2 L’HABITAT IN TERRA CRUDA NELLO SVILUPPO RURALE DEL NORD DELL’INDIA: ESPERIENZE NELLA RICOSTRUZIONE POST-TERREMOTO NEL DISTRETTO DEL KACHCHH
Earthen habitat in rural development of northern India: experiences in post-earthquake rehabilitation in Kachchh district Chiara Chiodero
WORLD IN PROGRESS
World in Progress 2
L’HABITAT IN TERRA CRUDA NELLO SVILUPPO RURALE DEL NORD DELL’INDIA: ESPERIENZE NELLA RICOSTRUZIONE POST-TERREMOTO NEL DISTRETTO DEL KACHCHH Earthen habitat in rural development of northern India: experiences in post-earthquake rehabilitation in Kachchh district Chiara Chiodero
Politecnico di Torino 2008
Per contatti: Centro di ricerca e documentazione in Tecnologia Architettura e Città nei paesi in via di sviluppo Dipartimento Casa-Città - Politecnico di Torino Viale Mattioli 39, 10125 Torino, Italia tel. +39 011 564 6439, fax +39 011 564 6442 e-mail: centropvs@polito.it sito: www.polito.it/crd-pvs
Crediti immagini: Dove non specificato le foto sono dell’autore. L’indicazione HSF corrisponde alla Hunnar Shaala Foundation for Building Technology and Innovations, Bhuj, India (http://hunnar.org), che ha concesso all’autore libero accesso alla propria documentazione.
Comitato scientifico: Irene Caltabiano, Francesca De Filippi, Massimo Foti, Nuccia Maritano Comoglio
Curatore del volume: Francesca De Filippi
Della stessa collana:
WP1 Alessandra BATTISTELLI Tecnologia y patrimonio en tierra cruda en Colombia. El caso de Barichara en Santander 2005
Composizione: Luisa Montobbio, Dipartimento Casa-Città, Politecnico di Torino
© 2008, Politecnico di Torino, Italia ISBN 978-88-8202-079-8
Indice Prefazione
Habitat tradizionale e conoscenze locali Introduzione 1.
Il distretto del Kachchh in Gujarat
5
7
1.1 1.2 1.3 1.4 1.5
Geografia Clima Economia Popolazione Arti e artigianato
2.1 2.2 2.3 2.4 2.5 2.6 2.7
La regione di Banni Il clima di Banni Cultura e società Arti e artigianato Modelli insediativi Caratteri tipologici delle bhunga Alcuni insediamenti
10 10 10 10 11 13 14
3.1 3.2 3.3 3.4 3.5 3.6 3.7
Una regione ad elevato rischio sismico Il sisma del 26 gennaio 2001 La risposta delle ONG locali: Abhyian e Hunnar Shaala foundation Gli altri attori della ricostruzione La valorizzazione dell’habitat in terra cruda nel processo di ricostruzione post-terremoto La problematica antisismica nelle costruzioni in terra cruda Introduzione di accorgimenti antisismici nelle nuove costruzioni in terra cruda
18 18 18 19 19 20 21
4.1 4.2 4.3 4.4 4.5
Interventi di ricostruzione post-terremoto inerenti le costruzioni in terra cruda Ristrutturazione del villaggio di Ludia Ricostruzione a Ramnagar Costruzione ex-novo a Rudramata Ricostruzione del villaggio di Nanni Daddar
22 22 23 23 25
2.
3.
4.
Diffusione dell’habitat tradizionale in terra cruda nel Kachchh
Il sisma del 26 gennaio 2001
Il processo di ricostruzione post-terremoto
5.
Le tecnologie della terra cruda in uso nel Kachchh
6.
I fattori sociali legati al costruire in terra cruda
8 8 8 9 9
5.1 Le tecnologie tradizionali in uso nel Kachchh 5.1.1 Costruzione in adobe 5.1.2 Costruzione in bauge 5.1.3 Costruzione in terra rinforzata 5.2 Le tecnologie alternative: l’introduzione della terra stabilizzata 5.2.1 I bocchi di terra stabilizzata (CSEB) 5.2.2 Il pisé stabilizzato 5.3 La terra rinforzata 5.4 L’impatto delle tecnologie alternative sull’habitat
27 27 30 31 32 32 33 34 37
6.1 6.2 6.3 6.4
38 39 39 42
L’uso della terra cruda da e verso pratiche di auto-costruzione Valorizzazione del costruire in terra cruda attraverso la partecipazione Interviste ad alcuni abitanti auto-costruttori Fattori culturali ed economici legati al costruire in terra cruda
Conclusione Schede
Bibliografia
43 44
50
3
HABITAT TRADIZIONALE E CONOSCENZE LOCALI
Il lavoro di ricerca condotto da Chiara Chiodero, qui pubblicato, analizza una tecnologia costruttiva ed i suoi possibili sviluppi in una regione, il Gujarat (India), dove l’uso della terra cruda è largamente diffuso e accettato dalla popolazione. La valorizzazione dei saperi tradizionali, le questioni connesse alla sostenibilità ambientale, sociale ed economica rappresentano temi di grande attenzione per gli studiosi di questo materiale e del suo potenziale impiego. L’utilizzo della terra cruda è molto esteso in India: come riporta la stessa autrice, si stima che circa il 32% dell’architettura – abitata da quasi 63 milioni di persone – sia costruita con questo materiale. Sebbene in qualche caso si rilevi una certa fragilità delle costruzioni, in alcune regioni esistono tipologie edilizie in grado di offrire un’ottima risposta alle condizioni climatiche e alle calamità naturali. Nel Gujarat, in particolare nel distretto del Kachchh, è stata individuata una tipologia edilizia, la bhunga, che ha resistito meglio di altre, in virtù del proprio comportamento strutturale, al terremoto che ha colpito la regione nel 2001. La bhunga è oggetto di studio da parte di istituzioni di ricerca ed organizzazioni locali e la sua tecnologia costruttiva è attualmente riproposta – con alcuni miglioramenti – in progetti di ricostruzione con un buon livello di accettazione e appropriazione da parte degli abitanti ed di integrazione nel paesaggio tradizionale.
L’architettura in terra, per fattori di carattere sociale, culturale e ambientale, assomma in sé la presenza di aspetti materiali e immateriali non disgiungibili: è risorsa razionale e disponibile, utile al soddisfacimento di necessità funzionali collettive e familiari; è riciclabile all’infinito, compatibile con i criteri di sostenibilità, di economia di costi, di risparmio energetico; grazie all’evoluzione ed alla padronanza della tecnica, esiste una conoscenza operativa ormai consolidata. È importante osservare che ogni pratica che trae origine dalla tradizione è raramente un mezzo per risolvere un singolo problema, ma piuttosto un metodo elaborato, spesso polifunzionale e parte di un approccio integrato (società, cultura, economia) basato sulla gestione accurata delle risorse locali. Mentre la tecnologia moderna cerca di ottenere un’efficacia immediata tramite la forte specializzazione delle conoscenze da parte di strutture dominanti capaci di mobilitare risorse esterne all’ambiente, quella tradizionale misura la sua funzionalità sul lungo periodo servendosi di un sapere condiviso, tramandato attraverso le generazioni e le pratiche sociali ed utilizzando input interni rinnovabili. L’una procede per separazione e specializzazione, l’altra unisce e integra. Quando si crea una forte coesione tra società, cultura ed economia si determinano nella storia positivi salti di sviluppo. La sintesi di saperi tradizionali e di sistemi sociali crea infatti forme di intensificazione nell’uso appropriato delle risorse.
All’interazione di aspetti ambientali, produttivi, tecnologici e sociali si aggiungono anche i valori estetici ed etici. La procedura tradizionale opera in fusione armonica con il paesaggio perseguendo nella realizzazione la stretta rispondenza a canoni estetici fissati dalla tradizione: le coltivazioni delle oasi sahariane, per esempio, sono sistemi produttivi, ma anche luoghi di rilassamento e di contemplazione. Le prassi e le realizzazioni si caricano spesso di un significato simbolico profondo, con un continuo gioco di richiami e di analogie tra tecnica, arte e natura. La tecnica tradizionale è, quindi, parte integrante di una trama di nessi e di relazioni e opera grazie a una struttura culturale socialmente condivisa. L’identificazione di un’opera come “patrimonio” è dunque esito di un processo di assegnazione di valori non definibili in forma assoluta, ma solo relativamente alla specificità di ogni contesto: ciascuna comunità, attraverso la propria memoria collettiva e la consapevolezza del proprio passato, è responsabile della sua identificazione. È indispensabile tenere presente queste considerazioni nella prospettiva di una diffusione, riproducibilità o riproposizione in forme contemporanee delle pratiche tradizionali. La conoscenza tradizionale è sempre stata un sistema dinamico capace di incorporare l’innovazione sottoposta al vaglio del lungo periodo e della sostenibilità ambientale. Va quindi riproposta come conoscenza innovativa appropriata per l’elaborazione di un nuovo paradigma tecnologico basato sui valori progressivi della tradizione: la capacità di valorizzare le risorse interne e gestirle localmente; la polivalenza e la compenetrazione di valori tecnici, etici ed estetici; la produzione non finalizzata a se stessa, ma orientata al benessere della collettività e fondata sul principio che ogni attività debba alimentarne un’altra senza scarti e rifiuti; l’uso delle energie basato su cicli che si rinnovano continuamente. È errato considerare i saperi tradizionali marginali rispetto ai grandi processi economici e tecnologici in corso: ancora oggi il sistema di conoscenze delle società a piccola scala continua a tramandarsi in aree apparentemente arretrate, negli interstizi della società avanzata e nei luoghi tutelati per il loro valore culturale. Anche dal punto di vista quantitativo il loro impiego sostiene ancora la massima parte dell’umanità distribuita nei paesi meno industrializzati. Paradossalmente, mentre in questi luoghi le tecniche tradizionali sono considerate dal pensiero modernista come fenomeno di arretratezza, nei paesi “sviluppati” divengono elementi di immagine e di incremento di valore. Proprio nei paesi più avanzati si riscontrano situazioni di persistenza delle tecnologie tradizionali e di consolidamento e di stabilizzazione del loro ruolo nella società e nell’economia. I valori della tradizione, le pratiche di lavorazione e le capacità artigianali sono la base su cui si fonda l’altissimo valore aggiunto di produzioni di enorme importanza economica: in Svizzera, Francia o in Italia, solo per citare alcuni esempi, il mantenimento di tecniche 5
tradizionali in agricoltura ha permesso la stabilizzazione di paesaggi di grandissima qualità.
Ringrazio lo staff di Abhiyan, di Hunnar Shaala foundation, i colleghi del CEPT di Ahmedabad per la preziosa collaborazione e l’aiuto dato a Chiara nello svolgimento della ricerca sul campo. Mi auguro che la ricerca possa avere un seguito, e che grazie all’impegno e la professionalità di molti altri giovani ricercatori che hanno frequentato il corso di perfezionamento in Habitat tecnologia e sviluppo o trascorso un periodo di studio presso il CRD-PVS si possano condividere saperi, metodi, strumenti, prospettive di lavoro. Francesca De Filippi Direttore del CRD-PVS Centro di Ricerca e Documentazione in Tecnologia, Architettura e Città nei Pvs
Introduzione
L’utilizzo della terra cruda in India, secondo i dati del censimento del 2001, è molto diffuso (si stima che circa il 32% dell’habitat sia costruito con questo materiale, e che in esso vivano quasi 63 milioni di persone). Come per qualsiasi altro materiale utilizzato in modo inappropriato, il problema principale delle costruzioni in terra cruda in zone sismiche è quello della loro fragilità: in India le costruzioni ad uso abitativo, che spesso sono caratterizzate dalla precarietà, generalmente non veicolano più i saperi tramandati dalla tradizione, ma sono piuttosto il risultato di un assemblaggio di materiali disponibili in loco, e per questo motivo risultano essere pericolose e fatiscenti. Tuttavia, per quanto concerne sia l’utilizzo della terra cruda che di altri materiali costruttivi, persistono sul territorio del subcontinente indiano alcune tipologie edilizie tradizionali che offrono una risposta ottimale sia all’attacco degli agenti atmosferici che alle calamità naturali. Nel Gujarat, precisamente nella regione semidesertica che costituisce il distretto del Kachchh, è stata individuata una tipologia edilizia tradizionale che ha resistito meglio di altre al grave terremoto che colpì la regione nel 2001. Le abitazioni a pianta circolare, denominate bhunga e diffuse in tutta la regione, hanno risposto al sisma in modo ottimale, ed il loro comportamento anche nel caso di crollo era tale da risultare meno pericoloso per l’ incolumità delle persone. Le bhunga, che si discostano da semplici capanne in quanto espressione di tradizioni artistiche secolari, sono state studiate con vivo interesse in virtù del loro comportamento strutturale durante il terremoto, per poi essere riproposte dagli attori della ricostruzione in progetti volti al ripristino degli insediamenti colpiti. Tali progetti generalmente partono dallo studio delle tecnologie utilizzate nella costruzione delle bhunga tradizionali (adobe e terra rinforzata principalmente) per poi aggiornarle, proponendo la ricostruzione della stessa tipologia abitativa in blocchi di terra stabilizzata o pisé, anch’esso stabilizzato con cemento. Alcuni di questi insediamenti sono stati ultimati, ed il processo di riappropiazione dei luoghi da parte degli abitanti, che si esprime anche nella decorazione delle abitazioni secondo le forme tradizionali, sembra essere riuscito. Nella regione di Banni il villaggio di Nani Daddhar, ad esempio, è stato ricostruito seguendo gli schemi tradizionali, e le nuove abitazioni, peraltro riconoscibili grazie a una diversa conformazione della copertura, non più in paglia ma in tegole, ben si integrano nel paesaggio tradizionale. L’alternarsi dei tetti in paglia e in tegole testimonia la felice compresenza di tradizione e innovazione, mentre le decorazioni dei muri esterni e degli interni riportano su uno stesso piano culturale abitazioni nuove e preesistenti. Partendo dalle esperienze già svolte, è stato particolarmente interessante cercare di capire quali siano i possibili futuri sviluppi delle costruzioni in terra cruda nelle regioni dove queste sono già presenti e accettate dalla popolazione.
L’analisi si riferisce a progetti volti alla trasmissione di tecniche in autocostruzione, sia con l’introduzione di tecnologie innovative, sia nella reiterazione di tecniche costruttive tradizionali. Considerati gli argomenti di interesse del corso, la ricerca ha posto l’accento sullo studio di una tecnologia, quella della terra cruda, inserendo tale analisi in una visione per quanto possibile ampia dei processi di sviluppo in atto nella regione presa in esame.
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1. Il distretto del Kachchh in Gujarat 1.1 Geografia
Il Kachchh, il più vasto distretto dello stato del Gujarat, ed il secondo in India, ricopre un’area di 45.612 Km2. Il suo territorio peninsulare ricorda la forma di una tartaruga - “Katchua o Kachbo” nei linguaggi locali - circondata dalle acque che attraverso le varie insenature del mare arabico da sudovest penetrano verso l’entroterra. Kachchh è diventato il sinonimo di ‘Rann’ o ‘Runn’, una piatta distesa di terre plaudose limitrofa al grande deserto del Thar. Nel Rann si distinguono due zone : il Mota Rann o Great Rann a nord e il Nana Rann o Little Rann verso l’entroterra a sudest. Fino a circa 500 anni fa, il Rann riceveva le acque dell’Indo e del leggendario fiume Saraswati, e si presentava allora come una grande laguna di acqua dolce. Da quando l’Indo ha cambiato il suo corso e con la sparizione del fiume Saraswati, sono le acque salmastre a inondare la porzione meridionale del Great Rann, rendendola paludosa per la maggior parte dell’anno, mentre la parte settentrionale rimane secca, eccetto alcune zone umide durante tutto l’anno. Le maree portano l’acqua salmastra nel ‘Great Rann of Kutch’, la quale dopo averlo attraversato raggiunge il ‘Little Rann of Kutch’ per ritornare al mare nel Golfo del Kachchh. Il mare arabico lambisce la lunga costa del golfo del Kachchh. Il distretto è compreso fra 22°44’11’’ e 24°41’25’’ latitudine nord e fra 68°09’46’’ e 71°54’47’’ longitudine est. Il tropico del cancro passa praticamente sopra a città di Bhuj, e questo spiega le condizioni climatiche estreme della regione. L’entroterra è generalmente piatto con alcune colline e monti non molto alti; non è attraversato da nessun fiume perenne ma vi sono molti corsi d’acqua stagionali. La terra è fertile, ma a causa della siccità molte aree rimangono incolte. Durante la stagione dei monsoni improvvisamente l’intero territorio rinverdisce, mentre generalmente il paesaggio si presenta brullo e riarso sal sole1.
