumenti come il Sax Baloon (ci sono degli ottimi tutorial su youtube), abitua il bambino alla ricerca e all’autoregolazione. La pratica ritmica e/o di ricerca sonora, in questo modo, sarà uno dei possibili utilizzi di questi strumenti e stimolerà il ragazzo nel cercare nuove sonorità anche sul proprio strumento. .. L’ear training e l’educazione all’ascolto discriminante L’abitudine ad ascoltare invece che sentire, si costruisce in tanti modi, anche giocando con il riconoscimento delle altezze come delle dinamiche come degli andamenti senza però stigmatizzare l’errore ma evidenziandone la diversità rispetto alla “giusta” percezione e alla possibile decontestualizzazione. Abituare a riconoscere le diverse altezze in contesti complessi è uno dei modi per insegnare a discriminare la corretta intonazione senza però demonizzare la stonazione o riempire di paure lo studente. Durante le nostre attività i ragazzi hanno riconosciuto la differenza di intonazione tra un’orchestra che eseguiva la sinfonia in sol minore K , n.  con il la a  Hz e una che utilizzava l’accordatura barocca — o meglio una di quelle possibili — con il la a  Hz chiede come mai suonassero lo stesso brano più grave. Gli stessi ragazzi durante le attività corali a volte stonano per semplice mancanza di interesse o di attenzione, cosa su cui è sempre importante fondare la lezione. Alcuni consigli di Alfred Tomatis (anche in questo caso youtube è utilissimo) sono molto utili per aiutare l’autoregolazione, grazie all’uso della semplice mano “a cucchiaio” intorno all’orecchio o addirittura “dell’orecchio elettronico”, e quindi l’intonazione l’emissione vocale e di conseguenza il timbro vocale. .. L’improvvisazione procedurale idiomatica e non idiomatica, uso creativo, conduction e uso compositivo L’improvvisazione procedurale non idiomatica utilizza le possibilità melodiche dello strumento in modo creativo, lasciando libero lo studente di improvvisare rispettando unicamente una “consegna” di tipo musicale — es. puoi creare quello che vuoi usando solo intervalli di terza, oppure semitoni seguiti da salti, oppure solo corde vuote, ecc. —. L’improvvisazione non procedurale non idiomatica invece tende ad usare maggiormente tutte le possibilità timbriche ed espressive dello strumento anche quelle normalmente non utilizzate nel repertorio — es. suonare con l’archetto tra il ponticello e i tiracantini, oppure suonare con la parte del legno dell’arco, ma anche usare glissati casuali, ecc. —.


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Durante la pratica della conduction, il direttore, dopo aver deciso di quale improvvisazione fare uso, “accende” o “spegne” i suoni — o gli effetti — cambia la dinamica, l’andamento o attribuisce cellule ritmiche estemporanee. Tutte queste possibilità espressive possono essere utilmente inserite nel materiale composto per l’orchestra infantile anche prendendo spunto dai grandi compositori contemporanei. .. L’improvvisazione procedurale idiomatica: il jazz, il rap, il reggae, e la lettura jazz Durante la pratica didattica dell’orchestra infantile, l’uso del jazz, come degli altri generi di improvvisazione idiomatica procedurale, diviene un momento fondamentale per aprire i ragazzi ad altri uso lessicali; nella nostra esperienza l’improvvisazione viene accolta con grande semplicità e tanto spirito comunicativo. L’improvvisazione jazz è spesso percepita come un’astrusa “arte magica”: si presume che il musicista crei estemporaneamente e spesso con una velocità notevole, materiale melodico, melodicamente e ritmicamente complicatissimo, in modo apparentemente casuale e istantaneo. La verità è ben diversa, e richiede al musicista che decide di suonare jazz professionalmente un solido approccio teorico e pratico; nelle nostre lezioni di improvvisazione jazz siamo soliti paragonare un’improvvisazione jazz ad un discorso su un argomento di cui siamo padroni fatto in lingua, sconosciuta, come il “giapponese”; il problema prioritario in questo caso non è “ciò che abbiamo da dire” ma “come lo possiamo dire” visto che il medium linguistico non è da noi conosciuto. La didattica del Jazz si occupa proprio di insegnare questo linguaggio che usa suoni, armonia, ritmo già usati, anche se mai omogeneamente e contemporaneamente, nel repertorio eurocolto, nei modi e negli usi tipici di questa grande musica. Partire dall’improvvisazione usando solo  note della scala pentatonica — es. do re fa, della pentatonica di fa — è un modo per utilizzare un formula espressiva jazz molto semplice ma comunque efficace. Il problema semiografico del jazz è semplice da spiegare ma complesso da assimilare: nel jazz le due crome si traducono in media come “semiminima–croma sotto terzina”; gli esempi di trascrizione dal / al / rendono solo approssimativamente il senso di ciò che accade in un universo caratterizzato da una personalizzazione della lettura che fornisce esclusivamente indicazioni e non prescrizioni. Creare un background sonoro su cui far improvvisazione l’orchestra è relativamente semplice: nell’esperienza pratica di MusicaInGioco abbiamo verificato che l’uso del “rap” o del reggae con un semplice ostinato dei violoncelli e/o dei contrabbassi permette ai violini e ai violoncelli di poter


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improvvisare proceduralmente anche con mezzi tecnici limitati (corde a vuoto, glissati, ecc.). Risulta invece semplicissimo costruire un background con i fiati che si potrà dirigere ritmicamente con una conduction e lasciare che a turno i bambini possano improvvisarci — es. Sib, Mi, Sol, La (intesi come suoni reali, affidati a strumenti come il sax contralto e tromba, clarinetto , clarinetto  e flauto traverso per improvvisare con le note Sib,Do, Mib) è un background che riesce il primo giorno di lezione. Sul sito dell’associazione MusicaInGioco c’è il link al canale youtube dove ci sono filmati con esempi pratici. .. La vocalità infantile e corale, mezzi tecnici e mezzi espressivi, la conduction nella pratica vocale La vocalità, per un bambino o un ragazzo, è sicuramente il mezzo espressivo musicale più usato e immediato. Nel formare un ragazzo alla “corretta” vocalità bisogna ricordare di considerare la tecnica vocale un mezzo e non l’obiettivo della didattica, pertanto qualsiasi indicazione di tipo tecnico, deve essere mutuata attraverso la volontà dello studente ad apprenderla, magari legandola ad un gioco che stimoli i processi di autoregolazione. Così la prima conoscenza della respirazione diaframmatica diviene il gioco del palloncino della pancia da riempire e svuotare d’aria, ecc. Anche l’utilizzo del “call&response”, tipico del gospel, riesce a sviluppare quella fiducia nel proprio mezzo vocale spesso repressa da pregresse esperienze o errati giudizi sommari — zitto tu, non cantare che sei stonato. Infatti bisogna ricordare e ripetere che lo “stonato” fisiologico NON ESISTE, o almeno è davvero rarissimo, circa un caso su un milione di persone. Nei prossimi paragrafi ci sarà tutto il materiale relativo al “format coro MusicaInGioco”, comune alla pratica corale normalmente inserita nel format orchestrale. .. L’uso dei video e dell’ascolto guidato nella progettazione reticolare La nostra rivalutazione della multimedialità e l’iniziale riflessione relativa alla iperstimolazione dei ragazzi di oggi, unita al bisogno di motivare e quindi interessare il giovane musicista allo studio dello strumento, porta alla naturale conseguenza dell’utilizzo di materiale multimediale. La scelta dello stesso dovrà seguire una logica di stimolazione senza barriere di generi musicali o di paura di annoiare. Nella nostra esperienza ad Adelfia abbiamo mostrato video delle esperienze orchestrali venezuelane ma anche confronti tra esecuzioni della sinfonia KV  diretta da Bernstein, Muti, Harnoncourt, Koopman per poi passare ai video postati su youtube da un violinista rap, . Cfr. www.musicaingioco.net (ultima cons. //).


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Josh Vietti o quelli del bravissimo rapper Paul Dateh, o di un virtuoso del violino beatbox, ma anche video di orchestre jazz infantili, video didattici per insegnare le note, videogiochi didattici, ecc. . I format “MusicaInGioco” .. I format MusicaInGioco Il modello progettuale di massima per le lezioni di orchestra, come di coro o altro, è definito in un “format MusicaInGioco”, che organizza, in linea di massima, le attività creando un cronoprogramma della lezione non vincolante ma utile per orientare le attività da utilizzare. Ecco alcuni format con esempi di attività. .. Il format MusicaInGioco orchestra — un esempio di lezione Il modello progettuale di massima per la lezione di orchestra è definito come segue con alcuni esempi di attività: . Body percussion call&response — semplici ritmi in body percussion anche collegati alle attività successive, alternanza suoni/silenzi, tempi semplici/composti. Talvolta è utile far partire la proposta ritmica dal bambino con risposta degli altri. . Calls&response gospel e/o Kodaly anche con indicazione della possibilità di scrivere le cose eseguite, ritmiche o melodiche; lettura con notazione Kodaly. Talvolta è utile far partire la proposta Kodaly dal bambino con risposta degli altri; in caso di “disaccordo” nome/intonazione individuare il nome giusto mantenendo l’intonazione scelta dal bambino. . Lettura body percussion con intonazione della nota (con uso del do mobile) e gesto direttivo. Pratica di uso di percussioni didattiche. . Lettura intonata di esercizi corali (anche quelli con voce e body percussion) con note e gesto direttivo, differenze dinamiche e agogiche. . Posizioni dell’orchestra: –attenti, –imbracciare il violino, –posizionare mano sx, –arco alzato,  pronti a suonare. . Gioco Ciao–ciao–amico con archi, anche con variazioni dinamiche e agogiche e/o con l’aggiunta di dita. . Concertazione ed esecuzione dei brani di repertorio e/o delle fiabe musicali con o senza base musicale. . http:\pauldateh.com (ultima cons. //).


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. Giochi di improvvisazione procedurale e non, idiomatica e non. . Visione di video didattici o di repertorio. Tempi previsti: punti –,  minuti circa (nel frattempo alcuni maestri accordano violini, viole e celli), punti –,  minuti circa, punto ,  minuti circa. .. Il format MusicaInGioco–coro Il modello progettuale di massima per la lezione di coro per bambini tra i  e i  anni è definito in un “format Coro MusicaInGioco”, che organizza di massima le attività creando un cronoprogramma della lezione non vincolante ma utile per orientare le attività da utilizzare. Ecco il format con esempi di attività: . Body percussion call&response — semplici ritmi in body percussion anche collegati alle attività successive, alternanza suoni/silenzi, tempi semplici/composti. Talvolta è utile far partire la proposta ritmica dal bambino con risposta degli altri. . Calls&response gospel, RAP e Kodaly anche con indicazione della possibilità di scrivere le cose eseguite, ritmiche o melodiche; notazione Kodaly. Talvolta è utile far partire la proposta Kodaly dal bambino con risposta degli altri; in caso di “disaccordo” nome/intonazione individuare il nome giusto mantenendo l’intonazione scelta dal bambino. . Improvvisazione Scat vocal, Rap, Gospel e Kodaly su base in body percussion. . Contare sul gesto, abitudine alle dinamiche, all’andamento, al carattere, ecc. . Canto di saluto “MusicaInGioco” con possibili varianti improvvisate. . Lettura body percussion con intonazione della nota (con uso del do mobile) e gesto direttivo. Pratica di uso di percussioni didattiche (anche autocostruite). . Lettura intonata di esercizi corali (anche quelli con voce e body percussion) con note e gesto direttivo, differenze dinamiche e agogiche. . Posizioni del coro: – attenti, – prendere cartellina – aprire cartellina – alzare cartellina,  pronti a cantare. Gioco consigliato “chiasso–posizione ”. . Breve spiegazione della respirazione diaframmatica, esercizi di inspirazione–apnea–espirazione, (––), esercizio dell’aria compressa, esercizio della “sss”. . Breve spiegazione dei risuonatori della voce, gioco delle “voci strane”, intonazione su “mi” a bocca chiusa, dischiudendo le labbra con il


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dito. Semplici vocalizzi (glissati liberi, glissato di terza,  note,  note e arpeggio staccato, ecc.). Gioco do–re–mi–re sul gesto, anche con variazioni dinamiche e agogiche e/o con l’aggiunta di punti coronati. Concertazione ed esecuzione dei brani di repertorio e/o della fiaba con o senza base musicale. Giochi di improvvisazione procedurale e non, idiomatica e non. Visione di video didattici o di repertorio.

Tempi previsti: punti –, / minuti circa, punti – / minuti circa, punto –/ minuti circa. Bibliografia De Gainza Hemsy V. (), L’improvvisazione musicale, Ricordi, San Giuliano Milanese (MI). Freschi Anna M. (, a cura di), Insegnare uno strumento, riflessioni e proposte metodologiche su linearità/complessità, EDT, Torino. Ligorio Maria B. (), Come si insegna, come si apprende, Carocci editore, Roma. Middleton R. (), Studiare la popular music, (introduzione di Franco Fabbri), Feltrinelli, Milano. Mazzoli F. (, a cura di), Musica per gioco, educazione musicale e progetto, EDT, Torino. Tosto Ida M. (), La voce musicale, orientamenti per l’educazione vocale, EDT, Torino.

Andrea Gargiulo


Coro Manos Blancas.

Giovani orchestrali del Sistema Abreu.



Quando la musica cambia la vita ISBN 978-88-548-7597-5 DOI 10.4399/97888548759758 pag. 57–68 (ottobre 2014)

Il Sistema Abreu a Napoli: nascita e sviluppo di Sanitansamble P S

Non fate leggere i protocolli scientifici ai ragazzini del Rione Sanità di Napoli. Fateli suonare e basta. Loro ci dicono così quello che, se non bastasse l’esperienza, anche studi scientifici confermano: ricerche neurobiologiche dimostrano che fare musica insieme permette di sviluppare le potenzialità personali e di migliorare le relazioni sociali. I dati tecnici i giovani napoletani possono anche non saperli. Eppure quando la smettono di scorrazzare tra i vicoli del capoluogo partenopeo a bordo dei loro motorini truccati, senza casco in testa, per mettersi a suonare Mozart e Beethoven tra i leggî della Sanitansamble dicono che la musica fa bene. Che rende migliori. Che è la forza che fa andare avanti quell’esercito di donchisciotte che in Italia si batte contro i mulini a vento dell’ottusità culturale di certa politica. Un esercito fatto di persone che quotidianamente si mettono a insegnare solfeggio ai più piccoli, a spiegare con passione come impugnare un archetto e ad andare a tempo con gli amici di leggio.

A un turista che per la prima volta si reca in visita nel rione della Sanità, situato nel cuore della città di Napoli, il dato che maggiormente risulta evidente è un disordine diffuso, una sorta di anarchia dove la legge non ha alcun effetto: dalle automobili e i motorini che ignorano totalmente il codice della strada, alle attività commerciali, un mercato perenne dove il confine tra legalità e illegalità è decisamente sottile. Un’altra caratteristica evidente correlata al disordine è l’altissima densità di abitanti, tradotta in un affollamento sia per le strade che nelle case, dove in una sola stanza vive un’intera famiglia. Purtroppo l’assenza dello Stato si traduce nell’assenza di centri di aggregazione dei giovani che, molto spesso, diventano facile preda della camorra. L’estrazione sociale degli abitanti del quartiere è molto eterogenea e la parte più debole e disagiata può essere facilmente assoldata dai clan locali per il controllo dello spaccio della droga o per altre attività . Il presente contributo nasce da un’esperienza diretta: dalla sua fondazione fino a novembre del  sono stato maestro preparatore delle viole per il progetto Sanitansamble, successivamente per lo stesso ruolo è subentrata Annamaria Sullo. Desidero ringraziare Maurizio Baratta, direttore artistico, Paolo Acunzo, direttore d’orchestra e Gioacchino Morrone, violinista, che mi hanno permesso di partecipare attivamente a questo progetto credendo nelle mie potenzialità di educatore e musicista. . P D, Orchestre Nel Belpaese la sinfonia è giovane, «L’Avvenire»,  novembre , p. .

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criminali, dando così ai ragazzi un ruolo chiaro, una gratificazione molto forte sia economica che di prestigio sociale. L’assenza di regole si riflette in un altissimo tasso di abbandono ed evasione scolastica. In questo contesto la Chiesa rappresenta un prezioso centro di aggregazione, attualmente costituito dalla basilica di Santa Maria della Sanità, nota agli abitanti come “Chiesa di San Vincenzo o’ monacone”, dove opera don Antonio Loffredo. Lo stato di degrado del quartiere, unitamente a vicende personali, ha spinto Ernesto Albanese, imprenditore di origine napoletana, a costituire l’Altra Napoli, un’associazione senza fini di lucro che ha come principale obiettivo la riqualifica del rione della Sanità. Dichiara Albanese: Fino a qualche anno fa frequentavo poco Napoli, dove ancora vive la mia famiglia. Poi, nel maggio , la tragica scomparsa di mio padre, ucciso in una rapina nel cortile di casa, mi ha fatto riflettere sul drammatico degrado della città, soffocata da mille problemi economici e sociali, da una illegalità senza pari, e soprattutto priva di una classe dirigente adeguata e quindi di concrete prospettive di rilancio. Dopo il dramma che ha colpito la mia famiglia, avrei potuto fregarmene ed abbandonare la città al suo destino. Ma ho deciso di provare a fare qualcosa, chiamando a raccolta altri napoletani che, come me, vivono altrove e che ogni giorno si fanno apprezzare per le proprie qualità e l’impegno. Proprio come mio padre aveva fatto per una vita. Con un gruppo di amici ho quindi costituito nel Dicembre  l’Associazione L’Altra Napoli Onlus, che ha oggi circa  soci, e da allora ne sono il presidente.

Già dal  l’attività dell’Altra Napoli è volta alla promozione di iniziative che possano costituire, attraverso il contributo di sponsor privati, un’occupazione per i giovani del quartiere, favorendo la nascita di cooperative di residenti che operano per la valorizzazione dei luoghi e delle risorse umane locali. Eusebio Brancatisano, Project Manager dell’Associazione L’Altra Napoli Onlus, unitamente al socio Maurizio Baratta, nel  lanciava il progetto di costituire all’interno del rione della Sanità un’orchestra giovanile composta da ragazzi del quartiere sul modello de “El Sistema” ideato da José Antonio Abreu. L’idea di Eusebio Brancatisano era quella di importare nel quartiere l’esperienza venezuelana, conservandone la sua caratteristica fondamentale: l’educazione musicale come mezzo per il riscatto sociale. Il progetto, sponsorizzato inizialmente da Autostrade per l’Italia e Tangenziale di Napoli, prevedeva la costituzione di un’orchestra giovanile di  elementi, dall’età compresa tra gli otto e i quattordici anni, residenti nel quartiere e al digiuno di qualsiasi nozione musicale. Il gruppo orchestrale formatosi dopo attente . Per l’attività di don Antonio Loffredo, cfr. A L, Noi del Rione Sanità, Milano, Mondadori, . . Cfr. www.altranapoli.it (ultima cons. //).


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selezioni era di natura eterogenea, specchio della situazione del rione, dove i ragazzi maggiormente a rischio vengono affiancati da ragazzi con una situazione familiare maggiormente agiata e strutturata. Contestualmente alla selezione dei giovani apprendisti è stata costituita una prima squadra di maestri che, in modo coeso, comprendeva lo spirito del progetto: Gioacchino Morrone (violino ), Armando Alfano (violino ), Paolo Sullo (viola), Giuliano Colace (violoncello), Luigi Salerno (contrabbasso), Luciano Spinelli (flauto traverso), Mauro Rimauro (clarinetto), Domenico Rinaldi (oboe), Maurizio Pagnotta (percussioni), e Paolo Acunzo (concertatore e direttore d’orchestra). La squadra dei maestri veniva coordinata da Maurizio Baratta, che rivestiva un ruolo fondamentale nella gestione del rapporto dei maestri sia con il gruppo dirigente de l’Altra Napoli che con le famiglie dei ragazzi coinvolti nel progetto. Già dal primo giorno, infatti, fu costituito un gruppo orchestrale che permetteva di applicare, suonando insieme, i primi rudimenti appresi durante le lezioni. I ragazzi si trovarono, infatti, in poco tempo catapultati in una nuova realtà, dove gli orari delle lezioni seguivano un calendario molto rigido e serrato. Le lezioni, interamente gratuite, prevedevano in media un impegno di ben cinque giorni la settimana: due lezioni individuali di strumento, una di fila, due di orchestra e una di solfeggio. Il coinvolgimento delle famiglie e della gente del rione è stato immediato e molto sentito. Arriva musica, dal cuore della Sanità. È nata infatti un’orchestra speciale, composta da  bambini provenienti dall’antico rione di Napoli. I piccoli allievi hanno cominciato, nella basilica di San Severo, i corsi gratuiti di preparazione e formazione musicale previsti dall’iniziativa Sanitansamble, nell’ambito del progetto di recupero urbanistico e sociale “Rione Sanità. Ieri, oggi e domani” dell’associazione L’altra Napoli onlus. Undici violini, quattro viole, tre violoncelli, due contrabbassi, due flauti traversi, due clarinetti, due oboe e due percussioni. Ai  musicisti in erba [. . . ] è stato affidato lo strumento più adatto a ciascuno in base alle selezioni curate su  aspiranti da un team di  preparatori, con test di ritmica, melodici e attitudinali. È cominciato un percorso che li condurrà, «con una metodologia dapprima ludica e partecipativa — spiegano i maestri — alla pratica e alla scoperta del grande repertorio classico, con una graduale intensificazione degli impegni».

Successivamente alle selezioni e all’inizio delle prime lezioni, un momento importante per la vita dell’orchestra è stata la cerimonia di affido dello strumento, denominata “uno strumento per amico”, dove ogni allievo riceveva dal proprio maestro uno strumento contestualmente alla sottoscri. Sanitansamble, per  bambini via alla formazione orchestrale, «La Repubblica», edizione Napoli,  marzo .


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zione da parte della famiglia di un vero e proprio contratto di comodato d’uso gratuito: allievi e genitori si impegnavano alla custodia diligente e alla restituzione dello stesso nel caso di mancata frequenza alle lezioni. Ma cosa differenzia l’esperienza di un alunno che frequenta la Sanitansamble da un allievo di un corso tradizionale al Conservatorio? A una prima analisi, dal punto di vista strettamente tecnico strumentale, le convergenze sembrano quasi totali: agli alunni della Sanitansamble è offerta una proposta didattica alquanto tradizionale, con metodi, esercizi e tecnica mutuata dall’esperienza dei maestri, tutti formatisi all’interno dei conservatori di musica. Sostanzialmente il fine sociale che si propone l’associazione, comunque preminente, non distoglie i maestri dall’attenzione a fare musica senza distrazioni o sperimentazioni didattiche. La prima grossa differenza, però, con l’esperienza tradizionale è la partecipazione immediata degli allievi a un gruppo orchestrale che comporta una serie di fattori che erroneamente potrebbero apparire come accessori, ma che costituiscono il cardine del progetto e della sua riuscita. Innanzitutto gli allievi trovano un’applicazione immediata delle conoscenze apprese durante le lezioni: anche una nota lunga, eseguita all’interno del gruppo orchestrale, ha una sua valenza pratica ed espressiva. Immediatamente, infatti, ai ragazzi è proposto un repertorio alla loro portata, fatto di corde vuote, esercizi ritmici, che mirino alla creazione di un suono comune e alla costante attenzione verso il gesto del direttore. Dopo poche settimane gli allievi, forse già abituati per la situazione del rione ad avere sempre un’attenzione continua verso ciò che gli accade intorno, erano capaci di suonare guardando il direttore, seguendone ogni variazione ritmica e agogica. Inoltre, i maestri, in particolare quelli del gruppo degli archi, da subito si sono confrontati per unificare al massimo la tecnica strumentale proposta, soprattutto per quanto riguarda la condotta dell’arco. Tutti gli allievi dell’orchestra dal primo momento condividevano l’impostazione tecnica, la quantità dell’arco impiegata in ogni brano e ogni altro piccolo dettaglio. Anche la posizione da tenere in orchestra era oggetto di esercitazioni: le prime lezioni prevedevano una serie di esercizi che avevano lo scopo di insegnare ai ragazzi a tenere un atteggiamento corretto con lo strumento. Al fine di agevolare il controllo della condotta dell’arco, così come accade molte volte in conservatorio, su ogni arco venivano apposti dei piccoli segni che lo dividevano in parti uguali. La condivisione della tecnica e il tanto tempo trascorso insieme permetteva ai ragazzi più talentuosi di poter aiutare chi incontrava da subito maggiori difficoltà. Ogni prova di orchestra era seguita da tutti gli insegnanti che potevano al momento concordare ogni singola decisione, dalle legature di espressione agli esercizi da proporre durante le lezioni individuali. Il dato che emergeva con assoluta evidenza già dall’inizio era la grande distanza


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Figura : I primi esercizi con la suddivisione dell’arco in orchestra. fra le regole condivise e applicate durante le esercitazioni e la loro totale assenza quando gli allievi posavano lo strumento. Francesco Izzo, in un bellissimo articolo apparso sul Sole  Ore riesce a fotografare con molta chiarezza questa situazione: Quando attraversi il chiostro di Santa Maria la Sanità pensi almeno a due cose. Uno: Napoli è forse l’unica città del mondo in cui un’opera religiosa è stata irrimediabilmente sfregiata da una civile, con il tufo dell’illuministico ponte di Gioacchino Murat a tagliare a metà un luogo di preghiera barocco. Due: quel posto è sintesi perfetta degli innumerevoli conflitti in una città la cui anima aristocratica non si è mai veramente riconciliata con l’anima popolare. Rione Sanità significa disordine. E proprio per questo chi nasce qui è ancora più napoletano. Eppure, se ti capita di attraversare quello stesso chiostro di mercoledì sera, pensi a una terza cosa: il disordine, ogni tanto, può generare ordine. L’ordine della musica classica eseguita dal Sanitansamble, un’orchestra di  ragazzi dagli otto ai  anni che proprio il mercoledì sera arrivano da tutto il rione per suonare il tema de «La vita è bella» di Nicola Piovani ma anche Rossini e Brahms. I maschi indossano scarpe da ginnastica con le quali fino a un’ora prima hanno tirato calci a un pallone nei vicoli, le femmine più grandi magari hanno già una sottile linea di trucco sugli occhi e, prima di entrare a suonare, per strada lanciano sorrisi ai coetanei che impennano sui motorini truccati. Con gli strumenti in mano, però, è tutta un’altra musica. [. . . ] Se lo Stato latita, la società civile c’è. E ha i suoi precisi modelli di riferimento. . F I, La Napoli filarmonica contro la camorra, «Il Sole  Ore»,  dicembre , p. .


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L’orchestra diventa dal primo momento una piccola società dove ciascuno svolge il suo ruolo nel rispetto degli altri. Oltre al naturale aiuto offerto dagli alunni più dotati a quelli più deboli, nasce pian piano l’attaccamento al ruolo orchestrale, all’importanza rivestita dalle prime parti che studiano per non perdere il privilegio acquisito. Il primo anno di vita dell’orchestra si chiuse con un bilancio molto positivo e con un toccante concerto tenuto nel chiostro della Basilica di Santa Maria della Sanità, al quale parteciparono i maestri, le famiglie e la gente del rione che applaudiva con molto calore i nuovi musicisti. Il dato che maggiormente sorprende maestri e organizzatori è la quasi totale assenza di abbandono del progetto da parte degli alunni. In un posto dove l’abbandono scolastico raggiunge cifre preoccupanti, quasi nessun ragazzo, nonostante le oggettive difficoltà iniziali, decide di lasciare lo strumento. Anche se il % dei ragazzi del rione abbandoni la scuola dell’obbligo, l’assenteismo alle lezioni della Sanitansamble è minimo, circa il %. Parallelamente alcuni dati mostrano come il percorso orchestrale abbia generato ricadute positive anche sul rendimento scolastico dei piccoli musicisti.

Tabella : Indagine condotta da «L’Altra Napoli» nel giugno del . Ma cosa favorisce l’attaccamento all’orchestra e alla musica, di solito sempre così difficile da far nascere anche in un adolescente di estrazione sociale media? Eusebio Brancatisano, Maurizio Baratta e il gruppo dirigente dell’Altra Napoli, spinti dalla voglia di riprodurre con la maggiore fedeltà possibile “El Sistema” in Italia, hanno stretto contatti con la realtà venezuelana organizzando incontri e scambi con chi in Venezuela aveva avuto un’esperienza di lavoro diretta. Incontrando il violoncellista Johnatan Guzman e il direttore d’orchestra Josè Ibarra, si è cercato di comprendere più intimamente le dinamiche del sistema ideato Abreu. Particolarmente proficuo è stato l’incontro con Luca Franzetti, violoncellista, nel maggio del , in occasione della manifestazione in cui l’orchestra ampliò l’organico


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aggiungendo due trombe e due corni. In questa circostanza si è potuto constatare come nella realtà venezuelana sia di fondamentale importanza la figura dell’educatore. Il maestro deve apparire agli occhi dell’allievo come un modello socialmente riuscito, mai insoddisfatto o pentito della propria scelta lavorativa. L’allievo deve percepire che la professione del musicista è qualcosa di simile a quella del calciatore, dove si percepiscono lauti guadagni e grande considerazione sociale. Secondo Franzetti, insomma, un ragazzo dagli otto ai quattordici anni non può avere un approccio etico all’apprendimento, ossia studia uno strumento perché è “giusto”, dove a tanti sacrifici non sempre corrispondono guadagni e la relativa importanza all’interno di un gruppo. Nell’immaginario dei ragazzi del rione Sanità bisogna far nascere un nuovo mito, quello del musicista. Questo tipo di processo, valido per ogni tipologia di alunno, si rivela ancora più forte in una realtà dove la camorra può promettere lauti guadagni e importanza a un ragazzo ancora sprovveduto di qualsiasi senso critico: il “sistema”, in questo senso, combatte la malavita con le stesse sue armi. Dopo l’incontro con Franzetti ci si è resi conto che alla Sanità l’equilibrio del “sistema” venezuelano era stato ricreato da subito quasi nella sua totalità e che l’unico tassello mancante era la costituzione, così come in Venezuela, di numerosi altri nuclei orchestrali. L’azione dei maestri, volta a costruire il mito del musicista, è stata sin da subito coadiuvata dal gruppo dirigente dell’Altra Napoli che ha cercato di far esibire l’orchestra in luoghi percepiti come “importanti” sia dai ragazzi che dal loro contesto sociale. In questa ottica si inserisce la partecipazione della Sanitansamble alla serie televisiva Un Posto al Sole, girata a Napoli. Oggi alle ., l’Orchestra giovanile «Sanitansamble» — interamente composta da bambini e adolescenti del Rione Sanità — sarà protagonista della doppia puntata di «Un Posto al Sole», la soap opera di RaiTre prodotta da Rai Fiction, FremantleMedia e Centro di Produzione Rai di Napoli. Il Progetto «Sanitansamble», ispirato al «Sistema Venezuelano» del maestro Jose Antonio Abreu — [. . . ] è finalizzata alla valorizzazione delle inclinazioni artistiche di ragazzi, spesso provenienti da situazioni familiari complesse, stimolandone la capacità di lavorare in gruppo e il rispetto delle regole condivise. [. . . ] La partecipazione dell’Orchestra giovanile diretta da Paolo Acunzo alla più famosa soap italiana, è stata fortemente voluta dalla struttura di Rai Fiction, da sempre vicina ai progetti delle associazioni attive nel sociale, che ha scelto ancora una volta di raccontare un’importante realtà del territorio.

