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l volume raccoglie i contributi del Convegno Genesi di un musicista: la formazione musicale e le sue storie (Foggia, 24–25 ottobre 2012). L’iniziativa è stata promossa dal Dipartimento di Didattica della Musica del Conservatorio Umberto Giordano di Foggia. Raccontare e raccontarsi: è questo il tema centrale che ha fatto da filo conduttore alle giornate di studio. Le storie narrate e la storia di sé rappresentano i terreni privilegiati dell’incontro e dello scambio. Conoscere chi viene da lontano e conoscersi attraverso la musica sono queste le tappe fondamentali che possono trasformare la vicinanza in un incontro, la distanza in reciproca curiosità. Le giornate di studio hanno riflettuto su questi punti attraverso le relazioni di Augusta Dall’Arche, Duccio Demetrio, Antonio Caroccia, François Delalande, Isabella Loiodice; una tavola rotonda dal titolo Strumenti e possibilità per una formazione musicale di base e dei momenti laboratoriali di Annamaria Bartoccioli, Pierluigi Vannella e Augusta Dall’Arche.
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ntonio Caroccia è professore di Storia della musica per Didattica della Musica presso il Conservatorio Umberto Giordano di Foggia. Ha insegnato storia della musica e metodologia dell’educazione musicale presso le Università di Perugia e L’Aquila. È autore della Corrispondenza salvata (2004), I corrispondenti abruzzesi di Florimo (2007) e Lettere di Lauro Rossi a Florimo (2008). È co-curatore di Giuseppe Martucci e la caduta delle Alpi (2008) e Mozart Day. Itinerari storici, sociologici ed artistici (2008). È stato Presidente del collegio dei sindaci della Società Italiana di Musicologia dal 2006 al 2012.
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ugusta Dall’Arche è ordinario di Pedagogia musicale per Didattica della Musica presso il Conservatorio Umberto Giordano di Foggia. Ha collaborato per vari anni con l’IRRSAE Puglia e con l’Università di Bari. Ha progettato e diretto il corso di alta formazione Tecniche di animazione musicale (POR Puglia 2000-2006). È autrice del metodo per pianoforte La suòna-téla (2010) e di contributi riguardanti la didattica musicale: Le sonorizzazioni (1990); Musica, teatro, educazione (2003); Canti, strumenti, ombre cinesi e Parole, immagini e suoni… in «Musica domani»; Gioco quindi sono in «Scuola e didattica» e La musica tra accademia e mondo della scuola: percorsi integrati tra progetti e operatività (2003).
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In copertina
Genesi di un musicista a cura di A. Caroccia, A. Dall’Arche
Genesi di un musicista
Elaborazione grafica della locandina del Convegno.
ISBN 978-88-548-xxxx-x
ARACNE
euro xx,00
GENESI DI UN MUSICISTA LA FORMAZIONE MUSICALE E LE SUE STORIE ATTI DEL CONVEGNO DI STUDI, FOGGIA 24–25 OTTOBRE 2012
a cura di
Antonio Caroccia Augusta Dall’Arche
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Genesi di un musicista: la formazione musicale e le sue storie Atti del convegno di studi Foggia, – ottobre a cura di
Antonio Caroccia e Augusta Dall’Arche Contributi di Augusta Dall’Arche Duccio Demetrio Antonio Caroccia François Delalande Isabella Loiodice Annamaria Bartoccioli Pierluigi Vannella
Copyright © MMXII ARACNE editrice S.r.l. www.aracneeditrice.it info@aracneeditrice.it via Raffaele Garofalo, /A–B Roma ()
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I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. I edizione: novembre
Indice
Presentazione di Enrico Sannoner
Presentazione di Francesco Di Lernia
Introduzione di Antonio Caroccia e Augusta Dall’Arche
Tecniche autobiografiche nella formazione strumentale Augusta Dall’Arche
L’autobiografia come crescita cognitiva ed emotiva nelle attività di cura Duccio Demetrio
Ascoltare e sapersi ascoltare: la didattica dell’ascolto Antonio Caroccia
Dall’asilo nido all’età adulta, lo sviluppo dell’invenzione musicale François Delalande
Formare e formarsi “narrando” Isabella Loiodice
Tavola Rotonda
Strumenti e possibilità per una formazione musicale di base
Indice
Laboratori
Musica e narratività. Giocare, scoprire e fare musica nella scuola dell’infanzia Annamaria Bartoccioli
Oggetti sonori Pierluigi Vannella
Il pianoforte racconta le mie storie Augusta Dall’Arche
Indice dei nomi
Genesi di un musicista: la formazione musicale e le sue storie ISBN 978–88–548–5707–0 DOI 10.4399/97888548–5707–01 pag. 7–7 (novembre 2012)
Presentazione Desidero innanzitutto esprimere il mio più vivo apprezzamento per la perfetta organizzazione del convegno di studi Genesi di un musicista: la formazione musicale e le sue storie, che è stato un utile momento di confronto e di approfondimento su tematiche quanto mai attuali della formazione musicale. Personalmente ritengo che se è vero che oggi nel nostro Paese esiste una certa frammentazione del percorso di formazione musicale, che c’è il problema della sovrapposizione che per motivi vari si genera nella frequenza fra le discipline, va anche sottolineato che a tutto questo sopperisce la capacità di “accoglienza”, per così dire, dei docenti; cioè il loro seminare su un lungo percorso, accogliendo lo studente al suo ingresso nella formazione e seguendolo fino alla fine del suo cammino. Ma con ottimismo direi che in questo momento di profonda crisi che stiamo attraversando, economica innanzitutto, ma anche sociale e culturale, da questa stessa crisi dobbiamo trarre nuovi valori di essenzialità, anche nella qualità della docenza. In qualsiasi tipo di ristrutturazione o riforma più o meno radicale del sistema della formazione musicale bisogna tendere alla salvaguardia della qualità, al pregio dei contenuti della didattica, perché sono quelli che danno spessore. Sperando che troviate condivisibili queste mie valutazioni, mi è gradita l’occasione per salutare molto cordialmente. Enrico Sannoner Presidente del Conservatorio di musica Umberto Giordano
Genesi di un musicista: la formazione musicale e le sue storie ISBN 978–88–548–5707–0 DOI 10.4399/97888548–5707–02 pag. 9–9 (novembre 2012)
Presentazione Le “storie” della formazione strumentale si intrecciano con le vicende umane e questo intreccio va esplicitato, conosciuto, vissuto, agito consapevolmente. Il convegno Genesi di un musicista: la formazione musicale e le sue storie ha proprio voluto raccontare questi intrecci, queste interazioni, al fine di sottolineare la sostanziale continuità e vicinanza delle occasioni formative provenienti dalle diverse istituzioni educative. Rimarcando la centralità del soggetto che apprende come principio pedagogico ineludibile e sottolineando l’opportunità che, in questo senso, le metodologie autobiografiche possono offrire, il convegno si è proposto come momento di riflessione e scambio di esperienze tra diverse realtà scolastiche. È quindi con grande soddisfazione che mi accingo a presentare questo volume con gli atti, pubblicati in tempi eccezionalmente brevi grazie al lavoro dei professori Antonio Caroccia e Augusta Dall’Arche, veri motori dell’iniziativa. Le premesse, da sole, costituiscono però soltanto una parte del percorso. Per questo motivo abbiamo voluto creare un seguito oltre il convegno. La presente pubblicazione, infatti, oltre a documentare gli interventi, anche operativi, proposti durante le due giornate di studio, presenta il “Corso di formazione musicale per i docenti della scuola primaria e dell’infanzia” a cura del Dipartimento di Didattica della musica del Conservatorio Umberto Giordano che si terrà a partire dall’anno accademico /. Il fecondo scambio tra istituzioni, percorsi e protagonisti della formazione continua incessantemente. Francesco Di Lernia Direttore del Conservatorio di musica Umberto Giordano
Genesi di un musicista: la formazione musicale e le sue storie ISBN 978–88–548–5707–0 DOI 10.4399/97888548–5707–03 pag. 11–13 (novembre 2012)
Introduzione
Genesi di un musicista: la formazione musicale e le sue storie accoglie le relazioni presentate durante le giornate di studio, tenutesi a Foggia il e ottobre presso l’Auditorium del Conservatorio Umberto Giordano. L’iniziativa, promossa dal Dipartimento di Didattica della musica del Conservatorio dauno, ha riscosso unanimità di consensi e partecipazione di tutto il corpo docente e di quello amministrativo, che hanno in tal modo colto il senso e l’importanza dell’intera manifestazione. Raccontare e raccontarsi: è questo il tema centrale che ha fatto da filo conduttore alle giornate di studio. Le storie narrate e la storia di sé rappresentano i terreni privilegiati dell’incontro e dello scambio. Conoscere chi viene da lontano e conoscersi attraverso la musica sono queste le tappe fondamentali che possono trasformare la vicinanza in un incontro, la distanza in reciproca curiosità. Le giornate di studio hanno riflettuto su questi punti attraverso laboratori, relazioni e dibattiti, proponendo nel contempo un momento di confronto e di formazione, anche alla luce delle recenti disposizioni ministeriali in materia di educazione al suono nella scuola primaria e dell’infanzia. La presente pubblicazione costituisce, pertanto, una testimonianza degli interventi proposti durante le due giornate. La prima parte contiene i testi delle relazioni di cui, di seguito, viene riportata una breve sintesi. Augusta Dall’Arche (Tecniche autobiografiche nella formazione strumentale) presenta l’esperienza di ricerca, promossa dal Dipartimento per la Ricerca Musicologica ed Etnomusicologica del Conservatorio Umberto Giordano, L’autobiografia cognitiva nella formazione strumentale, svolta durante l’Anno Accademico –. Oltre a illustrarne gli aspetti teorici e metodologici, propone alcuni frammenti tratti dai testi autobiografici elaborati dagli studenti, per testimoniare la ricchezza, l’intensità e l’atmosfera emotiva del percorso svolto. Duccio Demetrio (L’autobiografia come crescita cognitiva ed emotiva nelle
Introduzione
attività di cura) scandaglia i territori della scrittura di sé, riscoprendo i miti antichi e le ragioni profonde che la scrittura risveglia. Antonio Caroccia (Ascoltare e sapersi ascoltare: la didattica dell’ascolto), fornisce nuovi spunti e riflessioni legate alla didattica dell’ascolto, attraverso l’esperienza sonora che inizia già prima della nascita e che si protrae per tutta l’esistenza, con la costruzione di proprie identità musicali. Proponendo nel contempo un’utile riflessione sull’ascolto storico. François Delalande (Dall’asilo nido all’età adulta, lo sviluppo dell’invenzione musicale), partendo dal commento dei dati scaturiti da una ricerca promossa nei nidi d’infanzia sulla esplorazione dei corpi sonori, analizza lo sviluppo dell’invenzione musicale fornendo le basi di una pedagogia basata su un’ontogenesi delle condotte musicali. Isabella Loiodice (Formare e formarsi “narrando”) riflette sulle valenze pedagogiche della metodologia autobiografica e sulle diverse forme che il racconto autobiografico può assumere nella prospettiva di un concetto di formazione come dispositivo complesso finalizzato allo sviluppo e all’emancipazione di persone critiche e creative. Segue poi il testo degli interventi relativi alla tavola rotonda dal titolo Strumenti e possibilità per una formazione musicale di base, alla quale hanno partecipato la Professoressa Maria Aida Episcopo (Assessore alla Cultura del Comune di Foggia), il Dottor Giuseppe De Sabato (Dirigente dell’Ufficio Scolastico Provinciale di Foggia), la Professoressa Isabella Loiodice (Preside della Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi di Foggia), la Professoressa Augusta Dall’Arche e il Professore Antonio Caroccia (docenti del Conservatorio di musica Umberto Giordano di Foggia) e durante la quale sono intervenuti alcuni partecipanti al convegno. Concludono la stesura degli Atti i resoconti dei laboratori di Annamaria Bartoccioli (Musica e narratività. Giocare, scoprire e fare musica nella scuola dell’infanzia) dove la parola dialoga con la musica, Pierluigi Vannella (Oggetti sonori) dove il ritmo dialoga con l’ambiente circostante e Augusta Dall’Arche (Il pianoforte racconta le mie storie) dove il pianoforte dialoga con le invenzioni narrative, che costituiscono esempi operativi ispirati a possibili intrecci tra formazione musicale e vissuto. Un ringraziamento doveroso va ai colleghi Luciano Digiandomenico, Giovanna Fratta e Michele Gasbarro, componenti del Dipartimento di didattica del Conservatorio, al Consiglio Accademico, di
Introduzione
Amministrazione e al personale docente e non docente dell’Istituto dauno, al Presidente Enrico Sannoner e al Direttore Francesco Di Lernia, che hanno accolto e avallato con entusiasmo l’organizzazione di questo importante evento foggiano. Antonio Caroccia e Augusta Dall’Arche
Genesi di un musicista: la formazione musicale e le sue storie ISBN 978–88–548–5707–0 DOI 10.4399/97888548–5707–04 pag. 15–48 (novembre 2012)
Tecniche autobiografiche nella formazione strumentale A D’A
L’argomento del mio intervento riguarda la storia dell’esperienza di ricerca, promossa dal Dipartimento per la Ricerca Musicologica ed Etnomusicologica del Conservatorio Umberto Giordano, ‘L’autobiografia cognitiva nella formazione strumentale’. Illustrerò pertanto il lavoro svolto nell’ambito del corso, inserito tra le attività a scelta dei piani di studio dei Trienni e dei Bienni attivi presso il Conservatorio, denominato ‘Tecniche autobiografiche nella formazione strumentale’, svoltosi durante l’Anno Accademico – . Per introdurre e chiarire l’ambito all’interno del quale ho elaborato il protocollo di ricerca, procederò ad una breve disamina dei termini utilizzati nella denominazione del corso, che coincide con il titolo della mia relazione. Il termine ‘tecniche’ vuole in questo caso designare le modalità attraverso le quali il racconto autobiografico si è sviluppato: l’oralità e la scrittura. Gli studenti hanno infatti sperimentato e vissuto in classe il rapporto col tempo condiviso, rispettoso delle esigenze dell’istituzione e degli altri proprio dell’oralità e, negli spazi domestici e personali, il rapporto col tempo interiore, autoriflessivo e rielaborativo della scrittura. Penso sia importante arginare, per quanto possibile, il senso comunque immanente dell’incertezza nel transito autobiografico: parlare di sé confrontandosi con le storie altrui significa già scontornare territori determinati della propria esistenza, preparandosi alla definizione (provvisoria anch’essa) della scrittura di sé nella quale divenire « l’occhio attento che guarda, cerca di ordinare, di connettere e dare senso a quel materiale magmatico che si scopre denso di significati
Augusta Dall’Arche
ancora opachi ». Il termine ‘autobiografiche’ fa naturalmente riferimento ai ricordi e alla memoria della propria storia personale. Ricordi, sempre in debito con la loro provenienza esperienziale, ‘ostaggio’ della memoria che li disperde, li indebolisce, li contamina con altro materiale mnestico intrecciandoli e riscrivendoli come in un palinsesto; memoria semantica che non soltanto ritiene ed accumula dati ma, facendo riferimento ad una mente vivace e curiosa, esplora, cerca indizi , attribuisce significati e genera qualcosa che prima non c’era. Nella narrazione autobiografica, il narratore si assume nel presente l’impegno di raccontare la storia di un personaggio che porta il suo nome; il linguaggio e le scelte linguistiche fanno capire che il personaggio cui fa riferimento è esistito nel passato. Quando la storia termina ci si ritrova nel presente, dove personaggio e narratore sono diventati la stessa persona e si fondono all’interno di un unico punto di vista. L’autobiografia assume quindi diverse prospettive temporali e narrative nel processo della bi–locazione cognitiva che permette di operare sulla realtà scomponendola, distinguendo diversi punti di vista: io–tu, ora–allora, dentro–fuori, fantasia–realtà. Nell’ambito formativo la proposta educativa autobiografica vuole connettere scuola e vita, « favorendo l’autoformazione ed un percorso per imparare ad apprendere pensando a sé, pensandosi nel mondo », l’assunto di partenza è ‘solo tu conosci ciò che ti riguarda’. Promuove la conoscenza e la consapevolezza dell’identità, sintesi di istanze contraddittorie: somiglianza–differenza, appartenenza–unicità, permanenza–cambiamento, adeguamento al mondo–senso della persistenza personale, crocevia tra ciò che si è, ciò a cui si aspira e relazione col mondo. Il sé definisce la storia autobiografica ma nello stesso tempo quest’ultima definisce il sé. Il pensiero autobiografico consiste in « una riflessione, una sospensione dell’esperienza per interrogarla, una meditazione poco distante (ma non troppo lontana) dall’immediatezza della vita ». Genera autoriflessività e sviluppa il pensiero narrativo (creare connessioni, costruire storie, emancipare . . . .
D. O, R. S, G. S, Raccontarsi a scuola, Carocci, Roma , p. . Cfr. Ivi, p. . Ivi, p. . Ivi, p. .
Tecniche autobiografiche nella formazione strumentale
le particolarità tenendo conto dei contesti), spesso lasciato ai margini del processo formativo a scapito del pensiero paradigmatico (stabilire gerarchie, definire leggi, generalizzare superando le contingenze), favorendo processi di integrazione tra queste due forme di pensiero. L’insegnante, nel percorso autobiografico, promuove un ascolto attivo, interessato e non giudicante che assecondi la ricerca di una « competenza del vivere », rimane in attesa e si lascia coinvolgere nelle trasformazioni che non sono quasi mai prevedibili e non devono essere valutate e verificate secondo gli standard ‘scolastici’; sa quindi sostare nell’incertezza. Si può affermare che si è nell’ambito educativo autobiografico quando si sollecitano l’autoascolto e l’incontro col proprio sé promuovendo processi introspettivi, retrospettivi, narrativi all’interno di spazi e tempi predisposti; quando si portano le emozioni in scena come ‘investimento formativo’. La formazione strumentale ha come fine lo sviluppo delle capacità esecutivo–interpretative attraverso l’acquisizione delle abilità tecnico– strumentali. Ascoltando frammenti di interpretazioni diverse dello stesso testo musicale, si colgono differenze anche notevoli nell’andamento, nel fraseggio, nelle dinamiche, nelle caratteristiche timbriche, nell’articolazione dei suoni, nella concezione per così dire ‘archittetonica’ del brano. Le scelte interpretative infatti costituiscono una sintesi tra tempo musicale e tempo personale dell’esecutore, inteso come equilibrio momentaneo della propria storia col tempo; l’interprete quindi ri–crea e ‘ferma’, durante la sua performance, diverse storie: del compositore, del pubblico, di sé stesso, ‘piegando’ il senso dell’opera e proponendone quindi una lettura che è inevitabilmente intrisa di soggettività. Egli realizza il proprio progetto interpretativo che si nutre certamente di conoscenze storico–stilistiche relative all’opera, ma si confronta anche con le proprie emozioni, con la propria sensibilità, col proprio intuito, corpus di impulsi spesso ‘subiti’ perché poco scandagliati, non conosciuti e non riconosciuti perché ritenuti una minaccia per il conseguimento dell’obiettivo finale: l’esecuzione ‘perfetta’, ‘sterilizzata’. In realtà l’espressione artistica è sempre espressione dell’animo umano e ritengo che approfondire la conoscenza di sé attraverso la riflessione introspettiva e retrospettiva possa costituire un momento di crescita artistica mettendo a fuoco realtà, possibilità, . Ivi, p. .
Augusta Dall’Arche
limiti soggettivi per farli interagire più consapevolmente, nel nostro caso, col progetto interpretativo del testo musicale.
. La ricerca: premesse Negli anni precedenti avevo già proposto esperienze di carattere autobiografico nell’ambito dei corsi di ‘Metodologia generale dell’insegnamento strumentale’ attivati in occasione dei Bienni Abilitanti per la Formazione dei Docenti di Strumento nelle Scuole Secondarie di Primo Grado. Si trattava di percorsi finalizzati alla sensibilizzazione dei futuri insegnanti circa la valenza formativa dell’approccio autobiografico attraverso l’esperienza in prima persona. Conservo un ricordo pieno e commosso di quei percorsi a conclusione dei quali non ci soffermammo a riflettere sulle tracce (e sulle cicatrici) che avevano lasciato o provocato, troppo presi forse dalla bellezza dell’esperienza in sé. Avevamo comunque sperimentato la prorompente forza delle istanze esistenziali, l’irrompere della centralità dell’Io in un percorso formativo come quello proposto all’interno del Conservatorio che, se da una parte si pone come finalità dichiarata proprio la maturazione delle capacità interpretative individuali, d’altra parte si preoccupa forse troppo poco di conoscere e com–prendere le diverse soggettività. Durante questo Anno Accademico ho voluto quindi riproporre itinerari autobiografici cercando eventuali risposte alla domanda: “A seguito della ricostruzione autobiografica della propria storia di strumentista, è possibile verificare trasformazioni relative alle modalità di apprendere e di relazionarsi a sé stessi e agli altri?”. L’atteggiamento di ricerca ha accompagnato tutti i momenti del processo e il processo stesso, intriso di complessità, è stato sempre considerato parte integrante dell’azione di ricerca, contrassegnata da alcuni aspetti generali: la definizione dell’obiettivo situazionale e specifico volto al confronto e alla interazione con problematicità pratiche; la scelta del campione, ristretto e non rappresentativo; il controllo ridotto sulle variabili indipendenti; il basso livello di generabilità dei risultati. Ritengo che questa prima attuazione possa essere considerata una ‘ricerca sulla ricerca’, una fase nella quale è prevalso un mio atteggiamento di osservazione, un collocarmi nell’esperienza ed accanto ad essa, per elaborare nel
Tecniche autobiografiche nella formazione strumentale
tempo modalità sempre più efficaci di scoperta e com–prensione dei percorsi di riflessione autobiografica. Partendo da questi presupposti ho proposto un percorso autobiografico ad un gruppo di sette studenti frequentanti i corsi di laurea di primo e secondo livello presso il Conservatorio Umberto Giordano di Foggia. Il campione risultava così composto: iscritto al Biennio di Chitarra Jazz iscritto al Triennio di Didattica della musica e dello strumento (in possesso del Diploma di Percussioni) iscritto al Triennio di Didattica della musica e dello strumento (iscritto al sesto anno del corso di Pianoforte) iscritto al Triennio di Pianoforte Jazz iscritto al Triennio di Violino (Discipline Musicali) iscritto al Triennio di Corno (Discipline Musicali) iscritto al Triennio di Contrabbasso (Discipline Musicali). L’età dei partecipanti (compresa tra i venti e i quarantanove anni) ha costituito un elemento interessante nella riflessione sui dati raccolti. Gli studenti in età più avanzata, infatti, stavano vivendo l’esperienza formativa come una ‘riconquista’ del proprio percorso dopo pause più o meno lunghe, determinate da scelte di vita o da esigenze lavorative. . Prima fase: definire l’ambito autobiografico Durante il primo incontro, ho consegnato il seguente schema, invitando ciascun partecipante ad elaborare una propria definizione di autobiografia, per confrontare successivamente le diverse risposte ed elaborare una definizione condivisa. Ho sintetizzato e a volte ‘spudoratamente’ citato alcuni passaggi estrapolati dagli illuminanti testi di Duccio Demetrio riportati in bibliografia. Sostantivi riferiti all’autobiografia V: successione temporale di fatti, eventi, avvenimenti (verbo di riferimento: vivere) E: attribuzione di significati agli eventi della vita (verbo di riferimento: essere) I: insieme di tratti psicofisici che definiscono il soggetto S: prodotto dell’Io e dell’interazione socio–ambientale P: insieme dei tratti caratteriali propri di un soggetto
Augusta Dall’Arche
P: insieme di eventi ormai superati temporalmente ma che hanno lasciato tracce in ordine alla loro elaborazione P: risultato della elaborazione delle esperienze passate F: elaborazione del presente nella prospettiva della possibilità M: riferimento ad una persistenza, ad una realtà in qualche modo intatta e continua R, A, R: capacità di recuperare qualcosa che si possedeva un tempo e che è stato dimenticato I: insieme delle rappresentazioni e dei sentimenti che un soggetto ha di sé stesso; dimensione psichica che permette di realizzarsi, di diventare e restare sé stessi in relazione agli altri in una data società e cultura. Tratti costitutivi dell’identità: Continuità Coerenza Unicità Diversità Cambiamento Positività
permette di sentirsi somiglianti a sé stessi nel corso del tempo rileva la congruenza della rappresentazione che ognuno ha di sé con quella che ne hanno gli altri definisce l’originalità con la quale ciascuno si percepisce definisce la molteplicità delle caratteristiche che il sé sente proprie offre al soggetto in azione la possibilità di trasformazione nella continuità mantiene l’autostima necessaria per progredire nella costruzione dell’identità.
Verbi riferiti all’autobiografia R: recuperare passaggi apicali delle esperienze vissute, anche in relazione alla dimensione emotiva R: rimettere insieme le diverse componenti (membra) dei ricordi R: ritrovare esperienze che si credevano perdute R: individuare, nel flusso dei ricordi, quelli a cui si attribuiscono effetti sul proprio apprendimento R: riferire avvenimenti N: raccontare, esporre un fatto o una serie di fatti, reali o fantastici, seguendo un determinato ordine nella rievocazione e nella ricerca delle cause Elabora una tua definizione di autobiografia selezionando, tra quelle elencate, le parole che ti sembrano più efficaci o utilizzandone altre.
Le definizioni elaborate singolarmente sono risultate interessanti perché hanno identificato, oltre alla prospettiva temporale, altri due aspetti rilevanti: l’attribuzione di significati (« l’autobiografia deve indurre in chi legge le motivazioni dell’identità del redattore ») e il perenne senso del divenire (« quando riviviamo e/o rimembriamo una certa situazione lo facciamo con un bagaglio personale, culturale e sentimentale del tutto nuovo, in una prospettiva, quindi, in continua evoluzione »; « il cambiamento è la mia definizione di autobiografia, in quanto le esperienze maturate nel corso della propria vita scaturiscono da una trasformazione della propria esistenza in relazione a sé stessi ed agli altri »).
Tecniche autobiografiche nella formazione strumentale
. Seconda fase: punti di partenza Ho richiesto la compilazione del questionario preliminare che riporto di seguito per documentare il punto di partenza di ciascuno relativamente agli ambiti cognitivo e relazionale e per poter mettere in relazione le eventuali trasformazioni a conclusione del percorso. QUESTIONARIO PRELIMINARE Nome e cognome ........................................................................................................... Età ................................................................................................................................... Corso di studi .................................................................................................................. Anno di corso .................................................................................................................. Diploma di Scuola Media Superiore ............................................................................... AMBITO COGNITIVO Modalità di apprendimento — Rielaborazione personale dei contenuti . Quando impari qualcosa di nuovo cerchi di personalizzarlo? In che modo? . Quando ti viene imposta l’acquisizione di contenuti che non ti interessano immediatamente, cerchi di adattare le tue esigenze formative in funzione di essi o ti rassegni ad uno studio “passivo”? . Quante volte ti è capitato di mettere consapevolmente in relazione i cambiamenti determinati da nuovi apprendimenti con cambiamenti importanti della tua vita? Come? Racconta qualche esempio. — Strategie, metodo di studio . Descrivi brevemente il tuo metodo di studio e le strategie che metti in atto per acquisire nuovi contenuti. . Descrivi brevemente il tuo metodo di studio per l’acquisizione delle abilità strumentali. . Quali pensi siano le tue maggiori difficoltà nell’apprendimento? — Stile attributivo . In generale, quando ti capita di riportare valutazioni non positive a prove di verifica, a chi o a cosa attribuisci il risultato? Percorsi formativi, curiosità, interessi, preferenze culturali — Percorsi formativi . In quale percentuale le tue scelte scolastiche sono state determinate dalle tue attitudini, dai tuoi desideri piuttosto che dai consigli altrui? . E altre scelte formative (corsi, seminari, stage, laboratori. . . )? . Hai qualche rimpianto o sostanzialmente ti ritieni comunque soddisfatto del tuo percorso di formazione? — Curiosità, interessi . In quale percentuale curiosità o interessi culturali sono stati determinati dai percorsi scolastici piuttosto che da vicende personali, incontri casuali. . . ? . In quali occasioni vicende personali, incontri o scoperte casuali hanno determinato curiosità culturali? Racconta qualche esempio.
Augusta Dall’Arche
— Preferenze culturali . Quale tipologia di letture prediligi? . Quando ti capita di leggere testi narrativi e/o romanzi, sei attratto dagli aspetti biografici e introspettivi o da altri aspetti? Quali? . Quale tipologia di film prediligi? . Sei particolarmente attratto dagli aspetti biografici e introspettivi o ne preferisci altri? Quali? — Fruizione estetica . Ti interessa leggere interviste ad artisti famosi (compositori, interpreti, artisti. . . )? Perché? . Ti interessano le biografie degli artisti? . Ti interessa conoscere e approfondire il rapporto tra le vicende esistenziali del compositore e le caratteristiche dei brani che suoni? Capacità strumentali — Ambito esecutivo–interpretativo . Quando suoni, in che percentuale tieni conto della tua identità, delle tue personali scelte interpretative rispetto ai consigli dell’insegnante e agli stimoli provenienti dall’ascolto di altri interpreti? . Esprimi il tuo punto di vista interpretativo e/o focalizzi le tue riflessioni prevalentemente durante la lezione di strumento o durante il tuo studio a casa? . In quale percentuale concorrono alla definizione/elaborazione della tua interpretazione di un brano: a. i consigli dell’insegnante, b. l’approfondimento culturale, c. le tue intuizioni, la tua personale sintesi di stimoli diversi. — Capacità strumentali e vissuto . Quale valore attribuisci al tuo percorso di formazione strumentale? a) è un percorso professionalizzante b) è un percorso culturale come altri, indipendente dalle mie future scelte professionali c) è un percorso che mi permette di conoscere, approfondire e migliorare alcuni aspetti della mia personalità che riporto anche in altre esperienze di vita d) altro. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Ti è capitato di riflettere sulla capacità che hanno i suoni che produci di sortire effetti sul tuo assetto psicofisico? Puoi riportare qualche esempio? . Ti capita di eseguire liberamente brani per sortire un determinato effetto sul tuo corpo e/o sulla mente (rilassare, lenire stati d’animo, ristabilire energie. . . ). AMBITO RELAZIONALE Rapporto con gli altri — Empatia . Pensi che ‘mettersi nei panni dell’altro’ possa migliorare la qualità dei rapporti? Come? . Ritieni di possedere qualità empatiche? — Dinamiche relazionali . Pensi che gli aspetti più appariscenti e/o i comportamenti di una persona siano sostanzialmente sufficienti per cogliere la sua identità?
Tecniche autobiografiche nella formazione strumentale
. Quali strategie comunicative metti in atto in genere per approfondire la conoscenza di una persona? Quali sono le domande–tipo che ti fanno ‘capire con chi hai a che fare’? Rapporto con sé stessi — Conoscersi . Quali aspetti della tua personalità pensi di nascondere/rivelare, accettare/ignorare? Pensi di convivere consapevolmente e in maniera positiva con tutti questi aspetti? . Quali modalità prediligi nel tuo lavoro di introspezione? — Modificarsi . Ti è capitato di dover modificare consapevolmente qualche aspetto della tua personalità? . Quale modalità hai utilizzato? Quale non hai utilizzato ma pensi possa essere efficace? Ascolto — Altri . Nella gestione dei conflitti in genere ascolti le ragioni degli altri prima di esprimere le tue? . Riesci ad ascoltare le ragioni degli altri accettando che possano modificare le tue? — Sé . Pensi di ascoltare abbastanza te stesso? Ti capita di affidare alla scrittura le tue confidenze, i tuoi pensieri, le tue riflessioni? — Elabora una metafora che esprima il tuo attuale rapporto con l’apprendimento di nuove conoscenze — Elabora una metafora che esprima il tuo attuale rapporto con gli altri.
I dati scaturiti dalla compilazione del questionario hanno delineato una situazione sostanzialmente omogenea riguardo alla rielaborazione dei contenuti (in tutti c’è una tendenza ad armonizzare i contenuti ‘interessanti’ con il proprio percorso formativo; prevale il senso di ‘rassegnazione ad uno studio passivo’ dei contenuti ritenuti non immediatamente interessanti), alle strategie di studio (prevale il meccanismo tradizionale della ripetizione incessante fino alla ‘conquista’ dell’acquisizione del dato o del superamento delle difficoltà tecnico–esecutive sullo strumento; le cause delle difficoltà nell’apprendimento vengono identificate con la scarsa capacità di attenzione, concentrazione e. . . pazienza) e allo stile attributivo (gli eventuali ‘insuccessi’ vengono attribuiti allo studio non adeguato o insufficiente). Interessante sottolineare quanto le identità culturali vengano influenzate dagli stimoli extrascolastici; in alcuni casi sembra che la vita culturale viaggi quasi parallelamente alla identità scolastica, territorio del ‘dovere formativo istituzionale’.
Augusta Dall’Arche
Non è emerso in generale un particolare interesse per gli aspetti biografici nelle preferenze di tipo letterario o cinematografico, mentre la conoscenza delle biografie dei grandi compositori viene considerata un’occasione per « comprenderne appieno il pensiero ». Le risposte alla domanda n. hanno definito la percentuale riferita alle proprie scelte interpretative facendola rientrare nel range /%. Alla domanda più specifica riguardante il ‘progetto interpretativo’ (n. ) le percentuali relative all’importanza delle personali intuizioni rispetto ai consigli dell’insegnante e all’approfondimento culturale, erano comprese tra il e il %. Le risposte alle domande n. e hanno sottolineato differenti modalità di vivere l’esperienza di formazione strumentale. Gli studenti più ‘anziani’, per i quali la frequenza in Conservatorio costituisce una riconquista ‘del tempo perduto’, vivono l’esperienza di produzione sonora in maniera più immediatamente connessa con le proprie emozioni, attribuendole in qualche caso capacità di trasformazione di stati d’animo: « dopo una situazione di disagio, ira o calo di morale, i suoni sono un toccasana »; « spesso imbraccio la chitarra e butto giù note, una sorta di liberazione della giornata; è un suonare istintivo che poi confluisce nella ragione ». Gli studenti più giovani sembra invece che siano piuttosto ‘ingabbiati’ nel ruolo di allievi preoccupati fondamentalmente di ‘studiare’: « In passato mi capitava più spesso di eseguire liberamente brani, ora non più, perché non ho molto tempo libero a disposizione ». I dati scaturiti dalle risposte relative all’ambito relazionale hanno in generale descritto un panorama contrassegnato dalla tendenza ad ascoltare gli altri e da un profondo atteggiamento empatico. Alla domanda un solo studente ha ammesso di aver affidato alla scrittura i propri pensieri, sotto forma di diario personale, durante l’età dell’adolescenza. Riporto alcune metafore relative al rapporto con l’apprendimento di nuove conoscenze: « Attesa e inaspettata corsa a piedi nudi », « Sono un fiume che percorre il suo alveo e incontra sempre nuovi paesaggi », « Vento che entra un po’ ovunque, ma subito va via e qualche volta è immobile e non arriva, ma cambia e torna indietro ». Mi sembra interessante notare come le immagini evocate si riferiscano al movimento e al cambiamento (corsa, fiume che scorre, vento che soffia), testimoniando una concezione dell’apprendimen-
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to non stereotipata, legata ad un senso del divenire e sottoposta a continue trasformazioni. Anche le metafore relative al rapporto con gli altri denotano una certa consapevolezza della continua evoluzione degli equilibri relazionali: « Combattuta frenesia di manifestare un mondo sconosciuto », « Un muretto di mattoncini leggeri, che pian piano si sgretola sempre più », « Volo in alto, qualche volta mi fermo su di un albero, qualche volta scendo a terra, mi rimetto a volare e ridiscendo. Soltanto toccando terra riesco a volare ».
. Terza fase: raccontare il passato Il seguente questionario ha costituito l’impalcatura del percorso autobiografico di ciascuno. Per ogni momento o ambito ho formulato tre diversi tipi di domande: quelle contrassegnate dal segno “ – “ si riferiscono in generale alla ricostruzione di fatti, avvenimenti, situazioni; il contrassegno “ + “ caratterizza le domande tese a stimolare riflessioni sugli eventi descritti; il segno “=“ distingue invece le domande relative al dominio della possibilità, della eventuale ricaduta in ambito didattico delle riflessioni sulle proprie esperienze. Ho deciso di inserire quest’ultima tipologia di domande, benché i componenti del gruppo non fossero iscritti (tranne due eccezioni) a corsi di formazione per docenti, per acquisire utili suggerimenti da parte di chi vive comunque la relazione educativa nel ruolo di studente. Come già accennato precedentemente, la metodologia autobiografica si è sviluppata attraverso il racconto orale durante gli incontri in classe e attraverso la scrittura. Il questionario ha avuto la funzione di stimolo non vincolante; gli elaborati prodotti hanno assunto infatti diverse forme, dal racconto con continui rimandi temporali non organizzati cronologicamente, alla compilazione puntuale delle risposte, al reportage–intervista. Riporto di seguito il testo del questionario ‘contrappuntandolo’ con stralci estrapolati dai testi redatti dagli studenti, nella convinzione che queste testimonianze sono in grado di esprimere la ricchezza, l’intensità e l’atmosfera emotiva del percorso svolto.
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. Scelta dello strumento musicale – Eventi marcatori – Persone determinanti – Decisione autoregolata/eteroregolata + Nella maturazione della tua scelta, quanto ritieni ci sia stato di mitico (consapevole) e quanto di fatale (casuale)? = Come pensi sia possibile agire sui contesti per far maturare nei ragazzi la scelta dello studio di uno strumento musicale? La scelta dello strumento musicale, per me, è arrivata davvero in modo del tutto casuale, con una serie di coincidenze e di eventi che mi hanno spinto alla decisione finale. Premetto che non avevo interesse per la musica classica e per nessuno strumento musicale, anche perché i miei interessi erano altri: infatti ho praticato il nuoto per moltissimi anni, e questa era la mia passione, prima di iniziare a provare interesse per il pianoforte. L’evento principale, quello cioè che è stato il più importante nella scelta, è stato sicuramente il regalo che i miei zii fecero a mio fratello quando aveva cinque anni: gli regalarono per il suo compleanno una tastiera giocattolo, molto piccola, con estensione di appena due ottave: insomma, una tastiera in versione giocattolo per bambini. Può sembrare che questo evento non mi riguardi personalmente, ma non è così: mio fratello non si mostrò mai interessato ed incuriosito da questo regalo (tranne nel momento in cui lo scartò); viceversa, io, che avevo circa otto anni, fui molto incuriosita da questo giocattolo. Lo guardavo, lo studiavo, lo esploravo di continuo, incuriosita al massimo dal suo funzionamento e dai suoi meccanismi. Ricordo bene il sig. Saracino, padre di un mio amico, che mi insegnò a anni i primi rudimenti della chitarra. Era un uomo semplice che amava suonare la chitarra folk (la ricordo ancora di colore sfumato) e dava lezioni di strumento a me e ad altri miei compagni di classe. Ci riunivamo nella sua cucina, seduti attorno al tavolo rotondo; il maestro di fronte a noi, con la chitarra in braccio, mostrava le posizioni degli accordi e le segnava su dei fogli che portavamo a casa, per ripeterle. Dovrei conservare ancora qualcosa del genere con la sua scrittura. La lunga tradizione della banda del paese ha sicuramente influito sulla mia decisione di studiare musica fin dalla tenera età. Quando ero ancora piccolo, infatti, il maestro della banda chiese a mio padre se gli avesse fatto piacere che io studiassi musica per poi inserirmi nel gruppo. Nonostante la giovanissima età, non ebbi alcun indugio; ricordo che accettai immediatamente senza dare tempo a mio padre di terminare la domanda. Ero affascinato dai racconti entusiasti dei ragazzi più grandi su quel mondo fatto di divertimento e amicizia.