Il distretto con le zone desertiche (Great et Little Rann) Indicate a tratteggio.
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Localizzazione del distretto del Kachchh in India.
1.2 Clima
Nel Kachchh la piovosità è di circa 340 mm l’anno, per cui la regione rientra nelle zone semiaride. Circa il 73% del territorio è brullo, mentre la foresta ricopre solamente il 6,3% del territorio. La salinità e l’umidità sono molto elevate. Il Kachchh ha un clima tropicale monsonico, e generalmente la stagione delle piogge va da giugno a settembre. Questa regione è soggetta a siccità, oltre che ai terremoti. La temperatura varia dai 4°C in inverno ai 45°C in estate. La velocità media del vento è di circa 11 km/h e ‘umidità relativa è di circa il 60%2.
1.3 Economia
Il Kachchh è una regione economicamente arretrata, dove le principali fonti di sussistenza sono rappresentate dall’agricoltura e dall’allevamento. Le terre coltivabili sono concentratate nella parte centrale del Kachchh, tra il golfo ed il Rann. La scarsa produzione agricola consta di varie specie cerealicole. La principale fonte di sussistenza per la popolazione che abita la parte settentrionale del Kachchh è l’allevamento, tant’è vero che il bestiame supera in numero la popolazione umana, e vi sono ancora delle etnie nomadi come i Rabaris, gi Ahris ed i Charans che temporaneamente migrano con le loro mandrie in cerca di pascoli e acqua. Nuove fonti di sussistenza stanno prendendo piede nella regione negli ultimi decenni, come l’industria mineraria, e non ultimo l’artigianto, oramai destinato al commercio oltre che all’autoproduzione e al baratto. I vari governi che si sono succeduti dopo l’indipendenza hanno risposto ai bisogni fondamentali di infrastrutture della regione, quali trasporti marittimi, strade, ferrovie, rete idrica ed elettricità. La regione sta anche conoscendo un certo sviluppo industriale, con l’insediamento di vari stabilimenti, tra i quali maggiore importanza rivestono i cementifici.
1.4 Popolazione
La popolazione del Kachchh è più che raddoppiata nelle ultime quattro decadi: il censo del 1961 stimava la popolazione ufficiale del distretto a 696.440 persone, mentre nel 2001 il numero è salito a 1.583.225. Il 70% della popolazione vive nelle aree rurali ed il 30% in quelle urbane. La percentuale di alfabetizzazione è di circa il 50%. Secondo il censo del 19913 della popolazione totale del Kachchh il 75.41% è indusita, il 19.64% musulmana, il 4.58% jainista, lo 0.18% sikh, lo 0.17% cristiana, lo 0.1% buddista e altro. La densità della popolazione è in media molto bassa, con 28 persone/m2 (censo del 1991). Bisogna però tenere conto del fatto che il Great e Little Rann costituiscono quasi i 2/3 dell’area non abitata, quindi la densità di popolazione effettiva è superiore. ll Gujarat in generale ed il Kachchh sono stati da sempre crocevia di genti provenienti dagli orizzonti più disparati, ed anche attualmente popolazioni nomadi e semi-nomadi di varia provenienza con le loro diverse e ricche culture caratterizzano gli usi e i costumi di questa regione. All’interno dei vari gruppi religiosi si possono distinguere caste e sub-caste, e accanto a queste le diverse tribù. Le diverse comunità sono aperte agli scambi e intrattengono armoniosi rapporti di vicinato, spesso influenzandosi reciprocamente, pur mantenendo viva la propria identità.
1.5 Arti e artigianato
L’artigianato del Kachchh è conosciuto in tutto il mondo. La qualità e la raffinatezza dei prodotti d’arte locale vanno di pari passo con la varietà delle lavorazioni praticate tradizionalmente dalle diverse etnie. Si va dai raffinati ricami tipici dell’arte Kutchi, al pathc-work, al ricamo su cuoio, ai tessuti stampati con procedimenti naturali, come l’Ajrak, al Batik, ai tessuti stampati con matrici lignee, al Tie and Die o ‘Bandhini’, ai raffinatissimi tessuti in lana e cotone.
Produzione artigianale di tessuti stampati ad Ajrakphur e ricamo su cuoio a Rudramata.
Altre forme di artigianato sono l’intaglio su legno, la produzione di terracotte che ancora si rifanno alla civiltà dell’Indo, l’incisione su argento, l’oreficeria, la produzione di campane, la decorazione su muri di terra. Ognuna di queste forme di artiginato si declina in procedimenti lunghi e complessi, ancora profondamente legati agli aspetti più tradizionali del vivere locale. L’introduzione di alcuni di questi prodotti nei mercati internazionali non ha per il momento completamente snaturato il sistema di valori tradizionali insito in questi prodotti. Il Kachchh possiede dunque una cultura tradizionale ancora molto forte, che si riflette nell’edilizia oltre che nell’artigianato. Il patrimonio materiale e immateriale della regione sono ancora intimamente legati, e così come i prodotti d’artigianato, in molti casi anche i manufatti edilizi seguono ancora i cicli del vivere tradizionale delle diverse etnie.
K. Natarajan Menon, Kachchh. The crown of Gujarat, ed. Basera, Bhuj, 1999. 2 Ibidem. 3 Il terremoto del 2001 ha impedito l’aggiornamento di molti dati del censo realtivi alla regione colpita. 1
Una carovana di nomadi rabari entra nel villaggio di Bhujodi.
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2. Diffusione dell’habitat tradizionale in terra cruda nel Kachchh 2.1 La regione di Banni
Per quanto concerne la diffusione dell’habitat in terra cruda, nell’area nota come Banni si trovano alcuni significativi insediamenti dove l’uso della terra è manifesto in quanto vera e propria tecnologia, che si declina in varie tecniche costruttive. Essendo stata un tempo un delta, questa terra era fertilissima prima della diversione dei corsi d’acqua e dell’avanzata del deserto. Essa si trova ai margini del Great Rann, ed è adesso scarsamente popolata da gruppi nomadi e semi-nomadi dediti per lo più alla pastorizia. Lunghi periodi di siccità sono la norma nella regione: può non piovere per tre o quattro anni di fila1. Negli anni ‘60 su iniziativa del governo centrale è stata introdotta nella regione una pianta a rapida diffusione, la Prosopis Juliflora, (localmente nota come Gando Baawal) che avrebbe dovuto bloccare la desertificazione. In realtà questa si è rivelata essere una pianta infestante, che ha arrecato gravi danni alle terre da pascolo, impedendo all’erba di crescere, e influenzando negativamente l’economia delle popolazioni dedite alla pastorizia. La popolazione é sparsa in quaranta insediamenti, e solo pochi tra questi sono abbastanza grandi da poter essere definiti villaggi. Comunemente questi insediamenti sono detti Vandh2.
2.2 Il clima di Banni
Situata all’estremo ovest dell’India, Banni è una regione estremamente secca. Un ciclo di tre stagioni (inverno da novembre a febbraio, estate da marzo a giugno e monsoni tra luglio e settembre) è prevalente nella regione. Il clima è estremo, con temperature massime e minime oscillanti tra i 40° e i 45°C in estate, e 2° e 10°C in inverno. La piovosità è scarsa, e per lunghi periodi nulla. La piovosità media annuale oscilla tra i 300 e i 400 mm. Difficilmente si hanno tra i 15 e i 17 giorni di pioggia in tutta la stagione. Il clima è estremamente secco, con un umidità relativa che a volte scende sotto il 25%. A causa dei temporali nella stagione dei monsoni e delle tempeste di sabbia in estate, le condizioni atmosferiche sono raramente stabili. Forti venti provenienti da nord e da est prevalgono in inverno. In estate, venti molto caldi da sud-ovest e tempeste di polvere rendono la vita difficile. Gli squilibri ecologici ed i cambiamenti climatici degli ultimi decenni hanno portato a condizioni di perenne siccità nella regione3. I monsoni oramai bagnano la regione ogni tre-quattro anni circa. Con l’arrivo della pioggia, come durante quest’anno, Banni cambia fisionomia, e assieme alla natura riprendono vigore anche le attività umane. 10
Il deserto rinverdisce durante i monsoni.
2.3 Cultura e società
La regione di Banni è prevalentemente abitata dalle comunità di nomadi dediti alla pastorizia, chiamati Maldharis4. Questi vivono in piccoli insediamenti sparsi, chiamati ‘vandh’5. Nella stessa regione convivono molte comunità dalle origini più disparate, ed è questa varietà di genti a costituire il patrimonio culturale della regione6. Le famiglie sono patriarcali, ed i legami famigliari sono la principale struttura sociale delle comunità e degli insediamenti. L’intera comunità vive in diversi ‘clusters’, che di solito corrispondono ad con una famiglia allargata. A volte l’intero villaggio è costituito da una famiglia allargata. La vità comunitaria dei popoli del deserto è semplice, basata sui riti quotidiani e la cooperazione. Gi uomini sono dediti a diverse forme di artigianato e alla pastorizia, mentre le donne sono dedite ai lavori domestici, alla raccolta della legna da ardere e dello sterco, e al ricamo nel tempo libero. Se un tempo l’economia di questi luoghi era prevalentemente basata sull’allevamento e la pastorizia, negli ultimi anni, a causa della scarsità di terre da pascolo dovuta sia alla desertificazione che ad interventi antropici inappropriati nel tentativo di bloccarla7, ha assunto sempre maggiore rilevanza quale fattore di sostentamento l’artigianato, praticato non più soltanto per l’autoproduzione, ma anche a fini commerciali. La mobillità delle persone è notevolmente aumentata in virtù di questa recente economia, ed i nuovi profitti consentono l’acquisto di materiali da costruzione ‘moderni’ e di forza lavoro8, determinando in tal modo tangibili e rapidi cambiamenti alle forme dell’habitat e al modo di vivere.
2.4 Arti e artigianato
Tra le tradizionali forme di artigianato della regione di Banni si annoverano la falegnameria e l’intaglio del legno, per la creazione di mobili, la terracotta, la lavorazione del cuoio e le decorazioni delle case con terra e specchi. Ogni comunità ha il suo stile unico di cucito e ricamo, che è parte importante dell’identità culturale.
Si dice che le donne del Kachchh cuciano i loro sogni con l’aiuto di un ago9. Quasi a compensare l’assenza di una natura rigogliosa intorno, esse creano così un’altra natura dai colori vari, scaturiti dal loro immaginario.
Gruppo famigliare nel villaggio tradizionale di Dhumado.
Il lavoro di falegnameria produce essenzialmente elementi costruttivi, porte, finestre e decorazioni. Disegni tradizionali vengono intagliati su porte e finestre, mostrando lo stile e l’abilità di questi artigiani. Un’altra forma di artigianato è la decorazione dei muri con l’argilla e gli specchi. Le donne harijan e rabari sono tradizionalmente esperte nel produrre segni e immagini, disegni geometrici e fiori in rilievo d’argilla. Su questi rilievi sono spesso incastonati piccoli specchi, che servono a moltiplicare la luce in questi interni altrimenti oscuri10.
2.5 Modelli insediativi
Fino a qualche decennio fa, gran parte dei villaggi della regione di Banni era caratterizzata da una morfologia molto simile11. Spesso un villaggio consisteva di diversi piccoli cluster12, generalmente separati da un recinto vegetale. Questi cluster sono dovuti sia all’appartenenza a comunità o caste diverse, sia a ragruppamenti di carattere famigliare. Negli ultimi decenni fattori esogeni dovuti all’assunzione di modelli abitativi ‘urbani’ e ‘moderni’ hanno snaturato alcuni di questi insediamenti, mentre altri hanno mantenuto intatta la forma tradizionale. In questi ultimi, nonostante l’organizzazione in pianta sia variabile, si riscontrano delle forti caratteristiche tipologiche vernacolari.
Un cluster generalmente comprende da sei a dieci famiglie, ognuna delle quali è ben definita da piattaforme rialzate. Il cluster, la piattaforma e la bhunga, abitazione tradizionale in terra cruda di forma cilindrica, sono gli elementi morfologici caratteristici dei villaggi di Banni.
Tessuti ricamati dalle donne del villaggio di Nava Vas.
Decorazioni murali di all’interno di una bhunga a Nava Vas.
Nella maggior parte dei casi non assistiamo al generarsi di uno spazio centrale destinato alla vita comunitaria fortemente caratterizzato. Generalmente sono gli spazi liberi tra le diverse bhunga di una stessa famiglia ad essere usati come spazi di incontro, oltre che per le attività famigliari. È raro che l’intera comunità si riunisca, e ciò avviene generalmente soltanto in occasione dei festivals. Un’unità insediativa può consistere di due, tre o più bhunga individuali, ma unite da una piattaforma rialzata comune. La piattaforma diventa quindi l’elemento costitutivo più importante a livello del villaggio13. Essa, otre a collegare le bhunga che non sono mai adossate, ma sempre costruite separatamente, ha anche altre ragioni di essere, dovute a dei fattori ambientali: dato che il territoro di Banni è estremamente piatto, pochi centimetri di pioggia bastano a inondare il deserto. E non essendo il terreno drenante, l’acqua rimane in superficie per molto tempo. La piattaforma rialzata protegge le abitazioni dalle inondazioni.
11
La morfologia del cluster della comunitĂ Harijan nel villaggio di Ludia prima del terremoto del 2001 (Fonte: Vastu Shilpa Foundation).
Morfologia di un unitĂ abitativa composta di tre bhunga (Fonte: Vastu Shilpa Foundation).
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Il pedlo con i mobili caratteristici.
Bhunga a Dhorodo (Fonte: K.B. Jane).
2.6 Caratteri tipologici delle bhunga
L’unità abitativa tipica è definita dalla piattaforma (ottla). Essa è sempre rialzata rispetto al suolo, da qualche decina di centimetri fino anche ad un metro. L’ottla definisce il dominio della casa ed è il luogo delle attività all’aperto. Su questa piattaforma posano i vari elementi che articolano la casa: una o più bhunga (fino a tre, normalmente), unità abitative a pianta circolare, con diametro variabile tra 3 e 6 mt, coperte da un tetto conico di paglia. Una tipica bhunga presenta una porta e 3 o 4 piccole e basse finestre disposte simmetricamente rispetto alla porta. Di fronte alla porta, addossata al muro, si trova una bassa piattaforma, il pedlo, sul quale sono disposti tre caratteristici mobili: il chaosar kothalo oppure il panjaro, il manje, ed il sanjeero. Il chaosar kothalo, posto a sinistra, è fatto di terra cruda, come il muro, ed è decorato a rilievo con specchietti. Può essere di forma rettangolare o cilindrica, e serve a contenere i cereali, mentre altri viveri trovano posto in cima a questo (burro, verdure). Il manje, posto al centro, è un mobile di legno intagliato coperto da una pila di tessuti patchwork ricamati (dhadkee) prodotti dalle donne della casa. Questa pila aumenta progressivamente negli anni, e viene accuratamente coperta da un pezzo di tessuto finemente ricamato chiamato dhadkla (letteralmente, qualcosa che copre). Il dhadkla è il pezzo più prezioso e viene portato in
Analogia tra abiti e motivi decorativi delle abitazioni.
Chowki nel villaggio di Ramnagar.