L’esibizione all’interno di Un Posto al Sole è stata seguita da una serie di eventi televisivi e mediatici: la partecipazione alla trasmissione Alle Falde del Kilimangiaro andata in onda su Rai  il primo gennaio ; un concerto . I bimbi di Sanitansamble sul set di «Un Posto al Sole», «Il Mattino»,  dicembre .


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in occasione della visita del presidente Giorgio Napolitano a Napoli e un’esibizione per Papa Francesco in un’udienza in Vaticano. Sul piano della motivazione i concerti hanno giocato un ruolo fondamentale: hanno contribuito a rendere ancora più forte il legame dei ragazzi con il ruolo del musicista, consolidando l’idea che lo studio dello strumento può essere un mezzo proficuo per il raggiungimento di soddisfazioni personali, arricchite dalla condivisione all’interno di un gruppo di lavoro. I numerosi concerti sono stati anche un valido mezzo per sensibilizzare ancora di più l’opinione pubblica al progetto Sanitansamble. Si è commosso, il presidente Giorgio Napolitano. Davanti ai giovani della Sanità ha sentito che tutta la passione e l’amore per la propria città e per il futuro delle nuove generazioni non poteva tenersela più a lungo dentro. «Abbiamo il dovere di dare fiducia e speranza ai giovani» s’è infervorato nel discorso a braccio durante l’incontro della Fondazione «Con il Sud» nella basilica di San Gennaro Extra Moenia, riferendosi ai piccoli musicisti del gruppo Sanitansamble che hanno suonato per lui. E anche il pubblico non si è più trattenuto ed è scattato in piedi per una standing ovation. Napoli e il suo presidente. Napoli è il suo presidente. Uno dei quartieri più popolari, ricco di energie e cultura, ma martorizzato dalla criminalità, l’ha accolto con un tifo da stadio.

Figura : Con il presidente Giorgio Napolitano. La partecipazione ad eventi mediatici è stata affiancata da collaborazioni di stampo più “accademico”, come il concerto con la Junges Musikpodium . P T, «Diamo fiducia e speranza ai nostri giovani», «Il Mattino»,  ottobre , p. .


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Figura : L’orchestra Sanitansamble e il maestro Paolo Acunzo alla trasmissione “Alle Falde del Kilimangiaro”.

di Dresda–Venezia e, nel settembre del , l’incontro con il maestro Josè Antonio Abreu a Ravello durante il Festival Internazionale Musicale.

Figura : Eusebio Brancatisano, Maurizio Baratta e l’orchestra Sanitansamble con il maestro Josè Antonio Abreu.


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Inoltre, il  dicembre , Raffaele Marfella, clarinettista dell’orchestra Sanitansamble di  anni, è stato invitato dall’Orchestra giovanile di Santa Cecilia per suonare con loro l’ouverture dell’Egmont di Beethoven. Dal rione Sanità all’Accademia di Santa Cecilia. È la splendida avventura che ha vissuto Raffaele Marfella,  anni, nato e cresciuto al rione Sanità, primo clarinetto dell’orchestra giovanile «Sanitansamble», nata dalla felice intuizione dell’associazione AltraNapoli. [. . . ] Raffaele, ieri sera, ha suonato nella JuniOrchestra dell’Accademia di Santa Cecilia, che raccoglie  allievi [. . . ]. Cento di loro, scelti nella fascia compresa tra i  e i  anni, hanno eseguito la difficile ouverture «Egmont» di Ludwig van Beethoven diretti da Simone Genuini. Fra loro, alcuni parenti di persone famose, il figlio di Pierferdinando Casini e il nipote di Bruno Vespa. Ma gli occhi erano tutti per Raffaele bello e bravo e che, racconta la mamma, ancora non ci crede. Alla Carrà che lo ha intervistato ha detto di aver scoperto la musica per caso. «Raffaele è ancora emozionato — dice la madre Teresa — non vuole togliere la felpa dell’Accademia. Per lui è un sogno ma siamo ancora tutti frastornati». Quattro anni fa il direttore di Sanitansamble, Paolo Acunzo, portò i ragazzi ad assistere ad un concerto di Santa Cecilia, promettendogli che un giorno ne avrebbero fatto parte. Per Raffaele il sogno è diventato realtà.

Negli anni il progetto Sanitansamble è stato oggetto non solo di ripetute attenzioni da parte del mondo dei media, ma ha trovato anche collocazione nei progetti editoriali di diversi autori quali Cinzia Massa e Vincenzo Moretti, nel libro Rione Sanità — Storie di ordinario coraggio e straordinaria umanità e Ambra Radaelli in La Musica salva la vita. L’orchestra è divenuta col tempo anche fonte di ispirazione per compositori: hanno elaborato brani ad hoc per gli allievi della Sanità compositori già affermati nel panorama musicale napoletano: Daniele Sepe, Gaetano Panariello e Antonello Paliotti. Non meno numerose sono state le attenzioni del mondo del cinema, essendo stati realizzati due Docu–Film. “Up” con la regia di Massimo Coppola a cura della Fondazione Vodafone, per festeggiare i dieci anni di impegno del sostegno di progetti nel Sociale, ha scelto e premiato “Sanitansamble” fra i quattro progetti più rilevanti da documentare e celebrare. Nello stesso ambito si colloca la visione in anteprima nazionale del docu–film “Sanitansamble” del  aprile  presso il cinema Delle Palme di Napoli: prodotto dall’Associazione Onlus “Pianoterra”, il film documenta come i ragazzi siano diventati protagonisti di “storie di tutti i giorni” della loro abituale vita legata al loro impegno nel progetto, divenendo così testimonial . E S, Raffaele,  anni, dalla Sanità all’orchestra di Santa Cecilia, «Il Corriere del Mezzogiorno»,  dicembre . . C M–V M, Rione Sanità — Storie di ordinario coraggio e straordinaria umanità, Roma, Ediesse, ; A R, La musica salva la vita: il sistema delle orchestre giovanili dal Venezuela all’Italia, Milano, Feltrinelli, . . Traccia n.  del dvd allegato alla presente pubblicazione.


Il Sistema Abreu a Napoli

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di come sia possibile raggiungere, partendo da un contesto così disagiato, non solo obiettivi sociali, ma anche musicali ragguardevoli. L’introduzione dell’esperienza venezuelana nel contesto napoletano, rappresenta, in ultima sintesi, quasi una riscoperta del passato della città partenopea. Già dalla nascita dei quattro antichi conservatori di musica, a partire dal Seicento, l’educazione musicale rivestiva una funzione di recupero sociale, soprattutto nei confronti dei ragazzi orfani, poveri e maggiormente disagiati. Il primo capitolo delle “Constitutiones” del Conservatorio dei Poveri di Gesù Cristo, infatti, recita Il Conservatorio delli Poveri derelitti è stato istituito per rimediare a’ poveri figlioli che vanno spersi per la Cità che non hanno ne Patre ne Matre et se l’hanno no li possono notrire et de facto non li notriscono.

Soprattutto nel diciannovesimo secolo, anche nell’Albergo dei Poveri, fondato nel  da Carlo III di Borbone, vennero ricoverati un gran numero di ragazzi disagiati: Non si trattava dei mezzi da opprimere i mendici, da disperderli, e dissiparli con un mal inteso vigore. [. . . ] Si trattava eziandio di dare ricovero, ed educazione a quel numero di fanciulli orfani, che giacevano derelitti sulle strade. [. . . ] Tutte le sale disponibili del Real Albergo dei poveri vennero messe in buono stato per accogliere individui di qualunque età, sesso, e condizione. [. . . ] Era intanto necessario di occuparli tutti nei travagli, onde né il Governo, né essi sentissero i danni dell’ozio. [. . . ] In quanto ai fanciulli han subito anch’essi diverse destinazioni. Si son fatti prima purgare dalle loro sozzure, e dai mali, dai quali erano infetti. Indi tutti coloro ch’erano di buon temperamento, ed atti ai lavori, son passati nel Reale Albergo ad imparare un mestiere. Altri si son conceduti a probi agricoltori, che di buon grado son concorsi a riceverli come figli, ed istruirli nel loro mestiere. I discoli poi sono stati addetti alle scuole dei tamburi, e dei piffari, ed al travaglio nelle strade e negli edificj di conto regio e dei particolari. [. . . ] 

Non è solo lo scopo sociale ad accomunare Napoli con “El Sistema”, ma anche il metodo a cui si ricorse per istruire il maggior numero di alunni possibile e con il minor costo: il “mutuo insegnamento”. . S D G, I quattro antichi Conservatorii di musica a Napoli, Palermo, R. Sandron, –, vol. , p. . . P S–A S, La scuola di musica nel Reale Albergodei Poveri di Napoli, Grottaminarda, Delta edizioni, . . A S, Prospetto delle prime operazioni eseguite in Napoli d’ordine di Sua Maestà per la estirpazione dei mendici, Napoli, Cateneo e de Bonis, , p. . . Ivi, pp. –. . Ivi, pp. –. . Regole e Statuti del Real Conservatorio da osservarsi dalli Ministri, Maestri, Alunni e Serventi, Anno Domini , ms., I–Nc, .. (). Questo interessante documento viene riportato, anche se


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Paolo Sullo Ecco come si praticava: il maestro sceglieva quattro o cinque alunni più valenti [i Mastricelli], ed insegnava loro colla massima accortezza, ad uno ad uno, presenti tutti quanti, la lezione del giorno. Quando aveva terminato di spiegarla, ognuno degli alunni che l’aveva ascoltata, la comunicava a quattro o cinque di una classe inferiore, che alla loro volta facevano lo stesso con altra classe secondaria, e la lezione si propagava così fino alle infime classi.

Per la realtà orchestrale del quartiere Sanità il prossimo passo da effettuare, in conformità con l’esperienza venezuelana, è la costituzione di nuovi nuclei orchestrali, che offrano la possibilità agli allievi più bravi e di maggiore esperienza di diventare a loro volta formatori di nuovi musicisti. Attualmente il progetto Sanitansamble, sostenuto come uno dei diversi progetti curati da l’Altra Napoli, oggi si configura in maniera piuttosto autonoma, essendosi costituito in “Associazione Sanitansamble”, con uno specifico gruppo dirigente al quale afferiscono anche tutte le realtà societarie e professionali che l’hanno aiutata a nascere e a consolidarsi nei suoi primi sei anni di attività. L’obiettivo principale dell’Associazione Sanitansamble, che speriamo possa realizzarsi nel prossimo , è quello di far nascere un nuovo nucleo orchestrale (“junior”), con ragazzi dagli otto agli undici anni, che vada a integrare il gruppo originario. Paolo Sullo

parzialmente, in F F, La scuola musicale di Napoli e i suoi conservatorii, Napoli, Morano, –, vol. , pp. –; Regole del Venerabile Conservatorio di S. Maria della Colonna, detto de’ Poveri di Giesù Cristo. Riconosciute ed approvate, dall’eminentiss. e reverendiss. principe D. Francesco Cardinal Pignatelli Vescovo di Porto, Decano del sacro Collegio, Arcivescovo di Napoli Nell’anno MDCCXXVIII, Napoli, Novello de Bonis Stampatore Arcivescovile, . Per la trascrizione e l’analisi del documento cfr. R C, Note su un regolamento del “venerabile conservatorio di S. Maria della Colonna, detto de’ Poveri di Gesù Cristo” (), in Leonardo Vinci. Architetture musicali della Napoli del Viceregno austriaco, Atti del convegno Reggio Calabria, – giugno , a cura di Gaetano Pitarresi, Reggio Calabria, Iiriti Editore, , pp. –; EAD., La formazione del musicista nel XVIII secolo: il “modello” dei Conservatori napoletani, in Composizione e improvvisazione nella scuola napoletana del Settecento, a cura di Gaetano Stella, numero monografico della «Rivista di Analisi e Teoria Musicale», XV/, , pp. –. . F, La scuola musicale di Napoli e i suoi conservatorii, cit., vol. , p. .


Quando la musica cambia la vita ISBN 978-88-548-7597-5 DOI 10.4399/97888548759759 pag. 69–83 (ottobre 2014)

La Piccola Orchestra delle Musiche del Mondo: i Suoni, i Segni, i Sogni L B

D — Quando pensi alla Piccola Orchestra delle Musiche del Mondo, a cosa pensi? R — Penso a divertimento, fantasia. . . e musica, soprattutto musica. E magia, perché è come se si formasse una magia speciale quando siamo nell’aula e suoniamo tutti insieme. Mi piace troppo! Mi emoziona parlare di questa cosa. . . Già quando parto da casa che ho il pensiero di venire qui alla Pomm già sto bene, mi piace.

Figura : La Pomm per la prima volta in scena in Di pirati, d’amore e d’altre musiche (Teatro “Cafaro” — Latina, giugno ). Ogni volta che riascolto le parole di Laura l’asticella della soddisfazione si impenna. Perché Laura è un’idea che si realizza. È un sogno, sognato quattro anni fa, quello che risuona in lei, di cui lei testimonia la verità per sé e in sé. E in me. E in tutti i ragazzi della Piccola Orchestra. . Le fotografie del presente contributo sono di Giangiacomo Montemurro, Paolo Vescovo e Antonio Puglisi. . Da qui in avanti anche Pomm.

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Il sogno, all’atto della gestazione, era quello di costruire uno spazio di condivisione musicale dove giocare al gioco dei suoni e della vita, sperimentare l’acustica e le estetiche, esplorare se stessi, l’altro/a e gli altri, le relazioni interpersonali e le sinergie, la complicità e i conflitti, assonanze e dissonanze dei ritmi e delle armonie dell’essere. La pratica collettiva musicale e ancor di più la struttura stessa del laboratorio che la accoglie sono una sintesi esemplare di quella società ideale che l’orchestra rappresenta, e che nell’esperienza della Pomm si sperimenta ancor prima di diventare musicisti (o magari diventandolo proprio in virtù di questa esperienza) grazie al potenziale musicale di ciascuno, al naturale patto di amicizia che con i suoni, nostri e degli altri, stringiamo ben prima di nascere quando il suono è movimento vita cambiamento azione agìta e relazione, sostenuti nell’impegno dalla gratificazione che il ‘fare con i suoni’ ci dà, vissuto con serietà e serenità, tra arte e disciplina, e alla acquisita consapevolezza che insieme è più bello. R – È un momento di divertimento, di svago. Ci creiamo un mondo tutto nostro. Suonare in un’orchestra, spiega infatti il maestro Abreu, è molto di più di studiare la musica. Significa “entrare in una comunità, in un gruppo che si riconosce come interdipendente”, perseguire insieme uno scopo.

Il sogno prevedeva anche un modo ‘onirico’ di realizzare la pratica musicale collettiva, il più semplice sognabile: imparare a suonare suonando: immergersi nella musica e riemergerne ogni volta accresciuti di un pezzetto di identità musicale in più, prendendo in prestito modelli altri, vicini e lontani, suoni e strumenti di ogni luogo, ritmi e parole e melodie e accenti e timbri di tutto il mondo. . . L’obiettivo ultimo, non sembri presunzione, è la felicità. Felicità come esito del potersi esprimere e del poter essere. Del ben–essere. Nelle risposte dei ragazzi dell’ensemble, nel gioco estemporaneo dell’intervista fatta qualche settimana prima del convegno, la Pomm ha vinto la sua scommessa, generandosi nel suo stesso esistere e ponendosi, pur nel suo infinitamente piccolo essere, come possibile modello di crescita con/alla e nella musica, luogo concreto di sviluppo personale e sociale, in ogni direzione: cognitivo–comportamentale, emotivo–affettiva, socio–relazionale. Un minuscolo esempio di didattica edificata sull’attenzione al sé e all’altro, attraverso un desiderato terzo altro che è il suono, la musica in generale, e ogni . R A, “Un’orchestra e un coro in ogni città”. Il sistema ‘Abreu’ conquista il mondo, in http://www.repubblica.it///sezioni/spettacoli_e_cultura/abreu-bolivar/abreubolivar/ abreu-bolivar.html (ultima cons. //).


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progetto musicale in particolare, cui affidiamo le transazioni comunicative del nostro fare/essere significato.

. Piccola Orchestra delle Musiche del Mondo: un modello? L’orchestra è una società che pratica per definizione l’interdipendenza, l’orchestra è un’impresa collettiva in cui tutti sono d’accordo nella voglia di affrontare brani sempre più difficili, e questo forma la personalità di ogni ragazzo: previene la droga, previene la violenza, ed è uno strumento insuperabile di sviluppo sociale. La musica opera questo miracolo: costruttivo, seduttivo, creatore, nel bambino e nell’adolescente. Costituita in origine da bambini e ragazzi in età della scuola dell’obbligo, la Pomm è un ensemble nato nel  e realizzato in convenzione con il Conservatorio “Ottorino Respighi” di Latina, con l’obiettivo di sviluppare le potenzialità musicali delle giovanissime generazioni attraverso un laboratorio strumentale che fosse allo stesso tempo — — — —

educativo formativo ludico performativo

Dal  accoglie al suo interno il progetto La Pomm dei Piccoli, un laboratorio specificamente pensato ed organizzato per i piccolissimi dai tre ai cinque anni, e consente la frequenza anche a ragazzi dei primi anni delle scuole secondarie di II grado, mentre dall’Anno Accademico – saranno attivati i laboratori de Il Nido della Pomm (– anni). Fin dall’inizio, la Pomm si orienta prevalentemente all’esecuzione di musiche di paesi lontani e di brani del repertorio tradizionale del nostro territorio. Questo sembrerebbe uno degli aspetti più originali tra le formazioni giovanili orchestrali e musicali in genere, caratterizzandola per unicità in termini di progettualità, organizzazione, metodologia ed esiti artistici. Proprio per la sua originalità e per l’interesse che ha suscitato da subito negli ambienti educativi e didattico–musicali, il progetto è stato presentato in diverse occasioni in Italia e all’estero, tra le quali all’Università di Nicosia nell’ambito del programma internazionale di pedagogia musicale Creativity, improvisation and world music in education. . http://www.musicaingioco.net/chisiamo.html (ultima cons. //).


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Figura : Bambina dell’orchestra all’udu. . La struttura dei laboratori — annuali (da ottobre a giugno); — un incontro settimanale di cinquanta minuti; — organizzazione per piccoli gruppi (dai sei bimbi del Nido ai — massimo — quindici nei gruppi dei ragazzi dagli  anni in su). D — A chi consiglieresti di venire alla Pomm? R — Io lo consiglierei praticamente a tutti. Cioè anche agli adulti, ai vecchi, mi piacerebbe perché coinvolge tutti, sarebbe bello. . . D — E cambieresti qualcosa nella struttura dei laboratori? R — Allungherei un po’ il tempo o raddoppierei le giornate, aggiungerei altri giorni. . .

. I Suoni D — Tra qualche giorno dovrò parlare della Pomm in un convegno. La mia relazione si intitola: “La piccola orchestra: i Suoni, i Segni, i Sogni.” Cosa dovrei dire, secondo te? R — Bè, se penso ai suoni, penso a tutte le musiche abbiamo suonato e che sarebbe bello suonare nei prossimi anni. E penso anche a tutti gli strumenti che


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Figura : In prova al Teatro “Cafaro” — Latina, giugno .

abbiamo. . . io sono stata ‘rapita’ dal pandeiro, ma anche lo xilofono, il metallofono, mi piacciono molto. . . R — Alle musiche e agli strumenti. Il più bello è la marimba. E mi piacciono anche il surdo e l’udu. Cioè diciamo che mi piacciono tutti, però la marimba di più. Declinando il titolo dell’intervento al Convegno, i nostri suoni sono probabilmente rappresentati dal repertorio, sono i suoni degli strumenti, e


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Figura : Settimana della Musica al Liceo Musicale di Latina, maggio . poi tutti quelli che scopriamo e in qualsiasi modo li combiniamo per dar voce alle nostre idee. Più nel dettaglio: — i repertori di musica popolare e folclorica, il multietnico in senso ampio, cui si affiancano composizioni inedite su modelli tradizionali, con arrangiamenti specificamente pensati per lo strumentario didattico ed etnico di cui disponiamo; le improvvisazioni e le invenzioni codificate dei ragazzi; — gli strumenti: lo strumentario di proprietà dell’associazione a disposizione per i corsi, le attività e gli spettacoli si arricchisce di anno in anno sulla base delle necessità performative e delle tematiche, mediante l’acquisizione di strumenti tradizionali e didattici, nonché etnici specifici delle culture musicali che metaforicamente ‘visitiamo’ nei laboratori. Nel particolare la Pomm dispone di un vasto strumentario Orff (xilofoni, metallofoni, glockenspiel, triangoli, legnetti, cassettine, sonagli, tamburelli, woodblock, tone block, guiro ed altri) ma anche strumentazione tradizionale ed etnica (marimba, chitarra, banjo, cavaquinho, pandeiro, surdo, tan tan, congas, maracas, tambourin, balafon, pao da chuva, sarangi, piatti, sonagli, tamburo africano, tuono, oceandrum, caxixi, djembe, tabla, campane tibetane, campane tubolari, recoreco, darbuka, bongos, tampura, udu, kalimba, cetra, nacchere, castagnette, ocarine, flauti e altri); — il modo di utilizzo degli strumenti: in modo tradizionale, certo, ma molto spesso anche in modo informale, guidati da un’idea, un progetto da


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realizzare, attraverso le attività di esplorazione, ricerca, organizzazione, esecuzione, (talvolta registrazione), riflessione sull’esecuzione, eventuali cambiamenti rispetto all’idea originaria concordati dal/nel gruppo. R — La cosa più bella è aver provato un sacco di strumenti. Mi piace molto suonare con gli altri: è fico perché ci sono tante parti, e tutto insieme è bellissimo.

Figura : Un momento dei laboratori (Auditorium del Conservatorio di Latina — autunno ).

. I Segni R — La Pomm lascia il segno perché il me la ricorderò per sempre, ricorderò tutte le musiche che ho imparato. Se i segni sono la traccia del vissuto, la geografia delle nostre esperienze si disegna su una mappa le cui parole calde concernono — cosa comunichiamo, come comunichiamo: come si gioca a parlare la musica? come si prende la parola nel fluire del discorso sonoro? Come si decide? — le esperienze (il laboratorio stesso, ciascun incontro. E poi gli spettacoli, sul palco e dietro le quinte);


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— i segno grafico, traccia dei nostri suoni. Qualche volta infatti i segni sono anche le partiture. Non le usiamo in senso stretto. I pezzi li impariamo tutti suonandoli (attraverso attività di ascolto, imitazione, memorizzazione, indovinelli–ricerca, deduzione/induzione, invenzione, codifica), ma per ragioni funzionali ci cimentiamo anche nella traduzione segno–suono o suono/segno; — il repertorio. Naturalmente cerchiamo di non lasciare segni in negativo, in nessun senso. Ad iniziare dall’idea di accoglienza totale che pratichiamo fin dall’ingresso in Orchestra: il progetto è aperto a tutti, per entrare nella Pomm non c’è selezione, solo una prova attitudinale pensata da una parte per consentire al bambino o al ragazzo (e alle famiglie) un primo contatto con noi, per i più piccoli a consentire loro di conoscere il nuovo ambiente, organizzato in un modo diverso dalla casa o gli altri luoghi che frequenta; dall’altra per assumere informazioni utili a formare i gruppi di laboratorio nel modo più funzionale. I gruppi sono costituiti tenendo conto di diverse variabili. Generalmente si prova a conciliare diverse esigenze, ad iniziare dall’età. L’eventuale differenza di livello performativo invece raramente è una discriminante. Il gruppo ‘storico’, attualmente costituito da circa quindici tra bambini e ragazzi che sono in Pomm dalla sua fondazione, teoricamente si configurerebbero come gruppo chiuso per esperienze e competenze sviluppate, ma anche quest’anno, previa attenta valutazione, abbiamo deciso di inserirvi dei ragazzi nuovi che si sono integrati in modo straordinario. R — I segni. . . direi i segni che lascia nella gente che vede gli spettacoli o in tutte le persone che partecipano. . . portano un segno dentro di loro, è importante perché la Pomm lascia proprio il segno nell’animo della persona. D — A te ha lasciato segni? R — A me ha lasciato tante cose. . . emozioni. . . che magari a pensarci sembrano banali, a raccontarle non sembrano così importanti. . . Invece lo sono! I segni che speriamo la Pomm lascerà sono senz’altro di tipo musicale, stratificato, ma anche di gioia e rapporti con gli altri. Ma questo credo sia il sogno. . . . La Metodologia Seduti in cerchio, i bambini osservano. Gli occhi bene attenti sugli oggetti misteriosi che occupano il centro della scena. Il gioco lo conoscono già,


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lo abbiamo fatto tante volte, ogni volta che arrivava un nuovo strumento. Ligi alle regole, prima osserveranno e fanno delle ipotesi, cercando di svelare ogni segreto del nuovo arrivato. Poi la prova ‘empirica’ e le nuove scoperte. . . 

Figura : In laboratorio con l’insegnante Michele (Conservatorio di Musica “Ottorino Respighi” — primavera ). Nella prospettiva dell’educazione interculturale e di integrazione socio–culturale, e soprattutto in linea con l’orientamento didattico contemporaneo del learning by doing, il progetto si realizza esclusivamente in forma di laboratorio. In tal modo si promuove l’apprendimento della musica attraverso esperienze concrete di incontro con i suoni e la musica, inserite in una cornice ludica. Gli itinerari didattici sono quindi sempre proposti in forma di gioco, con differenti modalità e strategie mirate in base ai gruppi e all’età dei partecipanti. Attraverso la musica i giovani strumentisti si incontrano su un territorio di confronto, comunicazione, espressione e scambio, entrando in relazione significativa con gli altri e con sistemi culturali differenti dal proprio, secondo principi di pedagogia musicale attiva. Principi e attività che consentono loro di attuare un percorso di crescita musicale ed educativo in generale per ‘immersione nell’esperienza sonora, sia negli incontri laboratoriali che nelle occasioni performative. . Laboratorio di giovedì  marzo , appunti di I. C., studentessa di Didattica del Conservatorio di Frosinone, tirocinante presso la Pomm.


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L’approccio non mira né specificatamente né prioritariamente all’acquisizione di abilità tecniche, che tuttavia in maniera naturale maturano funzionalmente ai progetti da realizzare e nel pieno rispetto delle attitudini, dei tempi e delle modalità proprie di ciascuno. La competenza che si persegue è invece una competenza di tipo complesso, completa, sintetica, rappresentativa in sé delle forme e dei modelli del pensiero musicale, che è appreso nella sua globalità. I momenti analitici chiarificano e rinforzano gli apprendimenti, le dinamiche ricorsive concedono il tempo per la maturazione e l’approfondimento. Sullo sfondo, ovvero con l’intenzione che tale proposito permei di sé tutte le attività della Pomm, è forte la convinzione che questa iniziativa possa nel suo piccolo provare a contrastare le cause di un crescente e diffuso disagio sociale. In questa direzione si propone di circuitare valori etici attraverso l’arte. Nei principi di metodo, l’obiettivo di contribuire ad una buona socializzazione del gruppo si concretizza favorendo la sperimentazione di diversi modi di lavorare insieme con la musica, con tutto ciò che questo comporta: rispetto per i tempi e le idee di tutti, autocontrollo per inserirsi nei ritmi del gruppo, condivisione della soddisfazione per quanto realizzato. R — Si creano amicizie. Anche forti, con qualcuno. Ma tutte le persone sono importanti. . Gli Obiettivi Su un’idea generale di valorizzazione dell’espressione musicale nei suoi aspetti cognitivi e meta cognitivi, linguistico–comunicativi e tecnico–pratici, si innestano obiettivi più specifici che — senza pretesa di esaustività, né in ordine tassonomico — potrebbero essere declinati come di seguito: — Fare musica attivamente; — Conoscere repertori, strutture musicali, elementi di base e forme elaborate di linguaggi musicali di diverse culture; — Vivere e sperimentare l’esperienza musicale di gruppo come incontro, dialogo, scambio, socializzazione; — Scoprire, esplorare e sviluppare con consapevolezza e responsabilità la propria personalità, musicale e generale; — Esprimere e valorizzare la personale sensibilità musicale; — Realizzare progetti sonori individuali e collettivi; — Sviluppare, realizzare e potenziare le personali capacità creative; — Arricchire la propria identità globale e musicale;


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— Accrescere il proprio bagaglio di conoscenze e abilità specifiche e generali; — Entrare in relazione con l’altro, sviluppando la competenza sociale attraverso l’espressione sonora; — Contribuire fattivamente alla realizzazione di progetti musicali sperimentando l’interdipendenza positiva tra i membri di un gruppo; — Sperimentare ruoli/regole sociali.

Figura : Metallofoni e sezione ritmica per Tao balalao (Concerto al Liceo Musicale). La musica è considerata nella sua valenza comunicativa, nella sua potenzialità di porsi come spazio di costruzione delle relazioni interpersonali, dapprima nell’ambito del gruppo che partecipa direttamente all’esperienza musicale, in un secondo momento tra questo ed un altro insieme di persone che — ad esempio — dovesse assistere all’esperienza stessa (pubblico). È inoltre considerata efficace strumento di integrazione culturale e sociale e come modalità per lo sviluppo delle intelligenze dell’essere umano. . In scena. Gli Spettacoli Quattro gli spettacoli finora realizzati, uno per ciascun anno di attività. Per il primo anno, dedicato alla musica indiana ed indonesiana, la Pomm ha messo in scena Di pirati, d’amore e d’altre musiche rappresentato al Teatro Cafaro di Latina, al Chiostro di San Domenico di Fondi per la Settimana


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Culturale Fondana e a Cisterna in occasione della Settimana dei Linguaggi Espressivi. La Pomm si è poi esibita al Festival del Videocorto di Nettuno nel luglio  e, nel marzo , è salita sul palcoscenico del Teatro D’Annunzio per la rassegna “Contemporanea”, con lo spettacolo Salgari, corso Casale , scritto e diretto da Clemente Pernarella, con Clara Galante, Tullio Sorrentino, Melania Maccaferri ed Enzo Provenzano. è stata inoltre invitata a prendere parte alla Settimana della Musica al Liceo Musicale di Latina, al Festival Pontino del Cortometraggio, al Maggio Musicale Sermonetano, al Festival di Fogliano Estate. In ogni occasione l’accoglienza di pubblico e critica è stata entusiastica, sia per l’originalità del progetto e sia per oggettivo livello globale delle performance finali.