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Ho sentito molte volte mia madre raccontare di quel giorno di tanti anni fa, quando piccolissima annunciai con solenne entusiasmo ai miei genitori, di voler suonare il ‘violetto’. Avevo circa sei anni quando presi per la prima volta in mano un violino, ma della mia primissima lezione non ricordo assolutamente nulla. Rinunciai all’idea di imparare a suonare lo strumento, vittima del fascino esercitato su di me dallo Zecchino d’Oro, al quale non avrei mai voluto rinunciare. Anche degli anni seguenti ricordo poco: una casa dall’aspetto antico con alcune porte sempre chiuse; la carta da parati pesante; l’ombra diffusa. . . E le stanze dove si svolgevano le mie lezioni: una camera con due letti e un pianoforte a muro, e un piccolo studio dove disegnavo chiavi di violino e note colorate. Ricordo che il mio primo vero strumento è stato il mandolino che mio nonno mi faceva strimpellare all’età di anni. Durante la scuola media iniziai a suonare il flauto, per il quale ero molto portato. Un giorno, durante il terzo anno, la professoressa di musica si ammalò e fu sostituita da un altro professore. Questi portò con sé uno strano strumento. Sembrava una chitarra elettrica con quattro corde. Era la prima volta che vedevo il basso elettrico. Rimasi affascinato dal suo suono oscuro, tenebroso. All’età di anni comprai una chitarra classica. Mi piaceva come strumento ma non era quello che desideravo realmente. Infatti il mio sogno era quello di imparare a suonare il basso elettrico. Non so come mi sia innamorato letteralmente di questo strumento, ma so che era la cosa che più desideravo. Dopo aver lavorato durante le vacanze estive e aver giocato a calcio in una squadra di dilettanti, misi da parte un po’ di soldini che mi permisero di acquistare il tanto desiderato strumento, dando la chitarra classica in permuta al negoziante senza alcun rimpianto. Ero molto felice. Quella notte non dormii; guardavo sempre il basso elettrico che avevo in cameretta. Non vedevo l’ora che arrivasse il mattino seguente per poterlo suonare. Ricordo che non sapevo fare nulla, solo qualche pezzo di Pino Daniele ad orecchio. Questo non mi scoraggiava, perché sapevo che avrei dovuto prendere lezioni per imparare a suonare.
. Primo approccio con lo strumento – Descrizione della situazione – Emozioni suscitate – Valutazione + Quali tracce ha lasciato quell’esperienza? Pensi ti abbia in qualche modo limitato, avvantaggiato, stimolato. . . ? = Quali aspetti del tuo primo approccio con lo strumento pensi sarebbe opportuno riproporre in ambito didattico? Quali ritieni sia
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meglio evitare? Perché? Ricordo in modo molto nitido la mia prima lezione di strumento, un insieme di stati d’animo che difficilmente si possono dimenticare. Anche se sono passati molti anni, rammento che ero tesissima e molto impaurita per quello che dovevo affrontare, e certamente il primo impatto con il luogo in cui si sarebbe svolta la lezione non mi aiutava. Era un locale nel centro storico della mia città, a piano terra, con il soffitto altissimo e a vòlte: un ambiente immenso e del tutto spoglio, visto che il mio maestro si era trasferito lì da poco. L’unica cosa che riempiva l’enorme stanza era il pianoforte, l’estraneo che tanto mi affascinava e che avrei dovuto conoscere quel giorno. Le mie emozioni sono ancora oggi difficili da descrivere, probabilmente non ne ho mai vissute così tante e così diverse insieme: gioia, meraviglia, ma nello stesso tempo terrore, paura, ansia. Quel giorno mi accompagnarono i miei genitori e sinceramente ricordo in modo molto forte il mio desiderio di non essere lasciata lì da sola, tanta era la mia ansia. Ben presto mi accorsi che non c’era motivo di essere così terrorizzata, perché il maestro mi mise subito a mio agio, mi trattò in modo molto paterno; infatti instaurò presto con me un rapporto amichevole. La lezione, passata la paura iniziale, si svolse tranquillamente. Ad una prima conoscenza dello strumento, dei suoi timbri e delle sue intensità, seguì l’esecuzione, da parte dell’insegnante, di brani di repertorio: un Notturno di Chopin e poi una Fuga di Bach, per farmi capire quanto il pianoforte potesse ben prestarsi a generi e stili compositivi diversi, oltre che tradurre la ricchezza di sentimenti e sensazioni propria di ciascun brano. Il mio interesse per il pianoforte, che era nato appena alcuni giorni prima, si confermò e consolidò in quel momento. Ricordo il primo giorno che andai dal maestro; mi accompagnò mio padre, perché io non conoscevo la strada. Entrai in un garage da una porta di ferro di cui era aperta solo un’anta; dopo averlo percorso per pochi metri aprii una porta di legno ritrovandomi così in un altro ambiente. Era una stanza non molto grande con nel mezzo una scrivania, sulla quale erano poggiati spartiti e libri; davanti ad essa c’era una panca, piena di partiture, che costeggiava tutto il muro di fronte; c’erano tre o quattro leggii aperti tra la panca e la scrivania, due sgabelli di legno e un paio di sedie. . . Ricordo tanti strumenti musicali appoggiati su armadietti in ferro che circondavano la scrivania tutt’intorno e che terminavano con un pianoforte a muro di colore bordò con delle sfumature nere, vicino alla porta da cui ero entrato. L’unica parete visibile era ricoperta di listelli di legno interrotti soltanto da una finestra e da una porta che dava sul giardino. Sulla parete c’erano foto di tutti i tipi: della famiglia del maestro, della banda, dei singoli componenti della banda, di bande che il maestro aveva diretto in altre parti del mondo. . . Era un ambiente molto accogliente, insomma, ed era molto piacevole stare lì. Certo la mia timidezza si
Tecniche autobiografiche nella formazione strumentale faceva sentire, ma mi ambientai subito. La prima volta mio padre mi accompagnò per farmi conoscere la strada e fare conoscenza con il maestro; solo in seguito iniziai a prendere lezioni. Ci andavo con mio fratello e un mio compagno vicino di casa. Studiare in quell’ambiente certamente era piacevole e stimolante, anche perché il maestro difficilmente ci sgridava; il più delle volte ci incitava offrendoci cioccolatini e caramelle di ogni tipo. Finita l’estate, dietro consiglio di un amico, mi iscrissi ai corsi di solfeggio e tecnica dello strumento organizzati presso la sede di un’associazione musicale. L’ambiente era formato da un grande box diviso in tre piccole stanze: c’era la stanza dove si studiava chitarra, basso e pianoforte, l’aula delle percussioni e l’aula di solfeggio. Mi furono assegnati gli insegnanti di solfeggio e di strumento. Il docente di strumento, che era molto giovane, per problemi di lavoro, si trasferì in un’altra città e pertanto io riuscii a seguire solo due sue lezioni. Ero un po’ turbato, anche perché non sapevo chi sarebbe stato il suo sostituto. Finalmente,dopo un paio di settimane, incontrai il nuovo insegnante. Lo conoscevo di nome e sapevo che a Foggia era il ‘top’ e che era molto esigente con i suoi allievi: il mio timore aumentava. Il primo giorno di lezione vidi arrivare un uomo alto, capelli lunghi, cappotto di pelle lungo e sigaro in bocca. Non aveva un bell’aspetto. Sembrava il solito musicista stravagante e snob. Entrammo nell’aula dove si presentò; eravamo tre allievi, tutti alle prime armi. Come presentazione fu abbastanza ‘forte’, infatti il maestro fu chiaro dal primo momento: ”Chi non studia e non si impegna è da considerare fuori dal gruppo”. Ricordo che durante la giornata pensavo sempre a quelle parole e iniziavo a riconsiderare la scelta di quella scuola. Volevo quasi cambiare maestro, ma l’amore per lo strumento mi spinse a non mollare. La settimana seguente, alla seconda lezione, c’ero solo io: gli altri due allievi si erano ritirati, forse perché spaventati dalla determinazione del nuovo insegnante. La lezione durò un paio di ore, ma più che una lezione fu un modo per conoscerci. Il maestro era contento che io non sapessi suonare niente poiché, secondo lui, era meglio iniziare da zero perché lui potesse seguire passo per passo la mia formazione. Questa cosa mi stimolò ancora di più. Giorno dopo giorno le lezioni diventavano sempre più interessanti: il maestro che avevo di fronte sembrava tutt’altra persona, sempre disponibile, amichevole e nello stesso tempo serio e professionale. Quando non studiavo, mi richiamava usando modi lontani dalla severità con la quale aveva esordito. Intorno a me vedevo tutto positivo. Pensavo ad un futuro da bassista in qualche gruppo rock, a tournèe e concerti in piazza. Del mio primo approccio ho dei magnifici ricordi: il clima emotivo era dei migliori, il luogo era di quelli che mettono a proprio agio. C’era un pianoforte lucidissimo, parecchio ordine in giro, un gradevole profumo di fiori dovuto alla presenza di numerosi vasi di piante e un’insegnante a
Augusta Dall’Arche dir poco meravigliosa sia dal punto di vista dell’insegnamento (studiare era come giocare) sia come presenza fisica. In circa anni di lezioni, imparai tantissimo; assorbivo come una spugna. Posso quindi affermare che quell’approccio iniziale ha consolidato la mia passione verso la musica e soprattutto verso lo strumento. Lo stimolo che mi diede quell’esperienza fu pazzesco. Peccato che finì troppo presto. La scuola di musica è solo a qualche isolato da casa mia, perciò andai a piedi all’appuntamento e in quei pochi minuti di strada decisi di provare a immaginare il peggio per evitare brutte sorprese. Così nella mia testa prese forma l’immagine di una signora sulla quarantina, in tailleur (rigorosamente di un grigio noiosissimo), con piccoli occhialini sulla punta del naso e un’inquietante aria austera. Il risultato mi rese particolarmente soddisfatta: con quei presupposti, non ci sarebbero potuti essere traumi eccessivi. Non appena aprii la porta della scuola, le mie preoccupazioni si dimostrarono immediatamente inutili. Il maestro di pianoforte suonava un brano allegro accompagnato da un contrabbassista, mentre un’altra insegnante cantava e ballava insieme a quella che dedussi doveva essere la sua amica violinista, una ragazzina con la testa piena di riccioli, un paio di jeans larghi e una maglietta di Betty Boop. Niente di più distante dalla maestra severa che avevo immaginato. . . Quando il momento goliardico terminò, mi presentarono l’insegnante di violino, Emanuela, e ci lasciarono parlare per un po’. Ricordo perfettamente tutto quello che ci dicemmo, le sue precise parole riguardo ad un paio di argomenti, e la carica di entusiasmo con cui tornai a casa. A quel punto ero letteralmente galvanizzata e non vedevo l’ora di cominciare. Fu una delle settimane più lunghe della mia vita, ma finalmente arrivò il giorno della mia prima lezione di Violino. Era un venerdì pomeriggio e io avevo paura. Vincere la mia timidezza non fu affatto facile, perché gli elementi ostili da affrontare erano decisamente troppi: una nuova insegnante, due allieve ad assistere, il calore che continuava ostinatamente a concentrarsi sulla mia faccia, le nuove informazioni, gli errori. . . Ma Emanuela sapeva come mettermi a mio agio e ignorò per tutto il tempo le mie guance paonazze, nonostante io fossi ben poco collaborativa. Stava cercando di farmi suonare Summertime, ma la mia ansia da prestazione mi impediva di emettere suoni migliori di qualche pernacchia sofferente. Così mi fermò e mi disse sorridendo: “Sai cosa vuol dire Summertime? Vuol dire ‘estate’, non ‘la vita è uno strazio’. Prova solo a suonare pensando all’estate, non me ne frega niente degli errori”. Una frase e mi aveva conquistata. . . Solo qualche anno dopo mi ricordai di quella sera in cui una mia lezione di canto era stata interrotta da un’antipaticissima amica della mia insegnante. E di certo allora non avrei mai immaginato che la stessa persona mi avrebbe insegnato tutto quello che oggi so sul Violino, e ancora meno che sarebbe diventata una delle persone più significative della mia vita. . . Era il ottobre del .
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. Motivazione e obiettivi – Cosa o chi, nel tempo, ha alimentato la tua motivazione allo studio dello strumento? – Come si sono modificati i tuoi obiettivi come strumentista? + Pensi che siano più importanti le occasioni, l’ambiente o alcuni tratti caratteriali per tener viva la motivazione allo studio di uno strumento? = Quali strategie motivazionali pensi sarebbe giusto adottare in ambito didattico? (es. creare occasioni sempre nuove e diverse, suscitare confronti. . . ) = In che modo si potrebbero conoscere e verificare le motivazioni dei ragazzi? La trasformazione è sempre coincidente con un cambiamento, un’evoluzione; a volte anche un casuale evento la può innescare; basta poco che la scintilla si accenda facendo scaturire il desiderio di mettersi a studiare seriamente uno strumento musicale. Aver ascoltato, qualche anno fa, un chitarrista jazz dal vivo, ha fatto emergere in me la voglia di riprendere ad approfondire questo stupendo genere musicale. Poi le decisioni avvengono anche razionalizzando, mettendo sulla bilancia le proprie condizioni, i desideri e le aspettative, le ambizioni, le delusioni, la propria personalità e tutta una serie di fattori che determinano e condizionano la nostra esistenza. Penso che nessuno, nel tempo, sia stato incisivo nella mia motivazione allo studio dello strumento oltre me stessa; infatti ricordo che, fin dalle prime lezioni, ho sempre creduto in quello che facevo e questa mia convinzione non si è mai affievolita. Devo comunque ammettere che in tutti questi anni è stato fondamentale il supporto affettivo dei miei genitori, soprattutto nei momenti più delicati e difficili. All’inizio, mentre mi affacciavo al mondo della musica e conquistavo le mie prime soddisfazioni in questo ambito, sognavo una carriera da concertista, magari in giro per il mondo; penso che questo sia un sogno comune a chi resta affascinato dalla musica. In realtà i miei obiettivi come strumentista sono cambiati nel corso del tempo. La maturazione è avvenuta in maniera molto graduale ed in modo estremamente lento: ho cercato ovunque, in tutti questi anni, la mia ‘strada’ nella musica, capendo alla fine che la risposta era dentro di me e aspettava solo di essere compresa. Mi sono resa conto, infatti, della mia esigenza di imparare per poi essere in grado di insegnare: sono arrivata alla conclusione che, per completarmi come musicista e soprattutto come persona, devo trasmettere tutto quello che so. Ho intrapreso da meno di un anno, iscrivendomi al triennio di Didattica della Musica, la strada che mi permetterà di realizzare
Augusta Dall’Arche l’obiettivo che tanto desidero: formare ed educare. Penso di aver sviluppato una maturazione notevole dal punto di vista degli obiettivi da raggiungere e sono convinta che, ritenendomi una persona molto versatile, questi non siano immutabili e definiti del tutto. Sento sempre, dentro di me, l’esigenza di suonare la chitarra. Probabilmente si tratta di voler raggiungere uno stato di benessere attraverso la musica. Ultimamente credo di capire che proprio il suono, prodotto da me, riesce ad avere un potere taumaturgico. Un mio carissimo amico, da poco scomparso dal mondo terreno, diceva: “La musica è la mia terapia”. Concordo con questa breve frase che racchiude il mistero della musica. Da ragazzino ascoltavo molta musica, su tutti Fabrizio De Andrè e Bob Marley e sognavo un giorno di riuscire a suonare con loro. Mi immaginavo sul palco con Bob a tirare un assolo sulla Fender come faceva il suo chitarrista, o accompagnare Fabrizio in uno dei suoi concerti. Sogni ed immagini che mi hanno certamente dato la linfa necessaria per andare avanti con lo strumento. Ero nell’aula magna della facoltà di giurisprudenza a seguire diritto privato, seduta a terra a prendere appunti usando un ginocchio come banco. Troppi iscritti rispetto allo spazio a disposizione. Troppo brusio anche durante le spiegazioni. Troppo caos per riuscire a firmare. La rappresentazione perfetta di un posto dove una persona timida e devota al silenzio come me non vorrebbe mai capitare! Mi bastarono un paio di settimane per averne abbastanza; inoltre mi sentivo sempre più coinvolta dal favoloso mondo del Violino, col suo meraviglioso carico di novità, per cui studiare ‘diritti’ in tutte le salse non avrebbe mai potuto essere la mia priorità. In altri termini mi dedicavo all’università a tempo perso e quando ci capitavo mi sentivo irrimediabilmente fuori luogo. Quando i miei genitori se ne accorsero, cominciarono i problemi. Perché se per tredici anni di scuola si interpreta il ruolo dell’allieva modello, instancabilmente impegnata a collezionare voti alti, finita la scuola ci si aspetta risultati dello stesso calibro. Ma io volevo solo suonare e ogni minimo sforzo di incollare gli occhi ai libri veniva vanificato da eventi esterni inaspettati che mi coinvolgevano. L’apice di quella fase arrivò col Frikk. Era la prima band della mia vita; vi suonavano la mia insegnante e musicisti da cui avevo solo da imparare. Ero al settimo cielo e tra prove, concerti in giro e tempo dedicato allo studio dei brani, all’università non ci pensavo più. A quel punto i miei genitori, esasperati, tentarono di trovare dei rimedi: lunghi discorsi responsabilizzanti, condizioni, compromessi. E quando non bastavano i metodi delicati, provarono a passare al pugno di ferro. Paradossalmente questa fase complicata segnò un cambiamento. Fino a poco tempo prima avevo ignorato quella vocina dentro di me che continuava a ripetermi che la musica era l’unica strada, perché la cosa mi spaventava. Suonavo il Violino solo da un anno e sapevo di essere facile preda di nuovi entusiasmi, piccole fiammelle che puntualmente finivano
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per spegnersi al primo colpo di vento. Perciò non riuscivo a fare a meno di chiedermi se anche il Violino sarebbe caduto in disgrazia come tante altre passioni. Ecco perché avevo deciso di iscrivermi all’università: per lasciare aperta una seconda porta. . . Ma in quel momento così duro, mentre continuavo a ripetermi che prima o poi sarebbe passato, capii di aver commesso un errore. Era la musica la mia vita. Definirlo dentro di me costituì una nuova motivazione per impegnarmi al massimo e per gettarmi a capofitto in ogni esperienza possibile. Perciò al Frikk si aggiunsero i Nictalopia, i Nabukko, i Ritmatica e i South Symphony e di lì a breve se ne sarebbero aggiunti molti altri. Intanto, una mia amica cominciò a farmi scoprire la musica folk. Andavo ai suoi concerti, mi facevo prestare album, tentavo di suonare qualche brano. E ogni giorno ne rimanevo un po’ più stregata. E visto che cinque band non mi sembravano affatto sufficienti, decisi che dovevo avere un gruppo folk tutto mio.
. Crisi – Cause, aiuti esterni, auto–aiuto – Conseguenze positive/negative sia dal punto di vista musicale che personale + Pensi che le conseguenze delle tue crisi influenzino ancora il tuo presente? In che modo? = Quali modalità di indagine si potrebbero utilizzare per conoscere le cause e le conseguenze emotive, affettive e cognitive delle eventuali crisi degli allievi di strumento? = Chi pensi si potrebbe coinvolgere per aiutarli? I momenti di crisi sono tipici e sicuramente accomunano tutti i musicisti; come tale, anche io ho avuto i miei momenti di buio totale. Premetto che dei miei momenti di crisi non rammento molto e ciò che mi viene in mente sono solo dei ricordi piuttosto vaghi. Sicuramente è stato problematico l’ingresso nel mondo del conservatorio: non ricordo le cause del mio disagio, cioè non ho legato a quanto mi è accaduto emozioni particolari, però posso immaginare che il cambiamento di ambiente, di insegnante e soprattutto di metodo di studio abbia provocato momenti di difficoltà. Ricordo poi un vago senso di angoscia e di dubbio su cosa fare, se continuare facendo tanti sacrifici, sperando che questo periodo negativo passasse, oppure abbandonare tutto. So però per certo quello che mi è rimasto dopo la crisi: un senso di felicità per non aver abbandonato, e anche una maggiore consapevolezza che questo studio sia il più giusto e adatto a me.
Augusta Dall’Arche Come ogni essere umano che si rispetti, anch’io nel corso della mia esistenza ho attraversato momenti di crisi. Quella che reputo più significativa risale al periodo adolescenziale, ‘un classico’ si direbbe, ma tale da coinvolgere oltre la sfera psicologica anche quella musicale. A anni avrei voluto proseguire la frequenza del conservatorio contemporaneamente a quella della scuola superiore. Purtroppo, però, abbandonai gli studi musicali e questa fu una pessima scelta. La mia carriera scolastica, infatti, nonostante mi fossi iscritto alla facoltà di giurisprudenza, si è conclusa con un semplice diploma di maturità tecnica. Tuttavia quel periodo di crisi, se pur superato egregiamente, in qualche modo ha condizionato ed influenzato il mio futuro. Non in peggio, grazie al cielo, ma ho rischiato comunque di passarmela male e soprattutto di rimanere con un gran rimorso: aver lasciato gli studi musicali. Tra i e i anni abbandonai lo studio dello strumento perché lavoravo fuori città e non avevo tempo e stimoli. Ci fu un vero e profondo periodo di crisi dovuto al fatto che non potevo più esibirmi in pubblico e suonare con altri musicisti; questo sembrava allontanarmi dalla vita ‘vera’. La mia esistenza si divideva stancamente tra casa e lavoro. Per fortuna, i momenti di crisi si superano (nel mio caso quasi sempre senza nessun aiuto esterno) e si accettano come possibilità di fortificare il proprio carattere. Dopo i anni, infatti, vari eventi hanno concorso ad un ritorno ‘di passione’ verso lo strumento .Tra questi il progetto di sposarmi e creare una famiglia, la possibilità di iscrivermi al conservatorio all’età di anni, visto che esso, grazie alla nuova riforma, è adesso organizzato in corsi di laurea accessibili a persone di qualsiasi età. Credo che tutto ciò mi abbia ricaricato positivamente dando nuova linfa alle mie motivazioni.
. Famiglia – Ruolo di: sostegno, imposizione, indifferenza, apprezzamento, disprezzo. . . + Realizza un bilancio di questa interazione mettendo in relazione le iniziative della tua famiglia con le tue emozioni , reazioni, valutazioni. . . = Come pensi possa opportunamente interagire la famiglia con l’esperienza di studio, con l’intervento dell’insegnante, con le aspettative dell’istituzione scolastica? Nonostante i concerti, le serate e gli apprezzamenti, c’era un clima di indifferenza da parte dei miei familiari. L’importante era che mi diplomassi e che lavorassi; tutto il resto, per loro, era un hobby.
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E così la corte decise che da grande avrei fatto la musicista. Mi domando cosa provi un genitore nel dover assecondare le naturali inclinazioni di un figlio quando non corrispondono alle proprie aspettative. Immagino che non sia facile, eppure i miei sembrano sempre essere estremamente orgogliosi di qualsiasi cosa faccia. E inevitabilmente in quel momento di svolta non riuscivo ad evitare di sentirmi un po’ in colpa, soprattutto quando sentivo mio padre dire a mia madre che in effetti erano stati loro ad insistere per l’università. È vero. Quando non sapevo che facoltà scegliere dopo la scuola, avevo deciso per Giurisprudenza, perché loro da mesi continuavano a ripetermi che sarebbe stata adatta a me. E quando poi avevo proposto di iscrivermi a Lingue, poco dopo sempre loro mi avevano proposto di cambiare ed iscrivermi a Lettere. Certo Lettere mi interessava molto di più. . . però io volevo fare la musicista. Forse il senso di colpa derivava dal timore di essermi mossa ‘in direzione ostinata e contraria’ rispetto alle previsioni, o più semplicemente dalla consapevolezza di non essere mai stata chiara riguardo alle mie volontà. Decisi di ignorare quel senso di colpa e di concentrarmi sulla nuova vita che mi aspettava, e fu una decisione particolarmente felice, perché i miei genitori ci misero poco a farmi capire che in ogni caso sarebbero stati dalla mia parte. Ho sempre avuto la famiglia dalla mia parte, grazie ad essa ho potuto studiare musica; è stata fondamentale sia dal punto affettivo che da quello economico. Mia madre, sempre attento alla cultura dei propri figli, non mi ha mai ostacolato nello studio della musica e, benché costretta ad un esborso economico per lezioni private e studi vari, non mi ha mai chiesto la finalizzazione degli stessi, mai domandato se tutto questo mi avesse portato da qualche parte nella mia vita. È stato semplicemente credere nello spirito, nella sensibilità dell’animo umano, nel proprio figlio. Anche mio padre mi ha dato il suo sostegno: forse avrei dovuto cantargli qualche canzone in più, ma la vita è quella che è. Sono contento che almeno una volta mi abbia visto su un palco suonare la chitarra: non lo dimenticherò mai. Non ho mai avuti sostegno né, in realtà, imposizioni dalla mia famiglia; piuttosto disprezzo. Per i miei genitori lo studio di uno strumento costituiva un’inutile perdita di tempo, un ‘gioco da grandi’. Era impensabile che si potesse vivere di musica; la loro reazione alla mia realizzazione professionale è stata quella di una sconfitta deprimente.
. Insegnanti – Tipo di relazione: autoritaria, amichevole, paternalista, collaborativa, empatica, asettica. . . – Metodologia: trasmissiva, addestrativa, euristica, imitativa. . .
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– Finalità dell’insegnamento: dipendenza, autonomia, formazione dell’identità musicale, acquisizione di abilità. . . – Obiettivi: eminentemente tecnico–strumentali, esecutivo–interpretativi, culturali. . . – Gestione dell’errore + Come hai vissuto queste relazioni? = Cosa, tra gli aspetti legati al tuo rapporto con l’insegnante, ritieni possa essere efficacemente riproposto in ambito didattico ? Cosa pensi vada evitato decisamente? Perché? Penso che il rapporto che si instaura con il proprio insegnante sia un elemento che condiziona in maniera determinante l’intero percorso di formazione; se infatti una buona relazione concorre all’apprendimento e all’acquisizione efficace di nuove conoscenze, una relazione poco ‘accogliente’ potrebbe portare all’inibizione, o, nei casi più tragici, all’abbandono degli studi. Potrei definire il rapporto che ho avuto con il mio primo insegnante amichevole, tendente al paternalista. Si potrebbe aprire un capitolo immenso, poi, riguardo alle metodologie più efficaci da utilizzare nel primo approccio allo strumento, data la vastità e la diversità di quelle esistenti. Nel mio caso, credo che il maestro abbia optato, per la mia formazione, per una metodologia meramente addestrativa. Di conseguenza posso definire la finalità del suo insegnamento come acquisizione graduale di abilità strumentali, senza considerare importanti la formazione dell’identità musicale o altri elementi, come lo sviluppo di capacità che permettono di creare ed affinare il senso musicale. Infatti ricordo che durante l’intero anno di corso tutto ruotava attorno alla scelta del brano del saggio e al conseguente studio per l’esecuzione in pubblico. In questo training addestrativo, gli eventuali errori venivano corretti immediatamente, senza troppe spiegazioni (ma anche, tutto sommato, senza troppe tragedie). Da quando ho cominciato a studiare con lei, e anche al di là dei momenti didattici, Emanuela (la mia insegnante di violino) non si è mai realmente arrabbiata. Le è sempre bastato buttar lì una frase, quella giusta evidentemente, e improvvisamente le cose riprendevano a funzionare. Certe sue parole avevano un effetto decisamente mortificante su di me, e tanto bastava perché mi riprendessi. Una volta mi ha confessato che sono riuscita a mettere a dura prova la sua pazienza, e posso confermare che effettivamente non sono stata proprio un’allieva modello. Eppure la volontà era quella, anche se spesso finivo per tradirla. Essere una studentessa impeccabile, non deludere mai ‘la prof ’. . . Tra scuola, catechismo, palestre varie, scuole di musica e conservatorio, ho avuto a che fare con un’infinita quantità d’insegnanti. Eppure l’unica che avrei voluto rendere orgogliosa di me è stata Emanuela. E anche se forse non ci sono riuscita, era un obiettivo che mi ero posta, una
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ragione in più per impegnarmi. Mi piacerebbe che riuscissero a far scattare in me lo stesso sentimento anche tutti gli altri insegnanti che ho incontrato o che incontrerò, per quanto complicato possa essere. Probabilmente nel mio caso un ruolo di rilievo lo ha svolto anche il rapporto umano che si è creato fra me e lei, ma la stima che nutro nei confronti dei suoi metodi didattici è rimasta invariata dal primo giorno, perché da subito mi ha insegnato a vivere in modo attivo la musica, ad entrarci dentro con le mani, col cervello e col cuore. Anche costringendomi ad esperienze emotivamente sconvolgenti, in cui ha schiaffeggiato quasi materialmente la mia timidezza, ma dalle quali sono uscita assolutamente arricchita.
. Luoghi, istituzioni, contesti – Caratteristiche, finalità, organizzazione, bisogni che hanno contrassegnato i luoghi e i contesti della tua formazione strumentale + Come hanno interagito le caratteristiche dei diversi contesti di apprendimento con i tuoi bisogni e le tue aspettative? = Quali caratteristiche e quali finalità pensi debbano contraddistinguere i luoghi e le istituzioni della formazione strumentale per promuovere e sostenere efficacemente l’apprendimento? Nel mio personale percorso, diversi sono stati i luoghi in cui è avvenuta la formazione: i principali sono stati la scuola media (ho frequentato l’indirizzo musicale), la scuola di musica privata e il conservatorio. Della scuola media ricordo che una volta a settimana, il pomeriggio, avevo una lezione individuale con la professoressa; le lezioni si svolgevano nell’auditorium, dato che lì si trovava l’unico pianoforte. Era un ambiente grande, poco luminoso e tappezzato di lavori e cartelloni, a testimonianza delle varie attività svolte nelle classi. Non ho molti ricordi legati a questa esperienza di formazione, in quanto le ore di lezione erano dedicate al ripasso e al perfezionamento dei brani che studiavo contemporaneamente col mio insegnante privato. I professori ci permettevano spesso di suonare in ensemble piccoli pezzi, oppure brani di repertorio facilitati, proponendoli durante i saggi di fine anno. Ricordo in modo molto positivo queste esperienze che ritengo didatticamente valide, in quanto permettono agli studenti di conoscere altri strumenti; sono positive soprattutto per i pianisti, che solitamente svolgono il loro percorso di studio ‘da solisti’. Per quanto riguarda la scuola privata, che ho frequentato per sei anni, ho ricordi molto più forti e nitidi. I luoghi in cui si svolgevano le lezioni sono stati due: il primo un locale immenso, essenzialmente vuoto, con pareti bianche e con al centro il pianoforte. Molto freddo e anonimo, incuteva una sensazione di dispersione; anche a livello acustico non era il massimo: il fenomeno del rimbombo era così
Augusta Dall’Arche spaventoso che sembrava di suonare in un castello diroccato. Ho più ricordi del secondo locale, perché vi ho trascorso circa cinque anni. Sicuramente questo luogo era molto più accogliente, probabilmente perché più piccolo e simpaticamente arredato: ricordo una poltroncina e un divano su un lato della stanza, e, sull’altro, foto dei saggi e disegni degli allievi più piccoli. La stanza mi piaceva, anche il colore delle pareti: un arancione chiaro, che metteva allegria, specie d’inverno. Per quanto riguarda l’organizzazione, le lezioni erano settimanali, individuali e della durata di un’ora. Penso sia il tipo di organizzazione più adeguato per seguire ciascuno in modo corretto e rispettoso dei tempi di apprendimento; ritengo, però, che l’ideale sarebbe far incontrare, una volta al mese, più ragazzi nello stesso orario, per far loro scambiare pareri e musica. Iniziare gli studi al conservatorio all’età di anni non è stata una cosa facile. I luoghi e i contesti della mia formazione strumentale erano stati diversi: un pianterreno, un appartamento all’ottavo piano di un grande condominio, un piccolo sottoscala. . . Finire nella classica aula del conservatorio con banchi e sedie mi ha riportato indietro, ai tempi delle scuole medie. Per questo all’inizio mi sentivo fuori luogo. Nella scuola di musica la prima stanza aveva la parete in fondo arancione, con una serie di locandine e articoli appesi. Sulla sinistra c’era una finestra, che aveva gli infissi dello stesso arancione. Io vado matta per le finestre. C’era anche un divanetto verde (di rara bruttezza) e un pianoforte marrone. Mi piaceva quell’insieme, mi sentivo a mio agio. Quando mi capitava di fare lezione al piano inferiore, era bello scendere le scale col violino e i libri e ritrovarsi in quella grande stanza bianca, con la lavagnetta appesa al muro e il rullante della batteria che vibrava mentre suonavo. E poi mi piaceva l’odore, era fresco e sapeva vagamente di umido, ma di umido buono, non di quello stantio e appiccicoso che si sente ogni tanto d’estate. È una bella scuola privata, perché non è molto grande e inevitabilmente si finisce per conoscersi anche con gli altri ragazzi e con gli insegnanti. Forse, quando ci andavo io, mancava un po’ di organizzazione: lezioni che si accavallavano, eventi che saltavano, corsi ‘fantasma’. Forse era addirittura troppo piccola. Ci sono passata un paio di settimane fa. Le pareti sono sempre arancioni ed è stato ricavato un terzo piano più in alto. Il divanetto brutto non c’è più, il pianoforte ora è nero e giù hanno ridipinto e l’odore è cambiato. Se fosse solo un po’ più conosciuta, probabilmente sarebbe un centro di formazione meraviglioso, perché offre possibilità di confronto diverse, basate sulla conoscenza e l’approfondimento di svariati generi musicali e sulle esperienze strumentali d’insieme, in cui gli allievi non sono mai protagonisti solitari, ma parte di una realtà di gruppo. E sicuramente nei miei primi anni di studio tutto questo mi ha fatto un gran bene. Probabilmente proprio suonando con gli altri ragazzi, durante i primi saggi, ho scoperto quanto mi piace suonare con altri musicisti, poter creare qualcosa assieme, anche mentre suoniamo. Quando ho cominciato a fare
Tecniche autobiografiche nella formazione strumentale lezione a casa della mia insegnante Emanuela, questa è stata l’unica cosa che mi è mancata: la realtà ‘scolastica’. Ma studiare in casa ha comunque molti vantaggi, per esempio il tempo a disposizione, il numero di volte che ci si può incontrare senza disturbare altre lezioni, le pause caffè e le brevi chiacchierate in giardino quando è bel tempo. Anche da Emanuela c’è una finestra, in salotto, che affaccia sul giardino, coi suoi gatti di passaggio. Durante l’inverno capitava che cominciassi a suonare e subito dopo, guardando fuori, scoprire che era già buio, e quando a volte la finestra era spalancata, se mi pizzicava il naso, voleva dire che era arrivata la primavera. A casa, nella mia stanza, c’è una piccola finestra che adoro, da cui si vede un viale pieno di alberi e che, insieme al caos organizzato di cui sono artefice, rende quel posto perfetto. Mi rintano in camera mia e lì resto per ore e ore. Eppure ci sono dei giorni in cui, quando studio, devo trovarmi un posto migliore. D’estate il salotto è fantastico, entra tanta luce eppure è leggermente in penombra, ed è tutto marrone e rosso. Mi sembra di esserci avvolta dentro. . . Ecco, è questo che per me fa la differenza tra un luogo e l’altro. Devo sentirmi parte dell’arredamento. In conservatorio, l’unico posto in cui mi sento realmente a mio agio, che ci sia gente o meno, che le luci siano accese oppure no, è l’auditorium; in altri luoghi ho sempre l’impressione di esserci capitata per sbaglio. Chissà perché. . . Evidentemente, con questi presupposti, i miei primi vagabondaggi per i corridoi non mi colpirono particolarmente. Eppure c’era una piccola parte di me che gongolava all’idea di stare per cominciare un nuovo percorso da ‘studentessa di musica’. Mi suonava proprio bene! Così decisi che semplicemente mi sarei buttata senza badare troppo all’altezza, ai luoghi, alle luci e alle finestre. Avrei affrontato ogni cosa al momento opportuno, stringendo un po’ i denti all’occorrenza. Volendo rammentare i luoghi che hanno fatto da scenario alla mia ‘carriera musicale’ ricordo, oltre alla prima gradevole esperienza, le scuole di musica private, dove si svolgevano lezioni collettive. . . deplorevoli! Sono state l’inizio del mio declino. Una perdita di tempo e denaro inconcepibili. Solo rievocarle mi fa venire l’orticaria. Diverso è stato, nelle esperienze successive, vivere luoghi più ‘decenti’: casa mia e l’Istituzione, il conservatorio. Quest’ultimo, da un lato, non era proprio di mio gradimento; sì, era una bella location come struttura, ma nell’aria c’era rigidità e un’impostazione di ‘default d’altri tempi’. Un posto dove se sbagliavi eri immediatamente fuori. Peggio della scuola insomma. . . Dall’altro invece, specie nelle ore dove era semivuoto, mi trasmetteva tutt’altro. Era come se mi catapultassi in epoche remote, a seconda dello strumento che udivo attraversando i corridoi. Tuttora mi fa lo stesso effetto: quella sensazione di rigidità lascia il posto ad uno stato di positività, ed è un piacere frequentarlo. Associo tale cambiamento al cambio generazionale dei docenti, a partire già dalle figure dirigenziali, nonché all’adeguamento generale dell’istituzione a quelli che sono gli aspetti della società moderna. In breve, il conservatorio di oggi è una ‘figata’!