13
dote dalla sposa. A destra del manje vi è un mobile rettangolare, il sanjero. Il sanjero presenta una piccola porta frontale e contiene beni ritenuti di valore, come ornamenti, ma anche oggetti acquistati nei mercati di città. Di solito contiene anche oggetti portati in dote dalla sposa. Spesso il muro è decorato con piccoli specchi (amblha)14. La luce viene moltiplicata dagli specchietti che ornamentano il muro all’interno della bhunga, e le ricche decorazioni murali sono simili ai ricami sui preziosi tessuti. L’analogia tra i rilievi su terra, le pitture sulle pareti esterne e il ricamo dei vestiti è evidente, ed è da notarsi che ogni comunità usa modelli decorativi diversi, sia nell’abbiglimento sia nelle decorazioni murali. Accanto alla bhunga, ma mai addossata a questa, si trova di solito una piccola costruzione a pianta rettangolare, il chowki, che può presentare delle piccole varianti: i chowki più grandi sono usati come spazi di vita, ed i più piccoli come cucine. Unità ancora più piccole, alte circa un metro e mezzo, non troppo definite nella forma e prive di copertura possono eventualmente essere addossate alla bhunga15. Queste sono usate come spazi funzionali per il deposito o come bagni16.
2.7 Alcuni insediamenti Nani Daddhar
Questo insediamento, situato a 14 km da Bhirandhiara, è stato oggetto della ricostruzione postterremoto. Accanto alle nuove bhunga in terra stabilizzata (pisé stabilizzato con cemento), si trovano ancora delle bhunga tradizionali, purtroppo in pessimo stato di conservazione: le vecchie bhunga sono ormai destinate nella maggior parte dei casi al deposito di attrezzi, e non vengono più mantenute. A Nanni Daddhar la tecnica costruttiva prevalente nell’habitat tradizionale era l’adobe. Ancora adesso le strutture di servizio come i chowki vengono costruite in adobe, con pilastri e travi lignei finemente intagliati. Queste strutture presenterebbero un alto valore estetico, se non fossero purtroppo destinate ad essere ricoperte da un intonaco cementizio, che oltre a snaturarne le caratteristiche bioclimatiche rende di diffficile lettura la tecnica costruttiva usata.
Ramnagar
Il villaggio di Ramnagar, nei pressi di Nanni Daddhar, è stato oggetto della ricostruzione post terremoto, e presenta due diverse tecniche costruttive per le bhunga: terra stabilizzata e terra rinforzata con bambù. Non è stato facile comprendere se alcune delle bhunga in terra rinforzata siano precedenti al sisma. In ogni caso la compresenza delle due tecniche costruttive è dovuta al fatto che la costruzione è stata incentivata da due organizzazioni diverse. Alcune delle bhunga in terra rinforzata con bambù appaiono in pessimo stato, con l’intreccio di bambù completamente a vista, o sono state relegate a deposito per gli attrezzi. In altre, forse più recenti, vive la gente. Si tratta di una tipologia di 14
bhunga molto diversa dalle altre, in quanto la copertura, più leggera, poggia direttamente sul muro perimetrale, e non vi sono né la trave, ne’ il monaco centrale a sostegno della copertura.
Andhou
Questo villaggio situato in collina, a circa 20 km da Bhirandiara, presenta delle caratteristiche interessanti. Anch’esso è stato oggetto della ricostruzione post-terremoto, ma qui non sono state proposte delle nuove bhunga. Da lontano, tra gli alberi apppaiono soltanto dei bassi tetti in tegole a quattro falde. Man mano che ci si avvicina però accanto a questi spuntano le coperture in paglia delle bhunga. Qui la tipologia abitativa di base è rimasta quella tradizionale : la bhunga in terra rinforzata con bambù ed il tetto in paglia. Nella fase di ricostruzione accanto alle bhunga tradizionali sono stati introdotti dei moduli rettangolari: questi sembrerebbero essere adibiti sia a deposito che a spazio di vita, ma gli abitanti continuano ad utillizzare come spazio abitativo principale la bhunga. Ad ogni bhunga è stata associata una di queste nuove costruzioni, che nelle forma rettangolare può ricordare i tradizionali spazi funzionali associati alle Bunga, i chowki, ma che è molto più grande nelle dimensioni. Le bhunga tradizionali qui sembrano essere ben mantenute, i muri non essendo in nessun caso rivestiti di intonaco cementizio. La tecnica costruttiva sembra essere la stessa che nel limitrofo villaggio di Ramnagar.
Dhumado
Il villaggio, situato a circa 60 km da Bhuj, sulla strada che da Bhirandiara porta a Dhordo, presenta dei caratteri morfologici diversi rispetto agli altri insediamenti fin’ora visti. Dopo essere giunti in un’insediamento costruito posteriormente al terremoto, il nuovo villaggio di Dumadho, proseguendo per una strada sterrata interna rispetto alla strada principale, si arriva al villaggio tradizionale di Dumadho, costituito da più vandh. Il primo incontrato è interamente costruito in terra rinforzata con legno (wattle and daub), e non presenta la solita tipologia circolare, ma soltanto edifici a pianta rettangolare, piuttosto piccoli, organizzati intorno ai diversi clausters che compongono il villaggio. Non vi è presenza di recinzioni, ma le sole piattaforme (ottla) definiscono la morfologia dell’insediamento. Il cluster preso in esame è composto da 7 edifici rettangolari, ed è abitato da una famiglia allargata molto numerosa. Il fulcro dell’insediamento è segnalato da un albero, sotto l’ombra del quale i membri della famiglia sostano e si dedicano a varie attività durante la giornata. Due piccole cucine sono incorporate in questa zona, la prima poggiante sul muro esterno della casa più prossima all’albero, la seconda a pochi metri dall’albero, sulla piattaforma. Non vi sono verande davanti alle singole case e questo grande albero sembra espletarne la funzione. Gli abitanti sono perfettamente consapevoli delle caratteristiche bioclimatiche della terra in quanto materiale da costruzione, ma anche del duro lavoro necessario al
Bagno nel villaggio di Rudramata.
Villaggio di Andhou.
Bhunga costruite dopo il sisma a Nani Daddhar.
Costruzioni in terra rinforzata a Dhumado.
Villaggio di Ramnagar.
Costruzioni in duro a Dhorodo.
Panoramica di un cluster a Dhumado.
15
Gandhi No Gao durante i monsoni.
Villaggio di Nava Vas.
suo mantenimento. Ciò nonostante continuano a preferire questo materiale alle costruzioni in duro, che dicono adatte alla città, ma non a villaggi come Dumadho17. Il secondo insediamento incontrato, più piccolo, presenta una morfologia simile al primo, ma la tecnica costruttiva cambia: i muri non sono più in terra rinforzata con legno, bensì in adobe.
Dopo il terremoto il nuovo insediamento di Gandhi No Gao è stato costruito poco distante da Ludia, per accoglliere la comunità Harijan. La costruzione di questo villaggio è stata coordinata dall’ONG Manav Sadhna, e vi hanno partecipato la Vastu Shilpa Foundation ed altre organizzazioni. L’idea sottesa al progetto è completamente ispirata al sogno gandhiano di Gram Swaraj18, e si appoggia a scelte di tipo partecipativo. Con questo progetto si è promossa la costruzione di bhunga di tipo tradizionale, in adobe con tetti di paglia, riccamente decorate sia all’interno che all’esterno, come quelle dell’ harijan Vandh di Ludia. Queste nuove bhunga costruite tradizionalmente sono però di dimensioni maggiori, e nessun dispositivo antisismico vi è stato incorporato.
Dhorodo
Il villaggio è situato a 92 km a nord-ovest di Bhuj, ed è abitato da una comunità musulmana. L’abitato è organizzato intorno a nuclei compatti, definiti da strette relazioni di parentela. A Dhorodo il processo di snaturazione dell’habitat tradizionale era già in atto prima del terremoto, dato che si tratta di un villaggio abbastanza ricco. Quando le condizioni economiche lo permettono, la gente preferisce passare dalle case kachccha alle case pucca, in duro. Le costruzioni in duro sono ormai prevalenti, anche se continuano a sussistere delle abitazioni in terra cruda. Alcune di queste, soprattutto le strutture rettangolari, presentano danni strutturali causati da sisma, e sono state riparate alla bell’e meglio.
Ludia
Il villaggio è situato a 70 km da Bhuj, e a 3 Km da Khavda, al limite nord-est di Banni, nella zona chiamata Pachcham. Esso è costituito da diversi vandh, abitati dalle comunità di allevatori maldharis, sia musulmani che indù (Harijan). Prima del terremoto del 2001, il villaggio principale di Ludia era abitato da due comunità, la musulmana e la comunità harijan. Entrambe queste comunità vivevano nelle tradizionali bhunga di terra cruda. Dopo il terremoto del 2001 il villaggio di Ludia presenta un habitat misto: vi si trovano sia edifici a pianta rettangolare, prevalentemente costruiti in pietra, sia bhunga in terra cruda, purtroppo quasi sempre ricoperte da un intonaco cementizio, molte volte sia all’esterno che all’interno. In seguito al sisma la comunità harijan è stata spostata nel villaggio di nuova costruzione di Gandhi No Gao. 16
Nava Vas
Vicino al villaggio di Gandhi No Gao, a poche centinaia di metri dalla strada principale che porta Khavda, si trova Nava Vas (alias Megpar). Anche questo insediamento è stato oggetto della ricostruzione post-terremoto, e l’habitat è adesso prevalentemente costituito da bhunga in pisé stabilizzato. Gli abitanti sono perfettamente consapevoli delle caratteristiche strutturali delle loro case, che sono state edificate in autocostruzione. Oltrettutto la comunità harijan della zona di Khavda è tradizionalmente dedita alla costruzione, uno dei mestieri portanti insieme all’artigianato, in particolare l’intaglio del legno. Accanto alle nuove bhunga, vi sono anche alcune bhunga costruite tradizionalmente, in terra (matti) con il tetto di paglia (gass), anche queste promosse da Manav Sadhna. Alcune di queste presentano le caratteristiche decorazioni in rillievo all’interno. La comunità Harijan di Nava Vas è ancora depositaria dell’arte del costruire tradizionale, e al tempo stesso aperta agli stimoli della modernità, per cui vivere in una Bungha in terra stabilizzata o in una tradizionale non sembra per il momento fare la differenza. Entrambe le opzioni sono ancora possibili, e la presenza di un habitat nuovo non pare aver declassato l’habitat tradizionale al ruolo di riparo per gli attrezzi, come si è visto in altri villaggi.
Thunda Vand
Questo villaggio non si trova nella regione di Banni, ma nella zona costiera, a circa 30 km dalla città portuale di Mandvi. Anche qui le modificazioni indotte nell’habitat dalla ricostruzione dopo il sisma sono state notevoli: il calcestruzzo è oramai il materiale da costruzione dominante. Tuttavia rimangono ancora delle bhunga tradizionali, che presentano caratteristiche molto diverse da quelle della regione di Banni: i muri sono in bauge, e per la copertura, sostenuta da un unico pilastro centrale, si fa uso di materiali provenienti dalla costa. Queste bhunga sono riccamente decorate all’interno con le classiche ornamentazioni in terra, mentre l’esterno, il pavimento e la piattaforma sono in molti casi ricoperti da un intonaco cementizio.
1 Kulbhushan e Minaski JAIN, Architecture of the indian desert, AADI center, Ahmedabad, India, 2000. 2 Vandh significa recinto staccato (fanced enclosure), dato che la periferia dei Vandh è sempre delimitata da recinzioni. 3 Apurva Amin, Banni house form: a study of the phenomenon of change, tesi di laurea, CEPT, Ahmedabad, 1996. 4 Maldharis significa gente con possedimenti di bestiame. Si tratta di una designazione secondo il mestiere, e non di un gruppo etnico. 5 Vandh significa recinto, che segna la periferia del borgo. 6 Apurva Amin, op. cit. 7 In particolare l’introduzione di una pianata a rapida diffusione, che purtroppo si è rivelata infestante. 8 Vijay M. Zanzrukiya, Analysing a “sense of place” Desert Architecture of Banni, Kutch, tesi di laurea, Indubhai Perekh Scool of Architecture, Rajkot, 2000. 9 Vijay M. Zazrukia, op. cit. 10 Vijay M. Zazrukia, op. cit. 11 Clustering. 12 Gruppi di case. 13 Kulbushan Jain, Generic form: patterns of settlements in Kutch, School of Planning, Ahmedabad, 1973. 14 Vishavait Pandya, Journal of material colture, Vol.3, N°1, march 1998, SAGE Publications. 15 Kulbushan Jain, Architecture of the indian desert, AADI Center, Ahmedabad, India, 2000. 16 L’utillizzo di spazi per il bagno rimane comunque limitato a causa della scarsità di acqua. 17 Da una conversazione con un abitante di Dhumado. 18 Letteralmente, la Repubblica dei Villaggi.
Costruzioni in duro a Thunda Vand.
Bhunga tradizionale in bauge a Tunda Vandh.
Ottla e costruzioni annesse ad una bhunga di Tunda Vandh.
17
3. Il sisma del 26 gennaio 2001 3.1 Una regione ad elevato rischio sismico
Il Kachchh è soggetto ai sismi fin dai tempi piu antichi, ma il primo terremoto registrato risale al 16 giugno 1819. Il fiume Indo stava già deviando il suo corso verso ovest ed il sisma accellerò questo processo, mutando l’intera geografia della regione. A partire dal 1882 ci sono stati diversi terremoti di bassa e media intensità. Tra questi, i più gravi hanno avuto luogo il 15 ottobre 1898, il 14 gennaio 1903, il 31 ottobre 1940 e il 21 luglio 19561, per arrivare al grave terremoto del 26 gennaio 2001. Tra il 1819 e il 2001 si sono verificati 77 terremoti, registrati come di grave, media e bassa entità.
3.2 Il sisma del 26 gennaio 2001
un bordo di placca. Il subcontinente indiano si sta muovendo verso nord ad una velocità di circa 5356mm/anno, entrando in collisione con la placca asiatica, che si sta pure muovendo verso nord, ma ad una velocità pari a circa la metà. La differenza tra queste due velocità relative produce una collisione intercontinentale che è all’origine della catena Himalayana e che spinge grandi porzioni di crosta terrestre a est e ad ovest, lontano dall’orogenesi dell’Himalaya. L’analisi storica dela sismicità della regione mostra una riccorrenza di circa 200 anni per i terremoti di grande magnitudo, come quello del 1819 e quello del 2001. Inoltre, la presenza di faglie attive che coinvolgono sedimenti del periodo terziario ed anche più recenti, contrasta con la stabilità dell’india peninsulare, ed indica un’attività tettonica a lungo termine.
3.3 La risposta delle ONG locali: Abhiyan e Hunnar Shaala Foundation
Il terremoto del 26 gennaio 2001, con epicentro nei pressi di Bhachau nel Kachchh, ha causato gravi perdite materiali e in termini di vite umane nelle città di Bhachau, Anjar, Rapar, Bhuj, Ghandhidam e in miglialia di villaggi. Il sisma, di magnitudo 6.9 sulla scala Richter, e di magnitudo 7.7 sulla scala Mercalli, ha colpito la regione alle ore 8 :46, con una durata di 85 secondi per la prima scossa, più forte, ed alcuni minuti per le scosse di più bassa intensità2. Anche altre città del Gujarat, come Ahmedabd e Jamnagar, situate a centinaia di km di distanza sono state gravemente colpite3. L’assetto tettonico del Kachchh è ancora da definirsi: questa regione si trova in prossimità del fronte himalayano e la presenza di faglie attive suggerisce che potrebbe trattarsi di una regione di transizione tra una regione continentale stabile e
La rete di ONG locali Abhiyan (Kutch Nav Nirman Abhiyan, letteralmente ‘Campagna per la Ricostruzione del Kachchh’) si è formata nel 1998 in risposta al devastante ciclone Kandla. Nel 1999 Abhiyan ha avviato tre programmi: 1. Rural Youth training (Formazione della gioventù rurale): capacity building e potenziamento dei giovani in ambito rurale. 2. Creazione di banche dati: quando si verificò il ciclone Kandla nessuna banca dati era disponibile. Vi era quindi la necessità di crearne una. Inizialmente 65 villaggi del taluka di Mundra sono stati coperti da questo programma, che è stato poi esteso agli altri villaggi del Kachchh. KLINK (Kutch Local Information Kendra) è il settore di
Localizzazione ed assetto tettonico del sisma del 26 gennaio 2001 (Fonte: EERI).
