Catalogo ' Leonardo da Vinci e i Contemporanei'

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e i CO N TEM P O R A N EI

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In collaborazione con

Richmond Italia richmonditalia.it


e i CO N TEM P O R A N EI Quando il Genio si disseta l’Ignoto è la sua fonte. Dinanzi la creazione eleva l’intelletto e cheto si svela in Verità perfette. L’Invisibile si Crea e sublime si proclama, sovrastando occhi di realtà mediocri, ormai dissolte. Eterno è quell’attimo e il suo Nume Creatore che lo consacra al tempo. When the Genius quenches his thirst, the Unknown is his source. In front of the creation, he raises the intellect and, quiet, he reveals himself through perfect Truths. The Invisible Creates himself and sublime he claims him, surpassing eyes of middling realities, dissipated by this time. Eternal are that moment and his Creator Deity who consecrates him to time.

Silvia Arienti


Leonardo, malgrado tutto

Leonardo da Vinci e i Contemporanei

di Stefano Brenna

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Per molti artisti, la sperimentazione è una condanna. Leonardo da Vinci, che in primis si distingueva per le strade di Firenze e Milano con il suo “pitocco” corto e la “capellaia” lunga,1 fece della sperimentazione un’alleata dalle forti velleità fedifraghe. Una sorta di partner pericolosa, vedova nera, addetta stampa bizzarra: tanto abile a dargli fama, quanto a togliergliela. Sono diversi, nella vita di Leonardo, gli episodi in cui la sperimentazione partorisce tranelli. Se alcune vicende possono risultare poco note, quella del sorriso/non sorriso della Monna Lisa, l’opera mirabilis che si sostituisce addirittura alla notorietà del suo autore è sicuramente il preludio mainstream alla vicenda del Cenacolo, l'ultima cena che, proprio in sperimentazione, supera quelle di Andrea del Castagno e Domenico Ghirlandaio ma che, forse proprio per questo, anziché restare sulla parete del refettorio milanese, si disgrega nel tempo, infittendosi di inutili misteri pop che impacchettano i meriti pittorici del suo autore in formato blockbuster. Tutto ciò che è bravura e conoscenza, in Leonardo, sembra diventare quasi sempre attrazione, trucco e illusione: mistificazione balocca di un uomo complesso, che probabilmente è stato troppe cose per essere facilmente ricordato solo e semplicemente come un artista geniale. Citando Francesco Bonami, Leonardo «non era così famoso come uno avrebbe potuto immaginare»,2 e in effetti, proprio il Novecento ci racconta di una progressiva sottrazione di interesse da parte del pubblico che costringe Leonardo a gareggiare (insieme ad altri) con l’immediatezza del mercato dell’arte (molto più forte) e l’appeal di altrettanti “colleghi” nuovi di zecca. Certo, al Louvre c’è sempre coda davanti alla teca della Gioconda, ma la Gioconda è ormai diventata un’altra cosa: un’altra cosa che ha, di fatto, superato lo stesso Leonardo che in quel quadro sembra non esserci più. Non per niente, lo storico dell’arte Kenneth Clarck, riflettendoci, ha tentato di contenere il problema affermando che, in fondo, Leonardo è un po’ «l’Amleto della storia dell’arte che ognuno ricrea per sé»,3 e che la sua immagine è, per tutti noi, qualcosa di troppo soggettivo e personale per essere facilmente codificata come quella di un artista la cui fama è legata solo ed esclusivamente alla propria arte. Malgrado tutto, Leonardo non è, e non sarà mai, né Picasso né Warhol: in lui c’è davvero troppa sperimentazione e ogni deriva di studio sulla sua esperienza, più o meno lecita, più o meno seria, più o meno fantasiosa o semplicistica, è di per sé sufficientemente interessante per seguirla a fondo. Ecco allora che l’autore della Dama con l'ermellino può diventare facilmente un’altra persona, un altro personaggio, un ospite di prima serata, quando si parla del Codice Atlantico, delle macchine, della Battaglia di Cascina o, tanto per insistere, della Monna Lisa. Celebrare ancora Leonardo, dunque, non può che essere un bene, tanto che l’effetto balsamico di una mostra come quella ospitata a Palazzo Martinengo si trova ad agire addirittura su due fronti: quello della tradizione, che nel passatismo riconosce il va-

lore dell’artista; e quello della contemporaneità, che nel passato cerca invece un valido motivo di crescita. Per una volta, insomma, il parallelismo evoluzionista dell’arte, che a suo modo – cioè senza nemmeno la volontà di comprendere – ha sempre mantenuto un distacco coriaceo tra la bella pittura e la Merda d’artista, tra la pratica del fare il bello e la pratica del “far qualcosa”, tra il saper dipingere un volto e il buttare oggetti in una stanza; per una volta, dicevo, può allentare la tensione. Punti di incontro, o di avvicinamento, del resto, non possono che accordarsi con l’attività geniale di un uomo che sempre è stato proiettato nel futuro e che nel presente ha solo cercato gli strumenti per superarlo. Vale la pena dunque ricordare che Leonardo non è mai stato analgesico per nessuno. La storia della sua pittura consegna infatti all’opera che noi oggi contempliamo un valore secondario rispetto all’occhio, che per Leonardo è primo strumento; anzi, strumento primo, assoluto e dal valore radicale al quale è tenuto prima ancora di quanto non lo sia per pennello e colore. In altre parole, il luogo dove l’opera si forma. Oggi, abituati come siamo alla provocazione, alla monumentalità, alla spettacolarizzazione dell'arte e alle quotazioni a nove zeri, banalizziamo con estrema facilità – e forse lo facciamo dal quadrato nero di Malevich – qualunque opera che non sembri una fotografia, che non richieda ore e ore in studio, che non consideri religiosamente disegno a matita e velature ad olio. Consideriamo un paradosso l’associazione delle parole arte e installazione ed escludiamo a priori l’ingerenza del brutto in qualunque oggetto museale che, essendo arte, deve rifarsi solo al bello. Eppure, «Il museo non è il deposito del bello» afferma Achille Bonito Oliva,4 dialogando con Jannis Kounellis, l’artista che mezzo secolo fa aveva trasformato una galleria in una stalla con dodici cavalli: perché la bellezza non va banalizzata, perché la bellezza è – nella sua oggettività – un tema su cui continuare a discutere e riformulare ipotesi. Sperimentare, appunto. Ecco perché trovo bella l’opera di Gober e trovo belli i lavori di Martin Creed. Ecco perché mi chiedo che cosa avrebbe fatto Leonardo se solo avesse avuto a disposizione, oltre al suo occhio e a qualche cadavere, un intero laboratorio di diagnostica per immagini. E se le sue macchine, ad esempio, non fossero altro che delle installazioni ante litteram? Installazioni che oggi, nelle sale espositive di Palazzo Martinengo, trovano una collocazione ideale, circondate come sono da opere che in qualche modo vogliono celebrarle? Leonardo da Vinci e i contemporanei è dunque un’esposizione piena di incognite e, insieme, un’esposizione che asseconda la componente sperimentale, contraddittoria e dubitativa che l’arte da sempre, per l’appunto, mette in mostra. È grazie a questa componente che noi abbiamo la possibilità di riformulare l’arte ogni volta che la incontriamo, per il gusto di viverla e per il gusto di vivere.