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. Rapporto con lo strumento – Realizza una mappa che rappresenti cronologicamente le trasformazioni che ha subito il tuo rapporto con lo strumento (complicità, conflitto, conquista, dominio, affetto, odio, sottomissione, ludicità, indifferenza. . . ) – Metti in relazione le trasformazioni con eventi, situazioni, evoluzioni caratteriali, decisioni. . . – Elabora una metafora che rappresenti il tuo rapporto attuale con lo strumento + Nella evoluzione di questo rapporto pensi che sia stata maggiore l’influenza degli eventi esterni o del tuo modo di elaborarli? = Come pensi si possa conoscere la qualità del rapporto tra strumento e allievo? = Pensi sia importante che l’insegnante faccia riferimento alla propria personale esperienza per aiutare l’allievo a superare eventuali situazioni conflittuali? Il mio rapporto con il pianoforte ha subìto numerosi cambiamenti nel corso del tempo. Posso sintetizzarli associandoli ai diversi periodi e luoghi in cui si è svolta la mia formazione, perché il rapporto con lo strumento è cambiato essenzialmente per situazioni ed eventi esterni e quasi mai per evoluzioni caratteriali. Sicuramente l’occasione da cui ha avuto inizio l’intero percorso formativo e dal quale è nata la mia storia con il pianoforte è stato il regalo ricevuto da mio fratello, una tastiera giocattolo, che suscitò in me (più che in lui) interesse e curiosità. Il momento in cui ho iniziato a prendere lezioni private ha invece trasformato il rapporto col pianoforte in affetto e autorità, al quale si è sovrapposto, durante le scuole medie, un senso di amore e possesso. Entrata in conservatorio, il mio ‘idillio’ si è decisamente incrinato lasciando il posto a sentimenti di conflitto e soggezione. Infine l’ultima trasformazione non è avvenuta precisamente con il cambiamento di una situazione, ma posso attribuirla alla mia crescita, alla mia maturazione. Il rapporto che vivo attualmente con il pianoforte è di razionalità (perché non subisco più in modo passivo le ‘sue’ esigenze e affronto lo studio con spirito diverso), di attrazione (perché la passione e l’interesse sono gli stessi del primo giorno) e di graduale conquista, oserei dire di simbiosi. Volendo tracciare una mappa rappresentativa del mio percorso musicale, ad un’estremità ovviamente ci sarebbe il principio, partendo dai sette anni, e dall’altra il presente, ovvero questa bizzarra avventura in corso, qui in conservatorio. Nel mezzo, naturalmente i vari stadi appartenenti alle varie fasi di età, caratterizzate da mille situazioni, trasformazioni nello studio,
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interiori, esteriori ma con un comune denominatore, ossia l’amore incondizionato per la musica e lo strumento. Un sentimento minato spesso e rimasto illeso, forse rinvigorito negli anni. È vero, avrei voluto studiarlo e suonarlo a grandi livelli. Le vicende sfavorevoli in primis e la testa poco concentrata non me l’hanno permesso. Alla fine, anche se in età avanzata, spero di gratificare me stesso e lo strumento. Chissà. . . Mi ritengo paradossalmente molto fortunato se penso che per diversi anni, tipo fino ai anni, ho vagato nella confusione più assurda, una specie di torre di Babele, rimbalzando da una scuola ad un insegnante, studiando ad intermittenza. Tanti al mio posto non avrebbero voluto più vedere uno strumento davanti ai propri occhi. Nonostante tutto io sentivo che era parte integrante della mia esistenza, anche se man mano realizzavo che non avrei raggiunto mai nessun obiettivo di successo. Nonostante tutto, quel senso di affetto e complicità verso quel mobile di mogano non si è mai sbiadito. Negli anni successivi, dai ai anni, passavo il % del mio tempo davanti ai sintetizzatori, ma quel % restante lo dedicavo comunque al piano, il quale era lì sempre pronto ad accogliermi, a regalarmi quiete e relax. La mia vita ed il piano sono paragonabili ad un cielo stellato corredato di luna piena. . . senza questa non ci sarebbero quel colore e quella luminosità capaci di rendere tutto così suggestivo. Un altro aspetto importante nel mio rapporto con lo strumento è che mai agenti esterni sono stati in grado di alterare quella che era la mia condizione interiore nei suoi confronti. Affetto. . . conquista. . . complicità. . . dominio (della chitarra su di me). . . bisogno. . . esigenza. . . odio. . . complicità. . . complicità. . . complicità. . . amore. Fondamentalmente amo la chitarra, uno strumento speciale capace di elevare lo spirito con il suo dolce suono, che diventa il pane dell’anima. Il mio è un rapporto che si è formato nei tanti anni di sodalizio e che con il tempo si è consolidato, inserendosi in un delicato equilibrio della mia vita che da poco tempo ho realizzato e capito. È un percorso fatto di alti e bassi, di bramosie ed ansie, stimoli e sensi di colpa; un percorso variegato, di salite e discese, di mulattiere e strade battute e asfaltate; un percorso in cui non mi sono mai sentito solo ma sempre accompagnato e sostenuto da chi mi sta a fianco. All’inizio non ti poni tante domande, studi e basta, suoni e vai avanti; è chiaro che si sta bene con lo strumento tra le mani. La percezione di benessere è fantastica ma inconsapevole, attraverso lo strumento si respira un altro mondo, si vivono diverse vite; è il mistero dell’Arte.
. Esecuzioni in pubblico – Descrivi e valuta alcune delle tue esperienze performative (saggi, concorsi, esami, concerti...) riferite sia al periodo di formazione che alla carriera professionale
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+ Cosa ti ha aiutato a sostenerle positivamente? + In generale ritieni che le esibizioni in pubblico siano una necessità ineludibile, una prova solleticante, una fonte di goduria, un inutile stress... e che provochino in te rifiuto, indifferenza, desiderio... + Dal punto di vista personale come pensi ti abbiano modificato? = Quali esibizioni in pubblico ritieni didatticamente più valide? Perché? = Cosa si potrebbe proporre per farle vivere in maniera non traumatica? = Con quali mezzi si potrebbero stimolare le capacità di autovalutazione delle esecuzioni? = Nell’analisi delle esperienze performative pensi sia opportuno prendere in considerazione altri aspetti oltre a quelli di carattere strettamente tecnico–esecutivo? Quali? Perché? Le esperienze performative sono il punto debole di tutta la storia della mia formazione strumentale, e non solo. Infatti, riscontro i problemi e le difficoltà maggiori come musicista proprio nelle esecuzioni in pubblico: in esse, mi succede di bloccarmi e di non rendere come le mie capacità potrebbero permettermi. Gli esempi più chiari di questa mia difficoltà sono i vari saggi e gli esami che ogni anno affronto. Precisamente, mi accade di non riuscire ad ottenere esecuzioni soddisfacenti, a causa della paura e dell’ansia che mi assalgono (oltre alle mani che tremano). Pur non essendomi chiaro il motivo di questo problema, sono riuscita a fare delle ipotesi e un elenco di possibili cause: scarsa autostima di fondo nelle mie capacità e potenzialità; scarsa capacità di concentrazione nel momento delle esecuzioni; eccessiva sensibilità; poca esperienza performativa. Sono solo delle possibili cause, ma non riesco ancora a capire, a distanza di anni, le reali dinamiche e me ne dispiace, perché vorrei poter rendere di più. Ricordo che questo disagio risale ai tempi in cui studiavo privatamente; già quando facevo i primi saggi di fine anno era una tragedia dover affrontare l’esecuzione in pubblico. D’altra parte posso confermare che i miei insuccessi in questo senso non derivano da scarsa preparazione o insicurezza dovuta ad uno studio insufficiente; posso affermare, però, che provo una sensazione di disagio al solo pensiero di dover suonare di fronte ad un pubblico. Sono convinta che il problema non sia rappresentato dalla consapevolezza di essere valutata, visto che con una certa frequenza sostengo esami, frequentando anche il Triennio di Didattica (i cui esami però non riguardano esecuzioni pianistiche). Un’ultimissima considerazione in merito alle mie esperienze performative in ensemble o in duo: in queste situazioni non si verifica niente di tutto ciò che ho descritto. Può sembrare assurdo, ma è così: ho accompagnato dei violoncellisti, un quartetto d’archi e un clarinettista in un concerto e ho anche suonato in or-
Tecniche autobiografiche nella formazione strumentale chestra; in queste occasioni non ho avuto mai, neanche per un solo istante, senso di insicurezza, paura o ansia. Nonostante abbia riflettuto a lungo, non sono mai riuscita a comprendere fino in fondo il problema. Visto che vivo così male le esecuzioni in pubblico, non posso che considerarle inutili fonti di stress, cause di rifiuto e chiusura. È incredibile il potere che può avere una semplice idea. Da quando ho cominciato a suonare il Violino mi sono esibita in pubblico centinaia di volte, e non ho mai avuto tanta paura come il giorno della mia ammissione. In fondo suonare davanti a una commissione di tre elementi, in una piccola aula, dovrebbe essere più rilassante che farlo in piazza al cospetto di un pubblico più cospicuo. È l’idea di ‘esame’ a fare la differenza. Forse perché siamo abituati a pensare che l’esame sia un momento importante, quello in cui si dimostra il proprio valore, i risultati ottenuti dopo tanti sacrifici. Ma trovo comunque curioso che questa idea influenzi i miei stati d’animo, perché dal mio punto di vista non c’è nessuna differenza tra un esame e un concerto. L’arte è inevitabilmente assoggettata ad un giudizio, che può essere numerico o semplicemente di gradimento. In ogni contesto in cui si suona c’è qualcuno che prova a dire qualcosa e qualcun altro che potenzialmente potrebbe coglierne il senso. Probabilmente per questo amo così tanto esibirmi, perché so che suonando comunico inevitabilmente qualcosa. Forse non sempre riesco ad essere efficace, forse non sempre so come esprimermi, forse non sono capace realmente di raccontare quello che ho dentro. . . ma solo provarci è un’emozione unica. E ogni volta che ci provo vivo sensazioni alle quali non vorrei mai rinunciare: l’adrenalina poco prima che il concerto cominci, il cuore che batte veloce, le mani che tremano, la musica che parte, il cuore che ritrova il suo ritmo, le dita che acquistano sicurezza, l’emozione di ascoltare quello che sta venendo fuori, il divertimento, la voglia di osare (anche se viene fuori qualche errore madornale), la frenesia di andare avanti, la consapevolezza che tutto sta per finire. . . Poi la tensione svanisce e arriva quella stanchezza così pura e carica di soddisfazione che è quasi un peccato fermarsi per recuperare energie. E dire che quando ho cominciato ad esibirmi la paura era talmente travolgente che sarei volentieri scappata via! Come tanti, immagino, ho avuto un pessimo rapporto con le esibizioni in pubblico. Una gran fifa. Sono stati per lo più saggi, feste, esami e performance in gruppo. Ogni volta una sorta di inibizione, che in qualche occasione è stata solo iniziale, ma che comunque non mi ha mai dato tregua. Crescendo, ho un po’ superato questo disagio psicologico, ma continuo a pensare che sarebbe per me più facile lanciarmi con un paracadute da metri d’altezza anziché suonare davanti ad un pubblico. Anche alcuni rituali, tipo fumare una sigaretta o bere un goccio d’alcool prima di una performance, non sempre sono efficaci nella misura che vorrei. Spero che la frequenza del Triennio di Jazz al quale sono iscritto, dove si pratica molta
Augusta Dall’Arche musica d’insieme, riesca in qualche modo ad aiutarmi a gestire questa specie di ansia da prestazione. Non sono mai riuscito in realtà a risalire alle cause di tale limitatezza; probabilmente è dovuta ad un fattore innato o alla mia personalità timida ed introversa.
. Vissuto – Sacrifici, emarginazione, limitazioni vissute come forzature durante la tua fase di apprendistato strumentale – Libertà successivamente conquistate (consapevolezze, prestigio, stima. . . ) + Hai dei rimpianti rispetto ad esperienze di vita che non hai potuto realizzare? + Pensi che lo studio dello strumento abbia fatto maturare in te particolari capacità (cognitive, di gestione delle emozioni, delle relazioni...)? = Come pensi si possano individuare, valorizzare, verificare le capacità non specificamente musicali degli allievi? = Quali strategie si potrebbero adottare per integrare l’esperienza con lo strumento con altre esperienze (personali, di apprendimento...) che fanno parte del vissuto dei ragazzi? . Identità musicale – Eventuali trasformazioni nelle abitudini musicali (suonare e ascoltare) determinate dall’esperienza di studio – Esperienze di socializzazione legate all’abilità strumentale + Pensi che la pratica strumentale abbia allargato i tuoi confini culturali, la tua voglia di sperimentare, conoscere o che abbia reso il tuo rapporto con la musica più settoriale? = Pensi che l’insegnante di strumento debba solo prendere atto della musicalità in senso lato degli allievi o debba positivamente e propositivamente svilupparla? Come? = Pensi che l’insegnante dovrebbe interessarsi a come i suoi allievi finalizzino le loro abilità strumentali nelle esperienze di socializzazione fuori dalla scuola? In che maniera?
Tecniche autobiografiche nella formazione strumentale Durante i primi anni delle scuole superiori non ero ben vista in classe; probabilmente le energie e il tempo che dedicavo allo studio del pianoforte e forse l’aria di chi ‘ne sa più degli altri’ (anche se in realtà non era così) avevano prodotto una sorta di disprezzo e antipatia da parte delle mie compagne nei miei confronti. Col tempo e con la conoscenza reciproca, la situazione migliorò, ma di poco. Sentivo di essere trattata diversamente, di non essere inclusa in tutti i discorsi o nelle iniziative di gruppo. Ho inoltre subito, nei due anni in cui suonavo l’organo in parrocchia, un processo di emarginazione vera e propria. Sono stati due anni da incubo, li ricordo ancora oggi con tristezza e con tantissima indignazione, probabilmente perché vicini nel tempo. Premetto che sono abbastanza determinata e che non sono di certo i cattivi rapporti con gli altri o le situazioni non molto familiari e rassicuranti a farmi paura e a farmi tirare indietro rispetto agli impegni che prendo; ma in quella occasione l’atmosfera che si era creata ha avuto la meglio su di me. Si erano accumulati nei miei confronti odio, antipatia e invidia da parte di tutti. Ero l’unica musicista del gruppo; ricordo che sono sempre stata trattata con disprezzo, allontanata in ogni occasione, nonostante i miei numerosi tentativi di coinvolgimento. Non ho mai vissuto un’esperienza peggiore, sia come musicista che come persona. Analizzando quello che è stato sino ad ora il mio vissuto musicale, posso considerarmi soddisfatto. Tuttavia, pur non avendo realizzato una carriera brillante nel settore e non avendo per giunta terminato gli studi a suo tempo, lo strumento è stato un valido supporto, morale e fisico. Penso che la passione verso la musica e il fatto di saper suonare uno strumento siano i doni più grandi che abbia mai ricevuto. Così il bilancio è tutto sommato positivo, soprattutto se considero che, dopo anni, sono stato capace di riesumare la volontà di riprendere a studiare. Fino a qualche anno fa non immaginavo lontanamente di dover imparare materie del tutto sconosciute o addirittura ritrovarmi, la sera, a scrivere la mia autobiografia! È incredibile tutto ciò, ma mi entusiasma ancora esplorare contesti e generi nuovi, ampliando conoscenze socio–culturali rimaste ‘in standby’ da molto. Devo comunque continuamente fare i conti con i sacrifici (in termini di risorse fisiche, mentali ed economiche) relativi al percorso intrapreso. Essi si presentano in quantità sempre maggiore, tanto da crearmi a volte rallentamenti e ‘fermate’. Ma alla fine non mi corre dietro nessuno se non l’età. . . Inoltre la volontà è ancora tanta: di varcare soglie di nuovi orizzonti, di ‘sentire’ la musica non come semplice ascoltatore ma come tecnico, di sviluppare capacità analitiche e critiche riguardo ai diversi generi e stili musicali. Sono passati quasi cinque anni da quando la mia storia col Violino è cominciata e se mi guardo indietro non posso fare a meno di notare quanti cambiamenti ci sono stati e quanto gli avvenimenti del passato abbiano fatto di me quella che sono. La musica ha sempre fatto parte della mia vita, è sempre stata un’amica insostituibile, ma non sempre abbiamo avuto l’equilibrio
Augusta Dall’Arche che solo ora, pur instabilmente, comincia a instaurarsi. Se all’inizio si trattava quasi di un piacevole passatempo, dettato dalla curiosità della scoperta, ora, dopo tanti momenti di conflitto, so che è la mia ragione di vita. Qualche anno fa consideravo ogni momento legato alla musica quasi un sacrificio, nonostante amassi profondamente suonare. E di sicuro l’ipocrita mondo in cui mi ero collocata influiva negativamente sulla mia vita musicale. Mi ero circondata di amicizie egoistiche con persone che fingevano di non capire la mia necessità di restare a casa a studiare, o di rinunciare a certe occasioni per le mie lezioni, e inevitabilmente, debole com’ero, lasciavo che gli eventi esterni mi trascinassero, a discapito dello studio. Ma col tempo la mia passione ha preso il sopravvento e ha determinato in buona parte quella che sono, tanto che ora credo sia la musica ad influire, inconsciamente, su tutto il resto. I contesti sociali in cui naturalmente mi sono collocata crescendo, mi hanno portata a conoscere persone che rispettano e spesso condividono la mia strada, persone che nutrono una profonda stima per la mia vita e con le quali mi sento a mio agio come non mi era mai capitato prima. C’è stato un momento in cui ho cominciato a considerarmi una ‘violinista’, ed è stato proprio quel momento a portare un cambiamento, a darmi sicurezza. Mi è capitato, come è capitato a tanti altri, che qualcuno mi domandasse cosa volessi fare da grande e sentendosi rispondere: “La musicista” mi dicesse: “Sì ok, intendo proprio ‘di mestiere’!”. . . La dimostrazione perfetta di come tante persone considerino la musica un hobby, un’attività collaterale. Io, invece, mi sento finalmente una privilegiata e sono felice che il Violino mi abbia scelta. In una realtà così vasta e ricca so quanto sia difficile capire quale sia la strada giusta, ma ormai penso anche che. . . il meglio deve ancora venire. Attualmente la mia vita ruota intorno al lavoro, alla famiglia e allo studio. Quest’ultimo, purtroppo, è passato in secondo piano, soffocato da altre esigenze. Stando così le cose, ho già da tempo rinunciato all’idea di fare il musicista di professione. Mi sarebbe piaciuto fare l’insegnante di musica per interagire con bambini e ragazzi, organizzare stage, serate musicali, concerti, ma temo che anche questo sogno non si realizzerà. Rimpiango molto di non aver dedicato, durante l’adolescenza, il giusto tempo allo studio; probabilmente sarei riuscito a conseguire almeno uno dei miei obiettivi .
. Quarta fase: punti di arrivo. . . per nuove partenze A conclusione del percorso autobiografico, ho proposto nuovamente il questionario preliminare senza dare la possibilità di rivedere quello già compilato.
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Ho potuto quindi verificare che le risposte alle domande n. e sono risultate diverse rispetto a quelle precedentemente formulate. In particolare, alla domanda n. , le percentuali relative alle personali scelte interpretative si sono attestate in un range compreso tra il e il % (dato precedente: /%); alla domanda n. , la percentuale dell’ importanza delle personali intuizioni nella definizione del progetto interpretativo dei brani si è attestata in un range compreso tra il e il % (dato precedente: /%). Le risposte alle altre domande sono risultate sostanzialmente simili. Questo dato mi ha condotto a riflessioni circa la valenza pedagogica del percorso autobiografico e mi è sembrata una prima, semplice risposta alla domanda iniziale: “A seguito della ricostruzione autobiografica della propria storia di strumentista, è possibile verificare trasformazioni relative alle modalità di apprendere e di relazionarsi a sé stessi e agli altri?”. Senza voler conferire a questa prima esperienza gratuite patenti di scientificità, penso di poter affermare che parlare, scrivere e riflettere sulla propria storia abbia accresciuto l’ autonomia cognitiva e, più in generale, l’autostima degli studenti, rendendoli forse un po’ più protagonisti attivi del proprio apprendimento. Nella prospettiva dello sviluppo di questa ‘ricerca sulla ricerca’, riterrei opportuno migliorare la chiarezza ed efficacia comunicativa dei questionari e approfondire maggiormente alcuni aspetti rivelatisi ‘ad alta criticità’ come, per esempio, quello relativo alle esecuzioni in pubblico. Allo stato attuale, comunque, il racconto di questa esperienza travalica l’ambito scientifico, è legato piuttosto al mio desiderio di far conoscere tutta la poesia, la delicatezza e la forza di questo momento di vita condiviso con il gruppo di studenti. Costituisce il primo passo di un itinerario forse molto ambizioso: estendere l’approccio autobiografico a tutta la popolazione scolastica del Conservatorio, per promuovere un pensiero pedagogico sempre più attento e rispettoso delle dinamiche esistenziali, più accogliente nei confronti delle differenze, nella prospettiva di una formazione musicale sempre più intrecciata con la formazione globale. Un buon interprete mette in gioco sé stesso utilizzando il testo e lo strumento come mezzi, non come fini e dovrebbe cogliere sempre in un unico sguardo lo svolgersi del tempo musicale e del proprio tempo interiore.
Augusta Dall’Arche
. Bibliografia Atkinson R. (), L’intervista narrativa, Raffaello Cortina, Milano. Baldassarre V. A.–Di Gregorio L.–Scardicchio A. C. (), La vita come paradigma, Edizioni dal Sud, Modugno (BA). Baldassarre V. A.–Brescia A. M. (), Contesti formativi e didattica della comunicazione, Edizioni dal Sud, Modugno (BA). Bruner J. (), La ricerca del significato, Bollati Boringhieri, Torino. Cambi F. (), L’autobiografia come metodo formativo, Editori Laterza, Bari. Demetrio D. (), Micropedagogia, La nuova Italia, Firenze. Demetrio D. (), Per una didattica dell’intelligenza, FrancoAngeli, Milano. Demetrio D. (), Raccontarsi, Raffaello Cortina, Milano. Demetrio D. (), Perché amiamo scrivere, Raffaello Cortina, Milano. Demetrio D. (), I sensi del silenzio, Mimesis edizioni, Milano–Udine. Disoteo M.–Piatti M. (), Specchi sonori, FrancoAngeli, Milano. Eco U. (), Opera aperta, Bompiani, Milano. Eco U. (), I limiti dell’interpretazione, Bompiani, Milano. Farello P.–Bianchi F.(), Laboratorio dell’autobiografia, Erickson, Trento. Lorenzetti R.–Stame S. (, a cura di), Narrazione e identità, Editori Laterza, Bari. Orbetti D.–Safina R.–Staccioli G. (), Raccontarsi a scuola, Carocci, Roma.
Augusta Dall’Arche
Genesi di un musicista: la formazione musicale e le sue storie ISBN 978–88–548–5707–0 DOI 10.4399/97888548–5707–05 pag. 49–60 (novembre 2012)
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. Scrittura e mito “Che cosa vuol dirmi questo o quel mito?”, si chiedeva Italo Calvino nelle Lezioni americane. Quali spiegazioni, quelle storie rimaneggiate nell’arco di migliaia di anni, possono ancora offrirci? Per decifrare l’esistenza, le voci del mondo, il senso delle nostre vite individuali e collettive. Le sue domande, sono tuttora importanti. Non possiamo infatti ignorare che i miti, da millenni, ci affidano il mandato di interpretarli per conoscerci di più. Sono il frutto di una miriade di narrazioni orali, di ibridazioni linguistiche e semantiche, che con l’invenzione della scrittura vennero sottratte all’oblio e alla obsolescenza del passa parola, alla precarietà della voce. Mitografi noti e ignoti, in tal modo, le hanno ancor più umanizzate e dirozzate, conferendo loro dignità letteraria e storica. Oggi, grazie alla psicoanalisi, i miti ci offrono modelli e mappe interpretative di grande suggestione, i quali senza la scrittura non sarebbero mai giunti fino a noi. Trascriverli ha fatto in modo che tali racconti riconducibili ad una religiosità politeistica, precristiana e preislamica, già avversata dall’ebraismo, potessero sedimentarsi nelle nostre memorie culturali, ancor più in profondità. In quanto i miti sono rinati, come è noto, in forme diverse all’interno delle stesse tradizioni monoteistiche. Queste credettero di estirparle, ma al contempo se ne avvalsero contribuendo al sorgere di una millenaria continuità mitologica. Nel progressivo venir meno delle tradizioni orali, la scrittura in quanto tecnologia del pensiero – sosteneva Michel Foucault – le ha inoltre arricchite di metafore, simboli, analogie. Per tale ragione, ci accorgiamo di poter rispecchiarci ancora nelle figure prototipiche, oltre che nelle trame e nelle tensioni emotive rese celebri e quasi eternizzate da alcuni intrecci narrativi. Più di altri, capaci di generare in noi risonan
Duccio Demetrio
ze e fascinazioni inconsce. Ad essi ci accorgiamo spesso di assomigliare: troviamo in quelle figure di dei, eroi, antieroi, ora taluni tratti caratteriali simili ai nostri, ora le modalità adottate per affrontare i grandi temi dell’esistenza. Il tradimento in amore (l’infedeltà di Zeus o di Afrodite), la ricerca della libertà (Dafne), la ribellione contro l’ingiustizia (Prometeo), la sfida alla morte (Orfeo), la punizione eterna (Sisifo), sono tutti motivi che risuonano nelle nostre coscienze. I miti sono, insomma, il nostro specchio. Crediamo di essercene sbarazzati e, invece, nelle stanze del potere, nelle vicissitudini dell’eros, nelle pene della sconfitta, ecco che riemergono. Ciò spiega perché tanti scrittori e scrittrici, poeti o filosofi, di ieri e di oggi, abbiano attinto alle mitologie d’occidente ed oriente. Per indagare, ad esempio, la natura delle passioni, dei vizi e delle virtù umane, per risalire all’origine dei comportamenti e delle emozioni. La scrittura non soltanto ne consentì però la rielaborazione, trasponendoli nei generi epici, tragici, drammaturgici. Essa stessa, sottraendoli alla oralità, divenne mito del proprio fare. Si scrive, al di là delle intenzioni palesi, per scoprire in quelle storie un senso da attribuire ai propri racconti, spesso nella sorpresa inaspettata di aver ridato voce ad un mito rimasto a lungo latente dentro di noi. Chi ama scrivere, lo faccia per professione o per puro piacere, per un proprio benessere intellettuale o per lenire una sofferenza, si domanda talvolta se la sua stessa passione abbia a che fare con un impulso rintracciabile in quale specifico mito. Ancora Italo Calvino era convinto che « la spinta a scrivere sia sempre legata alla mancanza di qualcosa che si vorrebbe conoscere e possedere, a qualcosa che ci sfugge ». Non pochi sono i miti che hanno fatto della mancanza (d’amore, di felicità, di immortalità) il loro filo conduttore. A chiunque di noi può accadere, dinanzi alle circostanze alterne della vita, di iniziare a scrivere tanto per puro diletto, quanto per sfuggire ad un dolore, per non dimenticare qualcuno o per cancellare dalla memoria quel volto, quel luogo, quel ricordo detestato. L’atto di scrivere, quando si tratti di una scrittura spontanea, non ordinata da necessità pratiche, è guidato dall’inconscio, dal desiderio di comunicare, di frugare nell’ignoto, di diradare le ombre, di trovare quelle parole che la voce zittisce. La scrittura, nel corso del tempo, pertanto ha dato ospitalità ai miti per generare le sue rappresentazioni dell’esistenza: ne è diventata l’Olimpo. Eros, tra i primi, presiede a questa vocazione anche quando sia Ade, signore degli inferi, ad essere il tema del nostra scrittura. Perché l’amore per la scrittura, il desiderio di intrecciare tra
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loro parole da noi create, perché da esse un senso appaia, un messaggio prenda forma, è indizio di un legame fatale con le origini, la memoria, il passato. La scrittura ci aiuta a comprendere la bellezza incontrata. Ridà forma ad Afrodite, ad Artemide, ad Adone o ad Ermione. Scrivere è un istinto capace di risvegliarsi all’improvviso. Ed ecco allora riapparire in conflitto le figure della dea Mnemosyne (la memoria) e della ninfa Lete: regina dell’oblio. Se ha scelto di abitare con noi, si può star certi che girovagherà e frugherà nella memoria guidata da Ermes: il dio del vagabondaggio. Sovente predilige la notte, per abbandonarsi alle sue ossessioni ed ecco che le divinità della paura, le Erinni o la maga Circe, sono loro a guidare la pagina. Alla scrittura (a Graphè) non venne assegnata una dea, maggiore o minore: colei che più le assomiglia è forse l’infelice ninfa Eco. Imprigionata da un maleficio del respinto dio Pan in una roccia. Su queste superfici apparirono i primi graffiti, grazie alla scrittura, Eco la cui parola le venne rubata, ricominciò a narrare. Da allora, protegge i nostri sogni quando decidiamo al mattino di schizzarli su un taccuino; ci è vicina nella sofferenza. Ricorriamo infatti a lei per sopportare il male di vivere, per diradare le opacità, per perdonare e chiedere scusa. Quando nel dolore e nella solitudine non cercata, nell’abbandono e nella perdita, altro non ci resti da fare, per capire, per non dimenticare, per accomiatarci con dignità o riconoscenza, che iniziare a scrivere. Eco ci aiuta a pensare, ma è lei che ci ripensa; che plasma di nuovo quanto credevamo di aver rivelato una volta per tutte. Scuote le nostre pigrizie mentali, riaccendi affetti, fa vacillare i luoghi comuni. Da migliaia di anni, è lo specchio assiduo, molte volte infedele, della condizione umana. Scopriamo così che scrivere è più di un linguaggio. È una “maniera di vivere”, soleva ricordarci Lalla Romano: di gioire, di piangere, di lottare. La scrittura vuole riportare alla luce (come Orfeo), poi fallisce: ed Euridice riprecipita nel regno dei morti. Ci offre un balsamo con Asclepio che poi si rivela un supplizio e un veleno: simile alle pene di Tantalo o Sisifo. La scrittura possiede il dono di rivelarsi l’indispensabile amica e consigliera di ogni minuto. Quando si rende giudice severa del nostro agire e pensare, può mancarci come una figlia di cui ci prendiamo cura. Ma è lei a lenire e a consolare. Quando ce ne siamo avvalsi per suturare le ferite dell’animo, scegliendo di trovare parole che potessero non addolorarci. Scrivendo ci separiamo da noi stessi. Qualcosa sgocciola dal nostro interno e si fa inchiostro. È argilla in attesa di una mano abile o incerta che vagheggia la forma perfetta:
Duccio Demetrio
simile a Pigmalione. Scrivere ci consente di vivere più vite in una come accadde a Proteo dalle mille trasformazioni e forme. La scrittura se per un verso dissemina, sbriciola, scinde, divide, dall’altro, come Aracne mito della tessitura, ricompone i pezzi, cerca di farli combaciare, di rendere plausibile quanto racconta. Scrivere per qualcuno che forse ci leggerà, o soltanto per se stessi, ha il potere di mutare le situazioni più banali in un verso lirico. Una storia qualsiasi in un romanzo, una semplice intuizione in una pagina memorabile. La scrittura rende più persuasivo il nostro parlare. Ci conduce dove e a chi volevamo le nostre frasi sonore giungessero. Riusciamo a dirle come mai mille di esse, affidate alle labbra, avrebbero saputo. Quelle parole, quei ricordi, quelle emozioni, da indefiniti stati della mente e del sentire, grazie alla sapienza e all’arcano di quei simboli cifrati, hanno dischiuso a noi e a chi ci ha letto altri sipari. Altre scene possibili, altre rappresentazioni e immagini del reale. Saremo riusciti a mostrarci più autentici, più evidenti alla nostra coscienza. Se amiamo scrivere, nel gusto di farlo, a modo nostro, scopriamo libertà ed euforie prima impensabili e saremo in grado di comunicare questi nostri entusiasmi. La vocazione della scrittura è la relazione: è ricerca di un lettore anche quando nessuno vorremmo mai ci leggesse. La scrittura è sempre una passione fatale, un destino. Perché la scrittura è già dove non siamo ancora, ci precede. Sopravvive là dove pensiamo di non essere più. La scrittura ci rigenera e feconda altri territori. Rivela siti invisibili a qualunque altro occhio, ci invita ad entrare in stanze dove mai dormimmo. Inventa altre donne e uomini possibili, altre controfigure, sosia e autoritratti. Ci consente di concepire quello che non siamo, dove non andremo mai. Ci aiuta a trovare nell’indicibile le parole approssimative per esprimerlo. Tutto questo, ed altro ancora, agita la mente di chi scrive; di chi lo fa per mestiere non per vendere qualche prodotto maleodorante o ben confezionato e di chi sia stato colto un giorno, in un’ora propizia, in uno stato di grazia che più non ricorda, da una simile feconda ossessione. . Dai miti alle scienze della scrittura e della narrazione Da ormai quasi un secolo, le scienze umane hanno scoperto – sollecitate dal pensiero filosofico – che raccogliere, ascoltare, analizzare le storie di vita è un passaggio obbligato per rischiarare mondi e situazio-
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ni. Per penetrare più in profondità nelle cause e nelle ragioni di eventi che, con un’osservazione soltanto dall’esterno – anche la più accurata e sistematica – non ci potrebbero certamente più oltre svelare quanto hanno da dirci. Le storie delle persone, raccontate da loro stesse, scritte od orali, (autobiografiche) riescono a raccontarci invece ciò che emerge dalla loro interiorità, ci comunicano i vissuti dei narratori, i loro punti di vista soggettivi. Nessuno dovrebbe arrogarsi pertanto il diritto di descrivere o interpretare qualcun altro senza prima averlo ascoltato, aver conversato sui suoi problemi, sui suoi progetti, sul suo passato. Il punto di vista autobiografico si presenta fluido concettualmente, infatti non può essere ricondotto ad una scuola di pensiero Per tre ragioni: soprattutto per la trasversalità della nozione di autobiografia in tutte le scienze che si occupano di singolarità, per non parlare della letteratura e delle arti figurative, dal momento che autobiografico è un autoritratto, un romanzo, una poesia, ecc. — Perché nella sua più corretta dizione etimologica (autos–bios– gràphein: scrivere della propria vita) tale pratica è presente laddove chiunque scriva di sé lasciandoci la sua visione, oltre che del proprio sentire, fare, amare, desiderare, ecc. di quanto lo o la circonda. — Inoltre perché, nella versione più ampia, autobiografico, è tutto quanto noi raccontiamo di noi stessi ad un interlocutore reale o immaginario attraverso la parola, durante una conversazione ad alta voce, in un monologo: nell’attesa di una reazione da parte dell’altro o meno. — E, di conseguenza, è nondimeno racconto autobiografico anche ciò che ciascuno ingaggia nella propria mente, nella segretezza della propria vicenda interiore, nella invisibilità ad altri nelle sue ragioni profonde. Inoltre non si chiede alle autobiografie e alle biografie di fornirci idee per leggi generali, sia di carattere sociale che individuale. La conoscenza delle storie di vita nelle diverse possibilità è un mezzo di analisi affidato alle mani in primo luogo dell’individuo che scrive di sé: ciascuno cresce come donna ed uomo in modo consapevole in ragione della capacità di rielaborare il proprio passato come una
Duccio Demetrio
risorsa per il presente. Ed essere nel presente significa saper pensare, saper scrivere e saper comunicare meglio. L’autobiografia stimola il primo e il secondo sapere: in quanto racconto orale fatto ad altri che poi lo ricostruiranno in un testo narrativo, e in quanto esperienza di parola, invita anche l’illetterato a comprendersi di più. Il mezzo infatti con cui le storie si rendono accessibili è in ogni caso il racconto, e, il racconto, non può che essere sempre unico: due racconti uguali (clonati) si destituiscono in quanto racconti la cui caratteristica consiste appunto nella loro assoluta originalità ed unicità. Si producono e si sono prodotti milioni e miliardi di racconti ogni giorno, in ogni istante: attraverso la loro unicità è possibile risalire alla unicità dello scrittore o del narratore. È vero che possiamo raccogliere tipologie di racconti, ma entro ciascuna di esse poi è il singolo a spiccare in quanto unico autore. Se per la sociologia o la psicologia comportamentistica l’individuo è il “campione di una serie”, per la clinica e per l’approccio autobiografico in pedagogia, l’individuo viene interpellato e ascoltato, invitato a scrivere e a parlare di sé soltanto come evento irripetibile nella storia, nella cultura, nella sua stessa struttura molecolare, genetica, corporea. Un‘ampia letteratura riconosciuta dalla critica, e nota, ci offre – a tal proposito – esempi celebri: mediante i quali scrittori e scrittrici, e non solo nei loro testi autobiografici e diaristici (anche nelle loro opere o nelle argomentazioni saggistiche), hanno esposto con grande efficacia e suggestione narrativa quanto per loro fosse indispensabile, anzi vitale, ricorrere alla scrittura nei momenti di crisi e scoramento. I diari ed altri testi notori di V. Woolf, M. Leiris, A. Gramsci, C. Pavese, di M. Yourcenar, di P. Levi, e tanti altri ed altre attestano inequivocabilmente quanto la scrittura di sé sia una “letteratura dell’io”, cui costoro – fra le figure più emblematiche – hanno fatto ricorso sistematicamente per ragioni diverse da quelle artistiche ed editoriali. Così come i loro “quaderni”ne documentano le iniziazioni giovanili, i passaggi di vita, gli incontri con figure magistrali, le meditazioni sulla vivere e il morire, sulle sorti umane e non soltanto personali. Il che rende ogni autobiografia, gioco forza, sempre “una storia di formazione” e una testimonianza metacognitiva, la cui redazione non può che aver comportato per il suo autore un’occasione e un’opportunità di analisi esistenziale dagli inequivocabili echi filosofici.