Localizzazione dell’epicentro del sisma del 26 gennaio 2001 (Fonte: EERI).
18
Abhiyan
Hunnar Shaala
Lo Shelter Innovation and Support Center ha continuato a giocare questo ruolo importante e recentemente si è dato uno statuto indipendente, diventando Hunnar Shaala, una organizzazione non profit alla quale aderiscono anche i seguenti organismi: – La scuola di architettura di Ahmedabad, come istituzione operante nell’ambito dell’educazione; – Auroville, per gli aspetti tecnologici; – HDFC: Housing Development Finance Corporation, un’organizzazione privata che finanzia la creazione di alloggi per le fascie povere della popolazione.
Mappa topografica che mostra i livelli di intensità nella scala Mercalli del sisma del 26 gennaio 2001 e la distribuzione generale della liquefazione nel Gujarat occidentale dopo il terremoto (Fonte: EERI).
Abhhiyan che si occupa della gestione delle banche dati e della diffusione dell’informazione tra le fascie meno favorite della popolazione. 3. Rafforzamento delle conoscenze e delle tecnologie tradizionali: da una parte attraverso l’introduzione di elementi innovativi nelle tecnologie tradizionali, come quella della terra cruda, dall’altra attraverso la promozione dell’artigianato locale.
Le iniziative di Abhiyan per coordinare il lavoro di rilievo e ricstruzione dopo i sisma de 2001 sono state le seguenti : • Istituzione dei Setus, centri di informazione a livello dei villaggi. Setus in sanscrito significa ponte, in questo caso tra le comunità locali e le ONG. • Istituzione di un Craft Ressource Center (Centro Risorse per l’Artigianato): molti artigiani sono stati gravemente colpiti dal sisma, con la conseguente necessità di ricostruire i luoghi di lavoro e fornire nuove attrezzature. • Istituzione dello Shelter Innovation and Support Center: centro impegnato nella costruzione di abitazioni antisismiche e anti-ciclone, promuovendo l’uso di materiali locali. Su iniziativa del centro nuovi aspetti tecnologici e antisismici sono stati incorporati all’habitat rurale. Un’altra finalità del Shelter Innovation and Support Center è stata quella di favorire la partecipazione della popolazione locale al processo di costruzione.
Questa istituzione ha giocato un ruolo fondamentale nella fase di ricostruzione, offrendo il sostegno tecnico necessario alle varie ONG implicate nel processo. Una volta il processo di ricostruzione giunto alla fase finale, si è sentita la necessità di una istituzione operante sul lungo termine, impegnata sia sul fronte della valorizzazione dell’artigianato locale, sia su quello dello sviluppo sostenibile, che cercasse di coinvolgere gli artigiani, sia in ambito urbano che rurale, in tutti gli aspetti dell’ambiente costruito.
I tre obiettivi che Hunnar Shaala si è data sono: 1. Creazione di alloggi per i poveri in contesto urbano; 2. promozione dell’artigianato locale; 3. promozione di tecnologie eco-compatibili.
Tutti i proventi di Hunnar Shaala vengono usati per il conseguimento di questi tre obiettivi. Parallelelamente, Hunnar Shaala è intervenuta per far fronte alle catastrofi naturali in vari paesi: Iran, Indonesia, Tamil Nadu, Gujarat, Kashmir.
3.4 Gli altri attori della ricostruzione
Abhiyan si è costituita prima del terremoto come una rete di 22 organizzazioni volontarie, che sono diventate 27 in seguito. Complessivamente però più di 200 ONG sono venute in aiuto al processo di ricostruzione nella regione. Oltre a queste, vi è stato il concorso dell’UNDP e delle organizzazioni governative del Gujarat. Tra le organizzazioni membro di Abhiyan si cita KMVS, Kutch Mahila Vikas Sangathan, fondata nel 1989 come organizzazione delle donne dei villaggi: KMVS è un collettivo di 10.500 donne provenienti da 165 villaggi, che si propone di migliorare il livello di vita in ambito rurale anche grazie al rafforzamento del ruolo della donna nell’economia del villaggio, attraverso la produzione artigianale ad esempio. Dopo il terremoto KMVS ha assunto un ruolo fondamentale nella ricostruzione dell’habitat, convogliando immediatamente le risorse umane e materiali disponibili in quella direzione. KMVS, con il supporto tecnico dell’ allora Shelter Innovation and Support Center, oggi Hunnar Shaala, ha assunto un ruolo importante nella promozione della terra stabilizzata nel processo di ricostruzione.
3.5 La valorizzazione dell’habitat in terra cruda nel processo di ricostruzione post-terremoto
Se gran parte del distretto del Kachchh è occupato da un deserto salino, la regione è comunque ricca di diversi tipi di suoli, con sabbia e argilla in differenti proporzioni. La terra (matti in Kachchi, la lingua locale) è un elemento con cui ogni abitante 19
di queste zone si relaziona4. Matti non è soltanto un mero materiale da costruzione, ma viene esaltata dall’artigianato locale che ne valorizza le potenzialità espressive sotto diverse forme. La tecnologia della terra cruda, adatta alle condizioni climatiche estreme del deserto, avvalendosi dell’ unico materiale largamente disponibile localmente, ha trovato in passato larga diffusione tra le comunità tradizionali del Kachchh. Le tecniche costruttive tradizionalmente utiizzate sono le seguenti: • Terra rinforzata • Adobe • Bauge
Nei muri di terra rinforzata, una leggera e rudimentale intelaiatura lignea viene ricoperta di terra su entrambi i lati. In America latina questa tecnica è nota come bareque o quincha, nei paesi anglofoni come wattle and daub. Le costruzioni in adobe sono fatte di mattoni essicati al sole, composti di terra, sterco e paglia in diverse proporzioni. I muri in bauge qui detti stack walls o in situ sono costituiti da ‘pani’ di terra posati e schiacciati l’uno sopra l’altro. Nonostante queste tecnologie siano strutturamente e climaticamente appropriate, ed inoltre a basso costo, recentemente sono diventate sinonimo di povertà. Per quanto le comunità rurali del Kachchh riescano ancora a perpetrare uno stile di vita tradizionale, anche qui l’avvento della modernità ha comportato dei cambiamenti fondamentali ai modi di vivere e soprattutto alla percezione dell’habitat. Potendo optare per dei materiali ‘moderni’ che richiedono meno manutenzione, le nuove generazioni stanno abbandonando l’habitat in terra con le sue forme tradizionali, per passare a delle costruzioni ‘in duro’, spesso inadatte alle condizioni climatiche estreme del deserto.
Con il terremoto del 26 gennaio 2001, vi è stata una presa di coscienza da parte della popolazione locale rispetto alle caratteristiche strutturali delle costruzioni tradizionali in terra cruda, le bhunga. Queste case dai muri cilindrici hanno effettivamente risposto al terremoto meglio di molte altre costruzioni più recenti.
Bhunga in blocchi di terra stabilizzata a Rudramata
20
Nel processo di ricostruzione post-terremoto, organizzazioni come Abhiyan e Hunnarshaala hanno puntato alla valorizzazione e al potenziamento delle risorse locali, sia umane che materiali. La scelta effettuata è stata quindi quella di riproporre forme e materiali dell’habitat tradizionale, con l’introduzione di piccole quantità di tecnologia al fine di migliorarne le prestazioni antisismiche e di durabilità. Le moderne applicazioni dei blocchi di terra stabilizzata o del pisé stabilizzato hanno aperto la strada a una diversa percezione dell’habitat in terra. Una volta stabilizzata, la terra non richiede più una manutenzione regolare ed assume l’apparenza di un materiale ‘moderno’. Già poco dopo la sua introduzione, l’uso della terra stabilizzata è stato in molti casi preferito a quello di altri materiali, come il calcestruzzo, i mattoni cotti o la pietra. Le nuove bhunga sono state modificate, oltre che nell’utilizzo della terra stabilizzata, con l’introduzione di dispositivi antisismici a livello strutturale. La copertura è stata modificata, sostituendo il tradizionale tetto di paglia con una copertura ottagonale rivestita di un manto di tegole mangalore. La tipologia di base è stata mantenuta nelle pianta cilindrica, nelle dimensioni e nei rapporti fra i vari elementi pieni e vuoti. Le nuove bhunga sono riconoscibili come costruzioni contemporanee, che però ancora si prestano ad accogliere lo stile di vita tradizionale, come si può constatare osservandone gli arredi e le decorazioni, sia all’interno che all’esterno.
3.6 La problematica antisismica nelle costruzioni in terra cruda
La tipologia tradizionale della bhunga, grazie a una concezione strutturale intelligente, oltre che rispondere in maniera appopriata agli agenti atmosferici della regione, offre anche una buona risposta alle azioni del sisma. La sua forma circolare è perfetta, in quanto priva di spigoli dove di solito le tensioni si concentrano, e quindi in grado di rispondere alle sollecitazioni provenienti da tutte le direzioni. La copertura in paglia è leggera e raramente poggia direttamente sul muro. La tecnologia in uso nella regione si declina in diverse tecniche costruttive, ciascuna rispondente anche a diversi criteri strutturali. Si possono incontrare muri in adobe, in terra rinforzata, e in bauge. Il tetto nella maggior parte dei casi poggia su una trave ed è a questa collegato tramite una sorta di monaco centrale; talvolta è sostenuto da un pilastro che scende fino a terra; in alcuni casi può poggiare direttamente sul muro perimetrale ed essere a questo ancorato attraverso dei profili angolari in legno; in altri poggia su pilastri esterni al muro. Questo dispositivo si riscontra a volte nel caso del muro in terra rinforzata (wattle and daub)5. La presa di coscienza della resistenza strutturale delle bhunga da parte degi abitanti è avvenuta con il sisma del 2001: «Quayamat Patther ma aavi chhe, mati ma nahin» (il terremoto ha colpito coloro che vivono nelle case di pietra, e non coloro
che vivono in quelle di terra), solevano constatare gli abitanti dei villaggi colpiti subito dopo il sisma6. È stata questa consapevolezza a spingere abitanti e organizzazioni locali alla riproposizione di un habitat di terra nel processo di ricostruzione.
3.7 Introduzione di accorgimenti antisismici nelle nuove costruzioni in terra cruda
Lavorando in collaborazione con l’IIT7 di Bangalore, Hunnar Shaala ha definito dei criteri strutturali antisimici, da applicarsi tenendo sempre presente l’uso dei materiali locali ed il basso costo come obiettivo finale. Sono state in tal modo definite delle linee guida, in seguito incorporate nella guida dell’GSDMA8 Earth technology and Alternative Roofing System. Queste linee guida definiscono alcuni elementi strutturali da incorporarsi alle nuove costruzioni: 1. Fondazioni in pietrame e sabbia; 2. Muri rinforzati da quattro cordoli: alla base, all’altezza del davanzale, all’altezza dell’architrave e al culmine del muro, e con tondini d’acciaio verticali, che aiutano a contenere il muro. Questi tondini devono essere distanziati fra loro di circa 1 mt e devono andare dal basamento al tetto, posti sia all’interno che all’esterno del muro. Tutti gli shelter costruiti da Abhiyan obbediscono a questi criteri strutturali9.
Tra le varie innovazioni introdotte da Abhiyan dopo il terremoto, per quanto riguarda l’utilizzo della terra cruda, vi sono: 1. I blocchi di terra stabilizzata (SCEB10) : si tratta di una tecnologia sviluppata negli anni ’50 nel’ambito di un programma di ricerca riguardante l’habitat rurale in Colombia. In India, istituti come l’IIS, Bangalore, Auroville, Pondicherri e Development Alternative stanno lavorando a questa tecnica da circa 30-35 anni. In questa tecnica, la miscela di terra e stabilizzante (9394% terra e 6-7% cemento) viene mescolata e setacciata, quindi compressa manualmente in un’apposita pressa. Una volta compressi, i blocchi vengono allineati su di una piattaforma e curati per 21 giorni. L’utilizzo dei blocchi di terra stabilizzata semplifica il processo costruttivo, in quanto non vi è necessità di intonacarli. Ve ne sono di due tipi fondamentali: lisci e ad incastro. I blocchi normali misurano generalmente 7.5’’ x 9’’ x 4’’. I bocchi ad incastro presentano dei fori per l’inserimento degi impianti o di rinforzi strutturali. Sono disegnati in modo tale da richiedere manodopera meno specializzata, facilitando così l’autocostruzione in un breve arco di tempo. I blocchi a forma di U servono per contenere i cordoli di rinforzo ai diversi livelli e possono essere usati all’altezza del davanzale. All’interno di questi blocchi, dopo aver collocato l’armatura di tondini d’acciaio, viene versato il calcestruzzo. 2. Il pisé stabilizzato: la composizione del pisé stabilizzato è la stessa dei blocchi di terra stabiiz-
Produzione dei blocchi di terra stabilizzata e realizzazione del cordolo orizzontale in cemento tra i diversi strati di pisé stabilizzato come misura antisismica (Foto: HSF).
zata: 93-94% terra e 6-7% cemento. Una volta poste in opera le casseforme, la miscela di terra e cemento viene versata all’interno di queste per strati di 12-15 cm, e viene poi battuta manualmente con gli appositi strumenti, fino a che ogni strato non è opportunamente compattato. Al fine di rendere la struttura antisismica, si collocano a diversi livelli tre cordoli orizzontali in calcestruzzo armato.
Dopo aver presentato queste opzioni alle persone colpite dal sisma, Abhiyan assieme ad Hunnar Shaala ha organizzato dei corsi di costruzione antisismica e anticiclone a basso costo per le comunità locali.
K. Natarajan Menon, op. cit. EERI Special Earthquake report, April 2001, Preliminary observations on the Origin and Effects of the January 26, 2001 Bhuj (Gujarat, India) Earthquake, http://www. EERI.org 3 GSDMA, Guidelines for repair, restoration and retrofitting of Mansory Buildings in Kachchh earthquake affected areas of Gujarat, March 2002. 4 Shelter Innovation and Support center, Mud technology, Kutch Navnirman Abhiyan, Bhuj. 5 Da una conversazione con K.B. Jain. 6 Shelter Innovation and Support Center, op. cit. 7 Indian Insitute of Technology. 8 Gujarat State Disaster Management Autority. 9 Shelter Innovation and Support Center, op. cit. 10 Stabillized Compressed Earth Blocs. 1 2
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4. Il processo di ricostruzione post-terremoto 4.1 Interventi di ricostruzione post-terremoto inerenti le costruzioni in terra cruda
Accanto agli interventi innovativi di Abhiyan, alcune organizzazioni hanno invece riproposto la costruzione in terra cruda nella forma tradizionale, come mostra l’intervento di Manav Sadhna e Vastu Shilpa Foundation a Ghandi No Gao (Ludia).
4.2 Ristrutturazione del villaggio di Ludia
Il villaggio di Ludia si trova a 70 km a nord di Bhuj, e copre un’area di 10 km². La popolazione è di 2300 persone. Il villaggio è diviso in due comunità princiali, quella musulmana e quella Harijan, e si compone di 8 borghi, tra i quali quello di Gandhi no Gao, di nuova fondazione. Qui, in prossimità di Nava Vas, è stata spostata la comunità Harijan di Ludia.
Il villaggio di nuova fondazione, chiamato Gandhi No Gao, si ispira al principio gandhiano di Gram Swaraj1. Nel processo di ricostruzione, coordinato dall’ONG Manav Sadhna2, assieme alla Vastu Shilpa Foundation3 e ad altre4, l‘approccio è stato di tipo partecipativo: si è puntato alla ricostruzione delle strutture danneggiate e alla costruzione di nuove strutture utilizzando i materiali locali (terra, pietra, legno), riproponendo la tipologia tradizionale della bhunga, e coinvolgendo gli stessi proprietari nella costruzione della propria casa. La scelta del sito si è basata su fattori sociali, oltre che logistici e topografici.La costruzione del nuovo insediamento è stata l’occasione per riavvicinare la comunità Harijan, che si era dovuta separare in due a causa dei limiti fisici del suo territorio. Il nuovo borgo è ubicato in posizione centrale rispetto agli insediamenti preesistenti, in modo da rendere l’assetto globale del villaggio più coerente.