Figura : Suoni e magie dell’India per l’omaggio a Emilio Salgari. Il progetto formativo del secondo anno di attività è stato incentrato sulla cultura brasiliana e portoghese: musiche del vasto repertorio della tradizione popolare accanto a composizioni originali ispirate a temi e ritmi brasiliani fanno infatti da trama sonora a Pedro Pallottola, il Professore e Siccità — Cronache musicali di una banda di Bahia, un omaggio ai bambini di strada nel Brasile di Jorge Amado nel centenario della nascita dello scrittore (adattamento del testo Capitani della spiaggia) che i ragazzi della Pomm hanno presentato il  giugno al Teatro “Cafaro” di Latina, dopo l’applaudita anticipazione della performance presentata il  maggio all’Auditorium del Liceo Musicale di Latina, in occasione della Settimana della Musica. Nel giugno , all’Auditorium Dante Alighieri, l’ensemble ha realizzato lo spettacolo Facciamo che eravamo neri?, eseguito in anteprima al Conservatorio “Respighi” di Latina in occasione della Festa della Musica.


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Figura : Ragazzi dell’orchestra al gong, alla campana di cristallo e alle campane tubolari.

Con il loro racconto musicale, il cui titolo evoca il gioco simbolico del far finta che. . . , i ragazzi della Pomm hanno ripercorso un itinerario sonoro ‘nero’, tracciando le linee evolutive salienti della musica afroamericana a partire dai retaggi della musica africana, gli spiritual ed il gospel, passando per i worksong, il blues, le ballate dal sapore d’Irlanda e le influenze della musica degli immigrati in America, il ragtime e gli spettacoli di cabaret fino al musical di Broadway, suggestivamente incorniciati dalla drammatica cronaca della devastazione della città di New Orleans dall’uragano Katrina. Il testo, a metà tra la cronistoria e la poesia, scritto per l’occasione da Lidia Cardi ed accompagnato delle immagini di Luca De Cristofaro, è stato interpretato dalle voci recitanti di Tiziana Corese e Gaetano Varcasia. A condividere questa avventura, sul palco i musicisti Vincenzo Zenobio ed Eugenio Varcasia, oltre ai giovani cantori del Coro di Voci Bianche del Conservatorio preparati da Nicolò Iucolano. È l’Africa delle fiabe amate da Nelson Mandela quella che fa da sfondo ai suoni degli strumenti Pomm a chiusura dei laboratori –. Tanto tempo fa il Sole aveva un figlio è uno scrigno di parole e suoni, è la Grande Africa de I doni del re Leone, del Guardiano del Lago, de La Madre che divenne polvere (la fiaba da cui prende spunto il titolo dello spettacolo), e degli altri racconti selezionati dal Nobel per la pace: «Le mie storie più care» così le definisce Mandela, esprimendo il desiderio: «che in Africa la voce del cantastorie possa non morire mai, e che tutti i bambini africani abbiano la possibilità di sperimentare la magia dei libri senza smarrire mai la capacità di arricchire la


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Luigia Berti

Figura : Con gli attori e i musicisti professionisti sul palco dell’Auditorium “Dante Alighieri” in Facciamo che eravamo neri? (giugno ). loro dimora terrena con la magia delle storie». Il nostro, di desiderio, è che questa magia, sospinta anche dalla musica, arrivi a tutti i bambini del mondo sulle note di ninne nanne tradizionali come Mamuiesa e Ulélé moliba makasì, di canti guerrieri come Ikamazimba, di melodie mitiche in onore dell’ultimo Re come The lions sleeps tonight, o ancora della allegra Pata pata, un inno alla gioia che divenne simbolo di rivendicazioni contro le discriminazioni, costando alla sua autrice Miriam Makeba da tutti conosciuta come ‘Mama Africa’ un esilio durato trent’anni, interrotto solo dall’intervento di Mandela. Tanto tempo fa il Sole aveva un figlio è, oltre che in ordine temporale l’ultima rappresentazione messa in scena dalla Piccola Orchestra delle Musiche del Mondo, anche la Madre sonora che per la prima volta ha accolto sul palco in un simbolico abbraccio artistico i musicisti in erba della Pomm dei Piccoli, i bimbi dai  ai  anni, nel debutto di giugno  all’Auditorium del Liceo Classico di Latina, dopo una emozionante anteprima a Fossanova.

. I Sogni Dell’infatuazione onirica che ha portato alla nascita della Pomm abbiamo detto. Ora il sogno è che il progetto si espanda, che possano nascere tante Piccole Orchestre, che aumenti il sostegno all’iniziativa, la disponibilità delle strutture pubbliche, la volontà dei professionisti di dedicarvisi nello stesso spirito con il quale la Piccola Orchestra è nata ed ha mosso fino ad oggi i suoi passi. In questo spirito, il sogno non può che essere quello di sognare con i ragazzi che della Pomm sono il cuore, e l’anima, e la testa, e la Musica: “Il


La Piccola Orchestra delle Musiche del Mondo

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Figura : Congas: attrazione fatale e divertimento post concerto.

Figura : Gli applausi nell’incantevole scenario di Fossanova (maggio ). mio sogno è suonare” dice Giacomo, “Il mio è continuare per sempre” aggiunge Laura “E andare anche in altri posti, in altri paesi, cercare anche altri gruppi, formarne altri in altre città e poi farli unire. . . sarebbe bello. . . ” Sarebbe bellissimo. Luigia Berti


Orchestra del Sistema Abreu.


Quando la musica cambia la vita ISBN 978-88-548-7597-5 DOI 10.4399/978885487597510 pag. 85–89 (ottobre 2014)

A Slum Symphony — Allegro Crescendo: la musica come opportunità di crescita e di cittadinanza C B

Salve, vi ringrazio di avermi invitato, farò una breve introduzione dato che ho portato un piccolo assaggio del mio film documentario. Inizio spiegandovi brevemente quella che è stata la “genesi” che mi ha portato a seguire per  anni un gruppo di  ragazzini del Sistema di Orchestre del Venezuela. Nel  circa, avevo già cercato di fare questo documentario, volevo seguire i ragazzi dal Venezuela fino al tour in Italia del , ma in realtà non ho avuto un grande feed back per quanto riguarda i principali canali televisivi italiani. Parliamo di circa dieci anni fa. Forse il Sistema non era ancora così noto come lo è oggi. Qualche anno dopo, perché alla fine sono piuttosto testardo su alcune cose, mentre facevo l’autore e il regista per Superquark, ho proposto di realizzare un servizio sul Sistema venezuelano. Il servizio, di circa  minuti, una volta messo in onda, nel , andò benissimo in termini di ascolti. Ci fu un’accoglienza da parte del pubblico televisivo davvero interessante. Registrammo, addirittura contro una partita, un ascolto importante, con tantissimo interesse e molte mail da parte dei telespettatori. A quel punto mi sono chiesto: perché non farne un racconto filmico, che segua la vita di questi ragazzi? Il terreno dal punto di vista televisivo era stato aperto e visti i risultati, c’era più disponibilità. Ovviamente non pensavo di farlo per cinque anni. Il mio precedente film documentario in Iraq Lo Sguardo Negato, mi aveva molto impegnato per le riprese e soprattutto per il montaggio e pensavo di non ripetere quel tipo di esperienza. Invece, alla fine, ho rilanciato come durata delle riprese. . . ben cinque anni! Sono stato totalmente catturato dalla vitalità dei ragazzi, dalla loro gioia, dalle vicende: questi sono ragazzi che vivono in situazioni di difficoltà enorme. La musica gli strappa molto spesso un’arma di mano, dato che vivono in un ambito, quello del Venezuela, che non è quello di un Paese poverissimo, ma dove però c’è un problema di criminalità diffusa. Molto forte. Insostenibile e negli anni è peggiorato sempre di più. Si parla ormai di circa . (venticinquemila) persone uccise all’anno. Un dato che non c’è nemmeno nei paesi in guerra. Bisogna scontrarsi con una 


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Cristiano Barbarossa

diffusa “cultura” dell’illegalità, per la quale si uccide troppo spesso semplicemente per prendere un paio di scarpe di marca, una maglietta della Nike o dell’Adidas o un cellulare appena uscito sul mercato. Non si uccide per fame. Mi piace una cosa. La voglio. La prendo. Con un’arma. Meglio uccidere perché così non ci sono imprevisti, difesa o movimenti bruschi da parte dell’altro. Purtroppo funziona così nelle strade venezuelane. Ho realizzato anni fa un documentario sui baby sicari di Medellin, in Colombia. E almeno lì, questi ragazzini mi raccontavano che se rubavano una moto, alla vittima dicevano: «Stai tranquillo, altrimenti dobbiamo ucciderti per rubarti la moto. Se ce la dai, non succede nulla e torni a casa». E comunque, in generale, in Colombia, come in Brasile, la situazione, anche se a macchia di leopardo, è molto migliorata negli ultimi anni. In Venezuela invece, progressivamente, negli ultimi  anni, è saltata qualsiasi forma di “cautela” nei confronti delle vittime, anzi, spesso si infierisce. Un furto molto spesso equivale ad un omicidio. Oppure ci si uccide per un piede pestato all’uscita da una festa. Questo è il quadro. Un paese potenzialmente molto ricco, tra i primi esportatori di petrolio, dove un pieno di benzina costa  centesimi di euro, ma al tempo stesso incredibilmente violento. Fatta questa premessa, possiamo meglio capire come il Sistema di Orchestre, quindi, offra ai bambini e ai ragazzi un’altra prospettiva di vita, un’etica del lavoro, dove la musica è il mezzo e non il fine, dato che, appunto, non stiamo parlando di una “fabbrica” di musicisti. Questo è importante tenerlo a mente. Parliamo di un processo per la formazione di cittadinanza, che è nato a metà degli anni ‘ quando il Venezuela era un “laboratorio” davvero interessante dal punto di vista della pedagogia, dell’istruzione pubblica, dove musica, scacchi e creatività (e molto altro) entrarono a far parte dei programmi pedagogici del paese. Di quella stagione, nel corso degli anni, grazie al Maestro Abreu, è rimasto e si è ampliato incredibilmente, il Sistema di Orchestre, che ha rappresentato un vero e proprio fiore all’occhiello per ogni governo che si è succeduto nel paese dagli anni ‘ ad oggi. Tutte cose che, ovviamente, già sapete, ma è fondamentale ribadirle per apprezzare appieno l’importanza di questa Fondazione dello Stato, che con la sua opera offre un’alternativa di vita, molto forte per i ragazzi. Tutti. Un luogo, forse l’unico oggi in Venezuela, dove ragazzi di ogni classe sociale si incontrano e stanno insieme. A questo punto farei vedere il promo del mio film–documentario A Slum Symphony — Allegro Crescendo. Sono circa cinque minuti su una durata complessiva di  minuti. Più alcune scene eliminate, un vero “lutto” per me, ma bisogna fare delle scelte su  anni di girato: un’intervista al Maestro Abreu su come la musica arricchisce la vita di questi ragazzi e della comunità che li circonda. Vediamo insieme e poi magari continuiamo a commentare. . Traccia n.  del dvd allegato alla presente pubblicazione.


A Slum Symphony — Allegro Crescendo

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Grazie, insomma mi colpisce sempre, poi io ogni volta che lo vedo, mi commuovo. La cosa che mi fa piacere dirvi è che Jonathan, il ragazzo che si vede mentre sta facendo il militare, carriera che ha poi lasciato, in questo momento è a Torino dove sta perfezionando lo studio del violoncello grazie all’aiuto del Maestro Antonio Mosca. Ma non solo, si sta rendendo utile nell’aiutare i bambini nell’apprendimento della musica qui in Italia. Poi più avanti deciderà cosa vuole fare, se continuare a stare in Italia o tornare in Venezuela a insegnare. Infatti la cosa più bella è che in Venezuela, alla fine del documentario, era diventato maestro di violoncello nell’Istituto Minorile ed orfanotrofio, dove era entrato a tre mesi di vita. È lì che ha iniziato a studiare il violoncello a dieci anni circa e poi è andato avanti. La musica gli ha dato una grandissima forza: pensiamo che questo ragazzo, l’ultimo di dieci fratelli, anche se di fatto ne frequenta solo cinque, ne ha tre che fanno vita di strada, che fumano il basuco, un sottoprodotto dello scarto di lavorazione della cocaina, che gli devasta il cervello. Di questi cinque fratelli solamente due fanno una vita rettissima: lui, che suona, appunto, il violoncello e il fratello che suona il trombone sempre all’interno del Sistema di Orchestre giovanili del Venezuela. Quello che dico, dato che l’ho vissuto per  anni e mi ha dato tantissimo, è che questi ragazzi mi hanno insegnato a relativizzare i problemi che noi qui pensiamo di avere. Questo non vuol dire che in Italia non ci siano dei problemi. Ci sono e infatti penso che in quartieri come Scampia, dove ho girato, o anche altri quartieri disagiati in Italia, un’iniziativa come quella del Sistema di Orchestre può essere estremamente utile. E lo è, perché ci sono delle realtà associative molto interessanti in questo senso. Quartieri dove, secondo me, alla cultura della camorra, della ‘ndragheta e della mafia, si può contrapporre questo tipo di cultura, proprio perché è una cultura che si basa sulla meritocrazia. Se io sono un primo violino, lo devo al fatto che ho studiato, che ho coltivato il mio talento, e quindi sono seduto lì ed occupo quel posto nell’orchestra perché me lo merito. Questo dà un’enorme prospettiva di vita ai ragazzi venezuelani. Tutto questo, è ovvio, comporta un impegno da parte della politica importante: perché non si tratta solo di dare le lezioni di musica. Una delle cose che mi diceva Abreu quando ho fatto il primo servizio per Superquark nel  era che loro pongono particolare attenzione anche quando i bambini vanno a mensa prima o dopo l’esecuzione di un concerto. Si fa in modo che questi bambini di quattro–cinque anni vengano serviti a tavola, proprio perché in quel momento, e non solo, sono e si sentano importanti. Bambini con problemi di considerazione nelle loro case, con problemi affettivi. Con problemi di alcolismo in famiglia. C’è quindi, in questo senso, una logistica che parte dagli autisti che li trasportano, alle mense, fino agli insegnanti. Poi c’è un altro aspetto fondamentale: l’enorme capillarizzazione delle scuole di musica, dei Nuclei Didattici. Io non devo


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Cristiano Barbarossa

fare un’ora e mezza di autobus per andare a studiare musica, andata e ritorno. E questo per un bambino vuol dire non dover pesare in nessun modo sui genitori, che magari hanno seri problemi. I genitori devono solo contribuire con una firma, al resto ci pensa il Sistema. Se l’Italia vuole farsi carico di un’iniziativa come questa, la politica deve dare una risposta, dato che non va affrontato solo il problema dell’insegnamento, visto che, lo ribadisco, non siamo di fronte a una fabbrica di musicisti, ma a un progetto sociale che richiede un impegno che va ben oltre il semplice insegnamento della musica. In Venezuela ho incontrato medici, ricercatori universitari, ho incontrato tantissima gente che mi ha detto “io devo tutto al Sistema”. Ovvero, vengo da un barrio e sono diventato un medico perché attraverso il Sistema ho imparato quell’etica del lavoro, dello studio, delle prove, del concerto e delle scadenze da rispettare, per le quali oggi sono un medico. Tant’è che i ragazzi che studiano musica nel Sistema in Venezuela, sono, statisticamente, quelli che vanno meglio a scuola. In questa direzione può capitarti di conoscere l’otorino laringoiatra, proveniente dalle Orchestre Infantili, che si preoccupa poi di realizzare un sistema cocleare per far percepire le vibrazioni della musica ai ragazzi non udenti che fanno parte del Coro de Manos Blancas, un’attività che li aiuta a integrarsi con gli altri e soprattutto a vocalizzare e a comunicare di più. Si crea così un circolo virtuoso di collaborazione e la cosa stupenda alla quale si deve pensare è che tutto questo semina una carica così positiva da far sì che chi esce da quel Sistema, poi lo aiuterà per sempre. Un po’ come succede in Italia con gli Asili Nido pubblici di Reggio Emilia. La stessa dinamica. Quello che ho visto nel Sistema di Orchestre del Venezuela è che c’è grazie al Sistema, nonostante tutte le difficoltà di questo paese, oggi rese ancora più evidenti dalla repressione delle manifestazioni dei ragazzi del movimento studentesco, c’è comunque un’isola, un porto sicuro dove approdare, che gli offre una spinta positiva. La vedi negli insegnanti, nei responsabili, negli accompagnatori, in tutti, perché quei bambini, grazie alla musica, possono sperare di avere un mondo migliore. Non c’è rassegnazione di fronte alle difficoltà, che pure ci sono, tante, in quel paese. C’è il fatto forte, dal punto di vista musicale, di sentirsi parte di un progetto riconosciuto ed apprezzato a livello mondiale. Anche se recentemente qualcuno, probabilmente non a torto, ha chiesto ad Abreu e Dudamel — quest’ultimo ormai in pianta stabile come Direttore d’Orchestra negli Stati Uniti — di prendere una posizione netta nei confronti delle repressioni di piazza avvenute in Venezuela in questi giorni, nessuno, al tempo stesso, ha mai messo in discussione il ruolo di “costruttore di cittadinanza” del Sistema. Perché nei ragazzi che suonano, anche i più piccolini, c’è l’orgoglio di appartenere ad un progetto grandioso. Permettetemi di passare dal “sacro al profano”, proprio perché oggi mi trovo qui. È come se una cittadina come Foggia, insieme a Zemanlandia, la


A Slum Symphony — Allegro Crescendo

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stagione strepitosa, innovativa, di gioco e di risultati nel campionato italiano, avesse avviato un progetto di educazione attraverso lo sport ed il calcio che comprendesse le scuole, un po’ come ha fatto il Belgio, e questo fosse diventato un modello esportato, da Foggia in tutto il mondo, con una vasta eco anche dal punto di vista mediatico. Il bambino che vi partecipa e si sente partecipe, sviluppa una sorta di orgoglio e una spinta a fare sempre meglio che è sicuramente positiva. Tornando al documentario venezuelano nel quale ho cercato di raccontare tutto questo, mi rimane in testa, sempre tra le scene eliminate, e vi assicuro che ce ne sono per fare un altro film, quello che mi disse un maestro del Sistema. Ovvero, che un giorno facendo lezione ai suoi bambini, si è trovato a doverli buttare giù a terra tra i banchi e i leggî perché era scoppiata una “balacera”, una sparatoria, nel barrio. E lui vedeva nello sguardo di alcuni di loro l’ammirazione verso quell’adolescente, capo della banda del quartiere, che stava sparando sul crinale di una collina. Era uno sguardo di ammirazione nei confronti di chi sa sparare meglio. «Ecco», mi disse, «spostare quell’ammirazione, quello sguardo, nei confronti di Abbado, di Accardo, di Simon Rattle, di Sinopoli, di Maazel o semplicemente nei confronti del compagno che sa suonare bene il violino o del maestro d’orchestra con il quale provano le partiture, è quello che cerchiamo di fare tutti i giorni. Strappare di mano un’arma a questi ragazzi, per dargli una viola, un oboe, un clarinetto, una nuova prospettiva di vita. E la cosa più importante è che ci riusciamo ed è la soddisfazione più bella del mondo, per cui vale la pena vivere e di vivere nell’arte, nella musica». E questo è un po’ lo spirito con il quale ho costruito il mio racconto per A Slum Symphony — Allegro Crescendo e con il quale credo valga la pena cercare di creare i presupposti per un Sistema di Orchestre Giovanili e Infantili in Italia, perché se è vero che qui da noi è sicuramente meno “drammatico” strappare di mano un joystick ad un ragazzino, è sicuramente altrettanto utile. Anche perché siamo il paese dal quale provengono tante delle partiture che i ragazzi venezuelani suonano, come Verdi, Rossini, Puccini, Vivaldi, Boccherini, ecc. ecc. e loro sono convinti, davvero, che anche noi italiani, tutti, sappiamo suonare. Cosa che purtroppo non è vera. Vale la pena rifletterci. Cristiano Barbarossa


Coro Manos Blancas.


Quando la musica cambia la vita ISBN 978-88-548-7597-5 DOI 10.4399/978885487597511 pag. 91–99 (ottobre 2014)

Le arti performative per promuovere la comunità S C

. Premessa L’interesse che negli ultimi anni si è sviluppato in merito a El Sistema Abreu è sicuramente importante poiché rilancia il problema di un’educazione musicale diffusa a carattere emancipativo. Tuttavia non è esente da alcuni rischi, tra questi quello di abilitare progettualità che, a causa del loro scarso spessore pedagogico, non riescono ad intercettare lo spirito profondo di una proposta come quella di Abreu, che ha carattere comunitario ed emancipativo, collocandosi sulla scia di certa pedagogia sudamericana, come quella di Paulo Freire, ad esempio. El Sistema Abreu è una “buona prassi”, per poterla adottare bisogna contestualizzarla, ma per far questo bisogna modellizzarla, al fine di comprenderne la struttura profonda e quindi ricollocare El Sistema in un’altra cultura, sì da ottenere effetti simili. Ciò che auspico è che si riesca ad estrapolare la parte generativa del sistema affinché si abbiano dei dispositivi di apprendimento in grado di massimizzare le ricadute sociali derivanti da una pratica musicale collettiva pervasiva. Il mio intervento cerca di definire alcuni principi fondamentali e di offrire alcune indicazioni metodologiche in grado di offrire spunti per quella indispensabile base teorica a cui riferire l’adozione di Abreu in Italia. Poiché lavora ad un alto grado di generalizzabilità, le riflessioni proposte valgono certamente per El Sistema Abreu, ma sono riferibili a qualsiasi azione di intervento educativo–sociale che usa le arti performative per stimolare sviluppo di comunità. . Arti performative e bisogno umano di senso Ispirarsi ad Abreu significa ragionare da una prospettiva pedagogica che si pone il problema di offrire delle opportunità di inclusione sociale a soggetti altrimenti destinati a essere marginalizzati. Significa ritenere, quindi, che lo 


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sviluppo umano non possa misurarsi secondo meri parametri economici, riguardando esso, invece, dimensioni sociali ed etiche irrinunicabili. In altri termini: collocarsi in una logica che funzionalizza i progetti individuali, comunitari e sociali al perseguimento di una condizione di felicità. Esistono due teorie a cui poter fare riferimento, quella della felicità autentica e quella del benessere. a) La teoria di felicità autentica (happiness), volendo scomporre il concetto nei suoi tratti fondamentali, in modo da consentirne eventualmente la misurazione, sostiene che la felicità consista di emozioni positive, quali ad esempio il piacere, il comfort, l’estasi ecc.; di senso di pienezza, che deriva dal sentirsi un tutt’uno con le attività che si svolgono, arrivando a dimenticarsi di sé, come il bambino quando gioca; di significato, che deriva dal percepire le proprie azioni, il proprio essere come partecipi di un qualcosa di più grande, a cui individualmente si contribuisce. (Legrenzi ). b) La teoria del benessere (wellbeing) sostiene che il soggetto ricava dalle proprie azioni un senso di soddisfazione quando vive emozioni positive; ha un’esistenza impegnata a cercare ciò che lo fa star bene; persegue una socialità ricca di relazioni, si pone obiettivi avvertiti come significativi e immagina mete, anche ambiziose, capaci di motivare l’impegno. (Seligman & Csikszentmihalyi ). Ciò che in ultima istanza conta è riuscire a conseguire la minimizzazione della sofferenza e, ove possibile, uno stato di compiutezza esistenziale. Ognuno di noi è impegnato in un costante lavoro volto a performare il sé e a generare attraverso la ricorsività delle relazioni con gli altri la realtà in cui è immerso. Alcune ricerche dimostrano come la sensazione di pienezza esistenziale possa essere conseguita anche in condizioni di miseria. I masai, che vivono in case di fango, letame e legno, non hanno né acqua corrente né elettricità, esprimono un grado molto elevato di adesione alla vita, ricavando da ciò più soddisfazione degli abitanti di paesi con reddito pro–capite ben più alto. (Diener & Biswas–Diener ). Nel  le Nazioni Unite, nello stilare il Primo rapporto mondiale sulla felicità (Hellwell, Layard R. & Sachs J. ), hanno decretato come il tradizionale indicatore di benessere, il Prodotto interno lordo (PIL), sia ormai diventato inadeguato a misurare lo sviluppo umano, emanando peraltro una risoluzione che impegna i paesi membri a studiare nuovi strumenti capaci di valutare l’incidenza della ricerca della felicità e del benessere nello sviluppo. Sono attivi, in numerose parti del mondo, i circoli di Action for Happiness, voluti dall’economista britannico Sir Richard Layard, autore di un best seller volto a sensibilizzare le persone


Le arti performative per promuovere la comunità

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all’importanza dell’impegno per contribuire a creare più felicità nei contesti di vita. (Layard ). Ciò che conta è come un soggetto combina le opportunità a sua disposizione per ottenere un risultato da lui reputato soddisfacente per la propria realizzazione in quanto essere umano. Questo significa considerare come bisogno irrinunciabilmente umano il bisogno di senso e ritenere l’attività di sensemaking come un fattore fondamentale di coordinamento sociale. Il bisogno di senso è ciò che ci caratterizza come esseri umani. Esso va inteso come aspirazione a vivere una situazione di benessere, appetito di completezza, desiderio di pienezza. Una vita felice non è una vita in cui il soggetto abbia egoisticamente soddisfatto ogni mancanza, ma è piuttosto capacità costante di fissare, in un contesto di socialità concretamente vissuta, una meta per la propria esistenza, e ciò deriva dalla capacità di avvertire per sé un nuovo bisogno. Il bisogno si nutre di critica e di immaginazione, essendo ricreazione costante di sé nella dinamica relazionalità con gli altri, impegnati come noi e con noi nella costruzione della realtà. Secondo il linguaggio del premio nobile Amarthya Sen, i funzionamenti del soggetto, cioè potremmo anche dire le performance realmente esibite, sono migliorabili lavorando sulle capacità, ossia, dentro la nostra prospettiva interpretativa, sulle competenze strategiche. intese come meta–funzionamenti, ossia frame di significazione del contesto, di sé, dell’altro, della relazione di sé col contesto. Noi, in quanto pedagogisti ed educatori, dovremmo impegnarci ad aiutare i soggetti a tentare di pervenire a forme più soddisfacenti di relazione col mondo, insegnando loro ad autoregolare i propri meta–funzionamenti, le proprie capacità, mettendo pienamente a frutto, potremmo dire usando una metafora, i propri talenti. Significa, in altre parole, legittimare l’idea che la ricerca del benessere soggettivo, di una identità compiuta, se non della felicità, è ciò che rende una vita degna d’essere vissuta. Volendo sottrarre questa ricerca all’egoismo di un individualismo senza prospettive, bisognerà declinarla in termini di universalità, quindi dentro, necessariamente, una prospettiva morale, che pone al singolo la necessità di contemperare la propria aspirazione alla felicità con quella dei suoi simili, egualmente impegnati a dare senso alla propria esistenza, cercando di combinare opportunamente le proprie risorse, in singolari funzionamenti. L’empatia, in questo quadro, diventa certamente una capacità fondamentale, da sviluppare con appositi programmi volti a promuovere la convivialità, il senso dell’alterità, l’amore per la differenza, unitamente al senso di comunità, capace di tenere assieme il vicino e il lontano, il particolare e l’universale, secondo l’idea di un’appartenenza a reti di prossimità e, nel contempo, all’uomo generico, all’umanità (Morin ). Per dirla in una parola, bisogna promuovere responsabilità, portando gli individui a riflettere


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sulle conseguenze delle proprie azioni per gli altri uomini, per gli altri esseri viventi, per il pianeta nel suo complesso (Sen ). Si tratta di capire a quali condizioni El Sistema Abreu garantisce la pratica estrinsecazione di questi principi. Per esemplificare, esso va visto dentro una certa idea di sviluppo sociale, va letto in termini di capacità e di funzionamenti, va verificato nella sua capacità di promuovere convivialità, senso dell’alterità, assunzione di responsabilità, ecc.

. Dimensione strategica delle arti performative per l’educazione Da quanto detto è evidente che El Sistema ha spessore pedagogico se non solo si propone come una pratica musicale, ma anche come un dispositivo complesso per sviluppare competenze strategiche e favorire empatia. Le competenze strategiche sono delle competenze che appartengono al dominio della metacognizione. Possiamo estrapolare tre dimensioni (il farlo ci aiuta a stabilire delle azioni efficaci): a) dimensione dell’alterità/reciprocità. Riguarda la capacità di vedere nel tu un altro io, sia di comprendere che il tu è la concretizzazione della possibilità di un io differente da me, che io non conosco e col quale posso entrare in relazione; negoziando significati posso comprendere i suoi funzionamenti e intuire le sue capacità, posso cogliere il suo potenziale trasformativo nei miei confronti e il mio nei suoi, posso impegnarmi (sia implicitamente che esplicitamente) a costruire con lui spazi di senso. b) dimensione della riflessività, ossia della capacità di attenzionare i propri funzionamenti emotivi e cognitivi, consentendo forme di governo del sé, per orientarlo verso progettualità ritenute capaci di realizzare una più efficace “presenza” del soggetto; a entrare in relazione con l’altro, gestendo opportunamente i significati, gli obiettivi e i metodi dello scambio, ivi compreso quello conflittuale. La riflessività si esercita sull’azione, sia a posteriori per valutarne l’appropriatezza ed eventualmente modificarla, sia ‘in corso’, dunque durante lo svolgimento dell’azione stessa; consente al soggetto di interagire attivamente nei contesti, sapendoli interpretare in modo personale e creativo. La riflessività è il pre–requisito fondamentale della competenza di partecipazione. Questa riguarda la possibilità del soggetto di riflettere sul proprio ‘stare’ nelle organizzazioni e nei gruppi sociali, nonché di agire la propria identità in ordine alle istanze poste dai contesti.