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. Le scritture di sé: la peculiarità dell’autobiografia tra cura educativa e terapia Lo scrivere di sé comprende una grande varietà di forme narrative minori (l’appunto personale, il graffito, l’epigramma, la pagina sfogo, la lettera ed oggi un messaggio e–mail che attenga impressioni private, riflessioni su di sé, e persino una messaggistica sms, qualora crei tra le persone legami non più di penna ma di tasto non va trascurato) e maggiori (l’autobiografia in senso proprio, il memoriale, l’epistolario sistematico, il diario sistematicamente scritto). L’autobiografia in senso stretto però rappresenta un unicum tutto particolare, le cui implicazioni non si presentano nelle altre forme citate. Essa infatti non è una narrazione spontanea: esige fatica, pazienza, applicazione, volontà di ripercorrere una traiettoria esistenziale di cui si sono smarrite le tracce. Specie nella malattia, nell’oblio a lungo cercato, nell’inevitabile legge del dimenticare per sopravvivere, l’autobiografia svolge una funzione sia lenitiva, sia auto–estimativa che aiuta lo scrivente a superare la crisi di fiducia. Accorgersi di saper scrivere come di saper parlare di se stessi, quando tutto va franando dentro di sé e intorno, certo non risolve taluni problemi ma, per lo meno, rafforza difese e ci fa sentire al mondo con tutto ciò che comporta intervenire in esso, affrontarlo. E comunque risolve quelli connessi con i blocchi del linguaggio, dell’espressione, della narrazione. Ad ogni modo, autobiografia e diario sono le vie primarie attraverso le quali la scrittura di sé raggiunge i livelli più ambiti e profondi in rapporto agli esiti formativi sia visibili, sia invisibili. Da alcune ricerche emerge infatti che chi ha una consuetudine alla scrittura di sé manifesta modalità relazioni più controllate, meno nevrotiche, oltre ad una maggiore attenzione verso i bisogni degli altri. Si esercita intellettualmente con continuità, ama leggere, cerca risposte che ne coltivano la mente. Poiché chi si avvale della scrittura acquisisce una consuetudine alla autoriflessione, agisce con maggiore ponderazione e dominio di sé: non trasferisce il proprio travaglio altrove, ha imparato a convivere sia con il dolore, sia con i momenti più segreti e intensi della vita. Il rapporto con la sofferenza, così come la ricerca della bellezza, del piacere filtrati dalla scrittura sono inoltre fonte di maturazione e
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miglioramento. D’altro canto, gli scrittori di sé al di là delle manifestazioni osservabili della loro “diversità”, sanno molto bene quanto il lavoro su di sé produca mutamenti, la scoperta di sempre nuove dimensioni del pensiero e della sensibilità. Se autobiografia e diario sono dunque senz’altro il cuore della scrittura di sé, nondimeno va ricondotta al “genere autobiografico” ogni tipo di scrittura, breve, epigrammatica, impegnativa, in prosa o in poesia che metta al centro tutto il valore l’io narrante. Il che ci porta a precisare che, proprio in accezioni cliniche e pedagogiche, è l’attenzione all’io – secondo la psicoanalisi la dimensione conscia dell’attività pensante come è noto – ad interessarci maggiormente. Infatti nel genere autobiografico, pur non dimenticando che ogni scrittura personale cela sempre – sotto la sua immediata semantica – dimensioni inconsce, simboliche, latenti, noi cerchiamo le forme attraverso le quali la consapevolezza di sé e del mondo si esprime. In sintesi, “siamo in autobiografia”, e ci occupiamo di autobiografia, ogniqualvolta diamo luogo ad un campo di attenzioni dedicate al nostro io pensante e narrante (o a quello altrui) che cerca di spiegarsi fatti, ragioni del vivere, quali siano i rapporti tra sé e gli altri e innanzitutto con se stesso. Quindi, in questa accezione ampia dell’autobiografia, non ci limitiamo a raccontare, al contempo riflettiamo: ora scrivendo – in particolare – ora disegnando, ora esprimendoci attraverso quelle forme dell’intelligenza e dell’arte che sono altrettanti, inequivocabili, segni del nostro essere coscienti. Una miriade di individui è all’oscuro di tutto ciò. Per questo occorre promuovere ovunque un’educazione autobiografica che sappia rendersi quindi un invito a riconoscere il proprio io, ad autorizzarsi a pronunciarlo con autonomia e libertà, a trovare un filo conduttore nella matassa intricata della propria esistenza. A dar voce a quell’io autobiografico, sovente ferito e ammutolito, che può re–iniziare a vivere nel momento in cui diventa frase, periodo, brano dotato di senso. La scrittura di sé contribuisce, e non poco, di conseguenza allo sviluppo personale, a quell’ampliamento del sapere di sé e della conoscenza che consente di transitare dalle radici della memoria, all’immaginazione di un’altra o diversa vita possibile. Passato e futuro si alimentano pertanto l’uno dell’altro sviluppando attività che sappiano rimetterci la penna in mano non solo per rimembrare ma per affrontare i nodi
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del presente. In tal modo, considerata non solo come risultato raggiunto, ma come vero e proprio specchio di un procedimento mentale di natura coscienziale, pur continuando a fornire alla storico e allo studioso di forme letterarie un importante testimonianza, è pertanto sempre più valorizzata come metodologia di natura formativa, in quanto stimola al cambiamento il suo stesso autore con le sue stesse intrinseche proprietà. Specie in ambiti quali l’educazione in età adulta e lo sviluppo del pensiero meditativo, ma non solo. Nelle scuole, ad esempio, si consiglia di adottare, finalmente, didattiche appropriate, volte a trasmettere una sensibilità per il “racconto di sé”,attraverso l’incoraggiamento a scrivere lettere, diari, brani attinenti la vita propria sentimentale, anche al fine di educare alla conservazione della memoria propria e altrui. . La consulenza autobiografica e la grafoterapia Quando invece la scrittura autobiografica assume tutto il tono di un evento terapeutico, o per meglio dire, di cura di sé (M. Foucault), essa si incarica di corrispondere ad un “missione” di tipo ora catartico– liberatorio, ora lenitivo e “balsamico”, che può offrire un ausilio efficace e parallelo al trattamento medico, farmacologico e psicoterapeutico in senso proprio. Essa consente di depositare,di “scaricare”, su una superficie cartacea o su una tastiera digitale, quanto sia fonte di disagio e sofferenza. Lo “sfogo narrativo”, corrisponda esso ad un urlo di dolore o ad una richiesta d’aiuto, dà pur sempre luogo all’insorgere di libere associazioni; alla ricostruzione dei nuclei problematici all’origine del malessere psichico, al ritrovamento di ricordi e di traumi rimossi. Svolgendo in tal modo un ruolo sia di carattere sintomatologico, sia riparatorio. La consulenza autobiografica, consiste pertanto nel condurre il paziente o la persona in disagio esistenziale,verso una sempre maggiore disponibilità ad accettare e ad elaborare le cagioni della sua sofferenza, . Per informazioni sulle recenti pratiche di consulenza e grafo terapia: Studio Scriba– Milano c/o Libera Università dell’autobiografia di Anghiari (www.lua.it – segreteria@lua.it ).
Duccio Demetrio
di cui, lo scriverne, oltre al parlarne, svela altri motivi e aspetti non sempre determinabili soltanto con l’impiego della “terapia della parola”. Laddove la terapia assecondi i desideri di scrittura del paziente, vengono sovente analizzate le trascrizioni oniriche (giocoforza autobiografiche) con l’appoggio di nuove figure di specialisti esperti in consulenza autobiografica che incentivano l’ausilio aggiuntivo delle scritture autoanalitiche. La scrittura della propria intera vita, di alcuni suoi episodi, dei momenti cruciali e critici rappresenta, dunque, una pratica in diffusione capace di integrare sia il momento auto formativo che terapeutico, purché sia agita in autonomia e piena libertà individuale. La scrittura di sé non tollera alcuna imposizione: ma soltanto suggerimenti a intraprenderne l’adozione. Il gesto spontaneo dello scrivere di sé e ancor più quando esso diventi una condotta sistematica e regolare, in entrambi i casi, stimola negli scriventi le loro risorse intellettuali e le loro affettività, represse o sopite. Ineluttabile sofferenza, che viene in tal modo monitorata, sia nei momenti di soddisfazione e successo, come aumento dell’autostima, della soddisfazione di riuscire a comunicare.
. Bibliografia Calamari E. (), I ricordi personali. Psicologia della memoria autobiografica, ETS, Pisa. Cambi F. (), L’esercizio del pensiero, Armando, Roma. Cambi F. (), L’autobiografia come approccio formativo, Laterza, Roma– Bari. Demetrio D. (), Micropedagogia. La ricerca qualitativa in educazione, La Nuova Italia, Firenze. Demetrio D.–Fabbri D.–Gherardi, S. (), Apprendere nelle organizzazioni. Proposte per la crescita cognitiva in età adulta, La Nuova Italia Scientifica, Roma. Demetrio D. (, a cura di), Per una didattica dell’intelligenza. Il metodo autobiografico nello sviluppo cognitivo, FrancoAngeli, Milano. Demetrio D. (), Raccontarsi. L’autobiografia come cura di sé, Raffaello Cortina, Milano.
L’autobiografia come crescita cognitiva ed emotiva nelle attività di cura
Demetrio D. (), Il gioco della vita. Kit autobiografico. Trenta proposte per il piacere di raccontarsi, Guerini, Milano. Demetrio D. (), Pedagogia della memoria. Per se stessi, con gli altri, Meltemi, Roma. Demetrio D. (), L’educatore auto (bio) grafo, Il metodo delle storie di vita nelle relazioni d’aiuto, Unicopli, Milano. Demetrio D. (), L’educazione interiore. Introduzione alla pedagogia introspettiva, La Nuova Italia, Firenze. Demetrio D. (), Autoanalisi per non pazienti. Inquietudine e scrittura di sé, Raffaello Cortina, Milano. Demetrio D. (), La scrittura clinica. Consulenza autobiografica e fragilità esistenziali, Raffaello Cortina, Milano. Demetrio D. (), Perché amiamo scrivere. Filosofia e miti di una passione, Raffaello Cortina, Milano. Ferrari S. (), Scrittura come riparazione. Saggio su letteratura e psicoanalisi, Laterza, Roma–Bari. Formenti L (), La formazione autobiografica. Confronto tra modelli e riflessioni tra teoria e prassi, Guerini studio, Milano. Formenti L.–Gamelli I. (), Quella volta che ho imparato. La conoscenza di sé nei luoghi dell’educazione, Raffaello Cortina, Milano. Foucault M. (), La scrittura di sé, « Aut –aut », –, , pp. –. Foucault M. (), Tecnologie del sé. Un seminario con Michel Foucault, in Luther H. Martin, Huck Gutman, Patrick H. Hutton (a cura di), Bollati Boringhieri, Torino. Kaneklin C.–Scaratti G. (, a cura di), Formazione e narrazione. Costruzione di significato e processi di cambiamento personale e organizzativo, Raffaello Cortina, Milano. Oliverio A. (), Il tempo ritrovato: la memoria e le neuroscienze, Theoria, Roma–Napoli. Oliverio A. (), L’arte di ricordare. La memoria e i suoi segreti, Rizzoli, Milano. Ong J. W. (), Oralità e scrittura. Le tecnologie della parola, il Mulino, Bologna. Polster E. (), Ogni vita merita un romanzo. Quando raccontarsi è terapia, Astrolabio, Roma.
Duccio Demetrio
Smorti A. (), Il pensiero narrativo. Costruzione di storie e sviluppo della conoscenza sociale, Giunti, Firenze. Smorti A. (), Il sé come testo. Costruzione delle storie e sviluppo della persona, Giunti, Firenze.
Duccio Demetrio
Genesi di un musicista: la formazione musicale e le sue storie ISBN 978–88–548–5707–0 DOI 10.4399/97888548–5707–06 pag. 61–89 (novembre 2012)
Ascoltare e sapersi ascoltare: la didattica dell’ascolto A C
. Premessa Come ascoltiamo? Quale funzione oggi riveste l’ascolto musicale in ambito educativo? E che potere ha l’ascolto sull’individuo? Sono solo alcune delle domande a cui cercheremo di poter dare una risposta, ahimè, non sempre esaustiva ed esauriente. Viviamo e siamo immersi in un paesaggio sonoro che, per fortuna, è ancora il nostro mondo in cui come punto di riferimento condividiamo l’esperienza quotidiana della musica e non resta e tocca a noi poter individuare e far scoprire questo ambiente. Sappiamo bene che si tratta di un’esperienza che inizia già nella vita intrauterina e che si protrae per tutta l’esistenza, accompagnandoci cosi nella scoperta dell’ambiente che ci assedia, nella relazione con gli altri. Tale esperienza riguarda sia il suono come elemento primario prodotto dall’individuo sia la produzione sonora culturale, cioè il fare musica. Queste esperienze proseguono poi nel gioco infantile, passando per il gioco simbolico e, infine, si concludono nell’organizzazione di queste scoperte sonore. Questo creerà in ognuno di noi un’identità musicale che ci accompagnerà per tutta la vita. La materia sonora, però ha anche il compito di provocare e generare delle emozioni, ciò è importante perché ci consente di ascoltare, e identificare, non soltanto il mondo esterno ma anche noi stessi. In età prescolare ciò è essenziale, perché il discente attraverso la produzione e l’ascolto può far emergere tutto ciò che si muove dentro di lui, può dar sfogo alle sue emozioni lasciandosi trasportare dai suoni e dalle emozioni che ne scaturiscono. Infatti, l’emozione emotiva è fondamentale, perché prendere consapevolezza delle proprie emozioni ed imparare a gestirle significa utilizzarle come uno strumento prezioso per comprendere e governare noi stessi. Il
Antonio Caroccia
rapporto tra musica ed emozioni è una questione complessa, ma il forte legame esistente tra le due è qualcosa che tutti colgono a livello intuitivo anche se, quando si tratta di definirlo con più precisione, ci si rende conto di quanto sia complicato spiegarne la natura. Il suono, però, è anche, e soprattutto, vibrazione. Sappiamo bene che l’esperienza sonora si realizza esclusivamente attraverso il nostro apparato uditivo. Se però facciamo attenzione ed esercitiamo la nostra percezione del corpo, scopriremo che noi non ascoltiamo la musica solamente attraverso l’udito, ma la viviamo anche attraverso il nostro corpo: sotto forma di vibrazioni, che fanno risuonare le nostre cavità naturali, e sotto forma di tensioni muscolari, che la musica stessa produce in noi. Se a questo punto riflettiamo sul fatto che anche le emozioni sono qualcosa che viviamo attraverso il corpo, attraverso le tensioni muscolari e le sensazioni viscerali che sono la base fisiologica del nostro sentire, allora troviamo un punto d’incontro tra musica ed emozioni proprio nel nostro corpo. Non è un caso, probabilmente, che il termine ‘sentire’, sia in italiano che in altre lingue, può far riferimento tanto all’esperienza di ascolto quanto alla percezione delle sensazioni fisiche ed emotive. Vivere le emozioni attraverso un’esperienza ‘protetta’ come quella dell’ascolto, permette di sperimentarle, percepirle con più attenzione, tentare di comprenderle e gestirle, di accettarle o trasformarle. In sintesi, di prendere contatto e confidenza con il mondo delle emozioni. Con le proprie, ma anche con quelle degli altri. Discutere in gruppo di ciò che si è vissuto nell’esperienza di ascolto è un’altra opportunità interessante. Verbalizzare le emozioni è difficile. Difficile è tradurre a parole l’immediatezza esperienziale di un’emozione, ma è sicuramente una competenza che vale la pena di approfondire, lavorando, così, a quella integrazione di pensiero ed emozionalità a cui prima facevamo riferimento, il che può ben rappresentare un obiettivo di crescita e lo si può realizzare in tanti modi: attraverso il corpo, il disegno e verbalmente. Accanto alla capacità di cogliere le emozioni, l’ascolto offre l’opportunità di raggiungere un’altra consapevolezza: e cioè che un brano musicale non susciterà in tutte le persone le stesse emozioni; che ciò che ognuno sperimenta durante l’ascolto è inevitabilmente determinato ed influenzato dalla propria sensibilità e soggettività. Questo può servire a prendere coscienza del fatto che ognuno ha un proprio modo di ‘essere al mondo’, un proprio vissuto e di conseguenza una propria identità musicale,
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una sua specifica emozionalità che determina il suo particolare modo di vivere le situazioni e le relazioni interpersonali. . Silenzio vs suono È nelle zone di confine che i fenomeni sociali sono più difficili da comprendere e al tempo stesso più interessanti da studiare. Un esempio significativo è quello della musica i cui confini sono il luogo effettivo della comunicazione con l’ambiente, dal quale prende essa forma e senso. Per iniziare possiamo prendere in considerazione la relazione tra musica e rumore. A tale rapporto sembrano corrispondere due oggetti estranei l’uno all’altro; tanto che la parola “rumore” indica, generalmente, ciò che non è musica. È veramente cosi? Spesso si tende a considerare musica tutto ciò che è armonia, melodia ecc. e non viene considerata musica uno scricchiolio della porta, lo spostamento di una sedia, il pianto di un bambino e così via. Per trovare una risposta a tutto ciò, è necessario definire cos’è la musica e cos’è il rumore, per poi chiederci se la musica può contenere rumore e viceversa. È una domanda questa che nella quotidianità non ci poniamo, perché spesso ascoltiamo musica senza domandarci quale senso abbia per noi. Entrando nel merito della questione, possiamo aggiungere che la musica quanto il rumore sono riconducibili al suono, ovvero a quella variazione temporale di pressione percepibile all’apparato uditivo. Come sappiamo, per produrre un suono occorre sollecitare un corpo elastico e dare avvio all’emissione di onde, la cui creazione in natura è praticamente ininterrotta: basti pensare ad una folata di vento tra i rami di un albero. Queste onde invisibili, simili a quelle che si possono vedere gettando un sasso in uno stagno, solcano l’aria comprimendola ed estendendola. Un’altra questione di confine, anch’essa di grande rilevanza sul piano sociale, riguarda la relazione tra musica e silenzio. La musica può contenere silenzio? Il silenzio può essere musicale? Come la musica e il rumore, anche il silenzio è riconducibile al suono; anzi il silenzio è parte integrante del mondo dei suoni. Come afferma Piero Quarta non sappiamo nemmeno se esiste il silenzio assoluto. . P. Q, Il silenzio in musica: l’importanza di ciò che non si percepisce, « Rivista della Scuola Superiore dell’economia e della finanza », II, –, , pp. –.
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« Quando non c’è suono, l’udito è ancor più in allerta [. . . ] e, per chi possiede un ascolto limpido, il silenzio è – in realtà – un’informazione ». Per capire bene il silenzio occorre parlare di musica. A tal proposito, possiamo far riferimento a John Cage e al suo ’”. Una composizione, che lo stesso autore considererà come la più riuscita ed efficace. Ma dove sono pentagramma e notazione musicale? Semplice: non ci sono. Tacet (nello spartito) è l’indicazione internazionale con la quale si prescrive a uno strumento di non intervenire per un certo numero di battute, oppure per un intero movimento. Di questo si compone la partitura e in silenzio nel silenzio, si può quindi ascoltare la musica “scritta” da Cage nella partitura della vita, che si ha in quel dato momento e in quel dato luogo. È possibile ascoltare, però, suoni e rumori che provengono dall’esterno e il mormorio degli spettatori. Già, l’esecutore non deve fare assolutamente niente e il pubblico non deve fare altro che ascoltare la “musica” che viene creata dai rumori interni alla sala da concerto (bisbigli, colpi di tosse, scricchiolî ecc.) e da quelli che provengono dall’esterno. Penso che forse il mio pezzo migliore, o almeno quello che mi piace di più, sia il “pezzo silenzioso” (’”, ). È composto da tre movimenti, e in ognuno di essi non ci sono suoni. Volevo che il mio lavoro non fosse condizionato dai miei gusti personali, perché penso che la musica debba essere indipendente dai sentimenti e dalle idee del compositore. Sentivo e speravo di poter condurre altre persone alla consapevolezza che i suoni dell’ambiente in cui vivono rappresentano una musica molto più interessante rispetto a quella che potrebbero ascoltare a un concerto. Nessuno colse il significato. Il silenzio non esiste. Ciò che pensavano fosse silenzio si rivelava pieno di suoni accidentali, dal momento che non sapevano come ascoltare. Durante il primo movimento si poteva sentire il vento che soffiava fuori. Nel secondo, delle gocce di pioggia cominciarono a tamburellare sul soffitto, e durante il terzo, infine, fu il pubblico stesso a produrre tutta una serie di suoni interessanti, quando alcuni parlavano oppure se ne andavano. La gente cominciò a bisbigliare, e alcuni cominciarono a uscire. Nessuno rise, si irritarono quando si accorsero che non sarebbe accaduto nulla, e di sicuro dopo trent’anni non l’hanno ancora dimenticato: sono ancora arrabbiati. . Cfr. R. M. S, The tuning of the world, McLelland and Stewart Limited, Toronto ; trad. it. di N. Ala, Il paesaggio sonoro, LIM–Ricordi, Lucca , p. . . Cfr. <http://perdersi–lab.blogspot.com///john–Cage––.html> (ultima cons. //).
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Cage riconosce al mondo sonoro una vita propria, al pari di tutte le creature viventi e, come tali, nel pieno diritto di vivere la propria durata. Secondo lui « tutto ciò che facciamo è musica », perché: « [. . . ] potenzialmente [il silenzio] contiene tutti i suoni, reali o immaginari, apre le barriere e offre tutte le vibrazioni al musicista perché possa costruire il suo mondo sonoro; è aperto a tutte le possibilità, fino ai limiti dell’indeterminazione: il caso, l’happening saranno le sole regole del gioco ». Presumibilmente, egli non fu capito in quel momento, eppure si considera questo avvenimento, questa provocazione, come uno spartiacque, che ha tracciato un punto di non ritorno ed ha cambiato il modo di pensare, di concepire e di scrivere musica. Cage non voleva che il suo lavoro fosse condizionato dai suoi gusti personali, perché sosteneva che la musica dovesse essere indipendente dai sentimenti e dalle idee del compositore. È per questo che ha invitato ad ascoltare il mondo; la sua opera è intesa come dimostrazione della vita. È l’intenzione di ascolto che può quindi conferire a qualsiasi cosa il valore di opera; Cage voleva “semplicemente” dimostrare che fare qualcosa che non sia musica è musica. Ciò implica di conseguenza un’altra definizione di musica, senso della composizione e dell’atto creativo. Per quanto riguarda la definizione, lo stesso Cage ne propone una: « La musica sono i suoni, i suoni che ci circondano, ci si trovi o meno in una sala da concerto ». Infatti, egli afferma: Penso che la mia migliore composizione, almeno quella che preferisco, è il pezzo silenzioso ’”. Consiste di tre movimenti senza suono. Volevo che la mia musica fosse liberata dai sentimenti e dalle idee del compositore. Ho sentito e spero di aver portato le persone a sentire che i suoni del loro ambiente costituiscono una musica molto più interessante che non la musica che ascolterebbero se si trovassero in una sala da concerto.
Il silenzio, i rumori entrano a pieno titolo nella concezione musi. Cfr. A. F, Armonia celeste e dodecafonia. Musica e scienza attraverso i secoli, BUR, Milano , p. . . Cfr. D. S, L’udibile e l’inudibile, in Enciclopedia della musica, a cura di J. J. Nattiez, volume : Il Novecento, Einaudi, Torino , p. . . Cfr. S, Il paesaggio sonoro, cit., p. . . Cfr. J. C, Interview with Jeff Goldberg, « The Transatlantic Review », –, maggio , p. .
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cale di Cage e « non una selezione di certi rumori, ma la molteplicità di tutti i rumori esistenti o che avvengono ». Grazie a questa affermazione, Cage ha dimostrato che il silenzio non esiste ma è “solo”. . . un rumore di fondo. . Udire e ascoltare Quando si ode e quando si ascolta? Si ode quando veniamo colpiti da uno stimolo percettivo, anche quando non avevamo intenzione di porre attenzione. Quindi è un puro evento fisiologico, che non coinvolge la dimensione psicologica e cognitiva. Il soggetto reagisce passivamente allo stimolo senza intervenire su di esso. Mentre colui che ascolta fa una selezione, focalizza l’attenzione su qualcosa di particolare o che a lui interessa. L’ascolto è perciò un atto psicologico, in cui sono coinvolti sia gli organi sensoriali che l’intelligenza. Risulta esser un buon ascolto quello in cui lo stimolo acustico si traduce, per effetto di attività operative, in un costrutto conoscitivo, che in base all’età e le situazioni potrà collocarsi ai livelli più concreti o più astratti dell’intelligenza. Per sviluppare in maniera adeguata la capacità di “ascoltare–capire i suoni dell’ambiente” risulta necessario: — risolvere eventuali problemi all’apparato uditivo; — esercitare la capacità di concentrazione e la capacità di memorizzazione sonora; — arricchire, rinsaldare, consapevolizzare progressivamente le categorie audio–percettive; — far acquisire strategie organiche di esplorazione–analisi–classificazione; — sviluppare le capacità di rappresentazione–schematizzazione dell’evento sonoro. Quindi la capacità di ascoltare non si acquisisce fin da subito ma si apprende con il tempo. Inizialmente la percezione dei suoni sembra essere generalizzata e sincretica. I bambini molto piccoli non hanno sviluppato un’attività cognitiva sufficientemente distinta dall’azione . Cfr. S, L’udibile e l’inudibile, cit., p. .
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immediata, né dispongono di un sistema di concetti, categorie e operazioni mediante i quali affrontare, in modo diverso, la lettura dell’evento. In primissima età il bambino associa il suono percussivo all’azione di battere o determinati suoni vocali a particolari gesti dell’apparato fonatorio. Manca quindi la capacità di esplorare attivamente l’evento e di coglierne le parti costitutive, dando luogo a una rappresentazione scollegata dall’esperienza immediata. La percezione sonora si mostra nell’esplorazione attiva di un oggetto che si riesce a decentrare. In questa esplorazione vengono sollecitate le risorse intellettive e organizzative del soggetto, al fine di pervenire ad una rappresentazione interiore significativa. L’ascolto “concreto” di colui che ascolta in una determinata situazione è individuale e pertanto mutevole. . L’ascolto generatore di emozioni La musica accompagna gran parte della nostra vita: è di sottofondo nelle nostre attività private, è presente in auto, nei bar, nei negozi, nelle varie sale d’aspetto. Per molti la musica è una compagnia insostituibile, che rende meno noiosa la routine quotidiana favorendo spesso uno stato di benessere psicofisico. Ognuno sceglie la musica in base al proprio bisogno momentaneo: c’è chi vuole rievocare un’emozione positiva e piacevole, chi attutire un’emozione negativa e fastidiosa, chi semplicemente rilassarsi e trovare il suo equilibrio, chi vuole distrarsi, chi stordirsi, chi rafforzare lo stato d’animo corrente con melodie adeguate o creare atmosfere speciali e privilegiate per sé e per gli altri. La musica è capace di suscitare reazioni fisiologiche vegetative automatiche, che solitamente sono al di sotto della nostra consapevolezza: è in grado, per esempio, di modificare la pressione sanguigna, il battito cardiaco, il ritmo della respirazione. Proprio per questo forte potere di attivazione, la musica può modificare i nostri stati emotivi, richiamare immagini, sensazioni, ricordi associati a momenti significativi della nostra vita. Spesso, ognuno sceglie dei brani adatti alle proprie emozioni ed esclude quelli discordanti con il proprio stato d’animo o quelli che provocano disagio. Spesso, e inconsapevolmente, utilizziamo la musica come mezzo personale per un’autoterapia. Ma la musica assume una connotazione ancora più importante per chi la compone, per chi di essa ne fa un’arte trasformandola nelle forme
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più impensabili e creative. L’artista riversa nella sua musica tutta la sua personalità, tutto il suo mondo interiore e spesso le melodie, o semplicemente i suoni che ne vengono fuori, sono il frutto di una tensione psichica intollerante e portano, alla fine, ad una specie di rilassamento mentale e ad una reintegrazione mente, corpo e spirito. Quando un individuo è impegnato in un’attività musicale creativa è immerso in uno stato psicofisico che riunisce aspetti diversi del proprio essere (fisico intellettuale, emozionale e spirituale) ed ha opportunità uniche ai fini di una comunicazione interiore che generano nuove occasioni di scoprire il proprio sé, il quale si esprime lasciando una traccia, qualcosa di unico e di significativo per se stessi e anche per gli altri. Il musicista, sia esso professionista o dilettante inesperto, gode di un particolare benessere quando crea suoni e melodie grazie alla sua capacità di attingere dall’inconscio; così egli esprime, in personali forme, un’impronta che è esclusivamente sua e che nessuno altro potrà mai produrre esattamente nello stesso identico modo. La musica genera emozioni, le emozioni generano l’azione: allora perché non proviamo un po’ tutti ad esprimere la nostra personalità in modo diverso? A strimpellare, a cantare e a giocare con la musica e con gli strumenti a disposizione in maniera nuova? Non importa se ciò che ne verrà fuori sarà un suono melodioso, un rumore strano, se farà ridere, piangere, angosciare, irritare o sognare qualcuno! In ogni caso avrà creato una reazione e magari un’emozione. La musica è capace di portarci in alto: le nostre emozioni, il nostro pensiero e il nostro spirito si estendono oltre le normali restrizioni perché l’arte dei suoni ci spinge verso la nostra interiorità, al centro del nostro corpo. La musica, essendo un’arte è, come sosteneva Freud, una delle più alte forme di sublimazione. Nella crescita del bambino, ad ogni fase di maturazione corrisponde un certo livello. Si parte inizialmente da una comprensione di tipo senso–motorio e sincretico, nella quale il bambino attraverso l’esperienza sensoriale e motoria si adatta al mondo esterno. È il momento in cui impara ad afferrare e a scuotere. Il discente capisce l’evento sonoro assumendolo come vissuto immediato e proiettandolo in azioni corporee che ne rappresentano un equivalente a livello di schema globale d’azione. Successivamente si passa a una comprensione di tipo simbolico–rappresentativo, analitico e riflessivo. Il bambino si decentra dall’evento sonoro dandone una definizione d’insieme. Riconosce
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la ripetizione dello stesso suono o la differenza fra suoni, l’appartenenza di più suoni a uno stesso gruppo. Come stadio finale, ciò che viene ascoltato si traduce, attraverso la costruzione di elaborati simbolici, in disegni, grafici liberi, racconti verbali. Spesso sono queste attività che fanno emergere il mondo interiore del discente, il quale riesce ad esprimere, in forma concreta, la propria comprensione intuitiva degli schemi costitutivi dello stimolo sonoro. Quindi il tragitto più comune che porta all’interiorizzazione dello stimolo può essere cosi descritto: si colgono certe proprietà dello stimolo, quelle che ci colpiscono di più (ad es. suoni gravi e sordi), si elabora un significato affettivo globale (incertezza, paura), si proietta in un secondo momento tale significato su situazioni reali o fantastiche che presentano o suscitano gli stessi effetti emotivi, come ad esempio il cane inseguito dall’accalappiacani, l’arrivo dei marziani ecc. Letture di questo tipo sicuramente stimolano la fantasia e una partecipazione emozionale al suono. L’educazione al suono e di conseguenza all’ascolto, significa quindi da un lato rendere consapevoli i discenti del “paesaggio sonoro” in cui si trovano a vivere (ascolto, percezione, analisi) e dall’altro, sfruttando le competenze naturali e quelle che man mano vengono acquisendo, una produzione di eventi sonoro– musicali che traducano più o meno fedelmente la loro sensibilità. Significa inoltre mostrare ai discenti che anche i fenomeni sonoro– musicali possiedono un “nome”, hanno dei sistemi di codificazione e decodificazone sia personali che collettivi e quindi culturalmente condivisi. Perché educare al suono e all’ascolto? Basterebbe domandarsi che tipo di rapporto noi stessi abbiamo con il mondo dei suoni, cosa ascoltiamo e come ascoltiamo. Basterebbe pensare a quante e quali emozioni genera l’ascolto o la produzione (strumentale o canora) di un brano musicale per capire la unicità delle reazioni a questo fenomeno. Non potendo essere vista né toccata e tantomeno odorata o gustata, i suoni e la musica hanno una relazione con l’anima e con le emozioni, con tutto ciò che non è palpabile. . L’identità musicale L’identità musicale di ognuno si forma in ogni persona a partire dall’insieme delle sonorità e delle musiche che lo circondano dagli inizi
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della sua vita. Mario Piatti propone quattro “contenitori concettuali” (esperienze primarie, vissuti, valori e competenze) che possono servire ad individuare ciò che costituisce l’identità musicale e suggerisce proposte di articolazione del lavoro educativo. Un periodo molto importante per lo sviluppo dell’identità musicale è caratterizzato dalle esperienze sonore e musicali. Nella fase prenatale e nei primi periodi di vita il bambino è immerso in un “bagno di suoni” che incide sul suo sviluppo sensoriale, affettivo, ma anche sullo sviluppo mentale. Si sa che la formazione dell’orecchio avviene in tempi molto precoci, e già alla fine del quarto mese di gestazione l’orecchio è perfettamente funzionante, capace di ricevere le inflessioni della voce dei genitori e riconoscerli dopo la nascita, ma capace anche di vivere una dimensione affettiva ed emozionale, pre–verbale, comunicata proprio dai tratti soprasegmentali del linguaggio e cioè intonazione, altezza, ritmo, dai tratti propriamente sonori e musicali. Nella relazione primaria con la madre – fonte di comunicazione – sono i gesti, gli sguardi, il tono, la postura, la mimica, il movimento che insieme alla voce e alle sue diversità timbriche e, successivamente, con la parola con i contenuti semantici, circondano il bambino di affetti fondamentali dello sviluppo. C’è una stretta relazione tra voce–movimento–tono nella relazione tra madre/bambino, ed è a questo mondo di esperienze musicali primarie da cui si deve partire, perché sono i ricordi musicali legati ai vissuti ludici e piacevoli che consentono di riappropriarsi dell’identità personale. L’esperienza motoria riveste un ruolo molto importante, in quanto permette di attivare vissuti primari che favoriscono e arricchiscono la comprensione musicale. Accanto a questa relazione musica/movimento, c’è un secondo elemento per favorire la scoperta e l’incontro di identità musicali: il dialogo tra musica e storia in prospettiva interculturale. Ognuno di noi ha un proprio vissuto e nel corso della vita vive esperienze sonore, tali da fissarsi nella memoria. Parlo a tale proposito di identità sonora proprio per significare il forte legame che i suoni sono capaci di costituire nella nostra formazione . M. D e M. P, Specchi sonori, identità e autobiografie musicali, FrancoAngeli, Milano , p. . . A. T, Come nasce e si sviluppa l’ascolto umano, RED edizioni, Como , p. . . P. B, Linguaggio corporeo e sviluppo musicale, « Musica Domani », , , pp. –.
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personale, la loro capacità di integrarsi con tutti i momenti della nostra vita e di interagire con altri eventi; ciò consente la nostra costruzione identitaria. I suoni e la musica ci accompagnano fin dalle nostre prime settimane di vita e vanno a costituire una fondamentale via di relazione con gli altri, aiutandoci nella lettura e nell’interpretazione del mondo che ci circonda. La didattica della storia ritiene che solo la consapevolezza della propria identità rende possibile il dialogo, il confronto e l’interazione con l’altro. È importante quindi tener in considerazione la storia personale e locale nel curricolo scolastico. A questo proposito è possibile legare la musica alla storia attraverso dei ricordi personali che riguardano il passato di ognuno, con domande del tipo: Quali canzoni e ninna nanne ascoltavate quando eravate più piccoli? Quali filastrocche vi insegnavano i vostri nonni e quali invece erano le canzoni che ascoltavano i vostri genitori alla vostra età? In questo modo è possibile far emergere le identità musicali di ognuno e al tempo stesso intrecciarle con quelle degli altri. . Le esperienze d’ascolto Nell’esperienza d’ascolto le prime attribuzioni di senso che operiamo nei confronti del suono avvengono sulla base del dialogo intersoggettivo fra noi e le persone con le quali abbiamo una relazione e con le quali condividiamo questa attività. Dal dialogo intersoggettivo è possibile condividere i sensi che ognuno di noi attribuisce alla musica senza che l’altro si senta forzato a pensarla allo stesso modo, ognuno è libero di dar sfogo al proprio mondo interiore, a ciò che i suoni gli comunicano e gli fanno provare. Grazie alla condivisione è possibile scoprire nuovi sensi della musica e a questo proposito è possibile parlare di co–educazione. L’ascolto musicale costituisce, dunque, un’esperienza educativa la cui prima finalità è quella di attribuire senso alla musica: questo meccanismo di attribuzione di senso, non avviene in modo statico e definitivo, ma in modo plastico e mutevole facendo sì che, nel corso della vita, ogni esperienza musicale permetta all’individuo di scoprire nuovi mondi e percorsi sonori. Con il termine ‘esperienza’ ricordiamo il pensiero di Dewey: « l’esperienza è un intento consapevole, occorre cioè connettere le azioni e le loro conseguenze nella percezione, il fare (l’azione) e il subire (la sua conseguenza), il fat-
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to accidentale o la sensazione fugace con le conseguenze esteriori e interiori ». A tal proposito, dobbiamo tener presente che l’ascolto musicale è un’esperienza, ed è tale, perché accosta in una stessa relazione il fare e il subire, in cui la produzione artistica è collegata alla percezione estetica, che è effettivamente il momento finale del processo artistico. L’esperienza della musica passa attraverso l’osservazione, l’esplorazione, la scoperta, la riflessione, lo studio, la consuetudine. L’ascolto, l’esecuzione e la composizione musicale costituiscono i passaggi di un processo circolare in cui la “prassi” diventa occasione di riflessione sulla “teoria” perché accresce l’esperienza, dunque la conoscenza, il sapere, e il sapere perfeziona il fare, che diviene altro sapere. L’educatore musicale può farsi portatore di qualcosa in più: come persona che domina il linguaggio musicale dovrebbe possedere la capacità di far vivere al bambino un’esperienza che gli permetta di attribuire alla musica un ulteriore senso, quello di essere un linguaggio espressivo che l’uomo può dominare attivamente, e di scoprire le affordances della musica che derivano direttamente da questa possibilità di dominio: la capacità di poter pensare musicalmente, di sentire e comprendere interiormente l’arte quando questa non è fisicamente presente, l’esprimere idee musicali personali, l’interagire attivamente col linguaggio musicale per mezzo del linguaggio artistico, l’improvvisazione ecc. Inserire un percorso legato al suono e alla musica all’interno di quelle che sono le competenze e i livelli di sviluppo cognitivo ed affettivo dei bambini significa sviluppare in modo armonico ogni loro singola potenzialità, ampliare in senso globale le loro capacità di ascolto–comprensione, perché ascolto non significa solo comprensione di un testo ma significa anche e, in un certo senso, primariamente comprensione della struttura e della forma di una proposta, ossia la percezione sintetica, e attenzione al tessuto emozionale che la percorre. Si badi bene che ascoltare significa stimolare in senso creativo l’immaginazione per integrare il contenuto ascoltato con particolari unici per ciascuno; l’esperienza di ascolto, anche se . J. D, Arte come esperienza e altri scritti, ed. it. a cura di A. Granese, La Nuova Italia, Firenze , pp. , . . C. C, La gestione del gruppo–classe nell’insegnamento–apprendimento della musica, in Educazione musicale e formazione, a cura di G. La Face Bianconi e F. Frabboni, FrancoAngeli, Milano , p. .
Ascoltare e sapersi ascoltare: la didattica dell’ascolto
fruita in gruppo è sempre un’esperienza individuale, diversa ed unica per ognuno degli ascoltatori coinvolti. Da parecchi anni cerco di pensare all’esperienza d’ascolto musicale, quando vissuta in più di due persone, come ad un’occasione per consentire incontri, scambi, trasformazioni nel gruppo. Questo, normalmente, non accade... la dinamica di gruppo prevalente mi sembra sia quella del parallelismo: si vive l’ascolto senza che l’esperienza, di per sé, modifichi in alcun modo i rapporti. La società in cui viviamo soffre proprio della difficoltà di vivere gli incontri con disponibilità alla relazione o, per lo meno, con curiosità e interessi nei confronti dell’altro [. . . ].