Ubicazione del villaggio di nuova fondazione di Gandhi No Gao.
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Una volta scelto il sito, si è proceduto alla pianificazione dell’insediamento, tenendo conto delle caratteristiche fisiche e morfologiche dell’abitato esistente, e soprattutto delle aspirazioni e dei bisogni delle persone, nonchè della struttura sociale che determina l’organizzazione dei ‘cluster’ ed i rapporti di vicinato. La proposta iniziale è stata poi discussa grazie ad un kit di simulazione, fino alla completa soddisfazione da parte dell’utenza. Per far fronte alla domanda di materiali da costruzione è stata creata una ‘banca dei materiali’: il legno, la terra, e lo sterco necessari alla costruzione delle bhunga provenivano dal circondario, al solo costo di trasporto. L’intero processo costruttivo è stato portato a termine dagli abitanti, mentre lo sponsor ha fornito un fondo fisso di aiuti disponibile per ogni famiglia che partecipasse alla costruzione della propria casa. Gli abitanti–costruttori hanno realizzato ogni fase, dalla fabbricazione dell’adobe fino alla decorazione e personalizzazione delle proprie abitazioni5. In tal modo sono stati costruiti un totale di 455 bhunga e chowki. Parallelemante alla costruzione delle abitazioni, sono state migliorate le infrastrutture esistenti, con la creazione di asili e scuole elementari, con il miglioramento e l’incremento delle infrastrutture idriche esitenti (creazione di dighe, bacini, stagni e cisterne sotterranee), la creazione di una ‘banca dell’erba’ per il bestiame e di tre nuovi abbeveratoi, lo stabilimento di un servizio postale a distribuzione giornaliera. Nella tabella seguente si indicano i costi globali del progetto fino a settembre 20016: INTERVENTI
COSTO in rupie
COSTO In euro
Abitazioni
9.048.000
161.570
Educazione
2.800.000
50.000
3.500.000
62.500
700.000
12.500
16.048.000
286.570
Water management
Banca dell’erba e centro comunitario COSTO GLOBALE
Schema distributivo del nuovo insediamento risultato di un processo partecipativo (Fonte: Vastu Shilpa Foundation).
4.3 Ricostruzione a Ramnagar
Villaggio di Gandhi No Gao.
Ramnagar, un villaggio limitrofo a Nanni Daddhar, è stato costruito per iniziativa di due ONG locali: KMVS7 e BAPS8. Queste due ONG hanno effettuato delle scelte differenti, per cui accanto alle bhunga in blocchi di terra stabilizzata (KMVS) si trovano delle bhunga tradizionali in terra rinforzata con bambù. Il bambù non è un materiale locale, ma è diventato facilmente reperibile ed è stato introdotto nella costruzione negli ultimi decenni. Queste bhunga presentano una struttura in bambù, rivestita di terra su di un basamento in mattoni cotti. Anche qui molte delle bhunga di costruzione non recente versano in uno stato di decadenza, e sono state relegate a deposito. La maggior parte delle costruzioni però sono adibite a uso abitativo, e vengono accuratamente mantenute dagli abitanti. I muri di terra sono decorati con pigmenti naturali, sia all’interno che all’esterno. Il tetto non è sostenuto da una trave, ma è direttamente ancorato al muro tramite dei profili angolari in legno, oppure semplicemente appogiato a questo.
4.4 Costruzione ex-novo a Rudramata
Decorazioni interne di abitazioni a Gandhi No Gao.
Donna dedita al ricamo nel villaggio di Gandhi No Gao.
Il villaggio di nuova costruzione prende il nome dalla diga di Rudramata, a circa 25 km da Bhuj sulla strada principale per Khavda, presso la quale l’insediamento è ubicato. Circa 230 famiglie appartenenti alla comunità Harijan originarie di tre villaggi della fascia frontierizia di Pachcham (Khavda) sono migrate qui dopo il terremoto, accogliendo la proposta di costruire un nuovo villaggio in un nuovo sito più vicino alla città di Bhuj. Queste famiglie Harijan sono essenzialmente dedite all’artigianato, e l’agricoltura non è mai divenuta una vera e propria fonte di sostentamento. Per queste famiglie le opportunità di lavoro legate all’artigianato erano però ridotte dalle limitazioni imposte ai turisti, principali acquirenti, di accedere alla fascia frontierizia; dopo il terremoto la perdita della casa le ha incoraggiate a migrare verso la città, incrementando in tal modo le opportunità di sviluppo economico. Il villaggio di Rudramata è stato costruito con latecnologia dei blocchi di terra stabiizzata, per iniziativa di Shjeevan, KMVS e Abhiyan. Incoraggiati dalla previa conoscenza del materiale di base, ‘matti’ (terra), gli abitanti hanno preso parte attiva nella realizzazione del villaggio di Rudramata, dal disegno delle nuove bhunga alla loro completa realizzazione. Per quanto riguarda il trasferimento di tecnologia, nell’ambito di un corso preparatorio presso il campus di Abhiyan destinato a dei gruppi di giovani di Rudramata, sono stati realizzati due modelli: l’uno in blocchi di terra stabilizzata (SCEB), e l’altro in pisé stabillizzato. In questa prima fase la realizzazione in blocchi si è rivelata più rapida, per cui a Rudramata si è optato per l’uso estensivo di questa tecnologia, e soltanto una decina di case è 23
Bhunga in blocchi di terra stabilizzata a Ramnagar.
Il villaggio di Ramnagar presso Nanni Daddhar.
Bhunga in terra rinforzata con bamboo a Ramnagar.
Borghi del villaggio di Rudramata.
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stata realizzata in pisé stabilizzato. Una persona per ogni borgo ha in seguito formato gli abitanti alla produzione dei blocchi, e dopo soli 15 giorni l’intera comunità è stata in grado di produrre i blocchi da sola. Il costo di produzione dei blocchi di terra stablizzata è stato di 2600 rupie/casa, delle quali 900 sono state fornite dalle ONG e 1500 direttamente dal beneficiario al gruppo di lavoro. La partecipazione dei beneficiari è consistita nell’esecuzione dei lavori di fondazione, pavimentazione e muratura. L’esecuzione delle piattaforme (ottla) è stata demandata interamente agli abitanti, ai quai le ONG hanno fornito 1 carico di pietra e tre sacchi di cemento. Gli abitanti hanno poi ultimato la costruzione con le decorazioni e la posa delle tegole mangalore in copertura. Costi dell’operazione:
Chowki in adobe a Nanni Daddhar.
Costo di costruzione di una singola bhunga Costo previsto Costo previsto totale
Contributo delle ONG
Contributo del beneficiario
Rupie (56=1euro) 30.000 24.404 (81.35%) 5.595 (18.65%)
Costo effettivo
rupie
Costo totale della costruzione
29.404
Contributo del beneficiario
9000 (30.60%)
Contributo delle ONG
20.404 (69.40%)
N.B: grazie alla quota risparmiata il beneficiario potrà eventualmente costruire dei servizi igienici con bagno. Costo di costruzione al
m2
Area totale costruita
20 m2
Costo di costruzione totale di una bhunga
28.479 rupie
Costo al m2
1423 rupie
Struttura di servizio in terra cruda nel villaggio di Nanni Daddhar.
N.B: l’area dell’otla è esclusa dall’area presa in considerazione, e corrisponde circa a 6X7.60 m per una casa.
La realizzazione del villaggio di Rudramata è avvenuta a pochi mesi dal terremoto, ed è stata ultimata in soli tre mesi entro lo stesso anno 2001. In questa fase sperimentale a Rudramata sono state costruite 220 case, dopodiché si è potuto procedere alla costruzione di altri vilaggi, affinando al tempo stesso le tecniche costruttive usate.
Bhunga in pisé stabillizzato a Nanni Daddhar.
Il villaggio di Nanni Daddhar, nella regione di Banni, conta una popolazione di 450 persone, principalmente musulmani dediti all’allevamento e alla pastorizia. Su un totale di 90 famiglie 59 sono state aiutate nel processo di ricostruzione, che ha visto la realizzazione di 110 bhunga in pisé stabilizzato.
Ogni famigllia ha partecipato ai costi di costruzione con un contributo di 5211 rupie, circa 100 euro. Il programma di ricostruzione post-terremoto ha aiutato ogni famiglia nella costruzione di due bhunga da aggiungere sulla piattaforma (ottla) preesistente, sulla quale erano già presenti le costruzioni di servizio quali verande, bagni e depositi.
4.5 Ricostruzione del villaggio di Nanni Daddhar
25
Ogni famiglia si è insediata creando una piattaforma ed alcune costruzioni indipendenti sopra questa, su un’area vasta definita da un recinto di rami. Mano a mano che la famiglia si ingrandisce, vengono accostate delle nuove piattaforme con nuove strutture. Il disegno delle nuove bhunga è stato modificato con l’introduzione della copertura esagonale in tegole mangalore. Questo disegno era già stato approntato per la costruzione del villaggio di Rudramata. A Nanni Daddhar è stata usata la tecnolgia del pisé stabillizzato, che si è rivelata più veloce ed economica, una volta perfezionata, rispetto ai blocchi di terra stabilizzata usati a Rudramata. Il processo di ricostruzione è stato condotto da KMVS con il supporto del SISC (Shelter Innovation and Support Center) e di Abhiyan.
Letteralmente Gram Swaraj significa Repubblica dei villaggi: l’idea Gandhiana che la democratizazzione del paese potesse avvenire attraverso la decentralizzazione, per dare voce all’India rurale. 2 Manav Sadhna è una ONG basata nell’Ashram di Gandhi, ad Ahmedabad, ispirata alla filosofia Gandhiana. 3 ‘Vastu Shilpa Foundation for studies and research in environmental design’, con sede ad Ahmedabad, è un istituto di ricerca non governativo fondato nel 1978, operante nel campo dell’ambiente costruito e dello sviluppo sostenibile. 4 Gramshree, Harijan Sevak Sangh, Safai Vidyalaya, Environmental Sanitation Institute, Impression, Ishwardas Jhabarmal Trust. 5 Si veda il capitolo relativo alle tecniche costruttive per la descrizione dettagliata del processo. 6 Vastu Shilpa Foundation, Gandhi Nu Gam, Ludiya: Partnering with people, Sangath, Ahmedabad, march-september 2001. 7 Kutch Mahila Vikas Sangathan 8 BAPS Swaminarayan Santha, un’organizzazione di ispirazione religiosa. 1
Planimetria del villaggio di Nanni Daddhar con gli interventi di ricostruzione (Fonte: HSF).
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5. Le tecnologie della terra cruda in uso nel Kachchh 5.1 Le tecnologie tradizionali in uso nel Kachcch
Le tre principali tecniche costruttive tradizionali in uso nel Kuchchh sono le seguenti: a) l’adobe b) la terra rinforzata con legno e talvolta bambù c) la bauge. Troviamo l’adobe e la terra rinforzata principalmente nella regione di Banni e Pachccham, e la bauge nel villaggio costiero di Tunda Vand.
5.1.1 Costruzione in adobe
Per la descrizione di questa tecnica costruttiva si assume a titolo esemplificativo la costruzione di una bhunga tradizionale per il villaggio di Ludia (Gandhi No Gao). I componenti richiesti per la costruzione dei muri e delle fondazioni sono i seguenti: a) Terra argillosa e scorza di riso per i blocchi di adobe. La scorza di riso è un materiale fibroso, che si frantuma in piccoli pezzi, ed i grani così prodotti aumentano la coesione del materiale e la resistenza dei blocchi. b) Cemento per la malta delle fondazioni. c) Terra proveniente da Banni, sterco di vacca e terra locale per l’intonaco. La terra di Banni viene usata solamente per l’ultima finitura della bhunga. Questa particolare terra proviene da Ru-
dramata, località situata a 15 km da Bhuj, ed il costo associato a questo materiale è il solo costo di trasporto. Il vantaggio di usare lo sterco di vacca è dato dal fatto che contiene molte particelle fibrose che, come la scorza di riso, aumentano la coesione del materiale. d) terra e pietre per il riempimento della piattaforma (ottla).
Le fasi per la creazione dei blocchi di adobe sono le seguenti : 1. Si crea un monticello con la terra proveniente da Banni, si versa dell’ acqua sulla terra per umettarla e la si lascia riposare per una notte. Si aggiunge la scorza di riso. 2. Si lavora l’impasto con i piedi. 3. I blocchi vengono formati in stampi di legno e dopo la rimozione delle formelle, vengono lasciati asciugare e indurire al sole per un giorno su un lato, e poi girati sull’altro lato affinché asciughino più rapidamente. Ci vogliono due o tre giorni per terminare il processo. I blocchi misurano 20x30x10 cm.
Descrizione delle fasi costruttive: creazione delle fondazioni e costruzione del muro: 1. Viene scavata una trincea profonda 30 cm e larga 45 cm. I blocchi per le fondazioni vengono posti in opera usando una miscela di terra locale e cemento per la malta. Il procedimento di posa dei bocchi viene localmente chiamato ‘chanter’. 2. I muri vengono innalzati in continuità con le fondazioni, usando una malta di sterco di vacca e terra locale, mescolati con acqua fino a rendere il composto lavorabile.
3. Le architravi e le aperture di porte e finestre vengono inserite dove necessario. 4. La piattaforma viene quindi costruita con pietra e terra, fino ad un’altezza di circa 45 cm. Questa viene poi completata con un sottile strato di terra, il ‘lipan’ che sale sui muri della bhunga, proteggendoli alla base.
Illustrazione delle tre principali tecnologie costruttive tradizionalmente usate nella costruzione delle bhunga: adobe (mud bricks), bauge (in-situ mud) e terra rinforzata con legno (reinforced wall). Illustrazioni di Apurva Amin.
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Costruzione in adobe a Gandhi No Gao.
Donne intente alla stesura del lipan (Foto: HSF).
Costruzione del muro in blocchi di adobe (Foto: HSF).
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Illustrazione di Apurva Amin che mostra gli elementi costruttivi di una bhunga.
1
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1. Posizionamento della trave (adi). 2. Posizionamento del pilastro (patli). 3. Posizionamento dei travetti (vali). 4. Riempimento in bambù (khapatis). 5. Posa del manto di copertura in paglia (kheep). 6. Posa della rete di corda (khati).
Stesura dell’Intonaco (lipan): il composto per lo strato di finitura, chiamato localmente gobar lipan, è fatto di sterco di vacca e terra locale. Dell’acqua viene aggiunta per migliorarne la lavorabilità. Un primo strato viene applicato all’esterno, e viene spalmato con le mani. Per far questo ci vuole circa un giorno, poi un altro strato viene applicato all’interno. Questi strati esterni ed interni vengono alternati fino a che sette strati non siano stati applicati sia all’esterno che all’interno. L’ultimo strato di lipan è composto da terra di Banni e sterco di vacca1.
I componeneti richiesti per la costruzione del tetto sono i seguenti: a) Una trave orizzonatale (addi) di 15-18 cm di diametro. b) Una base per il pilastro verticale (patli) di dimensioni 5x7x25 cm. c) Un pilastro centrale lungo dai 180 ai 270 cm, di 10 cm di diametro. d) Un cono (mann) al culmine del pilastro, di 40 cm di diametro, alto 45 cm. e) I travetti che costituiscono la struttura portante della copertura (vali), con diametro variabile tra 6 e 8,75 cm, lunghi 365 cm, in babool wood2. Ce ne vogliono tra 20 e 24 distribuiti sulla circonferenza del muro. Si può eventualmente usare un altro legno locale, il nilgiri, se questo è reperibile. f) I culmi di bambù splittati che costituicono l’orditura secondaria (khapatis) di 2,5 cm di diametro, lunghezza 365 cm, in bambù. 23 fasci con
approssimativamente 20 elementi per fascio. Tradizionalmente si utilizzava il legno nabool, ma si è passati al bambù a causa della scarsezza di nabool. g) La corda (kathi), spessa 1,25 cm. Ne servono 30 kg. h) Paglia (kheep) per la copertura. Ce ne vogliono 500 fasci. I rami resistenti di questa pianta molto densa hanno poche foglie. La loro natura lineare facilita lo scivolamento dell’acqua.