Le arti performative per promuovere la comunità

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c) dimensione della progettualità. Riguarda la capacità del soggetto di leggere i contesti sociali in cui si iscrive la propria azione, per esprimere la propria capacità d’azione. Essa si configura come la competenza strategica per eccellenza. L’empatia. Senza empatia non c’è benessere, non c’è felicità, poiché manca il calore che può provenire solo dalla relazione (non fallimentare) con i nostri simili. Definiamo l’empatia come la capacità di comprendere gli stati mentali altrui attraverso un riferimento alla propria esperienza di interazione con l’altro, mantenendo quindi la distinzione sé/altro, sicché empatia non è contagio emotivo (Feshbach ; Decety & Jackson ; Decety & Moriguchy ), quantunque il contagio emotivo ne costituisce probabilmente il presupposto, come dimostrano gli studi di alcuni primatologi (Demuru & Palagi ). Per molti aspetti essa si sovrappone alla “teoria della mente”, che è la capacità di inferire gli stati mentali altrui, a partire dai propri (Premack & Woodruff ; Battistelli ). I costrutti di empatia e di teoria della mente presuppongono che il soggetto sia capace di distinguere sé dall’altro, abbia consapevolezza dell’alterità che gli altri rappresentano per lui, sicché vivono emozioni e sentimenti diversi dai suoi, abbia la disponibilità a compiere, nella relazione con l’altro, un costante lavoro interpretativo. Empatia e teoria della mente sono funzionali a fornire sistemi di prevedibilità e (controllo) del comportamento altrui e del proprio e si sviluppano sin dalla più tenera età (Wellman ). Una terza dimensione strategica è costituita dall’impegno attivo a favore di una democrazia sostanziale fondata sulla partecipazione. Questo significa che un coro, un’orchestra debbono configurarsi come organizzazioni capaci di conferire identità comune ai propri aderenti e insieme configurarsi come centro di libertà e responsabilità. . Qualche indicazione metodologica È del tutto evidente che rispetto alle strategie delineate esistono metodi di intervento formativo più compatibili ed altri meno. In linea generale va detto che la formazione, per come oggi si va proponendo, appare disponibile a sperimentare nuove metodologie centrate sull’apprendimento, di carattere “non direttivo”, che tengono conto delle dimensioni relazionali sottese alle situazioni di apprendimento e del desiderio di espressione dei singoli, impegnati in processi di acquisizione delle conoscenze. Tende a superare la separazione tra luoghi formativi e luoghi sociali. Valorizza l’esperienza degli individui e dei gruppi, le loro capacità


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costruttive di conoscenza. La formazione in tal modo si pone la questione di come agevolare l’attitudine alla riflessività e la disponibilità al cambiamento degli attori sociali (Mezirow ). Da questa prospettiva, l’azione formativa deve mirare a fornire al soggetto degli strumenti che gli rendono possibile tenere assieme l’istanza di realizzare la propria soggettività con l’istanza di sentirsi parte di un mondo in cui vige la reciprocità nelle relazioni intersoggettive, consentendo la realizzazione del bisogno altrettanto cogente di esser parte di una comunità. Fatta questa premessa, diremo che in testa alla lista dei metodi più consoni vi sono i cosiddetti metodi partecipativi. Si tratta di metodi volti ad assicurare la possibilità a singoli e gruppi di intervenire nei processi di progettazione partecipata o di decisione inclusiva, in modo che le istanze dal basso possano essere fatte valere nei contesti istituzionali e le decisioni inerenti le principali questioni della vita comunitaria siano condivise dai cittadini (Pasqui ; Ripamonti ). Si coglie l’affinità che essi hanno con la ricerca–azione. Com’è noto, vi sono diverse e a volte dissonanti definizioni di cosa sia ricerca–azione. Ciò che accomuna tuttavia le diverse interpretazioni è costituito da alcuni principi considerati irrinunciabili: — — — — —

autodeterminazione; protagonismo; collaborazione; condivisione delle scelte; riflessione. (Barbier ; Pourtois ).

Ciò significa che andare a costituire un coro o un’orchestra ispirandosi ad Abreu, significa istituire un processo di ricerca–azione. Mettendo su un’orchestra o un coro, i membri debbono potersi percepire «più che nel corso della loro vita quotidiana, come produttori della propria storia e delle proprie storie, come dei soggetti capaci di trasformare la situazione in cui sono inseriti» (Tourain , p. ). L’operatore Abreu deve sapersi pensare come colui che crea le condizioni affinché i partecipanti al gruppo riescano a confrontarsi tra loro. Egli sviluppa empowerment comunitario, in quanto riesce ad attivare processi di: — coinvolgimento; — creazione della rete sociale; — partecipazione. Il coro o l’orchestra ispirati ad Abreu, nella visione che propongo devono


Le arti performative per promuovere la comunità

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vedere la comunità come protagonista: gli attori sociali nel decidere a proposito del coro (leggi pure: orchestra), col coro, del coro diventano capaci di fare delle scelte, diventano soggetti progettuali. Altre tradizioni culturali arrivano a conclusioni in qualche modo assimilabili, la pedagogia degli oppressi (Freire ), la socioanalisi (Lapassade ), il counseling comunitario (Blustein ).

. Per concludere La pedagogia attivante (o capacitante), per come abbiamo qui tentato di disegnare, di cui la diffusione del metodo Abreu dovrebbe essere parte, è una pedagogia emancipatrice in quanto poco propensa a colludere con l’esistente, una pedagogia capace di slanci utopici, permanentemente in ascolto dei soggetti e dei loro bisogni. La pedagogia che noi immaginiamo riflette essenzialmente sui processi culturali che modificano l’esistente, si mette a disposizione dei soggetti impegnati a disegnare forme di resistenza attiva rispetto agli effetti di detrazione di senso che le forze socio–economiche imperanti generano. In questo è un modulatore sociale che si preoccupa dell’ontologizzazione dei confini e perciò si impegna a rompere gli schemi. Mira alla felicità e sorveglia le istituzioni affinché esse non cessino di pensarsi funzionali al raggiungimento del benessere del massimo numero dei suoi membri. Vuole offrire a tutti delle opportunità, affinché nessuna vita si avverta come inutile, come semplicemente macinata dalla storia, tassello insignificante di un disegno oscuro, la cui comprensione le è preclusa.

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Salvatore Colazzo


Particolare del Coro Manos Blancas.


Quando la musica cambia la vita ISBN 978-88-548-7597-5 DOI 10.4399/978885487597512 pag. 101–118 (ottobre 2014)

Quando la vita cambia la musica A D’A

. Premessa “Musica per tutti”: questo “slogan” costituisce il punto di incontro tra il mio contributo e l’argomento del convegno “Quando la musica cambia la vita”. El Sistema, infatti, ritengo sia l’esempio concreto più virtuoso e prorompente di progettualità finalizzata alla diffusione capillare e indiscriminata (in senso positivo) dell’esperienza musicale. La preposizione “per” dischiude infatti prospettive di condivisione di un patrimonio (quello della Grande Musica) che “tutti” possono conoscere e praticare, ma a mio parere implica che venga stabilito con esso un rapporto di mera assimilazione, adeguando per lo più le istanze esistenziali alle esigenze di un linguaggio codificato ed elaborato da altri, in altri luoghi, in altri tempi. Mi sono posta quindi le seguenti domande: perché la vita di “tutti” deve soltanto accogliere la bellezza dei “manufatti artistici”? Perché l’evoluzione dell’arte deve rimanere impermeabile ai contributi dei non addetti (i cosiddetti “tutti”) trincerandosi dietro l’alibi del padroneggiamento delle tecniche? Perché deve continuare ad essere appannaggio esclusivo dei professionisti invece di nutrirsi anche di una creatività che, ignorando le regole, possa in qualche modo trasformarle? Prendendo spunto da una serie di considerazioni relative a diversi campi artistici e, in particolare, da un’esperienza di invenzione musicale che sto condividendo da qualche anno con un gruppo di non esperti, intendo proporre riflessioni e suggestioni che, radicalizzando l’assunto iniziale, lo dilatino fino a trasformarlo in “Musica di/da tutti”. Una goccia di colore versata in acqua si avvolge e si svolge in forme imprevedibili; delicata e quasi timida si riposa infine sul fondo del contenitore, lasciando una traccia nella limpidezza originaria. L’acqua l’ha accolta lasciandosi trasformare, senza tuttavia perdere la propria natura, essenza, identità. Questa immagine condensa il senso del titolo del mio contributo e il senso del percorso che sto realizzando e che sta trasformando non solo il mio modo di intendere l’idea di intervento didattico ma anche la mia idea di 


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musica. Cercherò di parlare di questa esperienza procedendo per allusioni, suggestioni, condensando “nebulose di senso” più che definendo concetti.

. Superare l’emergenza della dualità: le risposte mu Invito i lettori ad ascoltare (senza visionare le immagini) il frammento musicale con orecchie “disincantate”, a percorrerne l’imprevedibilità e gli apparenti disequilibri, abitandolo senza ricercare ancoraggi interpretativi, senza, come direbbe Roland Barthes, «inumidirlo» di senso. Probabilmente questo viaggio nella sospensione del senso può provocare vertigini e disagio. Sentiamo il bisogno di riferirci a qualche rassicurante punto di riferimento e, da buoni pensatori occidentali, per lo più procediamo identificando coppie di significati, escludendo man mano uno dei due termini e accettando l’altro. In questo caso immagino che le domande scaturite dall’ascolto possano essere: si tratta di didattica musicale o di musica in quanto arte; di improvvisazione o di composizione creativa; di esperienza soggettiva o di esperienza estetica; di rifiuto della tecnica strumentale o di un suo utilizzo maldestro e inconcludente? Questo prodotto sonoro è casuale o strutturato; atonale o aleatorio; bello o brutto? A seconda che si scelga A o B sembra che il labirinto dell’attribuzione di significati si dischiuda, divenendo più familiare e meno minaccioso; i passaggi per esclusione tra le coppie di termini definiscono le tappe di un percorso che ci porta fiduciosamente e senza incidenti al traguardo della definizione, della classificazione dell’oggetto: l’uscita dal labirinto, il ritorno al nostro spazio rassicurante, con una verità in più da aggiungere al nostro bagaglio di convinzioni, idee “personali”, concetti, (pre)giudizi. In realtà esistono situazioni in cui il contesto della domanda è tale per cui la risposta A (sì) o la risposta B (no) sono errate e non dovrebbero essere date. Il suo significato è: «Non fare la domanda». Ma ci accorgiamo che esiste un terzo termine logico possibile equivalente al sì e al no, il quale è in grado di espandere la nostra conoscenza in una direzione non riconosciuta. Nel nostro pensiero non esiste il termine per indicarlo: si può usare la parola giapponese mu. . Traccia n.  del dvd allegato alla presente pubblicazione. . Suggerendo una fruizione dell’haiku, componimento poetico giapponese (di cui parlerò nel paragrafo . “Haiku musicali? Forse”), che si risolva e coincida essenzialmente con l’atto della lettura, senza ridondanze semantiche, Barthes chiosa: «L’Occidente inumidisce di senso ogni cosa, alla maniera di una religione autoritaria che imponga il battesimo all’intera popolazione». (R B, L’impero dei segni, Torino, Giulio Einaudi editore, , p. ).


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Cercherò di chiarire con un esempio, tratto dal libro di R. M. Pirsig Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta Sì o no. . . questo o quello. . . uno o zero. L’intera conoscenza umana è costruita sulla base di questa discriminazione elementare a due termini. Ne è una dimostrazione la memoria dei calcolatori, che immagazzinano tutta la loro conoscenza sotto forma di informazione binaria. Tanti uno e tanti zero, nient’altro.

Sembrerebbe quindi un sistema chiuso e autosufficiente, che esaurisce una serie quasi illimitata di combinazioni senza lasciare altre possibilità. Ma la realtà, colta nella sua interezza e nella disarmante evidenza di uno sguardo “allargato”, non è riducibile a schemi. . . Qualsiasi tecnico elettronico addetto ai calcolatori sa che le cose stanno diversamente. Cercate di trovare il potenziale che rappresenti uno o zero quando non c’è alimentazione! I circuiti sono in uno stato mu. [. . . ] La condizione di alimentazione spenta è parte di un contesto più ampio di quello in cui le condizioni uno–zero sono considerate universali. La domanda per l’uno o per l’altro è «non fatta».

Nella indagine scientifica ci si imbatte spesso nel verificarsi di risposte mu, che evidenziano che il contesto della domanda è troppo angusto per ottenere risposte dalla natura e che quindi va ampliato. «Il sì o il no confermano o smentiscono un’ipotesi. Il mu dice che la risposta è al di là dell’ipotesi». Tornando all’esperienza di ascolto proporrei di applicare lo stesso procedimento, di superare l’approccio “ingabbiato” del pensiero paradigmatico, del carattere meccanico del senso, di non formulare insomma domande, ma di immergersi semplicemente nell’atto della ricezione, di ascoltare con orecchie mu. Citando ancora Pirsig: «Non gettate via le risposte mu! Sono quelle sulle quali potete crescere!». . Quale musica, da chi, perché: storie di musica A questo punto penso sia il caso di fornire qualche informazione sulla genesi della musica che ho proposto all’ascolto. Come già detto i musicisti (e compositori) sono non esperti (ad alcuni di loro è stato diagnosticato un lieve ritardo mentale) con i quali da qualche anno dedico un’ora la settimana a scandagliare le possibilità sonore di strumenti e oggetti e per i quali la produzione musicale scaturisce da un rapporto diretto con il corpo e con . R M. P, Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta, Milano, Adelphi Edizioni, , p. . . Ivi, p. . . Ivi, p. .


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l’immaginario. Non vi sono sovrastrutture o “indottrinamenti”, non sto insegnando loro gli alfabeti musicali, ne stiamo probabilmente inventando di nuovi, con leggerezza e profondità. Penso che preoccuparsi solo dell’apprendimento sia come curare la chioma di un albero dimenticando di fertilizzarne le radici. Lasciare invece che la forza dirompente del vissuto (di tutti i protagonisti della relazione) forzi le pareti dell’involucro didattico fatto di certezze (quel determinato intervento), verità (quella determinata idea di musica), schemi (quelle determinate finalità) significa rafforzare le radici, contribuire al soffio vitale che fa crescere: fusto e chioma saranno meravigliosamente diversi per ogni pianta. Abitare un’esperienza che non si lasci ingabbiare solo dall’intenzionalità educativo/didattica è partecipare ad un rituale che potremmo liquidare sbrigativamente come “attività di animazione”. In realtà quella cui faccio riferimento non è né l’una né l’altra cosa. La diversità dei ruoli è accettata e riconosciuta (i miei “allievi” mi hanno adottata come loro coach), ma si è creata una particolare circolazione di dinamiche determinata fondamentalmente da tre elementi. Il primo è il dato organizzativo oggettivo (gli incontri hanno una cadenza settimanale, una precisa durata, si svolgono nello stesso luogo. . . ); il secondo riguarda gli stimoli che ci proponiamo reciprocamente (le attività di ascolto, di improvvisazione, di composizione, di costruzione di oggetti sonori. . . ); il terzo è la capacità dei miei interlocutori di interagire con questi elementi in maniera inaspettata, “eccentrica”. Qualche esempio: pur conoscendo l’orario degli incontri, essi si presentano con notevole anticipo, partecipando con interesse alle attività degli altri gruppi; la sede che ci ospita (un centro culturale polivalente) è diventato ormai il “loro” spazio: lo frequentano quasi quotidianamente come luogo di sosta, intrattenimento; durante le attività di ascolto interagiscono vivacemente e creativamente con le musiche proposte (col corpo, con la voce, con oggetti qualsiasi), chiedendo di riascoltarle più volte e interpretandole sempre in maniera diversa. Una veloce parentesi: il fatto che queste persone siano “diverse nelle loro abilità” non deve autorizzarci ad etichettare questa esperienza come “diversa”. Non stiamo facendo “musicoterapia”: stiamo facendo “musica”. Del resto, perché con i cosiddetti diversabili l’attività con i suoni deve necessariamente essere “terapeutica”? Nella sostanza, quasi in una sorta di disegno a spirale, ci trasciniamo reciprocamente in un gioco che è più allusivo che prescrittivo, che ha comunque come centro “forte” la produzione sonora. Formulo altri esempi. Nonostante tutte le buone intenzioni di voler superare i soliti cliché didattici, ho cercato a più riprese di sviluppare una certa


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consapevolezza interpretativo–semantica dei suoni, sia di quelli prodotti durante le performance sia di quelli percepiti durante i momenti dedicati all’ascolto. Per conseguire questo obiettivo mi sono “appiattita” sulla richiesta di verbalizzare, di nominare a parole, di intitolare, di spiegare. L’effetto è stato destabilizzante e, a tratti, esilarante: per non deludere le mie aspettative, le loro risposte verbali erano quasi sempre uguali e stereotipate, senza alcun rapporto col riferimento musicale, benché la loro capacità di comunicazione sia in genere efficace e variegata, spaziando da descrizioni minuziose a resoconti avvincenti di avvenimenti personali, a espressioni di stati d’animo riferiti alle più disparate esperienze di vita (Francesco, per esempio, mi telefona spessissimo recitandomi sue poesie che trascrive su foglietti, che poi mi regala). Ho capito quindi che non dovevo insistere, che dovevo lasciarmi abitare da un diverso modo di intendere la “comprensione”, che erano loro a guidarmi, con dolcezza, ironia e affetto, nella riflessione che la comprensione può far tutt’uno con l’atto: col gesto della produzione sonora, col gesto o l’espressione del viso che accompagna l’ascolto della musica. Altro mio suggerimento è stato quello di invitare ciascuno, a turno, ad imitare, durante la propria esecuzione, gesti e suoni di un altro compagno. Il passaggio dall’osservazione/ascolto alla sperimentazione di condotte diverse dalle proprie si è rivelato efficace come espediente di trasformazione–evoluzione, confermando che, molto spesso, il processo di autoconsapevolezza passa attraverso territori anche molto lontani dalla “spiegazione” e dall’analisi verbale. Anche l’avventura del rapporto suono–segno ci sta interessando, motivata dalla (faticosa) conquista della riproducibilità dei brani a distanza di tempo; con Francesco, un ragazzo non vedente, realizziamo partiture tridimensionali, vere e proprie sculture, con oggetti, carte, stoffe dalle superfici diverse, che diventano affascinanti “plastici musicali”. Come ho già affermato, penso che questa esperienza (intorno alla quale ho “raggrumato” parole e riflessioni) non rientri del tutto né nell’ambito educativo–didattico, in quanto non finalizzata al conseguimento di apprendimenti verificabili e valutabili in base ad obiettivi precisi, né in quello delle esperienze di animazione (benché per certi aspetti le si avvicini). Si tratta piuttosto di un percorso nel quale veramente tutti i protagonisti coinvolti (me compresa) sperimentano, lasciandosi guidare dalle istanze e dalla magia di vissuti espressi in suoni, senza filtri, senza schemi e modelli forti, inventando nuovi mondi, nuova poesia sonora, con un legame allo stesso tempo autentico, semplice e profondo con la vita, con l’esistenza. E i prodotti musicali che scaturiscono da questo percorso sono, a mio parere, qualitativamente validi, musicalmente belli.


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. Haiku musicali? Forse Nei tre versi (rispettivamente di cinque, sette e cinque sillabe) del componimento denominato haiku, il poeta traduce «nell’immediatezza dell’animo, quel momento e quella impressione» ispirati da un atteggiamento di comunione empatica con la realtà. Una realtà nella quale «anche l’insignificante finisce per acquisire diritto di cittadinanza, assurgendo a elemento essenziale della composizione. Vi compare ogni creatura vivente, nessuna esclusa (la cicala, la lucciola, la formica, ecc.), al pari degli elementi “inorganici” della natura (la pietra, ecc.)». È la vita che irrompe nel testo, ma priva «degli sterili compiacimenti che risultano dall’introversione, facilmente riscontrabili in certi ambiti della poesia occidentale». Qualche esempio, tratto dal testo di Roland Barthes L’impero dei segni: Brezza primaverile Il battelliere mastica la sua pipa; Luna piena E sulle stuoie L’ombra di un pino; Nella casa del pescatore L’odore del pesce secco E il calore; Soffia il vento d’inverno Mandano lampi Gli occhi dei gatti.

Mi affido quindi alle parole dello studioso francese, che invitano a riflessioni illuminanti e assolutamente prive di retorica su queste “miniature poetiche”. Ciò che sparisce nello haiku, sono le due funzioni fondamentali della nostra scrittura classica (millenaria): da una parte la descrizione (la pipetta del battelliere, l’ombra del pino, l’odore del pesce, il vento d’inverno, non sono descritti, cioè ornati di significati, di ammaestramenti, impegnati a titolo d’indizi nello svelamento di una verità o di un sentimento [. . . ]); d’altro lato sparisce la definizione. Non soltanto la definizione si trasferisce al gesto, sia pure grafico, ma ancor di più essa è lasciata andare alla deriva verso una sorta di efflorescenza inessenziale, eccentrica dell’oggetto, come suggerisce bene un aneddoto zen, in cui si vede il maestro . . . .

Haiku, a cura di L. V. Arena, Milano, BUR, , p. . Ivi, p. . Ibid. B, L’impero dei segni, cit., pp. –.


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conferire il premio di definizione (che cos’è un ventaglio) non tanto all’illustrazione muta, puramente gestuale, della funzione (spiegare il ventaglio) ma all’invenzione di una catena di azioni aberranti (richiudere il ventaglio, grattarsi il collo, riaprirlo, posarci sopra un dolce e offrirlo al maestro). [. . . ] Lo haiku (il tratto) riproduce il gesto indicatore del bambino piccolo che mostra col dito qualsiasi cosa [. . . ] dicendo soltanto: quello! Con un movimento così immediato (cioè così privo di ogni mediazione: quella del sapere, del nome o anche del possesso), che ciò che viene indicato rappresenta l’inutilità stessa di ogni classificazione dell’oggetto.

Tornando al nostro esempio musicale, penso che sia improntato alla stessa immediatezza, molto lontana secondo me dalla superficialità che potrebbe evocare ad un orecchio “distratto”. La cifra stilistica è, come nell’haiku, nel legame stretto (e imprevedibile) tra creazione sonora e “urgenza” della vita e del mondo, del corpo e delle mani, delle orecchie, dei sorrisi, dell’incanto, del benessere e della sofferenza. I risultati di questo approccio sono prodotti di una creatività musicale che potrebbe cambiare le regole: innanzitutto quelle della nostra abitudine di ascolto, non nel senso che elaborati sonori simili a questi siano veramente “nuovi”, ma perché mostrano (e indicano) un progetto possibile di poietica musicale diffusa, che potrebbe scaturire da un lavoro di elaborazione e stratificazione radicato nell’interiorità, senza riferimenti voluti (anche se inevitabili) all’acquisizione oggettiva di un sapere “cristallizzato”. Dove potrebbe portare in prospettiva un lavoro del genere? In questa fase riesco solo ad ipotizzare cosa potrebbe sviluppare, in termini di coinvolgimento e protagonismo, l’irruzione, nell’ambito dell’evoluzione del linguaggio musicale, del tempo della vita, un tempo che appunto “modelli” (scolpisca) il tempo musicale piuttosto che, quasi esclusivamente, “farsi modellare”. Un ascolto che evolva in desiderio di sperimentare in prima persona producendo haiku musicali

. Orecchie nuove per nuovi ascolti: il corpo in stato di musica Vorrei a questo punto formulare un esempio concreto di ascolto “eccentrico” (oserei dire “aberrante”), un esempio nel quale il centro dell’esperienza è il corpo, un corpo carnale, umorale, che si muove, che vive. Quando ascoltiamo musica non pensiamo al corpo che l’ha prodotta o che la sta producendo. Ascoltiamo immaginando solo, magari, l’attività cerebrale del compositore che ha assemblato i suoni. . Ivi, pp. –.


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Proviamo invece ad ascoltare la possanza dei corpi, dell’autore e dell’interprete che manipolano (o hanno manipolato) materiali, con gesti esatti, codificati o casuali. Proviamo a sperimentare questa complicità interumana, questa verità universale che travalica le sovrastrutture culturali: siamo, tutti, “corpo” che respira, gusta, osserva, si muove, deglutisce, sputa, digerisce. . . E proviamo a sperimentare un ascolto che ritrovi nello sviluppo sonoro le figure del corpo, i “somatemi”, come li definisce Roland Barthes nel capitolo intitolato Rasch inserito nel folgorante testo L’ovvio e l’ottuso, nel quale, parlando delle Kreisleriana op.  di Schumann, esordisce così: Nelle Kreisleriana di Schumann, non sento in verità nessuna nota, nessun tema, nessun disegno, nessuna grammatica, nessun senso, nulla che permetta di ricostituire una struttura intelligibile dell’opera. No, ciò che sento sono dei colpi: sento ciò che batte nel corpo, ciò che batte il corpo, o meglio: quel corpo che batte. Ecco come sento il corpo di Schumann (egli, sicuramente, aveva un corpo, e quale corpo! Il suo corpo, era quanto aveva in più): nella prima delle Kreisleriana, si raggomitola, e poi tesse; nella seconda, si stira; e poi si risveglia: punge, picchia, risplende oscuramente; nella terza, si tende, si estende: aufgeregt; nella quarta, parla, dichiara, qualcuno si dichiara; nella quinta, sgocciola, si fila, freme, sale correndo, cantando, battendo; nella sesta, dice, compita, il dire diventa canto; nella settima, colpisce, batte; nell’ottava, danza, ma ricomincia anche a brontolare, a dare colpi.

Questo destabilizzante punto di vista (o meglio, di ascolto) viene successivamente affermato con veemenza, contrapposto all’approccio analitico che, secondo Barthes, deforma l’esperienza di ricezione rendendola estremamente riduttiva Sono queste le figure del corpo (i «somatemi»), il cui tessuto forma la significanza musicale (niente più grammatica, o semiologia musicale: derivata dall’analisi specialistica — reperimento o concatenazione di «temi», «cellule», «frasi» — rischierebbe di passare di fianco al corpo; i trattati di composizione sono oggetti ideologici, il cui senso è quello di annullare il corpo).

E ancora: Nella musica, campo di significanza e non sistema di segni, il referente è indimenticabile, perché il referente qui è il corpo. Il corpo passa nella musica senza altro tramite che il significante. Questo passaggio — questa trasgressione — fa della musica una follia: non soltanto la musica di Schumann, ma ogni musica. Al . R B, L’ovvio e l’ottuso, Torino, Giulio Einaudi editore, , p. . . Ivi, p. .


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contrario dello scrittore, il musicista è sempre folle (e lo scrittore non può mai esserlo, perché è condannato al senso).

E a proposito della significanza musicale «penetrata dal desiderio», Barthes invita a seguire «un’altra logica» nell’esperienza di ascolto: È dunque una semanalisi, o, se si preferisce, una semiologia seconda, ciò a cui rinvia il corpo in stato di musica; la semiologia prima cerchi di venire a capo, se vi riesce, del sistema delle note, delle gamme, dei toni, degli accordi, e dei ritmi; ciò che noi intendiamo percepire e seguire, è il formicolio dei corpi.

Invito a questo punto i lettori a riascoltare il frammento altre due volte: prima senza guardare lo schermo e cercando di cogliere, come suggerito da R. Barthes, il corpo in stato di musica, cercando di seguirne i movimenti e le immobilità; poi guardando le immagini dei corpi che hanno agito musicalmente, eseguendo uno spartito scritto nelle intenzioni delle mani, del busto, dei piedi, del viso. . . della vita fatta corpo e musica. . Musica intensamente umana Ritengo che le esperienze di invenzione musicale vadano diffuse e praticate per rendere concreta questa affermazione di John Cage, protagonista in prima persona di “spostamenti” di prospettiva legati alla musica, al suo farsi, alla sua fruizione, alla sua funzione: «Io dichiaro che è giunta per la /musica/ l’ora di riconoscere la propria natura, di comprendere che deriva dalla vita e ha per scopo la vita, essere quindi una cosa intensamente umana». E in quanto tale, aggiungerei, praticabile da tutti e aperta a tutti gli sviluppi e le evoluzioni, alle “disarmonie” che altro non sono, parafrasando «l’aforisma di Bergson, sul disordine, [. . . ] che un’armonia a cui non siamo ancora abituati». Scrivere musica «è un’attestazione di vita: non un tentativo di trarre ordine dal caos né di suggerire processi creativi, ma semplicemente un modo di risvegliarci a quella stessa vita che stiamo vivendo e che è una vita tanto straordinaria, purché si riesca ad espellere la mente e i desideri e a lasciare che agisca come vuole» nella consapevolezza che «l’attività che coinvolge molte cose in un processo unico, indirizzandole, anche se . . . . .

Ivi, p. . Ivi, p. . J C, Silenzio, a cura di R. Pedio, Milano, Feltrinelli, , p. . Ivi, p. . Ibid.


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alcune appaiono opposte, verso l’unità, contribuisce ad un modo buono di vivere». Il corpo, secondo Cage, interagisce con quello che lo circonda, ponendo «le azioni che si intende compiere in relazione con quelle, involontarie, dell’ambiente. Il denominatore comune è zero, dove batte il cuore (nessuno intende che il suo sangue circoli)». Quale tipo di ascolto, quindi, per questa “musica nuova”? Un “ascolto nuovo”, «non il tentativo di comprendere qualcosa che si dice, perché, se qualcosa si dicesse, ai suoni si confonderebbero le forme delle parole. Soltanto, un’attenzione all’attività dei suoni». Attenzione che superi la dualità bello/non bello, interessante/non interessante, che superi insomma la pigra adesione al gusto personale: « Nello Zen dicono: se qualcosa disturba dopo due minuti, provatelo per quattro; se disturba ancora, provatelo per otto, sedici, trentadue e così via. Infine si scopre che non disturba affatto, anzi è interessantissimo». . Quando la vita cambia la danza: la ricerca del coreografo Virgilio Sieni Invito i lettori a guardare il video “Di fronte agli occhi degli altri” nel quale Virgilio Sieni interagisce con persone anziane, lasciandosi danzare più che danzando. Ho personalmente assistito ad alcuni suoi spettacoli in cui uomini, donne, ragazzi e bambini esibivano le loro gestualità autentiche, i loro piccoli scatti, i disequilibri, il pudore e la sapienza della loro corporeità riproducendo davanti al pubblico qualità di gesto “possedute” dal quotidiano e divenute esperienza artistica perché “sacralizzate” dal contesto, dallo sguardo altrui. Non sono un’esperta di danza né una studiosa della sua storia e delle sue evoluzioni, ma ascoltando le parole di Sieni penso di aver capito che questa scelta non sia dettata solo da curiosità di carattere estetico (quale “bellezza” può scaturire dall’incontro tra la poeticità degli artisti, dei professionisti dell’arte e la poeticità “ingenua” della cosiddetta gente comune?) ma dal desiderio di accogliere la vita, abbracciandola piuttosto che facendola accomodare gentilmente e paternalisticamente nei propri spazi e territori, per rinnovare il linguaggio, per lasciarsi contaminare invece che contami. Ivi, p. . . Ivi, p. . . Ivi, p. . . Ivi, p. . . Di fronte agli occhi degli altri — Compagnia Virgilio Sieni https://www.youtube.com/watch?v= YZrFDHwvfWo (ultima cons. //).