Anonimo Gaddiano o Magliabechiano. Cod. Magliab. XVII, 17. Cfr. S. Bramly, Leonardo da Vinci, 2005, Mondadori. F. Bonami, Con Picasso incasso, 2012, Mondadori. 3 Clarck, Leonardo da Vinci, 1989, Penguin Books. 4 Fuori Quadro, Athena Produzioni. 1

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Leonardo, despite everything by Stefano Brenna

the simple practice of “doing something”, between being able to paint a face and throwing objects into a room, this time, I was saying, it can reduce the tension. Points of convergence or of approaching that harmonize with the brilliant activity of a man who has always been looking at the future and who lived the present only to find in it the instruments needed to overcome it. It’s worth to remember that Leonardo has never been analgesic to nobody. In fact, his art history gives a secondary merit to the painting because the most important instrument is the eye according to him: it is the first, absolute instrument with a radical value, even more important than the brush or the colour. In other words, it is the place in which the work of art forms. Nowadays, we are to used to provocation, to monumental works, to art turned into a show and to quotations with nine zeros. We trivialize extremely easily-and maybe we are doing this since Malevich’s black square- any work that does not seem to be a photograph, that does not take hours and hours of study, taht does not admit, almost religiously,only pencil drawings or oil glazings. We consider the association of the two words “art” and “installation” a paradox and we exclude at first glance the possible presence of an ugly element in a work of art that, according to us, can be only beautiful. “A museum isn’t a beauty storage”, says Achille Bonito Oliva 4 , talking to Jannis Kounellis, the artist who half a century ago turned an art gallery into a stable with twelve horses because beauty has not to be trivialized, because the objective beauty itself is a theme to keep on discussing and express hypothesis about. A theme to experiment. For this reason, I find Gober’s and Martin Creed’s works beautiful. This is the reason because I wonder what Leonardo would have done if he had had not only his eye and some corpses, but an entire images diagnostics laboratory. And if were his machineries only some installations ante litteram? Installations that find their ideal place nowadays, in the exhibition rooms of Palazzo Martinengo, surrounded by other works of art that want to praise them? Leonardo da Vinci and the Contemporaries is an exhibition full of unknown factors and, at the same time, an exhibition that supports experimental parts that art has always shown. This is thanks to this component that we have the opportunity of reformulating art every time that we meet it, for the gusto of experiencing it and for the gusto of living.

Gaddian or Magliabechian anonymous. Cod. Magliab. XVII, 17. Cfr. S. Bramly, Leonardo da Vinci, 2005, Mondadori. F. Bonami, Con Picasso incasso, 2012, Mondadori. 3 Clarck, Leonardo da Vinci, 1989, Penguin Books. 4 Fuori Quadro, Athena Produzioni. 1

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Leonardo da Vinci e i Contemporanei

Experimentation is a conviction for a lot of artists. On the contrary, Leonardo, who made the passers-by notice him because of his “pitocco” 1 (a short male dress) in the streets of Florence and Milan, chose the experimentation as an ally, even if it often betrayed him. It was a kind of dangerous partner, a black widow, a strange prerss agent who could be able to make him famous as well as to take celebrity away from him. In fact, in Leonardo’s life there are a lot of episodes in which experimentation revealed to be a trap. Some events may not be as famous as the one of the smiling/not smiling Monna Lisa, the opera mirabilis, even more notorious than its author, is the forerunner of the Cenacolo, the last dinner that experiements more than Andrea del Castagno’s and Domenico Ghirlandaio’s ones. Perhaps, exactly for this reason, it hasn’t remained stuck on that dining hall wall in Milan, but it has crossed the times, adquiring popular mysteries exploited by blockbuster painters. Everything that is ability and knowlwdge, in Leonardo’s works, seems to become almost always attraction and illusion: the mystification of a complex man who had too many roles to be rememebered only as a brilliant artist. Quoting Francesco Bonami, “Leonardo wasn’t as famous as someone could have imegined”2 , and actually, the XX century tells us a gradual public interest loss that forces Leonardo to compete against the market immediacy and against some brand new “colleagues”. This way, even if there are always queues in front of the Gioconda in the Louvre Museum, the Gioconda is now something different: something different that has actually passed Leonardo, who seems not to be in the painting anymore. It is not a case if the art historian Kennath Clarck tried to define the problem saying that “Leonardo is a kind of history of art Hamlet that everybody recreats for himself”3 , and that his image is something too personal to us to be easily codified as the image of an artist whose celebrity is connected to his art only. Despite everything, Leonardo is not and will never be nor Picasso nor Warhol: in his works there is far too much experiementation and every licit, serious, creative or simplistic study on them results to be enough ineteresting to be examined in depth. This way, the Dama con l’ermellino (The Lady with the stoat) author can easily become another person, another personality, a prime time guest when we talk about the Codice Atlantico (Antlantic Code), about machineries, about the Battaglia di Cascina (Cascina Battle) or about the Monna Lisa. As a consequence, praising Leonardo again can only be a good purpose and an exposition such as the one in Palazzo Martinengo has to develop two themes: the traditional one, that recognises the artist’s talent; and the contemporary one that, on the contrary, looks for a growth motivation in the past. This time, the evolutionist parallelism of art, that has always maintained a detachment between the beautiful painting and the Merda d’Artista (Artist’s Shit), between the practice of “doing something beautiful” and

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opere pittoriche paintings


Luca Bonfanti

L’astrattismo di Bonfanti è un sogno impossibile: da un lato suggerisce la possibilità di una conoscenza assoluta, dall’altro ci fa capire che questa conoscenza, per essere, ha invece bisogno di forme, di confini, di oggetti riconoscibili. Gli spazi sono dunque una grande manipolazione su tela delle nostre indecisioni, emotività scosse, certezze inesistenti che si ritrovano a galleggiare come rimasugli di un grande pensiero che, con il contemporaneo, è andato in frantumi. Bonfanti si trova dunque ad essere un naufrago senza libretto d’istruzioni, che si interroga sulla propria condizione rinunciando tuttavia alla resa: agisce sulla tela recuperando istintivamente e con avidità ciò che gli serve fino a fabbricarsi da solo gli strumenti necessari per uscire dall’illusione: con le sue opere marca territori inesistenti, sperimenta con il fuoco, mette in moto depistaggi emotivi. La conoscenza, del resto, è un viaggio continuo.

Leonardo da Vinci e i Contemporanei

Bonfanti’s abstractionism is an impossible dream: on one hand, it suggests the possibility of an absolute knowledge, on the other hand, it makes us understand that this knowledge needs forms, borderlines, recognisable objects to be. This way, spaces are a great manipulation of our indecisions on the canvas, they are shaken emotions, inexistent certainties that float like the rests of a great thought that has gone in pieces with the contemporary. For this reason, Bonfanti is like a shipwrecked man without any instruction, who wonders about his condition, but who, at the same time, gives up the idea of a surrender: he acts on the canvas, reconquering instinctively and greedly what he needs until he succeeds in producing on his own the instruments needed to escape the illusion: with his works ,he defines inexistent territories borders, he makes experiments with the fire, he sidetracks the emotions. Besides, the knowledge is a continuous voyage.

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Deus Ex Machina 200x150 cm tecnica mista acrilico su tela