Date tali premesse, Franca Ferrari espone il suo personale contributo (“suggerimento” come lei lo definisce) scaturito dalla lunga collaborazione con la scuola di animazione musicale di Lecco. Tale contributo riguarda essenzialmente l’intenzionalità rispetto all’ascolto musicale e al gruppo e il piacere/compiacimento che ne derivano permettendo all’autrice di presentarci alcuni giochi d’ascolto. Perché il gioco? Perché il gioco presuppone e stimola l’ascolto, anche se cambia il tipo d’ascolto che, di volta in volta, è più o meno concentrato/direzionato su alcuni aspetti particolari sui quali è costruita la regola del gioco. È una nuova prospettiva: si ascolta la musica per stare meglio insieme, per trovare nell’ascolto un “corrimano” allo sviluppo della relazione. Il gruppo può diventare un aiuto eccezionale nell’indurre ad ascoltare meglio la musica, con una maggiore finezza e creatività percettiva. Per quanto riguarda la tipologia di questi giochi d’ascolto, essi possono essere classificati in tanti modi. L’autrice fa riferimento alle categorie piagetiane, riprese per la musica così efficacemente da François Delalande e li divide in tre grandi categorie generali: — Giochi senso–motori: esplorazione spontanea di sincronie ritmico–motorie (muoversi con la musica), o ritmico–verbali (parlare sulla musica); — Giochi simbolici: costruzioni di interpretazioni verbali o mimiche; . F. F, Giochi d’ascolto: l’ascolto musicale come tecnica di animazione, FrancoAngeli, Milano , p. .
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— Giochi di regole: fondamentale è scoprire una delle regole, strutturali o esecutive della musica (durata delle frasi, schemi d’alternanza tra le parti o tra gli strumenti). L’educatore, ora, non deve essere più visto come colui che “insegna” musica e introduce l’allievo in un mondo di regole sempre più complesse, ma come una figura che affianca il bambino nella sua progressiva scoperta del suono offrendogli nuove occasioni di sperimentazione. Come afferma Delalande « stiamo riscoprendo il senso di una reale “non direttività”. Non si tenta di portare il bambino a un risultato predeterminato. Esiste in lui una tendenza e noi in definitiva la rispettiamo. La rispettiamo e la incoraggiamo ». Il termine “gioco” implica soprattutto l’elemento di sperimentazione, di disponibilità al rischio e la gioia della scoperta. La musica ed il gioco fungono da mediatori e consentono cosi la ripresa di un’attività di simbolizzazione.
. L’ascolto musicale nella società di oggi Per una buona didattica dell’ascolto è opportuno che l’insegnante, nella fase di progettazione, si ponga delle domande tipo: cosa fare ascoltare? Perché? Come? Di solito, osservare, pensare e agire sono i tre elementi fondamentali che devono essere costantemente presenti per poter effettuare una buona didattica. Ad esempio, l’insegnante potrebbe partire da: colloqui orali o con brevissima relazione scritta dell’alunno o anche mediante traduzioni figurative da lui compiute, ecc. [. . . ] ad annotare le impressioni che le musiche ascoltate hanno suscitato nel ragazzo onde trarne indicazioni non solo utili a stabilirne meglio le inclinazioni musicali, ma altresì illuminanti sulla psicologia, sul temperamento, sulla maturità e insomma su quell’insieme ‘evolutivo’ del preadolescente che la musica, spesso mette a nudo più e meglio di qualsiasi altro mezzo di indagine e di altra disciplina scolastica. . F. D, La musica è un gioco da bambini, ed. it. a cura di M. Disoteo, FrancoAngeli, Milano , p. . . G, Introduzione all’ascolto, cit., p. .
Ascoltare e sapersi ascoltare: la didattica dell’ascolto
Nella scuola è importante rifarsi al vissuto del singolo discente, in quanto serve come base per elaborare le sue esperienze della vita quotidiana secondo le modalità dei vari sistemi disciplinari. Occupandoci in particolare di educazione all’ascolto, questo tipo di processo deve tenere in considerazione la musica fruita dai ragazzi, e da questo tipo di pre–requisiti elaborare un processo educativo di musica d’arte. Il bagaglio di conoscenze musicali di partenza del discente viene così ad essere direttamente proporzionale alla competenza di cui si deve dotare il docente per attivare un processo educativo che operi su quel vissuto. Non bisogna mai dimenticare che la musica è un’arte temporale che non si coglie in un atto, come invece avviene per le arti figurative. Ciò comporta la necessità di attivare strategie che stimolano l’attenzione e la memorizzazione. « L’ascolto musicale è l’incontro–scontro con un prodotto tramite il mio orecchio culturale, con motivazioni diverse. Un prodotto col quale interagire, di cui appropriarsi, nel quale cogliere principalmente funzioni, significati, strutture, contesti ». Ricordiamo ancora che i nostri primi ascolti risalgono alla nostra vita intrauterina, seguiti poi dalle prime ninna nanne che avevano la funzione di farci addormentare, ai canti e alle musiche che ci stimolavano e ci inducevano a muoverci, a giocare con il corpo, a danzare. I primi aspetti ad emergere erano, dunque, le funzioni musicali. Queste possono essere, dunque, realizzate a dei progetti di ascolto. L’adozione di questo principio metodologico è fondamentale per porre i discenti ad acquisire l’autonomia, per accrescere il loro senso di autoefficacia, la loro autostima e per indirizzarli sempre più verso un ascolto condiviso. . Motivare all’ascolto della musica Molto spesso l’ascolto musicale viene vissuto come sottofondo ad attività di tipo ludico, ricreativo o pittorico, al di fuori o in assenza di un articolato e coerente progetto educativo. Con il passare del tempo e con l’entrata in vigore dei nuovi programmi, si è tentato di collocare il problema dell’ascolto in una nuova prospettiva. La musica ha . Esperienze di ascolto, a cura di C. Delfrati, Ricordi, Milano , p. .
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un suo linguaggio e per questo l’insegnante dovrebbe sviluppare le capacità relative all’uso di un linguaggio, ovvero la comprensione e la produzione. Tutto ciò prevede uno stretto legame fra il momento della produzione del messaggio sonoro e musicale e quello della fruizione. Le attività del fare musica e dell’ascoltare musica, diventano cosi complementari, consentendo di rinforzarsi a vicenda. La motivazione del discente, all’ascolto musicale, si ha quando egli sa cosa e come ascoltare. La didattica del suono non deve assolutamente dispensare nozioni o migliorare delle tecniche, ma deve fornire ai discenti i mezzi per apprendere il mondo sonoro. È importante lasciar loro manipolare, agire e sperimentare su materiale reale, su oggetti fisici. Concettualmente nella didattica dell’ascolto è errato proporre ai discenti solo o prevalentemente un certo tipo di musica e, dunque, fare una selezione. Ad esempio, l’ascolto di un brano classico, piuttosto che leggero, potrà fornire infiniti spunti, creare differenti atmosfere magiche, essere lo sfondo per giochi, imitazioni, scenette, potrà innescare gli ingranaggi della fantasia. I bambini sono capaci di ascoltare ancora prima che glielo si insegni. Ma ascoltare che cosa, in quali condizioni? E come condurli gradualmente ad apprezzare una musica di repertorio? La musica per essere recepita attivamente, deve andare incontro a una aspettativa, soddisfare una curiosità, o un bisogno. È importante rifarsi al vissuto del singolo discente: è la base per elaborare le sue esperienze della vita quotidiana secondo le modalità dei sistemi disciplinari; questo tipo di processo deve tenere in considerazione la musica utilizzata dai ragazzi, e da questo tipo di pre– requisiti predisporre un processo educativo di musica d’arte. Spesso l’insegnante, dopo un ascolto, pone la domanda: “cosa ne pensate?” “cosa significa?”, domande che hanno un preciso obiettivo, ovvero guidare gradualmente la classe verso la risposta che il docente vuole ottenere. Questo metodo crea nei discenti una sorta di imbarazzo, di disagio che li porta a un’incapacità di reagire ad un testo sonoro imposto, verso cui non si è posta alcuna domanda. Saper ascoltare, in primo luogo, significa saper porre domande al testo: insegnare ad ascoltare è insegnare a porre “domande” al testo, sapendo che è il testo musicale
. D. R, La didattica dell’ascolto: strada maestra per educare alla musica, « Civiltà musicale », XX, , gennaio–maggio , p. .
Ascoltare e sapersi ascoltare: la didattica dell’ascolto
a dover rispondere ai nostri percorsi di pensiero e non viceversa. L’azione didattica dovrebbe provvedere all’organizzazione di situazioni capaci di sollecitare la curiosità, lo stupore, le emozioni degli alunni e fornire stimoli e occasioni che permettano loro di sperimentare ed esprimersi attraverso i linguaggi più vari. L’insegnante deve dar spazio a ciò che i bambini già sanno, deve saper cogliere le risorse potenziali del discente, (ognuno è diverso dall’altro per conformazione fisica e fisiologica, potenziale senso motorio, risorse psicologiche, cognitive, background socio culturale), filtro essenziale per far transitare ogni proposta didattica. Ma ciò che è importante è conoscere il vissuto musicale dell’alunno, ossia la sua “identità musicale”. La scuola deve tenere in considerazione il cammino che il discente ha già svolto per conto proprio, i dati che la sua ricerca spontanea, i rapporti famigliari gli hanno fornito: essa non può presentarsi con un suo progetto che parte da un punto lontano a quello a cui il bambino è arrivato e non si innesta direttamente nella sua storia di relazione. Il compito della scuola è quello di analizzare l’esperienza del bambino (di ciascun individuo), riconsiderarla e verificarla insieme a lui, di fornirgli nuove occasioni e nuove piste di ricerca. Come afferma Dewey « la vita sociale del fanciullo è il principio unificatore di tutta la sua educazione ». Il “piacere del fare” dovrà assumere un aspetto privilegiato in ogni attività, (sia individualmente che nei lavori di gruppo): dal soddisfacimento del gioco sonoro–musicale spontaneo di tipo esplorativo si giungerà al piacere della ripetizione e della memorizzazione (gioco d’”esercizio”), fino all’organizzazione e alla produzione di idee musicali (gioco “di regole”). Si passerà gradualmente dalla percezione alla cognizione. I vissuti musicali dell’allievo, le sue emozioni, restano il trampolino per i lanci successivi. Il discente per sentirsi davvero motivato e incoraggiato deve aver la possibilità di esplorare il suo mondo sonoro, a distinguere i suoni prediletti da quelli che gli sono più . P. R, Ascolto: problemi e strategie di una tecnica didattica, « Bequadro », –, aprile–settembre , p. . . C. D, Il maestro ben temperato. Metodologie dell’educazione musicale, Curci, Milano , p. . . J. D, Il mio credo pedagogico, ed. it. a cura di L. Borghi, la Nuova Italia, Firenze , p. . . Musica nella scuola. Un percorso possibile dalla scuola dell’infanzia alla scuola secondaria di secondo grado, a cura del Gruppo di ricerca Curricoli per la musica, IPRASE, Trento , p. .
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incomprensibili, a utilizzare i primi per le sue emozioni, e a inserire i secondi per costruire discorsi musicali più articolati. Come con i colori, anche con i suoni i gusti di ogni bambino sono personali. La musica, in quanto arte, sviluppa modalità di percezione e di pensiero: « non lineare non astratto, non concatenato logicamente, ma flessibile, intuitivo, legato ai sensi e all’immaginazione ». L’insegnante, oltre a tener in considerazione ciò che la musica significa per il bambino, è importante anche far riferimento al versante della socialità, ovvero quello a cui è fatta servire nella società, il suo universo semantico e il suo universo pragmatico. Il percorso musicale di ognuno di noi attraversa tappe comuni: si parte dalle ninna nanne, dalle “coccole orali” della mamma, fino ad arrivare alle sigle dei telegiornali. In mezzo a queste due si assiste ad altre esperienze di vita, tra le quali il coro dei fedeli, la preghiera cantata, la banda municipale alle feste del paese e così via, queste sono situazioni speciali cosi come lo è il concerto live, mentre diventa suono quotidiano quello dei media: tv, cinema, radio, computer. A tutto ciò, vi sono i suoni dell’ambiente, i rumori domestici, naturali, stradali ecc. Sono tutti vissuti del bambino, che fanno parte del suo vissuto sociale e gli permettono di scoprire le valenze semantiche di cui la musica è per lui portatrice. Aumentano sempre il suo desiderio di conoscere e partecipare. Il bambino vive esperienze reali di musica nella sua vita quotidiana che si inscrivono nelle funzioni sociali della musica. Quindi il percorso didattico si articola in più fasi: — vissuto personale del bambino (versante dell’interiorità); — esperienze di vita sociale (versante della socialità); — esplorazione sistematica dei “luoghi della musica” legati alla sua funzione sociale: dove troviamo la musica, in quali situazioni? A cosa serve la musica in quella situazione? — dalle funzioni alle strutture del linguaggio musicale: che caratteristiche deve avere una musica per poter assolvere a questa, o quella, funzione? (come deve essere per adattarsi a una cerimonia, a un funerale ecc.). . P. T e P. B, Insegnare con i concetti la musica, FrancoAngeli, Milano , p. .
Ascoltare e sapersi ascoltare: la didattica dell’ascolto
La musica è una forma di conoscenza in cui l’aspetto cognitivo ed affettivo si legano: la simbolizzazione musicale avviene secondo uno « scambio continuo tra affettività e cognitività ». . L’ascolto dei media I ragazzi di oggi hanno, principalmente, come bagaglio di conoscenza musicale quello offerto dai media: a parte alcuni casi di utilizzo di brani di repertorio che fanno da sfondo alla pubblicità di certi prodotti commerciali, si tratta di una base poco solida per costruire una didattica musicale. Nell’apprendimento scolastico, si opera il passaggio dalle esperienze frammentarie e casuali della vita d’ogni giorno alle rappresentazioni della realtà realizzate secondo le modalità dei differenti sistemi disciplinari. Come sappiamo, i bambini sono inseriti in un mondo sonoro perfino troppo saturo, sappiamo, che tranne rare eccezioni, nell’”informale” trovano poche occasioni di confronto con i capolavori della musica e con la loro esecuzione. L’insegnante dovrà sollecitare, il più possibile, il contatto con una molteplicità di “oggetti musicali” epistemologicamente ed armonicamente rilevanti. È importante spostare l’attenzione sulla zona di sviluppo prossimale per promuovere il passaggio fra quello che il bambino sa e sa fare e invece quello che può sapere e può fare. Di fronte a qualsiasi tipo di brano, forte è comunque il rischio di limitarsi a provocare una fruizione analitica, informata ma indifferente. È più efficace, a nostro avviso, far precedere l’ascolto da attività di esplorazione strumentale vissute facendo provare un piacere senso–motorio. È importante far vivere la musica attraverso esperienze gratificanti, non solo mediante l’ascolto, ma anche realizzandola di persona, a differenza dei media che tendono principalmente a promuovere il mercato dei prodotti. Oggi lo scopo principale della pubblicità è quello di far memorizzare un nome, un simbolo, collegarlo ad ambientazioni particolari, a personaggi importanti, a situazioni accattivanti, di cui spesso i bambini hanno un particolare interesse, come personaggi e sigle dei loro cartoni preferiti. Chi guarda la pubblicità di un determinato prodotto viene colto nell’immediato, viene coinvolto senza lasciar spazio al pensiero, solo . Ivi, p. .
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un’accurata analisi potrà rivelarci l’intenzione vera di quello spot televisivo, consentendoci di valutare ciò che è finzione, allusione, stimolo e ciò che, invece, è informazione oggettiva. Spesso, viene utilizzata una determinata musica per mettere in risalto gli elementi comunicativi dello spot. Dietro alla pubblicità c’è sempre un messaggio, ed è opportuno dedicare del tempo a qualche semplice manipolazione per comprendere meglio la funzione dei vari elementi comunicativi. Anziché far vedere la pubblicità con audio e video si potrebbe far tacitare uno dei due, per far concentrare l’attenzione dei ragazzi sugli aspetti visivi o sulla musica e sulle parole oscurando lo schermo del televisore. In questo modo i bambini focalizzeranno di più l’attenzione verso ogni aspetto (l’audio e il video). Per Maurizio Della Casa: « i bisogni non vengono desunti dalla consapevolezza attuale che ne ha l’alunno, quanto dalla individuazione da parte dell’insegnante, di ciò che a livello della realizzazione della persona e di azione culturale, nell’attuale quadro socio–storico, potrà risultare per lui significativo ed essenziale ». Ciò che è importante è far emergere nei bambini la consapevolezza di ciò che ascoltano, di far crescere e maturare un ascolto attento e non superficiale. Il sapere già posseduto dai discenti è caratterizzato dalle musiche di consumo, che nella stragrande maggioranza rappresentano le sole musiche a loro famigliari. Come tutti gli altri tipi di insegnamento, è importante partire dai bisogni e dalle competenze degli studenti: che cosa cantano, suonano, ascoltano. . . ma la scuola non deve assecondare ciò che già sanno e vogliono fare i ragazzi, ma come afferma, sempre, Della Casa « più che cercare interessi preesistenti, essi vanno generati ». Franca Ferrari sottolinea, invece, che la cultura musicale dei ragazzi, come tutte le altre forme di cultura di base, non è frutto di lettura e conoscenza, ma di familiarità e si acquista, come l’abbronzatura, con l’esposizione a fonti di oralità primaria (la viva voce di amici o parenti) oppure, sempre di più man mano che si passa dall’infanzia all’adolescenza, con l’esposizione ai mass media, cioè alle fonti di oralità secondaria. . F. G, Esperienze d’ascolto nella scuola dell’obbligo, a cura di C. Delfrati, Ricordi, Milano , p. . . M. D C, Educazione musicale e curricolo, Zanichelli, Bologna , p. . . Ibid. . F. F, Educazione musicale e mass media, in Enciclopedia della musica, a cura di J.
Ascoltare e sapersi ascoltare: la didattica dell’ascolto
La musica per i bambini come per gli adolescenti è il piacere del gioco senso motorio, ma soprattutto « un tonificante della tensione muscolare ». . Il gioco simbolico e l’ascolto musicale Il bambino prova piacere a imitare i modelli comportamentali dell’adulto, al “far finta di”. La musica si avvicina al gioco simbolico dell’infanzia, in quanto essa mima il reale, evoca un movimento, una situazione vissuta, o ancora, anzi proprio per questo, dei sentimenti: i sentimenti sono associati a precise esperienze del movimento e del proprio respiro. I nostri gesti sono caratteristici delle nostre emozioni e sono inscritti nella musica. Si può essere vivaci quando si è allegri, lenti quando si è tristi. . . Le condotte musicali hanno generalmente uno scopo simbolico, nel senso che “la generazione di suoni e di strutture sonore non è fine a se stessa e che l’intenzione dei musicisti è anche quella di rinviare a qualcosa di altro dal suono, che può essere costituito da immagini, emozioni e storie fantastiche.” Delalande individua nella musica le tre forme di gioco, senso–motorio, simbolico e di regole. Queste tre forme corrispondono a tre tipi di attività che nel bambino si manifestano spontaneamente. Educar i bambini significa sviluppare un’attività ludica che già è presente in loro e che è la sorgente del gioco musicale. I bambini sono circondati da suoni, rumori. . . ed è importante, a mio avviso, educare anche ad affinare l’orecchio e abituarlo a identificare ciò che sente, da dove proviene e che cosa l’ha provocato, in quanto il primo riflesso, dal momento che si sente un rumore, è quello d’identificarne la causa: una porta che sbatte, un bambino che gioca a pallone, il suono del campanello, il rumore del clacson. . . il suono strumentale non sfugge a questa regola d’identificazione che fa riferimento sempre ad un movimento. A questo proposito Robert Françes vedeva nel movimento un livello di “significazione primaria” della musica. Dalle sue riflessioni non J. Nattiez, vol. : il sapere musicale, Einaudi, Torino , p. . . Ibid. . R. F, La Perception de la musique, Vrin, Paris, , pp. –. . F. D, La musica è un gioco da bambini, cit., p. . . Ivi, p. .
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fa riferimento a qualsiasi movimento, ma in particolare quello che sente dentro di sé, associato a degli stati psicologici. Françes considera questo simbolismo cinestesico come il mezzo di cui dispone la musica per evocare delle emozioni e dei sentimenti. Questo simbolismo cinestesico potrebbe essere la chiave della rappresentazione degli affetti, è anche uno dei grandi mezzi di espressione sonora del bambino. L’esperienza senso–motoria conduce frequentemente ad associare una forma sonora a un gesto che la produce. Ogni gesto produttore del suono si carica di un valore simbolico, ovvero tutti quei codici o condotte che il bambino adotta per associare il senso al suono, prodotto o ascoltato, in modo particolare nei suoi giochi. Non bisogna sottovalutare questo aspetto perché sono tutti linguaggi, pre– linguaggi che vengono utilizzati per chiamare o manifestare le proprie emozioni. Tutto ciò che il bambino produce non è nient’altro che la rappresentazione di un movimento. In base all’età, all’esperienza, al contesto pedagogico, l’esplorazione può svilupparsi in rumorismo, e allontanarsi dalla musica, oppure avvicinarvisi, giocando sulle inflessioni espressive. Il rumorismo realistico è caratterizzato da due casi confinanti, apparentemente molto vicini ma in realtà con valenze musicali assolutamente differenti, in quanto vi è il suono che rappresenta un movimento, (si pensi al “gesto evocato”), e quello della scoperta di una particolarità sonora, momento cruciale dell’invenzione musicale. Nella scuola dell’infanzia, cosi come nei primi anni della scuola primaria, si assiste all’esuberanza dei bambini nello sbattere sempre più forte le mani sopra il banco per fare più rumore possibile. A questo proposito, e dagli studi compiuti, dobbiamo chiederci: è un piacere motorio o una forma di espressione? Un tipico esercizio che l’insegnante assegna è quello di dissociare la forza dalla loro frequenza: battere sempre più forte senza accelerare, o sempre più lentamente, ma sempre forte. La difficoltà dei bambini sta nel discriminare ciò che è veloce e forte, lento e dolce. Loro associano il veloce al forte e il . L’esplorazione di un corpo sonoro si sviluppa in tre stadi: . l’esplorazione dell’oggetto materiale, nelle sue proprietà meccaniche e visive; . l’esplorazione delle possibilità sonore in funzione dei gesti; . la centrazione su una “particolarità” sonora che può essere a sua volta “esplorata” mediante variazioni. . Con il termine “rumorismo” si indica il lavoro del rumorista, cioè di colui che è addetto alla produzione di rumori o effetti sonori che accompagnano l’azione nelle produzioni cinematografiche, teatrali. . .
Ascoltare e sapersi ascoltare: la didattica dell’ascolto
lento a qualcosa di dolce. Questo viene giustificato da Delalande come un fatto psicologico, le implicazioni affettive sono evidenti: la violenza opposta alla dolcezza, l’esteriorità all’interiorità. . L’ascolto storico Il primo studio sistematico dedicato alla storia dell’ascolto è stato probabilmente L’ascolto musicale nell’età moderna del musicologo tedesco Heinrich Besseler, pubblicato nel . Hugo Riemann fu il primo grande studioso a porsi la questione: come si ascolta la musica? Egli riconobbe che l’ascolto musicale « non consiste solo nel ricevere passivamente l’effetto dei suoni sull’apparato uditivo, ma nell’attivarsi di funzioni logiche dello spirito umano ». Prima della pubblicazione di questo testo l’attenzione degli studiosi sull’ascolto era stata focalizzata su altri aspetti della pratica dell’ascoltare. Hermann Helmholtz aveva analizzato alcuni aspetti legati alla fisica del suono ed alla fisiologia dell’ascolto. Il filosofo e musicologo Riemann fu il primo ad occuparsi della questione dell’ascolto partendo dal presupposto che sia necessariamente una funzione attiva. La psicologia del suono aveva già mosso i primi passi con Stumpf. Besseler, si occupa non solo di storicizzare il rapporto tra ascoltatore e mondo sonoro, ma anche di analizzare alcuni aspetti dell’inserimento della musica nella vita quotidiana. Egli prende in considerazione il periodo che va dal al . In questo arco di tempo vanno a intrecciarsi ed a sostituirsi quattro diversi tipi di ascolto, legati alle specifiche sociali e culturali dell’epoca. — Nel XVI secolo la produzione musicale era prevalentemente orientata alle opere religiose. Lo stile dominante dei secoli XV e . H. B, Das musikalische Hören der Neuzeit, Akademie–Verlag, Berlin , trad. it. di Maurizio Giani, L’ascolto musicale nell’età moderna, il Mulino, Bologna , p. . . Hermann Helmholtz nel pubblicò Lehre von den Tonempfindungen als physiologische Gründlage für die Theorie der Musik (Teoria delle sensazioni sonore come fondamento fisiologico per la teoria della musica). . Hugo Riemann nel pubblicò Über das musikalische Hören (Sull’ascolto musicale). . Carl Stumpf fu il primo a spostare l’attenzione dall’udito come fenomeno fisico e fisiologico alla “sensazione sonora”.
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XVI era quello legato alla polifonia corale. Mancava l’articolazione in battute ed il tempo scorreva in segmenti di pari lunghezza. L’interpretazione del testo era più libera che non oggi, poiché il gruppo mensurale era basato più sulla misurazione del tempo che sull’idea di contare le battute. Quindi anche il ritorno insistente di una particolare combinazione di suoni era giudicato sconveniente. Per capire l’importanza della polifonia corale e del testo nella musica di questo periodo, ci ricorda Besseler, occorre tenere presente il ruolo centrale che aveva la parola in tutta Europa: « poiché la Riforma, seguendo in questo Sant’Agostino, distingue tra foris audire e intus audire, tra il mero registrare nell’orecchio e l’afferrare con lo spirito, l’intus audire, l’ascolto della parola divina, colta nella fede e vissuta come esperienza sacra, viene a collocarsi al centro della musica da chiesa evangelica ». In tutta Europa la struttura dei componimenti musicale era molto simile. E la “corrente vocale” si sviluppa in questo periodo come “linguaggio della fede universalmente riconosciuto”, presente sia nel periodo della Riforma che della Controriforma. L’ascolto che ci si aspettava dal pubblico di fronte alla polifonia corale era, secondo l’autore, diretto a “raggiungere una comprensione spirituale”. “L’ascoltatore non può limitarsi ad ascoltare con i sensi, ma deve in pari tempo anche percepire con la mente”. L’ascolto in questo periodo aveva quindi una doppia natura: una di ricezione musicale e l’altra di esercizio spirituale. L’ascoltatore doveva seguire il progressivo costruirsi del brano; impresa questa non facile visto che, come abbiamo detto, in questo periodo era considerato sgradevole il ricorrere di melodie e parti facilmente memorizzabili. L’ascoltatore si abbandonava quindi alla corrente musicale come ad un flusso ininterrotto, sempre nuovo e sempre diverso. — Nel XVII secolo la produzione musicale iniziò lentamente ad acquisire una propria autonomia rispetto alla liturgia. Nel fu costruito a Venezia il primo teatro destinato al pubblico. È in . . . .
B, L’ascolto musicale, cit., p. . Ivi, p. . Ivi, p. . Ibid.
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questo secolo che si inizia ad utilizzare il modello di “opera” in musica: un’opera d’arte eseguita espressamente da un gruppo di professionisti per un pubblico che pagava il biglietto in appositi spazi, non più partecipante ma ascoltatore. Nel Seicento si cerca di mettere in atto l’esecuzione di musica autonoma, dando vita all’esecuzione musicale come noi la conosciamo. La capitale di questa nuova tendenza è l’Italia, che gradatamente la esporta in altre aree dell’Europa. Il fatto che le novità italiane vengano accolte selettivamente, con forme e gradi diversi di zona in zona, rende il panorama musicale europeo molto più variegato rispetto al secolo precedente. Accanto alle opere di polifonia vocale, caratteristiche del Cinquecento, compaiono opere che si ispirano alla musica da ballo: il gruppo mensurale si trasforma progressivamente in battuta, per poter dare il ritmo. Dal punto di vista prettamente compositivo, un elemento di fondamentale importanza è l’introduzione della ‘discontinuità’; « la costruzione musicale avviene per cellule a partire da membri minori e minimi », che va a sostituire la continuità della “corrente vocale”. L’elaborazione motivica permette un ritorno di modelli che possono essere assimilati dal pubblico e riconosciuti. Di fronte a queste mutazioni sociali e compositive si sviluppa una modalità d’ascolto più propriamente legata alla morfologia della musica ed alla capacità di comprensione di una struttura formale. L’ascolto diviene cioè una pratica attiva. Come osserva Besseler: « l’ascoltatore si fa partecipe dell’esecuzione in modo del tutto nuovo: confronta i vari elementi, osservando mutamenti e ritorno dell’identico, segue l’unirsi dei membri di gradino in gradino e così porta a compimento la costruzione. In questo modo l’uomo diviene l’autentico portatore dell’opera, ed a lui, dopo il , rimanda tutta la musica ». — Nel XVIII secolo i teatri si sono ormai affermati come spazi sociali pubblici. La festa di corte, prima luogo musicale fondamentale, è in declino, sebbene continui a svolgere un ruolo significativo fino al XIX secolo. Nel a Lipsia i musicisti e gli ascoltatori vengono per la prima volta separati fisicamente all’interno del teatro. . Ivi, p. . . Ivi, p. .
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Tutte le forme di compartecipazione all’esecuzione (il pubblico che accompagna col canto l’orchestra, ecc.) vengono progressivamente bandite; l’amatore diviene spesso, tuttavia, un musicista attivo ed entra a far parte delle orchestre o coltiva l’esecuzione privata di Lieder e musica da camera. Per quanto riguarda la composizione, continua ad essere fondamentale la presenza di singoli membri (unità) musicali, che però nel corso del XVIII secolo si strutturano in un una forma organizzativa superiore: si passa dalle arie brevi dell’opera del Seicento alle grandi arie del Settecento. Il modello della danza sviluppatosi nel secolo precedente diventa adesso dominante. Fondamentale innovazione di questo secolo è il tema, che diviene l’elemento portante dell’opera. La prospettiva dell’ascolto attivo a questo punto si radicalizza. È proprio nel Settecento che prende forma il passaggio da Umgangsmusik a Darbietungsmusik, cioè da “musica–funzione” mondana a “musica–rappresentazione” che gode di uno status interamente autonomo. Questo sviluppo avviene con la costruzione di spazi fisici appositamente dedicati alla musica. Sopraggiunge un mutamento di paradigma: lo stare fermi ad ascoltare un’esecuzione diviene un’attività nel senso più proprio del termine. In questo periodo l’ascolto si trasforma nell’attiva messa in opera di pratiche di sintesi che permettono di cogliere una ”unità di senso musicale” in ciò che si ascolta. Adesso l’ascoltatore deve essere in grado anche di comprendere e sintetizzare periodi di otto battute e metterli in relazione gli uni con gli altri. In questo periodo alla musica strumentale, proprio grazie all’introduzione del tema, viene attribuita la capacità di “stimolare tutti gli affetti mediante i semplici suoni (anche senza l’aggiunta di parole o versi)”. Questa è una concezione della musica che affonda le sue radici nella filosofia greca dell’ethos musicale. Verso la fine del secolo si inizia a pensare all’opera musicale come espressione diretta della personalità del compositore, e l’ascolto messo in pratica come sua conseguenza. Come osserva Besseler: « mediante la sintesi, dal mutare dei motivi scaturisce l’unità del tema. Il contenuto del tema però non è più . Ivi, p. . . Ivi, p. .
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inteso a partire dall’oggettività degli affetti, ma come espressione di una personalità ». — Nel XIX si rafforza l’idea dell’opera musicale come espressione del carattere del compositore. Le sale da concerto divengono una delle principali istituzioni sociali e culturali. Il Romanticismo porta con sé l’idea del rapimento estetico ed incantato dei sensi. Sebbene i romantici “riscoprano” la musica sacra e Palestrina, un’innovazione stilistica diviene decisiva: nel Lied romantico Schubert inserisce il modulo esecutivo dell’accompagnamento per pianoforte. L’opera decolla così verso una dimensione romantica dominata dall’atmosfera emotiva, nella quale si cerca di riunificare i caratteri dell’interno e dell’esterno. Si affianca così all’ascolto attivo–sintetico sviluppato nel secolo precedente un nuovo tipo di ascolto, l’ascolto passivo, caratterizzato dal trasporto dell’ascoltatore. L’ascolto attivo assume un ruolo subordinato, e la chiave di lettura della musica consiste nel lasciarsi andare completamente. Osserva Besseler: « l’ascoltatore non afferra più l’opera come un oggetto che viene costruendosi davanti a lui, ma la esperisce nell’immediatezza; in un certo modo diviene egli stesso la musica. Non si tratta più di una sintesi del tipo di quella settecentesca, ma di uno sprofondare mistico nell’opera ». Nel , si ha con Richard Wagner un cambio di prospettiva, uno stile completamente personale con il Rheingold (L’oro del Reno). In esso la musica viene identificata con la « corrente della vita ». L’intento artistico che la musica moderna persegue in ciò che con gran forza ma anche con oscurità oggi viene definito “melodia infinita”, lo si può spiegare cosi: si scende in mare, a poco a poco si perde il passo sicuro sul fondo e alla fine ci si abbandona alla mercé dell’ondeggiante elemento: bisogna nuotare. Nella vecchia musica precedente si doveva, in un grazioso o solenne o focoso andirivieni, in un “presto” o in un “lento”, danzare; dove la misura a tal fine necessaria e il fatto di osservare determinati, simmetrici gradi di tempo e di forza, costringevano l’animo dell’ascoltatore a una continua attenzione: sul contrasto tra questa corrente d’aria fredda, che proveniva dall’attenzione, e l’ardente respiro dell’entusiasmo musicale, si basava il fascino di quella musica. . Ivi, p. . . Ivi, p. .
Antonio Caroccia Wagner volle un’altra specie di movimento dell’anima che, come si è detto, è affine al nuotare e al fluttuare. Forse ciò che costituisce il fatto essenziale tra tutte le sue innovazioni.
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Ascoltare e sapersi ascoltare: la didattica dell’ascolto
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Antonio Caroccia
Genesi di un musicista: la formazione musicale e le sue storie ISBN 978–88–548–5707–0 DOI 10.4399/97888548–5707–07 pag. 91–101 (novembre 2012)
Dall’asilo nido all’età adulta, lo sviluppo dell’invenzione musicale F D
Poiché siamo invitati a riflettere sulla genesi di un musicista, seguirò questa genesi come un percorso che conduce dai primi mesi di vita fino all’età adulta. Il mio “filo conduttore” sarà lo sviluppo dei comportamenti di esplorazione e di invenzione. Vedremo come è possibile, man mano che il bambino cresce, stimolare il processo di invenzione grazie a dei sistemi adatti ad ogni età. Confessiamo subito che questo percorso è immaginario. Non esiste il caso ideale di un bambino che possa incontrare, nel corso del suo sviluppo, condizioni favorevoli, per lo meno negli organi educativi come l’asilo nido, la scuola o il conservatorio. In genere si favorisce la creazione alla scuola materna ma, a partire dalla scuola elementare, si passa alle cose serie e si abbandona l’invenzione musicale, perché il maestro o la maestra sono privi di formazione o di assistenza. La ritroveremo talvolta alla scuola media. Vedremo, tuttavia, che ci sono ora le condizioni per arricchire progressivamente le capacità creative in musica, a partire dalle prime esplorazioni sonore fino alla composizione. . Le esplorazioni sonore della prima infanzia Tutti conoscono le esplorazioni vocali o “strumentali“ di un bambino di sei o sette mesi. Quando il bimbo è solo nella sua camera, ben sazio e sveglio, si abbandona a balbettii che sono il frutto del puro piacere di produrre suoni con la sua bocca. Questi balbettii isolati sono . La traduzione in italiano del contributo De la crèche à l’âge adulte, le développement de l’invention musicale è di Maria Rosaria Mastelloni.
François Delalande
molto diversi dalle forme di comunicazione vocale con la mamma, per esempio. Non appena c’è comunicazione, il bambino e l’adulto regolano il loro dialogo in funzione l’uno dell’altro, e adottano modelli intonativi, peraltro molto musicali, costruiti in funzione dell’ambiente, e quindi già culturali. Non è il caso di questi balbettii isolati, “giochi di esercizio gratuiti. . Esempio sonoro: balbettii di un bambino di sette mesi Alla stessa età, i bambini producono volentieri suoni prolungati con gli oggetti che capitano loro sotto mano. I costruttori di sonaglini o di orsetti che contengono un sonaglio lo sanno bene. Se si mette un tamburello nel letto di un bambino di sei mesi, ben fissato, inclinato, tramite una barra e degli elastici, e si fa sedere il bambino nel letto, davanti al tamburello, si osserva questo. Esempio video. Appena viene messo a letto e viene bloccato con dei cuscini, il piccolo François, sei mesi, nota in maniera evidente questo enorme tamburello davanti a lui e lo tocca con la mano. Suono, sorriso. Il sorriso è la manifestazione di una “reazione di novità. La sorpresa suscita un interesse e scatta una “reazione circolare. Poiché questo suono accidentale è vissuto positivamente, il bambino ricomincia, e il nuovo suono alimenta la sua curiosità, quindi continua. Da ciò il nome di “reazione circolare. Talvolta raschia la pelle del tamburello con le unghie di una mano, che apre e chiude alternativamente, talvolta batte leggermente con una mano. Per un momento raschierà con una mano e colpirà con l’altra, dimostrando una grande indipendenza delle due mani. Continuerà per sette minuti, fino a quando la posizione semi–seduta, bloccata con i cuscini, diventa troppo scomoda ed egli si sdraia piagnucolando.
Questo comportamento ripetitivo, tipico del periodo senso–motorio, si evolve dopo i sette mesi. Anziché essere rigorosamente ripetitivo, esso implica delle variazioni: il bambino modifica costantemente . Cfr. M. Gratier, Musicalité, style et appartenance dans l’interaction mère–bébé, in Temps, Geste et Musicalité, a cura di M. Imberty et M. Gratier, L’Harmattan, Paris . . La presentazione al convegno di Foggia si basava su numerosi esempi sonori o video, che ci si limiterà qui a richiamare o a descrivere. . Tratto dal DVD n. (appendici, video ) associato al libro La nascita della musica. Esplorazioni sonore nella prima infanzia, a cura di F. Delalande, FrancoAngeli, Milano .
