Siamo tutti figli di Pacuvio Archeologia Satirica
uno
Attalo, Gioacchino Colizzi, 1894-1984, fu definito da un biografo “cronista grafico delle nostre miserie morali”. Impiegato delle Ferrovie dello Stato, quando nel 1920 fu invitato a collaborare al periodico satirico “Serenissimo”, per evitare il licenziamento, adottò lo pseudonimo di Attalo (“è l’unico personaggio storico che mi ricordavo di aver studiato” diceva Colizzi – Attalo Re di Pergamo - così dovendo trovare un nome diverso per nascondere la mia attività presso il Ministero dei Trasporti, adottai il nome di questo re”). Dopo la chiusura del periodico decretata dalle autorità fasciste, Attalo si dedicò all’illustrazione di manifesti; finché nel 1931 prese a collaborare al celebre “Marc’Aurelio”, per il quale la sua matita inventò una delle più popolari e divertenti macchiette dell’umorismo italiano: “il Gagà che aveva detto agli amici…” prendendo come modello il suo amico giornalista Attilio Battistini, elegantone, scucchione e nasone. Seguirono, durante la guerra, le collaborazioni a “Marforio” e “Pasquino” (1944) e soprattutto, nel 1947, al “Travaso delle idee”,Ma dietro l’esplosività e il fuoco d’artificio delle sue trovate, dietro la comicità burlesca delle situazioni in cui si trovano i suoi personaggi si cela una profonda amarezza: la consapevolezza di una realtà meno divertente, che nasconde dietro stupefacenti fanfaronate le miserie morali e le loro umilianti sconfitte della quotidianità di tante vite. Con “Genoveffa la racchia”, Attalo graffia a fondo, con impetuosa forza, nei meandri della psiche dell’umanità dei suoi personaggi. In “Genoveffa la racchia” brutta, pelosa, sedere basso c’è la satira atroce di certi personaggi femminili che nonostante la loro non più tenera età, si atteggiano ancora a donne fatali, assumendo pose e comportamenti da belle e affascinanti. L’opera di Attalo è l’analisi assai lucida delle debolezze umane, grazie al contatto quotidiano con le contraddizioni e le carenze offerte da un tipo di società borghese, in cui l’uomo cessa di essere tale per regredire allo stato di caricatura o di macchietta.
due
Con la vignetta di Putzolu, vista sul Bertoldo di aprile 1964, pubblico una nota di Beppi Vigna: “””””Qualcuno lo ha definito il "Forattini sardo", ma forse il paragone non rende completamente giustizia a Franco Putzolu, che, rispetto al più illustre collega romano, ha sempre manifestato una maggiore capacità di raccontare, spaziando molto spesso al di là della satira politica pura e semplice. Di certo, così come le vignette di Forattini, anche quelle che Putzolu ha realizzato per anni per l' “Unione Sarda” hanno, il più delle volte, la valenza di un articolo di fondo con il vantaggio che, mentre la parola scritta ha una sua incisività mediata, l'immagine è più efficace, arriva subito al dunque, sintetizza un concetto e si fa ricordare meglio. Nato a Serramanna nel 1936, Putzolu ha esordito giovanissimo (nel 1953) inviando una vignetta al settimanale "Il Calcio e il Ciclismo Illustrato". Qualche anno dopo, prese a girare per le redazioni dei giornali con la sua cartella di disegni: collaborò col settimanale romano "Il Travaso delle idee", poi, si trasferì a Milano, dove venne assunto alla Gamma Film, lo studio dei fratelli Gavioli, che realizzava cartoni animati pubblicitari per la televisione. Il disegnatore sardo ebbe, così, l'opportunità di partecipare alla realizzazione di numerosi "caroselli", dando vita a personaggi divenuti celebri, come la famiglia di trogloditi Babbut, Mammut e Figliut, capitan Trinchetto e tanti altri. A Milano Putzolu lavorò anche per "Il Travaso" di Guasta, per "Il Delatore" (innovativa rivista, diretta da Bernardino Zapponi), per il “Bertoldo” di Gino Sansoni e Arnaldo Piero Carpi e per la collana di libri Questi Umoristi. Alla fine degli anni sessanta, Putzolu rientrò in Sardegna e si propose all' “Unione Sarda”, “All'inizio, realizzavo soprattutto vignette satiriche sulla politica regionale, poi il direttore Fiori mi chiese di farne anche di argomento sportivo e così disegnai una lunga serie dedicata al Cagliari di Gigi Riva e Manlio Scopigno”.