Luca Bonfanti 10

L’ultima Cena 160x300 cm tecnica mista acrilico su tela


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Luca Bonfanti


Luca Bonfanti 12

"L'ultima cena" di Luca Bonfanti è un capolavoro concettuale di grande rilievo nel panorama artistico contemporaneo. L’artista ha la straordinaria capacità di trasferire sulla tela le proprie libere considerazioni, sincere e coraggiose riflessioni personali riferite ad uno dei momenti più affascianti della storia delle religioni, e dell’arte. Bonfanti affronta a viso aperto un momento altamente simbolico dell’umanità, mettendosi a nudo di fronte ad esso e affrontando le sensazioni provenienti da un’analisi particolarmente attenta. La spiccata sensibilità emotiva e lo spessore culturale dell’artista creano i presupposti ideali per immergersi nel significato intrinseco dell’opera d’arte la cui interpretazione fu la fortuna di autorevoli personaggi della storia dell’arte a partire da Giotto, Andrea del Castagno, Perugino, Giorgio Vasari, Domenico Ghirlandaio, Tiziano, Tintoretto, Barocci, Salvador Dalì, Rubens fino a quella forse più celebre di Leonardo da Vinci. Dopo aver assistito ad interpretazioni, pur autorevoli, in cui i personaggi rappresentati apparivano in maniera ieratica e statica, e dopo la rivoluzione di Leonardo, assistiamo oggi all’approccio nuovo di Bonfanti nel momento in cui giunge a una nuova trasfigurazione del momento in cui Gesù cena con gli Apostoli, ancorato alla sola forza dei segni e dalla profondità del colore. Le parole che nell’opera di Leonardo causavano i movimenti e la gestualità dei commensali, sono ora sapientemente sostituite dalle sensazioni che l’opera suscita sintetizzando al limite estremo ogni dettaglio, come se l’autore volesse eliminare ogni possibile “distrazione” e agevolare una maggiore attenzione sul significato intrinseco dell’Ultima Cena. Luca Bonfanti in questo è un vero maestro, la capacità d’immergersi nel più intimo e profondo dell’anima, come personale “necessità interiore”, non è certo una dote comune, in un mondo in cui sembra che più nessuno abbia la forza e la pazienza di lasciarsi sprofondare in se stessi senza la paura di dover affrontare quello che siamo nel nostro intimo. L’artista ha svolto, in questo contesto, un intenso lavoro su se stesso, e proprio qui nel luogo più profondo della sua anima ha trovato domande nuove, alle quali ora, ognuno di noi, in veste di osservatori, potrà provare a trovare le “proprie” risposte. Luca Bonfanti ha elaborato “L’Ultima Cena” mettendo in discussione tutto, anche se’ stesso, compresi quei dogmi che a volte pesano come macigni sin dalla formazione didattica scolastica e religiosa. L’Ultima Cena in questione è dunque un’analisi di quello che l’artista dichiara attraverso la presa in esame di più elementi, dalla Bibbia ai vangeli apocrifi, dai misteri templari alla massoneria, dalla teoria degli antichi alieni e l'origine della vita fino alla celebre opera di Leonardo da Vinci e il mistero antico del femminino sacro dove la donna e la natura erano un'unica cosa e da sempre le donne erano considerate le fedeli rappresentanti della terra, nostra madre natura e origine feconda. Maria Maddalena. La donna mistero, la donna apostolo, la preferita da Gesù, che "baciava molto spesso sulla bocca" (Vangelo apocrifo di Filippo). Ciò che e meno conosciuto e rimane nascosto è che la Maddalena era anche un iniziata alla quale Gesù aveva trasmesso la luce del suo insegnamento, il discepolo che amava, figura ambigua ritratta alla sinistra di Gesù nell'originale di Leonardo da Vinci dell'ultima cena (San Giovanni). Da questi presupposti emerge dunque, che alcune religioni possono aver stravolto e nascosto queste verità, creando una religione funzionale, che servisse più al potere e al dominio degli uomini, che al bene degli stessi. L'opera vuole così diventare un forte messaggio rivoluzionario di speranza per tutti noi e in particolar modo per le nuove generazioni, affinché divengano fondatori di un nuovo pensiero basato sulla verità e generato dall'amore incondizionato, in unione con il Dio di domani. Il dipinto si lascia leggere e interpretare, può coinvolgere e incuriosire ma anche sconvolgere o indignare, di certo è un’opera carica di grandi contenuti e di straordinaria vitalità espressiva. L’uomo ha lo straordinario dono della “creazione”, l’artista ancora di più, conscio del suo potere espressivo, può offrire nuove chiavi di lettura della realtà che possono “svegliare l’uomo dal torpore” come enunciato da Socrate, ponendolo davanti a questioni fondamentali. Luca Bonfanti si affida alla forza dei segni, alla semplificazione estrema, alla pulizia descrittiva quasi grafica, alla forza incredibile della simbologia attorno alla quale ruotano tutti i concetti espressi nell’Ultima Cena di Leonardo da Vinci. Mi piace pensare all’opera di Luca Bonfanti come lo specchio dell’anima dove riflesso si intravede l’artista con tutto il carico emotivo proveniente dalla costante ricerca della verità attraverso la poesia della pittura.

“The Last Supper” by Luca Bonfanti is a conceptual masterpiece of great importance in the contemporary art outline. The artist has an extraordinary ability in transferring his free considerations on the canvas, his sincere and brave personal reflections about one of the most fascinating moments of the history of religions, and of art. Bonfanti faces a highly symbolic moment for humanity, laying himself bare and facing the sensations coming from a careful analysis. The artist’s deep emotional sensitivity and his cultural insight create the ideal assumptions to dive in the inner meaning of the work of art whose interpretation was the luck of great personalities in the history of art, starting from Giotto, Andrea del Castagno, Perugino, Giorgio Vasari, Domenico Ghirlandaio, Tiziano, Tintoretto, Barocci, Salvador Dalì, Rubens finishing with the most famous one: Leonardo da Vinci. After witnessing a lot of different interpretations, even if influential, in which the characters represented appeared motionless and hieratical, and after Leonardo’s revolution, nowadays we see the brand new Bonfanti’s attitude at the moment in which he reaches a new transfiguration of Jesus Christ’s Last Supper with the Apostles, fixed by the only strength of signs and by the depth of the colour. The words that in Leonardo’s work caused the table companions’ movements and gestural expressiveness are now substituted by the sensations produced by the work of art that extremely synthetizes every detail, and it seems like the author wants to eliminate any possible “distraction” and facilitate a deeper attention on the inner meaning of “The Last Supper”. In this aim, Luca Bonfanti is a real master. His capacity of diving into the deeper part of our inner world, as it was a “personal need”, is an uncommon gift in a reality in which it seems that nobody has the strength and the patience necessary to look into ourselves without the fear of facing what we really are. In this context, the artsit has worked on himself in an intense way, and in the deeper part of his soul, he has found new questions to which everybody of us, the observers, can try to find his own answers. Luca Bonfanti realized “The Last Supper” bringing everything forward, even himself, even those dogmas that are the cornerstones of our religious and scholastical education. As a consequence, we can say that “Tha Last Supper” is an analysis of what the artist declares through the consideration of several elements, from the Bible to the Apocrypha, from the Templar mysteries to the Freemasonry, from the ancient aliens theory to the origin of life until the famous Leonardo da Vinci’s work and from the ancient mystery of female sacredness in which the woman and the nature were one thing and the women were considered representative of the Earth, our Mother Nature and our prolific origin. Mary Magdalene was the mysterious woman, the woman-apostle, Jesus’s fovourite, the one “who He often kissed on her lips”, (Philip’s Apocrypha). The less known fact is that Magdalene was also an initiate to whom Jesus had communicated the light of His teaching, a disciple that He loved, an ambiguous figure represented on Jesus’s left in Leonardo’s “Last Supper” (Saint John). From these assumptions, it comes to the surface that some religions can have twisted and hidden these truths, creating a serviceable religion that could be more useful for men’s power than for their benefits. This way, the work wants to become a strong and revolutionary message of hope for the all of us and, in particualar, for the new generations, to make them the founders of a new thought based on the truth and born by the unconditioned love, in a connection with tomorrow God. The painting allow to be read and interpreted, it can involve and intrigue, but also shock and outrage, it is surely a work charged with great contents and with an extraordinary expressiveness. The man has the extarordinary gift of creation, but the artist has this gift even more, aware of his expressive power, it can offer new instruments to read reality,instruments that can “wake up the man from the torpor” as Socrate said, putting him in front of some essential problems. Luca Bonfanti relies on the signs strength, on the extreme simplification, on an almost graphic descriptive clarity, on the incredible force of the symbols that express all Leonardo da Vinci’s “Last Supper” concepts. I like to think about Luca Bonfanti’s works as a soul mirror where the artist can be seen reflected with all the emotional load coming from the constant research of truth through the poetry of painting.