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il suo gesto per modificare il suono. Si entra davvero in un periodo di esplorazione sistematica, e le variazioni che il bambino sperimenta interessano in modo particolare gli osservatori–musicisti come noi. . I livelli di esplorazione: verso l’idea musicale Esplorare un oggetto che si tiene in mano può portare a diverse forme di azione. Anzitutto, è un oggetto materiale, che ha una forma, un colore, che può essere freddo o caldo, che si può portare in bocca, nel quale, se c’è una cavità, si può introdurre un dito o un altro oggetto. È l’esplorazione dell’oggetto materiale. Ma, se il materiale è adatto, se è stato ad esempio scelto da un educatore, può darsi che produca sonorità interessanti. Se ci sono diversi modi di produrre suoni, battendo, strofinando, raschiando una superficie scanalata con l’unghia, schiacciando se l’oggetto è morbido, allora una seconda forma di esplorazione consisterà nel fare l’elenco dei diversi modi di produrre suoni. È un secondo livello di esplorazione. Il comportamento diventa chiaramente più musicale se il bambino (o l’adulto, poiché qui non c’è più differenza) sceglie una tra queste diverse sonorità, perché la trova più originale, più particolare, forse più evocatrice. Se le proprietà meccaniche dell’oggetto sono adatte, il giovane esploratore produrrà piccole variazioni intorno a questa particolarità sonora scelta. Per esempio se si ottiene uno scricchiolio schiacciando in mano un bicchiere di plastica, si genereranno una serie di scricchiolii tali che si somigliano, ma che sono ogni volta leggermente diversi, come brevi impulsi secchi che producono ritmi imprevedibili, più o meno rapidi, a volte molto lenti se si trattiene il movimento della mano. L’esplorazione si è focalizzata su una particolarità sonora ma resta in ogni caso un’esplorazione. Si è passati dall’esplorazione dell’oggetto materiale, nelle sue proprietà meccaniche, visive, tattili, ecc., all’elenco delle risorse sonore, poi infine ci si è soffermati su una sonorità particolare. La particolarità sonora che abbiamo scoperto, scelto e di cui ora desideriamo esplorare le variazioni, la chiameremo un’”idea musicale”. L’espressione è tratta dal vocabolario dell’analisi musicale, e siamo, infatti, pienamente entrati, con questo terzo livello di esplorazione,
François Delalande
nel campo dell’invenzione musicale. Che cos’è un’“idea musicale” in realtà? È precisamente una “particolarità sonora “ scoperta da un musicista – compositore, improvvisatore e anche interprete – che attira la sua attenzione e gli fa venir voglia di utilizzarla attraverso la ripetizione e la variazione. L’esempio prototipico è il tema, che si può scoprire mentalmente ma che è comunque una configurazione sonora scoperta per caso o cercando nella propria mente, cioè esplorando mentalmente. È spesso una formula ritmica, un timbro particolare, una materia sonora nuova, se si pensa alla musica contemporanea. Dunque, ciò che si nota facilmente è che questo processo di invenzione che consiste nello scoprire per caso, nel corso dell’esplorazione, una particolarità sonora interessante, nello sceglierla, nell’esplorarla ancora, ma restando all’interno di un margine di variazione che conserva un’identità, questo processo che è il cuore dell’invenzione in musica appare verso l’età di sette mesi. Purché l’educatore crei le condizioni che permettono che esso si sviluppi.
. Osservare e favorire le esplorazioni sonore al nido Il primo compito di un educatore di asilo nido è quindi lasciare che il bambino scopra da solo. Abbiamo organizzato una campagna di osservazione in alcuni asili nido della provincia di Lecco: un’educatrice entrava con un bambino in una stanza dove era collocato uno strumento, o una cetra o un paio di piatti, e il suo compito era quello di fargli notare quest’oggetto particolare, eventualmente mostrargli che poteva produrre un suono, poi di lasciarlo solo. Noi pensavamo che il bambino avrebbe avuto voglia di produrre lui stesso dei suoni. Quello che non immaginavamo, al contrario, è che un terzo dei bambini produce suoni solo quando l’adulto esce e si ferma quando egli rientra. Si nota anche che le prime trovate sonore sono spesso ripetute in occasione del secondo incontro con lo strumento. L’esperienza di Giulia, anni, è da questo punto di vista, significativa. . Cfr. La nascita della musica, cit.
Dall’asilo nido all’età adulta, lo sviluppo dell’invenzione musicale
Video. Lei entra con l’educatrice che le mostra alcuni suoni strofinando un cucchiaio sulle corde della cetra. Giulia non osa avvicinarsi, non tocca quasi la cetra fino al momento in cui l’educatrice la lascia sola. Si mette allora ad esplorare attivamente, dapprima utilizzando i cucchiai come aveva fatto l’educatrice. Ma tocca per caso le corde con le dita e scopre allora un nuovo gioco: tirare una corda con un dito sarà la sua « trovata », al tempo stesso gestuale e sonora. Due mesi dopo, quando l’educatrice per la seconda volta la lascia sola davanti alla cetra, Giulia riprende quasi subito la sua “trovata“ precedente: il pizzicato. È così che una “particolarità sonora“ scoperta una volta, viene ripresa, utilizzata, arricchita, padroneggiata sempre meglio, ed è così che si costruisce uno “stile“ personale.
Si notano anche differenze individuali dovute alle personalità. Giulia è prudente, timida. Si notano invece bambini della stessa età gettarsi con gioia sullo strumento, ridere al primo suono emesso. Ognuno “si racconta“ nel suo modo di scoprire lo strumento. È un’altra componente dello stile. Che ogni bambino esplori da solo l’universo sonoro e gestuale offerto da uno strumento non significa che egli non abbia bisogno dell’adulto. Occorre che quest’ultimo immagini una situazione favorevole, faccia entrare il bambino nella stanza, rassicurandolo, lo elogi quando gli mostrerà le sue scoperte. Come per ogni forma di creazione artistica, il ruolo dell’educatore è discreto. Non si tratta di insegnare al bambino come fare, ma creargli il desiderio, favorire le sue ricerche, aiutarlo ad andare sempre oltre. È qui che un “dispositivo“ adatto può giocare un ruolo di stimolo decisivo. Esempio sonoro: la maestra ha collocato un microfono per registrare una storia. Il suono è amplificato e ascoltato attraverso degli altoparlanti posizionati in fondo all’aula. Una bimba ( anni, classe dei « piccoli » della materna) si avvicina al microfono e fa schioccare la lingua. La novità di questi suoni insoliti è sufficiente per far scattare una reazione circolare, ma è difficile ottenere variazioni. Rapidamente il bambino cambia e produce ora degli “ehmm“ con la bocca chiusa. Questa volta è una ripetizione ma con una variazione continua che fa passare progressivamente da una contrazione a un rilassamento. . La nascita della musica, DVD , La trovata, video . . La nascita della musica, DVD , Il piacere del gesto–suono, video . . Descrizione dettagliata in La musica è un gioco da bambini, FrancoAngeli, Milano , pp. – (osservazione ).
François Delalande
. Il simbolismo La scuola materna corrisponde all’età della nascita del simbolismo sonoro. Non appena un bambino produce un suono, egli rappresenta, evoca: è un cavallo, è un aereo, è una bambola che piange. Ma il simbolismo dei gesti e del movimento è senza dubbio quello che interessa di più il musicista. Nella prima infanzia, si costruisce un’equivalenza tra il gesto e il suono. Inesperto, il bambino ha strofinato un oggetto sul legno e sul pavimento e conosce la forma che un gesto dà al suono. Così, al contrario, quando sente un profilo sonoro, è capace di immaginare il gesto che ha prodotto il suono o che avrebbe potuto produrlo. È anche capace di capire, proprio come l’adulto, ascoltando una registrazione, la dolcezza o la forza che un interprete ha dato al suo gesto. La dolcezza è un gesto trattenuto per strofinare l’archetto o pigiare la tastiera, ma è anche il gesto della carezza o di numerose esperienze analoghe. Sia che gli si accarezzi la guancia o che egli accarezzi la morbida pelliccia del suo orsetto, le sue esperienze sensibili sono equivalenti. Così si costruisce il concetto di “dolcezza“, o quello di “forza“ come classi di equivalenza di queste esperienze senso–motorie, in modo tale che un gesto dolce o un gesto forte possa evocare la dolcezza in generale, o la forza in generale, inteso anche come atteggiamento morale nella vita. Alcune dimensioni del senso sono il risultato dell’esperienza senso–motoria. I bambini della scuola materna le padroneggiano e ci giocano. Non è allora difficile, in classe, stimolare i bambini a rappresentare la tempesta, la paura, la collera, o reciprocamente mimare attraverso dei movimenti ciò che evoca la musica che si fa ascoltare loro. Esempio video. Classe di Monique Frapat, scuola materna. Anna, quattro anni, in ginocchio in palestra, ascolta un concerto di Vivaldi. È stata invitata a mimare la musica attraverso i suoi movimenti; sa di essere filmata. Siamo stupiti nel vedere come traduce, con le braccia, le mani e le dita, i profili melodici e dinamici, la leggerezza di certe frasi, fino ai trilli. Lei “legge“ senza difficoltà il gesto nel sonoro.
. Sei anni: la coscienza della forma Quando un bambino di tre o quattro anni improvvisa una sequenza musicale sviluppando, attraverso una variazione, un’idea musicale,
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egli vive la sua improvvisazione al momento presente e non ha, in genere, la volontà di costruire, di dar forma alla sequenza che produce. Lo farà facilmente verso i anni. Ma prima di ciò compaiono già interessi per la costruzione. Costruire la musica che si produce si basa su diverse motivazioni. Cronologicamente, la prima che si può osservare è una forma elementare di gioco di regole, che è una specie di costruzione sonora, la cui versione più semplice, che è abbastanza comune a un anno, è l’alternanza, Se ha due corpi sonori davanti a lui, il bambino a volte darà un colpo a sinistra, un colpo a destra. L’esempio che viene è chiaramente più complesso. Video: l’educatrice ha fatto sedere Daniele, mesi, davanti a un paio di piatti. La scena è cominciata piuttosto male. Non appena dà un colpo di cucchiaio su uno dei piatti, il poverino si mette a piangere. . . Non si aspettava che facesse tanto rumore! L’educatrice è rimasta con lui, senza dire una parola, per tranquillizzarlo ed evitare che cadesse. Nel giro di due minuti, e dopo qualche pianto, Daniele è non solo sereno ma conquistato dai suoi esperimenti sonori. Una sequenza è degna di nota: strofina a lungo il piatto di sinistra con un cucchiaio, poi dà un colpo su quello di destra. Questa formula molto particolare, la ripete tre volte. Poi c’è una variazione alla sequenza. Invece di strofinare il cucchiaio sul piatto di sinistra, tiene fermo il cucchiaio e fa girare il piatto. Prolunga questo nuovo strofinamento attraverso un suono ripetuto, sempre sul piatto di sinistra, dà dei colpettini rapidi, poi conclude, ancora una volta, con un colpo singolo sul piatto di destra. Dopo un po’, quando avrà lasciato cadere i due cucchiai, eseguirà questa stessa combinazione a mani nude: una serie di colpetti rapidi a sinistra e un colpo a destra.
Questa “sequenza costruita” seguita dalle sue variazioni è eccezionale a quest’età. Diventa più frequente verso i due o tre anni, quando il gioco di costruzione si sviluppa come forma se non di “gioco di regole” (che oppone ciò che è permesso a ciò che è vietato), almeno di gioco che cerca una regolarità. La sequenza ripetuta e seguita da variazioni presuppone già una certa coscienza del tempo. L’atto presente è realizzato prendendo in considerazione i secondi precedenti. La padronanza di una “grande forma” compare piuttosto verso i cinque o sei anni, quando il bambino, nel momento presente, è capace di immaginare ciò che produrrà in seguito, – quindi di anticipare – in fun. La nascita della musica, DVD , analisi longitudinale della cetra amplificata, video .
François Delalande
zione di ciò che ha già prodotto. È a quest’età che compaiono le formule conclusive, l’equivalente di una cadenza: per esempio una progressione chiaramente cosciente (un crescendo, un accelerando. . . ) che porta a una fine. E il bambino aggiunge, affinché sia chiaro per l’educatore: « è finito! ». È il segno della consapevolezza di aver creato una forma. . La composizione alla scuola elementare A partire dai sei anni, è quindi possibile comporre. Per quanto la composizione a scuola resti un’attività relativamente eccezionale, esistono numerosi esempi ragguardevoli. Per molto tempo queste composizioni hanno fatto ricorso a “strumenti rudimentali”, spesso oggetti di recupero. Se l’insegnante o l’educatore è convincente, la musica creata dai bambini può essere bella. Ma è anche vero che se dai tubi scanalati o dalle bottiglie di plastica si possono ottenere suoni interessanti, essi appaiono poveri a bambini di dieci anni. Le tecnologie elettroacustiche hanno dato nuovo slancio a queste attività creative. I suoni della stessa bottiglia di plastica, se captati e amplificati, diffondendosi in tutta l’aula diventano, di colpo, di grande interesse. Ridiventano una novità che induce all’esplorazione, ed occupano un posto di valore nella cultura tecnica di un bambino di anni. Con qualche microfono, un mixer, un amplificatore e due altoparlanti si costruisce un insieme strumentale che produce un’infinità di sonorità a seconda dei corpi sonori captati da molto vicino. Recenti esperienze che fanno ricorso al computer a partire dai anni, aprono la strada a un immenso campo di ricerca musicale con i bambini. Per esempio un progetto condotto da Stefano Luca per l’associazione Tempo Reale (Firenze) ha fatto partecipare cinque classi di scuola elementare a una composizione collettiva. Il tema generale erano i quattro elementi: la terra, l’aria, l’acqua e il fuoco. I corpi sonori, molto semplici, erano scelti in funzione di questi elementi. Video e audio: Un « microfonista » capta i suoni, li invia al computer di un altro bambino, che può trasformare in diretta il risultato sonoro. Altri bambini, in un “laboratorio“ trasformano i suoni in “differita“, come si fa in uno studio di composizione, e producono sequenze composte . Accessibile su Internet: Gamelan , vedi bibliografia.
Dall’asilo nido all’età adulta, lo sviluppo dell’invenzione musicale
da inserire nella composizione finale. Questa composizione finale è poi eseguita in concerto da tutte le classi, con un bambino che ricopre il ruolo di direttore d’orchestra.
Abbiamo ora composizioni realizzate da bambini di anni, che lavorano da soli sul loro computer, guidati da un professore, solo per dare consigli di composizione e di utilizzo del software. Le composizioni sono corte (un minuto o poco più) ma possono essere di grande qualità musicale. . Il computer, dalla scuola media all’età adulta Per il professore di musica di scuola media, il computer è stata una grande opportunità. Le scuole hanno spesso un laboratorio di informatica e gli alunni sono già abituati ad usare il computer. Inoltre, la musica prodotta dalle macchine è loro familiare, è quella che loro ascoltano. Comporre è quindi un modo per entrare in un mondo che conoscono e apprezzano. Qui comincia un percorso che continuerà fuori dalla scuola, quando gli alunni diventeranno ex alunni e si mischieranno a quei milioni di appassionati che compongono, a casa, quando tornano dal lavoro, per piacere. È una nuova pratica musicale, numericamente molto importante, che si costruisce attualmente. La composizione non è più riservata a una piccola élite che ha trascorso la giovinezza nei conservatori. È accessibile a tutti e non richiede una formazione particolare: la padronanza di alcuni software e una cultura musicale acquisita attraverso l’ascolto o attraverso l’esempio. Un appassionato può comporre nei suoi momenti liberi così come può dipingere. Questi appassionati fanno conoscere la loro musica ai loro amici, organizzano a volte concerti per un piccolo pubblico di amici o di altri appassionati che, a loro volta, compongono a casa loro. Diffondono anche le loro opere attraverso Internet o incidono dischi in centinaia di copie. Assistiamo così, in musica, allo sviluppo di una “società orizzontale“ basata sullo scambio, che si oppone alla “società . Presto on–line sul sito Creamus, attualmente in costruzione. . Un sondaggio condotto in Francia ha dimostrato che più di un milione di persone, in questo paese, compone a casa, sul computer domestico (cfr. in bibliografia: Composer sur son ordinateur).
François Delalande
verticale“ che si era creata in maniera progressiva a partire dagli inizi del XIX secolo ed era portata, soprattutto dal XX secolo, rafforzata dal mercato delle industrie culturali, a relegare il melomane ad un ruolo di ascoltatore, anzi di “consumatore” di musica. Sia nel campo della musica “classica” che nel varietà, pochissimi avevano il sapere e il potere necessari per produrre, gli altri dovevano solo ricevere ed applaudire. La Scuola e gli enti di formazione, aiutati dalla generalizzazione dei mezzi tecnici, contribuiscono alla costruzione di una società musicale nella quale le pratiche creative diventano — anzi ridiventano — normali, e giocano il loro ruolo nello sviluppo particolare di ogni individuo. Praticamente, in classe, l’educazione musicale si basa su questa alternanza tra fare e ascoltare, grazie alla quale si impara a fare così come ad ascoltare. . Bibliografia Delalande F. (, a cura di), La nascita della musica. Esplorazioni sonore nella prima infanzia, FrancoAngeli, Milano . Delalande F. (), La musique est un jeu d’enfant, Institut National de l’Audiovisuel & Buchet/Chastel, Paris; trad it. di G. Curti, ed. it. di M. Disoteo, La musica è un gioco da bambini, FrancoAngeli, Milano . Gratier M. (), Musicalité, style et appartenance dans l’interaction mère– bébé, in M. Imberty et M. Gratier (a cura di), Temps, Geste et Musicalité, L’Harmattan, Paris . Pouts Lajus S. (), Composer sur son ordinateur: Les pratiques musicales en amateur liées à l’informatique, « Développement culturel », , juin . (On–line: www.culture.gouv.fr/culture).
–, : Gamelan : http://www.inagrm.com/accueil/radio/grm–web– radio/vous–les–studios Si troveranno begli esempi di composizioni realizzate da classi di scuola media sul sito http://www.musicheria.net del Centro Studi Musicali e sociali M. di Benedetto www.csmdb.it
Dall’asilo nido all’età adulta, lo sviluppo dell’invenzione musicale
Un recente convegno (ottobre ) è stato dedicato a http://www. musicheria.net/rubriche/?t=La_creazione_musicale_dei_bambini_e_ degli_adolescenti_nell_era_digitale&p=&f= La creazione musicale dei bambini e degli adolescenti nell’era digitale. Sarà diffuso attraverso vari mezzi, in particolare sarà ritrasmesso sulla Radio Vaticana (vedere informazioni sul sito della Radio Vaticana). Un sito, Creamus, è in costruzione grazie al GRM (Paris). Permetterà di ascoltare, a partire dal , creazione musicali di bambini di ogni età, commentate in quattro lingue. François Delalande
Genesi di un musicista: la formazione musicale e le sue storie ISBN 978–88–548–5707–0 DOI 10.4399/97888548–5707–08 pag. 103–111 (novembre 2012)
Formare e formarsi “narrando” I L
. Raccontare e raccontarsi attraverso parole, immagini, suoni Raccontare e raccontarsi rappresentano un’occasione importante per tradurre in parole, in immagini, in suoni, in “parole e suoni” contemporaneamente le emozioni e i pensieri che guidano l’incontro con noi stessi e con gli altri, in una dimensione che si fa anche interculturale e che può trovare proprio nella musica (più ancora che nelle parole) un terreno di incontro–confronto in grado di superare ideologismi, pregiudizi, fratture e cesure. Peraltro, già Aristotele diceva che « nei ritmi e nei canti vi sono rappresentazioni, quanto mai vicine alla realtà, d’ira e mitezza, e anche di coraggio e di temperanza e di tutti i loro opposti e delle altre qualità morali [. . . ]. Da tali considerazioni è chiaro che la musica può esercitare qualche influsso sul carattere dell’anima e se può far questo, è chiaro che bisogna accostarle i giovani ed educarli ad essa ». Da questo passo di Aristotele possiamo desumere alcuni concetti importanti: — la funzione educativa del linguaggio musicale, al pari degli altri linguaggi (orali e scritti, visivi e auditivi, letterari, musicali, iconici, ecc.); — il suo potere di rappresentazione e di significazione: di idee, di sentimenti ed emozioni, di realtà, di esperienze. In fondo, sappiamo bene che la realtà diventa vera (la visualizziamo, la sentiamo, la riceviamo, la trasmettiamo, la modifichiamo) solo quando siamo in grado di rappresentarcela narrandola, attraverso, appunto, parole, immagini, suoni. Non è un caso che quando vogliamo evitare . A, Politica, VIII, , (a cura di) R. Laurenti, Laterza, Bari , pp. ss.
Isabella Loiodice
di affrontare la realtà, rimuoviamo un problema o rimandiamo una decisione da prendere semplicemente evitando di parlarne, rifiutandoci cioè di tradurre tale atteggiamento in espressione narrativa, attraverso le parole orali o scritte, oppure in musica o immagini, considerato che anche la musica è scritta ed eseguita da esseri umani che esprimono in tal modo i loro più intimi pensieri, sentimenti, impressioni ed osservazioni. La musica, peraltro, consentendo a più strumenti di dialogare contemporaneamente, crea una sinfonia discorsiva che dà ancor più il senso della relazione dialogica anche rispetto alle narrazioni parlate o scritte. Narrazioni che, se vogliono essere “formative”, se vogliono cioè avere un valore educativo e auto–educativo, debbono essere profonde, vere, reciprocamente costruttive. La musica, al pari della narrazione linguistica e iconica, può rievocare pensieri, esperienze, sentimenti rimasti nascosti nella nostra mente, che mentre ascoltiamo ci aiutano a recuperare frammenti della nostra vita che pensavamo del tutto dimenticati, assumono un valore catartico anche rispetto a situazioni ed emozioni che volevamo dimenticare ma che comunque ci bloccavano, non ci facevano andare avanti. Ovviamente, la musica non basta sentirla, bisogna ascoltarla per comprenderne la trama narrativa e per utilizzarla come discorso narrativo (al pari delle parole, che non basta leggere, bisogna trasformarle in pensieri ed emozioni per comprendere il racconto). La modularità della musica (così come delle parole) si presta particolarmente alla comunicazione di pensieri e di emozioni, rende meglio il senso e il significato di idee, sentimenti, emozioni, relazioni. Non a caso, tra le dieci funzioni primarie della musica indicate da Merriam troviamo la funzione espressiva e comunicativa, arricchita dal grado di universalità e trasmissibilità che la lingua parlata, per esempio, non ha, essendo traducibile in una pluralità di lingue spesso incomprensibili una all’altra. Quindi, la straordinarietà del messaggio musicale è quella di essere contemporaneamente rappresentatrice di specifiche culture, contesti, persone, situazioni ed esperienze ma allo stesso tempo di essere universale, dunque recepibile, comprensibile al di là dei confini di tempo, di spazio, di lingue e di culture. Infatti, il sapere dei segni (alfabetici, musicali, iconici) è antico quanto l’uomo, a partire dalle primordiali incisioni sulle pietre e dalle . Cfr. A. P. M, Antropologia della musica, Sellerio, Palermo (Prisma, ).
Formare e formarsi “narrando”
figure delle divinità arcaiche, così come il ritmo della musica finisce con lo scandire e il ripetere il ritmo stesso del tempo della vita, e quindi la sua necessaria declinazione autobiografica. C’è poi una forma di intreccio vero e proprio fra la narrazione linguistica e quella musicale: pensiamo ad esempio ai cantori medievali, alle chansons de geste ma anche alle produzioni in ambito religioso come le laudi cantate, il dramma liturgico, la liturgia delle ore per arrivare al melodramma come espressione della compenetrazione tra musica e letteratura evidente nel melodramma verdiano, che nel Risorgimento mette insieme musica e intreccio narrativo per raggiungere tutto il popolo. Dalle varie produzioni letterario–musicali sviluppatesi nel corso del tempo fino a oggi, emerge quel bisogno ineludibile – antico come le prime forme letterarie – di raccontare storie attraverso le parole e la musica, che per Bruner corrisponde a una vera e propria forma mentis, a una tipologia di pensiero denominato appunto pensiero narrativo. Infatti per Bruner esistono due modalità fondamentali di pensiero attraverso cui gli esseri umani organizzano e gestiscono la loro conoscenza del mondo: il pensiero logico–scientifico e quello narrativo. Il pensiero narrativo assolverebbe una funzione essenziale « per la coesione di una cultura come per la strutturazione di una vita individuale ». Le persone, cioè, costruiscono la propria identità attraverso “dialoghi infiniti” con se stessa: « La costruzione dell’identità, sembra, non può procedere senza la capacità di narrare. Una volta dotati di questa capacità, possiamo produrre un’identità che ci collega agli altri, che ci permette di riandare selettivamente al nostro passato, mentre ci prepariamo per la possibilità di un futuro immaginato. Ma le narrazioni che raccontiamo a noi stessi, che costruiscono e ricostruiscono il nostro Sé, sono attinte alla cultura in cui viviamo [. . . ] siamo virtualmente espressioni della cultura che ci nutre. Ma la cultura a sua volta è una dialettica, piena di narrazioni alternative su ciò che il Sé è o potrebbe essere. E le storie che raccontiamo a noi stessi riflettono quella dialettica ». Anche Jedlowski sottolinea che « l’interpretazione narrativa della realtà è parte dell’insieme dei processi mediante i quali la realtà diviene . J. S. B, La ricerca del significato, Bollati Boringhieri, Torino , p. . . J. S. B, La fabbrica delle storie, Editori Laterza, Roma–Bari . p. .
Isabella Loiodice
propriamente umana. Se narriamo, è perché non siamo immediatamente trasparenti a noi stessi, e le nostre azioni ci sfuggono. Narrando incrementiamo la nostra comprensione ». Gli esseri umani, dunque, sono creature della narrazione: infinitamente narrano e si narrano, intrecciano dialoghi, accendono storie, si fanno domande, raccontano e ascoltano storie. Le nostre stesse esistenze sono quindi incessantemente intrecciate alle narrazioni, alle storie che raccontiamo o che ci vengono raccontate, a quelle che immaginiamo o vorremmo poter narrare senza, spesso, riuscire a farlo. Il racconto è l’esito di un atto narrativo. L’atto narrativo, la narrazione, è ciò che ci permetterà poi di identificare il nostro libro, il nostro film, il nostro fumetto o il nostro brano musicale, in quanto racconto. La narrazione è l’atto di produzione di testi narrativi, i racconti attraverso cui si dà significato alla realtà stessa, la si rappresenta, la si valuta e interpreta, la si comunica a se stessi e agli altri. Il racconto può avere quindi diverse forme e differenti funzioni: può avere infatti, tra le altre: — funzione comunicativa (un atto di comunicazione linguistica contestualizzato in un determinato sistema culturale e di valori); — funzione significativa (Bruner stesso parla del pensiero narrativo come di quel pensiero che consente di fare significato, cioè di attribuire significati alle cose, alle persone, alla realtà); — funzione ideologica e valoriale (il racconto è sempre e comunque una presa di posizione, un giudizio rispetto a qualcuno e qualcosa). La necessità di ricomporre le molteplici dimensioni dell’identità umana per evitarne la disgregazione e favorirne la multiforme (anche se mai definitiva) ricomposizione è affidata dunque (sia nelle situazioni di auto come di etero–formazione) all’approccio narrativo quale occasione di conoscenza riflessiva sul proprio sé, sulla propria vita, attivando quella necessaria tensione emancipativa che si nutre della ritrovata consapevolezza della propria biografia, la espone allo sguardo . P. J, Storie comuni. La narrazione nella vita quotidiana, B. Mondadori, Milano , p. .
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interpretativo di una rilettura critica di tutti gli interni passaggi e li converte in direzione di riprogettazione esistenziale. Non a caso, nel repertorio di competenze dei professionisti della formazione per tutta la vita e nella pluralità dei luoghi di vita (dimensioni lifelong e lifewide), acquistano un peso rilevante le metodologie legate alla narrazione autobiografica e alla possibilità di generare processi trasformativi nelle persone che la sperimentano, da soli o in gruppo. Ancora con Bruner ricordiamo che è attraverso i momenti narrativi che entriamo nell’universo semantico dell’altro, creiamo narrazioni condivise o contrapposte, acquisiamo maggiore consapevolezza delle credenze e dei valori che definiscono la nostra vita e quindi noi stessi, sperimentiamo il “potere” delle storie e la loro capacità di generare conoscenza, di modificarla, di comunicarla e di condividerla. Non a caso, con Atkinson affermiamo che: « Noi pensiamo spesso in forma narrativa, parliamo in forma narrativa e cerchiamo di dare un significato alla nostra vita attraverso il racconto ». Attraverso la narrazione – a se stessi o agli altri, nella forma del racconto così come della scrittura autobiografica – si amplia lo spazio di conoscenza e di riflessione sul proprio sé. Un’operazione, questa, indispensabile per “agire” sulla propria esperienza a partire da essa, soprattutto se si ha la necessità di dover interpretare e re–interpretare alcune scelte (volute o subite) sia quando queste sono fonte di gratificazione ed emancipazione sia quando sono testimonianza di insuccesso o rinuncia. L’esperienza personale, quindi, diventa occasione di crescita non tanto quando si è immersi in essa quanto se si ha la capacità di operare riflessivamente sull’esperienza stessa, di analizzarla e spiegarla al fine di ricomprenderla significativamente nel proprio percorso di vita. Qualunque pensiero o emozione – per essere colti, esplicitati e condivisi – hanno bisogno di essere formalizzati e quindi messi in parola, soprattutto quando poi possono essere riconvertiti in chiave formativa. . Cfr. F. B–G. D S, Raccontare storie. Politiche del lavoro e orientamento narrativo, Carocci, Roma (Biblioteca di testi e studi, ). . Cfr. J. S. B, La cultura dell’educazione. Nuovi orizzonti per la scuola, trad. it. di Lucia Cornalba, Feltrinelli, Milano (Campi del sapere). . R. A, L’intervista narrativa. Raccontare la storia di sé nella ricerca formativa, organizzativa e sociale, trad. it. di Roberto Merlini, Raffaello Cortina, Milano , p. .
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La scrittura autobiografica assume dunque forma di progettualità oltre che occasione di riflessione interiore, con se stessi prima ancora che con e per gli altri e per ciò stesso possiede una spiccata valenza formativa.
. La valenza formativa della narrazione A fini formativi, diventa importante trasformare il lavoro autobiografico in uno strumento metodologico idoneo ad attivare processi di analisi, conoscenza e metaconoscenza del proprio sé in funzione metabletica (dal greco metabasis: cambiamento), a orientare il soggetto sostenendolo nel suo sforzo di indagare, problematizzare, riflettere sui propri saperi ed emozioni e sulle proprie esperienze, su ciò che già sa e sa fare e su ciò che può ancora imparare, a riscoprire continuità anche nella discontinuità delle proprie esperienze personali e professionali, a imparare a fare un bilancio che, anche attraverso il riconoscimento di errori e di fallimenti, può agire in funzione di ri–orientamento delle proprie risorse e delle proprie capacità, da capitalizzare e da convertire in progetti concreti di azione. “Le storie salvano la vita”, aveva ricordato Jedlowski. “Le storie di vita possono aiutare a superare la disperazione attraverso l’esercizio della saggezza” diceva lo psicologo Erickson. Noi siamo una “specie narrante” ( Jedlowski), perché siamo “soggetti in relazione”, siamo la “specie intersoggettiva per eccellenza” diceva Bruner. Raccontarsi e raccontare (attraverso la narrazione orale, la scrittura, i testi musicali, ecc.) si offrono quindi come valido esercizio di capacità di analisi, di sintesi, di comprensione, classificazione, di percezione di sé e dell’altro e, al contempo, di capacità autoriflessive, empatiche, di ascolto degli altri, di negoziazione e condivisione. Ancora. Attraverso la narrazione è possibile riflettere sulle metafore dell’esistenza, portare in luce i vissuti latenti di ogni esperienza personale, formativa o professionale. Ripercorrere la propria storia di vita rende possibile un ri–esame del proprio processo di crescita e di sviluppo personale, del valore che il tempo ha giocato nella propria vita (e dunque al ruolo del rimpianto, della nostalgia ma anche della speranza di nuovi progetti e della costruzione di un futuro)
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per affrontare e fare i conti con il proprio passato, per affacciarsi più serenamente, consapevolmente e responsabilmente al futuro. Raccontare è anche (r)esistere, scrive Federico Batini, cioè portare con sé la doppia dimensione della narrazione come strumento storico di ricostruzione e di memoria storica individuale e collettiva ma anche come strategie di resilienza (intesa come la capacità di resistere agli urti della vita) e di empowerment (come capacità di controllo delle proprie azione ai fini del perseguimento di un determinato obiettivo). Ad esempio, attraverso il racconto scritto è possibile fare resistenza: riuscire a possedere una “stanza tutta per sé” – scriveva Virginia Woolf – dove essere se stessi, dove recuperare energie e linfa vitale. È un viaggio per rivisitare la propria vita, dare voce a momenti belli e brutti, intravedere in tutto questo una prospettiva per il futuro. Il narratore, in tal modo, diventa attore e personaggio, interprete in prima linea sulla scena della sua esistenza. La narrazione, ancora, è una forma di introspezione di dialogo con sé ma può essere anche strumento di riscatto: lo sanno quanti negli ultimi anni stanno sperimentando alfabeti narrativi in carcere: dal teatro, alla scrittura, alla lettura fino all’ultimo caso del film Cesare deve morire (fratelli Taviani) del . In sintesi. Ciò che è importante sottolineare è appunto il ruolo formativo che le storie hanno rispetto alla possibilità delle persone di emanciparsi, di uscire e di riuscire, di esistere e di resistere. Ruolo formativo, dunque, dando alla parola formazione un significato che va molto al di là del significato di senso comune che spesso noi sentiamo dare a questo termine. In realtà, la formazione è un concetto molto complesso: è difficile riassumerne il significato e la funzione in poche parole, anche perché è un concetto che cambia continuamente, si evolve e si modifica in relazione al periodo storico, ai soggetti in formazione e ai contesti di formazione (la famiglia, la scuola, l’università, il conservatorio, l’accademia, i luoghi dell’aggregazione sociale, culturale, religiosa, politica, ecc.). Possiamo solo ricordare che la formazione rinvia sia a una dimensione più legata all’istruzione (una persona “formata” è una persona istruita, che apprende e che continua ad apprendere per l’intero corso della vita) sia a una dimensione più le. Cfr. F. C, L’autobiografia come metodo formativo, Editori Laterza, Roma (Biblioteca Universale Laterza, ).
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gata all’educazione (quindi più attenta alle dimensioni della relazione, dell’affettività, della eticità). Quando oggi parliamo di formazione la intendiamo non solo come acquisizione di saperi e di competenze professionali (formazione tecnico–professionale), finalizzate all’inclusione sociale e all’inserimento e re–inserimento lavorativo; facciamo riferimento anche a un concetto di formazione finalizzato all’acquisizione di quelle competenze che gli esperti chiamano competenze strategiche (competenze per la vita, life skills) perché finalizzate a promuovere una integrazione (o reintegrazione) del soggetto attraverso l’esercizio di processi di empowerment (un soggetto empowered è un soggetto che sa fronteggiare meglio i pericoli, le incertezze, le difficoltà, i rischi che la società del rischio gli pone di fronte), per sviluppare capacità di resilienza, per promuovere sentimenti di autoefficacia e autostima (la capacità di credere in se stessi, di potercela fare, di superare gli ostacoli, di poter ricominciare, nel caso di persone che hanno subito un blocco, un’interruzione, un’esperienza negativa). La formazione, dunque, si conferma quel dispositivo complesso finalizzato allo sviluppo e all’emancipazione di persone critiche e creative, titolari di diritti di cittadinanza sostanziale, quindi in possesso di quella tensione progettuale che li renda capaci di opporsi alla logica dell’effimero, dell’inganno di una libertà fittizia (quella dell’acquisto usa e getta e delle mode da seguire) e che li renda invece protagonisti consapevoli e attenti, in grado di recuperare il governo di quegli spazi del pubblico oggi sempre più abbandonati perché vilipesi e offesi, spazi nei quali ricostituire le dinamiche dell’incontro tra pubblico e privato, tra individuale e collettivo, tra personale e sociale, tra locale e globale, di riorganizzare, così, contesti che garantiscano la democrazia reale, le pari opportunità, il lavoro, la cultura e la formazione come diritti di cittadinanza per tutti. . Bibliografia Atkinson R. (), L’intervista narrativa. Raccontare la storia di sé nella ricerca formativa, organizzativa e sociale, tr. it. di R. Merlini, Raffaello Cortina, Milano . Batini F.–Del Sarto G. (), Raccontare storie. Politiche del lavoro e orientamento narrativo, Carocci, Roma.
Formare e formarsi “narrando”
Bauman Z. (), Consumo, dunque sono, tr. it di M. Cupellaro, Editori Laterza, Roma–Bari. Bauman Z. (), Vite di corsa. Come salvarsi dalla tirannia dell’effimero, tr.it. di D. Francesconi, il Mulino, Bologna. Bruner J. S. (), La costruzione narrativa della realtà, in M. Ammaniti–D. Stern (a cura di), Rappresentazioni e narrazioni, Laterza, Bari. Bruner J. S. (), La cultura dell’educazione, trad. it. di L. Cornalba, Feltrinelli, Milano. Bruner J. S. (), La fabbrica delle storie. Diritto, letteratura, vita, trad. it. di M. Carpitella, Editori Laterza, Roma–Bari. Jedlowsky P. (), Storie comuni. La narrazione nella vita quotidiana, B. Mondadori, Milano. Merriam A. P. (), Antropologia della musica, Sellerio, Palermo.