Le fasi della posa in opera della copertura sono le seguenti : 1. la trave (adi) viene posta orizzontalmente sul muro, perpendicolare all’asse della porta. Le parti terminali della trave posano su porzioni leggermente rialzate di muro e sono infisse con dei cavicchi. 2. la base del pilastro verticale (patli) viene posta al centro della trave (adi). Il pilastro viene inserito al centro di questa. Il cono (mann) viene fissato in cima al pilastro. 3. I travetti (vali) vengono legati in cima al cono (mann) e l’uno all’altro con la corda (kathi). 4. I culmi di bamboo splittati (khapatis) riempiono gli spazi tra i valis e vengono legati a questi. 5. I fasci di paglia vengono poi legati alla struttura del tetto cominciando dal fondo. 6. Una rete di corda viene poi calata dalla cima in modo da contenere e mantenere in posizione la paglia del tetto. Il lavoro di falegnameria per la creazione di porte e finestre viene eseguito a Ludia, utilizzando la manodopera locale3. 29
Varianti strutturali nella costruzione delle bhunga.
Decorazioni murali interne nel villaggio di Gandhi No gao.
Variante strutturale: tetto sorretto da un pilastro centrale.
Decorazioni murali esterne nel villaggio di Gandhi No gao.
Esistono diverse varianti della tecnica costruttiva presentata. In alcuni casi il tetto può essere supportato da un pilastro centrale che arriva fino al pavimento, anziché dal pilastro poggiante sulla trave. Anziché essere appoggiata sul muro, la trave (adi) può eventualmente poggiare su due pilastri esterni al muro e a volte completamente indipendenti da questo. Questo stratagemma aiuta a ridurre o annullare la pressione sui due punti di appoggio della trave, in modo che il muro porti un carico più uniforme.
generalmente il diametro varia tra i 3 ed i 6 m. Anche la forma varia : il chowki usa gli stessi materiali e tecniche costruttive, con una diversa struttura del tetto a due falde. Anche l’origine dei materiali può variare. Laddove la terra di Banni è preferibile per la malta, spesso la terra locale viene comunque usata in quanto immediatamente disponibile e comunque soddisfacente. Al posto della malta cementizia per le fondazioni si può usare un tradizionale impasto di sterco di vacca e terra. Le tegole mangalore sono talvolta usate come materiale di copertura al posto della paglia. Nonostante esse non abbiano la stessa capacità isolante, si possono creare delle piccole fessure tra queste per la ventilazione, badando bene di impedire all’acqua di entrare. Se l’adobe è la tecnica costruttiva tradizionale più diffusa nella regione, si riscontra il ricorso ad altre due tecniche alternative: la costruzione in bauge e quella in terra rinforzata.
Per la creazione delle decorazioni murali, i muri dell’edificio vengono ricoperti con una pasta composta di sterco di asino, terra e Fevicol (un adesivo). Dei motivi decorativi vengono incorporati a questa superficie. Per i colori, dei minerali vengono estratti da una diga (dam) vicino a Khavda. Questi offrono un ventaglio di cinque colori: ocra, rosso, marrone, bianco e grigio scuro. I minerali vengono macinati, mescolati con acqua e usati per dipingere i muri della bhunga. All’interno, le decorazioni murali in rilievo vengono integrate da elementi funzionali, come nicchie e mensole. Le dimensioni della bhunga possono variare a seconda delle limitazioni imposte dalle dimensioni degli elementi costruttivi in legno disponibilli, ma 30
5.1.2 Costruzione in bauge
La bauge4 o la costruzione in-situ è forse il metodo costruttivo più istintivo fra i tre presentati. Un composto di terra argillosa modellato in pani viene impilato e formato a mano per creare il muro
della bhunga. Ne risulta una forma monolitica molto resistente. Un rivestimento viene poi applicato per lisciare la superficie.
5.1.3 Costruzione in terra rinforzata
Nella costruzione in terra rinforzata5 si usano dei rami come struttura del muro, che poi viene rivestito di terra.
Uso delle tegole mangalore in copertura nel villaggio tradizionale di Dhumado.
Costruzioni in bauge nel villaggio costiero di Thunda Vand.
Le quattro fasi di costruzione di una bhunga in terra rinforzata sono: 1. I rami vengono affondati nella piattaforma per circa 40 cm, e la loro altezza sopra il pavimento è di circa 170 cm. I rami vengono disposti lungo il perimetro del muro, lasciando un’apertura per la porta.
2. Rametti più piccoli riempiono lo spazio lasciato tra i rami. I rami ed i rametti vengono legati insieme con della corda di paglia al fine di migliorare la stabilità della struttura. 3. Una miscela di sterco e terra argillosa viene poi applicata sulla struttura lignea. Questo composto viene applicato sia all’interno sia all’esterno dell’impalcatura.
4. Uno strato leggero di finizione, il lipan, completa l’esecuzione del muro6.
Costruzioni in terra rinforzata nel villaggio di Dhumado.
Costruzione in terra rinforzata a Dhumado.
31
5.2 Le tecnologie alternative: l’introduzione della terra stabilizzata
Dopo il terremoto del 2001 sono state introdotte nuove tecnologie costruttive, al fine di migliorare le prestazioni antisismiche delle bhunga e delle costruzioni in terra cruda in particolare. Così è stato introdotto e diffuso l’uso della terra stabillizzata con cemento, sia su forma di blocchi che in pisé. Le persone colpite dal sisma hanno voluto mantenere la forma tradizionale delle loro case, cercando di migliorarne la durabilità. Uno dei fattori fondamentali che hanno favorito l’introduzione della terra stabilizzata è che questa, contrariamente alle tradizionali costruzioni in terra, non necessita di una costante e laboriosa manutenzione.
5.2.1 I blocchi di terra stabilizzata (CSEB)7
Si tratta di una tecnologia semplice in cui si aggiunge cemento (7-8%) alla terra per poi comprimere questo composto in una pressa. Questa tecnica è stata per la prima volta sviluppata in Colombia negli anni ’50 ed è in uso in India da molti anni. Molto probabilmente il suo uso più intensivo può essere visto nel Kachchh, dove più di 100 villaggi sono stati costruiti usando questa tecnologia8. L’uso della terra stabilizzata ha trovato rapida diffusione in quanto si tratta di un sistema costruttivo semplice ed economico, che non richiede manodopera specializzata e con il vantaggio che i blocchi possono essere prodotti direttamente in cantiere, secondo tecniche di standardizzazione
Produzione dei blocchi di terra stabillizzata a Rudramata (Foto: HSF).
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molto semplici. Si tratta inoltre di un materiale ecocompatibile che garantisce un buon comfort termico. La tecnologia dei blocchi di terra stabiizzata presenta però alcuni limiti dei quali bisogna tener conto: • La terra è un materiale dinamico, che richiede test e analisi prima dell’uso. • La tecnologia è semplice, ma se non viene eseguita correttamente il blocco può andare incontro a problemi di corrosione. • Le proprietà termiche non sono ottimali come quelle della terra non stabilizzata, a causa della compressione e della più alta percentuale di sabbia nella composizione della terra. Processo di produzione dei blocchi di terra stabilizzata: la miscela di terra e cemento (92-93% di terra, composta da sabbia per il 75%, argille per il 15%, e limo per il restante, alla quale si aggiunge una percentuale di cemento pari al 7-8%), viene mescolata e con questa si fabbricano i blocchi nella pressa Mardini, che poi vengono lasciati curare su un’apposita piattaforma per 21 giorni. Nel dettaglio, le fasi della creazione dei blocchi sono le seguenti: 1. La terra viene passata al setaccio e poi mescolata a secco. 2. Si continua a mescolarla inumidendola finché il composto viene introdotto nella pressa, azionata da due uomini, per la creazione del blocco. 3. I blocchi così prodotti vengono stoccati e fatti curare per 21 giorni. Dispositivi antisismici nella costruzione delle bhunga: bande in calcestruzzo armato vengono inserite ai livelli del basamento, del davanzale, del-
A sinistra: Blocchi a U. Sopra: bhunga in fase di utimazione (Foto: HSF).
Bhunga in blocchi di terra stabilizzata a Rudramata, cinque anni dopo la costruzione del villaggio.
l’architrave delle finestre e al culmine del muro. Per far questo dei blocchi speciali ad U vengono presisposti a queste diverse altezze, in modo da accogliere l’armatura in acciaio ed il calcestruzzo che viene direttamente colato dentro a questi. Quattro tondini verticali in acciaio vengono inseriti lungo il perimetro della bhunga, equidistanti, ed altri due all’apertura della porta. Questi tondini vengono predisposti a partire dal basamento mantenendoli verticali con delle grosse pietre. Quindi si costruisce il basamento in pietra.
5.2.2 Il pisé stabilizzato9
La stabillizzazione del pisé si ottiene, come per i blocchi di terra stabilizzata, aggiungendo circa il 78% di cemento alla terra e battendo la terra con gli appositi strumenti all’interno di una cassaforma di legno in modo da ottenere un muro monolitico. Il vantaggio principale di questa tecnica è che essa si risolve in un’unica fase, dato che la miscela di terra e cemento può essere gettata direttamente e non richiede manodopera specializzata.
Per questo, rispetto alla costruzione in blocchi di terra stabilizzata, la costruzione del muro in pisé stabilizzato è più economica, veloce e robusta dato che non vi sono giunti. Le limitazioni delle quali bisogna tener conto sono le seguenti : • le dimensioni dei vani sono limitati dale dimensioni delle casseforme; • si possono sviluppare delle crepe da ritiro, che poi devono essere riempite.
I materiali richiesti: 1. La terra. La terra ideale per il pisé stabillizzato dovrebbe avere tra l’80 e l’85% di terra, e per il peso restante dovrebbe essere costituita da limo e argilla. Proporzioni maggiori di argilla darebbero origine a crepe dovute al ritiro. 2. Sabbia o terra argillosa come complementi (se necessario). In caso di terra naturalmente argillosa, bisogna aggiungere sabbia fino alle proporzioni volute, in caso di terra troppo sabbiosa, si aggiungerà argilla. 3. Cemento. Si deve evitare di usare cemento altamente reattivo come il grado 53. Normalmente il 7% di cemento da dei buoni risultatati, ma con il 3% di calce, è sufficiente un 5% di cemento per ottenere la resistenza voluta. 4. Calce se disponibile. La calce idrata in polvere può essere usata come stabilizzante. La calce stabilizza la porzione argillosa della terra e permette di ottenere dei risultati miglilori. Il 3% di calce con il 5% di cemento è la proporzione più adeguata per la stabillizzazione del pisé. 5. Acqua. Meglio se potabile; da evitare l’acqua salina. 6. Olio. Bisogna applicare l’olio sulle cassaforme prima di introdurvi la terra, in modo da ottenere una buona finitura del muro. L’uso di oli esausti o neri dovrebbe essere evitato.
Procedimento di esecuzione di un muro in pisé stabilizzato: 1. Il basamento deve essere approntato assieme al sottofondo, che dovrebbe essere perfettamente livellato in modo da permettere un facile e rapido ancoraggio delle casseforme di legno, perfettamente a piombo. L’olio deve venire applicato sull’intera superficie della cassaforma. 2. Il muro in pisé stabilizzato dovrebbe cominciare dal livello finito del basamento. Nella banda terminale del basamento si devono incorporare dei cunei in pietra in modo da garantire una migliore adesione tra il basamento ed il muro in pisé. 3. I rinforzi verticali e orizzontali devono venire annegati nel calcestruzzo, che dovrebbe essere versato ad ogni strato come mostrato nella figura. Le barre di rinforzo devono essere sufficientemente ricoperte, in modo da evitare la corrosione. 4. Una volta fissata la cassaforma, viene versata la miscela di terra (92-93%) e cemento (7-8%), per strati di circa 12-15 cm. La miscela umida dovrebbe essere usata entro i 30 minuti dall’umettazione. 5. Dei cordoli in calcestruzzo armato devono venire incorporati a intervalli regolari a partire dal basamento, quali dispositivi di rinforzo antisismico. 33
Esecuzione del muro in pisé stabiizzato (Foto: HSF).
Esecuzione di una bhunga in pisé a Nanni Daddhar (Foto: HSF).
6. La terra viene battuta manualmente fino a compattazione di ogni singolo strato: una prima prima leggera battitura deve essere seguita da una battitura più decisa, fino a che non viene prodotto un suono metallico. Questo processo prosegue per strati sucessivi fino a che non si raggiunge l’altezza voluta. I singoli strati dovrebbero venire controllati con un penetrometro standard entro 10 minuti dalla compattazione. 7. Nel caso in cui l’intervallo di tempo tra la battitura degli strati sucessivi sia superiore e il primo strato asciughi, bisognerà bagnarlo con acqua ed in seguito applicare una precisa colata di cemento sull’ultimo strato. È consigliabile che la posa in opera avvenga in modo tale che la giornata lavorativa termini con uno strato di cemento oppure con il muro finito a tutta altezza. 8. Dopo aver tolto la cassaforma, la cura del muro in pisé stabillizzato dura 28 giorni.
costruito, sfruttando sia l’inerzia termica della terra che la ventilazione, favorita da una disposizione ed un dimensionamento delle aperture più liberi rispetto ad altre tecniche costruttive. Si tratta inoltre di una tecnica costruttiva sicura rispetto ai sismi, grazie alla flessibilità delle strutture di supporto. Al limite la terra che ricopre i pannelli si distacca, senza però compromettere la stabilità dei muri. Si tratta di una tenica costruttiva dai costi contenuti : il capitale investito è minimo, l’escuzione è semplice e la sicurezza strutturale è elevata. A seconda della tecnica costruttiva e dei materiali adottati, la terra può essere rinforzata con bambù, ramoscelli o legno. L’uso dei ramoscelli consiste in un metodo costruttivo piuttosto primitivo, il quale non comporta l’intreccio fra i vari membri, che vengono semplicemente legati insieme. Nei metodi costruttivi più evoluti, gli elementi di supporto vengono intrecciati a formare dei pannelli all’interno di una struttura portante in legno o bambù. In particolare, con il bambù è possibile realizzare un intreccio che garantisce una maggiore sicurezza strutturale. I culmi opportunamente splittati vengono intrecciati su di una griglia di supporto e poi ricoperti da una mistura di terra e sterco di vacca11. Prima dell’uso, il bambù deve essere sottoposto ad un trattamento chimico, al fine di preservarne le caratteristiche nel tempo e di prevenire l’attacco delle termiti12. Gli altri materali usati sono la terra argillosa, lo sterco di vacca e la scorza di riso13, la terra non erosibile, le foglie di neem14, succhi di erbe, bitume15. La terra argillosa viene bagnata in acqua e mescolata in modo che le zolle più grosse si rompano. Quindi la terra viene mescolata con sterco di vacca e scorza di riso16. La terra rinforzata ha bisogno di materiali fibrosi come lo sterco di vacca e la scorza di riso, i quali compensano la natura argillosa della terra usata, e che fungono anche da agenti stabilizzanti. Questi aiutano a ridurre le crepe da ritiro che possono eventualemente formarsi nella muratura. Tradizionalmente le foglie di neem assieme a dei succhi di piante venivano usati come agenti stabilizzanti.