“Now when the even was come, he sat down with the twelve…” (Matthew 26, 20-29). Alberto Moioli

“Venuta la sera si mise a mensa con i dodici..” (Matteo 26,20-29) Alberto Moioli


Luca Bonfanti

Anatomia dell'uomo 120x100 cm tecnica mista acrilico su tela

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Luca Bonfanti 14

Omaggio alle acque 100x120 cm tecnica mista acrilico su tela


Luca Bonfanti

I Codici 110x145 cm tecnica mista acrilico su tela

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Luca Bonfanti 16

Il Visionario 160x180 cm tecnica mista acrilico su tela


Luca Bonfanti

L'uomo 100x75 cm tecnica mista acrilico su tela

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Milo

La pittura di Milo rende possibile una classicità al di fuori della dimensione accademica, capace cioè di accogliere le istanze della contemporaneità figurativa senza retrocedere alla noia del tecnicismo. Paesaggi, figure e oggetti si appropriano di uno spazio nuovo, che è definizione provvisoria e soggettiva, svincolato dalla superficie della tela e ricostruito di volta in volta nella mente di chi lo osserva. Non più centralità prospettiche, non più plasticità severe. Il mondo di Milo supera l’oggettività ripetitiva della classicità novecentesca per trovare nella scomposizione delle forme una forza emotiva del tutto nuova e rigeneratrice. Come Gino Severini, Milo sperimenta un caos di luci e colori che è festa e trionfo di emozioni.

Leonardo da Vinci e i Contemporanei

Milo’s painting makes a classicism out of the academy dimension possible, in other words, a classicism that is able to receive the figurative contemporaneity demands without going back to the boredom of technicality. Landscapes, figures and objects take possession of a new space that has a temporary and subjective definition and that is set free from the surface of the painting and rebuilt each time by the mind of the observer. There are no more perspective centralities, no more strict plasticity. Milo’s world overcomes the repetitive objectivity of the twentieth-century classicism to find a brand new emotional strength in the forms division. As Gino Severini does, Milo experiments a chaos of lights and colours that is a triumph of emotions.

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Il pensiero dell'uomo volante 150x120 cm acrilico su tela



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L’ultima Cena 200x300 cm – acrilico su tela


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Dalla Sacra Bibbia - Giavanni 13-20 “Quia unus ex vobis me tradet" In verità, in verità vi dico: uno di Voi mi tradirá" dall’ispirazione di queste sacre parole evolve l'opera di Milo. L’artista vuole che l’attenzione dell'occhio dell'osservatore cada al centro della tela, sulla figura di Cristo rivolto di spalle; Egli ha spezzato il pane, ha benedetto il vino pronunciando le parole che diventeranno sacre nell'atto dell'Eucarestia, e con la regalità con cui ha dato forma alla sacralità, il Maestro Milo, attraverso il sapiente gioco del cromatismo e delle pennellate decise, crea il gesto forte di calmare con la mano destra sul capo di un discepolo, lo sgomento degli apostoli che non capiscono il perché delle crude parole espresse da Gesù. Partendo dal fuoco attentivo sulla figura mortale, terrena del Messia, l'opera si espande su entrambi i lati con una sequenza continua, come una sorta di fotogrammi cinematografici che lo spettatore vede e ricompone in un’unica sequenza filmica, dando vita al racconto sacro di quell'attimo di vita che si trasformerà in un caposaldo della fede cristiana: la fondazione della Chiesa di Pietro. Nell’opera Milo riprende alcuni concetti pittorici dei suoi Maestri predecessori illustri che ha potuto ammirare dal vero. Da Rubens coglie l’idea compositiva di creare luce sul gesto che Cristo sta compiendo dopo aver pronunciato le famose parole rivolgendosi ai discepoli; dal Grande Leonardo da Vinci la collocazione a gruppi degli apostoli seguendo uno schema a triangolo con l’intento di accentuare lo sgomento e la paura espressa dalla mimica dei corpi dei personaggi presenti a tavola. Il colore bianco del tessuto della tovaglia è reinterpretato da Milo in chiave nuova e moderna attraverso un sapiente uso delle velature che porta alla colorazione di bianco con una tecnica che via via compone il colore tono su tono; infine da Goya mutua il colore delle vesti, rosso accesso e oro, azzurro e bianco donando un cromatismo variegato ed intenso a tutto il dipinto. Tutta la scena è dinamica, ogni elemento è in costante movimento, perché ogni opera di Milo si struttura con l’intento di riuscire a fermare il tempo con un gesto di pennello, i suoi raggi, il cielo, il sole dorato, la chioma dell'imponente albero di ulivo, le vesti dei discepoli, la tovaglia della tavola, la chioma di Gesù e la sua tunica, sono un continuo vorticoso atto di soffio di vita, un costante movimento che la vita ed il tempo stesso creano, e che l'artista cerca di fermare, in maniera immortale. Elementi caratterizzanti dell’opera di Milo sono la presenza, nella scena ritratta, delle parole, dei suoni, dei rumori, mediante la Sua innovativa capacità di descrivere frammenti di vita, di quotidianità, regala al fruitore la possibilità di quasi riuscire a “sentire” quello che nella scena stessa accade. È un autore di grande spessore sensoriale, un autore che disegna uno stato d’animo, l’incertezza di un momento, lo smarrimento, l’incredulità, l’improvvisa perdita di fiducia nell’altro, il dubbio, la paura, tutto sapientemente raccontato dalle sue dinamiche pennellate. Siamo di fronte ad un’ opera umile e regale, concretamente terrena ma anche divina, di grande emotività di spessore contenutistico, siamo di fronte alla vera Arte.

From the sacred Bible- John 13-20: “Quia unus ex vobis me tradet”. “Truly, truly I tell you: one of You will betray me”. From this sacred words Milo’s work takes its inspiration. The artiast wants that the attention of the observer’s eye falls on the painting centre, on Christ’s figure, who has his back turned on the onlookers. He has broken the bread, He has blessed the wine pronouncing the words that are going to become sacred during the Holy Communion rite, and the strong action of calming the apostles, upset by the Messiah’s harsh words, by touching one disciple’s head with his right hand, is represented by Master Milo with the same majesty with which he has made the sacredness concrete, through the expert use of the colours and the sharp brush-strokes. The work of art starts from a central focus that catches the observer’s attetion, the still mortal and worldly Messiah, and it widespreads towards both sides like a continuous sequence of frames that the onlooker sees and reassembles to recreate the sacred story of a moment of life that is going to be turned into a cornerstone of the Christian faith: Peter’s Church foundation. In this work of art, Milo introduces some pictorical concepts belonging to his predecessors, his renowned masters,whose works he could personally admire. From Rubens, he takes the compositional idea of focusing on the gesture that Christ is doing after pronouncing the famous words addressed to the disciples; while he takes from Leonardo da Vinci the distribution of the apostles, divided into groups by following a triangled scheme to emphasize the dismay and the fear by using the mime of the bodies too. The colour of the table cloth is a more modern kind of white, realized through an expert use of the glazings that allow the artist to create a new white colouring with a technique that composes the colour hue by hue. Finally, he takes his inspiration from Goya for the bright colours of the clothes, scarlet red and gold, light blue and white, giving a great variety of colours to the entire painting. The whole scene is dynamic, every element is in a costant motion, because the structure of each Milo’s work aims to succed in stopping the time with a single stroke of the brush. The rays of the sun, the sky, the golden sun, the impressive olive tree foliage, the disciples’ clothes, the table cloth, Jesus hair and His tunic are a continuous blast of life, a constant movement created by life and time itself and that the artist tries to fix in an immortal way. One of the elements that characterises Milo’s works is the presence of words, sounds and noises in the painted scene. Thanks to his innovative hability in describing pieces of everyday life, he gives the observer the possibility of “hearing” what happens in the scene itself. He is an author who gives great importance to senses, an author who draws a feeling, the uncertainty of a moment, the dismay, the disbelief, the sudden loss of each other’s confidence, the doubt , the fear, everything represented with his expert brushstrokes. We are in front of a both modest and regal work of art, concretely earthly but also divine, of a great emotionality. We are in front of the true Art.