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nare, per imparare invece che insegnare, per lasciarsi inventare invece che inventare, per lasciarsi guidare invece che guidare, per sentirsi in definitiva complici di una vera innovazione nei linguaggi dell’arte che può riscrivere grammatiche e sintassi o semplicemente sognare nuovi mondi. Riporto alcune sue riflessioni trascrivendo parte del testo di una sua intervista. Alcune considerazioni riguardano la sua maniera di guardare i corpi (in questo caso di persone anziane, abituate al lavoro manuale) cogliendone la naturale gestualità coreografica, adattando quindi la concezione di “coreograficità” alla poeticità del reale piuttosto che cercare di adattare il reale, “piegandolo” alle esigenze del linguaggio artistico. In ciascuno di questi corpi comunque si annida un’essenza anche propriamente tecnica perché, tra l’altro, si tratta di manualità rafforzatesi nel corso di decenni di lavori, che tuttavia hanno mantenuto un’umanità pregnante. Per umanità non si intende la banalizzazione di un gesto abitudinario, del quotidiano, ma qualcosa che ha a che fare con tutto il sistema dei sensi, della sessuologia, della psicologia ecc. In quei gesti, in quelle esistenze, quello che emergeva e che emerge è questa costellazione indicibile e raffinata [. . . ], coreografica.

La dirompente carica destrutturante di questa irruzione dei corpi e delle gestualità “non esperte” scontorna un ruolo del professionista che deve essere di profondo ascolto empatico, di ri–apprendimento, di totale apertura. In questo senso il professionista della danza deve fare un percorso quasi all’indietro, andando a perdere quell’elemento di credibilità che non è l’abitudinarietà quotidiana, ma neanche quel vissuto a volte terribile. Il danzatore, adiacente a questa esperienza, iniziando dei percorsi insieme, [impara] come muovere l’altro, intuendo la pratica da mettere in atto con l’altro. . . saper toccare l’altro include un aspetto legato all’attesa, allo sguardo, all’immaginazione di un corpo altro dentro il tuo movimento: un sistema sottile, complesso e tecnico.

Il lavoro di Virgilio Sieni è teso ad inventare incessantemente nuove qualità dell’atto poetico abitando i territori e i luoghi di una umanità autentica piuttosto che pensarli soltanto come i destinatari finali di un lavoro di creazione che si svolge altrove. Lasciamoci contaminare da questa qualità di gesti sonori posseduti dal quotidiano, da questa grazia che appare attraverso qualità di energia, ingenuità, forza indipendente che è assente nel professionista; [dobbiamo] portare l’attenzione ai dettagli di marginalità, di imperfezione, ai piccoli scatti, alle dislessie, agli scarti di ritmo . Virgilio Sieni: tre Agorà per Marsiglia  www.youtube.com/watch?v=YNAtsTAP (ultima cons. //).


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Augusta Dall’Arche per una ricerca che è esplorazione poetica, dall’antropologia alla sociologia, dalla sociologia al sentire, dal sentire alla scoperta della bellezza, abbandonando con gioia il nostro bagaglio tecnico per creare l’atto poetico.

Si tratta in definitiva di aprire un varco di vertigine, nel pensiero ma ancora di più nell’esperienza concreta, sensibile, in un atto artistico che comprenda il corpo e che si lasci andare sperimentando tutti i disequilibri imbarazzanti, destabilizzanti, piuttosto che cercare i rassicuranti ancoraggi del senso e di una semantica che non fa altro che rimescolare nel già conosciuto, accontentandosi di dare forme falsamente nuove alle solite cose vecchie. Non dovremmo accontentarci di osservare da lontano paesaggi sconosciuti rimanendo al sicuro nelle nostre case; dovremmo accettare il rischio di desiderare di far parte di questi paesaggi, dapprima raggiungendoli ed immergendovisi, poi giocando a crearne di nuovi, da soli o con gli altri, costruendo magari nuove case, pronti ad abbandonarle senza rimpianti, luoghi provvisori che adattiamo man mano al nostro vivere, sentire, agire, amare.

. Per un nuovo linguaggio che produca nuovi pensieri. Considerazioni anche pedagogiche Nella convinzione che i cambiamenti non sono sempre frutto di un pensiero che procede per logiche concatenazioni ma si nutrono anche di un pensiero che procede per suggestioni, che fa della labilità la propria forza, dell’allusione la propria ricchezza, continuerò più per allusioni che per definizioni, affidandomi ad un testimone e protagonista di un modo nuovo di vivere e di far vivere la musica. Mi riferisco a François Delalande e alle sue intuizioni, scaturite da un contatto autentico e simultaneo con la vita e con la musica, alimentato dal desiderio di andare oltre il già acquisito e sedimentato. Egli ha contribuito e contribuisce allo sviluppo di una riflessione pedagogico–musicale centrata sul superamento dello stereotipo sonoro e basata su esplorazione, espressione e organizzazione dei materiali non come propedeutica all’apprendimento “tradizionale” (quello “giusto”) ma come dispositivo di creazione di nuovi materiali, in una concezione dell’interazione didattica come occasione di evoluzione del linguaggio oltre che dei soggetti coinvolti. Dalla giustapposizione di queste idee, dal loro contatto penso si possano sprigionare scintille in grado di alimentare bagliori o fuochi che potrebbero illuminare nuovi paesaggi, scorci, angoli, forme, figure.


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Delalande elabora il suo percorso nell’ambito pedagogico, interagendo con bambini ed insegnanti, a mio parere limitando la portata delle sue intuizioni che, invece, ritengo possano essere estese più in generale all’esperienza della/con la musica da parte di tutti: ragazzi, adulti, anziani, disabili. . . In altra occasione ho sottolineato come una concezione pedagogicamente troppo limitata si preoccupi quasi esclusivamente di ciò che accade nell’ambito scolastico, limitando il proprio focus a luoghi e a “età della vita” ben delimitati e determinati. Per quanto riguarda la musica, la situazione italiana è ancora più circoscritta: l’avventura formativa normalmente si interrompe in maniera brusca alla fine della Scuola Secondaria di Primo Grado. Per gli individui al di sopra dei  anni è riservato, musicalmente parlando, un futuro piuttosto desolante: viene concesso loro di diventare meri consumatori di musica, quasi del tutto disarmati di fronte alla miriade di stimoli che contrappuntano (sarebbe meglio dire “invadono”) le loro giornate o, in qualche caso, riproduttori di modelli musicali stereotipati, conformistici (magari nella versione facilitata). Alla base di questa situazione penso vi siano due ordini di possibili cause: da una parte la “staticità” di un pensiero pedagogico che stenta ad avventurarsi realmente nei territori extrascolastici, probabilmente perché ancora troppo ingabbiato negli schemi finalizzati alla trasmissione dei saperi e timoroso di andare oltre le mere enunciazioni che riguardano la loro rielaborazione, trasformazione, re–invenzione; d’altro canto la resistenza dei linguaggi artistici in generale ad “abitare” spinte evolutive che possano provenire da territori “altri” rispetto a quelli della consueta ricerca affidata ai “professionisti”. Propongo quindi di seguito una riflessione che, prendendo spunto dal pensiero di Delalande, estenda l’identità dei soggetti chiamati in causa a tutte le categorie di persone, nella convinzione che la produzione musicale creativa, praticata attraverso le più disparate procedure, possa costituire un motivo di risveglio sociale e di occasione per un rinnovamento del linguaggio. Riporterò, commentandole, alcune citazioni tratte dal libro La musica è un gioco da bambini nel quale sono stati trascritti dieci dialoghi radiofonici realizzati con l’aiuto di Jack Vidal e diffusi su France Culture nel . La produzione creativa si concretizza per Delalande nell’«interrogare un corpo sonoro, un dispositivo, ma anche [nel] saperne cogliere le risposte! Non pretendere di sapere in anticipo ciò che si vuole ottenere, ma com. Cfr. A D’A, Identità musicali e riflessione autobiografica, in http://www. musicheria.net/Rubriche/?t=Identit%CA_musicali_e_riflessione_autobiografica&g=&p= &f=&s=caroccia&sUrl=%FRicerca%FDefault%Easp%Fs%Dcaroccia%x%D%y% D (ultima cons. //).


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prenderlo poco a poco. È la ricerca, la scoperta». L’intervistatore risponde con una domanda: «Di sé?» che secondo me, in maniera folgorante ed acuta, fa balenare le possibilità di dilatare l’esperienza oltre i confini dell’arte, ancorandola alla vita, trasformandola in un’esperienza dell’essere. Le ricerche della musica contemporanea hanno contribuito, come l’arte astratta, a superare i criteri valutativi sui processi creativi oltre l’assillo di verificare se la musica prodotta fosse giusta o sbagliata. «Si è potuto guardare con interesse i bambini dipingere quando non ci si è più preoccupati di verificare a priori se la rappresentazione fosse fedele». Chi ascolta produzioni musicali che esulano dagli schemi consueti ha la sensazione di non percepire altro che rumore, probabilmente anche perché, come afferma Delalande, «gli mancano le parole per ascoltare». D’altro canto, si cade nell’equivoco di credere che una terminologia oggettiva sia più precisa di una qualificazione metaforica. Per quanto lunga sia la lista delle parole convenzionali di cui si dispone per descrivere i suoni, essa sarà sempre finita, mentre l’universo dei suoni che si creano è in costante espansione. Inventare delle parole è la prova che si sentono differenze più fini di quelle che si è imparato a nominare. E che queste parole siano improntate ad altri domini di sensazione è non solo inevitabile ma anzi auspicabile, perché questo prova che l’impressione sonora è in grado di risvegliare un ricordo sensoriale, qualcosa che si conserva dentro di sé, peraltro già vissuto prima.

Come sottolinea Maurizio Disoteo nell’introduzione al libro di Delalande, la musica si fa con le mani e col soffio e il suono è la traccia del gesto che lo produce, ci dice Delalande; ma sarebbe sbagliato ridurre la significatività del rapporto tra musica e gesto solo a questo. Si tratta invece di costruire, dal versante musicologico, una vera e propria “semiologia del gesto musicale” e da quello pedagogico aiutare [. . . ] a sviluppare il controllo della [. . . ] gestualità attraverso l’osservazione del suono. Ciò che garantisce che si tratta di musica è che il gesto viene spostato dalla causa, cioè dal semplice colpo, all’effetto, cioè al suono. Poiché tutt’a un tratto la causa, grazie alla ripetizione, si eclissa, si dimentica, mentre l’effetto, grazie alla variazione, viene messo in primo piano. . . . . . . .

F D, La musica è un gioco da bambini, Milano, FrancoAngeli, , p. . Ibid. Ivi, p. . Ivi, p. . Ivi, p. . Ivi, p. . Ivi, p. .


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Quale rapporto quindi con un approccio alla musica che diventi una disciplina del corpo e della sensibilità piuttosto che «una matematica o una grammatica mascherata»? Concordo pienamente con Delalande quando afferma «lo studio del solfeggio è assurdo per chi non sarà mai destinato ad utilizzarlo, invece un’esperienza di invenzione e di ricerca può essere ricca di soddisfazioni anche per chi non praticherà mai altre forme di musica. Contrariamente al solfeggio questa è già un’esperienza musicale completa.», considerato che «l’esplorazione sonora non si fa con la punta delle dita ma tende a sollecitare il corpo intero; trova un’eco nell’immaginazione poetica; entra in risonanza con la vita affettiva. Piuttosto che ricercare non si sa quale purezza della musica, perché non rinforzare questo ancoraggio profondo della musica al vissuto?». Il riferimento è ad un’idea di musicista che superi quella del musicista sapiente: il musicista abile e sensibile, «colui che ama ascoltare o produrre suoni, colui per il quale il suono stabilisce una corrispondenza immediata con un vissuto, colui infine che è sensibile all’organizzazione temporale della forma».

. Dal piacere della lettura al desiderio della scrittura: tutti lettori, tutti scrittori. Anche di musica La lettura del testo letterario ci permette di gestire i tempi di fruizione, autorizzandoci a “sollevare la testa” quando vogliamo; l’ascolto di un brano musicale ci impone invece il proprio decorso temporale, tenendo la nostra attenzione “in ostaggio” dal primo all’ultimo suono. In realtà, la riproducibilità dell’opera musicale, la sua diffusione anche attraverso supporti che facilitano la più totale autogestione della sua fruizione (riascolto integrale o per frammenti; ascolto inframmezzato da pause e fermate; ascolto parziale. . . ), permette di far vivere un’esperienza molto simile a quella del lettore, citata da R. Barthes «di interrompere continuamente la lettura, non per disinteresse ma al contrario per l’ininterrotto affluire di idee, stimoli e associazioni». Questa abitudine necessaria, reale, viene catalogata come fruizione “perversa”: il testo si deve leggere “col naso nelle pagine” così come la musica si deve ascoltare “con la testa tra le mani”. . . . . .

Ivi, p. . Ivi, p. . Ivi, p. . Ivi, p. . R B, Il brusio della lingua, Torino, Giulio Einaudi Editore, , p. .


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In una delle sue ammirevoli provocazioni, R. Barthes, durante la lettura del Sarrasine di Balzac si è «continuamente fermato» riportando quindi in uno scritto intitolato S/Z il testo «che scriviamo nella nostra testa quando la alziamo» dando vita al cosiddetto testo–lettura, “oscuro oggetto” «poco familiare perché da secoli ci interessiamo smisuratamente all’autore e per nulla al lettore». La lettura (così come, secondo me, l’ascolto musicale) associa al testo materiale «altre idee, altre immagini, altri significati. “Il testo, soltanto il testo”, come spesso si dice, ma il testo solo non esiste». E la vita dell’opera si nutre della sua fruizione che fa «lavorare il nostro corpo (la psicanalisi ci insegna che il corpo è ben più della nostra memoria e della nostra coscienza) in corrispondenza ai richiami dei segni del testo, di tutti i linguaggi che lo attraversano e che formano in un certo senso la profondità cangiante delle frasi». Leggendo (o ascoltando un brano musicale) «anche noi conferiamo una postura al testo, e proprio per questo esso vive». Con questo esempio di riflessione sulla lettura penso che dobbiamo sentirci autorizzati ad una “lettura” della musica che non ci veda semplici usufruttuari della proprietà dell’opera, detenuta dall’autore e dall’apparato critico. Ma l’acuta provocazione di R. Barthes si spinge oltre. Dopo aver citato la frase di R. Laporte «una pura lettura che non faccia sorgere un’altra scrittura è per me una cosa incomprensibile. . . La lettura di Proust, di Blanchot, di Kafka, di Artaud non mi ha dato voglia di scrivere su questi autori (e nemmeno, voglio aggiungere, come loro), ma di scrivere», elabora il concetto della lettura come «produzione non più di immagini interiori, di proiezioni, di fantasmi, ma, alla lettera, di lavoro: il prodotto (consumato) è restituito in produzione, in promessa, in desiderio di produzione, e comincia a dipanarsi la catena dei desideri, poiché ogni lettura vale per la scrittura che genera, all’infinito». Così come, aggiungerei, ogni musica, più o meno “perversamente consumata”, vale per la musica che genera. Il piacere di produrre non deve essere élitario, anche se nella nostra . . . . . . . . .

Ibid. Cfr. R B, S/Z, Torino, Giulio Einaudi Editore, . R B, Il brusio della lingua, Torino, Giulio Einaudi Editore, , p. . Ibid. Ibid. Ivi, p. . Ibid. Ivi, p. . Ibid.


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società («società di consumo e non di produzione, società del leggere, del vedere, del sentire e non dello scrivere, del guardare e dell’ascoltare») tutto è fatto per bloccare la risposta: gli amatori della creazione artistica sono dispersi, clandestini, schiacciati sotto il peso di mille ostacoli, anche interiori. Parafrasando la parole di R. Barthes ritengo che non sarà mai possibile liberare la musica se, nel contempo, non ne liberiamo la “scrittura”, aprendola alle “perversioni” delle contaminazioni determinate anche dall’ignoranza delle regole e dalla loro destrutturazione. Solo così «le vette oggi raggiunte da singoli individui e in momenti privilegiati le potremo presto vedere piene di gente». Invito ancora una volta i lettori ad ascoltare il frammento musicale dal quale sono scaturite le mie “nebulose”; mi piace pensare che da questo testo–lettura musicale possano magari dipanarsi catene di desideri. Concludo citando le belle parole di José Antonio Abreu: «L’arte è stata inizialmente una cosa delle minoranza per le minoranze; successivamente delle minoranza per le maggioranze. Noi stiamo iniziando una nuova era in cui l’arte è un’impresa della maggioranza per la maggioranza».

Bibliografia Arena L.V. (, a cura di), Haiku, R.C.S. Libri & Grandi Opere, Milano. Bachelard G. (), La poetica della rêverie, tr. it. di G. Silvestri Stevan, Edizioni Dedalo, Bari. Barthes R. (), Frammenti di un discorso amoroso, tr. it. di R. Giudieri, Giulio Einaudi editore, Torino. Barthes R. (), Il brusio della lingua, tr. it. di B. Bellotto, Giulio Einaudi editore, Torino. Barthes R. (), L’impero dei segni, tr. it. di M. Vallora, Giulio Einaudi editore, Torino. Barthes R. (), L’ovvio e l’ottuso, Giulio Einaudi editore, Torino. Barthes R. (), S/Z, tr. it. di L. Lonzi, Giulio Einaudi editore, Torino. Barthes R. (), Variazioni sulla scrittura, C. Ossola (a cura di), Giulio Einaudi editore, Torino. Cage J. (), Silenzio, R. Pedio (a cura di), G. Feltrinelli Editore, Milano. Caroccia A.–Dall’Arche A. (, a cura di),Genesi di un musicista. La formazione musicale e le sue storie, Aracne editrice, Roma. Disoteo M.–Piatti M. (), Specchi sonori, FrancoAngeli, Milano. . Ivi, p. . . C, Silenzio, cit., p. . . Metodo Abreu, https://www.youtube.com/watch?v=lLzvJEK, (ultima consultazione //).


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Videografia Di fronte agli occhi degli altri — Compagnia Virgilio Sieni https://www.youtube.com/watch? v=YZrFDHwvfWo Virgilio Sieni: tre Agorà per Marsiglia  https://www.youtube.com/watch?v=YNAtsTAP

Augusta Dall’Arche


JosĂŠ Antonio Abreu.



Quando la musica cambia la vita ISBN 978-88-548-7597-5 DOI 10.4399/978885487597513 pag. 121–125 (ottobre 2014)

Il Disegno di legge “Abbado” per fare musica tutti E F

Questo interessante convegno Conoscere e interagire con “El Sistema Abreu”, promosso dal Conservatorio “Umberto Giordano” di Foggia in memoria di Claudio Abbado, è stato per me doppiamente significativo. Una giornata di confronto costruttivo, proprio nel giorno in cui il Disegno di legge, che mi vede prima firmataria, “Disposizioni in materia di valorizzazione dell’espressione musicale e artistica nell’istruzione” è stato assegnato alla VII Commissione del Senato. Un percorso, proprio dedicato alla memoria del compianto Maestro Abbado, che nasce dall’appello lanciato dall’architetto Renzo Piano a poche ore dalla scomparsa di colui che non solo aveva dedicato la sua vita alla musica, ma aveva da sempre perseguito l’obiettivo di un’Italia dove l’esperienza musicale fosse “per tutti”. Una proposta di legge che deriva dall’esperienza personale di  anni nella scuola come insegnante di educazione musicale, dal sostegno di molti parlamentari di tutte le forze politiche e dallo stretto confronto con gli operatori della cultura, della pedagogia e della didattica della musica. Il DDL  trova radici negli insegnamenti e nelle conquiste dei decenni passati, a cominciare anche dalle idee sulla formazione e cultura musicale elaborate dalla SIEM (Società Italiana per l’Educazione Musicale), che ho avuto l’onore di presiedere, fondata oltre  anni fa da importanti esponenti di didattica, pedagogia e analisi musicale come Carlo Delfrati e Marco De Natale. Quante generazioni di insegnanti nei diversi livelli dell’istruzione musicale hanno tratto dai pionieri di quegli anni la spinta motivazionale e le basi culturali per affrontare il proprio percorso professionale! Penso per esempio ai libri di testo che hanno dato una svolta all’insegnamento nella secondaria inferiore. Certo Progetti sonori di Carlo Delfrati, ma voglio ricordare anche Musica di Gino Stefani, Johannella Tafuri e Maurizio Spaccazocchi, portatori di un nuovo approccio didattico legato ad una aggiornata visione dell’apprendimento. . Il testo integrale del DDL è disponibile a questo link http://www.senato.it/japp/bgt/ showdoc//DDLPRES//index.html (ultima cons. //).

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I programmi del  avevano reso l’educazione musicale obbligatoria nella scuola media raddoppiandone le ore. Sono stati anni intensi che hanno portato, con il contributo dell’allora presidente SIEM Giovanni Belgrano, alla stesura dei programmi della scuola elementare nel  di cui ricordiamo l’innovativa Educazione al suono e alla musica. Da lì l’esigenza da parte di tanti docenti della primaria di formarsi in quei linguaggi meno conosciuti, tra cui certamente la musica. Ne sortì un nuovo interesse per i metodi storici della didattica musicale che hanno dato e stanno ancora dando tanto alla nostra esperienza nazionale. Nel  giunge la riforma dei Conservatori di musica (inseriti nel sistema AFAM costituito per la formazione artistica e musicale: L. /), a coronamento di una lunga sperimentazione, che comprende l’istituzione in ordinamento delle Scuole medie a indirizzo musicale. Quest’ultimo segmento rappresenta un punto forte della formazione musicale, ma sicuramente anch’esso, dopo un quindicennio di consolidamento ed espansione, varrebbe la pena venisse sottoposto a puntuale monitoraggio per verificarne la diffusione sul territorio nazionale nonché la qualità dei piani di studio. Con l’autonomia scolastica abbiamo vissuto la bella stagione dei laboratori musicali della Legge /, ma i finanziamenti si sono scontrati presto con i tagli alla scuola. Con la riforma Gelmini sono sorti i licei musicali la cui esperienza sta giungendo al termine del primo ciclo nel prossimo anno scolastico. L’amarezza è quella di aver sacrificato la già risicata presenza della musica in tutti gli altri percorsi formativi e la mancata istituzionalizzazione della disciplina nel biennio della secondaria superiore, logica conseguenza della sperimentazione “Brocca”. Progressi legislativi si sono avuti sul fronte della formazione degli insegnanti, inizialmente facoltativa e affidata al Corso straordinario triennale attivato nei Conservatori, trasformato nel  in Scuola di Didattica della musica (quadriennale) il cui diploma divenne abilitante nel , sfociata nel  nei Corsi Accademici biennali di II livello per la formazione degli insegnanti di educazione musicale e di strumento, il cui diploma, insieme all’anno di tirocinio (TFA), è titolo abilitante per l’accesso ai concorsi. Questo vuol dire che il sistema formativo italiano da molti anni si è posto l’obiettivo di preparare i futuri docenti di musica e strumento di opportune competenze pedagogico/didattiche e metodologiche, ma sappiamo anche quanto questo progetto si sia confrontato con meccanismi di reclutamento poco premiali per non dire spesso incoerenti. A questo breve excursus vanno sicuramente aggiunti i riconoscimenti riferiti alla scuola dell’infanzia e la diffusa sensibilizzazione per un’esperienza musicale a partire dalla nascita, nonché il contributo apportato dal DM / ispirato dall’operato del Comitato per l’apprendimento pratico della musica, una realtà in cui convergono tante istituzioni educative in


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ambito musicale (associazioni, scuole, bande. . . ) che tutti riconosciamo quali fondamentali agenti dell’offerta formativa musicale nel nostro Paese. Le progettualità presentate in questa giornata dedicata al Sistema Abreu dimostrano come l’esperienza musicale contribuisca significativamente alla crescita armonica della persona, anche da un punto di vista emotivo–relazionale, enfatizzandone le valenze inclusive e sociali. L’insegnamento/apprendimento di uno strumento musicale esce da percorsi orientati prevalentemente alla carriera solistica e virtuosistica per favorire in bambini e ragazzi quella formazione musicale estremamente ricca che scaturisce dal ‘suonare insieme’. L’attenzione che il Presidente della Repubblica ha riservato a queste esperienze invitando il Coro delle mani bianche e l’orchestra di “El Sistema” proprio per il concerto di Natale in Senato è la testimonianza dell’attenzione delle più alte Istituzioni alla musica e alle buone pratiche musicali. Anche questo è un segnale di come sia venuto il momento di fare tutti fronte comune per creare quello che oggi non abbiamo: un sistema integrato volto alla formazione musicale (amatoriale e specialistica) dei bambini e dei giovani, ma che guardi anche all’educazione permanente e metta il nostro Paese, così ricco di storia, al pari con tante realtà europee. L’Italia può diventare così un Paese migliore. Il Disegno di legge “Abbado” ha come obiettivo quello di disegnare un modello istituzionale che garantisca la formazione musicale a tutti. Un percorso che considera la musica un linguaggio fra i linguaggi e che pone attenzione alle altre arti performative (danza, teatro, multimediali) perché siano oggetto di una “battaglia culturale” soprattutto nel momento in cui la politica decide di mettere la scuola e la cultura al centro dei propri interessi. Un percorso che risponde a un bisogno comune, condiviso giorno dopo giorno dai cittadini e dal mondo dell’associazionismo culturale di tutta Italia. La petizione a sostegno dell’iter legislativo, attivata spontaneamente dal blog “Fare musica tutti”, ha raccolto oltre . adesioni in poco più di due mesi, tra cui figurano molte realtà associative. Tutti insieme per chiedere a gran voce che l’educazione musicale ritorni in tutte le scuole di ogni ordine e grado. La speranza è che a questo appello possano aderire anche ballerini, coreografi, musicisti, cantanti, attori, ovvero tutti i protagonisti del meraviglioso mondo delle arti e dello spettacolo. Il Maestro Abbado diceva che «La cultura è un bene comune e primario, come l’acqua». Condivido con tutta me stessa le sue parole. Se l’acqua è un elemento fondamentale dell’esistenza, mai come oggi l’Italia avverte una . http://faremusicatutti.altervista.org/disegno-di-legge-atto-senato--disposizioni-materiadi- valorizzazione-dellespressione-musicale-e-artistica-nelsistema-dellistruzione/ (ultima cons. //).


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grande sete di cultura. Le nuove tecnologie hanno il merito di favorire l’accesso al sapere, ma senza un adeguato supporto formativo, tale disponibilità si traduce in nozionismo e, se non supportata dalla valutazione critica, va a scapito della qualità dei contenuti. Un rischio soprattutto per i giovani, che vengono spesso considerati anzitutto come “consumatori”. La vera scommessa della politica, oggi, si gioca sul piano culturale, che non è certo così slegato dalla ripresa socio–economica. Una sfida in cui la musica, e più in generale le arti performative, possono risultare strumento vincente. Associazioni, volontari e operatori del settore, oggi fortemente condizionati della crisi, hanno finanziamenti sempre più limitati dagli Enti locali e dallo Stato. È necessario creare un sistema integrato tra cultura e istruzione e, riconoscendo il diritto all’esperienza musicale e artistica per tutti a partire dalla scuola, mettere in rete le realtà oggi esistenti, anche con sistemi di accreditamento per garantirne la qualità e per ottimizzare e potenziare l’offerta esperienziale. Esempi virtuosi peraltro non mancano in alcune Regioni italiane. Secondo questi principi nasce il DDL “Abbado” che come prima misura prevede l’incremento della musica in tutte le scuole di ogni ordine e grado. A partire dalle scuole dell’infanzia, dove la musica è alla base dello sviluppo della relazione e della comunicazione dei bambini. Passando per la primaria e la secondaria di primo grado con l’attivazione di  istituti comprensivi in cui oltre alla musica (con maggiori opzioni strumentali) siano presenti anche altre arti performative. Un rafforzamento dei licei coreutici e musicali sul territorio nazionale (almeno uno per Provincia) e l’inserimento della Musica nella secondaria di secondo grado, dove Bellini e Bernini avranno pari dignità, come è giusto che sia. Per questo nella mia proposta di legge sono previsti  milioni di Euro per  poli attorno a istituti comprensivi ad indirizzo musicale, per utilizzare al meglio le figure professionali e fare rete con tutti i plessi. Una scuola in sinergia con le istituzioni dell’Alta formazione e con l’Università, gli enti locali, le fondazioni, le orchestre, le bande e tutte le realtà che stanno dando a tantissimi italiani di tutte le età occasioni di crescita culturale nei settori della musica, della danza, del teatro e, più in generale, nelle arti dello spettacolo. È ineludibile che il mondo dell’istruzione e quello della cultura si interfaccino in modo più sostanziale. In quest’ottica anche il Fondo per lo spettacolo dovrà premiare le proposte volte a creare opportunità socio–formative, anche rivolte al mondo del disagio. Per i docenti sono previste delle cArt (cultura e/è Arte), ovvero delle tessere per l’accesso gratuito ai musei e a prezzo ridotto agli spettacoli; inoltre per le famiglie si prevede la detrazione di imposta per le spese


Il Disegno di legge “Abbado” per fare musica tutti

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sostenute nel privato per la formazione musicale e strumentale dei figli minori. In questo “disegno”, auditorium e teatri diverrebbero finalmente, luoghi di aggregazione e “acquedotti” di quel messaggio tanto caro al Maestro Abbado e all’architetto Piano, principio ben recepito dal piano per l’edilizia scolastica del Governo Renzi. Quello che dico in questi mesi è che abbiamo bisogno di scuole nuove ma anche di una nuova scuola! Ringrazio il Direttore del Conservatorio e gli organizzatori di questa giornata per avermi dato la possibilità di intervenire oggi e a mia volta invito a sottoscrivere la petizione a sostegno della proposta che ho presentato. Spero che a breve ci possano essere buone notizie per il mondo della Musica e in tal senso continuerò a dedicare il mio impegno in Parlamento. Elena Ferrara


Claudio Abbado con JosĂŠ Antonio Abreu.