Punti critici della costruzione in pisé : • La composizione della terra deve essere ideale. Troppa argilla genera delle crepe da ritiro. • La terra deve essere passata ad un settaccio a maglie di 4-6 mm. Grani più grossi possono dare origine a incoerenze in un secondo momento. • La mescolatura a secco e a umido deve essere continua altrimenti lo strato superficiale si secca. Lo spessore degli strati non dovrebbe superare i 12 cm. Strati più spessi generano una compattazione irregolare, e la resistenza e le prestazioni della struttura nel lungo termine ne risulterebbero compromesse. • Per ottenere una buona resistenza e delle buone prestazioni la cura deve essere effettuata perfettamente, ed è questo il punto più critico.
5.3 La terra rinforzata10
Anche la costruzione tradizionale in terra rinforzata è stata riletta in chiave contemporanea. Si tratta di una tecnica costruttiva di facile esecuzione, che non richiede l’impiego di manodopera specializzata. Essa permette la reallizzazione di strutture flessibili, consentendo un’ampia configurazione degli spazi e delle aperture. Con l’uso della terra rinforzata è possibile modificare l’intero microclima sia all’interno che all’esterno dell’ambiente 34
Si può anche usare della terra non erosibile preparata miscelandola con bitume. Questo funge anche da agente impermeabilizzante. Nel tentativo di abbinare materiali da costruzione contemporanei e costruzione in terra rinforzata, i bocchi di terra stabilizzata ad incastro sono stati usati come struttura portante verticale, evitando l’uso di strutture lignee o in bambù. Per far questo è stato introdotto un cambiamento nelle fondazioni, che variano in altezza: a) 2 piedi (circa 60 cm) sotto la struttura portante in blocchi di terra stabilizzata; b) 1 piede (circa 30 cm) sotto il pannello intrecciato in bambù.
Bande orizzontali di rinforzo in cemento armato (Foto: HSF).
Uso di pannelli in terra rinforzata come tamponamenti nel Craft Park (Foto: HSF).
Le fasi della costruzione sono le seguenti : 1. Dopo il completamento del basamento la struttura in blocchi di terra stabilizzata viene innalzata, ed ogni tre corsi si alterna un corso di blocchi ad U, al fine di ancorare i culmi orizzontali alla muratura. Per una struttura dell’altezza di 7 piedi, 6 culmi disposti orrizzontalmente vengono connessi ai blocchi ad U. Due strati sono connessi tra loro, i culmi vengono legati insieme ed anche ai tondini verticali che attraversano la muratura in blocchi di terra stabilizzata. 2. Il tutto viene solidarizzato con CLS, dopodiché si continua con la muratura in blocchi di terra stabilizzata. 3. Una volta costruito lo scheletro di base, le bande al livello dell’architrave e del coronamento vengono gettate con CLS. Dopo la cura di una settimana le casseforme vengono rimosse, e la struttura può essere riempita con il bambù opportunamente splittato, e pronto all'intreccio. 4. I culmi vengono splittati in 6 parti, e questi elementi più sottili vengono intrecciati con i culmi disposti orizzontalmente, già solidarizzati alla struttura portante. 5. Una volta completato il pannello, i culmi splittati vengono legati insieme in cima e alla base con della corda di juta. Quando vi sono delle aperture i pannelli vengono tagliati e poi legati in cima e alla base delle aperture. 6. La base del pannello viene solidarizzata con calcestruzzo al fine di mantenere il bambù in posizione, ed anche per proteggere la base del muro.
Costruzione dell’intelaiatura in bambù (Foto: HSF).
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Rivestimento dei pannelli con il lipan (Foto: HSF).
Tamponamenti in terra rinforzata nella scuola rabari a Bhoujodi (Foto: HSF).
7. Una volta asciugato il CLS, la miscela di argilla, sterco di vacca e scorza di riso viene applicata alla maglia in bambù. Questo procedimento, noto localmente come ‘lipan’, viene iniziato su un solo lato. L’argilla viene pressata tra il bambù, e una volta applicato uno spessore di 5 pollici, questo viene lasciato asciugare per 4-5 giorni. Delle crepe dovute al ritiro dell’argilla possono allora formarsi. 8. Questo primo strato viene quindi rivestito di uno strato ulteriore, composto di argilla, gobar e succo di foglie di neem, applicato come una pasta a saturare le crepe. Ne risulta una finitura liscia, che viene fatta asciugare. 9. Eventualmente si può procedere alla stesura di un altro strato di sterco di vacca con poca argilla, in caso di formazione di crepe ulteriori.
10.A questo punto si può scegliere tra diverse alternative per l’impermeabilizzazione del muro: a) Intonaco di terra non-erosibile; b) Intonaco di calce; c) Malta composita di terra, cemento e sabbia. L’intonaco di calce è il metodo usato tradizionalmente. La calce viene sgretolata e setacciata. Viene poi mescolata con il 50% di sabbia e con dell’acqua, e lasciata riposare per un giorno al coperto. La miscela può essere usata dopo un giorno o due, come gli intonaci comuni. Una miscela di calce e gomma ‘gugar’ viene applicata sopra l’intonaco di calce per ottenere una superficie liscia. L’intonaco viene poi curato per più di 2 settimane. 11.Per la finitura degli interni, si può applicare uno strato di argilla bianca. Una parte di argilla bianca
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e 4 parti di sabbia vengono mescolate con dell’acqua per 4 giorni. Quindi a questa miscela si aggiungono dei stabilizzanti come la gomma gugar e dei succhi di piante. Eventualmente si può optare per un’ulteriore mano di pittura: si aggiungono della terra bianca a dell’acqua, mescolando accuratamente. Questa miscela liquida viene poi applicata sul muro con uno straccio, al fine di ottenere una tenue colorazione che al tempo stesso protegge i muri interni.
5.4 L’impatto delle tecnologie alternative sull’habitat
Dettaglio del sistema di ventilazione della scuola Rabari a Bhujodi.
Particolari della scuola Rabari a Bhoujodi.
Con la ricostruzione post sismica alcuni villaggi, come nel caso di Rudramata, sono stati spostati dal luogo d’origine. Scelte di questo tipo in molti casi sono state dettate da fattori di carattere economico: avvicinando il villaggio alla città si è cercato di rivitalizzarne l’economia. La scelta delle tecnologie da usarsi per la ricostruzione è stata pure dettata principalmente da fattori di carattere economico: si è mirato ad un habitat a basso costo pur puntando a degli standard accettabili di comfort, e cercando di utilizzare materiali e risorse locali. L’adozione della terra stabilizzata è avvenuta di concerto con le esigenze degli abitanti: essendo già consci delle caratteristiche bioclimatiche della terra in quanto materiale da costruzione, nonchè delle caratteristiche strutturali ed anche del valore culturale della tradizionale forma circolare, questi non hanno esitato ad accogliere benevolmente la proposta di utilizzare un materiale tradizionale quale è la terra in chiave contemporanea, principalmente per i bassi costi di produzione, nonché per la maggiore durabililtà ottenuta con la stabillizzazione, e di conseguenza per il sollevamento dalla corvée periodica legata alla manutenzione della casa. Con la promozione dell’artigianato come principale fattore di sostentamento per le famiglie, il tempo da dedicare alla casa si è notevolmente ridotto, dato che anche le donne sono ora impegnate nella produzione di manufatti non più destinati al solo uso domestico. In ogni caso la casa in terra è generalmente considerata sinonimo di povertà, e l’opzione della costruzione in duro è sempre quella preferita, quando possibile. Come si è visto, in molti casi anche le bhunga in pisé stabilizzato vengono rivestite da un intonaco cementizio, onde evitare il rinnovamento periodico del lipan, pur non essendo questo necessario nel caso del muro in pisé stabilizzato. Purtroppo già con la stabillizzazione molte delle proprietà termiche del materiale terra vengono perdute, e ancor di più se a questo viene sovrapposto un intonaco di cemento. Al posto dell’intonaco cementizio, si cerca di promuovere l’utilizzo di semplice pittura, o ancor meglio di intonaco di calce, anche se quest’ultima è difficilmente reperibile. Dove prima erano presenti bhunga tradizionali in terra e paglia, come nel villaggio di Nanni Daddhar, queste sono state nella maggior parte dei casi relegate a deposito per gli attrezzi, e versano in uno stato di abbandono. 37
Questo fenomeno si è prodotto nonostante gli abitanti siano ben consci del maggiore comfort termico di queste abitazioni rispetto a quelle contemporanee. In questo villaggio strutture come i chowki vengono ancora costruite in adobe, per poi essere rivestite da un intonaco cementizio al fine di evitare i lavori di manutenzione. Le conoscenze tradizionali del costruire in terra ancora esistono e sono diffuse nella regione. Si spera pertanto in una futura rivitalizzazione di questi saperi, considerato anche il fatto che gli ultimi progressi della ricerca stanno rivalutando la costruzione tradizionale in terra cruda, alla quale, senza ricorrere alla stabilizzazione, è possibile incorporare dei dispositivi antisismici. Presto l’offerta sarà ancora più diversificata, con lo studio attuale di alcuni prototipi che alleano le caratteristiche bioclimatiche della terra cruda con i progressi della scienza antisismica.
1 Vastu Shilpa Foundation for Studies and research in Environmental Design, Earthen Architecture of Katchchh: practuces of buiding with the land, August 2001. 2 La pianta locale a rapida diffusione usata nel tentativo di bloccare la desertificazione, che se non atro viene usata in edilizia. 3 Vastu Shilpa Foundation, cit. 4 Lamps of clay. 5 CCoWattle and daub. 6 Vastu Shilpa Foundation, cit. 7 Compressed Stabilized Earth Blocks. 8 Hunnarshaala Foundation for Building Technology and Innovation, Kutchi Bhunga, Traditoinal House in Hot and Arid Gujarat, Rural technology park, A project of national Institute of Rural development - Hydrabad. 9 Stabilized Rammed Earth Technology. 10 Wattle and doub. 11 Localmente chiamato ‘gobar’. 12 Qui il bambù viene trattato con sodio dicromato, solfato di rame e acido borico. Per 200 lt di acqua si usano 4 kg di sodio dicromato, 3 kg di solfato di rame e 1,5 kg di acido borico. Per ogni bagno possono essere trattati da 15 a 20 culmi di una lunghezza di circa 4,5 m. I culmi vengono lasciati a bagno per due giorni, quindi sono pronti per la costruzione. 13 Bhusa è il nome locale, o ‘rice husk’ in inglese. 14 Una pianta locale. 15 Coal tar. 16 Le proporzioni sono le seguenti: 10 parti di terra, 3 parti di gobar, 3 parti di bhusa. Della sabbia viene aggiunta. Il tutto viene mescolato per un giorno, dopodiché il materiale è pronto per la costruzione.
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6. I fattori sociali legati al costruire in terra cruda 6.1 L’uso della terra cruda da e verso pratiche di auto-costruzione
Il perpetrarsi della tecnologia della terra cruda nella regione in esame è stato reso possibile dal persistere in questi luoghi di pratiche costruttive tradizionali. Gli stessi abitanti sono spesso anche i costruttori delle proprie case, o perlomeno esiste una collaborazione tra comunità, per cui i muratori di mestiere aiutano i vicini nella costruzione della casa. Questi scambi sono molto attivi, ad esempio, tra la comunità Harijan, dedita a varie forme di artigianato e tradizionalmente esperta nell’arte di costruire, e la comunità musulmana, dedita per lo più all’allevamento e alla pastorizia. Questa importante presenza di pratiche costruttive sapienti nel Kachchh ha reso possibile un’ulteriore promozione della terra cruda durante la fase di ricostruzione post-terremoto. Oltre a promuovere la costruzione in terra, con l’introduzione di nuovi apporti tecnologici come la stabilizzazione e di dispositivi antisismici come le bande di rinforzo in cemento armato, l’obiettivo è stato quello di instaurare un processo partecipazione da parte degli
Donne intente alla decorazione murale nel centro turistico di Hodco (Foto: HSF).
abitanti, in tutte le fasi progettuali, ivi compresa quella di cantiere. Sono stati così istituiti dei corsi di formazione, sia presso la sede centrale di Abhiyan a Bhuj, sia in loco nei villaggi. Il pieno coinvolgimento degli artigiani locali nel processo di ricostruzione ha rappresentato un importante obiettivo in questa fase, e continua ad essere uno dei principali traguardi per la rivitalizzazione delle comunità rurali. In quest’ultimo periodo l’utilizzo della terra cruda sta conoscendo una nuova fase nel Kachchh: dopo aver sperimentato e praticato per anni la stabilizzazione, si cerca adesso di tornare all’uso della terra cruda non stabilizzata, seppur introducendo alcuni dispositivi antisismici a livello strutturale; questo permette un’autonomia anche maggiore da parte dei costruttori, che già conoscono perfettamente le pratiche costruttive tradizionali. Nel centro turistico di Hodco, ad esempio, si è preferito utilizzare la terra tradizionalmente, con muri in adobe o in bauge, ma con bande di rinforzo in cemento armato dove necessario; una particolare attenzione è stata accordata agli intonaci, che si cerca costantemente di perfezionare al fine di rendere la manutenzione meno laboriosa. Il centro turistico è stato costruito da e per gli abitanti dei villaggi limitrofi, al fine di creare nuove fonti di guadagno, dato che l’economia della regione è sempre più strettamente legata alla presenza di visitatori, potenziali aquirenti dei prodotti artigianali locali.
6.2 Valorizzazione del costruire in terra cruda attraverso la partecipazione
Nel trasferimento di tecnologia l’approccio partecipativo diventa imprescindibile, e soltanto attraverso il completo coinvolgimento dei beneficiari questa trasmissione di sapere può diventare effettiva. Nel processo di ricostruzione post-terremoto nel Kachchh si è riusciti a riportare una tecnologia da lungo tempo sperimentata, ma ormai applicata soltanto in maniera puntuale, verso la gente, e ad applicarla diffusamente in modo sistematico. La fase di sensibilizzazione è stata favorita dalla previa conoscenza del materiale (matti) da parte della popolazione, e dalla fiducia nelle prestazioni antisismiche dell’habitat tradizionale. L’organizzazione di workshop e corsi intensivi non ha fatto altro che rafforzare un senso di appartenenza già insito nella popolazione, cosciente del valore culturale del proprio habitat, oltre che dei vantaggi di una tecnologia a basso costo come quella della terra cruda.
6.3 Interviste ad alcuni abitanti auto-costruttori
Le interviste riportate qui di seguito non pretendono che se ne possano estrapolare dei dati statistici, dato che purtroppo le limitazioni dovute al tempo disponibile e alla lingua non hanno permesso di appofondire gli aspetti sociologici della ricerca. Lo scopo delle interviste è quello di cercare
di comprendere quale sia il grado di conoscenza delle tecnologie usate ed anche come gli abitanti percepiscano il proprio habitat, sia dal punto di vista delle caratteristiche bioclimatiche, che della sicurezza strutturale. Si riportano qui di seguito sia una sequenza di domande improvvisate durante i rilievi, sia un intervista elaborata previamente, tradotta grazie ad un aiuto esterno, ma non simultaneamente. In alcuni casi le domande sono state interpretate diversamente, e se ne riporta tra parentesi l’interpretazione da parte dell’intervistato.
Intervista a Judia Ali, durante il rilievo di un Chowki nel villaggio di Nani Dadhar, 5 settembre 2006 C.C.: Quando è stato costruito questo chowki? J.A.: Tre anni fa.
C.C.: Usate di più lo spazio interno o esterno?
J.A.: Lo spazio interno viene usato per lo più come deposito, lo spazio esterno per varie attività. C.C.: Chi ha costruito questa casa?
J.A.: Io stesso insieme alla mia famiglia.
C.C.: Quante persone hanno partecipato alla costruzione? J.A.: 15 o 16 persone.
C.C.: Quanto tempo ci è voluto? J.A.: Da 15 a 20 giorni
C.C.: In che mese avete costruito la casa?
J.A.: Durante le estati, nel mese di Phaguna1.
C.C.: Come state usando l’edificio in questo momento? J.A.: Non lo stiamo usando, sono in corso delle riparazioni. C.C.: Che problemi ci sono stati per la riparazione?
J.A.: Nessun problema, ma il materiale necessario non era direttamente disponibile qui.
C.C.: Perchè usate l’intonaco di cemento?