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TAVOLA ROTONDA
Genesi di un musicista: la formazione musicale e le sue storie ISBN 978–88–548–5707–0 DOI 10.4399/97888548–5707–09 pag. 115–126 (novembre 2012)
Strumenti e possibilità per una formazione musicale di base
Maria Aida Episcopo (Comune di Foggia), Giuseppe De Sabato (Ufficio Scolastico Provinciale di Foggia), Isabella Loiodice (Università degli Studi di Foggia), Augusta Dall’Arche e Antonio Caroccia (Conservatorio Umberto Giordano di Foggia) Trascrizione a cura di Alessandra Palladino Maria Aida Episcopo: non potevo mancare per l’affetto che l’amministrazione e la città ha nei confronti del conservatorio, che storicamente è l’istituzione più antica e più importante della provincia; rimane ancora un punto di riferimento molto importante con le sue sedi di Foggia e Rodi Garganico. Mi voglio complimentare con il dipartimento per questa iniziativa sulla didattica nelle scuole elementari e medie; non sono un esperto e non potrei portare al dibattito un contributo, però posso fare una considerazione sulla base delle mie esperienze personali che ho svolto: non solo è importante portare la musica nelle scuole a partire dalle scuole dell’infanzia e primaria, ma quello che è rilevante è il modo in cui si porta la musica ai giovani e ai bambini. L’approccio è importantissimo ed ecco l’elemento rilevante di questo incontro: è importante che i bambini siano portati ad assecondare certe passioni e ad amare la musica; quindi corsi di formazione e di approfondimento come questi sono apprezzabili e credo che bisognerebbe farne tanti e non soltanto nel settore della musica, ma in genere un po’ in tutto ciò che può concorrere alla formazione dell’individuo. Come amministrazione siamo riusciti ad avere il liceo musicale a Foggia, abbiamo combattuto a lungo e poiché sapevamo che Foggia ha una particolare sensibilità musicale, abbiamo ottenuto il liceo musicale nell’ambito del Poerio. Ci siamo riusciti già due anni fa, l’anno scorso non si è attivato ma quest’anno sì, e così si completa
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questo percorso che deve servire perché i giovani possano realizzare i propri sogni e le loro aspirazioni. Noi siamo un’amministrazione in sofferenza sotto il profilo economico: gli ultimi tagli sono stati notevolissimi, abbiamo grosse difficoltà che cerchiamo di fronteggiare in ogni modo e, quando abbiamo potuto, abbiamo sostenuto le attività musicali. L’educazione musicale riguarda fortemente il primo settore formativo del sistema nazionale di istruzione; io mi occupo di questo e quindi riferisco in merito alle scuole primarie e alle scuole secondarie di primo grado. Senz’altro l’offerta formativa vede già incardinata questa materia così importante, che ha radici in una storia lontanissima che viene dall’antica Grecia e che si consolida in tutti gli evi della storia dell’umanità. Là dove è possibile, l’amministrazione è presente ed è nostro desiderio partire da questo fondamentale epicentro, che è il conservatorio Umberto Giordano, per creare un campus musicale che raccolga i nostri giovani amanti della musica. Disseminare di buona musica e di buoni stimoli musicali le occasioni culturali che riguardano le varie fasce di età scolare, a partire dalla scuola dell’infanzia. Ci tengo molto a partire dalla scuola dell’infanzia perché riscontro che questi ragazzi hanno un anticipo cognitivo fantastico, ci sbalordiscono e precedono su alcuni apprendimenti. Oltre all’offerta formativa tradizionale e all’offerta che il conservatorio offre ai nostri giovani musicisti, voglio dire che la musica è un’aggregante fantastico anche nei momenti di extra curricularità, è uno straordinario momento di comunione tra menti, tra pari, tra convenuti ad un’unica occasione culturale e quindi anche su questo possiamo incidere, perché è un ottimo canale di sensibilizzazione alla musica. Gli auspici sono tanti, tra i quali il desiderio che venga implementata fortemente questa sapienza musicale, e tali auspici sono presenti in me come persona, come assessore e anche nell’amministrazione che rappresento, che avrà sempre piacere di condividere con voi progetti, programmi e occasioni di lavoro. Isabella Loiodice: l’Università, come istituzione di questo territorio, deve assolutamente dialogare e relazionarsi con tutte le istituzioni presenti sul territorio. Questo incontro di oggi mi ha visto molto disponibile per la specificità del tema, infatti lavorare su questo raccordo dei differenti linguaggi per sviluppare la dimensione della narrazione
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mi è sembrato un tema davvero interessante, ma anche perché noi dobbiamo sviluppare quanto più possibile queste forme di collaborazione, visto che condividiamo temi, suggestioni, professionalità. Per cui stamattina, con quella bellissima relazione del prof. Delalande e con l’intervento che ho tenuto io successivamente, avrete notato i riferimenti al tema della formazione dai bambini agli adulti: quindi non solo per i soggetti che devono ricevere una formazione, ma anche per i soggetti che devono fare formazione. Trovo un fatto assolutamente indispensabile riuscire a lavorare insieme sia sulla formazione iniziale sia sulla formazione in servizio dei docenti. E questo investimento che voi avete fatto sulla didattica è fondamentale: stamattina stavo discutendo un po’ con i colleghi in maniera informale e dicevamo che per tutte le discipline e per tutti i saperi, ma in particolare per il sapere musicale e il sapere scientifico e matematico, la didattica, che è quella scienza che mette in relazione l’oggetto della conoscenza con il soggetto della conoscenza tramite il ruolo del docente, è fondamentale. Infatti se manca questo collegamento, io docente non saprò costruire formazione nei soggetti che mi stanno davanti. Noi abbiamo una responsabilità grande, quella di formare buoni maestri, perché solo formando buoni maestri possiamo formare buoni alunni. Una buona formazione musicale serve a tutti, non dobbiamo negare il diritto alla formazione musicale. Così come la persona è multidimensionale, anche la formazione deve essere multidimensionale, perché è solo coltivando la pluralità e la molteplicità delle intelligenze che noi possiamo sviluppare persone complete. Proprio il racconto, nella molteplicità delle sue espressioni (iconiche, musicali, verbali, orali e scritte) ci consente di diventare persone e di rappresentarci la realtà e quindi di saperla governare e gestire; allora è importante che noi sfruttiamo la molteplicità dei linguaggi. Perché il linguaggio musicale deve essere inibito e sottovalutato? Lo sappiamo insegnare? Investiamo seriamente sulla professionalità esperta in quest’ambito da parte dei nostri docenti? Queste sono domande e sollecitazioni sulle quali dobbiamo riflettere e lavorare insieme. Se sviluppassimo quell’atteggiamento collaborativo e competitivo, noi potremmo rendere più visibile quello che facciamo. Dobbiamo usare tutti gli strumenti a nostra disposizione per rendere visibile quello che, nell’ambito della formazione, il nostro territorio esprime.
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Giuseppe De Sabato: voglio iniziare leggendo alcune righe che fanno parte delle nuove indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione; a proposito della musica nella scuola dell’infanzia leggo cose bellissime: “la musica è un linguaggio universale, carico di emozioni e ricco di tradizioni culturali. Il bambino, interagendo con il paesaggio sonoro, sviluppa le proprie capacità cognitive e relazionali; impara a percepire, ascoltare, ricercare e discriminare i suoni all’interno di contesti di apprendimento significativi. Esplora le proprie possibilità sonore, espressive e simbolico–rappresentative, accrescendo la fiducia nelle proprie potenzialità; l’ascolto delle produzioni sonore personali lo apre al piacere di fare musica e alla condivisione di repertori appartenenti a vari generi musicali”. Questo dice a proposito delle indicazioni per la scuola dell’infanzia. Quando poi si interessa della scuola primaria, inizia in modo più altisonante: “la musica, componente fondamentale e universale dell’esperienza e dell’intelligenza umana, offre uno spazio simbolico e relazionale propizio all’attivazione di processi di cooperazione e socializzazione, all’acquisizione di strumenti di conoscenza, alla valorizzazione della creatività e della partecipazione, allo sviluppo del senso di appartenenza ad una comunità, nonché all’interazione tra culture diverse”. Mi pare che la semplice lettura di queste righe ci dia il senso di chi si è dedicato alla compilazione di queste indicazioni, di quale possa essere l’attenzione verso la pratica musicale, facendone un aspetto fondante di tutte le indicazioni nazionali. Il ministero, poi, su queste indicazioni nazionali ha aperto un confronto con i docenti, e a proposito della musica è stato chiesto: “In relazione ai contenuti dei singoli campi di esperienza, si chiede di segnalare quelli che fossero resi più chiari e leggibili”. Di tutte le indicazioni, il ,% dei docenti ha detto che proprio sulla musica occorrerebbe essere un po’ più chiari. A proposito della musica, ai docenti è stato chiesto: “le indicazioni di musica tengono in equilibrio l’approccio alla pratica musicale, l’incontro con le dimensioni culturali della musica, la promozione della musica d’insieme e l’uso degli strumenti”. Il % dei docenti ha risposto che quanto è previsto non è attuabile da parte di un corpo docente che su questa attività formativa non ha una preparazione adeguata a sviluppare i traguardi per lo sviluppo delle competenze, non è anche preparato a raggiungere gli obiettivi di apprendimento alla fine della classe quinta della scuola primaria. E allora quando si fanno le
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indicazioni, perché non si tiene conto del parere dei docenti? D’altra parte sono loro che devono tradurre in formazione quello che gli viene dato in tema di indicazioni. E allora, visto che si parla di diffusione della pratica musicale nella scuola primaria, una riflessione dobbiamo farla: la scuola primaria ha subito in questi anni un travaglio notevole. Si è passati dal maestro unico al team, e infine al modulo. Dopo che abbiamo capito che pedagogicamente è corretto dare all’alunno una pluralità di docenti con diverse sfaccettature, aver anche cercato di collimare un corpo docente che era poco abituato a lavorare in team, siamo ritornati, con le riforme successive, al tutor, per arrivare poi ad un periodo di stallo del ministro Fioroni, dove si è fermato tutto, per arrivare poi alla Gelmini con il docente prevalente. Perché ho detto tutto questo? Perché in tutto questo contesto vedo di difficile attuazione l’introduzione della pratica musicale affidata ai docenti della scuola dell’infanzia e primaria. Attraverso un processo di formazione? Qualche cosa di questo tipo noi la stiamo avendo; stiamo cercando nella scuola primaria di introdurre la generalizzazione dell’insegnamento della lingua. Con le nuove leve ce la stiamo cavando perché stiamo reclutando dal concorso quei docenti che hanno sostenuto la prova di lingua o quanto meno erano laureati o avevano delle conoscenze attestate con un concorso che li rendeva idonei. Però la maggior parte dei docenti che sono stati reclutati con il vecchio sistema, con un corso di pochissime ore, si cerca ancora di riconvertirli per insegnare lingua. Potrebbe andare bene perché d’altra parte dobbiamo dare solo degli elementi conoscitivi; non è questo il problema, ma le modalità formative attraverso cui si dà l’insegnamento della lingua. Per l’attività motoria è la stessa cosa, stiamo facendo degli sforzi e abbiamo fatto un passo in avanti. Da tre anni abbiamo dei progetti sperimentali di alfabetizzazione motoria, però ci siamo resi conto che non può essere il docente della scuola primaria a svolgere quell’attività. Con i progetti, il CONI con il MIUR ci hanno messo tre milioni e abbiamo reclutato, seppur per cinque mesi all’anno, dei docenti laureati in scienze motorie che fanno quel tipo di attività, pur con tutti i limiti delle strutture, ma comunque il capitale umano l’abbiamo dato formato. E allora se i docenti e gli studenti sono entusiasti di questo è grazie al fatto che lo specialista della materia ha saputo attrarre. E per la musica? Dobbiamo fare ulteriori sforzi. Mi auguro che la diffusione della pratica musicale nella scuola primaria non avvenga tramite la riconversione
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dei docenti di scuola primaria. Spero si attui un percorso diverso, che ha portato nella scuola media risultati a livello nazionale, ma anche della nostra provincia possiamo essere fieri. La nostra provincia è la terza in Italia per diffusione dello strumento musicale. Abbiamo ben corsi di strumento musicale, scuole hanno lo strumento musicale, gran parte dei comuni ha almeno una scuola dove abbiamo corsi di strumento musicale. Ma sono insufficienti, perché ogni anno le richieste per attivare nuovi corsi sono tante. Questo vuol dire che c’è una particolare attenzione e un particolare riguardo per la pratica strumentale nella scuola media. Il problema è che per attivare nuovi corsi di strumento musicale occorrono delle disponibilità in organico, e dopo tre anni di continui tagli, è vero che non abbiamo potuto attivare nuovi corsi, ma quanto meno abbiamo mantenuto l’organico senza decurtazioni. Nello strumento musicale, dopo i trasferimenti del personale di ruolo, sono rimasti vacanti posti; abbiamo fatto anche delle immissioni in ruolo di docenti per lo strumento musicale, ma la forza che ci è venuta dalla scuola media della diffusione dello strumento musicale ci ha portato poi a chiedere con forza il liceo musicale, ci abbiamo tentato per due anni, e quest’anno ce l’abbiamo presso il Poerio. Devo dire che mi aspettavo di più, nel senso che non mi aspettavo solo iscrizioni per quanto riguarda la prima classe di strumento musicale. Considerata la diffusione dell’insegnamento strumentale nelle scuole medie, mi aspettavo qualche iscrizione in più, perché uno dei punti di forza sia della provincia sia come MIUR per chiedere l’attivazione del liceo musicale era proprio derivata dal fatto che avevamo molti corsi di strumento musicale. Ovviamente, ma solo per conoscenza, ne fa da padrone il pianoforte con il %, la chitarra con il % e il violino con il % e via via fino all’% per il corso di oboe. Devo dirvi però, che accanto al discorso istituzionale, ciò che fa di questo territorio un territorio di grande accoglienza per la pratica strumentale, sono i numerosi corsi extra curriculari che sono presenti nelle nostre scuole medie e le numerose iniziative di attività extra curriculari sulla musica che sono di rinforzo per dirci e per convincerci dell’importanza della pratica musicale nella nostra scuola. Poi ho visto, l’ ottobre, la circolare del MIUR relativa alla formazione del personale della scuola per quanto riguarda la diffusione della pratica musicale e sono rimasto un po’ perplesso perché solo sei posti erano riservati alla regione Puglia. Accanto a questo spero che
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da quest’anno, siccome c’è una rete di scuole che fa parte delle cento scuole per il progetto Musica , anche qualche scuola di Foggia possa entrare con qualche scuola primaria nel contesto della rete di scuole per la diffusione della pratica strumentale nelle scuole primarie. Dobbiamo dare un forte contributo alla scuola per farla crescere, per farle adempiere appieno quel mandato della Costituzione che le affida il compito di creare generazioni future che siano formate e che diano uno sviluppo diverso a questo Paese. Augusta Dall’Arche: volevo rifarmi alle parole che ha pronunciato il dottor De Sabato e, devo dire la verità, male non sarebbe se nella scuola primaria ci fosse occasione per i bambini di godere di situazioni di apprendimento musicale, anche specifiche come quelle relative alla didattica dello strumento. Però mi distacco un po’ dalle convinzioni del dottor De Sabato, perché c’è tutto un lavoro che va fatto sul suono e sulla musica e che va fatto nel quotidiano della didattica e che secondo me le insegnanti delle elementari sono in grado di fare se aiutate e supportate. Vi faccio un esempio: la lettura quotidiana diventa ancora un’occasione più ricca se semplicemente si accompagnasse ad una sonorizzazione di suoni inventati con oggetti che si hanno a disposizione, con gli arredi scolastici; quindi non ci vuole molto per sviluppare la musicalità. Poi i percorsi specifici ben vengano, se sarà possibile. Del resto la prof.ssa Loiodice citava la nostra Annamaria Bartoccioli, che avete visto all’opera in questi giorni. Lei porta avanti questo percorso formativo riservato alle sue colleghe e l’ha congegnato in modo che quello che succede con i bambini e con le colleghe che assistono, poi va portato avanti nelle sezioni giorno dopo giorno. E per me questo è il vero percorso virtuoso; poi l’esperto può sempre venire per ulteriormente alfabetizzare, ma la musica deve diventare il pane quotidiano e lo può diventare perché le insegnanti comunque hanno una competenza di base; devono solo vincere il loro timore ed essere opportunamente guidate e sostenute. E in questo senso abbiamo ideato questo corso di formazione anche ispirandoci al famoso decreto n. , e devo dire la verità, l’abbiamo presentato ufficialmente in occasione del convegno e ha già avuto un grande successo. Quindi pensiamo che si potrà tenere e potrà partire: tra l’altro abbiamo voluto dare a questo corso un’impronta laboratoriale perché crediamo molto in questa metodologia: prima facciamo, poi riflettiamo su quello che
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abbiamo fatto e poi andiamo avanti ed è così che secondo me si costruisce. Ora vorrei chiedere al dottor De Sabato se fosse possibile che l’ufficio scolastico provinciale riconosca questo percorso. Sicuramente noi daremo un attestato e supervisioneremo tutta la parte didattica, ma sarebbe bello se queste insegnanti che verranno a seguire il corso, avessero anche un riconoscimento non solo del Conservatorio. De Sabato: partiamo da un presupposto: tutti i riconoscimenti possono essere riconosciuti in maniera informale o in maniera formale. Allo stato attuale il decreto prevede quali sono i titoli che possono essere riconosciuti. Il discorso è cercare di trasformare l’attività del corso di formazione in corso di perfezionamento, se fosse possibile, perché la frequenza di quel corso conferirebbe un titolo spendibile e darebbe anche al docente la possibilità di usufruire delle ore di permesso. Il corso di formazione purtroppo, a legislazione attuale, al di là dei tre giorni previsti, non dà diritto né ad assentarsi dal servizio, né rilascia un attestato spendibile. Viceversa, un corso di perfezionamento è sia riconoscibile ma può essere usufruito durante l’attività di servizio. Ora mi cogliete un po’ impreparato perché dovrei conoscere bene l’ordinamento del Conservatorio, ma io ritengo che il Conservatorio possa convertire questo corso. La mia collaborazione è massima per diffondere questa iniziativa non solo tramite i nostri normali mezzi di diffusione, ma nel mio prossimo incontro con i dirigenti proverò a sensibilizzarli a favorire la pubblicizzazione per consentire ai docenti di partecipare al corso. Intervento : sono un docente di strumento musicale nella scuola media, nonché sono stato supervisore del biennio di formazione dei docenti. La mia domanda è questa: perché nel concorso è stata esclusa educazione musicale e strumento? De Sabato: il problema ce lo dobbiamo dire: nella nostra scuola moltissime cose vanno bene, altrettante vanno male. Uno degli errori storici della nostra scuola è quello che non esiste programmazione. Noi ancora quest’anno, per musica nella scuola media, abbiamo chiuso l’organico con due sovra numerari. Ci preoccupava questo; sono solo due. Per me anche uno diventa un problema. Il problema più grosso nella nostra scuola è il continuo avvicendarsi dell’organico, un organico che nel giro di sette mesi viene rifatto due volte. Dobbiamo cercare la continuità didattica; quale sostegno diamo agli alunni con
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abilità diverse se ogni anno gli cambiamo il docente? Pensiamo ad un ragazzo autistico che ha un rapporto forte con il docente e ogni anno glielo cambiamo. Le conquiste sindacali le dobbiamo fare a vantaggio nostro perché dobbiamo chiedere la stabilizzazione dell’organico per tre anni, così stiamo in una scuola per tre anni ed esercitiamo la nostra attività formativa e la programmiamo. E a questo ci deve far da conto la stabilità del posto. Il TFA per educazione musicale non è stato fatto perché c’era la situazione di sovra numerabilità. Perché abilitare altri docenti e illuderli quando c’è questa situazione? C’è un gran numero di sovra numerari. Il problema della programmazione ci ha portato in questi anni a fare leggi in cui abbiamo fatto corsi riservati senza sapere poi se avevamo la possibilità di assumere, perché abbiamo creato un gran numero di precari. Mi domando: si può comprimere qualcosa su quelli di ruolo per dare una mano a quelli più deboli? Io ritengo di sì. Ce lo dobbiamo chiedere insieme: era giusto fare un altro TFA per alimentare nuove speranze? Non do risposta, dobbiamo ragionarci insieme. Intervento : sono Giorgio De Blasi dell’Istituto professionale “De Lilla” di Bari. Sono un po’ meravigliato del fatto che la cosa più grave che doveva essere sottolineata sia sfuggita. Gli ultimi due anni hanno visto la eliminazione totale dell’educazione musicale dai licei italiani. Di questo fatto sembra che nessuno si sia accorto. La prof.ssa Loiodice mi ha lasciato agghiacciato quando ha detto la frase: “però l’educazione musicale nel curriculum c’è”. La musica è rimasta solo nella scuola media. Ora, ritornando alle elementari, perché c’era nel magistrale l’educazione musicale? Perché l’intuizione di origine della riforma Gentile era quella che per diffondere la cultura musicale si dovessero formare prima i docenti, quindi l’istituto magistrale. Attraverso riforme successive, oggi nei licei italiani non esiste più un posto in organico di docente di educazione musicale. Hanno fatto credere alla favola del liceo musicale; il liceo musicale, oltre al fatto che numericamente non esiste perché sono troppo pochi, è una scuola strana perché se andate a vedere l’organico di diritto non ci sono docenti di musica. Il fatto che esista un liceo musicale potrebbe giustificare l’eliminazione della musica da tutti gli altri licei? Questa è un’assurdità. Allora quello che ha detto prima il prof. De Sabato quando ha affermato: “la preparazione dei maestri per insegnare la
Alessandra Palladino
musica è inadeguata” è esatto ma non aggiornato. Era vero fino a due anni fa, ora non è inadeguata, è assente. In Italia non esiste più un percorso liceale pedagogico, quindi chi segue questo percorso non incontra più la musica né a livello liceale né a livello universitario. Non c’è più nulla. Ora volete, voi specialisti della didattica, lanciare un grido di allarme su questa cosa? Oppure dobbiamo continuare a lanciare messaggi rassicuranti? Antonio Caroccia: sono perfettamente d’accordo, vi spiego anche il perché. I licei musicali comunque sono aumentati rispetto allo scorso anno. Il punto è questo: io sono uno storico della musica e lei sa bene che nel liceo musicale è previsto anche l’insegnamento di storia della musica. Soltanto sei ore vengono dedicate a questo insegnamento; e il reclutamento come avviene per l’insegnamento di storia della musica? Attraverso gli insegnanti in esubero provenienti dalle magistrali, forse con una laurea in musicologia o con diploma di strumento o anche gli abilitati sovra numerari delle classi di A. Ora è inconcepibile che una materia come storia della musica venga affidata a persone con queste competenze. Fior di musicologi e storici della musica con bagagli di pubblicazioni scientifiche, lauree, dottorati e altro vengono completamente ignorati perché, come lei giustamente diceva, non esistono forme di reclutamento come concorsi o anche classi concorsuali. Su questo lei ha perfettamente ragione. Ed è su questo che indubbiamente dobbiamo lavorare. Volevo rivolgere una domanda al dott. De Sabato: con la collega ci siamo resi conto che l’Ufficio Scolastico Regionale promuove molte attività laboratoriali, dà patrocini ad associazioni e altro, però forse non si rivolge mai ai luoghi deputati alla formazione, ossia i conservatori. Sinceramente, ci sentiamo un po’ esclusi in questo. De Sabato: quando ho sostenuto inadeguata la preparazione dei docenti, le ho letto la risposta dei docenti: il % non ritiene di avere quella preparazione specialistica per fare la pratica musicale nella scuola primaria. Poi ben vengano situazioni in cui il conservatorio, sensibile a questo, faccia corsi di preparazione. Avete fatto bene a pensare a questo corso; ma, dal mio punto di vista, io ritengo che vada fatta una riflessione su quali docenti debbano essere addetti alla formazione dei nostri alunni. Sul discorso dei licei musicali, noi siamo partiti quest’anno a Foggia, e nelle altre province non sono partiti da
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tantissimo. C’è un’intuizione nella riforma sui licei musicali, siamo innamorati ancora dell’insegnamento della magistrale, dell’insegnamento relativo ai licei classici, ma c’è un indirizzo liceale prettamente musicale. Accettiamo il liceo musicale, perché per me è una conquista. Che poi diciamo che non è giusto che l’insegnamento della musica tende a sparire completamente nell’ambito della formazione degli studenti dei licei, è un altro tipo di discorso. Potremmo anche essere d’accordo, però io vedo altamente positivo il discorso dell’istituzione dei licei musicali; il punto debole sono le modalità di reclutamento per l’insegnamento nei licei musicali. A Foggia per il Liceo musicale questo è stato il primo anno, e l’abbiamo fatto anche in assenza di qualsiasi indicazione per il reclutamento. Dobbiamo, però, stabilire con una circolare quali sono i docenti che possono fare le domande, quali titoli devono avere, così garantiamo ai licei musicali quei formatori che abbiano le conoscenze adatte. Intervento : sono una docente di scuola primaria; sto seguendo un po’ la normativa legata al decreto n. e mi chiedevo se è possibile, per chi possiede i requisiti, chiedere al dirigente di utilizzare una parte delle ore curriculari sulla pratica musicale, essere eventualmente anche di aiuto ai colleghi che pur non avendo titoli, hanno delle competenze e vogliono fare attività musicali; anche perché ora si procede con attività musicali solo nell’ambito di ore eccedenti, con attività progettuali. Sono molto interessata a questo, ma non interessata a fare ore eccedenti. De Sabato: il punto debole nostro è che non stiamo nelle cento scuole del progetto Musica . Il decreto n. ad un certo punto dice di dare la priorità, nell’individuazione delle scuole, a quelle dove c’era già il Liceo musicale. Siccome a Foggia non avevamo il Liceo musicale, siamo stati esclusi. Il prossimo anno, lei come altri, potranno chiedere, una volta che si è istituita la rete, di essere utilizzata per questo tipo di corsi. Mi auguro quindi che anche Foggia rientri in quel discorso delle cento scuole, in modo tale da avere quella rete di scuole e per fare poi quell’utilizzazione che quest’anno non è stata possibile. Episcopo: concludo condividendo il tormento dei docenti di musica delle scuole secondarie superiori. La ricchezza del vostro insegnamento l’ho colto, però devo dire che questo problema, come altri, è stato posto all’ufficio scolastico regionale. Come ente locale, per
Alessandra Palladino
quanto la nostra vicinanza possa essere utile, la garantiremo sempre. Se insieme possiamo camminare le vie di questa città per diffondere il vostro messaggio, io sarò con voi; se voi volete e se insieme ci coordiniamo possiamo sensibilizzare le leve della nostra città verso la musica. Non dimentichiamo le criticità, non dimentichiamo le montagne da superare, ma lasciamoci con un auspicio, quello che forse è ancora da scrivere l’ultimo capitolo della riforma della scuola italiana, tant’è che ci sono ancora in atto i gruppi e i tavoli di miglioramento e di riflessione, approfittate di questo e del nostro affiancamento, affinché certi problemi possano essere risolti. Cerchiamo di poter far riscrivere anche qualche pagina migliorata dei nostri percorsi di studio.
LABORATORI
Genesi di un musicista: la formazione musicale e le sue storie ISBN 978–88–548–5707–0 DOI 10.4399/97888548–5707–010 pag. 129–148 (novembre 2012)
Musica e narratività. Giocare, scoprire e fare musica nella scuola dell’infanzia A B
. Premessa ‘Musica e narratività’ è una realtà laboratoriale agita dal presso la scuola dell’infanzia del II° Circolo didattico Giuseppe Lombardo Radice di Lucera. Destinato agli alunni di cinque anni, il laboratorio propone la lettura animata di un testo appartenente al patrimonio più significativo della letteratura per l’infanzia, con lo scopo di favorire il processo di pre– alfabetizzazione, puntando sulla globalità dei linguaggi. Un’idea operativa che coniughi al suo interno due aspetti estremamente congeniali alla natura infantile, quali la musica e la narratività, risulta essere una buona prassi educativa perché garantisce una didattica inclusiva. Si tratta infatti, di un percorso complesso perché articolato e ricco di stimoli, sollecitazioni, rimandi ai vari campi del sapere, che parla alle molteplici potenzialità biologiche presenti in un gruppo di alunni e riesce a coinvolgerli attraverso il gioco, espresso in tutte le categorie piagetiane: senso–motorio, simbolico e di regole. Rendere percettiva, sensoriale, cinestetica, ludica ed espressiva la lettura sono gli stimoli che ispirano il percorso di educazione musicale che scaturisce, anima e pervade il testo. Far entrare i bambini nel libro, catturarli con la magia delle immagini, coinvolgerli con la « voce che è la storia », emozionarli con la musica, stimolarli con i giochi di ascolto e fantasia motoria, liberare la fantasia, impegnarli nell’esplorazione sonora, divertirli con i suoni che producono e raccontano: questa la formula di animazione prescelta . R. V. M–B. T, Leggimi forte, Salani Editore, Milano , p. .
Annamaria Bartoccioli
per rendere speciale un momento di scuola e forse anche un libro nella vita di un bambino. . Ideazione e finalità Il percorso di educazione musicale che crea l’itinerario da seguire per giocare il testo nasce da un’attenta e meditata lettura del libro scelto. La musica, con le varie attività da realizzare in un’ottica interdisciplinare, è il veicolo che aiuta ad animare l’azione educativa legata all’idea progettuale, ma è nel contempo il vero fine da perseguire per un docente con competenze musicali. Tutto parte dalla narrazione che viene valorizzata e giocata attraverso la musica, ma poi essa stessa diventa un prezioso e singolare pretesto per fare musica. Un libro racconta una storia con parole che emozionano e divertono, offre immagini e idee che nutrono la fantasia e curano l’interiorità, ma diventa ‘nostro’ solo quando andiamo oltre ciò che l’autore scrive. Bucare il testo, entrarci dentro, ‘fare’ la storia giocandola, sentirla uscire dal corpo, respiro ed espressione dei nostri gesti, pensiero dell’anima, nutrita dalla fantasia di chi scrive una storia per regalarsi agli altri: questo è l’unico modo che ha un bambino in età prescolare e forse anche oltre, per catturare e possedere la magia di un racconto. Si è sempre detto che l’apprendimento è tale solo se provoca cambiamenti e il cambiamento nasce dal coinvolgimento integrale dell’individuo che deve ‘esserci’ in quello che fa, cogliendo se stesso, gli altri e il mondo nel momento in cui ascolta e vive una storia e, ancor di più, dopo, quando ‘sente’ su se stesso la storia, ritornato nella realtà che può finalmente com–prendere. . Acquaria di Gek Tessaro Gek Tessaro, autore e illustratore di libri per bambini, è un artista sorprendente e indefinibile, capace di argomentare con sagace ironia e delicatezza infinita allo stesso tempo. Racconta cose complesse in modo divertente oppure parla di cose normali, ma lo fa con un lirismo e un senso di profondità impalpabile che sorprende. Attraverso sem-
Musica e narratività. Giocare, scoprire e fare musica nella scuola dell’infanzia
plici e poche parole, ma ricche di colore, suono e significati, Tessaro, piccolo o grande che tu sia, ti racconta te stesso. È il caso del libro scelto per il laboratorio: Acquaria, pubblicato nel . Il testo parla del ciclo dell’acqua, ma lo fa in modo impensatamente poetico, offrendo al lettore la possibilità di paragonare la trasformazione dell’acqua al cambiamento, esperienza profondamente umana che porta in sé perdite e conquiste. Acquaria quindi, nell’interpretazione personale da cui è scaturito il percorso di educazione musicale del laboratorio, parla della nascita che è cambiamento, perdita e conquista allo stesso tempo, e offre la possibilità di ritrovare, attraverso il gioco musicale che esprime e rappresenta il condensarsi dell’acqua in nuvola, i suoni e le emozioni di quel momento felice che è il grembo materno, inizio della storia personale di ognuno. Acquaria racconta il passaggio dal dentro al fuori di una stessa essenza così come è passaggio di uno stesso essere l’inserimento nella scuola e il cambio di grado. Acquaria nel ritornellare l’espressione « Non potrebbe essere che così perché sono solo una nuvola, una nuvola sola », racconta la lentezza e la solitudine che caratterizzano il procedere della vita, ma racconta anche la velocità del cambiamento e lo stupore che coglie all’improvviso per ciò che diveniamo, per ciò che scopriamo di essere come una nuvola che si fa pioggia ed è nuovamente mare grande e dappertutto con le sue mostruosità e meraviglie. L’ambientazione e il ritmo del testo, l’eterea e lenta solitudine della nuvola contrapposta poi al suo divenire continuo e veloce, ha orientato la scelta delle attività proposte verso l’ascolto corporeo espresso con giochi di movimento, disegno e manipolazione, ma anche verso l’esplorazione sonora degli oggetti di uso quotidiano e degli elementi della natura, rivestendo di valore ecologico l’esperienza con la musica. In una prima fase del percorso, i bambini, pur stando insieme, vengono sollecitati a lavorare da soli, permettendo loro di stare con se stessi, percependo quel ‘Sé’ che non galleggia in superficie come accade per l”Io’. Il momento del fluire, dello scorrere, dell’essere tutto dappertutto valorizza invece il gruppo e l’essere nel gruppo. Acquaria è come un’orchestra in cui tutti suonano insieme una . G. T, Acquaria, Artebambini, Bazzano .
Annamaria Bartoccioli
sola musica, ma ognuno si esprime individualmente con il proprio strumento, che completa il ‘Sé’ e che dà voce all’anima sua in un unico respiro, un’unica musica che racconta di tutti a tutti.
. Organizzazione Il laboratorio di Musica e Narratività per la scuola dell’infanzia del II° Circolo di Lucera ha la durata di due ore per ogni gruppo di alunni. Esso è un momento unico all’interno di un progetto rivolto ai bambini di cinque anni, finalizzato all’inserimento di questi ultimi nella scuola primaria e svolto in orario pomeridiano. Si svolge in un’aula laboratorio ampia, dotata di schermo e videoproiettore e che offre la possibilità di predisporre lo spazio per lo svolgimento di un percorso vario e articolato in cui la presenza degli oggetti fa da dispositivo per ottenere attenzione e partecipazione da parte degli alunni. Le docenti coinvolte nel progetto scelgono a livello collegiale un libro su cui elaborare un percorso didattico che tocchi i vari campi del sapere, favorendo attività di pregrafismo, sviluppando le capacità riflessive e dialogiche e potenziando le facoltà espressive relative all’area dei linguaggi non verbali. Quando i bambini giungono nel laboratorio di Musica e Narratività conoscono a perfezione il libro ed è quindi facile e possibile procedere velocemente nella presentazione delle varie attività musicali previste. Le docenti che accompagnano i bambini sono a conoscenza del percorso di educazione musicale proposto e ne anticipano, in sezione, alcune attività, altre le sviluppano successivamente. Ripropongono anche le varie fasi vissute nel laboratorio, soddisfacendo il bisogno degli alunni di rivivere i momenti più divertenti e gratificanti e rendendo così ancora più significativo e consapevole il percorso di educazione musicale svolto. Questo è possibile in quanto, nel corso dell’anno scolastico, le docenti della scuola dell’infanzia affiancano all’attività didattica un momento di riflessione teorica e metodologica relativa all’educazione musicale. La progettazione e realizzazione delle idee operative proposte in sede formativa viene così applicata in itinere, unifican-
Musica e narratività. Giocare, scoprire e fare musica nella scuola dell’infanzia
do nella pratica educativa due momenti che spesso restano separati: formazione e attività didattica. Elaborato un percorso di educazione musicale su un determinato libro, lo sperimento con una sezione della scuola dell’infanzia (in orario curricolare). Verificata la validità di ogni attività prevista, i tempi di realizzazione effettivi per ognuna di loro e le relative modalità di presentazione, maturo la condizione necessaria per presentare in sede formativa il percorso sperimentato. Incontro il gruppo delle docenti mensilmente, dando loro la possibilità di attuare le ipotesi proposte, promuovere in sezione la lettura di più testi, acquisire questa tecnica di animazione e abituare i bambini a vivere e gestire bene i momenti laboratoriali. Sperimentare con i bambini un’idea operativa è fondamentale perché solo loro « possono dare forma all’esperienza, entrare nell’azione e indicare la traccia giusta da intraprendere ». Nel contempo esperto e docente di sezione apprendono l’uno dall’altro e riapprendono con i bambini individuando la giusta « linea di lavoro che porta arricchimenti sul piano professionale e umano ». . Ascolto e gioco motorio L’ascolto è fondamentale per lo sviluppo e il potenziamento della musicalità innata, per il benessere psicofisico dell’individuo e per l’arricchimento cognitivo. Nei bambini l’ascolto è essenzialmente movimento, gesto. Gino Stefani sostiene che « un modo di funzionalizzare la musica è quello di danzarla ». Quando i bambini ascoltano la musica, trasformano in movimento le loro emozioni e apprendono il linguaggio musicale attraverso il gioco corporeo. L’ascolto diventa così ‘efficace’ perché coinvolge totalmente la persona a livello fisico, intellettuale ed emotivo. Le attività di ascolto corporeo, cioè l’ascolto della musica espresso attraverso il . Muoversi per. . . piacere Educare al corpo e al movimento nella scuola dell’infanzia, a cura di G. Pento, Edizioni Junior, Azzano San Paolo p. . . Ibid. . G. S, Competenza musicale e cultura della pace, Bologna, Clueb , p. . . M. D, Ascoltare musica nella scuola d’infanzia, in A. Talmelli (a cura di) Tre–sei anni l’esperienza musicale. Metodi e strumenti didattici, Siem, Milano , p. .
Annamaria Bartoccioli
corpo, conducono gradualmente il bambino a trasformare la gestualità spontanea in movimento controllato, intenzionale e dalle ampie possibilità espressive. L’ascolto musicale utilizzato come tecnica di animazione, permette ai bambini quindi, di incanalare energie, costruire relazioni e raggiungere consapevolezza. La musica fa maturare nei bambini una coscienza ‘epidermica’, permettendo loro di « realizzare un contatto intimo, personale, sociale e pubblico di natura fisica e psichica ». Le attività musicali diventano quindi, occasioni di confronto e scambio comunicativo « che alimentano la capacità di accoglienza reciproca fra pari e la possibilità di esprimersi in produzioni creative ». Per favorire un’appropriazione attiva ed espressiva della musica, sono state utilizzate in questo progetto differenti modalità di interpretazione dei brani: — — — —
sequenze motorio–gestuali interventi ritmico–sonori sincronizzazione ritmico–motoria rilassamento/defaticamento muscolare
Attività: –––– Attività: ––– Attività: –––– Attività:
Le caratteristiche salienti di ogni brano musicale vengono anticipate verbalmente dall’insegnante, rendendo progressivamente strutturata e analitica la capacità di ascolto dei bambini. . Esplorare i suoni delle cose L’esperienza musicale dei bambini è nutrita dal bisogno di percepire i suoni, di provarli, ripeterli, vestirli, viverli, abitarli attraverso una « corporeità che sa entrare in risonanza con le loro caratteristiche, scoprendone le infinite possibilità combinatorie ». Un progetto pedagogico di educazione musicale rivolto ai bambini della scuola dell’infanzia non poteva eludere tra le attività quella . Muoversi per. . . piacere, cit., p. . . E. M–S.A, Suoni e musiche per i piccoli, Erickson, Trento , p. . . F. F, Giochi di ascolto, FrancoAngeli, Milano , p. . . F. M–A. S–B. Z, I giochi musicali dei piccoli, Edizioni Junior, Bergamo , p. .