TAVOLA ROTONDA



Quando la musica cambia la vita ISBN 978-88-548-7597-5 DOI 10.4399/978885487597514 pag. 129–158 (ottobre 2014)

“El Sistema” Abreu in Italia Tavola rotonda coordinata da Francesco Di Lernia

Francesco Di Lernia (Conservatorio “Umberto Giordano” di Foggia), Paolo Acunzo (Sanitansamble di Napoli), Giorgio Cerasoli (Sistema delle Orchestre e dei Cori giovanili e infantili del Friuli Venezia Giulia), Dario Cusani (Fondazione onlus “Gabriele e Lidia Cusani” di Roma), Tonino D’Angelo (Art Village di San Severo), Bernardo Donati (Scuola di musica di Fiesole), Andrea Gargiulo (MusicaInGioco), Giovanni Pompeo (Laboratorio Arte, Musica e Spettacolo di Matera). Trascrizione a cura di Rosa Franco, Alessandra Palladino e Rachele Ruggeri. Francesco Di Lernia: Non è stato facile radunare coloro che operano in questo settore per poter illustrare, anche solo in maniera superficiale, e comunicare le esperienze vissute attraverso la loro testimonianza. Inizierei direttamente con Paolo Acunzo. Paolo Acunzo: Buonasera, sono Paolo Acunzo direttore della orchestra “Sanità Ensemble” di Napoli. Il professor Sullo vi ha illustrato prima il nostro progetto, nato nel  per volontà dell’associazione “Altra Napoli onlus”. Abbiamo un pull di  maestri: la nostra, in effetti, è un’esperienza che replica in toto quella del metodo delle orchestre venezuelane, ideata dal maestro Abreu. Abbiamo  maestri che collaborano attivamente per questo progetto dell’orchestra sinfonica. La nostra attività è iniziata nel : abbiamo fatto delle audizioni grazie all’aiuto della chiesa di San Vincenzo alla Sanità che, come diceva il professor Sullo, è situata nel centro della Sanità. Perché il quartiere Sanità vive di luce propria? Perché il buon Gioacchino Murat, illo tempore, decise di fare un ponte e quindi tagliare la città in due parti, per cui la Sanità è rimasta isolata dal resto di Napoli. Ci sono  abitanti, la dispersione scolastica è del –%. Ci sono persone, purtroppo, che delinquono: il centro della malavita della camorra di Napoli nasce proprio dal nostro quartiere, dove vivono i boss della malavita. Noi ci sentiamo un po’ come “medici senza frontiere” ed 


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abbiamo deciso, con questo pull di maestri nel , di fare qualcosa per la nostra città. Non creiamo musicisti, ma soprattutto cerchiamo di creare dei cittadini per bene, dei ragazzi che, attraverso la musica, potranno poi diventare dei bravi elettricisti, dei bravi idraulici, dei bravi medici, delle brave persone. Questo, ovviamente, ci costa molto perché all’inizio abbiamo dovuto combattere con una mentalità diffusa; ancora combattiamo: dopo  anni forse non abbiamo vinto, ma abbiamo portato dalla parte nostra dei ragazzi, che, altrimenti, oggi sarebbero altrove, grazie anche all’impegno del nostro parroco Don Antonio Loffredo, il quale ci ha permesso di attuare questo progetto, importante per tutti. Il progetto va avanti da sei anni, all’inizio con l’aiuto dell’Altra Napoli, con l’aiuto di sponsor (noi non abbiamo mai avuto contributi statali o regionali); da un anno, purtroppo, questi soldi sono finiti e i  maestri, che lavorano a titolo gratuito, non hanno abbandonato il progetto, assolutamente. C’è stato un momento importante ad ottobre, quando abbiamo suonato a Milano, con l’orchestra della Fondazione Verdi, l’Egmont, ouverture di Beethoven; è stato un concerto importante, tra l’altro in collaborazione anche con l’orchestra di “Arnoldo Mondadori”, l’orchestra di ROM di Milano. Il giorno dopo c’è stata una riunione durante la quale avremmo dovuto decidere se andare avanti o concludere il progetto. Guardandoci negli occhi con tutti i maestri, abbiamo deciso di andare avanti perché per noi sono prioritari i ragazzi. Difatti a settembre nascerà anche l’orchestra infantile, con altri  ragazzi: la nostra orchestra è già formata da  allievi, l’età adesso varia dai  ai  anni. I ragazzi grandi, in puro spirito venezuelano, fanno da tutor ai più piccoli: infatti in orchestra vengono affiancati un bambino e un ragazzo più grande, proprio per far sì che non vadano via. Il progetto procede bene. L’esperienza, per noi maestri, è importante, forse più che per i ragazzi, perché ci ha fatto capire realmente il nostro lavoro, quello di musicista, che non è solo quello di fare i concerti e girare per teatri, ma di dare qualcosa a questi giovani, che stanno rispondendo veramente bene. Goccia dopo goccia si scavano i solchi e quindi questo ci dà la forza per andare avanti e per far crescere l’orchestra e io spero in futuro che altri quartieri malfamati come il nostro possano copiare la nostra esperienza. Grazie. Francesco Di Lernia: Passerei la parola a Giorgio Cerasoli, il responsabile del Sistema delle Orchestre e dei Cori giovanili e infantili del Friuli Venezia Giulia. Giorgio Cerasoli: Buongiorno a tutti, una precisazione sul Sistema delle Orchestre giovanili e dei Cori giovanili e infantili per il Friuli Venezia Giulia: il Sistema nazionale è organizzato in una serie di referenti regionali. Nel Friuli Venezia Giulia l’esperienza si contraddistingue per la presenza


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del primo nucleo che ha fatto proprio il progetto speciale che abbiamo visto prima nel filmato, ovvero quello delle “mani bianche”, nucleo nato nel  grazie all’iniziativa di Giannola Nonino che assegnò il premio letterario e culturale, il “Premio Nonino”, a Naybeth Garcia e Johnny Gómez, facendoli venire in Italia. Questi due amici venezuelani, venendo in Italia, dissero subito: «Sì, noi veniamo volentieri a prendere questo premio del quale ci avete fatto riconoscimento, però vorremmo lasciare qualcosa di nostro». E allora si è trovato il modo, identificando anche una struttura adeguata, per poter far nascere un’esperienza tra quelle che loro avevano creato in Venezuela nell’ambito del sistema, ovvero quella del coro di “mani bianche”, un coro di persone che, non potendo cantare con la voce, portano il messaggio della musica attraverso il gesto: le “mani bianche” sono i guanti bianchi che indossano. Questa esperienza, dunque, è nata ancor prima dell’istituzione del sistema delle orchestre giovanili infantili in Italia; vi ha poi aderito naturalmente, e tuttora si svolge all’interno di una struttura a San Vito al Tagliamento presso la comunità “La nostra famiglia” alla quale fanno già riferimento una serie di persone diversamente abili che, settimanalmente, si incontrano e realizzano una serie di attività che stimolano i ragazzi a questo tipo di espressione, di comunicazione con i loro mezzi. Posso dire che proprio recentemente, grazie a una nuova presenza in questo nucleo, c’è stato un incontro dei genitori, che hanno portato una testimonianza assolutamente toccante documentata in un video amatoriale che io non ho ritenuto opportuno mostrare in questa sede, anche per non appesantire la tavola rotonda. Questi genitori hanno portato la loro testimonianza per dire come i loro figli siano stati trasformati: ci sono ragazzi sordomuti, ragazzi con altri problemi, ragazzi con problemi motori e tutti quanti insieme hanno conseguito un risultato che è stato mostrato nel concerto al Senato trasmesso prima di Natale. Questo progetto si avvale di un’equipe di persone con competenze anche musicali ma, soprattutto, con competenze di tipo medico, di tipo pedagogico, e per quello che riguarda la lingua italiana dei segni. Non c’è un aspetto performativo della musica, non c’è una formazione professionale, ma c’è un recupero, un’educazione attraverso la musica per dare l’opportunità a queste persone di esprimersi come fossero delle persone che non hanno problemi. Ed esse veramente rinascono. Tutta l’iniziativa, per quanto sostenuta in tante occasioni, dal punto di vista logistico e organizzativo, dalla famiglia Nonino, è esclusivamente basata sul volontariato. Penso che su questo aspetto dovremmo riflettere: se facciamo riferimento soltanto all’entusiasmo di persone come Andrea, (oggi abbiamo visto veramente quanto sia trascinante) e al volontariato rischiamo di avere il fiato corto, in qualche modo. Quindi questo è un po’ il discorso. Io, per altro, mi sono occupato di coordinare il progetto “mani bianche” a livello internazionale, perché così nell’assemblea del sistema si è ritenuto, e devo


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dire che ci sono tantissime persone che vogliono promuoverlo nel proprio territorio, nonostante le difficoltà legate anche alla delicatezza delle realtà della disabilità. La musica può servire a formare nuovi cittadini, a integrare, a venire incontro al disagio sociale o al disagio psichico o anche al disagio di chi non si trova nelle condizioni fisiche di poter affrontare, per esempio, lo studio di uno strumento. Questo coro, per ragioni organizzative, è nato esclusivamente come coro gestuale, per cui si è appoggiato in quasi tutte le uscite a un coro vocale; adesso sta partendo anche un progetto perché ci sia una piena integrazione, quindi il lavoro sarà fatto direttamente tra bambini disabili e bambini “normali”, anche se è brutto usare questo termine. E questo potrebbe essere veramente lo spiraglio futuro, anche perché se noi aspettiamo di avere sempre un’esecuzione, anche a livello musicale, di carattere professionale, evidentemente veniamo a tagliar fuori tutta una serie di potenzialità e di entusiasmi da parte di tanti ragazzi ai quali la musica sicuramente ha cambiato la vita, ma che naturalmente non aspirano (e probabilmente non è neanche questo lo scopo), a fare della musica la loro professione. Grazie. Francesco Di Lernia: Giorgio Cerasoli ha espresso questo concetto importante: in qualsiasi attività d’insieme, in qualsiasi coro, in qualsiasi orchestra, non è tanto il messaggio dell’interpretazione della musica che deve passare, ma il messaggio della coabitazione; il miglioramento della persona in un gruppo che condivide lo stesso fine, che lo rende quasi “servo” del gruppo per veicolare un messaggio. Questo sistema educativo è entrato nelle nazioni in maniera talmente dirompente da suscitare l’interesse da più parti e dalle parti più variegate. Spero di riuscire, alla fine degli interventi di ognuno di noi, a fare il punto della situazione, per capire perché noi adesso stiamo raccogliendo le esperienze di tutti. Alla fine vorrei che venissero fuori anche le divergenze di vedute da parte di ogni ente che cura, che porta avanti questo messaggio, che poi, alla fine, forse può essere lo stesso sia pure con sistemi e logiche diverse. Abbiamo con noi Dario Cusani della Fondazione onlus “Gabriele e Lidia Cusani” di Roma, a cui cedo volentieri la parola. Dario Cusani: Buonasera, io vorrei cercare di parlare in termini generali: la nostra esperienza è partita nel  quando ho scoperto per caso il sistema venezuelano a un concerto al “Santa Cecilia” di Roma e mi sono informato. A dicembre era partito il progetto “La musica va a scuola” e ho pensato: “Dove sono i bambini? I bambini sono nelle scuole, quindi portiamo la musica nella scuole”. Abbiamo iniziato in una scuola alla periferia di Roma dove il disagio è maggiore, con bambini dell’infanzia e delle elementari, dai  ai  anni, ritenendo che lì andasse portata la musica, a quell’età e in


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quei luoghi. Abbiamo avuto un rapido sviluppo, siamo arrivati a oltre  bambini in  scuole. Naturalmente c’è anche l’aspetto economico, perché la fondazione si è indebitata in questi anni, sperando che arrivassero delle risorse, invece è arrivata la crisi che ha reso tutto più difficile. Ma rimane un punto fondamentale sul quale vorrei discutere: la rivoluzione di Abreu è stata una vera rivoluzione nel mondo della musica. Io ho studiato pianoforte da bambino, non mi sono diplomato per esigenze di lavoro, ma la musica mi ha accompagnato per tutta la vita e devo dire è stata per me come la “deriva di una barca a vela”, mi ha tenuto sempre in equilibrio anche nei momenti più difficili; quindi è una cosa che io ho vissuto in prima persona, come potere immenso. Però io l’ho vissuta in una condizione privilegiata, invece Abreu mi ha fatto scoprire come la musica può servire soprattutto per chi è in una condizione di disagio e, a prescindere dai contesti, i bambini sono tutti in una situazione di disagio, chi più chi meno. Perché se abbiamo trovato nelle periferie di Roma delle situazioni terrificanti, abbiamo scoperto che anche nel centro di Roma, nel quartiere Parioli, vengono arrestati ragazzini nei supermercati e al commissariato gli agenti trovano biglietti da  euro nelle loro tasche. Da questo fenomeno si è potuto evincere un disagio terribile; questi ragazzini non rubano per necessità. La polizia è costretta a chiamare i loro genitori, e questa perversa forma di attenzione è l’obiettivo che i ragazzi si prefiggono con questi comportamenti per contrastare quella disattenzione, quell’abbandono che è una realtà anche nel mondo dei benestanti, dei ricchi (il Parioli è uno dei quartieri ricchi degli anni ‘). I genitori lasciano questi figli davanti a televisori, computer, con le tate, li riempiono di soldi ma finisce là, quindi il disagio affettivo è forte, è fortissimo in tutti i giovani. Abreu ha fatto diventare la musica valore sociale, da semplice fatto ludico, di ascolto, di piacere, e questa mi sembra una cosa straordinaria. In più ha creato il sistema: una piramide che alla base ha tutti i bambini e nella quale man mano il livello cresce. Le orchestre non si formano partendo con ,  o  bambini, ma si parte con centinaia, migliaia di bambini e saranno quelli più appassionati a diventare dei musicisti. Nessuno sa prima se Roberto, Francesca o Marco hanno passione e talento per diventare musicisti; spesso purtroppo il desiderio è più dei genitori. Io ho compagni, amici miei, che si sono diplomati in pianoforte con la pistola alla tempia e il giorno del diploma hanno chiuso il pianoforte e non lo hanno mai più aperto. Questo non fa bene alla musica, mentre tanti bambini che avrebbero desiderato farlo non ne hanno mai avuto la possibilità. La rivoluzione Abreu è di valore sociale e noi crediamo che la musica vada portata nelle scuole. Noi entriamo nella scuola, ci sono  bambini, tutti quanti fanno musica, perché la musica per quei bambini è un toccasana. Abbiamo creato il primo anno un osservatorio con due Università di Roma, abbiamo avuto dei risultati straordinari dalla relazione degli analisti e dagli


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stessi genitori, i quali ci dicevano e ci dicono: “Sappiamo il giorno in cui c’è musica, perché nostro figlio è subito pronto, mentre gli altri giorni lo dobbiamo trascinare per la collottola”. Questo significa che quando una cosa piace non c’è nessun problema: la musica è un valore fondamentale. Il punto è che dobbiamo creare la base e su quella poi costruire il vertice. Credo che bisogna fare sistema, sia quello italiano delle orchestre di cui facciamo parte come nuclei, sia con altre realtà. È veramente stupefacente che il primo convegno in un Conservatorio italiano su Abreu venga organizzato a Foggia (e questo la dice lunga), è una cosa da cogliere al volo, perché è un’apertura di credito verso un sistema che non è molto amato nel mondo della musica classica. Io credo perché non è conosciuto, principalmente, poi perché la musica classica è un po’ autoreferenziale: si sente un po’ in un olimpo, ed è vero, ma per questo forse crea un isolamento dal quale bisogna uscire anche rapidamente, perché poi si sfornano migliaia di diplomati ai quali bisogna dare lavoro. È importantissimo creare questa sinergia: ho avuto per caso un contatto col Conservatorio “Giuseppe Verdi” di Milano, con cui ci siamo proposti di creare una collaborazione perché abbiamo un costo forte: facciamo oltre  ore a settimana di musica, i musicisti li paghiamo: alla fine dell’anno sono . euro di spesa e non possiamo aumentarne il numero. Vorremmo arrivare ai .. bambini che stanno nelle scuole elementari, perché tutti dovrebbero fare musica. Naturalmente se non lo fa lo Stato non ce la può fare mai nessun privato al mondo, però sarebbe opportuno creare sinergie con i Conservatori per offrire, ad esempio, degli stage nelle scuole destinati agli studenti diplomandi, da parte di insegnanti formati da musicisti venezuelani, che insegnano ai bambini. Nel video che ho girato a Caracas (chi non vede non crede) si può capire come i tutor venezuelani che da  anni vengono da me hanno un approccio con i bambini che non c’entra niente con la tecnica della musica. È un approccio per trasmettere e coinvolgere bambini che, vi ripeto, al –% non diventeranno mai musicisti, magari non sono neanche musicalmente portati. Ho visto delle cose straordinarie: ragazzini che facevano un casino, che con l’archetto facevano la scherma o prendevano a calci il violino, trasformati in allievi interessati, nei modi più impensabili, perché questi insegnanti sono a loro volta stati bambini nel sistema e hanno imparato come il loro maestro si comportava con loro, dove faceva bene e dove faceva male. È una pedagogia “istintiva”, però i risultati sono incredibili, confermati dalle maestre delle scuole che dicono: “Ma questo come fa a tenere una classe in cui non vola una mosca?”. Abreu ha una disciplina quasi militaresca, giustamente, con amore ma con fermezza: insegnare a – bambini insieme non è facile, qui al Conservatorio c’è la lezione frontale, lo strumento è fatto per un bambino. Abreu ha rivoluzionato anche questo: i bambini devono stare insieme, si devono contagiare, ci deve essere l’emulazione: sono tutte cose che vanno messe


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sul tavolo, magari adattate alla nostra situazione, ma se hanno funzionato in Venezuela evidentemente sono giuste e comunque devono portare ad un cambiamento del nostro approccio con la musica. Ho paura che, anno dopo anno, il mondo della musica classica si restringa sempre di più. Purtroppo, morti gli ottantenni del Santa Cecilia (quando io vado a un concerto vedo che la gente si annoia) se non c’è stato un ricambio basato sulla conoscenza diffusa del linguaggio, partecipare ad un concerto sarà come andare a teatro a sentire una commedia in cinese, (credo che nessuno di noi ci andrebbe). Al concerto di Simon Rattle del , con la selezione nazionale infantile, c’erano  bambini sulla pedana. Io ero sbalordito perché l’aula universitaria conta  posti a sedere; in realtà c’erano  persone, quasi tutti ragazzi, che con il loro strumento addosso ascoltavano il concerto. Abreu ha creato il pubblico. Non ci sarà più bisogno del flusso che finanzia, come diceva la senatrice Ferrara, gli enti lirici che non hanno spettatori; noi dobbiamo creare anche gli spettatori che vanno a sentire un concerto o l’opera lirica, perché provino godimento e siano disposti a mettere la mano in tasca e a spendere per partecipare agli spattacoli. Allora la musica sarà veramente libera e autonoma. Grazie. Francesco Di Lernia: Grazie a Dario Cusani, il quale mi dà l’opportunità di dire la mia sul FUS, che va a finanziare soprattutto gli enti lirici che continuano, nella maggior parte dei casi, a programmare quasi esclusivamente titoli del melodramma ottocentesco. Quel poco che resta viene poi diviso per un cospicuo numero di associazioni il cui fine non è sempre quello di fare cultura in maniera totalmente disinteressata. È un sistema sicuramente da rivedere, ma non è certo questa tavola rotonda il luogo dove poter affrontare questo spinoso argomento. Voglio sfatare, poi, la leggenda metropolitana che con la musica si lavora di meno che con gli altri lavori. Io lo verifico mensilmente quando organizziamo produzioni con l’orchestra sinfonica giovanile: abbiamo tantissima difficoltà a reperire dei giovani liberi, tutti quanti lavorano, tutti quanti fanno qualcosa. La musica è un linguaggio internazionale, se uno sa suonare uno strumento lo sa suonare qui a Foggia, lo sa suonare a Bari, lo sa suonare in Sud America, lo sa suonare in Norvegia. Se noi forniamo una preparazione di base solida, i nostri ragazzi potranno in futuro affrontare il mercato globale, come l’ho affrontato personalmente quando sono andato via da Foggia nel . Sono contento di avere qui con me Tonino D’Angelo. Lo conosco da molto prima che lui conoscesse me: è la persona che rappresenta l’impegno della società civile sotto tutti i punti di vista. I suoi ragazzi sono stati nostri ospiti nell’ambito della XVII rassegna di Musica nelle corti di Capitanata e in quella occasione ci hanno trasmesso tantissima energia. Spero riesca a farlo anche ora, con le parole e il suo messaggio.


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Tonino D’Angelo: Con molti di voi ci conosciamo già, un saluto affettuoso. Come direbbe Abreu, stando qui siamo una comunidad, almeno ritengo che questo sia il prerequisito per stare qui. Si ha voglia di stare insieme a condividere un percorso, che è tutto da disegnare. Ma penso che sia fondamentale anche avere un punto di partenza. Io non amo i convegni, ve lo dico con chiarezza. Come direbbe mia madre: “Ma vuoi fare il medico?” Perché io sono un medico, quindi sarei in questa specie di orchestra una persona che non dovrebbe starci, direbbe qualcuno. Sono più o meno  anni di esperienza iniziata con le cosiddette dipendenze patologiche nel mondo delle droghe, come si suole dire, che è partita però con i ragazzi. Come direbbe Augusta Dall’Arche, la vita cambia anche la musica, ma cambia anche la medicina, l’approccio. Non sono stato io a cercare chi faceva uso di sostanze  anni fa, ma mi sono ritrovato in un quartiere a incontrare persone. Dopotutto lì sta la questione fondamentale, perché se facciamo un discorso tra addetti ai lavori e mancano i ragazzi che non partecipano ai convegni medici perché si parla dei diabetici, parlano sempre i medici, gli scienziati. Vado ad incontrare i diabetici e mi fanno capire qualche cosa, mi fanno capire che ad, esempio, non ha senso che si vada in ospedale, dove si mangia la mattina come sotto le armi, poi si mangia alle  e si fa terapia in quelle fasce orarie. Si va via, a casa e cambiano gli orari. Un malato quindi abituato a fare terapia alle sei, alle sette di mattina, a mezzogiorno, a casa deve cambiare perché cambiano i ritmi, che sono quelli naturali. Perché si mangia in ospedale a mezzogiorno? Anche qui c’è l’autoreferenzialità degli addetti ai lavori: perché il paziente si deve uniformare all’organizzazione, non viceversa. Potrei anche dire quello che ho detto in tante scuole di San Severo da cui provengo, che sono una ricchezza immensa. Perché chiudono alle tre, alle quattro, alle cinque di pomeriggio e non aprono con tutta la roba che hanno? Potrei dirlo anche qui, potrei dirlo all’Art Village, perché alle sette, alle otto di sera a un certo punto non ci sono più attività? Potrei dirlo a casa, potrei dirlo nel condominio. Allora io penso che l’incontro con il sistema di Abreu ci interroghi, così come direbbe Abbado, su alcune cose fondamentali che non ci dobbiamo inventare. Apro una finestra, non è offensiva, verso Roberto Grossi. Mi ha chiamato e mi ha detto di portare i suoi saluti e ha detto che si sentirà col Direttore anche per concordare qualche impegno successivo rispetto al rapporto tra Conservatorio e sistema, però non voglio aprire questo squarcio. Noi quest’estate proprio per colmare un gap che è un esigenza fondamentale, abbiamo proposto, assumendoci noi le spese, perché noi vogliamo ospitare un campus invitando tutti i nuclei italiani. Li invitiamo, li ospitiamo, perché c’è un bisogno fondamentale di conoscersi, ma non solo gli animatori–docenti, i ragazzi che devono fare squadra–sistema, sia pure pochi e non tutti. Certo se mettiamo in pista quello che Andrea Gargiulo è


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riuscito a fare con l’orchestra regionale, arriviamo già a mille soltanto con lui, con Giovanni Pompeo e con gli altri. E anche qui apro un’altra parentesi, i nomi hanno anche un significato soprattutto se sono incarnati da persone vere. A “MusicaInGioco”, io do un’accezione nel senso di “usare il gioco per insegnare, imparare”; nel gioco c’è anche la reciprocità, c’è anche la capacità di trasmettere agli altri. Ma c’è anche forse un altro aspetto: la musica, qui quasi un imperativo, si metta in gioco per cambiare le istituzioni, la realtà. Quello che vuole Abreu, che vogliamo tutti quanti noi, che voleva Abbado. Abbado era anche abbastanza cattivello. Quando parlò della cultura, disse a coloro che dicevano che non si mangia con la cultura o si spende troppo: “Si spende troppo poco”. Non mettersi sulla difensiva, ma attaccare, perché noi possiamo scomodare Abreu, ma devo dire che noi dobbiamo anche avere riconoscenza verso quelli che hanno fatto la Costituzione italiana. Tutto è fondato per noi sull’articolo  e l’articolo  della Costituzione. Quando una donna scrisse la seconda parte dell’articolo  e collaborò quindi alla stesura della Costituzione (poche donne l’hanno fatto) affermando: “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine sociale, economico” e roba varia. . . Ecco, questo è un articolo che attesta le cose che diciamo oggi. Si rimuovono gli ostacoli, si fa in modo, come dice Abreu, che la musica, le arti in generale, siano patrimonio di tutti, e questo affanno a voler produrre dei bravi musicisti deve lasciare il posto a quello di produrre dei cittadini secondo la Costituzione. Attenzione a fare enfasi su alcune questioni. Dobbiamo capire se però si muovono in un solco costituzionale, dove il tema dei diritti e dei doveri è un’illusione sociale, ad esempio non consente a nessuno di parlare più di volontariato. Io vengo da una scuola, quella che abbiamo costruito insieme a Don Luigi Ciotti, l’associazione Libera perché Art Village è il nucleo del sistema. Quando Don Luigi Ciotti diceva: “Basta col volontariato, la Costituzione non ne parla, parla solo di diritti e doveri di tutti, di qualsiasi età, anche bambini”. La disciplina che voi richiamate spesso significa sostanzialmente con bambini in grado di rispettare sé e gli altri, anche a , , ,  e  anni: dipende da noi. Allora se c’è il dovere, articolo , comma  della Costituzione, di tutti i cittadini di fare un’attività secondo la propria scelta, le proprie attitudini, per il progresso materiale e spirituale della società abbiamo già tutto scritto. Ma attenzione, ad Auschwitz quando si entra c’è scritto in grande: “Il lavoro rende liberi”. Potevamo pure leggere: “La musica rende liberi”. Non sono gli slogan che cambiano, è capire cosa c’è dentro. Noi abbiamo una costituzione che ci dice cosa dobbiamo fare e dove tendere, perché quando Art Village, che oggi ha orchestre dai  anni fino ai  anni, (non ci sono porte chiuse a nessuno, anzi è bello vedere i nonni che stanno con i nipotini), ed è fondata soprattutto su questo concetto che è la peer education, quello che sta dentro l’attività che fanno un po’ tutti i nuclei: i ragazzi che aiutano altri ragazzi,


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se ne fanno carico e via discorrendo. Forse questo non lo sanno alcuni, io qui rappresento la ASL di Foggia, io sono un medico dell’ASL. Questo è l’unico servizio in Puglia che si è messo in gioco. Io vengo dalle dipendenze patologiche come ho detto prima. Abbiamo preso una struttura, ex comunità, diciamo così, per persone cosiddette tossicodipendenti e l’abbiamo trasformata in una struttura polivalente ed è diventata nucleo del sistema. Attualmente c’è all’interno, qualcuno direbbe una sorta di arca di Noè, tutta la rappresentazione di un tessuto sociale. Art Village significa “Villaggio delle arti”, o “Cantiere delle arti” ma significa anche “l’arte di fare villaggio, di fare comunidad”. Ma forse significa anche come acronimo AV: Arte Virale, in grado di contaminare e di contaminarsi, perché è quello che ci siamo detti un po’ tutti oggi. Quello che ha detto Augusta Dall’Arche è di un grandissimo rilievo; prima che lei parlasse diceva Andrea Gargiulo: “Ci sono ragazzi tetraparetici o anche con problemi, dobbiamo pensare a delle orchestre che apparentemente sono senza significato”. Qui c’è l’esperienza anche di cosiddetti gruppi di auto–aiuto, di auto–mutuo aiuto, sperimentati in altri settori, quella di farsi interrogare dalle persone. Io l’ho imparato: per me essere cittadino “a tutto campo” significa questo. Sono anche responsabile regionale del Tribunale del diritto del malato, quindi voi dovete pensare in questo periodo che cosa noi viviamo come stato di sofferenza esplosiva: famiglie sequestrate in casa per via di persone che non riescono manco a uscire di casa per le barriere, storie indicibili, per cui abbiamo un livello di sofferenza che ci spinge ad attuare il sistema, quello che ci ha interrogato. In queste ore tra l’altro sta per arrivare una mamma irachena con tre bambine. Mi stanno chiamando dalla questura per questa storia, perché noi abbiamo ospitato immigrati. Quando sono arrivati da noi non abbiamo detto: “Noi non possiamo fare niente”. E ai politici, agli altri (perché sembra che qui questi disegni di legge, queste storie veramente, siano una cosa assurda), diciamo e ricordiamo solo alcune cose. Vi devo tediare con l’ultima parte. Il fatturato che io chiamo “criminale istituzionale” nella provincia di Foggia è anche istituzionale, c’è una responsabilità delle istituzioni. Io, per via anche di tante denunce fatte alle ASL, sono stato licenziato due volte, poi sono stato ripreso, perché io giuro su Ippocrate e sulla Costituzione, quindi se debbo parlare al Direttore generale non ho nessun problema, mi licenzia e poi vediamo che succede. Il gioco d’azzardo in provincia di Foggia fattura oltre mezzo miliardo di euro. Sulle droghe, solo guardando i costi sociali e in parte quelli sanitari, mezzo miliardo di euro. La corruzione in provincia di Foggia ammonta a circa cento milioni di euro. Le patologie legate agli stili di vita — questi non sono dati miei, sono dati istituzionali — coprono circa il  per cento del bilancio della sanità: in Puglia, quindi anche in Capitanata, si aggira intorno ai – milioni di euro. Poi abbiamo una mobilità cosiddetta “passiva”, gente che va a curarsi fuori perché non ci


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sono servizi adeguati, oltre  milioni di euro all’anno. I costi dei detenuti sono circa  milioni di euro per mille detenuti circa che abbiamo in Capitanata. C’è un lavoro che si è fatto anche con gli amici e i gruppi della Puglia, in particolare con Andrea Gargiulo abbiamo anche ospitato un convegno di tutte le comunità per minori della regione. Poi ci sono i costi per le strutture riabilitative psichiatriche: viaggiamo oltre i  milioni di euro che nella gran parte sono piccoli “manicomi”. Il  per cento dei ricoveri sono inappropriati, quindi una spesa enorme ed inutile. Io sinceramente vorrei più impegno da parte dei lavoratori che vogliono valorizzare le arti, l’ILVA: “Impegno dei Lavoratori che vogliono Valorizzare le Arti”. ILVA, come diciamo noi, Puglia. Non voglio gli sponsor, ve lo dico con chiarezza, a meno che non ci sia un codice etico molto serio, perché a proposito di ILVA e roba varia, in questi anni hanno anche sponsorizzato musica, teatro. Io voglio impegno istituzionale, costituzionale, come diceva prima la senatrice Ferrara, questo impegno molto chiaro e forte. Un’occupazione diffusissima degli operatori, animatori musicali, quel discorso che diceva prima anche Cusani, un discorso in tutte le scuole. Quindi la nostra esperienza è nata per dimostrare, abbiamo circa  “frequent–attori”, nel senso cittadini attivi, parte attiva dentro questa storia, e gli animatori li chiamiamo “anim–attori”. Abbiamo certamente l’attività di cinema, di teatro, perché quando abbiamo visto il filmato, Abreu, quando ha parlato delle arti, a un certo punto ha parlato di teatro, cinema, musica, non solo musica e abbiamo capito che i ragazzi hanno bisogno di questo a tutto campo, abbiamo capito che sarebbe opportuno fare quello che si era fatto per anni e anni in Olanda, nei Paesi Bassi: reddito di cittadinanza per gli artisti. Ora il Governo parla di servizio civile ma non per gli artisti che stanno crepando, che stanno morendo di fame, per tutti quelli che vogliono fare arte collegandola anche ad un’ottica di servizio civile. Al di là della grande qualità o meno, già il fatto stesso di trasformare, pensate, una pistola in un violino: nel nostro territorio abbiamo a che fare con questa gente. Voi parlate sì di altre devianze a vari livelli, ma noi abbiamo una situazione diffusissima di criminalità, quella classica nel territorio. Non abbiamo a caso un quartiere che si chiama Texas, poi Bronx, il Far West. . . penso che sono presenti in tante parti e questi ragazzi, queste famiglie vengono anche da noi. Il coro “Scarpe sciolte” coinvolge circa venti persone: se queste persone stessero in strutture riabilitative residenziali costerebbero all’anno un milione di euro all’ASL. Guardate, io su queste cose non transigo. Il sistema Abreu è nato nel ‘–‘, anno in cui ho iniziato a ragionare come medico. Facevo il medico a Economia, poi quando capî il pensiero di Abreu diventai musicista. Abreu diceva queste cose ed è giusto che ce le diciamo. Quanto costa il Coro delle Scarpe sciolte con Andrea Gargiulo? È una bazzecola, qui siamo di fronte a rapporti che vanno da  a , con un indotto che va anche capito perché, sequestrare delle