Lomar Chebardo

Lomar Chebardo


Milo

La Vergine delle rocce 150x120 cm acrilico su tela

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Milo 24

Il Pensatore 75x60 cm acrilico su tela


Milo

La battaglia di Anghiari 150x200 cm acrilico su tela

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Milo 26

La macchina volante 150x120 cm acrilico su tela


Milo

Primo studio Ultima cena 35x50 cm tecnica mista su carta intelata

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Franco Anselmi

L’evoluzione della specie vale anche per l’arte contemporanea e spesso, con le sue leggi, interviene per alleggerirla: puntando verso nuove riflessioni, sperimentando la dimensione ludica e definendo nuove, importanti connessioni tra i linguaggi. Dalle tigri di Dalì ai cavalli di Kounellis, dal cagnolino di Jeff Koons allo scoiattolo suicida di Cattelan, la comparsa dell’animale nell’opera continua a depistare con efficacia il cerebralismo soffocante di alcuni dei temi più inquietanti, impegnati e seri del Novecento. Le costruzioni rigorosamente giocose di Franco Anselmi, nella loro ingannevole facilità, attivano – in noi che le osserviamo – una forma di conoscenza del tutto nuova, ravvicinata: tanto che nell’esattezza scientifica dell’uomo di Vitruvio trova spazio la dimensione emotiva, imprevedibile del witz freudiano, che fa piazza pulita dei meccanismi comunicativi utilizzati dall’inconscio e rivela di colpo i contenuti nascosti. Senza ridicolizzarle, le nostre riflessioni più intime diventano così il contrappunto migliore per smascherare una realtà che si basa solo su costruzioni complesse e facciate di inutili splendori. La superficie pittorica è perciò, nelle opere di Anselmi, un banco di prova per tirare le fila sulla nostra autenticità: illusi come siamo dal controllo, ingannati come siamo dall’imprevisto.

Leonardo da Vinci e i Contemporanei

The evolution of the species is valid for the contemporary art too, and it often intervenes with its laws to ease it by addressing itself to new refelctions, by experiencing a playing dimension and by defining new, important connections between languages. From Dalì’s tigers to Kounellis’s horses, from Jeff Koons’s little dog to Cattelan’s suicide squirrel, the appearance of an animal in the work of art continues to sidetrack the choacking cerebralism of some of the most disquieting themes of the XX century. Franco Anselmi’s always playful constructions start up –in us, the observers- a new kind of knowledge, thanks to their misleading easiness. This way, the emotional and unpredicatble dimension of Freudian witz finds its place even in the scientific exactitude of Vitruvio’s man and it eliminates all the communicative mechanisms used by the unconscious and it suddenly reveals its hidden contents. Without being made ridiculous, our inner reflections become the best composition to unmask a reality based on complex structures and appearances of useless wonders only. The pictorical surface is, in Anselmi’s works, the perfect test bench for our authenticity: kept fooling as we are by the control, mislead as we are by the unexpected.

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Vetruvian aerobic gym 150x100 cm tecnica mista su compensato marino



Franco Anselmi 30

Last supper but not least 100x250 cm tecnica mista su compensato marino


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Franco Anselmi


Franco Anselmi 32

Evolution of the horse 100x20 cm tecnica mista su compensato marino


Franco Anselmi

Strange weather 150x100 cm tecnica mista su compensato marino

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Marino Benigna

Le opere di Benigna sono l'espressione radicale di uno stato d'animo complesso e indicibile se non attraverso figure deformi, giunture contorte, bocche svuotate e occhi inquieti. Un campionario umano che è paranoia e assenza di azione, collocato in uno spazio altrettanto indistinguibile, dove l'esistenza imperfetta è anche unico elemento di osservazione. Ci sono echi di pittura antica, nelle tele di Marino Benigna, che richiamano le articolazioni nodose e doloranti della Crocifissione di Grünewald, ma anche richiami al cromatismo prezioso della Secessione, alla sofferenza denunciata dai corpi di Schiele. Eppure, proprio laddove il corpo è spesso martoriato e solitario nella sua disperazione, il dramma da camera, privato e intimo, diventa dramma collettivo, che tutti noi possiamo riconoscere: perché risveglia una condizione di inquietudine e chiusura alla quale, dall'urlo di Munch in poi, nessuno riesce più a sottrarsi. Ed è così che la pittura crea un ponte solido tra il nostro pensiero e il nostro agire, tra la nostra condizione e le nostre aspettative. Nella rappresentazione delle difficoltà, Benigna ci assicura una comprensione, che può spaventare, forse, ma che ci dice quanto l’animo sia qualcosa di meravigliosamente complesso.

Leonardo da Vinci e i Contemporanei

Benigna’s works are the radical expression of a complex feeling, indescribable without using misshapen figures, warped joints, empty mouths and disquiet eyes. A human range that is paranoia and absence of action, set in an indistinguishable place, where the imperfect existence is also the only element that can be observed. In Marino Benigna’s paintings there are ancient pictoral echoes that remind us of the painful and gnarled articulations of Grünewald’s Crucifixion, but also of the precious colours of the Secession, the suffering denounced by Schiele’s bodies. However, in the contexts where the body is often tortured and alone in his dispair, the private and inner tragedy becomes a collective tragedy, that everybody can recognise because it awakes a condition of anxiety and isolation from which nobody can escape from Munch’s Scream on. This way, the art of painting creates a solid connenction between our thought and our way of acting, between our condition and our expectations. In this representation of difficulties, Benigna guarantees us a comprehension that may frighten, but that makes us undesrtand how wonderfully complex our soul is.

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Autoritratto 150x100 cm olio su tela



Marino Benigna

Disperato 150x150 cm olio su tela

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Nasce l'uomo a fatica 100x100 cm olio su tela


Marino Benigna

Autoritratto e volti 120x70 cm olio su tela

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Estasi 100x70 cm olio su tela

Marino Benigna

Gelo 1 100x150 cm olio su tela

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Marino Benigna

Involuzione 100x70 cm olio su tela

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Cannaò

Cannaò è un abile “riciclatore” del futuro, uno sperimentatore che fagocita ciò che ancora deve arrivare con la consapevolezza che tutti gli sperimentatori hanno: l’arte non sarà mai abbastanza e gli strumenti dell’arte saranno sempre inadeguati. Il perfezionamento del suo linguaggio intreccia dunque l’estetica all’etica, mettendosi al passo con le trasformazioni (talvolta così poco evolute) di un presente caotico e livellatore di coscienze. Nella sua pittura c’è infatti un rilancio, una sfida agguerrita, una tendenza all’auto-superamento che è “pasticcio” favoloso di materiali, livelli e forme, con un’energia d’avanguardia così autentica che si traduce in soluzioni di rottura tanto poetiche da lasciare stupiti. È il caso del trittico Enigma, che rilegge l’incognita-Leonardo in una dimensione quasi sognante, dove gli oggetti della storia fanno pace con l’animo tormentato del genio. Cannaò unisce la metafisica e il realismo, la materia e la sua scomposizione, la profondità e la totale assenza di prospettiva: nel tentativo, forse di imitare il linguaggio dei sogni e riportare l’osservatore a interessarsi della vita.

Leonardo da Vinci e i Contemporanei

Cannaò is a skilled “recycler” of the future, an experimenter who absorbs what hasn’t been discovered yet with the awareness that every experimenter has:art would never be enough and art instruments will be always unsuitable. His languange perfectionism mixes aesthetics and ethics, trying to be in step with the transformations (sometimes scarcely evolved) of a chaotic present that smooths the consciences. In fact, in his way of painting there is a raising, a tough challenge, an instinct that brings him to overcome himself and that leads to a fabulous “pastiche” of materials, levels and forms with a vanguard energy so authentical that produces some breaking solutions so poetic that can amaze. This is the case of the triptych Enigma, that reintroduces Leonardo’s unknown factor in an almost dreaming dimension where the objects of History find a point of cennection with the anguished spirit of the genius. Cannaò joins the metaphysics and the realism, the matter and its division, the depth and the total lack of perspective: perhaps, in the attempt of imitating the dreams language and of bringing to the observer a new interest in life.