Con la satira sociale e di costume è proseguito il suo itinerario creativo: centinaia di disegni, ognuno dei quali fotografa un momento significativo e che, insieme, compongono un grande affresco sulla nostra realtà. Ciò che colpisce - oltre l'efficacia umoristica che permette alle vignette di restare sempre divertenti, di non essere mai datate - è la capacità dell'autore di sintetizzare con pochi tratti le situazioni più complesse. Questa è una prerogativa che è tipica solo dei grandi maestri, una categoria a cui Franco Putzolu appartiene certamente”””””.
tre
[...] Giacinto 'Giaci' Mondaini (1903-1979), un bohémien - se l'etichetta non fosse logorata - della Milano nella prima metà del secolo. 'Pittore, illustratore, caricaturista, cartellonista e scrittore, autodidatta in arte" come scrivono Cinzia Mangini e Paola Pallottino nel loro importante "Bertoldo e i suoi illustratori". Una biografia avventurosa, cominciata come capitano di lungo corso e conclusa in solitudine sotto una tenda da campeggio sulle Alpi. La presenza su tutte le testate di rilievo del primo dopoguerra - Lìdel, Il giornalino della Domenica, Il secolo XX, Il Corriere dei Piccoli con il personaggio di Escamillo, Ecco, Il Settebello; Il Bertoldo appunto, per tutto il periodo di uscita, dal '36 al '43 - e poi manifesti importanti per le Biennali veneziane e anche un soggetto cinematografico (nel '35, per 'Darò un milione', di M. Camerini). Dipinge, anche, ed espone in alcune personali alla galleria Bardi di Milano, opere dai colori che 'in tonalità delicate, aliene da sensualismi e contrasti, si spandono a sfumature e passaggi molto fini', secondo P. Torriano, nel 1943. Poi, dopo la seconda guerra, un sodalizio con Mosca e Guareschi, al Candido e l'aspirazione - o, forse, la frustrazione tipica di tanti illustratori - di sgabbiarsi da questa etichetta per apparire esclusivamente come pittore. Non sempre i desideri privati corrispondono alla valutazione critica. Nella banda del Bertoldo le parti si ritagliano con miracolosa esattezza. Mondaini è il pendant grafico delle elucubrazioni letterarie di Carletto Manzoni - anche se di rado i due lavorano di concerto - ovvero il creatore del memorabile 'signor
Veneranda': Manzoni riferisce dialoghi banali e insensati, Mondaini schizza compostissimi (sono quasi sempre i redingote) personaggi completamente stralunati, capaci di affrontare nel modo più improbabile situazioni già irrevocabilmente improbabili. Dal punto di vista del segno, è evidente l'influenza su un giovane apprendista che, nei primi anni del Bertoldo bazzica la redazione, una futura stella della grafica mondiale, ovvero il rumeno Saul Steinberg che collabora al giornale fin quasi all'entrata in guerra dell 'Italia Scrive ancora Paola Pallottino: "Meno 'cattivo' di Mosca, nella surreale ineluttabilità dei suoi personaggi - da 'il fesso d'oro' a 'il signore malvagio', da 'le sorelle Ciabatta' a 'La voce del sangue' - Giaci Mondaini accorda il suo segno, essenziale ma autorevole, a un registro poeticamente onirico, anche a fronte di eventi crudelissimi come catastrofi, lutti, amputazioni, in quella fiera degli equivoci generata dalla surreale tradizione figurativa di metafore e giuochi di parole. Da Cristoforo Colombo che navigando su tre 'caramelle' comincia a sospettare che la Regina Isabella non abbia capito esattamente la sua richiesta, al signore che si rammarica perché l'orologio posato per terra 'non cammina', fino a quell'irresistibile, moderna ars moriendi costituita dalle vignette 'la fine del prestigiatore'; 'la fine della guida del museo', 'la fine del commesso': fino a quella del contabile, il quale, chiamando gli addetti alle pompe funebri al suo capezzale, esala per l'ultima volta la parola 'Cassa!"'