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persone nei piccoli manicomi, con quel milione di euro non produci salute, ma desolazione, assurdità. Quelle persone non producono salute solo a se stesse, ma producono salute diffusa, producono un messaggio pazzesco in termini inclusivi, che si può, si deve cambiare. Allora vanno calcolati anche i costi, i benefici tramite il cosiddetto valore economico culturale che esiste e che sarebbe bene che cominciassimo a mettere in pista, perché quelli che ci dicono: “Voi dovete fare profitto, auto impresa nell’ambito della cultura”, stanno dando i numeri, letteralmente i numeri. Quindi io penso che voi qui, parlo del Conservatorio ma posso parlare di tutta questa esperienza del sistema, siete i veri operatori della salute: l’organizzazione mondiale della sanità dice che ci devono essere dei prerequisiti prima di parlare di salute, non se ne può parlare se non c’è pace, cultura alla convivenza e capacità di relazioni che siano sane. Quindi gli operatori culturali sono operatori di salute e forse, anzi certamente, bisognerebbe investire più su questo. Poi gli ultimi studi neuroscientifici ci dicono anche un’altra bella cosa: c’è anche un DNA. Tutti quanti noi, non abbiamo soltanto papà e mamma: come un computer che ha una memoria, noi abbiamo una memoria di centinaia e centinaia di anni. L’Italia ha bisogno semplicemente di qualche piccola scintilla per rimettere in gioco quello che è tutto il bagaglio di cultura che si rimprovera adesso di aver dimenticato e che abbiamo la fortuna di aver memorizzato, tramite i nostri antenati. Sono stato un momento con Sylos Labini e gli altri a San Severo dove giorni fa si è parlato del teatro e dei teatri, di cose che lui non sapeva; ad esempio, che il Piccinni ha lo stesso riferimento culturale del teatro che c’è stato nella storia di San Severo. Una storia bellissima che andrebbe ripresa, che riguardava tutto il popolo, non riguardava soltanto l’élite, per cui probabilmente noi dovremmo anche capire questo. Non dobbiamo partire da zero, c’è una memoria inconsapevole che sta dentro il nostro cervello, che ha semplicemente bisogno di scintille e il sistema rappresenta questa scintilla. Noi siamo ad accesso gratuito, non vogliamo, parlo di Art Village, sponsor, laddove soldi non ci sono non si litiga. Noi abbiamo messo nel piano sociale di zona questa storia, ma come? Proprio come faceva Abreu: ragionamenti economici. Quanto costa una persona in carcere? – euro al giorno? Quanto costa fare questa attività? Decidete. Di fronte a queste situazioni durissime devono scegliere. Allora, due sono le cose: se scelgono una direzione antieconomica, io e altri colleghi facciamo il TSO al politico di turno, cioè il Trattamento Sanitario Obbligatorio e lo mandiamo al manicomio. Oppure facciamo battaglia politica e lo diciamo in giro. Allora c’è bisogno anche di fare economia, nel senso bello del termine, quello di ragionare proprio sui costi del non intervento in quella direzione, partendo da quelle che vengono chiamate patologie, che poi sono diffusissime. A livello mondiale si dice che viaggiamo intorno al  per cento di patologie psichiatriche: il  per cento della popolazione,


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ovvero  su  ha problemi di salute mentale. Questo significa che ci sono le multinazionali e le case farmaceutiche che cominciano a imporre i prodotti: tu devi prendere un antidepressivo, tu devi prendere un tranquillante. Quindi da questo punto di vista penso che possiamo viaggiare insieme, sapendo che il Conservatorio, insieme a questi percorsi del sistema, probabilmente si deve interrogare mettendo in gioco il concetto di sanità, il Welfare, perché qui si sta facendo promozione della tutela alla salute, della protezione dei soggetti deboli, fragili. È importantissimo che si viaggi in questa direzione, perché altrimenti rischiamo di essere tutti schiavi moderni, come ci dice un nostro amico migrante del terzo millennio, tutti un po’ schiavizzati e appaltati al pensiero unico. Francesco Di Lernia: Convincere Tonino a venire a questa tavola rotonda non è stato facile. Lui dice che è abituato a fare, ad affrontare problemi sociali anche attraverso il messaggio di Abreu. Io sono molto felice di averlo qui, perché senza di lui questa tavola rotonda non sarebbe stata completa. Io ritengo sia servito anche il nostro “parlarci addosso”, come dice lui riferendosi ai convegni dei medici. Tonino ci ha parlato di Abbado ed è stato un tantino pungente con le sue affermazioni. Chi più di Bernardo Donati, rappresentante della scuola di musica di Fiesole, alla quale Abbado ha fatto riferimento dopo essere andato in Venezuela, può parlarci dell’esperienza del grande direttore d’orchestra al quale questa giornata è dedicata. Bernardo Donati: Buonasera a tutti. Mi ricordo molto bene quando Adriana Verchiani, che era l’ex sovrintendente della scuola di musica di Fiesole disse: “Piero Farulli, il fondatore della scuola di musica di Fiesole, conosceva Abreu, erano amici, c’era una comunità d’intenti veramente profonda. Abbado sta per portare in Italia con una grande volontà questa ventata di vitalità, tu giustamente adesso studi e ti occuperai di questo, della scuola di musica di Fiesole, perché organizzeremo un convegno che dovrebbe essere un momento di lancio vero, alla grande.” Da quel momento io ho cominciato a studiare: “Conoscere e interagire col sistema Abreu” e ho cominciato a conoscere il sistema Abreu e poi il sistema Abreu ha cominciato a interagire nella mia vita, mi ha cambiato parecchie prospettive: prospettive didattiche, antropologiche, musicali. Avevo già la fortuna di essere curioso su queste cose però l’approfondimento mi ha fatto cogliere la sfida e ho detto: “Sì, con la scuola di musica di Fiesole collaborerò attivamente a quest’avventura” e così è stato: dal momento del convegno noi abbiamo aperto un nucleo, abbiamo cominciato i nostri corsi di formazione per formatori in collaborazione col sistema, e siamo andati avanti; dal primo germe adesso abbiamo un nucleo bellissimo con archi, fiati, un’orchestra che sempre si rivitalizza, il coro degli adulti–amatori, tutto questo sempre in


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osmosi con la scuola di musica di Fiesole. Abbiamo un corpo centrale che di per sé è un organismo che si basa sulla musica collettiva, perché il centro della scuola di musica di Fiesole è la scuola del quartetto e dell’orchestra. E tutta la pedagogia ruota attorno a questo principio. Siamo andati però avanti, la formazione continua e per noi è fondamentale: noi operatori, noi docenti dall’anno scorso a quest’anno abbiamo fatto un altro passo avanti con l’Università di Firenze, la Facoltà di “Scienze della formazione” e abbiamo istituito un Master, in collaborazione tra scuola di musica di Fiesole, Sistema e Università di Firenze per creare operatori di orchestre infantili. Questo sistema per noi ha rappresentato una grande novità per la scuola di Fiesole e l’Università che collaborano; è un po’ come il sapere e il saper fare: si danno una mano per una globalità dell’operatore. Tutto questo ci sta riempiendo di soddisfazione. Abbiamo  bravissimi studenti che sono pronti a fare il tirocinio, metà da noi e metà in qualsiasi altra associazione del sistema. Sono dei giovani, bravissimi musicisti e molti erano ex strumentisti dell’orchestra giovanile, quindi diciamo che in loro vi era già il germe dell’amore di suonare insieme. Poi, cresciuti, hanno ritrovato nel Sistema Abreu una nuova spinta per donare la musica. Altri sono invece bravissimi musicisti che desiderano votarsi al sociale, hanno una sensibilità particolare per la disabilità o per l’infanzia. Insomma, un mondo veramente interessantissimo di giovani, che noi pensiamo siano formatissimi e che andranno a rivitalizzare anche dal punto di vista delle competenze tutto questo grande movimento che abbiamo a livello nazionale. È vero che manca un dialogo a livello di operatori, uno scambio a livello di giovani, di ragazzi; penso che tutti noi sappiamo molto di più e siamo molto più avanti di quello che ci immaginiamo singolarmente. C’è sempre un filo conduttore per tutti, ci sono poi delle piccole differenze, le cosiddette “declinazioni”. Si sente dire:”Il sistema Abreu viene declinato all’italiana”: è giusto, noi lo decliniamo alla “fiesolana”, che vuol dire avere sempre presente che dalla pratica collettiva della musica non solo si contagia la società, ma si formano anche bravissimi musicisti, perché una delle critiche che più superficialmente vengono contestate a chi propone il metodo Abreu, qui mi rivolgo ai docenti di Conservatorio, è che non crea l’eccellenza musicale. Per eccellenza musicale non parlo di professionismo ma di una volontà di donarsi al massimo e di suonare benissimo. In realtà crea il presupposto, la comprensione della musica, la sua condivisione. Allora quando mi viene detto che il sistema Abreu è in contraddizione col saper suonare bene io dico che non è vero: lo dice la scienza ma anche la vita quotidiana e l’esperienza di tante altre persone. Mi piace sentir parlare di “soldi” perché effettivamente se mi pongo il problema di rivitalizzare la società offrendo sommamente la musica a tutti, mi devo reinventare una didattica, non solamente fare due o tre giochetti col violino affinchè questi bambini vengano contagiati,


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diventino dei giovani amanti della musica. Tutto questo Abreu non l’ha solamente concepito con l’intelligenza, ma l’ha anche dimostrato nei fatti. E questa consapevolezza, oltre che darmi una sicurezza, nel senso che se io seguo certe procedure andrò lontano, mi dà anche una speranza perché è vero. Vorrei quindi rivestire di ottimismo tutto questo nostro dialogo e tutte le belle impressioni che abbiamo ricevuto stamattina: abbiamo visto l’orchestra “Pom” delle musiche del mondo con i loro suoni fantastici, abbiamo visto il coro delle “Scarpe sciolte”, un’espressione musicale di grande energia. Tutti noi abbiamo delle ricchezze straordinarie da condividere e continuiamo ad andare avanti. C’è il problema economico? La difficoltà a relazionarci? Sì, però c’è anche tantissimo, soprattutto abbiamo un esempio vincente nel Maestro Abreu. Per cui io dico dal mio piccolo spicchio di mondo, da Fiesole, che questa esperienza mi sta dando tantissimo, mi piace e spero che voi vogliate accogliere i nostri tirocinanti, studenti bravissimi che si formano su materie pedagogiche alla facoltà di Firenze, su quelle pratiche da noi, con docenti che abbiamo invitato e che riteniamo i più interessanti e competenti (verrà presto da noi anche il maestro Gargiulo) sugli arrangiamenti, sulla didattica collettiva degli strumenti ad arco, sulla qualità ed efficacia dell’insegnamento. Grazie. Francesco Di Lernia: Grazie a Bernardo Donati, che ci ha lasciato con l’auspicio di far pesare sulla bilancia le energie positive che questo lavoro può produrre. Naturalmente, da buon testimone della illustre realtà di Fiesole, auspica che i tirocinanti vengano accolti ed è giusto da un punto di vista formativo. Siamo felici che la scuola di Fiesole sia da pochissimo entrata nella nostro organismo di rappresentanza che è la Conferenza dei Direttori degli Istituti Superiori di Studi Musicali, segno di condivisione e apertura ai problemi comuni che riguardano il sistema dell’alta formazione musicale in Italia. Abbiamo parlato di energia. Chi mi sta a fianco è praticamente l’energia fatta persona, un collega che insegna al Conservatorio “Piccinni” di Bari. Ormai lo conoscete e lo avete già visto all’opera stamattina. Si tratta di Andrea Gargiulo, a cui cedo volentieri la parola. Andrea Gargiulo: Grazie Francesco, apprezzo molto il tuo complimento. Un piccolo aneddoto: quando Susan Siman e Panigada sono venuti da noi mi hanno soprannominato “Andreu”. Abreu, quando l’abbiamo visto anche a Ravello, era una persona minuta con particolari problemi di salute, ma quando si alzava (lui penso sia alto intorno a , m) diventava alto , m, diventava un gigante di comunicativa, con una capacità di riuscire a passare direttamente per osmosi le esperienze, anche attraverso la parola, perché il mezzo della parola a volte è limitato e limitante rispetto a ciò che è il bisogno di comunicare. Mi ricollego un po’ al discorso di tutti perché


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ovviamente gli amici che sono qui al tavolo hanno tutti portato un valore e un’esperienza essenziale. Per me è stato fondamentale sapere che un nucleo storico, il primo nucleo che in Italia ha iniziato a operare in questo senso, il nucleo della Sanità, fosse in crisi economica. Questo mi ha fatto accendere un campanellino, perché un’amica mi aveva detto: “Facciamoci una chiacchierata, forse in Campania possiamo darvi una mano” e allora vediamo se riusciamo a fare qualcosa. Purtroppo sappiamo bene che i tempi, le risposte della politica e il linguaggio della politica sono molto spesso particolari: il politico è abituato a parlare in “politichese”, che significa tutto o il contrario dello stesso, ma non per una questione di cattiveria perché sa che purtroppo molto spesso è anche lui soggetto e sottoposto a una serie di problemi di ordine burocratico. Io dico che la burocrazia deve essere a salvaguardia dei diritti e non può essere un ostacolo per il raggiungimento degli stessi, come ben diceva Tonino prima. Allora noi dobbiamo ricordare ai burocrati che c’è sempre il mezzo e il sistema per farlo. Sono stato Assessore comunale alla Cultura e Istruzione nel comune dove vivo, a Mola di Bari, e lì ho capito che alla fine i veti che la politica mette, molto spesso sono veti fabbricati ad arte, perché di fatto la possibilità di costruire e contribuire a una costruzione e a un’evoluzione felice della società c’è: ci sono i fondi, ci sono le risorse e molto spesso quello che viene a mancare è la volontà. Anche adesso che siamo in un periodo di crisi, non è vero che non ci siano soldi, i soldi ci sono, soltanto che si spendono per mettere le “pezze a colore” quando ormai il pantalone è già bucato e, come ben ricordava Tonino, noi potremmo evitare che questo pantalone si buchi. Nell’intervento che parlava della didattica, mi sono un po’ “allargato” e ho citato una serie di esperienze, realizzate con Giovanni e Tonino, riferite all’orchestra regionale: abbiamo portato  bambini al Petruzzelli di Bari a suonare. Li abbiamo divisi in due nuclei di  bambini che hanno proposto  minuti di musica originale dal vivo, con una fiaba musicale narrata e sonorizzata. Erano bambini che, lo voglio ricordare, non avevano mai maneggiato uno strumento in vita loro. Lo strumento era stato donato pro tempore, legato al progetto e soprattutto all’impegno personale; il costo per ogni bambino era di  minuti di studio al giorno. Il rispetto delle regole dell’orchestra, le cinque posizioni famose, sono alcune delle caratteristiche del mio approccio didattico. Io non richiamo mai il silenzio, io richiamo il chiasso, perché dopo il chiasso i bambini sanno che se io richiamo: “Posizione uno!” devono stare zitti. Allora per il bambino la condivisione del bisogno e della necessità del silenzio è qualcosa di molto più efficace del solito, militaresco,: “Zitti! State zitti! Fermi!”. Se andate su internet, sui nostri canali tematici del LAMS, quello di Art Village, quello di “MusicaInGioco” troverete i video integrali di tutta la nostra esperienza che è nata il  luglio del , in cui abbiamo iniziato a chiamarci “Progetto Didattico Sperimentale”. Dario ha


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detto una cosa bella e importante: la didattica che gli amici venezuelani fanno è una didattica del “fare” che viene da una saggezza profonda, quella che Naybeth Garcìa, nel filmato che tu hai mandato, che è quello preso dal film di Abbado, dice con fermezza ma con magno amor. Noi ci scordiamo a volte la seconda parte, perché se uno propone la fermezza ma non c’è l’amore, al bambino arriva ancora una volta solo l’imposizione, che non può essere recepita. Il bambino accetta la disciplina quando è vincolata all’amore, e quindi non è disciplina, è autodisciplina e voglia di raggiungere l’obiettivo della bellezza. Peppino Impastato ricordava giustamente che l’unico modo per contrastare le mafie era quello di usare la bellezza. L’esperienza di “MusicaInGioco”, l’esperienza del LAMS di cui parlerà bene Giovanni e l’esperienza dell’Art Village nascono da un’esigenza: quella di cambiare il mondo per i nostri figli, perché a me questo mondo così non piace, non mi sta bene, non riesco a pensarlo. Ne parlo anche coi miei colleghi in Conservatorio a Bari; quest’anno ho avuto la fortuna di conoscere il professor Colazzo, il Preside della Facoltà di Lecce che, quando mi ha sentito parlare del sistema Abreu, ha detto: “Andrea, io non voglio sapere niente, tu devi venire ad insegnare qualcosa qui a Lecce, poi capiamo che cosa”. Lui è titolare di un insegnamento che si chiama “Attività espressive” e mi ha chiesto di partecipare collaborando didatticamente. Quando ho cominciato le mie lezioni alle ragazze di Scienze dell’Educazione del terzo anno, ho posto loro la domanda: se noi non siamo motivati all’apprendimento, come facciamo a motivare? Se noi non amiamo quotidianamente, non capiamo che la felicità non è un punto d’arrivo, ma è il cammino, come facciamo ad insegnarlo ai nostri bambini? Noi quotidianamente viviamo esperienze di felicità di cui non ci rendiamo conto: un minuto in cui uno guarda un altro e fa un sorriso e vede dall’altra parte che questo sorriso è corrisposto: questa è felicità. Perché pensiamo che felicità sia avere la piscina, la vacanza o la macchina bella? C’è sempre un universo che trama affinché una soluzione arrivi. La collega stamattina ha citato Pirsig, che è diventato uno dei più grandi autori della letteratura mondiale scrivendo due libri. Quindi non è un problema di quantità che determina il cambiamento, è veramente un problema di come noi approcciamo la didattica. Approcciando con amore abbiamo iniziato nel luglio  ad Adelfia, in una ex discoteca sequestrata alla mafia con  bambini, progetto con zero euro di finanziamenti. Io concordo con Tonino, purtroppo a volte abbiamo bisogno di far emergere il bisogno, l’esigenza, anche perché il politico conta i voti che tu gli porti e comincia a dire: “Sì, adesso valuteremo il bilancio” Io rispondo: “Sono una persona stupida, capisco due risposte: sì o no. A me puoi dire sì, come anche no, ma non puoi rispondere ‘Poi vedremo”. Ma dire: “Nel mio nucleo di Turi ho tre ragazzi che sono segnalati dal servizio sociale, uno segnalato per atti di bullismo, l’altro segnalato per furto, l’altro segnalato


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per spaccio di stupefacenti, arrestato, ricondotto in prigione e riaffidato ai genitori di cui uno è detenuto. Questo sistema costa all’anno . euro e un detenuto costa . euro, se io ne salvo solo uno di questi ragazzi ti sto facendo risparmiare . euro l’anno, me ne vuoi dare .?” fa sì che il politico veda che quello che tu hai creato è rilevante, efficace, effettivo. Allora abbiamo dovuto continuare a dare segnali e a dare dimostrazioni. Io faccio il volontario, mi pago anche le spese di viaggio, per un motivo: per continuare a dare segnali. Io sono un “ricco” insegnante di Conservatorio (i colleghi hanno riso, perché sanno che il nostro stipendio non è da ricchi) e vivo facendo anche concerti e seminari jazz. Raramente faccio seminari sul nostro approccio metodologico, che chiamiamo “Metodo Reticolare MusicaInGioco”. Se i nuclei in Puglia hanno raggiunto mille bambini che continuano ad avere interesse e se in tanti nuclei io vado una volta ogni due mesi, vuol dire che effettivamente questa didattica è, al di là della simpatia, dell’energia che magari mi si può riconoscere, efficace: c’è qualcosa di condiviso e condivisibile. E quindi dobbiamo iniziare ad interrogarci su cosa sta funzionando e cosa non sta funzionando, dobbiamo cominciare ad interrogarci su quali sono costi e quali sono risparmi, perché se io salvo un ragazzo dalla galera non sto facendo spendere dei soldi, li sto facendo risparmiare. Noi non l’abbiamo detto ma ovviamente penso che abbiate capito che molte delle persone che hanno cantato stamattina sono persone che normalmente frequentavano un centro diurno, quindi cosiddetti pazienti psichiatrici. Magari non sono cantori raffinati, ma sicuramente persone meravigliose, sicuramente persone che mi hanno insegnato tanto: prima di tutto come cominciare ad essere sincero, e non solo quando parlo, ma anche quando suono. Spesso quando si va al concerto, invece di sentire il mondo e la declinazione del musicista, sentiamo una persona che ci propone solo il mondo di qualcun altro, che mostra quanto sia bravo, quante volte ha studiato la lezione, quanto è bravo a fare quel passaggio tecnico o quel pattern jazz. Allora bisogna iniziare ad interrogarci su questo, con questo termine. Attualmente “Musica in Gioco” ha  bambini fra i vari nuclei: abbiamo nuclei a Terlizzi dove ci ha aiutato la Caritas ad iniziare, abbiamo il nucleo principale ad Adelfia con  bambini, abbiamo un nucleo a Enziteto dove siamo ospiti dell’Accademia del Cinema. Un’altra realtà bellissima quella di Enziteto: siamo ospiti gratuiti e lì abbiamo zero euro di finanziamenti, perché ogni volta che abbiamo bussato a un’istituzione ci hanno detto: “Sì, adesso vedremo” e poi non è stato niente. L’ultima volta che ho incontrato l’Assessore, che poi è un mio ex alunno, gli ho detto: “Senti, lasciamo stare, facciamo una cosa: assumiti la responsabilità di dire no, voglio che tu adesso mi dica no!”. Perché è quello il problema, il problema è avere il coraggio di dire: “Questa cosa non serve” piuttosto che sì. Noi adesso questo dobbiamo cercare di fare, questo dobbiamo riuscire a fare, prendere le istituzioni


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e dire: “L’ultimo euro che è rimasto nel tuo bilancio lo devi mettere a disposizione di questi bambini, non della mia persona; voglio che questi bambini abbiano il diritto di comprare uno strumento, che l’operatore abbia il diritto di avere il rimborso spese, perché anche i musicisti muoiono e lo sappiamo bene”. Gabriella Cipriani, la settimana scorsa, è morta andando a fare un concerto per pochi euro ed è questo che noi dobbiamo ricordare, se vogliamo ringraziare Gabriella e se vogliamo che Gabriella continui a vivere. Il nucleo di Palese, e termino davvero, prenderà il nome di Gabriella Cipriani; la famiglia ha apprezzato tantissimo questa cosa, vorrebbe che non resti solo un nome, perché i nomi devono rappresentare dei simboli, devono continuare a rappresentare l’idea che la persona voleva affermare e Gabriella voleva una cosa: la bellezza, voleva vivere di bellezza, voleva vivere di musica come la maggior parte di noi qui dentro. E dato che c’è gente che vive inquinando, gente che vive vendendo veleni, gente che vive sfruttando gli altri, io penso che l’ambizione di un musicista di vivere di musica sia un’ambizione più che legittima, che noi dobbiamo continuare a ricordare al resto del mondo, che i musicisti lavorano e che i bambini hanno il diritto alla musica. La musica è un diritto di tutti, non un privilegio di pochi. Grazie. Francesco Di Lernia Giovanni Pompeo ci parlerà della sua esperienza del Laboratorio Arte, Musica e Spettacolo di Matera. Giovanni Pompeo: Buona sera a tutti, il mio ruolo è in questo momento tre volte difficile: a) perché giunge alla fine di una giornata molto lunga e quindi devo essere rapido, conciso; b) perché giunge alla fine di tanti interventi (ho segnato per ciascuno di loro aspetti importanti, che possono servire anche per il futuro delle nostre riflessioni sul sistema); c) perché parlo dopo Andrea Gargiulo (chiaramente la mia non è una captatio benevolentiae, ma un modo per rimarcare l’assoluta eccellenza di questa persona). Ho conosciuto Andrea in qualità di docente, anch’io sono docente al Conservatorio di Potenza da quest’anno. Insegno musica d’insieme per fiati, quindi proprio la musica di insieme è la mia materia: mi trovo per così dire su un binario lisciato con l’olio sulle finalità del sistema. Ho conosciuto Andrea perché con il Laboratorio di Arte, Musica e Spettacolo di Matera, cooperativa sociale che quest’anno festeggia  anni di attività, abbiamo avviato, nel , il primo esperimento “Sistemi” in Basilicata, in  comuni di  mila,  mila e . abitanti, che decisero di destinare  mila euro a testa per questo progetto. Partecipammo a un bando dell’ANCI (Associazione Nazionale dei Comuni Italiani), che prevedeva un minimo di tre comuni partecipanti e il caso ha voluto che, in tempi in cui ancora non si parlava di sistema (ancora non c’era stato il primo convegno a Fiesole), vincessimo


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il bando. Prima cosa da fare: rapportarsi subito con chi stava già attuando il sistema. Andrea era partito qualche mese prima, non ci conoscevamo neanche di nome; ci siamo incontrati e da quel momento è nata una collaborazione strettissima, che ha fatto sì che oggi i nuclei attivi in Basilicata (Montescaglioso per i comuni della provincia di Matera e Pietragalla in provincia di Potenza, che ha un taglio prettamente bandistico), si unissero in una forma prima basata sui contenuti e oggi anche a livello formale, con le altre esperienze dei nuclei pugliesi (San Severo Art Village e i vari “MusicaInGioco” curati da Andrea Gargiulo). C’è un coordinamento, che fa sì che ci si scambi le buone pratiche. Andrea in questo è il nostro punto di riferimento. Gli scambi poi arricchiscono tutti, perché ciascuna realtà è diversa dall’altra. Quella del quartiere Tamburi di Taranto, dove c’è la “Tam Tam Band” (che è una banda giovanile formata proprio nella scuola “De Carolis”, che qualche mese fa è stata evacuata perché sotto passano le condotte dell’ILVA), è diversa da quella del quartiere tarantino “Tre Carrare Solito”, dove c’è il più alto tasso di abbandono e di dispersione scolastica: gli scambi di esperienza costituiscono vera ricchezza. Cosa voglio dire con questo? Che abbiamo nei fatti creato questo coordinamento: lo scambio di esperienze, di pratiche, che pure sono nate da quella fiesolana, può oggi farci dire con un minimo di orgoglio, me lo consentirà, Direttore, che la Puglia e la Basilicata, costituiscono un modello oggi in Italia. Possono essere un modello perché non è sempre vero che nei posti che sono ai margini non possono nascere buone pratiche, proprio come in Venezuela. Il Terzo mondo oggi dà gli schiaffi al mondo occidentale. Posso dire una forse impopolare in questo momento? Beh, in questo contesto che ha carattere scientifico, non politico, lo possiamo dire. Le bande da giro, in cui io sono nato come cornista, nell’, cosa hanno fatto? Non hanno anche loro unito generazioni, radicalmente diverse? Scalpellini, calzolai, operai, ragazzi, bambini. . . tutti insieme per tutte le stagioni estive, in un solo alloggio cinquanta volte più piccolo di questo, con le brande a condividere tanto: anche quella è una palestra di vita, anche quella risponde alla missione del sistema, che non è di formare i musicisti, ma di educare i cittadini per mezzo della musica. Sintomatico è il fatto che a Foggia nasca il primo convegno nazionale sul sistema. Foggia (io che sono lucano lo vedo con più distacco), nell’ambito delle dinamiche visibili della Puglia, è molto vicina a Taranto, perché Bari è Bari, Brindisi è vicina a Bari, BAT è appena nata ma è ricchissima, Lecce ha il Barocco; anzi, la Puglia è “Bari e Lecce centrica”, restano ai margini Foggia e Taranto. Foggia ha dato l’esempio oggi grazie al Direttore; Taranto sta dando un altro esempio da tre anni e proprio io vengo dall’esperienza tarantina. Acunzo diceva che la sua orchestra non ha mai ricevuto fondi pubblici, questo è un vero peccato, per quello che ha detto Andrea, che ha detto Giorgio Cerasoli, che ha detto Tonino e tutti quanti gli altri. I fondi servono, per


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tutti i motivi che sappiamo. Cerasoli ha detto che il volontariato ha il fiato corto: Andrea è l’eccezione. Io mi arrabbio sempre con lui, quando dice che fa questa attività gratis, rimettendoci anche la benzina. Mi arrabbio sempre con lui, perché i politici poi pensano che se lo fa lui lo possano fare tutti. Non è vero, perché c’è il “falso mito”, come ha detto il maestro Di Lernia, che con la musica si lavora di meno. Il falso mito. Per fare questo lavoro e ottenere risultati apprezzabili, non serve l’improvvisazione, non serve l’approssimazione, non serve neanche l’entusiasmo iniziale che fa sì che si possa rinunciare anche al rimborso spese. Per ottenere risultati apprezzabili occorrono, ditemelo, maestri che curate le orchestre, anni di dedizione e costanza. Non c’è alternativa, il Conservatorio prevede anni di studio e la dedizione e la costanza da parte dei bimbi si può pretendere se c’è uguale dedizione e costanza da parte dei docenti. Quindi i docenti, se all’inizio vengono coinvolti in maniera anche gratuita sull’onda dell’entusiasmo, quando avranno un concerto dovranno andarci, ed è imbarazzante dover dire: “No, tu devi venire, hai preso l’impegno”, quindi serve che si riconosca il ruolo lavorativo di chi si impegna in questa iniziativa. Per tal motivo a Taranto abbiamo fatto un esperimento che ad oggi purtroppo non è stato ancora imitato in Italia. La politica ha dato risposte positive. All’epoca l’Assessore alla Pubblica Istruzione ha convinto il Sindaco di Taranto, Ippazio Stefano, ancora in carica, a credere in questo progetto. Hanno trovato fondi regionali e quindi europei, e li hanno impiegati per il sistema riversando nel progetto  mila euro in  anni. Abbiamo quindi fatto un protocollo di intesa con il Conservatorio di Taranto, l’Istituto Musicale Pareggiato “Paisiello”, il quale seleziona con bando pubblico, tra i propri allievi diplomati o laureati disoccupati, persone da impegnare nel sistema. Li abbiamo mandati a Fiesole due volte per formarsi, ecco perché i soldi servono: spostarsi da Taranto a Fiesole in sei persone, per tre giorni e poi altri tre, ha un costo. Li abbiamo mandati molte volte da Andrea, Andrea è venuto anche lui. Abbiamo formato questi ragazzi. E devo dire che non tutti ce l’hanno poi fatta a reggere il confronto con i  bambini di quel quartiere. I video dei primi giorni sono bellissimi. Bullismo, mazzate, i bagni sempre otturati, ecco, tutte cose belle. Oggi il risultato è che la piccola orchestra di Taranto deve diventare emblematica, senza invidia da parte di nessuno, di quello che un’amministrazione può fare, considerato che il comune di Taranto usciva dal dissesto finanziario peggiore d’Italia, dopo quello di Catania. Ha fatto questo Taranto. Prossimamente, dopo l’estate, a Taranto si parte anche con le Manos blancas. Gli esempi positivi sono contagiosi, così come è contagioso Andrea anche a Taranto. Taranto e Foggia, e porto qui il saluto del loro direttore Lorenzo Fico. Come concludere? Penso di aver detto tutto, non ho voluto parlare di aspetti didattici. Il  giugno o il , lo stiamo dicendo in questi giorni, a Taranto si terrà la festa della musica del sistema di Puglia