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La luna - Sipario! 120x80 cm polimaterico e olio su tela



Cannaò 42

Le mani - Prigiono blu 120x80 cm polimaterico e olio su tela


Cannaò

Enigma Sinistra 120x80 cm polimaterico e olio su tela

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Cannaò 44

Enigma Centro 120x80 cm polimaterico e olio su tela


Cannaò

Enigma Destra 120x80 cm polimaterico e olio su tela

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Renato Natale Chiesa

Dal Manifesto Blanco in poi, lo spazio è diventato un oggetto incomprensibile con il quale bisogna scendere a compromessi, che spesso mettono in relazione – o scontro – pittura e scultura. La più grande rinuncia degli spazialisti, non a caso, è proprio il colore: da subordinare a una tela che diventa invece superficie 3D. Ecco, Renato Chiesa, con la sua pittura, restituisce alla tela proprio ciò che la sperimentazione informale le aveva tolto. Campiture di azzurro, rosa, giallo e rosso catturano l’osservatore con un duplice movimento: da una parte, la forza esplicita e radicale del colore stesso; dall’altra, la frammentazione della tela, che si diverte quasi a imitare le lacerazioni, gli scollamenti, i fori e i tagli che le tante riflessioni novecentesche hanno proposto. A tutto questo, Renato Chiesa aggiunge anche la forma che, nel cerchio, diventa quasi paradigma, unità di misura di una profondità d’animo in grado di riconoscersi solo nella riflessione e nell’osservazione dell’astratto. Inscritta nel cerchio, affermava Puskin, c’è l’origine dei segni grafici che portano ai numeri e al linguaggio. Chiesa reinterpreta la forma come origine della nostra affascinante complessità.

Leonardo da Vinci e i Contemporanei

Since the Manifesto Blanco, the space has become an incomprehensible object with which we have to reach a compromise that often puts in touch- or in contrast – painting and sculpture. For this reason, we can say that statialists’ greatest renouncement is the colour that has to be subordinated to the canvas which, on the contrary,becomes a tridimensional surface. With his way of painting, Renato Chiesa gives back to the canvas what the informal experimentation had taken away from it. Light blue, pink, yellow and red background paintings capture the attention of the observer with a double motion: on one hand, the explicit and radical strength of the colour itself; on the other hand, the division of the canvas that enjoys itself imitating the tearings, the movings apart, the holes and the cuts proposed by a lot of different twentieth-century reflections. Renato Chiesa adds to this also the form that, in the circle, becomes almost a paradigm, the unit of measurement of a soul depth that is able to recognise itself only in the reflection and the observation of the abstract. As Puškin said, the origin of all graphic signs that lead to the numbers and to the language is inscribed in the circle. Chiesa reinterprets the form as the origin of our fascinating complexity.

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Ottav Orione 70x70 cm acrilico su tela



Renato Natale Chiesa 48

Periodo Orione Sfere Rosse 85x90 cm acrilico su tela


Renato Natale Chiesa

Periodo Orione 83x88 cm acrilico su tela

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Renato Natale Chiesa 50

Sfere Periodo Orione 90x85 cm acrilico su tela


Renato Natale Chiesa

Trasversale 100x190 cm acrilico su tela

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Domenico Gabbia

Sperimentando con la materia e la stilizzazione, Domenico Gabbia ha costruito un inventario personale, privato, intimo, con il quale ci chiama all'osservazione, regalandoci un mondo primitivo e puro. La grande struttura del Novecento agisce su di lui come uno slancio agonistico verso la sperimentazione di forme autentiche, esemplari, fatte proprie da chi ancora non sa guardare il mondo e lo nomina per la prima volta. Una chiusura, questa, in parte simbolica, in parte crepuscolare, che tuttavia non rinuncia al cromatismo brillante e alla gestualità che richiama talvolta l'estetica di Paul Klee, le sculture di Fausto Melotti, e persino certi esempi di miniatura medievale: dove non c'è prospettiva, ma solo una gerarchia delle forme che riempie di magia e ulteriori significati l'intera raffigurazione. C'è un'infanzia che corre, sulle tele di Domenico Gabbia, e che si afferma con il linguaggio più semplice e “appiccicoso” di chi ha davanti a sé la grande visione del disincanto. Ecco allora le impronte materiche di colore sovrapporsi alle superfici artificiose dei diversi materiali che definiscono il supporto e la concretezza dell'esperienza. Un'esperienza che si dissolve poi nella leggerezza di chi sa cogliere i valori. A questo punto, la letteratura penserebbe al Calvino degli antenati, il design alla semplicità bizzarra di Munari. Probabilmente, l'arte che gioca con la vita è, di per sé, una condizione di tutti.

Leonardo da Vinci e i Contemporanei

Domenico Gabbia has created a personal, private range of forms by experimenting matter and stylization and thanks to this he brings us to observation giving us a pure and primitive world. The great twentieth-century structure makes him tend towards the experimentation of authentical and exemplar forms and the one who can’t analyze the world yet takes possession of them. This is a partially symbolic and a partially crepuscular conclusion, but it doesn’t give up bright colours and its gestures that can remind of Paul Klee’s aesthetics, of Fausto Melotti’s sculptures and even of some medieval miniatures. There is no perspective, but only a forms hierarchy that fills with magic and more meanings the whole representation. In Domenico Gabbia’s paintings, there is a sort of childhood that expresses itself with the simple and “clingy” langauge of the one who has the great vision of disillusion in front of him.This way, we can see the concrete tracks of colour on the studied surfaces of the different materials that define the support of experience. An experience that dissolves in the levity of who can understand the values. At this point, literature would think of Calvino, while the design would think of Munari’s strange simplicity. Probably, this art that plays with life is a collective condition.

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Racconto 120x96 cm affresco



Domenico Gabbia

Racconto 120x100 cm acrilico, oilbar e fusaggine

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Racconto 120x96 cm acrilico, oilbar e fusaggine


Domenico Gabbia

Racconto 120x96 cm acrilico, oilbar e fusaggine

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Racconto 100x150 cm acrilico, oilbar e fusaggine

Domenico Gabbia

Racconto 105x175 cm acrilico, oilbar e fusaggine

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Domenico Gabbia

Paesaggio 93x110 cm affresco

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Enzo Rizzo

Quello dell’origine è un tema faticoso e pieno di incongruenze che la contemporaneità affronta con interesse e diffidenza: del resto, ogni origine non è altro che un distacco, la perdita di una simbiosi che porta alla crescita, alla differenziazione, all’affermazione di sé e dell’altro, come uguali e diversi. Nelle tele di Enzo Rizzo la paura di questo distacco si dissolve nella rassicurazione del colore, intenso e avvolgente, che fa luce sull’indistinto, perfezionandolo e strutturandolo come il primo spazio di vita. Si percepisce così una spiritualità che è al tempo stesso stasi e transizione, che definisce un accordo intimo e profondo con tutti gli elementi. Nel cromatismo di Rizzo, dove si intrecciano astratto e figurazione, si riconosce anche una traccia della tradizione divisionista (come non pensare alla Maternità di Previati?) e una strada del tutto singolare che, a differenza di molti altri artisti, sceglie di rappresentare il corpo quando ancora non lo è: nella crescita silenziosa che avviene nel buio. Quando nessuno lo può vedere.

Leonardo da Vinci e i Contemporanei

The theme of the origin is complex and full of inconsequences that the contemporaneity faces with interest and suspicion: besides, every origin is not different from a detachment, the loss of a symbiosis that leads to a growth, to a differentiation, to our and the other’s achievement, as we were equal but different. In Enzo Rizzo’s paintings, the fear caused by this detachment fades in the reassurance of the colour, intense and involving, that enlights the unknown, the indistinguishable, making it more perfect, like it was the first life space. This way, we can perceive a spirituality that is stasis and transition at the same time, that defines a deep concert between all the elements. In Rizzo’s colours, where abstract and figures mix, we can recognise a trace of the pointillist tradition (how do not think about Previati’s “Motherhood”?) and he follows an absolutely unique way that is different from the one of the most of the artists because it represents the body when it hasn’t become a body yet: during his silent growth that happens in the dark. When nobody can see.

