ghost and mist
Non si scappa dalle coreografie di fantasmi iridescenti.
Nebbia. Omogeneo è la parola chiave. Felice e poco rassicurante. Non collego le vicinanze, mi manca la distanza. E’come raccogliere bastoncini e trovare quello più curvo, quello che è già cerchio senza fili. Il momento in cui le cose tornano a incontrarsi e a bilanciarsi si rimane col sapore finito in bocca, la soluzione non letale ma adatta di guanti e porte, serrature e lembi di maniglie ricciolute, un balsamo di olio che spazza il cigolare, l’attimo preciso dello spolverare cieli. Quando si alza il viso si vedono i giorni sgusciati e finiti. Ne resta il succo parziale e le immagini in fila, puntuali fino alla noia. La puntura quotidiana di personale.
La nebbia ha il sapore delle chiese senza quadri, con le pareti di mattoni da centro immigrati di periferia. Quelle dove tutti vanno volentieri ma solo ogni tanto, rivestite dal quel distacco burbero da vecchio mangiatore di bambini, con l'interno fragile di marzapane delicato, da non toccare neanche con le mani delle feste.
Di quelle che affittano le principesse dalle scarpine di velluto, per i battesimi delle cuscine di pizzi, per i principini dai boccoli rossicci. Una di quelle chiese con la storia a fare da appendiabiti, casomai mantelle. Con gli arazzi ben bene colorati, con le croci incastrate nei lucidi diamanti. Coperta da una pellicola di gocce, come un mantello mobile. La visione da lontano di me stessa, come in un filmino umidiccio di bastoni che non si accendono. Di fornelli da campeggio e pomate.
Un coprispalle per attacchi di fantasmi bizzosi, quello lo pretendo. pensavo. ero in pessimismo antico, povera ingenua. come se non ci pensasse realtĂ a cambiare fotografie e piani, a scompigliare capelli mica servono le mie mani. trovai: una manciata di mie parole scavate e non perfette. le trovai tutte conficcate sul biglietto del tredici, le vocali sparse sul mio libro einaudi, le maiuscole dentro a una lampo rotta. I punti e le virgole dentro la borsa. Oh, i sospiri no. Quelli non dico dove si sono andati a nascondere.
Il resto delle parole su una panchina, su una macchia color terra, sul bordo di un pantalone. Sulla mia abbronzatura e sul tuo pallidume. Quanta leggerezza nel cambio di desiderio, quanta sorpresa nel non vedersi pi첫 i piedi capricciosi, a reclamare. Ritrovai solo i grumi di nostalgia, quella manciata di ombra, vicoli e scale, mentre il mondo rideva. Un ventaglio di sorrisi svelti e di fughe veloci, lungo la campagna triangolare. Un sacchetto di ventiquattro ore per ripensare.
Il crepuscolo diffonde ombre insopportabili nell'ingresso e nella campagna, basterebbe chiuderlo a chiave per l'ultima volta. La vita macina chiusa in un carillon di legno, se si guarda fuori vede la polvere noiosa e i resti di detersivo economico strisciati nel cielo.
Un insieme d’immoralità , dipartite impensate e ritorni in veste di fantasmi, sono agghindati da dame morte, sepolti nei vasi sul balcone che diventano meduse fluorescenti o spiriti perduti. Ma queste cose bisogna solo pensarle, sono fottute romanticherie da cani deboli. Da barboncini da sofà .
I fantasmi portano sedie, spuntano tagliando la nebbia, file di formiche sghembe con le gobbe di legno sulle spalle, le armature con quattro gambe.