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e Basilicata, da un’idea folle di Andrea e condivisa dall’altrettanto folle Tonino D’Angelo, i quali per induzione hanno coinvolto alla follia anche me. Abbiamo deciso (l’anno scorso al Petruzzelli i  bambini furono divisi in due gruppi) che quest’anno, i quasi  bambini fra Puglia e Basilicata saranno tutti insieme, una mega orchestra e coro di quasi mille bambini, che si esibirà a Taranto, allo stadio Iacovone o a Villa Peripato, in una grandissima festa, sotto la direzione di Andrea Gargiulo che sarà anche direttore, oltre che autore delle musiche. L’invito a tutti è di venire a Taranto, l’invito a tutti è di trarre spunti dalle esperienze positive. Anche Napoli, ricordo, in occasione del primo convegno a Fiesole, fu motivo di vanto oltre che per la qualità del progetto perché c’erano sponsor (la società autostradale, Vodafone. . . ) che avevano aderito. Beh, troviamo il modo. Speriamo che il ministro Franceschini col nuovo decreto possa essere d’aiuto, perché se nel sistema ci crediamo occorre trovare i fondi, perché con i fondi si formano professionisti e contribuiamo anche ad alleviare il gravissimo problema occupazionale. Il Conservatorio sforna ogni anno migliaia di sicuri disoccupati. Noi con il sistema a Taranto da tre anni stiamo dando lavoro, poco ma sicuro, a oramai  persone, da tre anni. È poco? È una goccia. Non fa niente, per noi è tantissimo rispetto allo zero. Grazie e buona continuazione. Francesco Di Lernia: Per supportare quest’ultimo pensiero di Giovanni, incito tutti quanti a lavorare affinché al musicista non venga più posta la seguente serie di domande sarcastiche che più o meno recitano così: “Ma tu che fai di mestiere?” — Suono! — e incalzando: “Sì, ma per campare che fai?” Convenite con me che questo produce un senso di frustrazione, specie a chi è impegnato a fare soltanto questo per la maggior parte della giornata. Nel , prima lasciare l’Italia, mi sono detto: “Adesso voglio andare in un posto dove nessuno mi farà questa domanda, un luogo dove è consuetudine considerare il musicista persona con mestiere degno, retribuito come tutti gli altri, importante da un punto di vista sociale per la crescita della comunità”. Noi oggi ci siamo scambiati un po’ di opinioni, però consentitemi due battute finali prima di leggere la bellissima testimonianza di Gabriella. Mi piacerebbe sapere da tutti i presenti il perché è stato così complicato per noi organizzare questo convegno. Cusani ha detto prima che questo è il primo convegno, tutti quanti hanno detto che è il primo congresso dedicato al Sistema. Tra le mezze frasi e le sensazioni che ho ricevuto c’è quella che o siamo stati degli incoscienti a mettere intorno a un tavolo persone che forse perseguono lo stesso obiettivo ma hanno idee differenti, oppure siamo stati degli illusi a pensare che forse una giornata del genere potesse lasciare un messaggio decisamente positivo, come io ritengo siamo riusciti a fare. Chiedo quindi solamente un breve commento ad ognuno di voi in merito. Cusani, perché è stato complicato organizzare questa giornata?


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Dario Cusani: Perché è stato complicato? Perché se siamo in un deserto di sordi al Nord, immagino che al Sud sia ancora di più. Perché non so, penso da un punto di vista generale, non so internamente voi che problemi possiate aver avuto come Conservatorio, credo che all’esterno ci sia uno scarso interesse a partecipare. Francesco Di Lernia: Nessuno vuole dire due parole sull’argomento? Consentitemi di fare un po’ l’avvocato del diavolo, anche perché è innegabile che ci siano delle situazioni di tensione all’interno degli operatori del sistema, per motivazioni che io personalmente disconosco. Ho organizzato questa tavola rotonda anche per questo, per tentare di porre sul tavolo anche quelle criticità che affliggono in parte il dialogo degli operatori aderenti al Sistema. Mi sbaglio? Paolo Acunzo: Noi a Napoli abbiamo avuto dall’inizio, da quando siamo nati, dei problemi a relazionarci, non tanto col Conservatorio dove sono tutti amici (all’epoca c’era Patrizio Marrone, era nostro fan sfegatato, anche l’attuale direttrice), però noi dal  ad oggi non abbiamo mai avuto l’onore di avere nella nostra sede alla Sanità, il coordinatore regionale, il maestro Ottieri. Io capisco che, quando è nato, il progetto Sanità Ensemble è stato visto un po’ male, dalle alte sfere con la puzza sotto al naso; siamo stati quelli che si sono sporcati le mani, nonostante siamo tutti musicisti professionisti ovviamente, però ci siamo sporcati le mani, perché siamo stati nel quartiere più disagiato. Io e il maestro Baratta siamo stati a colloquio fino a mezzanotte, l’una, le due, con i boss della camorra a parlare di questa situazione, perché levavamo manovalanza a loro; oggi abbiamo il figlio di un pentito che suona le percussioni con noi, per cui abbiamo rischiato in prima persona. Io di mestiere faccio il direttore d’orchestra, il maestro Baratta di mestiere fa il pianista. In quel caso facevamo recupero sociale, assistenza sociale, e vedere dei musicisti parlare con queste persone forse ha dato fastidio, non lo so; ma ha dato fastidio a loro, non a noi, noi continuiamo ovviamente a fare quello che dobbiamo fare. Tra l’altro dal Conservatorio di Napoli, che è la nostra massima istituzione, adesso ci mandano anche i ragazzi a fare le prove, perché lì c’è poco tempo. Il maestro Calzolari ogni tanto mi manda i contrabbassisti. Anche al Liceo Musicale non riescono a fare le prove perché ancora stanno nella fase di work in progress. Noi siamo aperti ad accogliere eventuali richieste da parte loro; infatti stiamo aspettando, e quando verrà il momento sicuramente sarà una bella occasione per tutti. Dario Cusani: volevo precisare una cosa: Sanità Ensemble è forse la massima espressione in Italia, oggi, del sistema Abreu. Vorrei raccontare un aneddoto che mi hanno riferito. Il direttore stava andando alle prove e ad


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Tavola rotonda coordinata da Francesco Di Lernia

un certo punto vede dentro una macchina un’ombra che si muove. Si affaccia e vede un ragazzino che sta rubando l’autoradio. Questi si gira e dice: “Direttore, non vi preoccupate,  minuti che finisco questo lavoretto e vengo alle prove”. È un aneddoto che fa ridere, ovvio, ma è anche drammatico. Ora, per partecipare all’orchestra, quante autoradio al quartiere Sanità non saranno state rubate? Allora, è un percorso difficilissimo, lungo, faticoso, perché è un progetto sociale come lo vuole Abreu e non è uguale alla FuturOrchestra di Milano che è fatta di ragazzi del Conservatorio, figli di musicisti che comunque avrebbero fatto musica o già la facevano. Senza la Sanità Ensemble nel quartiere Sanità nessuno di quei ragazzi avrebbe mai avuto l’opportunità di fare l’orchestra. Ora la domanda è questa: perché la Sanità Ensemble non fa parte del sistema quando dovrebbe esserne la bandiera? La risposta? Io avrei pagato per averli, proprio perché ne avrei fatto la bandiera di un sistema. Ragazzi là c’è il video di un’esecuzione davanti al bar. Avrà girato il mondo. Ve lo ricordate? È di un paio di anni fa. Una cosa agghiacciante. Quindi siamo a livelli. . . ma non dobbiamo vedere come un aspetto negativo il fatto che loro interpretino il modello Abreu: realizzano in pieno il sistema e dovrebbero essere i primi ad entrarci. Hanno partecipato al convegno del , anche perché loro esistevano prima che nascesse il sistema e se domani il Sistema non ci fosse esisterebbero comunque considerato che i nuclei non hanno ricevuto in questi anni dal Sistema un aiuto. Alcuni nuclei, tra cui per esempio il nostro, hanno ricevuto degli strumenti, però voglio dire, non c’è il sistema, non c’è la rete, non c’è un lavoro di scambio e questo secondo me è un punto. Tonino D’Angelo: Siamo cani sciolti, io non so quanto questo può ammorbare il prossimo perché si rischia la burocratizzazione. A me ricorda precisamente un fatto: quando si fa una bella cosa succede una cosa che è successa  anni fa. Leggevo nel Vangelo, non perché io ne sia amante, una cosa molto importante da un punto di vista psicologico–sociale. Si dice: “Signore, ci sono alcuni che stanno predicando in nome tuo” e lui risponde: “Ma che stanno dicendo? Stanno dicendo le cose che dico io? E allora lasciateli parlare”. Qui che cosa succede? Non c’è certamente Gesù Cristo. Semmai sta in Venezuela e sarebbe Abreu, insomma, ci siamo capiti. Qui sono tutti impegnati in quel solco. E il motivo per cui, lo dico molto tranquillamente, perché con amore per Roberto Grossi e gli altri, il // scrivevo: “Proseguiremo sul solco e con l’amore di Abreu senza di voi, che pare gestiate convegni e spettacoli ingessati da regole non fatte per i deboli e gli ultimi, senza avere gioia, bensì piegandovi a logiche meramente spettacolari e strumentalizzando la sofferenza a cui avete oggi sbattuto la porta in faccia. Dimostrate che degli oltre  frequentanti il nucleo di Art Village, avete solo cognizioni burocratiche. Addio fratelli. Con affetto”. Dopo, questa storia si è ricomposta


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umanamente perché qui noi non abbiamo nemici. Hanno costruito, questa è un’analisi aziendale per qualcuno, un discorso che si basa saltuariamente su un fatto: dall’alto si decide chi coordina le regioni. Noi come cani sciolti ci siamo auto costituiti in coordinamento regionale. Perché l’abbiamo avuto questo insegnamento. Non obbediamo molto, non so se ci siamo capiti, ma con questo non significa che dobbiamo fare le crociate uno contro l’altro. Esiste un modello democratico, ci si riunisce, ci sarà un prossimo momento, se qualcuno vuole discutere personalmente non starò mai a fare le correnti perché al centro se c’è quello che abbiamo detto oggi, va molto oltre le figure di noi, non so se ci siamo capiti, e allora le correnti non mi interessano. Mi interessa se metto al centro qualcosa che effettivamente è estremamente incoerente in Italia. Il modello del Sistema o è sistema e quindi democraticamente, diciamo così, deve riporre al centro in un’ottica di servizio quello che stiamo facendo. Non è possibile che il Sistema si rappresenta semplicemente, senza nulla togliere al Senato; il vero sistema è quello che sta nei quartieri e nelle periferie, che manco si vede, senza nulla togliere neanche a quello che abbiamo rappresentato qui oggi perché mi sarebbe piaciuto nella prossima tappa di fare una bella convention affettuosa con tutti i ragazzi che vengono al Conservatorio, non perché devono diventare adepti del sistema, non so se mi capite, ma perché condividiamo insieme quello che hai detto tu prima rispetto alla inclusione. Io mi rendo conto, essendo un medico, perché anche a me dicono: “Ma tu non fai il medico”. Se mi interesso di prevenzione sembra che non faccia il medico. Beh, quello che hai detto tu è un portato drammatico di un ragazzo, della serie: se fai il musicista non vali niente no? Questa è una cosa che si dice: “Ma tu che mestiere fai?” Guardate che a proposito di illusione, la prima cosa che bisogna fare è recuperare questo valore attraverso il Conservatorio o attraverso il mondo dell’arte, perché la cosa assurda che io vedo è che tutte le campagne elettorali a San Severo si chiudono tutte con i musicisti e mi fa schifo vedere i musicisti piegati a fare da spettacolino a tutti i signori politici. In questo momento, a San Severo, tutti usano i musicisti per chiudere le campagne elettorali. Ma non per parlare di musica, semmai poi qualcuno viene comprato, i poverini, con la salsiccia o altre storie. Quando ho parlato del reddito dell’ILVA nazionale per gli artisti è perché riteniamo che la cultura, queste modalità di espressione, siano fondamentali per una società diversa. Se ne siamo convinti noi siamo una forza enorme, quindi pensa che i limiti che tu riscontri, questa difficoltà, è legata anche alla passione che uno ha. La passione porta con sé anche diffidenza. Porta alla voglia di conoscersi sì, però anche di vedere come andare avanti. Questo determina anche una certa conflittualità, quindi io non la vedo in senso negativo, questa difficoltà è segno della passione, ma anche segno che deve cambiare qualcosa perché altrimenti perdiamo tempo a inseguire gli spettacoli e poco gli obiettivi che noi abbiamo condiviso con Abreu e che condividiamo con Andrea e con


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Tavola rotonda coordinata da Francesco Di Lernia

gli altri. Secondo me questo è fondamentale. Oggi qui può nascere anche una ulteriore fase successiva, se vogliamo, a quello che è successo, perché Claudio va lì, porta qui il sistema, ma in realtà non l’ha portato lui, perché un sistema del genere si contamina da solo. Lo dico da un punto di vista medico, è come i virus che non chiedono il permesso, non so se mi capite, di essere “portati”, a meno che dietro non ci sia un’industria militare che porta i virus in giro per altri motivi. Ma questo è un virus positivo. Quindi diciamo qui, oggi, che quelle difficoltà, in realtà, possono essere un fattore arricchente, però dobbiamo superare quegli ostacoli. Questo succede in tutte le cosiddette “aziendine”, anche nei Conservatori, nelle ASL: ci vuole quella disobbedienza di cui parlava Don Lorenzo Milani, l’obbedienza non è una virtù, tanto per capirci. Francesco Di Lernia: E speriamo, in questo clima umido che c’è ora in auditorium, di aver contagiato positivamente tutti. Giorgio Cerasoli: Ho chiesto il permesso ad Andrea di leggere queste belle pagine per ricordare questa violinista. Vuole essere, questo, un mio omaggio a questa terra perché qui c’è qualcosa di speciale, ci sono delle persone. C’è un Conservatorio che è il primo che si è interessato ufficialmente a questa scommessa, ci sono delle forze della natura come Andrea. Spero che le difficoltà, non credo di aver nulla da aggiungere a quello che è stato detto sul segnale che ci danno queste difficoltà che avete riscontrato nell’organizzare, nel coinvolgere delle persone intorno a questo tavolo, siano di sprone ad andare avanti. Personalmente porto un’esperienza che non è incoraggiante e alla quale ci dobbiamo ribellare in qualche modo. Io ho sentito diverse volte Roberto Grossi che oltre a essere il Presidente del Sistema, è anche presidente di Federculture, portare annualmente un rapporto di Federculture di fronte ai potenti della politica. Un rapporto in cui era scritto chiaramente con dovizie di particolari quale era il valore aggiunto che dava la cultura, quali sarebbero stati i soldi risparmiati se si fosse investito in cultura. Ebbene, tante volte mi è sembrato un teatrino in cui ciascuno recitava una parte. Questo non è un addebito nei confronti di Roberto Grossi naturalmente, ma è l’ennesimo esempio di come il mondo della politica sia ormai abituato ad ascoltare queste cose, ignorandole. Allora ci vuole il coraggio veramente di dire basta. Io vengo da tutt’altra parte, vorrei fare un omaggio a questa terra speciale, leggendo queste due pagine toccanti di Gabriella, violinista, come contributo alla positività del futuro. Dal diario di Gabriella Cipriani, tragicamente scomparsa in un incidente stradale il  maggio  a soli  anni. Per gentile concessione dei familiari.


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 aprile  Stare un po’ lontana dallo strumento, abbandonare quel contatto quotidiano talvolta logorante non è del tutto negativo, anzi, può generare un senso di pace interiore, riflessioni che è possibile maturare solo quando ci si prende una pausa e ci si ferma a PENSARE. Sì, ho lasciato il violino per dedicarmi ad altro nelle ultime settimane e ho riscoperto (o forse ho solo scoperto) degli aspetti della musica del tutto nuovi e che ho ignorato fino ad ora. Sono stanca di vivere la vita di musicista con un complesso di inferiorità. Averlo significa ammettere una sconfitta, convincersi che la musica sia un’attività di serie B. Invece non è così. Perché? Di questo si potrebbe parlare per ore, giorni, anni. Il fatto che pochi siano in grado di capire il nostro lavoro, o meglio, il nostro “istinto”, non vuol dire che la musica sia un’arte trascurabile, inutile. Pochi sono i “privilegiati” che conoscono la materia, che ne hanno provato i sacrifici, assaporando le gioie e le emozioni. Tra questi, però, non tutti vivono la musica allo stesso modo. C’è chi la concepisce come strumento per educare i più piccoli, chi per mettersi in mostra e sentirsi importante, chi come “semplice” modo per fare soldi, chi suona tutto ff perché “ti devono sentire”, chi come mezzo di competizione talvolta estrema, malata. Ogni idea è diversa, ogni approccio si distingue e influenza tutto. Sì, tutto! Da come una persona intende fare musica si capiscono tante cose. La propria idea si riflette nella personalità, in primis, poi nel modo stesso di suonare, che può essere teso, rilassato, noioso, scolaresco, virtuosistico, perfettino, azzardato, sperimentale. Allora, cosa è la musica e, specialmente, il fare musica? Ho particolarmente apprezzato le parole di un grande direttore che ho preso come mio “mantra”. Una volta costui ha detto rivolto all’orchestra: “Ora sono contento, ora mi capite. Il mio scopo non è quello di fare il metronomo, io vorrei che tutti foste capaci di leggere la partitura che ho davanti a me. Vorrei farvi capire quando la parte che state suonando litiga o fa l’amore con un’altra, oppure è di sostegno, e voi dovete fare di tutto per dare il giusto spazio a chi è importante in quel momento e preparargli il terreno per fare di quella frase un miracolo. Ecco, per me questo è fare musica”. Un’altra interpretazione. Giusta? Sbagliata? Diciamo molto affine a me, alla mia dimensione. Un grande violinista una volta mi ha detto una cosa strana. . . i suoi amici medici, ingegneri, magistrati, sono di certo “messi meglio” di lui. Questa per me è stata non solo una pugnalata, ma quelle parole hanno segnato la definitiva decadenza del “mito” che vedevo in questa persona. Come si può fare un paragone tra queste categorie? Non c’è niente di più sbagliato che fare confronti, mettersi in una dannata e inutile competizione. Io sono io, tu sei tu. Io ho le mie inclinazioni, paure, ambizioni, tu le tue. A che prezzo Bernini avrebbe scelto di fare il contadino invece che lo scultore, perché il contadino fa soldi più immediati? A che prezzo un musicista rinuncerebbe alla musica per andare a fare l’impiegato? Il prezzo dell’insoddisfazione e di una vita a metà, vuota, obliqua, è troppo alto, per me. Solo


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Tavola rotonda coordinata da Francesco Di Lernia

perché il musicista ha un istinto di nicchia (non mi piace definirlo ora “mestiere” non è giusto declassarlo, sottovalutarlo. . . anzi! La società pensa solo ad accumulare soldi, entrate su entrate, profitti e affari. Dov’è il resto? A volte siamo uomini primitivi, solo che i parametri sono diversi. I nostri bisogni primari non sono più pellicce per riscaldarci e cibo per sopravvivere, ma soldi per arricchirsi, ostentare, sistemarsi “alla faccia dei perdenti”. Mi rifiuto di adeguarmi ad un mondo così. Non serve a nulla saper suonare benissimo, bene, male, malissimo. Il mondo sopravvivrà senza di me e la musica. Ma. . . il valore aggiunto? Qual è allora la mia idea personale e inimitabile del fare musica? Questo non lo so di preciso, forse chi mi vede dall’esterno può farsi un’idea con uno sguardo più imparziale, ma dubito che alla gente freghi qualcosa di tutto ciò e che sprecherebbe energie mentali a pensare troppo ad argomenti come questi. Dal canto mio posso dire che cerco sempre di non perdere l’entusiasmo “perché tanto quel brano l’ho suonato mille volte”. Ogni volta che vengo a contatto con Musicisti con la M maiuscola, mi rendo conto di quanto siano sempre entusiasti della musica, di quanto riescano a coglierne la bellezza, le sfumature, i dettagli, le finezze e a trasmetterle con grande semplicità. Il dettaglio è qualcosa che non va più di moda, si pensa all’apparenza immediata, alle cose evidenti, megalomani, che magari hanno mille difetti. Non si finisce mai di imparare e scoprire cose nuove, anche quando pensiamo di sapere tutto o tanto. Allora forse per me la musica è puro godimento del dettaglio, di quella nota piccolissima, brevissima, quasi invisibile, che ti fa salire un brivido e che ti fa pensare che vale la pena di fare il musicista. È uno specchio in cui riflettersi e “vedersi” non in carne ed ossa, ma in un’altra materia che i sensi non possono percepire del tutto, ma solo intuire. E poi la musica è, oltre che sacrificio, anche compromesso. Bisogna scendere a compromessi quando si suona una fuga e si deve far “vincere” una voce che si sconta con un’altra, in un concerto quando il solista deve lottare con l’orchestra, in pubblico quando ti osservano e giudicano in modo spietato, nella quotidianità quando un passaggio continua a non riuscire perché ci siamo incaponiti e non capiamo che più lo ripetiamo e più ci roviniamo salute e autostima. Il compromesso è dire: “oggi arrivo fin qui, domani forse farò meglio”. Penso che la musica in generale sia per pochi, ma. . . ragionata in questo modo è per pochissimi. Francesco Di Lernia: Questa giornata finisce qui, con queste belle parole dal diario di Gabriella, sicuramente con l’auspicio di diventare protagonisti di contagio positivo verso tutti quanti, perché il lavoro che facciamo è un lavoro bellissimo. Grazie a tutti gli intervenuti.


“El Sistema” Abreu in Italia

Figura : Tavola rotonda (Foggia  maggio ).∗

Figura : La Senatrice Elena Ferrara.∗

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Tavola rotonda coordinata da Francesco Di Lernia

Figura : Alessandro Romanelli, Alfredo Villoria e Francesco Di Lernia.∗

Le foto sono di Michele Gioiosa.


Quando la musica cambia la vita ISBN 978-88-548-7597-5 DOI 10.4399/978885487597515 pag. 159–161 (ottobre 2014)

Indice dei nomi

Abbado Claudio, , , , , . , , , , , , , ,  Abreu José Antonio, , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , ,  Accardo Salvatore,  Acunzo Paolo, , , , , , , , ,  Albanese Ernesto,  Alfano Armando,  Altomare Gabriella,  Amado Jorge,  Aprile Antonio,  Artaud Antonin,  Balzac Honoré de,  Baratta Maurizio, , , , , ,  Barbarossa Cristiano,  Barthes Roland, , , , , , ,  Beethoven Ludwig: van, , ,  Belgrano Giovanni,  Bellomo Massimo,  Bergson Henri,  Bernini Gian Lorenzo,  Bernstein Leonard,  Berti Luigia,  Blanchot Maurice,  Boccherini Luigi,  Borges Arnese Bernardo,  Brahms Johannes,  Brancatisano Eusebio, , ,  Brocca Beniamino,  Cage John, ,  Calzolari Ermanno,  Cardi Lidia,  Carlo III di Borbone,  Caroccia Antonio, , ,  Carrà Raffaella, 

Casini Pierferdinando,  Cerasoli Giorgio, , , , , ,  Ciotti Luigi,  Cipriani Gabriella, ,  Cohen Elisabeth, ,  Colace Giuliano,  Colazzo Salvatore, , ,  Colombo Cristoforo,  Comentale Paolo,  Corese Tiziana,  Crudele Francesco,  Cusani Dario, , , , , ,  D’Angelo Tonino, , , , , , ,  Dall’Arche Augusta, , , ,  Dateh Paul,  De Cristofaro Luca,  De Natale Marco,  Delalande François, , , ,  Delfrati Carlo,  Di Lernia Francesco, , , , , , , , , , , , , , ,  Disoteo Maurizio,  Donati Bernardo, , , ,  Dudamel Gustavo, , ,  Fabris Dinko,  Farulli Piero,  Fasanella Anna, ,  Ferrara Elena, , ,  Fico Lorenzo,  Flores Francisco,  Franco Rosa  Franciscus <papa>,  Franzetti Luca,  Fratoianni Nicola,  Freire Paulo,  Galante Clara,  Garcia Naybeth, , 




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Indice dei nomi

Gargiulo Andrea, , , , , , , , , , , , , , ,  Gelmini Mariastella,  Godelli Silvia,  Gómez Johnny,  Grossi Roberto, , , ,  Gutierrez Sarpe Mirian,  Guzman Johnatan,  Harnoncourt Nikolaus,  Hertz-Lazarowitz Rachel,  Ibarra Josè,  Impastato Giuseppe, ,  Ippazio Stefano  Ippocrate,  Ironico Gianfranco,  Iucolano Nicolò,  Izzo Francesco,  Kafka Franz,  Kagan Miguel,  Kagan Spencer, , , ,  Koopman Ton,  La Porte Robert,  Labini Sylos,  Laricchia Michele,  Loffredo Antonio, ,  Losito Fabio,  Maazel Lorin,  Maccaferri Melania,  Mandela Nelson,  Maralfa Bepi,  Marfella Raffaele,  Marrone Patrizio,  Martino Maria Giustina,  Massa Cinzia,  Matheuz Diego,  Minervini Guglielmo,  Minischetti Luigi,  Moretti Vincenzo,  Morrone Gioacchino, ,  Mosca Antonio, , ,  Mozart, Wolfgang Amadeus,  Murat Gioacchino, ,  Muti Riccardo,  Napolitano Giorgio, 

Nonino Giannola,  Ottieri Eugenio,  Pagnotta Maurizio,  Paliotti Antonello,  Palladino Alessandra  Panariello Gaetano,  Panigada Leonardo,  Paredes Dietrich,  Payares Rafael,  Pernarella Clemente,  Piano Renzo, ,  Piovani Nicola,  Pirsig Robert Maynard, ,  Pompeo Giovanni, , , , ,  Proust Marcel,  Provenzano Enzo,  Puccini Giacomo,  Radaelli Ambra,  Rattle Simon, ,  Renzi Matteo,  Rimauro Mauro,  Rinaldi Domenico,  Romanelli Alessandro,  Rossini Gioacchino, ,  Ruggeri Rachele  Ruiz Edicson,  Salerno Luigi,  Sarno Gianlorenzo,  Sasso Alba, ,  Scarnera Silvia,  Schumann Robert,  Sen Amarthya,  Sepe Daniele,  Sharan Shlomo, ,  Sharan Yael, ,  Sieni Virgilio, ,  Siman Susan,  Sinopoli Giuseppe  Slavin Robert, ,  Sloboda John  Sorrentino Tullio,  Spaccazocchi Maurizio,  Spinelli Luciano,  Squeo Maria,  Stefani Gino,  Sullo Annamaria, 


Indice dei nomi Sullo Paolo, , ,  Suzuki Shinichi, , , ,  Tafuri Johannella,  Tomatis Alfredo,  Varcasia Eugenio,  Varcasia Gaetano,  Vasquez Christian, 

Verchiani Adriana,  Verdi Giuseppe,  Vespa Bruno,  Vidal Jack,  Vietti Josh,  Vivaldi Antonio,  Zenobio Vincenzo,  Zurlo Daniela, 





Quando la musica cambia la vita ISBN 978-88-548-7597-5 DOI 10.4399/978885487597516 pag. 163–163 (ottobre 2014)

Tracklist del DVD allegato

)

El Sistema musical venezolano — un ejemplo para el mundo (fonte: https://www.youtube.com/watch?v=JxcLkuJaIk)

:

)

A Slum Symphony

:

)

Viaggio a Caracas

:

)

Gustavo Dudamel — Marquez — Danzon n.  (fonte: https://www.youtube.com/watch?v=EkeIcuSCA)

:

)

Coro delle Scarpe Sciolte

:

)

Sanitansamble (fonte: http://www.youtube.com/watch?v=UMoMSbI&feature=youtu.be)

:

)

Colori e suoni dell’Art Village di San Severo

:

)

Festa della musica de “El Sistema” in Italia

:

)

Quando la vita cambia la musica

:

)

Di fronte agli occhi degli altri — Compagnia Virgilio Sieni (fonte: https://www.youtube.com/watch?v=YZrFDHwvfWo)

:

)

Virgilio Sieni: tre Agorà per Marsiglia  (fonte: http://www.youtube.com/watch?v=YNAtsTAP)

:

)

KinderLeoHaydn

:

)

Il viaggio di Luna

:

)

Dimostrazione di Susan Siman

:

)

Campus estivo musicale Cerenova

:

)

I violini della Cerenova

:

)

Saggio scuola Cerenova

:

)

Saggio scuole Gramsci — Tagliacozzo

:







 –   – Scienze matematiche e informatiche   – Scienze fisiche   – Scienze chimiche   – Scienze della terra   – Scienze biologiche   – Scienze mediche   – Scienze agrarie e veterinarie   – Ingegneria civile e architettura   – Ingegneria industriale e dell’informazione AREA

 – Scienze dell’antichità, filologico–letterarie e storico–artistiche

  – Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche   – Scienze giuridiche   – Scienze economiche e statistiche   – Scienze politiche e sociali

Il catalogo delle pubblicazioni di Aracne editrice è su www.aracneeditrice.it


Finito di stampare nel mese di ottobre del  dalla «ERMES. Servizi Editoriali Integrati S.r.l.»  Ariccia (RM) – via Quarto Negroni,  per conto della «Aracne editrice S.r.l.» di Roma



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