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In principio era l'uno 160x100 cm olio su tavola



Enzo Rizzo 60

Ex Voto 130x100 cm olio e resina su tavola


Enzo Rizzo

Terra celeste 92x120 cm olio e smalto su tavola

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Enzo Rizzo

Trono 162x70 olio su tavola

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Nutrimento del cielo 160x100 cm olio su tavola


Enzo Rizzo

Ricercando l'origine 97x78 cm olio e catrame su tavola

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Filippo Scimeca

Una delle grandi sfide dell'arte del Novecento è stata oltrepassare lo spazio, superare la percezione fisica, la superficie oggettiva delle conoscenze. Con Scimeca, il superamento del limite sta proprio nella consapevolezza del limite stesso: cioè in una riproduzione costante di quei confini e di quegli spazi che ogni forma e linea, sovrapponendosi, creano. Le tele di Scimeca sono così una “trappola” affascinante fatta di colori scomposti che ci obbliga a un'osservazione profonda. Osservazione che, tra le tante divergenze soggettive, riconduce all'origine esemplare e collettiva di tutte le nostre conoscenze. In assenza di figura, l'astrattismo, con il suo linguaggio indefinito, riesce – per un suggestivo paradosso – a delineare la forma: cioè l'essenza di ogni codice espressivo, ciò che Kandinskij desiderava rendere metafisico. L'artista e la “sua” tela, l'artista e la “sua” materia, l'artista e il suo corpo hanno sempre fatto da paradigmi – per la verità, mai del tutto risolti – con i quali la pittura ha cercato di dare dignità all'astratto. Filippo Scimeca trova questo superamento proprio nel rigore geometrico, che è pulizia di superfici, generatore di contenuti e infinite velature di colore. Alle ricostruzioni futuriste e vorticiste dell'universo, Scimeca affianca la sua personale, defilata ricostruzione geometrica fatta di forme e di infinte linee che si incontrano.

Leonardo da Vinci e i Contemporanei

One of the great twentieth-century art challenges was overcoming space, physical perception and knowledge objective surface. With Scimeca, the passing of the limit is the awareness of the limit itself: in other words, it consists in the constant reproduction of those beorderlines and those spaces created by every form and every line that overlies the other. This way, Scimeca’s paintings are a fascinating “trap” made of broken down colours that lead us to a deep observation, an observation that brings us back to the collective origin of all our knowledges, despite of our individual disagreements. Because of the absence of any figure, the abstractism is able to shape the form through its undefined language: this is the essential of any expressive code, what Kandinskij wanted to make metaphysical. The artist and “his” painting, the artist and “his” matter, the artist and his body have always been paradigms with which the art has always tried to give dignity to the abstract. Filippo Scimeca finds this passing in a geometrical precision that is clereness of surfaces generating contents and neverending glazings of colour. Together with his futurist and vorticist recreation of the universe, Scimeca represents on the painting his personal geometric reconstruction made of forms and endless lines that meet one another.

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Il sorriso del tempo 100x70 cm olio e acrilico su tela



Filippo Scimeca 66

Il tempo altro non è che la determinazione del movimento 100x100 cm olio e acrilico su tela


Filippo Scimeca

La porta sud del paradiso 100x100 cm olio e acrilico su tela

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Filippo Scimeca

La luce è la rivelatrice dello spazio 100x100 cm olio e acrilico su tela

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La mia Etna 90x90 cm olio e acrilico su tela


Filippo Scimeca

Forma, luce e linee di forza 90x90 cm olio e acrilico su tela

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Togo

Laddove il modernismo spinge verso la complessità, affondando nelle coscienze disorientate e in quella definizione spesso caotica della forma e del segno, l'arte di Togo si sofferma sul senso del luogo, sulla forza dello spazio e delle sue suggestioni. Spesso definito anticipatore della transavanguardia, Togo resta un mediatore autentico dei messaggi che il “genius loci” trasmette all'umano; i suoi colori, di fatto, sono ormai un archetipo dello stare, del fabbricare, dell'agire, dell'entrare in relazione con sé e con gli altri. La città che sale diventa allora nelle opere di Togo uno spazio che si dilata, si dissolve, assume nuove identità, rende partecipe l'osservatore: rincuorandolo, con il caldo del mediterraneo, anche quando, come dice Montale, “l'azzurro (del cielo) si mostra soltanto a pezzi, in alto”, sulla sua testa, nella sua anima.

Leonardo da Vinci e i Contemporanei

Normally, Modernism tends to complexity and it is based on confused consciences and on the chaotic definition of sign and form. On the contrary,Togo’s art concentrates on the meaning of the site, on the strength of the space and on its awesomenesses. He is often considered as a transavangarde pioneer, but he also remains an authentic mediator for the messages that the “genius loci” passes down to man; actually, his colours are now the archetype of the concepts of “staying”, of “producing”, of “acting”, of “getting in touch” with ourselves and with the others. In Togo’s works, La città che sale (The rising city) becomes a space that gets wider and wider, then fades, acquires new identities, it involves the observer with its Mediterranenan hot, even when, as Montale says, “the blue (of the sky) shows itself only in pieces, up above”, under his head, in his soul.

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Poliedro e natura 80x60 cm olio su tela



Togo 72

Antropomorfo 150x180 cm olio e acrilico su tela


Togo

Eolie 140x160 cm olio e acrilico su tela

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Togo 74

Estate 85x100 cm olio e acrilico su tela


Il sogno si avvera 60x80 cm olio su tela

Togo

In volo tra le palme 60x80 cm olio su tela

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Tiziana Vanetti

Il paesaggio è da sempre un bellissimo dialogo tra uomo e natura che l'arte ha più volte cercato di interrompere, per poi pentirsi e riprenderlo al più presto. Tiziana Vanetti, con un segno tutt'altro che accomodante, torna a riflettere sulla natura intesa come spazio vissuto ma, soprattutto, come spazio osservato che diventa espressione di sé. Più di ogni altro, il paesaggio è il soggetto che fa dire “io” all'artista, il quale lo impiega a sua volta come linguaggio per affermare se stesso e dare voce alla propria dimensione emotiva. Affrancata dal sublime, supportata da un segno deciso, di affermazione appunto, la natura dipinta da Vanetti è, direbbe Ritter, una natura che si rivela esteticamente all'osservatore: una natura che diventa puro oggetto estetico con il quale l'uomo deve imparare a fare i conti, dimenticandosi il pittoresco e affondando invece nella materia, nelle luci, nelle evoluzioni di colore che possono essere bellezza e inquietudine insieme. Le opere di Vanetti sono dunque un invito all'osservazione estetica, che riflette in un primo momento le grandi macchie di Turner per riconquistare subito dopo una identità propria sempre più decisa. Continua, sulle tele di Vanetti, quel dialogo bellissimo con cui l'uomo ha imparato a riconoscere la città come simbolo delle libertà civili e la natura come veicolo dei suoi sentimenti.

Leonardo da Vinci e i Contemporanei

The landscape has always been a wonderful dialogue between man and nature that the art has tried to interrupt several times, later regretting and resuming it as soon as possible.Tiziana Vanetti, with a sign that is all but obliging, meditates on a nature conceived as a space to live in, but, above all, as an observed space that becomes an expression of itself. The landscape is the subject that more than any other makes the artist say “I” and he employs it as a language to express himself and his emotional dimension. The nature painted by Vanetti is set free from the sublime, supported by a decisive sign of achievement and, as Ritter would say, it is a nature that reveals herself to the observer from an aesthetic point of view: a nature that becomes a mere aesthetic object that the man has to learn to manage, forgetting the picturesque and diving, on the contrary, into the matter, the lights, the colour evolutions that can be beautiful and disquieting at the same time. Vanetti’s works are an invitation to the aesthetic observation that reflects Turner’s big spots for a first moment, but that immediately reconquers its own more and more determined identity. On Vanetti’s paintings, that beautiful dialogue, with which the man has learnt how to consider the city as the symbol of his civil freedoms and the nature as the means of his feelings, goes on.