J.A.: Perchè diventa più resistente, e si può usare più e più volte, mentre bisogna rinnovare il lipan ogni volta. C.C.: Sapete che l’utilizzo della terra mantiene le case più fresche rispetto all’intonaco di cemento?
J.A.: Sì, lo sappiamo, ma a causa della manutenzione preferiamo l’intonaco di cemento. C.C.: Questa casa è una bhunga o un chowki? J.A.: Chowki.
C.C.: Che cos’è un Chowki?
J.A.: Un soggiorno e un deposito.
C.C.: Perchè hai usato prima la terra, durante la costruzione del chowki?
J.A.: Perchè non c’era cemento, e anche perchè con la terra l’ambiente rimane più fresco.
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Chowki a Nani Dadhar.
Kersanbhai.
C.C.: Se ci fosse stato il cemento, avresti usato il cemento?
Intervista a Kersanbhai, Nava Vas (Ludia), 21 settembre 2006
C.C.: Pensi che la gente continuerà a costruire case di terra?
K.B.: Meghpar, Nava Gam, Khavada.
J.A.: Sì.
J.A.: Dipende da fattori economici, quando qualcuno ha più soldi costruisce in cemento.
C.C.: Queste bhunga costruite con cemento (terra stabilizzata) sono più fresche rispetto alle bhunga tradizionali?
J.A.: No, perchè le bhunga precedenti avevano tetti di paglia ed erano fatte di terra, mentre queste bhunga hanno coperture in tegole e muri con cemento, quindi si riscaldano più rapidamente.
C.C.: Queste nuove bhunga sono fatte col cemento per proteggerle dai terremoti o dalla pioggia? J.A.: Entrambe le cose.
C.C.: Da dove hai preso la terra?
C.C.: Questo è un nuovo villaggio? C.C.: Da dove vieni?
K.B.: Da Ludia, dopo il terremoto.
C.C.: Quante persone vivono in questa casa? (Quante persone vivono in questo villaggio?)
K.B.: Prima c’erano meno persone, ora vi vivono 50 famiglie. C.C.: Quanti anni hai?
K.B.: Dovrebbero essere 35.
C.C.: Quando hai costruito la bhunga? (Che materiali hai usato per costruire le bhunga?) K.B.: Terra cruda, blocchi di terra e tagliamo anche il legno per farle.
J.A.: Dallo stagno.
C.C.: Quando hai costruito la bhunga? (Dove hai costruito le bhunga?)
J.A.: Si prepara lo stampo di legno, quindi si prepara una miscela di terra, sterco di vacca e acqua, si mescola usando i piedi e si versa nelle forme di legno.
C.C.: Quanti anni ha questa bhunga?
C.C.: Come fate i blocchi di adobe?
C.C.: Per quanto tempo si fanno asciugare al sole?
J.A.: Da 8 a 10 giorni.
K.B.: Ho costruito delle bhunga in Banni, sono le mie, e questo è il mio lavoro (a voce bassa). K.B.: 6 anni.
C.C.: Hai costruito la tua casa da solo? (quante ne hai fatte?)
C.C.: Quali sono le dimensioni del blocco?
K.B.: In effetti ne ho costruite molte, chikkar (un sacco).
C.C.: Quanto tempo ci è voluto per fare il tetto di legno?
K.B.: Aiuto?! Mahila Vikas Sanghatan.
J.A.: 1 piede x 1.5 piedi.
J.A.: Uno o due giorni.
C.C.: Chi compra il legno, il falegname o voi?
J.A.: Andiamo col falegname a comprare il legno. C.C.: Quanto è costata la casa? J.A.: Da 30 a 40.000 rupie.
C.C.: Quanto sarebbe costato farla di cemento? J.A.: Da 70 a 80.000 rupie.
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C.C.: Chi ti ha aiutato?
C.C.: Quante persone hanno partecipato alla costruzione di questa casa? (Quante bhunga sono state costruite da Mahila Vikas Sanghatan?)
K.B.: Nel nostro villaggio 36 bhunga sono state costruite da Mahila Vikas Sanghatan.
C.C.: Quante persone hanno partecipato alla costruzione di questa casa?
K.B.: Altre persone sono venute da fuori, almeno 20 o 25.
C.C.: Quanto tempo hai impiegato per costruire questa casa? (Quanto tempo ci vuole per costruire una bhunga in terra?)
K.B.: Un mese e 20 giorni per una bhunga. Solo per i muri in terra e il lipan. La costruzione del tetto ha richiesto altri 12 giorni. L’intaglio del legno è da contarsi separatamente: ci sono voluti altri 15 giorni. Questo è un intaglio normale, mentre per un intaglio più complicato ci possono volere 3 o 4 mesi, ma si può concludere il lavoro anche in un solo mese. […] Ci sono le porte, le finestre, le tegole, ...c’è il ‘patli’ sopra, e in cima a questo vi è il ‘mann’ ,rotondo… se mettiamo il ‘nalia’ (tegole), poi dobbiamo fare il ‘para’ sopra queste. Una donna in un giorno intero può fare soltano un piede (circa 30 cm), il lipan ed i disegni sono fatti dalle donne. A seconda del lavoro bisogna calcolare di quante donne ci sarà bisogno. Bisogna prendere la terra argillosa dalla periferia del villaggio, poi bisogna procurare lo sterco d’asino, quindi bisogna lavorare lo sterco e ammorbidirlo per bene prima di mescorarlo con la terra; una volta terminata la bhunga bisogna dipingerla, e una volta le decorazioni asciutte si passa alle finizioni. I disegni si fanno con argille di diversi colori e queste argille non si trovano da nessun’altra parte, soltanto nel Kachcch.
bisogna preparare un basamento di pietra, cemento e calcestruzzo, sopra questo si possono porre i blocchi di adobe o altro. I muri possono essere alti da 6 a 7 piedi e il diametro può variare da 17 a 20 piedi massimo. [...] Se si vogliono fare delle bhunga in terra bisogna usare soltanto la terra, e se si vogliono fare delle bhunga in cemento si userà esclusivamente il cemento. Bisogna proiettare il tetto all’esterno, in modo che il muro sia protetto dalla pioggia. Hai visto tutte le case che ti ho mostrato, sono fatte di terra, ci sarà presto un grande festival2 e persone da tutto il mondo verrano a vederle.
C.C.: In che mese hai cominciato la costruzione di questa casa?(In che mesi si costruiscono le bhunga?)
K.B.: Si possono fare in inverno, in estate, ma non durante i monsoni.
C.C : Perché hai usato questo materiale per costruire la casa? (come sono fatti i blocchi?)
Un’altra persona (Ramabhai) risponde: I blocchi di cemento sono fatti di calcestruzzo e sabbia. Questi sono i blocchi ‘pucca’ e i ‘kachha’ sono fatti di scorza di ‘bagri’ (un cereale) [...] quindi si aggiunge lo sterco, si inumidisce in acqua per due giorni, poi si indurisce tutto questo si mescola e poi si fa il blocco. Bisogna asciugarli al sole per 5 giorni, quindi bisogna girarli in modo che la parte ancora umida rimanga all’esterno, e quindi il blocco aumenta di volume. Kersan Bhai aggiunge: Soltanto i locali sanno quale terra utilizzare, altrimenti i blocchi crepano. C.C.: Come hai fatto il muro?
K.B.: È quello che ti ho appena risposto.
C.C.: (indico la sua casa, in pisé stabilizzato)
K.B.: C’è una cassaforma, in cui si mettono sabbia, cemento e terra, e quindi si batte fino ad indurirlo. Il disegno è lo stesso delle bhunga in terra, ma il materiale usato è quest’altro. C.C.: Come hai fatto le fondazioni?
Ramabhai risponde: Si scava nella terra per circa 2 piedi, e quindi si mettono cemento, pietre e sabbia. Sopra queste fondazioni si comincia la costruzione in blocchi di terra o qualsiasi altro materiale.
K.B.: Se la terra è dura, si fanno delle fondazioni profonde un piede (circa 30 cm), e se è morbida, si fanno delle fondazini di due piedi (circa 60 cm), e
Kesanbhai mostra il posizionamento delle bande di rinforzo antisismiche nella sua casa.
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C.C.: Quanto tempo ci vuole per fare il muro?
K.B.: Ci vogliono da 20 a 25 giorni per fare il muro. 5 persone vi lavorano, e di queste 2 sono donne. In questo modo si può terminare in 25 giorni un muro ben fatto.
C.C.: Quanto tempo ci è voluto per costruire il tetto? (quanto tempo ci è voluto per costuire la bhunga?)
K.B.: Vi hanno lavorato 25 persone, quindi questa è stata fatta più rapidamente, altrimenti bisogna fare 2 piedi (60 cm) alla volta, altrimenti si formano delle crepe. C.C.: Quanto tempo ci è voluto per costruire il tetto? K.B.: 15 giorni, con 3 persone che ci lavorano.
C.C.: Che tipo di argilla hai usato per intonacare questo muro? Argilla bianca, gialla o rossa? K.B.: Argilla bianca.
C.C.: Da dove hai preso questa argilla?
K.B.: A un chilometro dalla periferia del villaggio3.
C.C.: Ogni quanto tempo si deve rinnovare il lipan? (Quante volte devi prendere la terra fuori dal villaggio?) K.B.: Se ci andiamo due volte, bisogna riempire il trattore due volte. Ramabhai risponde: Una volta ogni tre mesi.
Kersanbhai: durante la stagione delle pioggie, ogni mese.
C.C.: Sei soddisfatto della freschezza della tua casa?
K.B.: Adesso abbiamo il ventilatore e l’elettricità, ma anche se non li avessimo, la casa sarebbe abbastanza fresca. C.C.: Cambieresti la tua casa per una fatta di cemento o di pietra? K.B.: No.
C.C.: Ti senti sicuro a vivere in questa casa?
K.B.: Ora ci sono dei pezzi di metallo dentro a questa bhunga, quindi è anche più sicura, ed anche le precedenti, in terra, erano sicure, ma queste sono più sicure. In ogni caso, tutto dipende dalla volonta di Dio. Durante il terremoto le case maccan (rettangolari) sono cadute, ma queste non sono cadute, stanno ancora in piedi. Quindi sono più sicure.
un’attività e l’altra, e di solito viene ultimata in concomitanza con il matrimonio dei futuri abitanti. La costruzione in terra cruda, più laboriosa rispetto alla terra stabilizzata, è scandita da diverse fasi, alle quali gli abitanti di questa regione sono usi, così come ad altre lunghe e complesse procedure nella produzione dei loro preziosi e raffinati manufatti. Le costruzioni in terra, spesso completate da raffinate decorazioni, sono parte integrante del paesaggio culturale del Kachchh, e gli abitanti della regione ne sono consapevoli, tant’è vero che nel processo di ricostruzione la tipologia della bhunga è stata riproposta anche in virtù di questo fatto. Le comunità di costruttori, come gli Harijan, conoscono approfonditamente le tecnologie tradizionali ancora in uso, e le caratteristiche strutturali delle bhunga. Con la stessa passione gli artigiani si dedicano all’intaglio del legno e alla lavorazione del cuoio, così come al ricamo le donne. Tutte queste attività sono laboriose e creative, come lo è la costruzione e a decorazione delle bhunga. La fatica associata alla manutenzione della casa viene normalmente accettata di buon grado, e nella consapevolezza che un intonaco di terra garantisce un migliore comfort termico rispetto al cemento. Il rifacimento del lipan si risolve in un rito collettivo durante il festival del ‘divali’, dopo i monsoni. Tali pratiche sono destinate a scomparire laddove nuovi fattori economici vengono a modificare lo stile di vita tradizionale. Nei villaggi più remoti, come Dhumado, la costruzione in terra rimane l’unica possibile, e alla domanda se si preferirebbe costruire in cemento, la risposta, coerente, è che il cemento va bene per le città, non per un villaggio come Dhumadho. Nei villaggi più vicini alle principali vie di comunicazione, come Dhorodo, dove gli scambi commerciali hanno favorito la diffusione di un certo benessere economico, si assiste alla snaturazione dell’habitat tradizionale, con l’introduzione di nuovi edifici in cemento, di villini, di forme ‘urbane’ spesso caotiche, che mal si inseriscono nella morfologia del villaggio un tempo tradizionale. In alcuni casi anche l’afflusso di fondi per la ricostruzione ha contribuito alla diffusione delle case ‘pucca’, alle quali quasi tutti aspirano. Soltanto in situazioni di ristrettezza economica la terra stabilizzata è stata scelta come alternativa, ed il basso costo rimane per il momento il principale incentivo a continuare a costruire in terra.
C.C.: Grazie.
6.4 Fattori culturali ed economici legati al costruire in terra cruda
Nel Kachchh varie forme di artigianato sono ancora intimamante legate agli aspetti del vivere tradizionale. Anche la costruzione delle abitazioni segue i ritmi del vivere tradizionale, oltre che doversi adattare ai cicli stagionali. Molto spesso la casa viene costruita durante i ritagli di tempo tra 42
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Mese del calendario Hindù. Il Navratri, dal 23 settembre al 2 ottobre. I limiti del villaggio sono chiamati ‘simada’.
Conclusione
La ricerca svolta attraverso l’analisi di un caso di studio ha consentito di individuare un ampio ventaglio di applicazioni della tecnologia della terra cruda in un’area geografica ben definita, in cui le condizioni geografiche estreme, abbinate a fattori economici altrettanto determinanti, costituiscono il terreno ideale per l’applicazione di questa tecnologia appropriata alle condizioni ambientali del luogo e al tempo stesso a basso costo. Si è visto come l’utilizzo tradizionale della terra cruda, a seconda delle risorse locali immediatamente disponibili, sia stato declinato in diverse tecniche costruttive, come l’adobe, la bauge e la terra rinforzata con legno e con bambù, e come queste siano tutt’ora in uso. D’altra parte, dopo il terremoto del 2001, l’introduzione della terra stabillizzata ha determinato un’importante variante nell’habitat tradizionale, aumentando il ventaglio di tecniche costruttive e di soluzioni economiche disponibili. Anche se il basso costo rimane il principale incentivo a continuare a costruire in terra, si è notato che in generale gli abitanti hanno una buona percezione del proprio habitat, alla costruzione del quale hanno molto spesso partecipato attivamente, e che sono coscienti del valore culturale delle proprie abitazioni. La recente riscoperta della costruzione in terra cruda, anche da parte di organizzazioni all’avanguardia nella ricerca e particolarmente attente agli aspetti antisimici delle costruzioni, come Hunnarshaala, lascia sperare che nel Kachcch la terra non soltanto continui ad essere usata, ma che il processo di valorizzazione di questa tecnologia continui e riesca a far fronte alla spinta esercitata da fattori economici in rapido mutamento.
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LA COLLANA
World in progress mette in comune ricerche, progetti e riflessioni portati avanti all'interno del Centro di ricerca e documentazione in Tecnologia, Architettura e Città nei paesi in via di sviluppo. Trovano spazio sulle pagine della collana temi diversi, da quelli tecnologici fino alle problematiche più generali sullo sviluppo dell'habitat nella sua accezione più ampia. L'interesse è rivolto ai contesti urbani e rurali dei paesi emergenti, dove è evidente la necessità di intervento per il miglioramento delle condizioni di vita, lo sviluppo socio-economico o la salvaguardia del patrimonio esistente.
Centro di ricerca e documentazione in Tecnologia, Architettura e Città nei PVS
Dipartimento Casa - Città Politecnico di Torino
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L'AUTORE Chiara Chiodero si laurea in architettura con indirizzo ‘ Tutela e Recupero del Patrimonio Storico Architettonico’ allo IUAV nel 2000. Frequenta nell’ a.a. 2005-2006 il corso di perfezionamento ‘ Habitat, Tecnologie e Sviluppo’ del Politecnico di Torino, nell’ ambito del quale svolge una ricerca sull’ habitat in terra cruda e sulla ricostruzione post-terremoto in Gujarat. Attualmente vive e lavora a Parigi, dove ha svolto attività di collaboratrice presso diversi studi di architettura.