Musica e narratività. Giocare, scoprire e fare musica nella scuola dell’infanzia
dell’esplorazione sonora che regala ai bambini l’ intimo piacere di scoprire la voce e l’anima delle cose. Gino Stefani definisce la musica « un punto di vista sui suoni » e sostiene che è senza dubbio più produttiva, nell’ambito di un progetto pedagogico, « un’idea di musica che comprende qualunque tipo di attività con qualunque tipo di suoni ». La distinzione tra suono e rumore appare in quest’ottica anacronistica e limitante; la scoperta e la ripetizione dei suoni quotidiani attraverso il gioco con gli oggetti sonori costituisce la musica dei bambini, un gioco infantile che è simbolico, senso motorio e di regole, proprio come la ‘vera’ musica. « Quindi le produzioni sonore dei bambini, da quelle spontanee a quelle via via sempre più strutturate e intenzionali, sono da considerarsi a pieno titolo espressioni musicali ». L’esplorazione sonora, nell’ambito del percorso ideato, è presente essenzialmente nell’attività (acqua da maneggiare e suonare). Dare tempo ai bambini per sentire la voce delle cose, per perfezionare il loro gesto al fine di ottenere un determinato effetto significa, come già sottolineato, ripercorrere anche nel fare musica lo schema piagetiano del gioco: senso–motorio (scoperta), simbolico (imitare gli elementi della natura), di regole (organizzare una sonorizzazione). Ma soprattutto significa ripensare l’ora di musica a scuola e vederla non più solo come il momento del canto o dell’ascolto passivo durante il quale disegnare, ma come ricerca e soddisfazione di un bisogno innato e profondo di scoprire, produrre, inventare e organizzare la musica con quelle che sono le possibilità e le conoscenze che può possedere un bambino di scuola dell’infanzia. . Lasciare un segno Gek Tessaro definisce il mare « il cielo dei pesci ». È bello terminare il laboratorio con un’attività che permetta ad ogni bambino di lasciare la propria impronta, un segno di sé. . G. S–J. T–M. S, Educazione musicale di base, La Scuola, Brescia , pp. –. . I giochi musicali dei piccoli, cit., p. . . G. T, Priscilla e Gurdulù Lo sguardo delle mani, Artebambini, Bazzano .
Annamaria Bartoccioli
I bambini, con la tecnica del collage a strappo ideata ed insegnata dall’illustratore nei tanti incontri realizzati nella Scuola, ricavano la sagoma di un pesce, la decorano e la attaccano su un grande foglio colorato con tempera blu. Questa attività finale, svolta con gioia dopo un percorso di ascolto e ricerca musicale che li ha visti impegnati, concentrati e divertiti, conclude un momento di scuola che esalta e soddisfa le finalità proprie della Scuola dell’Infanzia: La scuola dell’infanzia promuove lo star bene e un sereno apprendimento attraverso la cura degli ambienti, la predisposizione degli spazi educativi [...] l’azione, l’esplorazione, il contatto con gli oggetti, la natura, l’arte, il territorio, in una dimensione ludica, da intendersi come forma tipica di relazione e di conoscenza.
Sognare e attivare un momento formativo estremamente destrutturato, ma fortemente organizzato, permette di sorprendere gli alunni con un percorso operativo, legato ad un libro, che sconvolga le strade comuni e prevedibili, confondendo i margini della separatezza culturale attraverso la contaminazione dei linguaggi. Musica e Narratività è dunque un laboratorio in cui la musica nasce dalla storia, in cui il gioco serve per appropriarsi della storia, in cui si sta insieme per ascoltare e rifare la storia; una storia che. . . lascia un segno.
. Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione .
Musica e narratività. Giocare, scoprire e fare musica nella scuola dell’infanzia A G T Lettura animata con percorso di educazione musicale: giochi di ascolto ed esplorazione sonora I — — — —
Lettura e visione estemporanea del testo proposta in formato PDF Discussione e conversazione Percorso di animazione musicale ed esplorazione sonora Laboratorio artistico
S — Aula Laboratorio di ampie dimensioni M — Videoproiettore, PC portatile, stereo di buona qualità, pallone in acrilico bianco diametro cm, telo blu, telo bianco, faretto, carta dai colori tenui e trasparenti (velina, stagnola, cellofan, ecc. . . ), calze di nailon (tipo gambaletto), pongo, fogli di carta, pastelli a cera, acquerelli, tappi di sughero, stecchini, sabbiera, strumentario Orff, bacinelle, schiumaiole, cannucce, ventagli. A — Tuta e calze antiscivolo . I S Dappertutto, intorno a me, vedevo banchi di pesci. È questo il primo ricordo che ho dell’infanzia. L’acqua è mia madre e io sono schiuma che ha imparato a volare. Non potrebbe essere che così perché sono solo una nuvola, una nuvola sola. A Gioco di interpretazione e sincronizzazione motoria con ascolto strutturato. Traccia Suono del Mare Traccia Aquarium da Il carnevale degli animali di C. Saint–Saëns Traccia Waltz da Jazz Suite n° di D. Šostakoviˇc M — Telo di stoffa resistente di colore blu, palla leggera in acrilico di colore bianco diametro cm O — Discriminare suoni ascendenti e discendenti all’interno dello stesso brano musicale.
Annamaria Bartoccioli — Riconoscere e percepire la riproposizione del tema principale di un brano musicale. — Cogliere le differenze di andamento tra brani diversi. Sul pavimento dell’aula laboratorio è steso un telo blu che rappresenta il mare. Sul telo è adagiato un grande pallone bianco che simboleggia la nuvola. L’insegnante invita i bambini a sparpagliarsi nell’aula laboratorio e a stendersi sul pavimento, assumendo una posizione libera oppure quella ‘fetale’: questo primo momento del percorso può rappresentare e far rivivere la ‘nascita’. Partita la prima traccia, Suono del Mare, i bambini danno vita al primo ricordo dell’infanzia: si alzano lentamente, si guardano intorno, colmi di stupore e si muovono sul posto, come se fossero immersi nell’acqua, con gesti lenti, densi ed enfatizzati. Quando inizia la melodia della seconda traccia, Aquarium, diventano banchi di pesci e svolgono le seguenti azioni: — Prima proposizione del tema melodico A: muoversi liberamente nello spazio a disposizione, imitando il guizzare dei pesci e stando lontani dal telo. — Suoni discendenti: avvicinarsi con gesti enfatici e sinuosi al telo su cui è posizionato il pallone–nuvola. — Seconda proposizione del tema melodico A: circolare sciolti intorno al telo, sempre imitando il guizzare dei pesci. — Suoni discendenti: calarsi, prendere i lembi del telo. — Proposizione del tema melodico conclusivo: sollevare e il telo e muoversi in senso circolare. — Suoni ascendenti: alzare il telo, assecondando l’andamento del brano dal punto di vista ritmico e melodico e facendo danzare il pallone– nuvola, senza farlo cadere dal telo. — Suoni discendenti: riappoggiare il telo sul pavimento ed allontanarsi il più possibile, mantenendo una posizione circolare. Quando parte la terza traccia, Waltz, l’insegnante lancia in aria la palla, lasciando a terra il telo blu per rappresentare il mare da cui è nata la nuvola, e invita i bambini a giocare con la palla, lanciandola nello spazio e assecondando l’andamento del brano con i gesti del corpo. . I L Sono respiro del mare, pensiero leggero che si arrende al vento. Taglio via le cime dei monti, senza far loro del male. Non potrebbe essere che così perché sono solo una nuvola, una nuvola sola. A Gioco di fantasia e interpretazione motoria.
Musica e narratività. Giocare, scoprire e fare musica nella scuola dell’infanzia ˇ Traccia Trepak dalla suite dallo Schiaccianoci op. di P. I. Cajkovskij M — Strisce di carta velina attaccate ad una calza di nailon tagliata da infilare sulle braccia O — Percepire la dinamica del brano e trasformarla in energia motoria. — Cogliere l’inciso iniziale che caratterizza le frasi musicali (prima parte del brano) e dare un’adeguata risposta motoria. — Assecondare il brano musicale differenziando i vari momenti con gesti marcati (inciso iniziale, accenti) e scorrevoli. L’insegnante divide gli alunni in due gruppi pari: i bambini ‘cima dei monti’ e i bambini ‘nuvola’, che indossano alle braccia le calze–guanto con strisce di carta velina. I primi siedono sparpagliati e ben distanziati nello spazio predisposto, mentre i secondi si muovono liberamente, accarezzando con le strisce di carta le teste dei compagni e fingendo così di tagliare le cime dei monti. Il gioco musicale si ripete una seconda volta invertendo i ruoli. Riproponendo l’attività, è possibile strutturare la capacità di ascolto dei bambini, facendo notare alcune caratteristiche del brano e sollecitando una risposta motoria più specifica ed adeguata alle varie sezioni musicali. ˇ Trepak è una danza russa con ritmo rapido e binario. Il brano di Cajkovskij ha la seguente struttura: parte A con tema melodico a (cadenza aperta)+ a’ (cadenza chiusa) si ripete due volte parte B con tema melodico b (cadenza aperta) + b’ (cadenza chiusa) parte A con tema melodico a (cadenza aperta)+ a’ (cadenza chiusa) parte C coda finale con accelerando. Il brano musicale è caratterizzato, nella sezione A, dall’alternanza di incisi accentati e dinamismo scorrevole: i bambini ‘tagliano le cime dei monti’, toccando le teste dei compagni, in corrispondenza dei riconoscibilissimi accenti dell’inciso iniziale (otto nella prima parte, quattro nella ripresa del tema). Per il resto, possono semplicemente muovere le braccia in alto con movimenti circolari. . L Sono un drago, una bestia fumante, una pancia gigantesca di asino, una balena lenta, un lago rovesciato. Sono per ciascuno la forma dei suoi sogni diversi. A Gioco di ascolto e manipolazione. Traccia Daphnis et Chloè: suite n° di M. Ravel
Annamaria Bartoccioli M — Una pallina di pongo per ogni bambino O — Potenziare la capacità di fruizione globale a livello uditivo I bambini siedono in cerchio con una pallina di pongo a testa. Durante l’ascolto del brano musicale, i bambini danno alla propria palla di pongo (nuvola) la forma che desiderano. A un gesto dell’insegnante, preventivamente concordato, gli alunni consegnano al compagno seduto alla loro destra la propria pallina di pongo e ricevono, di conseguenza, la pallina dal compagno di sinistra. Fino al ‘cambio’ successivo, potranno aggiungere, trasformare o riportare la pallina di pongo al suo stato iniziale per ricominciare. Quest’attività può essere proposta anche evitando il ‘cambio’ e lasciando i bambini manipolare il pongo per tutto il tempo necessario. Terminata la musica, l’insegnante invita gli alunni a posizionare le loro ‘creazioni’ personali su un grande vassoio di cartone dipinto di azzurro per rappresentare le diverse ‘nuvole’ che rallegrano il cielo. . G Ho visto gli uomini minuscoli e le loro città, ho invaso senza strepito i loro territori di palazzi alti, in piedi sull’attenti, di case sdraiate, quasi schiacciate dai pensieri. Mi sono impigliata nelle guglie aguzze delle cattedrali per ascoltare quel che avevano da dire. Mi sono aggrappata alle torri più alte soltanto il tempo di sentirle mormorare. A Gioco di ascolto e sincronizzazione motoria. Traccia A spin through Moscow suite dall’operetta Mosca ceriomuski op. di D. Šostakoviˇc O — Percepire i cambiamenti di dinamica all’interno di uno stesso brano musicale L’insegnante spiega ai bambini che, il brano musicale proposto è caratterizzato dal continuo alternarsi di due momenti musicali differenti: il primo di intensità forte e il secondo di intensità più debole. Alle differenti frasi musicali corrispondono differenti risposte motorie: quando la musica è forte camminano in modo frettoloso e quando è più silenziosa, si fermano per mormorare con i compagni–passanti. . L’
Musica e narratività. Giocare, scoprire e fare musica nella scuola dell’infanzia C’è sempre qualcosa che mi spinge ad andare, tutto per me è sempre e solo viaggio e mi riconosco nell’ombra che mi precede sulle pianure. Non potrebbe essere che così perché sono solo una nuvola, una nuvola sola. Apprendista inesperta del mestiere del nascondere, ho rubato di notte la luna e di giorno il sole giocando con il privilegio di poterli liberare. A Gioco di ascolto con le ombre e sincronizzazione–imitazione motoria. ˇ Traccia Danza araba dalla suite dallo Schiaccianoci op. di P. I. Cajkovskij Traccia Goshakabuchi in Codona M — Telo bianco, corda per reggere il telo, faretto O — Ascoltare il brano e offrire un’adeguata risposta motoria L’insegnante divide gli alunni in due gruppi: i bambini ‘sole e luna’ e i bambini ‘nuvola che fa ombra’. I bambini ‘sole e luna’ sono posizionati dietro il telo mentre i bambini ‘nuvola che fa ombra’ sono di fronte. I bambini ‘sole e luna’ assumono una posizione e i bambini ‘nuvola che fa ombra’, scelto uno dei compagni al di là del telo, ne imitano perfettamente la posizione, coprendoli. I bambini ‘sole e luna’ sono liberi di cambiare la posizione quando vogliono. Terminato il primo ascolto, il brano viene riproposto, permettendo di sperimentare i vari ruoli. La stessa attività può essere proposta con un brano musicale più complesso che richiede maggiore capacità di ascolto e concentrazione da parte degli alunni: Goshakabuchi. L’insegnante, divisi i bambini nei due gruppi, presenta la caratteristica precisa del brano musicale: è misterioso e il suono si alterna al silenzio. I bambini ‘sole e luna’ (dietro il telo) assumono una posizione. Quando parte la musica, i bambini ‘nuvola che fa ombra’ scelgono uno dei compagni al di là del telo e ne imitano la posizione, coprendoli. Durante il silenzio che libera dall’ombra, i bambini ‘sole e luna’ cambiano la posizione mentre i bambini ‘nuvola’ restano fermi fin quando non sentono nuovamente il suono. Quindi il gruppo ‘sole e luna’ si muove durante il silenzio, mentre il gruppo ‘nuvola che fa ombra’ agisce durante l’emissione di suono all’interno dello stesso brano. . D S
Annamaria Bartoccioli Gli uccelli si accontentano di farmi il solletico, gli aerei di sfilacciarmi, i razzi di passarmi da parte a parte come aghi frettolosi. E così con nessuno posso parlare. Nella dolce abitudine del mio essere sola disegno confini incerti sulla terra. Appena il tempo di sentire mormorare e sono già altrove, sola come prima. A Gioco di ascolto per il defaticamento attraverso il disegno. Traccia Tahiti Trot di D. Šostakoviˇc M — Fogli di carta bianca formato A, pastelli a cera, acquerelli O — Percepire le emozioni suscitate dall’ascolto del brano Ai bambini, seduti per terra e ben distanziati tra loro nello spazio disponibile, viene consegnato un foglio bianco e dei pastelli a cera. Durante l’ascolto del brano musicale devono disegnare ciò che desiderano: arabeschi, linee curve e spezzate, figure relative ai personaggi o agli ambienti citati nel testo come pesci, nuvole, sole e uccelli nel cielo, luna e stelle, ecc. . . Successivamente passeranno in modo uniforme un colore con gli acquerelli. . L I I Conosco alla fine qualcuno: prati che accontento, città che lavo, mari a cui ritorno e ombrelli di salvataggio. Ma è già troppo tardi perché non sono più io, sono un’altra cosa. Pioggia. Pioggia. Si fa fatica a comprendere la pioggia sul mare. È dai monti che arrivo, minuscolo, quasi invisibile, tra i sassi e le foglie. Sento gli uomini dire: “Facciamo attenzione o ci bagneremo i piedi”. Comincio a crescere. Mi piace sentire il muso delle mucche e di tutti gli altri animali che vengono a bere. Le zampe delle anatre, nuotando, mi fanno il solletico. La notte sento i pesci starnutire dentro il mio letto. Mi sono allargato e fatto più profondo, le foglie che mi abitano accanto sono felici. A Ricerca e sperimentazione delle differenti possibilità sonore che si possono realizzare con l’acqua e gioco di ascolto basato sulla partecipazione e l’inserimento ritmico. Traccia Marcia di Radetzky op. di J. Strauss
Musica e narratività. Giocare, scoprire e fare musica nella scuola dell’infanzia M — Bacinelle, schiumaiole, cucchiai di legno, cannucce O — Percepire i differenti suoni dell’acqua e riflettere sulle modalità di produzione — Comprendere che all’energia del gesto corrisponde un’adeguata intensità sonora I bambini si radunano intorno ad un tavolo su cui sono predisposte tante bacinelle piene d’acqua quanti sono i bambini componenti il gruppo. L’insegnante sollecita i bambini a sperimentare vari modi di toccare l’acqua con l’intento di scoprirne le varie possibilità sonore. Successivamente gli alunni eseguono le azioni suggerite dall’insegnante che pone domande per stimolare associazioni tra suoni e significati. — accarezziamo la superficie dell’acqua come se stessimo accarezzando un cucciolo — uniamo le mani per i pollici, adagiamole sulla superficie dell’acqua e sentiamo. . . il battito delle ali di un gabbiano — battiamo la superficie dell’acqua con il palmo della mano come se fosse. . . un tamburo — tamburelliamo con le dita facendo. . . la pioggerella — immergiamo una mano e muoviamola come se fosse un pesciolino nel mare — agitiamo le mani nell’acqua come se stesse arrivando un. . . motoscafo — tuffiamo le mani nell’acqua e tiriamole su facendo sgocciolare le dita come se fossero. . . le reti dei pescatori — raccogliamo l’acqua unendo le mani e poi facciamola ricadere come se fossimo. . . una fontana, una cascata — mescoliamo l’acqua (fiume), impastiamo (ruscello), ondeggiamo (mare) Riproporre tutte queste azioni facendo uso di vari utensili quali: cucchiai di legno, cucchiai e cucchiaini e sollecitare un confronto tra le differenti sonorità. Dopo che i bambini hanno familiarizzato con i differenti tipi di comando, si può passare all’attività successiva: Suonare l’acqua. In questa attività l’insegnante proporrà alcuni gesti da fare con le mani nell’acqua cercando di seguire il ritmo del brano proposto.
. I L L
Annamaria Bartoccioli Ora, per attraversarmi, gli uomini devono costruire ponti, perché è tanta l’acqua che, per passare da una riva all’altra, non basta più fare un salto. A volte trascino con me arbusti e bottiglie vuote ed è solo il canto degli uccelli sugli alberi a rompere il silenzio. Barche a vela si affidano alla forza del vento, e le montagne si fanno belle specchiandosi in me. A Gioco di ascolto e fantasia motoria Traccia Largo dalla sinfonia n. Dal nuovo mondo di A. Dvoˇrák M — Sabbiera, tappi di sughero, stecchini, carta velina, ventagli O — Comprendere che all’energia del gesto corrisponde un’adeguata intensità sonora I bambini, costruite delle imbarcazioni con tappi di sughero, stecchini e piccole vele di carta velina, le fanno muovere nella sabbiera riempita di acqua, creando con i ventagli, la forza del vento. L’insegnante fa notare agli alunni che l’intensità del gesto con cui si produce vento è proporzionale alla velocità del piccolo natante. La traccia proposta Largo induce ad un movimento lento e costante che permette alla barchetta di restare sempre a galla: diversamente, la vela bagnata non permette più lo spostamento. È possibile ricreare la situazione descritta nel testo: mentre alcune barchette vengono sospinte dal vento, alcuni bambini, con schiumaiole, cannucce e bacinelle colme di acqua, riproducono il canto degli uccelli. . I I Ora gli argini non sono più di terra e sassi: passo in mezzo alle case, l’odore è quello dei camini e il canto quello delle donne che vengono a lavare i panni. Quando la mia acqua oltrepassa un certo limite, metto paura. Il primo naviglio che mi solcò era lento e pesante, ruggiva di fatica, ma altri, ancor più grandi mi aspettano più avanti. Il chiasso dei motori sulle strade copre il mio rumore. A Gioco di ascolto e sonorizzazione Traccia I suoni della città M (per realizzare la scatola del mare)
Musica e narratività. Giocare, scoprire e fare musica nella scuola dell’infanzia — Scatole rotonde e rettangolari di varie dimensione con coperchio, strisce di cartone (da incollare ai bordi della scatola per arrotondare gli angoli interni), semi, legumi, conchiglie, sabbia. O — Produrre suoni sincronizzandosi nel gruppo Gli alunni con le ‘scatole del mare’, precedentemente costruite, realizzano il suono del mare calmo e agitato, sovrapponendolo alla traccia I suoni della città. L’insegnante, concordati preventivamente opportuni gesti per indicare una produzione di suono forte, debole, in crescendo e in diminuendo, dirige (o fa dirigere) la sonorizzazione. . G Adesso le mie rive si sono fatte così distanti che gli uomini di qua non parlano la stessa lingua degli uomini di là. Le case sembrano stringersi insieme e farsi più piccole. Specchio una gran fetta di cielo senza nuvole. Preso da un’impazienza che non conoscevo, mi trattengo per non uscire e invadere la città. A Intonazione e riproduzione vocale M — Telo blu–mare O — Memorizzare una semplice melodia e riprodurla I bambini siedono in quadrato intorno al telo blu–mare. L’insegnante li contraddistingue in quattro gruppi in base alla loro posizione sui lati del quadrato. L’insegnante spiega ai bambini che loro rappresentano gli abitanti di quatto terre che si affacciano sul mare, ma che appartengono a differenti nazionalità. Intona una semplice melodia e invita gli alunni a cantare tutti insieme. Quando la melodia è appresa, l’insegnante invita i bambini di un gruppo–nazionalità a cantare la melodia con una sillaba specifica. Terminata la frase melodica, fa lo stesso con tutti i gruppi, assegnando ad ognuno una sillaba in particolare. Dopo che i gruppi hanno cantato singolarmente, intonano la melodia contemporaneamente, mantenendo però la sillaba specifica. Lo scopo è quello di far comprendere ai bambini che siamo tutti uguali anche se parliamo in modo differente. . I S
Annamaria Bartoccioli Rallento ad una grande curva e finalmente mi ritrovo circondato da un’immensa distesa di acqua aspra che viene a mescolarsi alla mia che, invece, è dolce. Quel che esiste di più esagerato e spaventoso sta qui sotto. Quel che esiste di più incantevole sta qui sotto. A Gioco di ascolto e interpretazione motoria e strumentale. Traccia Promenade da Quadri di un’esposizione di M. P. Musorgskij (orchestrazione di M. Ravel) Traccia Pomp&Circumstance di E. Elgar Traccia Tens&relax di L. Perini M — Strumentario Orff: legnetti, xilofoni, triangoli, metallofoni, campanelli e altri strumenti dal timbro aspro (legno) e dolce (metalli), telo blu O — Utilizzare correttamente lo strumentario Orff — Percepire nell’ascolto di un brano l’alternanza tra lo strumento solista e l’orchestra — Percepire l’alternanza di suoni forti e deboli all’interno dello stesso brano — Percepire l’alternanza di differenti caratteri tematici all’interno dello stesso brano L’insegnante divide i bambini in due gruppi: acqua aspra e acqua dolce. Entrambi i gruppi in sottogruppi: suonatori e danzatori. I bambini si dispongono su due file parallele e frontali. I suonatori sono alle spalle dei danzatori e non si muovono. L’insegnante dirige l’azione di produzione–espressione corporea. Con un cenno di mano dà il via ai suonatori del gruppo ‘acqua aspra’ che iniziano a suonare mentre i danzatori dello stesso gruppo si muovono, procedendo a piccoli passi. Ad un certo punto, l’insegnante li ferma per far partire il gruppo ‘acqua dolce’ che agirà come il primo. Il gioco procede fin quando i due gruppi si incontrano. L’insegnante, a questo punto, li fa suonare contemporaneamente, realizzando una sovrapposizione di gesti–suono nel mescolarsi dei gruppi. È ovviamente importante dare a tutti i bambini la possibilità di vivere entrambi i ruoli di suonatore e danzatore. Il gioco di ascolto successivo sulla traccia Promenade, vede ancora i bambini divisi in due gruppi: ‘pesci piccoli incantevoli’ e ‘pesci grandi spaventosi’. I bambini sono sotto il telo, sorretto e agitato a tempo di musica dalle insegnanti. I bambini pesci grandi si muovono con fare goffo e tetro quando il tema del brano è proposto dallo strumento solista. Quando il
Musica e narratività. Giocare, scoprire e fare musica nella scuola dell’infanzia
tema passa all’orchestra si muovono solo i pesci piccoli in modo tenue e delicato. Si consiglia di offrire ai bambini la possibilità di confrontarsi, volendolo, con i vari ruoli. Lo stesso gioco si può fare utilizzando la traccia Pomp&Circumstance. In questo brano l’alternanza pesce piccolo e pesce grande è resa dai cambi di intensità che sono chiari ed evidenti. I bambini sono sdraiati sul pavimento. Le insegnanti li coprono con il telo e provvedono a tenerlo ben saldo. Assecondando l’andamento ritmico del brano, quando la musica è debole i bambini toccano il telo con gli indici e quando è forte, con i pugni. L’ultima traccia Tens&relax è invece caratterizzata dalla contrapposizione di due temi musicali che esprimono dolcezza e tranquillità il primo e tensione e paura il secondo. I bambini, in piedi sotto il telo, sono divisi in due gruppi: i bambini–pesci piccoli si muovono con il tema musicale dolce e rilassato, mentre i bambini–pesci spaventosi si muovono nel secondo tema. Entrambi i gruppi interpretano con i gesti del corpo e l’espressione del viso la tensione tono–muscolare resa dalla musica. . I Sopra di me immense navi, grandi come montagne, mi feriscono con dolcezza. E io sono nel mare, grande e dappertutto. A Gioco di ascolto per il defaticamento, per salutare il personaggio ‘Nuvola–Acqua’ e ritornare alla realtà Traccia Sky Boat tradizionale americano O — Ascoltare in silenzio per ritrovare il proprio vissuto interiore I bambini si sdraiano sul pavimento (mare) e si rilassano, mentre l’insegnante passa tra loro, li massaggia e li accarezza portandoli, con il defaticamento, alla conclusione del percorso. Il rilassamento permette al bambino di riportare l’attenzione su di sé.
. Bibliografia Beseghi E. (), Nel giardino segreto della letteratura per l’infanzia, « Pedagogia più Didattica », n. , Erickson, Trento. Delalande F. (), Le condotte musicali, Clueb, Bologna.
Annamaria Bartoccioli
Disoteo M. (), Ascoltare musica nella scuola d’infanzia, in A. Talmelli (a cura di), Tresei anni. L’esperienza musicale. Metodi e strumenti didattici, Siem, Milano. Ferrari F. (), Giochi di ascolto, FrancoAngeli, Milano. Maule E.–Azzolin S. (), Suoni e musiche per i piccoli, Erickson,Trento. Mazzoli F. (), Musica per gioco, EDT, Torino. Mazzoli F.–Sedioli A.–Zoccatelli B. (), I giochi musicali dei piccoli, Edizioni Junior, Bergamo. Pento G. (, a cura di), Muoversi per. . . piacere Educare al corpo e al movimento nella scuola dell’infanzia, Edizioni Junior, Azzano San Paolo. R. V. Merletti–Tognolini B. (), Leggimi forte, Salani Editore, Milano. Sedioli A. (), Suoni d’acqua, Artebambini, Bazzano. Spaccazocchi M. (), Didattica della musica, La Scuola, Brescia. Spaccazocchi M. (), In movimento, Progetti Sonori, Mercatello sul Metauro. Stefani G. (), Competenza musicale e cultura della pace, Clueb, Bologna. Stefani G.–Tafuri J–Spaccazocchi M. (), Educazione musicale di base, La nuova scuola, Brescia. Tessaro G. (), Acquaria, Artebambini, Bazzano. Tessaro G. (), Priscilla e Gurdulù. Lo sguardo delle mani, Artebambini, Bazzano.
Annamaria Bartoccioli
Genesi di un musicista: la formazione musicale e le sue storie ISBN 978–88–548–5707–0 DOI 10.4399/97888548–5707–011 pag. 149–150 (novembre 2012)
Oggetti sonori P V
. Premessa L’animazione musicale può sembrare molto semplice, in particolare per i musicisti, ma è tutt’altro. L’animatore musicale lavora spesso con un pubblico non esperto in musica e ciò gli rende difficoltosa la fase pianificativa del suo intervento. Si sa, noi musicisti diamo per scontate tante cose, andiamo sempre a cercare le complessità, spinti da quello spirito competitivo implicitamente inculcato nel nostro percorso di studi nei conservatori di musica! Ciò se da una parte può essere costruttivo perché stimola sempre a studiare e migliorare, dall’altra fa dimenticare delle cose semplici, le più banali (come può essere suonare una forchetta sul bicchiere mentre siamo a tavola) che possono trasformarsi in situazioni musicali di divertimento con effetti non solo sonori ma anche scenici (il famoso “teatro del ritmo”). L’animazione musicale comprende in sé diverse abilità e l’errore più comune, è quello di confonderla con la didattica o, peggio ancora, con l’animazione da villaggio turistico (non per sminuire quest’ultima, ma per sottolinearne la differenza). Non dobbiamo dimenticare che l’animazione musicale rientra comunque nell’intervento pedagogico, o meglio pedagogico–musicale. L’animatore musicale–educatore deve partire dal presupposto che la sua priorità deve essere il divertimento che scaturisce dalle attività; se esse implicitano anche della didattica che ben venga, ma non è necessario. Egli deve poter tirar fuori la musicalità, l’espressività e la comunicazione dai soggetti con i quali interagisce. L’animatore deve, inoltre, in un primo momento guidare l’attività in prima . Cfr. M. V, Alla ricerca di un suono condiviso. L’improvvisazione musicale tra educazione e formazione, FrancoAngeli, Milano e F. D, La nascita della musica. Esplorazioni sonore nella prima infanzia, FrancoAngeli, Milano .
Pierluigi Vannella
persona quindi essere lui il fulcro; poi però deve far sì che tutti i partecipanti diventino protagonisti e quindi guidare sempre l’attività dall’esterno. “L’unico ruolo che l’educatore si attribuisce è quello di stimolare l’immaginazione del bambino, di spingerlo più oltre nella sua elaborazione, di valorizzarne le scoperte, insomma di rafforzare deliberatamente le sue condotte naturali.” . Iter metodologico Il laboratorio ha avuto la durata di un’ora, durante la quale c’è stato un accenno alle diverse sfaccettature che l’animazione musicale offre e permette di attuare nei diversi contesti d’intervento. Le attività svolte sono state le seguenti: — esplorazione dei materiali sonori. — creazione di strumenti a partire dall’osservazione di oggetti di uso quotidiano (buste, bottiglie e bicchieri di plastica, sedie, banchi, ecc.). — personalizzazione (o accenno ad essa) degli strumenti attraverso l’uso di colori a tempera, colori a dito, carta colorata, ecc. — creazione di una “Orchestra” attraverso la valorizzazione del diverso timbro degli strumenti in nostro possesso. — creazione di performance musicali con riferimenti al “teatro del ritmo”. . Bibliografia Delalande F. (), La nascita della musica. Esplorazioni sonore nella prima infanzia, FrancoAngeli, Milano. Vitali M. (), Alla ricerca di un suono condiviso. L’improvvisazione musicale tra educazione e formazione, FrancoAngeli, Milano.
Pierluigi Vannella
Genesi di un musicista: la formazione musicale e le sue storie ISBN 978–88–548–5707–0 DOI 10.4399/97888548–5707–012 pag. 151–158 (novembre 2012)
Il pianoforte racconta le mie storie A D’A
. Introduzione Nella mia esperienza di insegnante ho cercato di elaborare metodologie di approccio al pianoforte che implicassero il coinvolgimento globale e creativo dell’allievo, che lo stimolassero da subito a interpretare, a rivestire cioè di senso anche le più semplici esecuzioni, senza trascurare l’esigenza di impostare la mano in maniera funzionale. Ho proposto quindi le sonorizzazioni di racconti come opportunità di far considerare da subito lo strumento un ‘complice ludico–espressivo’. Partendo infatti dall’impalcatura semantica del testo verbale, che ritaglia significati ed evoca immagini interiori, ed elaborandone la traduzione sonora attraverso la mediazione del gesto e il confronto con l’oggetto–strumento, ritengo che vengano attivati processi mentali ed emotivi della stessa natura di quelli attivati nell’interpretazione musicale. Il rapporto gesto–suono–senso è sbilanciato a favore del senso, che viene a costituire il punto di partenza del processo esecutivo, stimolando anche l’esplorazione motivata delle possibilità sonore del pianoforte. Invitare inoltre il bambino a fissare su carta le proprie idee e soluzioni per renderle più consapevoli e per poterle rieseguire o farle eseguire da altri, pone le basi per un rapporto di elaborazione e rielaborazione del linguaggio musicale, piuttosto che di passiva assimilazione. Sono convinta che determinati processi mentali, stimolati nella primissima fase di studio, costituiscono un bagaglio permanente dell’allievo: la capacità di analizzare i brani, di curarne l’aspetto timbrico e dinamico, di inventare idee musicali e, soprattutto, di capire quali aspetti del suono determinino certi significati. . Cfr. A. D’A, La suòna–téla–Gioco–lavoro per giovanissimi pianisti, Musica Practica, Torino .
Augusta Dall’Arche
. Attività Durante il laboratorio Il pianoforte racconta le mie storie ho proposto attività attraverso le quali far sperimentare in prima persona le fasi iniziali del progetto didattico basato sulle considerazioni riportate nell’introduzione. Dopo aver invitato, a turno, alcuni componenti del gruppo ad esplorare le possibilità sonore della tastiera facendo eseguire cluster a mano aperta su diverse altezze, con durate e dinamiche diversificate, ho fatto eseguire il seguente brano, tratto dal mio testo La suòna–téla:
. Ivi, pp. –.
Il pianoforte racconta le mie storie
Ho quindi proposto l’esecuzione del racconto sonorizzato ‘L’uccellino e il gatto’:
. Ivi, pp. –.
Augusta Dall’Arche
Il pianoforte racconta le mie storie
Ho invitato infine ciascun partecipante a inventare un racconto, a sonorizzarlo utilizzando cluster e a trascrivere testo verbale e commento sonoro su pagine così predisposte:
Augusta Dall’Arche
Ciascun autore ha fatto eseguire il proprio lavoro, scegliendo un interprete tra il gruppo. È stato così possibile verificare l’efficacia della notazione utilizzata rispetto all’idea musicale di partenza. Durante la discussione finale i partecipanti, in maggioranza non musicisti, hanno apprezzato l’immediatezza operativa del rapporto suono–segno e la valenza espressiva dell’approccio con lo strumento. Riporto un possibile schema di lavoro, ispirato alla metodologia proposta durante il laboratorio, destinato a bambini di età compresa tra i cinque e i dieci anni. . Percorso di apprendimento strumentale e di potenziamento linguistico: imparare a suonare il pianoforte inventando e sonorizzando storie .. Premessa Questo percorso si propone di smentire la diffusa convinzione che l’approccio ad uno strumento ‘vero’ comporti necessariamente un apprendimento di tipo ‘addestrativo’, basato sulla mera acquisizione di regole tecnico–esecutive. Attraverso la sonorizzazione al pianoforte di racconti ideati dai bambini e la relativa notazione, infatti, si pongono al centro dell’esperienza didattica il vissuto, le capacità, le modalità e i tempi di apprendimento di ciascun allievo. Lo strumento non viene quindi considerato il fine, ma un mezzo che permette di esprimersi e comunicare, tra parole e suoni. .. Obiettivi area linguistica Sviluppare la capacità di elaborare testi, storie, racconti. .. Obiettivi area strumentale Acquisire progressivamente le abilità tecnico–strumentali e le capacità interpretative attraverso la produzione di suoni appropriati ai significati delineati nel testo verbale. Acquisire progressivamente la capacità di leggere e scrivere musica.
Il pianoforte racconta le mie storie
.. Obiettivi trasversali Sviluppo della creatività e dell’autostima. .. Metodologia Si privilegerà il metodo euristico–induttivo, lasciando spazio alle proposte e alle iniziative dei bambini, favorendo un apprendimento attivo e rispettoso dei tempi di assimilazione individuali. È prevista inoltre la registrazione dei brani elaborati, per poterli riascoltare e commentare con attenzione, evidenziandone aspetti e caratteristiche al fine di stimolare capacità di analisi e autoascolto. .. Conoscenze Principali caratteristiche organologiche del pianoforte; elementi di notazione musicale; classificazione dei suoni. .. Competenze Saper utilizzare il pianoforte per comporre, improvvisare ed eseguire semplici brani musicali .. Verifica L’elaborazione delle consegne progressive fungerà da verifica in itinere degli apprendimenti in ordine alle competenze. .. Mezzi e strumenti Un pianoforte. Schede di lavoro.
Augusta Dall’Arche
.. Prodotto didattico finale Allestimento di una lezione aperta durante la quale proporre l’esecuzione, corredata dalla proiezione degli spartiti realizzati dai bambini, dei brani più significativi elaborati durante il corso. Augusta Dall’Arche
Indice dei nomi Atkinson, Robert, , , Bach, Johann Sebastian, Bartoccioli, Annamaria, , Besseler, Heinrich, – Bruner, Jerome, , –, Cage, John, – Calvino, Italo, , Caroccia, Antonio, , , , , Chopin, Fryderyk, Dall’Arche, Augusta, , –, , , De Andrè, Fabrizio, De Blasi, Giorgio, De Sabato, Giuseppe, , , , – Delalande, François, , , , , , , , , , , , Della Casa, Maurizio, Demetrio, Duccio, , , , , Dewey, John, , , , Di Lernia, Francesco, , Digiandomenico, Luciano, Episcopo, Maria Aida, , , Erickson, Erik, , , , , Ferrari, Franca, , , , , , , Fioroni, Giuseppe, Foucault, Michel, , , Françes, Robert, , Fratta, Giovanna, Freud, Sigmund,
Giordano, Umberto, , , , , , , , Gramsci, Antonio, Helmholtz, Hermann, Jedlowski, Paolo, , , Leiris, Michel, Levi, Primo, Loiodice, Isabella, , , , , Luca, Stefano, Marley, Bob, Merriam, Alan Parkhurst, , Palestrina, Giovanni Pierluigi da, Pavese, Cesare, Piatti, Mario, , , Riemann, Hugo, Romano, Lalla, Sannoner, Enrico, , Schubert, Franz, Stefani, Gino, , , Stumpf, Carl, Tessaro, Gek, , , , , Vannella, Pierluigi, Wagner, Richard, , Woolf, Virginia, , Yourcenar, Marguerite,
Gasbarro, Michele, Gelmini, Mariastella, Gentile, Giovanni,
– – Scienze matematiche e informatiche – Scienze fisiche – Scienze chimiche – Scienze della terra – Scienze biologiche – Scienze mediche – Scienze agrarie e veterinarie – Ingegneria civile e architettura – Ingegneria industriale e dell’informazione AREA
– Scienze dell’antichità, filologico–letterarie e storico–artistiche
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Finito di stampare nel mese di novembre del dalla «ERMES. Servizi Editoriali Integrati S.r.l.» Ariccia (RM) – – via Quarto Negroni, per conto della «Aracne editrice S.r.l.» di Roma