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Ghibli 6 130x100 acrilico su tela



Ghibli 1 65x90 cm acrilico su tela

Tiziana Vanetti

Ghibli 2 60x90 cm acrilico su tela

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Tiziana Vanetti

Ghibli 3 60x90 cm acrilico su tela

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Tiziana Vanetti 80

Ghibli 4 130x100 cm acrilico su tela


Tiziana Vanetti

Ghibli 5 130x100 cm acrilico su tela

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macchine vinciane Leonardo's machines


Leonardo da Vinci e i Contemporanei

Giorgio Mascheroni

Il grande interesse per la tecnica e per la matematica, l'ammirazione per Leonardo da Vinci e per la civiltà millenaria dell'Antico Egitto, lo spingono verso una ricerca che mira ad una migliore comprensione della natura, dell'uomo e delle sue creazioni, che si realizza formalmente con la realizzazione di macchine che esplicano in modo chiaro e tangibile l'oggetto dei suoi studi. Per hobby, ha iniziato riproducendo in scala alcune macchine per la lavorazione del legno. In seguito si è addentrato nel mondo della scienza, ispirandosi principalmente al Grande Genio per eccellenza – Leonardo da Vinci. Ambizione ardita e non presunzione quella di misurarsi con le proprie capacità intellettive e manuali, per voler – o quanto meno sperare – di capire il Grande Genio Leonardo. Innanzitutto si è calato, come si suol dire, anima e corpo nella mente di Leonardo, sforzandosi nel tentativo di riuscire a capire i molteplici disegni, talora non del tutto esplosi, ma sempre ingegnosi ed intriganti. La prerogativa è la curiosità, non fine a se stessa, bensì come base di osservazione per stimolare la mente in un susseguirsi di “ma” e “perché”, sempre alla ricerca di una soluzione migliore. Ogni pezzo di legno insignificante viene plasmato prima dalla mente, poi dalle mani per dar vita a forme e oggetti, tali da entusiasmare e carpire al mente di chi li osserva. Qualsiasi lavoro è eseguito artigianalmente usando materiali di recupero e riadattati per rimanere il più possibile nel contesto ambientale ed ecologico. Questo sistema di lavorazione sia pur all’apparenza semplice, vale a dimostrare che sebbene nell’epoca delle grandi innovazioni tecnologiche, si possa trarre spunto dai periodi remoti, quando dal poco o nulla si trovavano grandi soluzioni.

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The great interst in maths and technique, the admiration for Leonardo and for the thousand-year old Ancient Egypt civilization push him towards a research that aims to a better comprehension of nature, of the man and his creations and this comprehension fulfils itself through the realization of some machineries that explain in a clearly and concrete manner the object of his studies. He started it as a pastime, by copying to reduced scale some machineries for the manufacturing of the wood. Later, he entered the world of science and he was inspired by the Great Genius- Leonardo da Vinci. His hope of understanding Leonardo’s Great Genius, by challenging himself and his own intellectual and manual abilities, has not been a presumption, but only a daring drive. First of all, he completely devoted his body and soul to the attempt of understanding the several projects, always ingenious and involving. Cuiosity is the prerogative, not when it has itself as an aim, but when it is the basis of an observation that can stimulate the mind with a series of obstacles and causes, always searching for a better solution. Every insignificant piece of wood is firstly shaped by the mind, lately by the hands, to give birth to forms and objects that can arouse the observers’enthusiasm. Every work is carried out by using recycled materials to keep on acting in the respect of the environment. This kind of manufacturing has a simple appearance, but it can prove that, even if we live in the age of the great technological innovations, we can still use the remote times as a starting point for our projects that sometimes need those ancient great solutions.


Equalizzatore a molla continua

Giorgio Mascheroni

Carro armato

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Barca a pale (propulsione a pedali)

Giorgio Mascheroni

Mazzocchio

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Ponte girevole

Giorgio Mascheroni

Coclea

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Tamburo meccanico

Giorgio Mascheroni

Tamburo meccanico

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Vite aerea

Giorgio Mascheroni

Chiuse - Navigli

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Ponte d'assalto

Giorgio Mascheroni

Cinque poliedri platonici

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Ruotismo epicicloidale

Cuscinetti a sfera

Giorgio Mascheroni

Icosaedro troncato

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opere scultoree sculptures


Luca Bonfanti Luca Bonfanti 94

Il volo altezza 40 cm bronzo fusione cera persa


Luca Bonfanti

Dicotomia altezza 71 cm bronzo fusione cera persa

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Luca Bonfanti 96

Ultima cena altezza 24 cm bronzo fusione cera persa


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Leonardo da Vinci e i Contemporanei


Milo Milo 98

Battaglia di Anghiari altezza 60 cm bronzo fusione cera persa


Milo

Domando altezza 45 cm bronzo fusione cera persa

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Milo 100

San Giorgio e il drago altezza 40 cm bronzo fusione cera persa


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Leonardo da Vinci e i Contemporanei


Filippo Scimeca Filippo Scimeca 102

Abbraccio nello spazio altezza 82 cm bronzo lucidato su noce


Filippo Scimeca

Lo spazio entro lo spazio altezza 45 cm bronzo spazzolato su paduk

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Leonardo da Vinci e i Contemporanei Mostra a cura di Valerio Lombardo e Luca Bonfanti Progetto e organizazione: Container Lab Association Ufficio stampa / Comunicazione: Container Lab Association

Ringraziamenti speciali

Soci Container Lab Association: Luca Bonfanti Riccardo Fuochi Valerio Lombardo Alberto Perfetti Federico Prestileo

Intoduzione e Testi critici artisti a cura di Stefano Brenna Poesia Introduttiva aletta sopracoperta - interno Silvia Arienti Testo critico ultima cena Luca Bonfanti Alberto Moioli Testo critico ultima cena Milo Lomar Chebardo

Raffaele Martena Giorgio Armaroli Federico Ferrari Andrea Perfetti Pier Luigi Mottinelli Giuseppe Perugini Costanzo Frari

Traduzioni a cura di Benedetta Corio Riproduzioni Macchine vinciane Giorgio Mascheroni App - video parallax 3d – sistemi interattivi touch screen – ultime cene Emiliano Maddalena Equipnet App audio guida Andrea Perfetti Stefano Brenna

Editore: Scripta Maneant 2016 www.scriptamaneant.it Numero Verde: 800 144 944

Andrea Arienti Claudio Chetta Alessandro Toselli Davide Mandini Gianluca Ginepro Vera Moudra Alan D’orlando

Video “Leonardo racconta il cenacolo” Le mappe dei Tesori D’Italia di Maurizio Sangalli con Massimiliano Loizzi, Marco Ballerini, Alberto Patrucco, Alfredo Colina. Video Enigma Leonardo – la luna il volo e le mani di Michele Cannaò Progetto grafico e impaginazione Giovanni Pallotta

Stampa: SGI Società Generale dell'Immagine srl

Tatiana Rykoun Domenico Biella Nicola Miraglia Giancarlo Parrini Stefano Bazzini Gian Giacomo William Faillace Fabio Vicamini

Trasporti a cura di: Effepierre Logistics & Omlog International Crediti fotografici Ultime cene – scatti gigapixel - Luca Bonfanti – Milo: Foto d’arte – Giuseppe Malcangi Opere Bonfanti – Milo: Giorgio Balzano Macchine Vinciane & reportage: Michelangelo Foto Limbiate

Finito di stampare Giugno 2016 Tutti i diritti riservati All rights reserved ISBN: 978-88-95847-59-7


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