IL GERME DELL’ATTESA - WAIT Le attese sono ore di religione, voci nel tempo, prove generali, il disordine, donne dal cuore di vetro, gli orrori dei castelli di Norimberga. E’ un correre dietro a maniglie disegnando ghiri-gori e mulinelli di bufera, è saltare e fermarsi dopo qualche metro, a un puntino dal burrone. Sospensione e pazienza, di mani senza circolazione, bocche sminuzzate in paralisi e il congelamento di ogni cosa. L’attesa, quando arriva, non si può dirle niente. Non un insignificante rimprovero. Non un ammonimento biascicato, non un avvertimento trascinato fra palato e lingua.
Il germe dell’attesa arriva con la noncuranza di una barba non fatta e i capelli in disordine. Arriva con quel particolare gusto nell'aspettare davanti alle porte, prima di spalancarle. E’ il gene dell'attesa raminga, della salvaguardia ad ogni costo, delle unghie infilate nelle poltrone. Le attese sono bicchieri colmi di lombrichi su tavole disinfettate, sono un microscopi fatti con resti di macchine fotografiche in rovina e cannocchiali ricavati con vetrini introdotti in un ramo. L’attesa passeggia accanto alla stanchezza. E tira le maglie come un furetto molesto alla ricerca di un cielo stabile sotto nuvole schizzate dal sole, fronde scure e epidermide secca. E’ un viso costantemente in ricerca mani aperte e visiere per pensieri. Marchingegni lucenti per denti e macchie di lampone sulla pelle. Ci misuriamo le ossa, e in attesa, respiriamo il suono degli usci.
Le attese sono ore di religione, voci nel tempo, prove generali, il disordine, donne dal cuore di vetro, gli orrori dei castelli di Norimberga. E’ un correre dietro a maniglie disegnando ghiri-gori e mulinelli di bufera, è saltare e fermarsi dopo qualche metro, a un puntino dal burrone. Sospensione e pazienza, di mani senza circolazione, bocche sminuzzate in paralisi e il congelamento di ogni cosa.
Il caldo brodo dell'attesa. Effetto macelleria. Effetto anima bianca candida. L'interno madreperla di una conchiglia percorso dalle dita.
HOUSE E di colpo c’è tutta quella roba. Quella raccolta in tanti anni e tante case diverse. Tante città guardate di lato. Cose accumulate con l’arrendevolezza dei ripostigli e dei seminterrati. Con la nostalgia dolciastra da demolire. Rimaneva sempre in quello spazio di mezzo, solo un vuoto senza aspettative ricoperto di paglia bianca, quello delle ceste di Pasqua. Da osservare da lontano, con la puntualità dei nullafacenti e il baffo unto degli invidiosi.
La memoria è inesatta, contornata di verde, risulta umida e astratta. La virgola preferita, un riccio. Il sapore stantio dei campanili delle feste ammuffite. L’odore del fango incastrato sotto le scarpe dai lacci mangiati dai gatti. Il filtrare della nebbia , oltre la tenda spessa, pasta all’uovo. Nel negativo fotografico si vede una lucina azzurra, dimenticata. Intarsio di pensieri o lavorio ortopedico di case serrate? Poco importa. Chiusi senza respiro, ovunque, carte di giornali e crani di animali. La bufera di pelli e semi. Ma si sente, in tutto quel vapore, l’abbrustolire gaio della lucina azzurra. Non si fiata, per non spostarla.
Le cucine hanno schiamazzi notturni. Bicchieri opachi, spicchi trasparenti stesi sulle tovaglie di plastica e polvere sottile sul pavimento tra l'immobilitĂ delle tende. Si cerca come furetti, premendo il muso e le mani nelle tasche, un alcunchĂŠ di assoluto da attaccare alle piccolezze dei minuti. Deve esserci da qualche parte una chiave universale confacente a ogni circostanza, un prontuario fatto di codici di condotta non imposti, come un breviario di carta riciclata tenuto celato da qualche essere umano sbadato un bimbo o ancora meglio un animale: un cervo risolutore tenuto in un giardino Un giorno potrai mettere in fila tutti i tuoi bagni preferiti. potrai calcolare con esattezza il bordo delle piastrelle e la loro aderenza al pavimento, potrai ricordare la schiumositĂ del sapone rosa, potrai fingere di toccare ancora le ceramiche perfette e potrai ricordare la posizione delle mani, e gli appigli instabili.
Nelle case il tempo passa più lento, i capelli sul pavimento diventano più scuri e senza la cornice del linoleum. Qualcosa di torrido infesta gli appartamenti. Si tratta di movimenti studiati nei particolari, occorre fare attenzione alla posizione delle sedie, ai movimenti delle tende, ai soprammobili superflui. Le case sono popolate da donnine spuntate per caso, ai piedi di una collina di feci, oppure montate alla rovescia, con viti troppo piccole infilate nelle giunture più importanti e con voluminosi cavi e lacci metallici collocati direttamente nelle minuzie, sulla pelle di velina, nell’attaccatura dei capelli, sulla pellicina delle unghie. Mostri macchinosi, vestiti di veli e scarpette leggere. Tra i vapori delle tinture per capelli che si mescolano all’aroma della brodi di pollo, tirate per i capelli dalla routine, sedute su una poltrona verde delle ambiguità. Quel filo dorato e noioso dei giorni infilati, dei mercoledì banali e feriali, dello stesso posto a sedere tavola, degli amici dai nomi conosciuti e dai volti stranieri. Case con pareti troppo colorate dall’odore della paura e dal richiamo della fuga. Le case mutano la consistenza delle persone fino a diventare liquide, senza corpo e il fiato è così basso da non permettere eco. Le case nascondo ogni segreto.