. Bastano questi cenni, peraltro, per individuare il debito verso Achille Campanile, il vero, grande innovatore di tutto il nostro umorismo a partire dal secondo decennio del Novecento. Enrico Mannucci Nota biografica Giacinto Mondaini nacque a Milano nel 1903. Durante i primi anni di vita, dopo essersi diplomato capitano di lungo corso, si imbarcò giovanissimo come marinaio e navigò per i mari di tutto il mondo. Negli anni venti ritornò a Milano e iniziò a dedicarsi sia alla scrittura che all’arte figurativa, senza peraltro seguire uno specifico corso formativo. Da principio lavorò come illustratore e cartellonista. Da ricordare a questo proposito il suo manifesto del 1934 per il 1° Convegno internazionale di teatro, inserito nell’Enciclopedia Treccani alla voce Pubblicità accanto a una rappresentanza dei maggiori cartellonisti del mondo. Esordì nel 1925 sul periodico “Lidel”, l’anno successivo pubblicò sul “Giornalino della Domenica” e dal 1927 su “La Donna”, “Il Secolo XX” e “Corriere dei Piccoli”, per il quale creò il personaggio di Escamillo. Nel 1929 passò alla “Rivista Illustrata del Popolo d’Italia” e nel 1930 al “Giovedì”. Negli anni trenta rivelò la sua vena eclettica di caricaturista su “Ecco”, “Settebello” e soprattutto sul “Bertoldo”, nonché di cartellonista, vincendo il terzo premio al concorso per il manifesto della IV Triennale di Monza e realizzando manifesti per il Giocattolo italiano (1930) e le Biennali veneziane (1940 e 1942). Alla fine degli anni trenta, in concomitanza con il lavoro per il “Bertoldo”, collaborò a “L’Illustrazione del Medico” e al “Milione”. Vignettista e caricaturista, tra le sue tante creature vi fu il Fesso d’oro nato sulle pagine del “Bertoldo”, macchietta dell’uomo semplice che con la sua disarmante stupidità scardina gli schemi imposti dalla società. Nel 1945 fondò “Il Galantuomo” e con Giovannino Guareschi e Giovanni Mosca “Candido”. Si dedicò anche al teatro e alla cinematografia. Tra le sue opere ricordiamo la commedia Il diavolo e il galantuomo, scritta insieme a Gilberto Loverso e Carlo Manzoni e rappresentata al teatro Olimpia di Milano. Nel dicembre 1954 alcune sue vignette furono pubblicate su il “Corriere della Sera”. Dagli anni Cinquanta si dedicò esclusivamente alla professione di pittore. Nel novembre 1962 tenne una mostra alla Galleria Monte Napoleone di Milano. La sua era una pittura che prediligeva il paesaggio e la rappresentazione figurativa. Espose solo in personali – per esempio alla Bardi di Milano e alla Norval di Parigi – in cui presentò opere sottilmente umoristiche e congeniali alla sua vena surreale. Morì a Milano nel 1979.
quattro
MICROSPIE TELEFONICHE Nella vignetta (9 marzo 1973) di Sergio Ippoliti, grande protagonista dell'ultimo Marc'Aurelio, vediamo effigiati con magistrale perfezione Amintore Fanfani (storico "bassotto" della politica) e il solito sospettoso ("chi pensa male commette peccato, ma spesso indovina") Giulio Andreotti. Era praticamente al "canto del cigno" il rinomato settimanale satirico del venerdì, il cui percorso nella storia della satira è sinteticamente riportato nella scheda tratta da Wikipedia. """""Il Marc'Aurelio era un giornale satirico italiano fondato a Roma nel 1931 da Oberdan Cotone e Vito De Bellis. Vi collaborarono le più illustri firme dell'epoca: Gabriele Galantara (noto anche con lo pseudonimo di Ratalanga), Filiberto Scarpelli, Attalo (pseudonimo di Gioacchino Colizzi), Luigi Bompard, Mameli Barbara, Fritz Walter, Anton Germano Rossi, Daniele Fontana Camerini, Scola, Steno (pseudonimo di Stefano Vanzina), e il giovanissimo Federico Fellini, ideatore di numerose rubriche, vignette, e delle celebri "Storielle di Federico" in più sequenze illustrate. Sospese le pubblicazioni nel 1945, riprendendole con alterne vicende dopo la Liberazione, e fino al 1955, quando passò in proprietà all'editore Corrado Tedeschi, che trasferì la redazione a Firenze, dove concluse la sua avventura nel 1958. Fu infine nuovamente ripreso a Roma nel 1973, diretto da Delfina Metz (figlia del celebre sceneggiatore Vittorio), con la supervisione artistica di Enrico de Seta: un'ultima breve ma intensa stagione (che durerà 26 numeri settimanali) alla quale parteciparono, accanto agli "storici" Attalo, de Seta, Claudio Medaglia, alcuni giovani autorevoli autori, come il caricaturista Sergio Ippoliti e il disegnatore Melanton (pseudonimo di Antonio Mele)."""""
cinque Giuseppe Scalarini è considerato il creatore della vignetta satirica politica in Italia. Disegnatore satirico per il quotidiano del Partito Socialista Italiano, l'Avanti! dal 1911 al 1925, e fervente pacifista e antimilitarista, fu poi duramente perseguitato dal Fascismo. Era solito firmare le proprie vignette e disegni con un vero e proprio inconfondibile rebus formato sul suo cognome: il disegno stilizzato di una scala a pioli seguito dalle sillabe "rini" finali. Biografia Nacque a Mantova il 29 gennaio 1873. Nella sua città natale fondò nel 1897 il settimanale Merlin Cocai, iniziando la sua interminabile serie di caricature e vignette antimilitariste e politiche che lo portarono più volte sotto processo. Nel 1898 fondò il primo giornale socialista della provincia di Mantova, La Nuova Terra; tra i redattori si trovava anche Ivanoe Bonomi. Già perseguitato per i suoi disegni e per il suo impegno politico, dovette fuggire prima in Austria e di lì in Germania, a Berlino, dove lavorò per i Lustige Blätter della medesima città e per i Fliegende Blätter di Monaco di Baviera. Fu poi espulso dalla Germania su richiesta del governo italiano, riparando prima a Londra e poi in Belgio e a Parigi. All'Avanti! Rientrato in Italia nel 1908 dopo la revoca dei provvedimenti nei suoi confronti, riprese la pubblicazione del Merlin Cocai. Ma fu nel 1911 che la sua carriera e la sua fama ebbero una svolta, quando Claudio Treves lo chiamò alla redazione dell'Avanti!, quotidiano nazionale del socialismo. Dal 1911 al 1925 ogni giorno comparve sul quotidiano una vignetta di Scalarini firmata con la caratteristico rebus della "scaletta + rini". Con il suo ingresso all'Avanti!, inizia una sequela di processi che vedono Scalarini imputato per le sue vignette: nel 1911, l'anno stesso della sua assunzione, per un feroce disegno contro la disfatta di Adua nel 1896; nel 1914 per una vignetta contro la repressione poliziesca; due volte nel 1916 per vignette contro la guerra in corso (e così anche nel 1918). Tra il 1919 e il 1922 viene processato altre 4 volte. Perseguitato dal fascismo Nel 1920, mentre si trova a Gavirate, in provincia di Varese, Giuseppe Scalarini viene aggredito da una squadraccia fascista e gli viene somministrata la tipica punizione dell'olio di ricino (ricordiamo che il ricino è una pianta tossica). Dopo l'aggressione, Scalarini si rifugia a Savona, mentre i fascisti assaltano la sua casa mantovana dove era rimasta la famiglia. Individuato dagli squadristi a Savona, si mette in salvo gettandosi alla macchia. Nel 1925, con il celebre discorso dei Manipoli pronunciato il 3 gennaio a Montecitorio ("avrei potuto trasformare quest'aula sorda e grigia per un bivacco per i miei manipoli..."), Benito Mussolini dà di fatto l'avvio alla dittatura. I giornali di opposizione devono cessare le pubblicazioni, e così l'Avanti!. Scalarini, che si trova a Milano, viene di nuovo aggredito sanguinosamente dai fascisti nel 1926, in casa; riporta una commozione cerebrale e la frattura della mandibola. Dopo un mese di permanenza in ospedale, viene arrestato e incarcerato a San Vittore, da dove viene poi inviato al confino prima a Lampedusa e poi a Ustica. Nel frattempo, nei suoi confronti viene emanato il divieto assoluto di pubblicazione di qualsiasi lavoro di ogni genere; un libro per bambini, interamente illustrato da Scalarini, deve essere pubblicato sotto il nome di sua figlia. Gli ultimi anni Gli ultimi anni di vita non risparmiano a Scalarini privazioni e violenze di ogni sorta. Nell'agosto del 1940, a guerra appena iniziata, viene prelevato e rinchiuso nel campo di concentramento di Istonio, in provincia di Chieti; ma viene liberato per l'età e per le sue oramai precarie condizioni di salute (viene comunque messo sotto sorveglianza speciale). Nel 1943 riesce per miracolo a sfuggire all'arresto da parte della polizia della Repubblica di Salò. Finita la guerra e caduto il fascismo, Scalarini riprende a lavorare per l'Avanti! fino alla mattina del 30 dicembre 1948, quando muore accudito dalle figlie. L'opera
« "E' ìl più politico dei caricaturisti italiani e forse del mondo. La sintesi è la base del suo pensiero e del suo disegno crudele. Pochi tipi, sempre eguali, il lavoratore tesserato, il capitalista ladro. pochi simboli: la falce e il martello, il grimaldello, la sciabola, il rosario cattolico. È monotono. Ma nella monotonia truce della sua visione Scalarini trova la forza che condensa in piccoli spazi: non cerca ombre: bianco e nero, nero e bianco. Niente altro. La sua caricatura è veleno, è morte. Guardando queste grandi opere io mi spavento. Scalarini è un caricaturista che passerà alla storia ". - Dal Risorgimento Grafico di Milano, 1920 » Di Giuseppe Scalarini restano diverse migliaia di disegni, dei quali non molti furono però raccolti e ordinati in volume. Non fu soltanto disegnatore politico e satirico, ma anche illustratore di libri per l'infanzia. Una sua raccolta di disegni è ospitata al Cremlino, presso il Museo della Rivoluzione. Ps.: la satira, come insegnao questi grandi maestri del passato, non ha bisogno della volgarità per essere efficace. Nè è necessario che faccia ridere per forza...